Feltrino News n. 8/2022 Agosto

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ANNO 3° - N° 08 - Agosto 2022 - Supplemento del periodico Valsugana News - www.feltrinonews.com

Periodico GRATUITO di Informazione, Cultura, Turismo, Attualità, Tradizioni, Storia, Arte


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Possiamo quindi definire BIO ENERGY MED® un materasso con proprietà antidolorifiche naturali, e bioenergetiche.

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L'editoriale di Marco Nicolò Perinelli

Tutti al voto! La corsa verso le politiche è iniziata. A meno di due mesi dalle elezioni tutti cercano un posto al sole, incuranti delle conseguenze che la caduta del Governo Draghi porterà.

La democrazia, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi. Allora la gente si separa da coloro (i politici) cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice. Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo”. Una analisi lucidissima e estremamente attuale di quanto sta accadendo oggi in Italia. Attuale, nonostante sia stata scritta quasi duemilacinquecento anni fa da Platone, nella suo dialogo sulla Politeia, tradotto come La Repubblica, in cui esamina le diverse forme di governo alla luce di quanto accaduto ad Atene tra la caduta della Democrazia e l’ascesa al potere della tirannide. Certo, Platone è critico nei confronti del sistema democratico, che vede imperfetto perché lasciato in mano a persone non sempre meritevoli e la sua conclusione, affidata alle parole di Socrate, è che al potere dovrebbe salire una classe di persone educate a questo ruolo. Uno stato ideale, rapportato ad una società che non ha riscontri nella realtà, ma l’analisi che egli compie dell’animo umano è fuori dubbio di grande veridicità. E lo dimostrano i ricorsi storici e in particolare proprio quello che accade oggi in Italia. La fine del Governo Draghi è giunta in modo prematuro, da molti inaspettata e solo da qualcuno auspicata. Che vi fosse voglia di crisi, da parte di alcuni partiti che sentono brillare sul proprio volto un po' di

luce del sole dopo tanto tempo di oscurità, cavalcando rabbia e malcontento, è noto. Ma pochi avrebbero scommesso sulla fine di una esperienza che, al di là dei colori partitici e politici, ha rappresentato un’ancora di salvezza in un momento di grave difficoltà. Una pandemia in corso, una guerra in Europa, una congiuntura economica che vede le famiglie in sofferenza con rincari su tutti i fronti, non sono bastate a fermare chi ha pensato fosse il momento giusto per provare la scalata a Palazzo Chigi, al Potere. Ed oggi c’è chi brinda dunque all’instabilità, all’incertezza, pensando al proprio tornaconto personale. Ma già queste prime settimane di campagna elettorale, di colloqui tra diversi partiti, mostrano la fragilità del sistema partitico italiano. Oggi, a pochi giorni dalla giornata che ha segnato la politica italiana con l’uscita dall’aula di Palazzo Madama dei Senatori contrari a Draghi, anche chi ha brindato alla caduta del Governo sta cercando di smarcarsi dal ruolo di draghicida, di fronte all’evidente caos che questo ha creato non solo a livello nazionale ma anche europeo. E ai cittadini, anche a chi in quei partiti pone fiducia, quanto accaduto ha posto più di un dubbio. Se non altro perché, caso fortuito pare, i tempi della crisi garantiranno loro

comunque il vitalizio. E quindi la battaglia per le concessioni balneari o l’inceneritore di Roma sembrano solo un pretesto, una bomba a orologeria ben architettata. Perché di argomenti più spinosi e importanti se ne sono discussi prima, ma nessuno dei draghicidi aveva pensato di mettersi così di traverso. Supposizioni, certo. E già oggi vediamo le promesse elettorali fiorire: dal togliere l’iva all’aumentare le pensioni, dalla lotta all’immigrazione, improvvisamente tornata alla ribalta, al piantare alberi. Ciò che emerge in modo più drammatico è però la polverizzazione dei partiti, che già lottano per stabilire una leadership che di fronte a maggioranze sostenute da accordi e accordini, rischia di essere inefficace e di portare all’ennesimo governo tecnico. Quello di cui abbiamo bisogno oggi è stabilità, concretezza, obiettivi chiari e raggiungibili. E i nostri politici dovrebbero ricordare tutti, a livello nazionale e locale, quanto diceva il più grande statista italiano, Alcide De Gasperi, ovvero che in campagna elettorale si dovrebbe promettere sempre qualcosa meno di quanto si pensa di poter realizzare. L’impressione, però, è che siamo ancora alla competizione su chi spara più in alto per accattivarsi qualche voto e incanalare il malcontento. Sperando, per tornare all’Atene del V secolo, in quanto diceva lo storico Tucidide: “la maggior parte della gente non si preoccupa di scoprire la verità, ma trova molto più facile accettare la prima storia che sente”.

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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 direttore.feltrinonews@gmail.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Rodari (Curiosità, cultura e tradizioni). dott. Emanuele Paccher (politica, economia e società) Laura Paleari (moda e costume) dott.ssa Alice Vettorata - dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri - USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott. ssa Chiara Paoli (storia -cultura e tradizioni) dott.ssa Eleonora Mezzanotte (Arte, storia e cultura) dott. Marco Nicolò Perinelli - Francesco Zadra (Attualità) dott.ssa Sonia Sartor (Cultura, arte, attualità) Ing. Grazioso Piazza - dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Monica Argenta - dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) dott. Casna Andrea (Storia, cultura, tradizioni) Francesco Scarano (Attualità, storia) Caterina Michieletto (storia, arte, cultura) dott.ssa Beatrice Mariech (Cultura, arte, storia) dott.ssa Daniela Zangrando (arte, storia e cultura) Alex De Boni (attualità e politica) dott.ssa Erica Vicentini (avvocato) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA dott. Francesco D’Onghia - dott. Alfonso Piazza dott. Marco Rigo . dott. Giovanni D’Onghia COMMERCIALE: Prof. Armando Munaò - 333 2815103 - direttore.feltrinonews@gmail.com Gianni Bertelle - 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di Agosto di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 5 del 16/04/2015. COPYRIGHT - Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro pubblicato su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl - PUNTO E LINEA, quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

L’editoriale: tutti al voto

Agosto 2022 3

Società oggi: lo Stalkerware

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Sommario

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Non solo animali: il cavallo

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La storia siamo noi: Gino Bartali

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25 settembre si vota - Pubblicità elettorale

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In filigrana: l’Italia non è un paese per giovani

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“A tavola nel feltrino- il fagiolo di Lamon

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A parere mio: La siccità nella politica italiana

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Feltre: Maurizio Nicodemo, nuovo primario di Oncologia

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L’indifferenza nella società moderna

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Rottamare le vecchie stufe

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Società oggi: il nudo su internet

16

Oltre la vita: Diavolo di un diavolo

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USA: la Corte Suprema e la sentenza sull’aborto

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Ieri avvenne: Mercì et bravò

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Storie di casa nostra :La famiglia Pilotto

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La prevenzione e cura del diabete

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Guerra, politica e istruzione

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La spedizione Kon-Tiki, tra mito e realtà

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Tra Storia e Letteratura; Orhan Pamuk

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Alla scoperta della Numismatica

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A parere mio: avere di fronte il tutto

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Una coppa al gelato bellunese

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La storia di una magnifica intrapresa

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Racconti d’arte; Sempre giovani

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Il personaggio: Leonardo Del Vecchio

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Salute e benessere: l’Onicofagia

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Sport e Società: la Pieve 2000

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Medicina & Salute: Onedent 3.0- La radiografia digitale

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La letteratura per il BenEssere

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Conosciamo il Trust con A.E.C.I.

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Qui USA: la terribile prigione di Alcatraz

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Che tempo che fa: estate 2022 all’insegna del caldo

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Le incisioni rupestri della Valcamonica

43

Il libro nello scaffate: Tullio Marchetti

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Bellunesi e feltrini nella spedizione dei Mille

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L’addestramento dei cani

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SMILE, quando la musica è un affare di famiglia

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L’uccisione e il maltrattamento di animali

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Lentiai in cronaca: sport, giochi e divertimento

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Si paga solo con PagoPa - Autopratiche Dolomiti

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La storia siamo noi GINO BARTALI Pagina 7

La Pro Loco di Lamon A TAVOLA CON IL FAGIOLO Pagina 54

LA SPEDIZIONE KON - TIKI Tra mito e realtà Pagina 66

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La storia siamo noi di Waimer Perinelli

GINO BARTALI

E IL GIALLO DELLA BORRACCIA

Q

uesta è l'intervista che avrei voluto fare a Gino Bartali il 6 luglio del 1952 all'arrivo della tappa Le Bourg l'Oison-Sestriere del Tour de France. Avrei voluto chiedergli perché aveva passato la borraccia a Fausto Coppi il suo rivale. Conosco la risposta, probabilmente mi avrebbe detto "L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare", con quel suo accento da toscanaccio qual era. Gino Bartali aveva 38 anni, un'età limite per un corridore professionista, essen-

do nato il 18 luglio del 1914 a Ponte a Ema, un paesino posto fra Firenze e Bagno di Ripoli dove la lingua di Dante è di casa e la gente schietta. Gino era un predestinato della due ruote. A 21 anni non avendo avuto alcun contratto s'iscrisse da solo alla classica corsa Milano Sanremo e pur non avendo alcuna squadra giunse quarto. La grande prova gli valse il contratto con la squadra torinese Frejus con la quale partecipò la prima volta al giro d'Italia, arrivando settimo. Del celebre Giro, fra gli anni 30 a

50 ne ha poi vinte tre edizioni alle quali si devono aggiungere due Tour de France e innumerevoli tappe e classiche mondiali del ciclismo. Un vero campione anche di cortesia e discrezione. Quel passaggio di borraccia al Col du Galibier, è entrato nella leggenda del ciclismo perché contemporaneamente alla pubblicazione della fotografia, scattata da Carlo Martini, fotoreporter dell'Omega Fotocronache, nacque il giallo: chi aveva passato cosa? Era stato Bartali a passare la borraccia o 7


La storia siamo noi

bottiglietta, a Coppi che lo precedeva, o era stato il ciclista piemontese, di cinque anni più giovane, e in piena ascesa, a dare una " sorsata "acqua al rivale? La domanda ha diviso l'Italia tifosa e ancora oggi a distanza di 70 anni il giallo non è risolto. I due campioni non hanno mai dato la soluzione. A Bartali avrei chiesto se quando aveva conosciuto Coppi avesse già riconosciuto in lui la stoffa del campione. "Coppi l'avevo voluto io, ricorda, proprio perché quel giovanotto alto e magro, sapeva soffrire e nel ciclismo degli anni 30 la sofferenza, la caparbietà, la tenacia, erano le qualità indispensabili per accompagnare degnamente i doni della natura. La mia fortuna era stata quella d'incontrare nel 1936 il grande Learco Guerra che mi volle nella Legnano e con quella maglia ho vinto il Giro d'Italia del 1936 e poi quello del 1937. " Lo stesso anno lei è diventato capitano della squadra italiana al Tour de 8

France. " Si una bella promozione ma un anno sfortunato perché sono caduto nella tappa da Grenoble a Briancon e la maglia gialla è sfilata" Si è rifatto l'anno dopo, il 1938. "E' vero una bella vittoria ma già alle mie spalle vedevo l'ombra di Fausto Coppi, un ciclista che mi era subito piaciuto e come Guerra fu il mio mentore io lo sono stato per lui". Un buon insegnante visto che due anni dopo al Giro quando tra forature e cadute lei si trovò spiazzato, fu proprio Coppi a vincere. Era il 1940 e iniziava la leggenda della rivalità che li avrebbe accompagnati e ancora oggi non li abbandona anche se di strada sterrata o asfaltata sotto le due ruote ne è passata molta e ci sono stati campioni altrettanto grandi come Gimondi, Merckx....Moser. Gino o Fausto, chi di loro era migliore? Chi il più generoso? Sul passaggio della borraccia non si è mai espresso il fotografo Martini né ha parlato quel ciclista belga che, narra la cronaca gialla, stava pedalando accanto ai due rivali. Un atleta anonimo tagliato nella fotografia per dare maggior risalto al gesto di solidarietà. A proposito di generosità: Bartali campione sulla bicicletta e nella vita. Solo dopo la morte avvenuta a Firenze il 5 maggio del 2000 si è scoperto che della bicicletta aveva fatto lo strumento per trasportare, nascosti nel telaio, da Tortona ad Assisi, importanti documenti e foto tessera, con i quali venivano stampati passaporti e lasciapassare indispensabili agli ebrei in fuga dalla persecuzione nazifascista. Per questa attività di cui non aveva mai parlato, nel 2006

il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, gli ha conferito alla memoria, la medaglia d'oro al merito civile. Con le sue pedalate aveva salvato circa 800 cittadini di religione ebraica oltre alla famiglia che aveva nascosto fino all'arrivo degli americani in una cantina di sua proprietà. Per tutto questo lo Stato d'Israele, nel 2013, gli ha conferito il titolo di Giusto fra le Nazioni. C'è un merito che non gli è mai stato riconosciuto ufficialmente ma forse più che meritato, è possibile infatti che con una grande impresa compiuta al Tour de France abbia bloccato sul nascere una sanguinosa rivoluzione. Era il 14 luglio del 1948 quando all'uscita da Montecitorio uno studente sparò tre colpi di pistola contro Palmiro Togliatti segretario del Partito Comunista Italiano. Si è scritto, ma è un altro giallo, che Alcide Degasperi ha telefonato a Gino chiedendogli un'impresa memorabile. E lui la compì battendo la stella francese Luison Bobet. In realtà fu lo stesso Togliatti dal letto d'ospedale a raffreddare gli animi e far cessare i tumulti che avevano causato già 30 morti e 800 feriti. Resta l'impresa di Gino Bartali al quale l'amico Vittorio Pozzo che lo seguiva gridò "Gino, sei immortale".


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In filigrana di Nicola Maccagnan

L’Italia non è più (da tempo)

un Paese per giovani.

I

numeri dell’ultimo rapporto annuale dell’ISTAT sono impietosi e parlano chiaro, a meno che - esercizio non raro in Italia - qualcuno provi a mischiarli e reinterpretarli dando loro una direzione a piacimento. Questa volta è però onestamente difficile. Di quali numeri stiamo parlando? Di quelli che disegnano la situazione demografica del nostro Paese in uscita dal primo biennio di pandemia. L’emergenza sanitaria, e tutto quello che ne è conseguito, hanno di fatto accelerato, “stressato” e potenziato alcune dinamiche già in atto da anni e ora arrivate a livelli a dir poco preoccupanti. Numeri, dicevamo. Secondo il rapporto dell’ISTAT, al 1° gennaio 2022 la popolazione residente in Italia è scesa a 58 milioni e 983 mila unità, cioè 1 milione e 363 mila individui in meno

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rispetto a 8 anni fa! C’è un dato però, a mio modo di vedere, ancora più preoccupante. Ad oggi risultano infatti residenti nel nostro Paese 188 persone di almeno 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni, 56 in più rispetto a vent’anni fa; e udite udite! - con il previsto ulteriore incremento degli anziani rispetto ai giovani, la proporzione raggiungerà al 1° gennaio 2059 - secondo le stime più recenti - il picco di 306. Proviamo a tradurre, per renderci tutti più consapevoli di quanto stiamo vedendo. Tra meno di 8 lustri nella nostra popolazione vi sarà un solo ragazzo al di sotto dei 15 anni ogni 3 “ultra-maturi” over 65 (la parola “anziano” mal si addice, oggi, a persone spesso ancora in piena attività fisica e – talora – anche lavorativa). “Ecco gli effetti della pandemia da

Covid-19!”, sentenzierà qualcuno. Le persone si sono rinchiuse, i contatti diradati, le famiglie nascenti sterilizzate e la paura del futuro ha fatto il resto. Evidentemente non è così, o, quantomeno, non è solo così. Le dinamiche fortemente negative sul nostro trend demografico sono in atto già da parecchio tempo, almeno dal 2014 per quanto riguarda questa fase, sottolinea l’ISTAT. Certo, la pandemia ha avuto un impatto rilevante. L’elevato incremento di mortalità registrato nel 2020 è stato accompagnato dal quasi dimezzamento dei matrimoni per effetto delle misure anti-Covid e dalla forte contrazione dei movimenti migratori, con pesanti ricadute sulla natalità che si sono viste soprattutto a inizio 2021. E i primi dati provvisori del 2022 mostrano


In filigrana una nuova repentina spinta al ribasso: nel primo trimestre di quest’anno si contano circa diecimila nati in meno rispetto allo stesso periodo del biennio pre-pandemico 2019-2020. Il fatto che deve far riflettere è che tutto questo accade mentre nel panorama europeo, Spagna a parte, la Francia e, soprattutto, la Germania hanno registrato nel 2021 incrementi di natalità particolarmente significativi, anche rispetto agli andamenti precedenti la pandemia. E così continua a diminuire il tasso di natalità e a crescere, per converso, l’età media delle madri alla nascita sia del primo figlio che degli (eventuali) successivi (a questo riguardo vi risparmio una sfilza di numeri che potrete trovare agevolmente nel rapporto dell’ISTAT). E a contenere questo trend non basta più neanche la storica vivacità portata alle statistiche dai cittadini migrati o stranieri, le cui curve sembrano oramai appiattirsi negli ultimi anni sui fiacchi ritmi italici. Insomma, “riassunto dei riassunti”: in Italia si nasce sempre meno, la popolazione è destinata a calare e ad invecchiare progressivamente e nemmeno la componente straniera riesce più a mettere una pezza a questo declino. E qui si pongono tre quesiti che aprono altrettante praterie di discussione: “Quali sono le ragioni di tutto questo?” e poi “Con quali effetti?” e soprattutto “Quali i rimedi?”. Non è qui il luogo di sondare le complicate dinamiche economiche e sociali che stanno all’origine del fenomeno - orami non più nuovo - della

de-natalità nel nostro Paese, che lasciamo a penne più esperte e titolate. Né la questione si risolve solo nell’oramai consueta e un po’ meschina domanda: “Chi pagherà domani le nostre pensioni?”. Lasciateci però fare una considerazione e porre un interrogativo. La prima consiste nella constatazione, triste, che per sostenere la famiglia – oggi nella sua molteplicità di forme e declinazioni, anche legalmente riconosciute – servono ben altri strumenti da quelli “pensati” dalla politica dei nostri tempi. Altro che bonus-bebé o mancette per acquistare i seggiolini, qui c’è bisogno di ben altro per sostenere coppie alle prese con una realtà quotidiana fatta di impeghi, specie in giovane età, spesso precari o sottopagati, non certo sufficienti a realizzare un progetto di vita stabile. Poi l’interrogativo che, ahinoi, è ancora più inquietante. Siamo sicuri che la famiglia (ripeto, variamente e modernamente intesa e declinata) rappresenti ancora il fondamento della nostra società? Oppure è un modello entrato

profondamente in crisi, a causa di una serie di fattori che vanno, oltre la questione economica, dall’individualismo dilagante alla perdita dei riferimenti, etici e non solo, delle generazioni passate? Se per il giovane di qualche decennio fa uno dei primari obiettivi di vita era “farsi una famiglia”, possiamo dire che oggi sia ancora lo stesso? O altri valori-obiettivi hanno scalzato il desiderio di progettare un percorso che preveda come nucleo centrale proprio la nascita dei figli? Perché se così è, e personalmente almeno in parte ne sono convinto, la questione non è più soltanto economica o di strumenti di sostegno, ma diventa di respiro molto più ampio, per molti versi disorientante… Con esiti che francamente facciamo fatica a prevedere, sotto molti punti di vista. O che abbiamo timore a immaginare. Facciamo figli perché “non ce li possiamo permettere” (espressione orrenda, lo so, ma che rende l’idea) o perché non li vogliamo più?

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A parere mio di Caterina Michieletto

La siccità nella politica italiana Quando nello scacchiere politico si è affacciata la figura carismatica e adamantina di Mario Draghi ci siamo riscoperti a credere nella politica del possibile: dalle parole ai fatti, dalle prospettive remote agli interventi tempestivi, dalle divisioni partitiche all’unità dello spirito repubblicano. Nella accozzaglia dei partiti politici Draghi si era posto come un bilanciere per dare all’Italia la stabilità politica, quindi economico-finanziaria, presupposto indispensabile per incamerare i fondi del Next Generation EU e portare avanti gli obiettivi del PNRR. Cosa dire di questa stagione di primavera dopo un lungo letargo?

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he è stato bello finché è durato. Questo mi viene da pensare e credo di interpretare il sentire della maggioranza degli italiani nell’esprimere l’amarezza, la delusione, il senso di tradimento di fronte all’ennesima vittoria del ricatto di una fetta di politica che antepone l’interesse di partito all’interesse di uno Stato-comunità. Si possono affermare tante cose a contorno di questa crisi di governo sfociata nella campagna elettorale, ma un dato è lampante: Draghi è stato apprezzato dagli italiani per il suo operato e prima ancora per lo spessore morale e la solidità istituzionale di un tecnico che non ha scelto la politica ma si è trovato a fare politica con onore, coscienza e con l’umiltà che contrassegna tutti i grandi uomini. Per quanto si cerchi di piantare semi buoni, sembra che nel campo della politica italiana non riesca a crescere altro che quell’erba infestante che anche se non piove per mesi resta sempre in vita: l’irresponsabilità. Ecco, dunque, che si ripresenta una questione cruciale che ciclicamente si palesa ma non si vuole vedere ed affrontare con la dovuta attenzione e che è preliminare rispetto a qualsiasi altro interrogativo sulle sorti del nostro Paese: la qualità della politica e soprattutto di quella politica che ha la sua casa nel Parlamento, simbolo per eccellenza delle democrazie occidentali. Nell’edificio della rappresentanza

della volontà popolare ormai da troppo tempo assistiamo ad un gioco a squadre dove ognuno cerca di spuntarla alla meglio invece che ad un gioco di squadra per portare avanti gli interventi legislativi di cui l’Italia e di cui gli italiani hanno bisogno. In un gioco di squadra ci sono il pluralismo di idee e di proposte, la diversità di richieste e di risposte, il confronto e lo scambio di opinioni con argomenti opposti, ma lo scopo di questa fondamentale attività di incontro e scontro dialettico è il medesimo, è condiviso ed elevato al di sopra dei particolarismi di partito: è il bene di un Paese e di chi ogni giorno lo fa crescere, lo promuove, lo valorizza e lo vive in tutte le sue bellezze e specificità. Questo è il dibattito parlamentare costruttivo di cui abbiamo disperato bisogno per mandare avanti le riforme della giustizia (civile, penale, tributaria), del codice degli appalti, i progetti di revisione del fisco, la fitta agenda sociale che lotta alla povertà ed alle diseguaglianze con i posti di lavoro e con la promozione di un’economia reale e molto altri interventi alla base della stabilità di uno Stato. Una persona sola in una democrazia parlamentare messa alla guida di governo nonostante le straordinarie capacità e la inscalfibile integrità mo-

rale non può fare la differenza. In una Repubblica parlamentare le decisioni devono passare attraverso il setaccio del Parlamento e se in Parlamento non c’è una maggioranza coesa, con una visione comune che procede nella medesima direzione allora il governo è inevitabilmente costretto ad un compromesso al ribasso. Se già nella normalità questa pratica di accordi a ribasso si rivela inefficiente ed intempestiva, ora in questa fase storica, in questa congiuntura economica e geopolitica è a maggior ragione un modulo operativo che non ci possiamo permettere.

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A parere mio di Arnaldo De Porti

L'indifferenza nella società moderna

Il mondo è all'ultimo stadio per molteplici e gravi patologie, sicuramente più pericolose di quelle contemplate dai ricoveri ospedalieri.

C

ome organista sono "piacevolmente costretto" ad ascoltare le varie omelie dei sacerdoti, i quali, molto spesso richiamano quanto afferma l'attuale Papa in merito ad una grave patologia che investe la società moderna: l'indifferenza. Si tratta di una patologia che si avverte in ogni contesto della vita sociale al punto da suggerire di non fermarti un attimo, se del caso, per assistere, per esempio, un ferito in un incidente stradale, e ciò, onde evitare "rogne" successive che, se non stai attento, finiscono per crearti dei problemi (l'indifferenza generale sul nigeriano ucciso a mani nude, non in un incidente stradale, in deroga al succitato esempio, a Civitanova Marche, ma in una piazza gremita ed indifferente, docet !) Oggi pare non ci sia più interesse a niente, salvo che nel denaro di immediata fruizione, e ciò per sentirsi apparentemente protetto, anche se abbiamo tutti notato che, nel caso Covid, esso si è rivelato del tutto inutile, con la sola differenza di essere curati (per chi può) in posti più o meno accoglienti rispetto alle strutture ospedaliere "da soffocamento" riconducibili ad una logistica strutturale improvvisata, angusta ed inadeguata, anche per gli stessi sanitari. La società sembra essersi chiusa al dialogo, per la strada non si vede più nessuno e, come contraltare, si assiste a vari "assembramenti", sicuramente di natura reattiva alla pandemia, realtà che finisce poi per acuirne addirittura il contagio. Io vivo in un paesetto di montagna, ad un centinaio di km dalla più famosa Cortina d'Ampezzo, nel quale, in questi ultimi due anni, il silenzio regna sovrano mentre, solo pochi anni fa, detto mio pa-

ese era affollato di villeggianti che si facevano sentire festosi e spensierati nelle stradine e nei boschi di questa realtà. A questo riguardo mi viene spontanea una domanda: "Ma questo nostro tanto decantato progresso, anche al di là dell'effetto Covid, non è che abbia contribuito alla dissociazione, all'isolamento, ad un sistema di vita in cui si è allentata, se non sparita del tutto, quella catena che aveva in se, connaturato, anche un minimo di mutua socialità nel senso aggregativo anche nel momento del bisogno?" Oggi, nulla di tutto questo, anche perchè, come diceva Tina Anselmi (ministro che ho avuto l'onore di presentare come moderatore presso la Chiesa di Martellago (Ve), mi pare intorno agli anni 80) viviamo la stessa situazione di allora. Oggi, soprattutto in politica, la monomania unita alla totale amoralità pone l'uomo al di sopra della sua mediocrità. La storia infatti è sempre attraversata da grandi uomini piccoli. Mi pare superfluo attualizzare il fenomeno...e soprattutto

fare i nomi che sono più che evidenti! E il futuro si sta avvitando su questa prospettiva che non depone certo a favore della vita, intesa nella sua vera accezione. E ciò, checchè ne dica l'omelia del Parroco di cui ho parlato in apertura, il quale, pure lui, si sforza doverosamente di incutere fiducia verso il prossimo in chiave evangelica, invitando a debellare l'indifferenza che ormai ha contagiato persino certa Chiesa, contro la quale si batte anche Papa Francesco. Oggi la fiducia manca anche nei confronti di chi ce la dovrebbe fornire, in primis, in aggiunta a tante altre categorie, verso la classe medica che, seppur molto preparata, sembra fare perchè deve fare. Non è un gioco di parole, ma un'affermazione da specifica anamnesi sociologica! Se non si esce da qui, la cosa si fa seria ed il precipizio sicuro, in quanto non abbiamo ancora capito, o fingiamo di non capire per opportunità soggettiva, che stiamo affrontando una nuova era di cui non è dato di sapere nulla! 15


Società oggi di Francesco Scarano

Il nudo su internet:

quando si è disposti a pagare per una natura senza veli!

N

egli ultimi anni si sta verificando un aumento esponenziale delle visite periodiche ai siti per adulti da parte di un pubblico eterogeneo incrementando vertiginosamente gli introiti delle varie aziende e dei modelli, potenziando economicamente un settore immune dalla crisi. Un dato davvero preoccupante è che una vasta fetta del ‘’pubblico del nudo’’ è costituita, come denunciato dalla Civiltà Cattolica, da ragazzi di età compresa dai 12 e i 15 anni, una fascia coinvolta per il 95,5 % della sua composizione nell’ apprendimento multimediale della sessualità. Stando ai dati di Internet Filter Review, negli Stati Uniti l’età di accesso al mondo della pornografia è in media di 11 anni e il 61% dei visitatori ha difficoltà ad uscire dal tunnel della pornodipendenza. Nonostante lo stretto nesso vigente tra pornografia e violenza sessuale, suggellato anche dall’ aggressività che trapela in alcuni contenuti multimediali, i ‘’no’’ al referendum sull’ abrogazione della pornografia dal Web hanno nettamente superato i voti a favore, riflettendo l’immagine di una società sempre più preda delle dipendenze e degli introiti economici. Quella del nudo e del traffico dei nudi in verità non è una realtà nata nel XXI secolo, ma ha accompagnato l’uomo e l’umanità nel suo cammino evolutivo. Nel mondo dell’arte la ritrattistica dei nudi ha subito un’evoluzione concernente tecniche e significati: si parte dal mondo classico, dove il nudo era sinonimo di armonia, al mondo cattolico medievale dove era sintomo di schiavitù e peccato, all’ Umanesimo dove testimoniava l’antropocentrismo

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a quello moderno-contemporaneo dove diventa simbolo di ribellione e denuncia sociale. Ciò che è cambiato nel corso del tempo è il medium, il canale che rende possibile la fruizione di tali contenuti, che passa dal supposto fisico a quello digitale, e la finalità stessa, che passa da contemplazione del bello a curiosità e perversione. Virali stanno diventando negli ultimi mesi i contenuti del sito web ‘’OnlyFans’’, sito che mette a disposizione immagini di nudo integrale o parziale ai fruitori, ‘’Fans’’ appunto, in cambio di un abbonamento mensile. I proventi di tale contributo costituiscono gli introiti dell’azienda con sede a Londra e la remunerazione dei soggetti ritratti i quali, similmente ai modelli della ritrattistica tradizionale, vendono la propria immagine raffigurante i loro corpi ‘’come mamma li ha fatti’’ in cambio di denaro. Se è vero che la suddetta azienda ha moderato l’oscenità dei contenuti erogati, passando dalla pubblicazione di video hard a quello di sole immagini nude o seminude, è pur vero che la sete di sessualità online ed il ritmo dei click non è calato affatto negli ultimi mesi,

raggiungendo cifre prima impensabili. La spiegazione a tanto successo potrebbe essere trovata nei contesti sociali e culturali che caratterizzano la moderna società. Spesso, infatti, il nudo è macroscopicamente occultato per motivi morali e religiosi, ma viaggia in una realtà parallela che non costringe al pudore ed alla paura di essere giudicati e che è appannaggio di quei giovani che sono sempre meno pro-


Società oggi pensi ad essere imbrigliati nelle catene del perbenismo. Probabilmente quella del Web è l’unica via di fuga da una società rigida che costringe molti individui a reprimere le proprie pulsioni e passioni, ad essere uno ‘’zoon politikon’’ che però appena è lontano dallo sguardo altrui è disposto a pagare pur di dare sfogo alla sua natura ed alla propria sessualità repressa. C’ è da ricordare che la prostituzione e la vendita di nudo hanno da sempre accompagnato la nostra storia, ma il fatto che ora sia facilmente e democraticamente accessibile anche ai minori fa sì che anche i più giovani ed inesperti possano cadere vittima di violenze e abusi. Finché ci sarà un acquirente ci sarà anche un ‘’attore’’ o ‘’modello’’ disposto a denudarsi in cambio di denaro, secondo un ‘ epocale legge di mercato,

ma all’ epoca del 5 G dovremmo forse riprendere in mano le redini della nostra civiltà e ritornare ad intessere relazione più vere e meno virtuali e

fantasiose, superando quelle costrizioni sociali e quei tabù che ci vietano di essere umani se non di nascosto.

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Stati Uniti in cronaca di Emanuele Paccher

Corte Suprema

e sentenza sull’aborto:

D

a quando la sentenza del 24 giugno 2022 della Corte Suprema ha dichiarato che l’aborto non è un diritto riconosciuto dalla Costituzione americana, si è spesso sentito dire che in tal modo si è dichiarato illegittimo l’aborto. Ma è davvero così? La questione è molto complessa, e la risposta è tendenzialmente negativa. Il ruolo della Corte Suprema, similmente a quello della nostra Corte costituzionale, è quello di valutare se la legislazione sia conforme alla Costituzione federale. Tuttavia, nello scenario americano la questione si complica, perché a costituire il diritto non sono solo le leggi nazionali e federali, ma anche le sentenze dei giudici. Per quanto riguarda l’aborto, nel 1973 la sentenza Roe V. Wade ha affermato che la Costituzione americana al suo interno prevedeva il diritto all’interruzione della gravidanza. Tuttavia, questo diritto non era previsto esplicitamente, ma solo in via implicita: la Costituzione al XIV emendamento prevede espressamente soltanto il diritto alla vita e alla libertà. Da ciò i giudici desunsero che tali diritti non potevano non ricomprendere al loro interno il diritto all’aborto sino al sesto

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mese di gravidanza. Visto che negli USA le decisioni dei giudici sono vincolanti non solo per le parti in causa ma anche per l’intero sistema giuridico, dal 1973 si è potuto affermare che in America il diritto all’interruzione della gravidanza è stato considerato come un diritto costituzionale non comprimibile da nessuno Stato. Questo però è valso solo fino alla sentenza Dobbs. Questa parte da una constatazione: il XIV emendamento negli anni è stato utilizzato come ombrello per delle letture strampalate della legge, le quali avevano legittimato la segregazione razziale (il riferimento è alla sentenza Plessy v. Ferguson) e una libertà economica assoluta, a discapito di qualsiasi diritto dei lavoratori, costretti a lavorare anche oltre 60 ore a settimana (sentenza Lochner). Questi fatti per la Corte Suprema non sono accettabili. Occorre che il diritto abbia una sua scientificità e una sua certezza, non si può giocare con le parole. E a tal riguardo i giudici si rifanno ad una teoria denominata “originalismo”: le disposizioni di legge vanno interpretate in base al significato che esse assumono al momento della loro emanazione, non possono dare una lettura diversa a seconda del contesto in cui ci si trova. Nel caso specifico era quindi necessario chiedersi: “il XIV emendamento quando è stato introdotto che significato intendeva assumere?”. Secondo questa teoria, e secondo la visione dei giudici, il XIV emendamento nel momento della sua entrata in vigore non voleva prevedere il diritto all’aborto. La sentenza del 1973 è quindi sbagliata,

e va superata. Ora un nuovo principio di diritto si afferma: la Costituzione non prevede il diritto all’interruzione della gravidanza. Questo concretamente che effetti ha? La conseguenza di questa sentenza è che ora qualsiasi Stato può decidere in totale libertà il come regolare l’interruzione della gravidanza, senza avere alcun vincolo dalla Costituzione. In un certo senso si può dire che si è attribuita una libertà decisionale ai Parlamenti nazionali. Ben si comprende che quindi la decisione della Corte non è stata dettata da ragioni di colore politico, ma da ragioni per lo più “scientifiche”, per quanto sia discusso se il diritto sia una vera e propria scienza. Tuttavia, occorre chiedersi se in nome della scientificità del diritto sia possibile perseguire qualsiasi risultato oppure se ci debbano comunque essere dei limiti. La sentenza della Corte ha avuto un impatto notevole, con molti governi statali che hanno dichiarato di voler introdurre delle limitazioni importanti all’interruzione della gravidanza, nell’illusione (neppure desiderabile) che vietare l’aborto voglia dire porre fine a tutte le interruzioni delle gravidanze. In ogni caso, preso atto della complessità della questione, oggi non resta che affidarsi alle scelte del Congresso degli Stati Uniti, il quale potrebbe introdurre un nuovo emendamento nella Costituzione che prevedesse espressamente il diritto all’aborto; nonché al buon senso dei politici di tutti gli Stati degli USA, i quali, si spera, non decideranno nel prossimo futuro di regredire nell’elencazione dei diritti sociali, in primis reprimendo il diritto all’interruzione della gravidanza.



Storie di casa nostra di Alice Vettorata

LA FAMIGLIA PILOTTO

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l cognome Pilotto ha una storia con radici che si insediano forse già nell’anno 1133, periodo in cui venne annotato in un codice diplomatico della Lombardia Medioevale con la sua forma originaria, Pilottus. Altra teoria sulle sue origini è che il cognome risalga al 1560, anno di diffusione in Italia della nobile famiglia spagnola dei Pilo. Indipendentemente dalla sua genesi, ad oggi

è possibile ritrovarlo nelle forme di Pilotti o Pilotto e in questa circostanza, si tratteranno le vicende di un componente di una famiglia avente quest’ultimo come nome di famiglia. Vissuta a Feltre nel corso dell’800 i componenti della famiglia Pilotto in questione si contraddistinsero per le doti creative e per il prestigio portati in città, sia da parte di Giovanni Pilotto e Rosa Milani, sia da parte dei loro quattro figli. Ida, un’insegnante e dirigente scolastica, scrittrice di libri che divulgavano alcune teorie della formazione, Vittorio che di professione era una musicista, maestro di banda e anch’egli scrittore e Amalia, la quale sposò il maestro Bosio di Verona. Il primogenito di Giovanni e Rosa fu Libero Pilotto, nome che è possibile ritrovare spostandosi tra le vie della sua cittadina natale, nei pressi del campo sportivo intitolato al suo omonimo Libero Zugni Tauro. Se i fratelli di Libero sono stati presentati in modo abbastanza didascalico, su di lui si parlerà in modo più dettagliato. Fu un bambino che iniziò precocemente a coltivare il proprio sogno e talento nel campo teatrale, debuttando a Belluno come giovane promessa in una

Promuovere crescita è da sempre il nostro volano. Siamo felici di affermare la riuscita del nostro intento.

compagnia locale. Da quest’esperienza venne incentivato e supportato affinché potesse trasferirsi a Firenze per frequentare la scuola biennale di declamazione gestita da Filippo Berti, la quale si basava sul modello della francese Comédie Française. Grazie alla dedizione e allo studio affrontati in questa circostanza, la sua carriera decollò, non senza problematiche, conducendolo a collaborare in futuro con nomi noti nella scena dello spettacolo. Nonostante la collaborazione con alcune compagnie, prima dell’affermazione professionale dovette affrontare la problematica della fame derivata dalla scarsità dei pagamenti adeguati al proprio lavoro, costringendolo a rubare cibo per poter esibirsi in modo ottimale. Aspetto positivo che invece riuscì a trarre dal periodo della formazione lavorativa fu la conoscenza di un’altra attrice, Antonietta Moro, con la quale nacque un sodalizio sia professionale che sentimentale. Si sposarono ed ebbero un figlio, Camillo, che già da ragazzo iniziò a seguire le orme artistiche dei genitori. La giovane coppia proseguì il proprio percorso in simbiosi anche nel momento in cui Libero divenne il direttore della Compagnia Nazio-

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Storie di casa nostra nale, gruppo teatrale di spicco destinato però a sciogliersi nel 1888, a soli due anni dopo il subentro della direzione di Pilotto. L’imprevisto non fu un ostacolo ma anzi, Libero e Rosa proseguirono la loro carriera collaborando con altre compagnie, instaurando un ottimo legame con Ermete Zacconi, attore che introdusse il verismo nelle scene italiane e che coinvolse anche Pilotto in una linea innovativa di teatro. I due non furono completamente d’accordo sulle riforme da apportare nell’ambito della recitazione, tant’è che libero si proclamò un “tiepido innovatore” nei confronti della proposta di abolire i ruoli teatrali caldeggiata da Zacconi. Le loro divergenze ideologiche non li fermarono dal fondare nel 1894 la compagnia teatrale Pilotto-Zacconi, anche se fu un progetto della limitata durata di tre anni. Questa cesura dal collega lo

condusse a prendere parte a nuove collaborazioni artistiche e compagnie fino al suo decesso avvenuto a soli quarantasei anni. Seppur breve, la sua carriera incise in modo significativo il mondo della recitazione, e colleghi e critici ne hanno tessuto le lodi. La capacità attoriale di dare ai personaggi un carattere ricco di sfumature comiche e allo stesso tempo drammatiche, lo rese memorabile. Come in scena, anche nella stesura dei testi teatrali riuscì ad ottenere ampio consenso. Utilizzando una commistione tra lingua e registro dialettale veneto, ispirandosi alle opere di Goldoni, si servì della sua arte per educare il popolo italiano, trattando temi della quotidianità e sociali. Una carriera che gli consentì di stringere sodalizi interessanti con colleghi noti al pubblico, come Eleonora Duse, iniziata nella sua città natale alla quale dedicò la sua prima opera in assoluto; “Un amoretto de Goldoni

a Feltre”, riunendo nella stessa trama un suo maestro, Goldoni e la sua culla, Feltre.

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Guerra, politica e istruzione di Cesare Scotoni

IL GIRO DI BOA

CON NAVIGAZIONE A VISTA

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iamo ad un “giro di boa” e, forse finalmente, stiamo entrando nel XXIesimo secolo. La Politica delle cannoniere ha trovato protagonisti nuovi e chi, Oceano dopo Oceano, ha conquistato il Mondo, scopre oggi modi nuovi di giocare in difesa. Equilibri che in tanti neppure sapevano riconoscere, si propongono con i loro scricchiolii all’attenzione dei più e con quelli emerge almeno un secolo e mezzo di compromessi. Tanti gli episodi di quel recente passato che meriterebbero una rilettura, ma scarseggiano i testi di approfondimento ed il sistema di formazione è in mano a chi dell’Istruzione ha Paura. Per cui gli esempi del Passato non servono a guidare il Presente anche quando ciò avrebbe un’indubbia utilità. L’Istruzione che da vantaggio competitivo in un progetto di

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crescita del Paese si riduce a Formazione per l’Impiego e le Competenze che non precedono più le Tecnologie, ma pretendono di inseguirle. Progresso e Conservazione, in un progetto politico perdente, vogliono smettere di essere antinomici, sfidando quella Legge più antica di tante altre che vede nella tensione tra opposti la fonte per il muovere lungo le rotte del Progresso Tecnico e Sociale. La Stabilità ad Entropia nulla è la Morte dell’Essere, ma c’è chi ne spaccia furbescamente i vantaggi in un Mondo che la fugge, Crisi dopo Crisi. Questo lo scenario in cui i nostri figli, i figli di chi ha visto i vantaggi di una buona istruzione e degli ascensori sociali di cui quella apriva le porte, tornano ad essere i cottimisti di uno sviluppo tecnologico e sociale che cerca altrove l’energia per

procedere. Mentre un artificioso contesto di Comunicazione senza una Comunità dei giovani, voluti più ignoranti della generazione che li ha preceduti, potrebbero quindi solo gioire del Consumo come spazio sociale e delle risorse loro elargite con parsimonia per farne parte. Riportati ai gradini inferiori della catena alimentare, precari in un sistema che riduce progressivamente le garanzie, tenuti a bada con nuove Paure e da nuovi Tabù. Chi vuole questo? La maggioranza del Nostro Paese è d’accordo? La Democrazia può ridursi a Parodia? Vi è ancora la Capacità per mettere in campo una Progettualità di Medio Termine e le Scelte che possano supportarLa? Una Politica che non sia nel Presente, non può poi immaginare un Futuro ed un’Informazione Pubblica che non voglia


Guerra, politica e istruzione farsi protagonista e spazio di un dibattito che fugga gli slogans e la pretesa di conformarsi tradisce il suo compito nell’ambito della Costituzione. Il Silenzio è nemico della Verità. Chi tradisce la Verità tradisce la Società che la Politica vorrebbe e dovrebbe rappresentare. Da oltre un decennio, dal quel fragoroso “FATE PRESTO” sulla prima pagina del Sole 24 Ore che inaugurò non tanto la fuga della Carta Stampata ai suoi doveri di Verità, quanto il palesarsi senza pudore o vergogna dei tanti compromessi che dal 1978 al 1992 han portato il Paese a perdere sui troppi fronti che i dati crudelmente ci propongono ogni giorno, aspettiamo un segno di riscatto da chi si è fatto megafono del Peggio. Come si può fingere soddisfazione se delle risorse straordinarie destinate a chiacchiere al rilancio del Paese si sprecano con logiche già morte, figlie di un tempo lontano e dei cattivi compi-

tini fatti da chi tradiva, da ben prima di allora, l’Interesse Generale del Paese. O si recuperano gli oggettivi disequilibri del Paese o si finge di inseguire un’equità di facciata continuando a sperequare e sperperare. C’è per certo chi all’Italia ha voluto rubare anche la speranza. Offrendo di sancire in Parlamento l’assenza di una Classe Dirigente che non è certo un problema solo della Politica. Il Senso dello Stato come optional di cattivo gusto. La Viltà come Paradigma. Quindi serve cambiare musica. Tornare allo spartito ed allo spirito del secondo dopoguerra. A quei partiti senza leadership mediatiche costruite sui sondaggi. Partire dalla Carta Costituzionale, costruire sui Dati una mappa della distanza tra i Diritti e Doveri Attesi ed i Diritti Erogati e Doveri Mancati e darsi un metodo per recuperare quel Gap intervenendo su Infrastrutture Materiali ed Immateriali la cui carenza penalizza prima gli Italiani e

poi la Nazione. Smettere di rimbalzare chiacchiere fatte di Programmi e di Alleanze e concentrare l’azione di Governo per migliorare il Presente. Fantomatici esecutivi tecnici sotto i quali peraltro il Paese vide in più occasioni deteriorarsi non solo i parametri relativi all’Economia, al Welfare, alla Qualità dell’Istruzione, ma Credibilità e Fiducia in Italia ed all’Estero sono porcherie che debbono solo servire ad andare alle elezioni, Non diventare la norma per un Paese in costante carenza di Peso Internazionale e Credibilità fin dalla commedia mediatica imbastita da pochi con Tangentopoli per eliminare chi lo Sviluppo del Paese lo garantì partendo dalle macerie, anche morali, lasciate dalla seconda Guerra Mondiale. La Terza, cominciata con la invasione sovietica in Afganistan, si chiuderà quest’anno. Con la vittoria della NATO sull’Unione Europea.

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Tra Storia e Letteratura di Alice Vettorata

Orhan Pamuk… Premio NOBEL

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ella Istanbul degli anni Settanta il giovane Kamal, infatuatosi di una sua lontana parente

di nome Füsun, comprende che la possibile relazione con la donna da lui amata non potrà verificarsi. Questa consapevolezza sfocia nella rottura del suo animo, condizione che lo porta a voler collezionare una serie disomogenea di oggetti appartenenti a Füsun. Per lui è un modo per continuare a condividere con lei le giornate e pensieri, assaporando ogni minuscola parte della sua quotidianità pur non essendo strettamente connesso a lei. Questa è la trama essenziale del romanzo “Il museo dell’innocenza”, dalla penna di Orhan Pamuk, scrittore turco insignito del premio Nobel per la letteratura nel 2006. Nel momento in cui, in quanto lettori, ci affezioniamo

in modo particolare ai protagonisti di una vicenda, spesso ci capita di pensarli anche quando abbiamo terminato quella lettura. Li ritroviamo in modo nostalgico o divertito in nostri atteggiamenti, qualche volta in scenari che sembrano seguire il copione delle pagine lette pochi mesi prima. Se dovesse presentarsi questo senso nostalgico nei confronti di Kamal e Füsun dopo aver terminato di leggere “Il museo dell’innocenza” potremmo addirittura fare visita a un museo legato all’opera. Nelle strette vie della città di Çukurcuma a Istanbul un edificio color rosso mattone spicca sugli altri ed è proprio questa la sede del museo che lo scrittore identifica come l’abitazione in cui

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Tra Storia e Letteratura visse la famiglia d’origine di Füsun. Da notare che lo stacco tra realtà e finzione si riduce sempre più avvicinandosi a questa storia, facendoci inghiottire da un vorticoso intreccio di informazioni. Non è raro che artiste e artisti sperimentino tra diversi settori, cercando il mezzo migliore per poter comunicare un determinato concetto. Nel caso di Pamuk la letteratura e l’arte museale si fondono tanto quasi da perdere l’orientamento. “[…] i musei, proprio come i romanzi, possono parlare anche per individui” constatò Pamuk. In alcune interviste lo scrittore sostenne che l’idea di fondare un museo contenente oggettistica che solitamente sarebbe insolito ritrovare

in un’esposizione d’arte, e in più legata a dei ricordi individuali era già presente nei suoi piani nel corso degli anni ‘80. Da quest’idea si sviluppò la stesura del futuro best seller aderente al progetto iniziale, concretizzando una simbiosi tra il testo e l’esposizione. Nelle stanze del museo oggi si incontrano ottantatré vetrine, tante quante i capitoli presenti nel libro, che racchiudono una serie di disparati oggetti capaci di evocare attimi, sia piacevoli che non, della storia dei protagonisti. Pamuk sostenne che quando ricordiamo gli eventi della nostra vita veniamo inevitabilmente colti

dalla consapevolezza che il passato non si ripresenterà più. “L’unica cosa che rende questo dolore sopportabile è possedere un oggetto, retaggio di quell’attimo prezioso. Gli oggetti che sopravvivono a quei momenti felici conservano i ricordi, i colori, l’odore e l’impressione degli attimi con maggiore fedeltà di quanto facciano le persone che ci procurano quella felicità”. Dalla compenetrazione di fittizio e reale, di romanzo e vita concreta, Pamuk ha ricavato un museo e un romanzo capaci di dare un ritratto della città di Istanbul e i suoi abitanti al mondo. Non attraverso celebri dipinti o eventi storici che hanno modificato l’assetto economico-sociale della sua città, bensì esponendo in ottantatré vetrine la quotidianità nella quale ognuno di noi può riconoscersi e ricordare, utilizzando l’espediente letterario della storia di un uomo innamorato e della sua sofferenza.

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A parere mio di Grazioso Piazza

AVERE DI FRONTE IL TUTTO E VEDERNE UNA PARTE (parte prima)

L

asciate alle spalle le recenti elezioni negli enti locali affrontiamo con serenità quei temi che tendono a creare “schieramenti”. Parliamo ancora di mobilità e di argomenti che emergono ciclicamente nel dibattito pubblico, come dotati di vita propria, con una fioritura per poi seccarsi e spuntare in una stagione successiva. Ad ogni nuova emersione non sempre corrisponde un passo in avanti nella discussione che essi generano. Da questa premessa nascono le considerazioni che vi apprestate a leggere, su argomenti che periodicamente approdano anche sulla scena della provincia di Belluno, dove il caso specifico deve tuttavia rappresentare solo un’occasione per valutare modi, temi e qualità del dibattito che genera. Per limitatezza di spazio e complessità dell’argomento, gli esempi proposti sono suddivisi in due parti, di cui la prima è

quella che vi apprestate a leggere e che ha per oggetto le infrastrutture finalizzate all’integrazione o al potenziamento di assi stradali o itinerari ferroviari primari. Parliamo di infrastrutture che guardano ad una mobilità indirizzata oltre i confini di un comune o di una provincia che, per semplicità, non possiamo che suddividere in due filoni, quello stradale e quello ferroviario. Qui una prima sottolineatura: le due tipologie di infrastruttura sono di frequente in concorrenza tra loro, dove la prima è in posizione di forza per la libertà e capillarità offerta. Poiché entrambe richiedono investimenti forti per essere potenziate dovremmo essere indotti a escludere pianificazioni che le tengano in piedi entrambe, per decenni e su itinerari concorrenti. Parrebbe più sensato privilegiare quei piani che, guidati da una visione strategica, compiano delle scelte, pur difficili ma necessarie, mostrando però una posizione chiara e condivisa dalle

diverse componenti del territorio. Remare in direzioni opposte o su un solo lato è dimostrato come non porti ad alcun approdo. L’aspetto della condivisione è forse il passaggio più complesso ma è ciò che sarebbe l’obiettivo del dibattito. La progettualità dovrebbe perciò esporre con chiarezza l’indicazione del fine esplicito dell’opera, per disegnare una risposta chiara e il più documentata possibile alle esigenze, alle aspettative o alle problematiche, tasselli che nel pubblico dibattito dovrebbero fondersi per creare l’unitarietà su cui pesare la bontà della scelta. Logica direbbe che il punto di partenza di ogni analisi sia dare risposta a un “perché” e a un “per chi”. La prima domanda volta a motivare l’esigenza che guida l’iniziativa analizzata, la seconda a identificare i soggetti che maggiormente ne saranno coinvolti. Due domande interconnesse, essendo ogni problematica più sentita da alcune categorie e gruppi che da altri. Domande sul “come” o sul “dove” dovrebbero invece rappresentare un affinamento delle risposte ai quesiti precedenti. Il dibattito pubblico affronta quindi le domande nella sequenza proposta? Per entrambi i filoni il “perché”, pur se considerato, si limita spesso a citazioni alquanto generiche: “per lo sviluppo del territorio” o “per ridurre l’abbandono delle terre”. Affermazioni condivisibili da tutti, ma che allo stesso tempo non focalizzano elementi oggettivi e puntuali su cui possa aprirsi una vera e propria discussione.

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A parere mio L’interesse su ”chi” sarà l’utente sembra essere più marginale. Forse perché la risposta è ritenuta implicita per l'infrastruttura stradale: chiunque la vorrà usare. Per chi ha un’auto la strada offre libertà di organizzare il viaggio in modo libero e capillare. Una nuova infrastruttura viaria rappresenta quindi un’ulteriore opportunità, affermazione vera, ma con dei limiti. Un eventuale costo di pedaggio, oppure le caratteristiche e la qualità di tracciato, possono destare interesse in alcune categorie di utenti più che in altre, nonché generare effetti diversi sui territori attraversati. Meno banale l’aspetto dell’utenza se affrontato per l’ambito ferroviario, dove l’infrastruttura è solo una parte del servizio. Organizzazione delle stazioni, tempi di viaggio e di cambio mezzi, numero di soste, sono altri aspetti, ma rilevanti verso l’utenza, tanto quanto, se non di più, del tracciato su cui ci si muove.

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Sul tema dei tempi si gioca spesso una contraddizione, quella che vede la riduzione della durata del viaggio come fulcro della promozione di un nuovo scenario ferroviario. Una condizione realizzabile aumentando la velocità di corsa oppure riducendo le soste (o entrambe), dove i margini del primo approccio sono limitati in realtà montane, mentre al secondo consegue una minor capillarità dei servizio, essendo le stazioni o le fermate i luoghi che generano il perditempo. Ecco evidente l’importanza di comprendere in modo chiaro chi si vorrà servire: utenti ad ampio raggio (es. arrivi e partenze di turisti) o movimenti locali (es. pendolari e turismo interno)? Molte esperienze, ritenute di successo in ambito ferroviario, mostrano che la risposta non è così scontata, specialmente se tra gli obiettivi c’è la sostenibilità del

servizio. Altrettanto per l’ambito stradale la riduzione del tempo di viaggio può essere un aspetto vantaggioso, ma anche un’arma a doppio taglio. Velocizzare la percorrenza su strade che, oltre a servire un territorio, lo attraversano, ne agevola l’accessibilità, ma apre anche a nuove scelte degli utenti. Una di queste è quella di mantenere costante il proprio tempo di viaggio percorrendo tragitti più lunghi, così da accedere a nuovi luoghi ritenuti interessanti. Ciò che era scartato in condizioni di viabilità disagiata può riprendere corpo con una nuova opportunità viaria e con ricadute che, a titolo di esempio, potrebbero toccare il mercato turistico dove i territori competono tra loro. Ecco di nuovo il rilievo delle domande sul “perché” e sul “per chi”. Fin qui abbiamo potuto sfiorare solo alcuni esempi sugli aspetti di cui dibattere, sufficienti però per rilevare come troppo spesso il pubblico confronto sia superficiale, limitato a valutare “dove passa” la data opera, focalizzandosi sul tracciato o sulla tecnologia, ma perdendo di vista il quadro generale. Escludere o porre in secondo piano domande e risposte sulle questioni da cui un territorio potrebbe trarre il proprio vantaggio, limita la partecipazione ai processi progettuali alla sola valutazione del pacchetto finito.


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La storia di una magnifica intrapresa di Walter Laurana

INVENTARE L’IMPOSSIBILE? NO… INVENTARE IL POSSIBILE CHE NON VEDI

Galeas per montes conducendo di e con Paolo Domenico Malvinni

Possono le barche navigare sulla terra? In risposta un coro di no. L’usata opinione comune prevale. Ma in realtà la specie umana si è specializzata nel segnare nuovi limiti al possibile. E qui si racconta una vicenda storica realmente accaduta tra il 1438 e il 1440, quando era in corso un epocale scontro tra Venezia e Milano.

G

li eventi sono presto detti: La Serenissima intende liberare Brescia dall’assedio dei Visconti di Milano, ma la solita normale via è impedita. Quindi fa risalire una flotta di galee e barche da guerra lungo l'Adige (controcorrente) e le atterra nei pressi di Mori per portarle in Garda traversando la campagna, scavalcando il monte Baldo e scendendo fino a Torbole. Una poderosa impresa, anche più grandiosa di quella simile compiuta nel noto film di Herzog da Fitzcarraldo. Talvolta le vicende della vita costringono e spingono a sforzi eccezionali. L’uomo

si trova nella condizione di inventare il modo di far coincidere la propria indomabile indole con l’occasione, l’opportunità, la necessità di azioni straordinarie. Ed è in questi casi che le imprese diventano memorabili, magnifiche, e rimangono nella memoria, vengono trascritte nelle cronache ed entrano nella Storia. È il caso di questo episodio, “Galeas per montes conducendo”. Una storia coinvolgente che ci fa tremare e sognare con chi la inventò. Gattamelata, il condottiero, Sorbolo da Candia, il marinaio, Blasio de Arboribus, l'abile esperto di alberi. Storia che ci fa sorridere della

rissosità dei piccoli stati italiani. Che ci fa ammirare la capacità di intraprendere della Serenissima. Che ci fa sognare riguardo al “possibile”. “ Quando ho iniziato il mio viaggio in questa storia, dice Paolo Malvinni, ho pensato che è una storia di ieri ma racconta di oggi. Racconta anche di voi che ogni giorno costruite, andate, fate. Come idioti, o come saggi eroi del quotidiano. Racconta di quando non sappiamo più se fare o stare a contemplare, agire o ascoltare, lasciare andare il mondo o mettersi di nuovo all'opera...” A ben cercare il nodo del racconto, il mo31


La storia di una magnifica intrapresa tivo profondo, lo si trova in un momento centrale della narrazione, quando Gattamelata e Sorbolo, risalendo la costa montuosa tra Arco e Nago, affranti dalla fatica, vedono davanti a loro allargarsi il lago di Garda. Un’acqua aperta verso tutto il loro mondo, un crocevia delle possibilità che rivela ai due, visione illuminante e contraddittoria, l’intimo desiderio di limitarsi a contemplare assecondando il creato, e l’inarrestabile voglia di fare. Una amletica tensione che sarà vinta dalla spinta a intraprendere, motore che li renderà protagonisti di questa eccezionale impresa, portare le navi a spasso per le montagne! “Per molti anni sono stato bibliotecario e organizzatore culturale a Riva del Garda e poi a Trento, e ora solo narratore” dice Malvinni. Per il suo esordio in questo campo si deve tornare al “romanzo brevissimo” Un’estate nuda calda e veloce e alla videopoesia Cinquecento Blu Notte, una produzione RAI del

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La storia di una magnifica intrapresa 1983. In seguito pubblica la raccolta di avventure di Carminio Errosa intitolata Soluzioni felici, accompagnato dalla presentazione e da Vocali di Umberto Eco (Alfredo Guida Ed., 1991); il romanzo poliziesco La verità dell’angelo (1999) ambientato nel castello di Pergine. Poi, come una apparizione, tra gli studi con Eco e Massimo Bonfantini mai interrotti, e lo studio del filosofo C.S. Peirce, arriva La magnifica intrapresa. Galeas per montes conducendo. Una storia che colpisce l’autore per la sua relazione con l’attività inventiva, con la ricerca dell’assente possibile. Già negli anni Novanta la prima versione teatrale intitolata Le audaci vele con la regia di Philippe Hottiere. Nel 2007, in seguito a più curate ricerche e riscritture, affida la storia delle navi che navigano tra le montagne del Trentino a Laura Curino e Titino Carrara che la mettono in scena con le musiche del gruppo Calicanto. La pubblicazione

del testo teatrale è del 2010. Ma non finiscono le scoperte e gli aggiornamenti, l’autore si reca ad Istanbul per indagare riguardo ad una vicenda simile avvenuta qualche anno dopo, e pubblica un importante articolo nella rivista turca “NTV tarih” in collaborazione con la storica Ozlem Kumrular. Infine esiste pure una versione teatrale per ragazzi messa in scena da Sabrina Simonetto e Paolo Vicentini. Paolo Domenico, che da qualche tempo pubblica i suoi racconti nella rubrica “Accidenti & Invenzioni” della rivista UCT

di Trento, sceglie di presentare in modo ancora nuovo la vicenda sorprendente. Anche rivelando qualche sconosciuto aspetto della composizione di questo racconto: fatti storici e protagonisti nella loro inventiva rappresentazione.

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Il personaggio di Laura Paleari

LEONARDO DEL VECCHIO

Insieme abbiamo inventato un fenomeno che non esisteva. Di Leonardo ricorderò sempre il modo diretto di comunicare, la concretezza, la lealtà.” Queste sono le parole che Giorgio Armani ha speso in onore di uno dei più grandi imprenditori italiani e internazionali di tutti i tempi, un esempio per molti non solo per le sue imprese finanziarie ma, anche e sopratutto, per la persona che era. Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica si è spento il 27 giugno a causa di una polmonite, i dettagli non sono stati rivelati, all’ospedale San Raffaele a Milano. La vita di Del Vecchio è stata rivoluzionaria non solo per se stesso, ma per un’intera branchia dell’industria e per milioni di persone; ed è curioso come questo grande imprenditore, pur nascendo nella capitale italiana della moda e, diciamocelo, anche del lavoro, abbia fondato il suo impero in un paese tra le montagne del Bellunese, Agordo. Nato il 22 maggio 1935, poiché orfano del padre, il quale si era trasferito a Milano dalla Puglia e ultimo di quattro fratelli, la sua infanzia la passa al collegio dei Martinitt e subito dopo il diploma della

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scuola media trova lavoro come garzone alla Johnson, una fabbrica specializzata nella produzione di coppe e medaglie; è proprio il titolare a spingere il giovane Leonardo a iscriversi ai corsi serali di design dell’Accademia di Brera. Ha solo 22 anni quando decide di lasciare tutto per trasferirsi prima in trentino, per andare a lavorare in una fabbrica di incisioni metalliche e poi ad Agordo dove ottiene dal comune, che stava regalando pezzi di terreno, un capannone con annesso un magazzino: questo è l’inizio di Luxottica, il cui nome riprende le parole “luce” e “ottica”. Nel 1961 la neo azienda ha solo 14 dipendenti, fino ad arrivare, anni dopo, ad avere un polo di produzione e commercializzazione di occhiali “completi” sotto il nome appunto di Luxottica. Le innovazioni che Del Vecchio riesce a portare sono nuove, efficaci e sopratutto, funzionanti. Nel 1988, Del Vecchio capisce che l’occhiale da vista può essere molto di più che uno strumento correttivo e può diventare un accessorio di moda, che conferisce personalità e bellezza a chi lo indossa. Comincia quindi una collaborazione con un’altro grande imprenditore italiano: Re Giorgio Armani. Da quel momento Luxottica e moda hanno cominciato e continuano tutt’ora ad andare a braccetto: Bulgari, Chanel, Versace sono solo alcuni dei grandi nomi del mondo del fashion che hanno collaborato e che collaborano tutt’ora con Luxottica.

Anche marchi di occhiali iconici come Ray-Ban e all’avanguardia come Oakley scelgono Del Vecchio per la loro produzione. Nel 1986 viene onorato del titolo di Cavaliere del Lavoro e nel 1990 Luxottica è quotata alla Borsa di New York per poi, nel 2000, verrà quotata nella Borsa Italiana. Nel 2018, all’età di 83 anni, Del Vecchio ingloba la società francese Essilor in Luxottica e alcuni anni dopo inizierà degli studi con Mark Zuckerberg per la creazione di nuovi occhiali hi-tech che sicuramente rivoluzioneranno il mercato nei prossimi anni; dimostrando non solo di aver mantenuto il suo fiuto per gli affari ma anche una grande lucidità strategica. Luxottica e i suoi lavoratori, sicuramente grazie agli insegnamenti di Del Vecchio, riescono a bilanciare stile e ingegneria, dopo tutto un occhiale è molto difficile da realizzare; dotata di un team di ricerca tendenze, Luxottica studia la società e i suoi stimoli per poi elaborarli insieme agli uffici stile e e di ricerca dei marchi acquisiti, per la realizzazione di un progetto finale. Dire che era uno degli uomini più ricchi del mondo sarebbe riduttivo, poichè la grandezza di una persona non è riconducibile al suo potere economico ma a quello che è riuscito a creare e, soprattutto, mantenere, con le proprie forze, nonostante tutto. Spetta ora a Francesco Milleri continuare la grandiosa opera messa in piedi e costruita pian piano da Del Vecchio, nella speranza e con l’augurio che possa mantenere un simile gioiello costruito tra le montagne bellunesi.



Sport e società di Alex De Boni

LA PIAVE 2000 È una delle società sportive più importanti della provincia bellunese, conosciuta in ambito nazionale nel settore dell'atletica e divenuta in poco più di un ventennio di storia, un punto di riferimento per centinaia di giovani.

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uesto gruppo venne fondato nel 2000 quasi casualmente, alcuni genitori sostenuti dalle Pro Loco della Sinistra Piave, amanti dell'atletica, erano dispiaciuti che non ci fossero società che permettessero ai lori figli di cimentarsi nelle diverse discipline, da qui l'idea di crearla da zero. Da quell'anno molto è stato fatto e La Piave 2000 conta oggi 320 iscritti tra i 6 e 20 anni che si allenano nelle palestre di Sedico, Santa Giustina, Limana e Borgo Valbelluna da 11 tecnici professionistici. La società

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organizza anche alcuni eventi di carattere provinciale molto apprezzati e conosciuti: la Belluno - Feltre e la Color Mel ripartita quest'anno dopo lo stop forzato per la pandemia. Lo scopo dell'associazione è quello di permettere ai bambini e le bambine dai 6 ai 10 anni di conoscere un modo semplice e nuovo di giocare, imparano a stare insieme nel rispetto dei compagni e delle regole. Imparando così a muoversi nei tempi e negli spazi sviluppando in modo armonico il movimento, l'equilibrio, la coordinazione, improntando oltre l'attività ginnica di base lo sviluppo dei primi concetti dell'atletica. Per i ragazzi dai 11 ai 18 anni invece vengono studiati dei programma specifici e dettagliati che comprendono tutte le specialità dell’atletica e la possibilità di partecipare a gare e manifestazioni giovanili. Per poter portare a termine il programma si affida il lavoro ad un team di insegnanti diplomati in scienze motorie e tecnici

del settore. Le lezioni, tenute due volte la settimana vanno da ottobre a giugno. La garanzia di un organigramma societario stabile e affiatato e la possibilità di disporre di uno staff di allenatori particolarmente qualificati ha permesso di affrontare finora un buon numero di impegni organizza-

tivi e anche se il fine principale non è certamente quello di “sfornare” piccoli campioncini ma di garantire a tutti i bambini e ragazzi in età scolare un corretto approccio al mondo sportivo è con un certo orgoglio. Lo scorso febbraio La Piave 2000 è stata insignita tra le vincitrici di un bando nazionale finalizzato a promuovere lo sport e i suoi valori come strumento di inclusione sociale. “La promozione di stili di vita sani, allo scopo di migliorare le condizioni di salute e benessere di tutti, rappresenta un po’ la nostra ragione sociale - spiega la presidente del Gs La Piave 2000, Patrizia Tremea -. Abbiamo


Sport e società

coinvolto le componenti del Gs La Piave 2000, dirigenti e tecnici in primis, per definire un progetto davvero inclusivo, rivolto ai giovani e agli adulti e che avesse anche un’attenzione particolare per i diversamente abili e il mondo femminile. L’inserimento

del Gs La Piave 2000 tra le società destinatarie del contributo di Sport e Salute è stata una grande soddisfazione: in Veneto, considerando tutti gli sport, sono soltanto quattro le società finanziate dal bando”. “Il modulo Inclusione, a cui ha parte-

cipato il Gs La Piave 2000, prevedeva il finanziamento di progetti rivolti a tematiche sociali: lo sport contro le dipendenze e il disagio giovanile, lo sport quale strumento di prevenzione e lotta all’obesità in età pediatrica, lo sport a sostegno dell’uguaglianza di genere. Su questa base, abbiamo pensato a cinque tipologie di corsi: l’attività motoria per i giovani delle scuole medie e superiori; l’attività motoria per i portatori di disabilità fisiche e psichiche; l’attività di potenziamento fisico per gli adulti; l’allenamento del pavimento pelvico per le donne; il miglioramento della coordinazione mente-corpo nei preadolescenti. Coinvolgeremo esperti che si affiancheranno ai tecnici della società. Ora ci aspettiamo una grande risposta da parte del territorio”, spiega Barbara Pasa, dirigente della Piave 2000 che ricorda che i corsi relativi ai bandi ripartiranno a settembre.

PER LA SALUTE E IL BENESSERE

L

a Piave 2000 con il bando vinto ha potuto finanziare dei corsi gratuiti, tra questi ha riscosso particolare successo quello tenuto dalla fisioterapista Marina Giotto sul pavimento pelvico preventivo. Un argomento, spesso tabù, che riguarda sia uomini che donne. Il corso ha visto partecipare una ventina di iscritte, con un'età media di 50 anni. "Il pavimento pelvico è una regione muscolare importantissima, anzi, fondamentale per la salute e il benessere fisico. Nonostante ciò, trattasi di un distretto ancora oggi non sufficientemente conosciuto e sottovalutato che oggi è possibile riscoprire e valorizzare", afferma Marina. Questo tipo di corso è adatto alle donne in gravidanza, post gravidanza e in menopausa. "A settembre partiremo con una nuova sessione della durata di circa 3 mesi con due sedute a settimana di circa un'ora ciascuno che si terranno nella palestra di Mel", spiega Marina Giotto che ricorda la duplice importanza di questa materia: "il corso ha come finalità sia quella di sfatare il tabù dei problemi pelvici per donne e uomini, sia di dare il messaggio che disturbi di incontinenza sono comuni e soprattutto si possono notevolmente migliorare se supportati da un'attività fisica idonea gestita da persone qualificate". Il corso è adatto a tutte le persone poiché è una ginnastica di tipo preventivo e serve per migliorare la conoscenza e sensibilità a livello del pavimento pelvico. "Sicuramente è più indicata a donne in gravidanza, post gravidanza e che stanno affrontando la menopausa o che fanno sport ad alto impatto (come corsa e salti) in quanto maggiormente a rischio per questi problemi! Oltre all' incontinenza si possono risolvere e migliorare altre problematiche come il prolasso nelle donne. Negli uomini vengono invece trattati problemi legati agli interventi chirurgici post prostectomia", conclude Marina. Per ulteriori informazioni ed iscrizione è sufficiente rivolgersi alla Piave 2000. 37


La letteratura per il BenEssere di Silvana Poli

Il Disorientamento Q uante volte nella vita ci è capitato di fare delle scelte sull’onda delle emozioni? Quante volte ci siamo resi conto che un’emozione ci mette in difficoltà? La nostra vita è scandita dall’alternarsi delle emozioni che vengono stimolate ogni giorno da infiniti stimoli, interni o esterni; gli stati d’animo che ne derivano hanno il potere di modificare il nostro stato fisico. Non tutti gli stati emotivi sono piacevoli; alcuni possono risultare decisamente fastidiosi. In questa rubrica parleremo di emozioni e vedremo come uscire dalle emozioni negative grazie ai suggerimenti che ci vengono dai grandi della letteratura.

La prima emozione di cui parliamo è il “disorientamento”. A chi non è mai capitato di sentirsi in confusione, di non sapere che strada prendere? Gli esperti dicono che questa sia una di quelle emozioni fastidiose che le persone sopportano peggio. E come si può uscire da un simile fastidio? Il mito di Teseo ci mostra una strategia d’uscita. Teseo era sulla porta del labirinto del palazzo di Cnosso; era arrivato lì perché voleva sconfiggere il terribile Minotauro che imponeva pesanti tributi a tutte le civiltà mediterranee. Teseo figlio del re di Atene voleva liberare la sua città dal giogo cretese.

Ma, quando arrivò lì, la sua determinazione ebbe un sussulto: era certo che sarebbe stato in grado di uccidere il mostro, ma non sapeva come entrare e uscire dal labirinto. Mentre Teseo era in preda al disorientamento gli venne in soccorso Arianna. La fanciulla non solo riesce a rassicurarlo e a infondergli fiducia, ma gli offre anche il sottile filo della salvezza: si tratta solo di un filo, che si sarebbe potuto rompere, che poteva essere tagliato o lasciato cadere. Eppure quel filo d’amore fa il miracolo: Teseo, grazie al sostegno di Arianna, affronta il labirinto, sconfigge il Minotauro e esce trionfante accolto dalle braccia di della fanciulla.

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La letteratura per il BenEssere Il messaggio che ne deriva è prezioso nella sua semplicità: a volte basta affidarsi a qualcuno che sentiamo amico per uscire dal disorientamento. Certo è necessario un certo grado di umiltà per chiedere aiuto, ma con un sostegno fidato possiamo uscire dalla confusione. Vedremo affrontando altre emozioni che molto spesso l'umiltà è un atteggiamento prezioso che costituisce l’antidoto al veleno di molte emozioni negative. Può capitare però che, a volte, noi non abbiamo due braccia amiche a cui riferirci. In questo caso allora possiamo usare un’altra strategia che ci viene offerta da Eugenio Montale. Nella poesia “Non chiederci la parola” lui dichiara che, quando si perdono le certezze, quando i riferimenti sono tutti caduti, quando siamo disorientati, abbiamo solo una possibilità: “Code-

sto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Quando ci sentiamo disorientati possiamo almeno prendere distanza da ciò che non vogliamo, possiamo decidere dove NON vogliamo andare. Questo semplice atteggiamento ci permette di sentire che qualcosa si

muove, che non siamo immobili, fermi, ma iniziamo, pian piano, a ritrovare la nostra bussola. Nel prossimo numero parleremo di paura e vedremo come fare quando questo stato d’animo ci impedisce di andare avanti.

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Qui USA di Francesca Gottardi

Alcatraz: la terribile prigione USA

a prova di evasione…o quasi!

A

lcatraz è ritenuto il carcere federale di massima sicurezza più terribile degli USA. Situato sull’omonima isola, 2 chilometri al largo della città californiana di San Francisco, Alcatraz è stato operativo dal 1934 al 1963. Per la sua collocazione strategica su di un’isola, e per via delle correnti gelide che la circondano, Alcatraz è stata ritenuta a lungo a prova di evasione. Per questo, vi sono stati reclusi alcuni tra i più temuti e problematici criminali USA tra cui Al Capone. Detto anche “scarface” (che significa “lo sfregiato”), Al Capone era un noto mafioso e gangster statunitense di origini italiane. Negli anni, sono stati imprigionati ad Alcatraz 1576 detenuti. Il carcere era noto tra i detenuti come “Hellcatraz” (“hell” in inglese significa inferno). La triste fama della prigione deriva dai frequenti atti di violenza e tortura che vi accadevano all’interno, e dalle terribili condizioni igieniche della struttura. I prigionieri erano soggetti ad un trattamen40

to di detenzione molto rigido. Le celle avevano dimensioni ridottissime (2.7 x 1.5 metri con un’altezza di 2.1 metri) e le visite dei famigliari erano molto rare. Gli afroamericani erano detenuti a parte dagli altri prigionieri per via della segregazione razziale in USA. Le celle peggiori erano definite “hole” (il buco), destinate ai criminali più problematici. Le celle erano fredde e buie e i prigionieri venivano spesso maltrattati dalle guardie. Inizialmente, Alcatraz nacque come bastione militare. L’esigenza di isolare criminali giudicati di particolare pericolosità portò a tramutare la designazione dell’isola in carcere di massima sicurezza. Si pensava infatti che nessuno avrebbe pensato ad evadere da un carcere situato in un luogo tanto ostile alla fuga, e

tanto protetto. Invece, nel corso dei 29 anni di storia della prigione, ci furono ben 14 tentativi di fuga, messi in atto da 36 carcerati. La maggior parte di questi tentativi sono risultati nella morte o nella cattura dei fuggitivi. Solo di tre prigionieri, Frank Morris, John e Clarence Anglin, si sono perse le tracce. Ad oggi, la loro sorte rimane un mistero; si pensa però che siano sopravvissuti al tentativo di fuga. La loro evasione, avvenuta nel 1962, è ritenuta dagli storici la goccia che ha fatto traboccare il vaso e determinato la chiusura definitiva della struttura. Altre ragioni che hanno portato a chiudere i battenti di Alcatraz sono attribuibili agli alti costi di mantenimento della struttura. Si pensa infatti che tutto il necessario doveva essere portato dalla terra ferma. Qualche curiosità. I corridoi di Alcatraz portano il nome delle strade più famose degli Stati Uniti, tra le quali figurano Broadway, Park Avenue, e Michigan Avenue. Il mafioso Alvin Karpis è il criminale che ha scontato il periodo più lungo ad Alcatraz, 25 anni di reclusione. Per alcuni anni dopo la chiusura del carcere, l’isola è stata occupata da un


Qui USA gruppo di nativi americani guidato da Richard Oakes. L’intento era quello di fondare un centro di studi nativo americani ad Alcatraz e rivendicare i diritti degli indiani d’America. Gli occupanti offrirono provocatoriamente di acquistare l’isola al prezzo di alcune perline di vetro e della stoffa, prezzo pagato dagli europei per

l’acquisto di Manhattan. I manifestati furono però sgombrati dall’isola, suscitando varie polemiche. Oggi Alcatraz è un museo accessibile al pubblico, che attira ogni anno 1.500.000 visitatori da tutto il mondo. Alcatraz è parte del patrimonio storico USA e tutelato da leggi federali che hanno lo scopo di preservare la storia, seppur triste, di questo luogo.

In fuga da Alcatraz

La notte del 11 giugno 1962, Frank Morris, i fratelli John e Clarence Anglin evasero da Alcatraz. Erano in carcere per aver commesso varie rapine a mano armata. Per anni, i tre scavarono dei passaggi attraverso il muro (visibili ancor oggi) con un cucchiaio, dandosi il turno. Rubarono inoltre del materiale dalla prigione per costruire una zattera con la quale salpare verso la terraferma. Costruirono poi delle teste finte di cartapesta per far credere alle guardie che stessero dormendo. La notte della fuga, i tre scalarono il canale di ventilazione e costruirono una rudimentale zattera. Si diedero poi alla fuga, scomparendo nella notte. Da quel giorno, di loro si perdettero le tracce. I tre vennero iscritti al registro dei criminali più ricercati dall’FBI, in quanto pericolosi rapinatori. Dopo 17 anni di indagini l’FBI chiuse il caso, non trovando alcuna prova che i tre fossero ancora vivi. Nel 2013, venne rinvenuta una lettera, scritta presumibilmente da John Anglin, il quale dichiarava di esser sopravvissuto al tentativo di fuga, assieme con Frank e Clarence, morti nel 2005 e 2011 rispettivamente. Nella lettera, John chiedeva clemenza al governo USA in quanto malato di cancro. Poi, il silenzio.

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Le incisioni di arte rupestre della Valcamonica: testimonianze di un lontano passato ancora da decifrare

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e incisioni di arte rupestre della Valcamonica suscitano l’interesse di turisti, curiosi e studiosi che, a seconda della propria estrazione culturale e storica, cercano di affrontare il difficile compito di contestualizzare e soprattutto capirne il significato da oltre un secolo. Ma partiamo dall'inizio. A Giovanni Marro si deve, se non la scoperta, certamente la valorizzazione de "il grandioso monumento paletnologico di Valcamonica", secondo il titolo della memoria presentata dallo stesso alla Reale Accademia delle Scienze di Torino nella Seduta del 12 Giugno 1932. Giovanni Marro era un medico e antropologo di Limone Piemonte e giunse in Valcamonica a partire dagli anni 20 del secolo scorso attratto proprio dal ritrovamento di alcune incisioni di arte rupestre ad opera dell’alpinista Walther Laeng. Marro, collega e amico di Lombroso, individuò nella natura di questi segni lasciati dagli antichi la testimonianza del “pensiero primitivo” ben lontano dal “pensiero razionale” dell’uomo moderno. La ripetitività dei segni presenti nelle incisioni erano paragonabili a quella dei disegni dei malati di mente raccolti nella collezione del museo di psichiatria criminale di Torino. Secondo le teorie dell’epoca, infatti, i pazzi e i criminali altro non erano che la manifestazione in epoca moderna di “atavismi” giunti da un lontano passato e il parallelismo tra l’arte rupestre

e “l’arte dei pazzi” era data per scontata. Di conseguenza, la metodologia e le interpretazioni fornite dal Marro risultarono più incentrate nel voler sostenere le teorie in auge in quell’epoca più che una reale indagine a fini conoscitivi. Si deve infatti arrivare agli anni ‘60 affinché gli studi in Valcamonica assumessero caratteristiche scientifiche più convincenti ed attuali. In quegli anni, Emmanuel Anati antropologo italiano di origini israeliane, fresco di un dottorato conseguito presso la Sorbona di Parigi, inizia un lavoro di sistematica classificazione delle incisioni della Valcamonica. Insieme ad un gruppo di colleghi e volontari, classifica migliaia di incisioni e avanza una sua teoria interpretativa, favorendone gli aspetti simbolici, frutto di una corrispondenza tra produzione materiale di un popolo e rappresentazioni artistiche. I paradigmi metodologici e interpretativi di Anati sono tutt’ora considerati fra i più

completi e autorevoli in materia. Tuttavia, da qualche anno si son fatti sempre più strada nuovi approcci, grazie anche all’introduzione di nuove metodologie e “influssi” di studiosi provenienti da discipline non umanistiche quali ad esempio l' astronomia. Fatto sta che le incisioni, di cui si mette ancora in dubbio la precisa datazione, rappresentano tutt'ora un monumento sparso su ambedue le pendici montuose del corso dell’Oglio, fino all’altitudine di circa mille metri – con centro principale nella località di Capo di Ponte e conducenti a sinistra al massiccio della Concarena e a destra a Pizzo del Badile. Maestose montagne alberganti antiche divinità, come vorrebbero alcune leggende locali e capaci di influenzare anche il nostro presente. Ricordiamo infatti che le incisioni di arte rupestre della Valcamonica sono state il primo sito italiano ad essere entrate nella lista UNESCO tutelate come Patrimonio dell'Umanità. Inoltre, Regione Lombardia ha scelto a metà degli anni '70 come proprio simbolo la “Rosa Camuna”, pittogramma rappresentato in un centinaio di esemplari dal popolo Camuno, abitante della Valcamonica dell'età del Ferro. L'interpretazione della “Rosa Camuna”, così come quelle del resto delle incisioni e delle relazioni tra esse e l'ambiente, è ancora motivo di dibattito ed è forse proprio questo loro mistero a renderle così popolari e intramontabili. 43


La storia e noi di Alvise Tommaseo Ponzetta

BELLUNESI E FELTRINI

NELLA SPEDIZIONE DEI MILLE

I

l 5 maggio 1860 salparono da Genova due imbarcazioni, la Piemonte ed il Lombardo, con a bordo poco più di mille uomini in camicia rossa al comando di Giuseppe Garibaldi. Armati di fucili Enfield non portavano con loro né munizioni, né polvere da sparo, accessori indispensabili che recuperarono, insieme ad alcuni vecchi cannoni, due giorni dopo durante la sosta di Talamone. Il successivo 11 maggio la spedizione raggiunse la Sicilia allora governata dai Borboni e lo storico sbarco, favorito dalla presenza di alcune navi inglesi, si svolse a Marsala. Il resto della storia è ben nota. Tra questi coraggiosi “Mille” patrioti che dettero una svolta decisiva al futuro dell’Italia c’erano anche otto bellunesi, di cui ben quattro feltrini.

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Questi i loro nomi: Luigi Isidoro Riva e Antonio Castellaz di Gosaldo, Giobatta Pezzè di Caprile di Alleghe, Marco Corona Marchi di Forno di Zoldo, oltre a Francesco Giuseppe De Col, Giacomo Miotti, Giacomo De Boni e Giovanni Pio Curtolo tutti di Feltre. Pochi i dettagli sulla loro vita. Isidoro Luigi Riva era nato l’11 novembre 1842 a Tiser, comune allora ricompreso nel regno Lombardo Veneto. Apparteneva ad una famiglia di patrioti tenendo conto che il fratello Giovanni Antonio, di alcuni anni più giovane, nel 1870, partecipò alla presa di Roma inquadrato nel 42° Reggimento Fanteria. Giobatta Pezzè era nato, invece, nell’agordino, precisamente a Caprile nel 1838. Fedele al casato di Savoia si era arruolato l’8 maggio del 1859 quale soldato volontario nel 19° Reggimento. L’anno successivo aderì all’iniziativa siciliana guidata da Garibaldi e Nino Bixio. Iscrittosi

successivamente all’ Accademia di Pavia conseguì la laurea in ingegneria trovando impiego presso il Genio civile. Uomo di grandi qualità umane morì, alla vigilia della Prima guerra mondiale, nel 1914.’ Giacomo Miotti aveva visto la luce a Feltre il 4 agosto 1830. Di carattere estroverso e ribelle aveva aderito, con entusiasmo, alla spedizione dei Mille nonostante fosse poco incline alla disciplina militare. Si racconta che, sbarcato a Marsala, stesse per essere preso a sciabolate da Nino Bixio e che fosse stato salvato dal generale Garibaldi in persona. Dopo la spedizione gli furono riconosciute le medaglie commemorative e la pensione spettante ai reduci, ma fu costantemente controllato dalla Questura non solo per la sua fede repubblicana, ma anche perché viveva “allegramente sperperando denari che non si sa bene se fornitagli dal partito d’azione o dalle congreghe di ladri in Bologna.” Già nel 1878 risiedeva stabilmente a Palermo, dove morì il 12 ottobre 1909.


La storia e noi

Di Marco Corona Marchi di Forno di Zoldo poco si sa, se non che fosse figlio di un povero mulattiere e che per tutta la vita si trovò in ristrettezze economiche. Fu probabilmente anche per onorare l’apporto avuto da queste otto camice rosse che Giuseppe Garibaldi, nel marzo del 1867, volle visitare il bellunese ed il feltrino in concomitanza delle elezioni politiche, nelle quali fu eletto deputato a Mantova. A quei tempi il mito dell’eroe dei “Due Mondi” era molto forte soprattutto fra le classi più povere della provincia, ma Garibaldi aveva fatto molti proseliti anche tra i moderati. Del resto il Veneto si era appena unito all’Italia, erano trascorsi solo venti anni dall’epopea di Pierfortunato Calvi e soprattutto erano ben vivi i ricordi delle battaglie del 1866 combattute nel Trentino, alle quali avevano partecipato molti giovani bellunesi nelle file dei garibaldini. Le cronache dell’epoca raccontano l’avvenimento in toni entusiastici: la visita di Garibaldi suscitò un crescendo di “indescrivibile calca”, di “entusiastiche acclamazioni” e dello scoppio festoso “di mortaretti di valle in valle, mentre le campane suonavano d’allegrezza.” Il Generale, che per l’occasione indos-

sava la camicia rossa, alle 11.42 di domenica 3 marzo, arrivò a Belluno in carrozza direttamente da Ceneda, l’attuale Vittorio Veneto, con i cocchieri in uniforme di gala. Iniziò il suo applauditissimo discorso nella piazza principale della città dal palazzo del nobile Jacopo De Bertoldi. Questo, in sintesi, è quanto disse nell’occasione: “Avevo desiderio di vedervi e di porgervi un saluto. Sono veramente contento di salutare questa popolazione forte delle Alpi. Siete certamente un baluardo dell’Italia, forti, valorosi ed addestrati alle armi, così come è necessario per un popolo che vuole mantenere la sua indipendenza.” Quindi Giuseppe Garibaldi si rivolse direttamente alle Camice Rosse di questo

territorio: “Veggo tra voi tanti valorosi volontari e certo sarete, un dì, tanti quanti il Paese ne avrà bisogno e combatterete al fianco del nostro prode esercito.” Nel 1867 Roma faceva ancora parte dello Stato Pontificio e Garibaldi rivolgendosi ai reduci bellunesi fece un espresso riferimento al desiderio di “liberare e conquistare” quella che sarebbe dovuta diventare la capitale d’Italia. “Roma! – urlò tra le acclamazioni dei presenti – Si! Andremo a Roma. Roma è roba nostra e ce la faremo restituire dai ladri che la tengono da tanto tempo.” Lasciato trionfalmente Belluno, Garibaldi il giorno successivo, e cioè il 4 marzo 1867, si trasferì a Feltre dove entrò acclamato da una grandissima folla e da un trombettiere che suonò la “Sveglia” di Calatafimi. Le cronache non lo dicono, ma quasi sicuramente, tra quelle migliaia di persone entusiaste ci dovevano essere anche Francesco Giuseppe De Col, Giacomo Miotti, Giacomo De Boni e Giovanni Pio Curtolo, i quattro feltrini che, sette anni prima, sbarcarono a Marsala. 45


Feltre in musica di Nicola Maccagnan

SMILE, quando la musica è un affare di… famiglia. A Feltre 5 fratelli giovanissimi hanno dato vita ad una band che fa parlare di sé.

SMILE: music is a family affair”. Così recita lo slogan nel logo che campeggia in testa alla home page del gruppo degli “Smile”, una realtà a dir poco giovane e fresca del panorama musicale locale, ma non solo. La particolarità di questa band è presto detta: è formata da cinque componenti, tutti fratelli, e tutti giovanissimi, di età compresa tra i 9 e i 18 anni! A presentarci il gruppo è Cristina

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Bonan, la più grande… Io suono il piano, il basso elettrico e la chitarra, Valerio la chitarra elettrica e la batteria, mentre Michela suona il violoncello e il pianoforte e Gabriele la batteria e il flauto traverso; Erika infine suona il pianoforte, la batteria e studia canto, come anch’io, Valeria e Michela. Una bella soddisfazione per papà Alberto e mamma Ilaria che forse non si aspettavano di assistere allo sviluppo di questo autentico caleidoscopio

di strumenti e sonorità, nato quasi per caso… Singolarmente, racconta ancora Cristina, frequentiamo da anni i corsi delle scuole musicali di Feltre. Ci siamo esibiti insieme per la prima volta nel giugno del 2019 ad una festa di famiglia e da quel momento abbiamo cominciato a suonare in vari locali ed hotel nelle zone di Feltre e Falcade, località montana dell’Agordino. Da lì è partito un crescendo che li ha portati a nuove e inattese tappe…


Feltre in musica

Nel marzo del 2020 - prosegue Cristina - abbiamo realizzato una cover della canzone “Domani” di Mauro Pagani che ha come tema il momento difficile che stavamo tutti vivendo a causa della pandemia. Il pezzo ha riscosso successo tra i media locali ed ha realizzato mezzo milione di visualizzazioni nella pagina Facebook del presidente della Regione del Veneto Luca Zaia. Nel corso dell'estate del 2021 abbiamo avuto poi la possibilità di realizzare “Ogni momento”, il nostro primo brano, scritto a fine 2020 (testo di Michela, messo in musica da Valerio e da me), che è uscito a gennaio 2022 e con il quale abbiamo partecipato al “Tour Music Fest” 2021 a Milano. Il dado sul tavolo delle esperienze musicali era oramai tratto… Valerio ed io, ci dice ancora Cristina, abbiamo partecipato a diversi concorsi musicali, come il concorso online “MelaCanto Talent”, nel quale ci siamo aggiudicati il primo posto nella categoria under 18 e la rassegna canora “Fiore d’Argento” dove siamo arrivati in finale. Abbiamo partecipato anche al Concorso Nazionale “Città di Belluno” 2022, conquistando il primo posto, a pari merito, nella nostra categoria. A questo concorso ha

partecipato anche nostra sorella più piccola Erika, anche lei vincitrice a pari merito nella sua categoria. E, come in ogni carriera musicale che si rispetti, si aprono a questo punto anche le porte degli studi televisivi… Abbiamo poi partecipato a due Talent televisivi, “IBand”, su LA5 e “The Coach”, in onda su 7Gold. Che tipo di genere di musica eseguite? Suoniamo prevalentemente musica pop e rock tra gli anni '70 e 2000. Abbiamo un repertorio composto da una cinquantina di canzoni, alcune in formazione completa e altre in versione a due o tre componenti (chitarra – piano – voce, batteria – piano – violoncello – voce, solo piano – voce). Ce n’è, insomma, davvero per tutti

i gusti. Che cosa avete in mente per il vostro futuro musicale di breve e medio termine? Al momento stiamo scrivendo altri pezzi originali per infoltire il nostro repertorio, soprattutto pop e rock, poi si vedrà… Per chi volesse conoscerli meglio, gli SMILE hanno già un loro sito web all’indirizzo www.smilemusic.it e li trovate, naturalmente, con la loro pagina dedicata su tutti i social principali. Agli SMILE, naturalmente, i migliori auguri di una carriera musicale brillante. Intanto, hanno già raggiunto il risultato forse più importante: quello di divertirsi coltivando una passione comune in una band, composta da 5 fratelli tutti giovanissimi, che rappresenta senza dubbio un autentico record!

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Lentiai in cronaca di Alex De Boni

SPORT, GIOCHI E DIVERTIMENTO

A

giugno si è svolto a Lentiai il 1° Lg Camp estivo organizzato dalla società calcistica LG Valbelluna 2021 e che ha visto coinvolti numerosi ragazzi e ragazze. Tra le varie attività organizzate nelle due settimane di giochi e divertimento cera anche quella di conoscere alcune associazioni che operano nel territorio provinciale, tra queste anche la Mycandy Academy di Andrea Grigoletto e Michele Dalla Piazza presidente dell'associazione Prealpi R\C , che vogliono proporre una nuova esperienza per coinvolgere tutti i ragazzi compresi tra gli 8 e i 12 anni delle scuole primarie del comune di Borgo Valbelluna, per poter dare loro la possibilità, senza spese iniziali da parte dei genitori, di un coinvolgimento nel mondo del modellismo dinamico. "Sono state due giornate di grande successo con i ragazzi presenti, che hanno dimostrato molta curiosità e grande attenzione ed ammirazione per il mondo del modellismo dinamico, regalando a tutti noi una grande soddisfazione", afferma Grigoletto. "La prima giornata ha avuto modo di proporre la nostra idea di Academy, lasciando molto spazio anche alla teoria “seppur ridotta

alle tempistiche” e alle molteplici domande poste dai ragazzi". Nell'occasione sono stati dispensati anche dei gadget e delle brochure per poter entrare meglio nel contesto delle dinamiche modellistiche. Sono stati presentati i vari modelli in scala , con propulsione elettrica ed endotermica, spiegando ai ragazzi le varie diversità. Nella seconda giornata predisposta nella settimana antecedente, è stato messo in pratica ciò che era stato spiegato loro, dividendo in gruppi i ragazzi con 2 tutor molto conosciuti nel mondo Pista Verde Fener. Matteo Sartor "Fvss rc" e Pier Luigi Varago "GG Paint" che con la loro pazienza hanno insegnato le basi della guida e alcuni piccoli segreti per riuscuire a fare un mini percorso ai ragazzi per poi cimentarsi in una prova a tempo. "Alla fine si sono tenute le premiazioni e tutti vincitori, perchè il nostro mondo alla fine è vincente quando c'è la passione e l'amicizia. Un plauso per l'importante aiuto a Luciano Bordin", sottolinea Andrea. Proprio vicino al campo sportivo nascera la Mycandy Arena: L'idea è la realizzazione di un mini autodromo

per auto modelli radiocomandati, elettrici e a scoppio, con un bacino d'interesse nazionale e internazionale. Il progetto nasce dalla voglia di portare nel nostro territorio un'attività ludico sportiva grazie alla quale bambini, ragazzi, persone di tutte le età e con qualsiasi caratteristica fisica, possono partecipare instaurando nuove sinergie e collaborazioni. "Questa nuova visione di attività nasce soprattutto nel constatare che, negli ultimi anni, troppi ragazzi sin dalla giovane età, dedicano troppo tempo alle attività video ludiche, internet, tablet, smartphone, perdendo di vista il vero senso del tempo, delle amicizie, delle passioni e, soprattutto, delle relazioni sociali", evidenzia Andrea Grigoletto. "Inoltre la realtà che promuovo cercherà di riportare manualità, dimestichezza e curiosità al ragazzo, peculiarità che nelle ultime generazioni sono purtroppo andate a perdersi". La realizzazione di questo progetto è stata fatta coinvolgendo un'associazione che potesse garantire la massima professionalità nella gestione immediata e futura della Mycandy Arena, la preferenza è andata all'unica in grado di poterlo fare: l'A.S.D. Prealpi R/c, presieduta da Michele Dalla Piazza, anch'egli modellista dal 1990, con alle spalle molte gare e competizioni nazionali e internazionali.

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Società oggi di Patrizia Rapposelli

STALKERWARE È STALKING E VIOLENZA DIGITALE.

Stalking digitale, l’Italia è seconda in Europa. L’11 % degli italiani risulta, secondo quanto emerge da un report Kaspersky 2021 , vittima di violazioni di privacy.

Nelle relazioni abusive ci sono anche gli stalkerware, sono software che permettono di spiare la vita privata attraverso un dispositivo smart. Una forma di violenza digitale che secondo il report “Lo stato della stalkerware nel 2021”, curato da Kaspersky, ha interessato più di 32.000 utenti mobile dell’azienda russa produttrice di software di sicurezza informatica in tutto il mondo. Nel 2021, a livello mondiale, sono stati censiti 32.694 casi, 611 dei quali rilevati nel nostro Paese. Questi numeri fanno dell’Italia il secondo paese più esposto in Europa e undicesimo a livello mondiale. Kaspersky fa riferimento ai propri clienti, sono soltanto una parte del totale. L’associazione Coalition Against Stalkeware, co-fondata dalla società russa, stima, inoltre, che, ogni anno, i casi di stalkerware al mondo siano circa un milione. È una tipologia di minaccia fino ad ora rimasta accantonata, ma nel mondo sono rilevati numeri importanti di casi. Parliamo di software spia, installati su dispositivi mobile o dispositivi intelligenti, che per-

mettono di controllare le attività online. Nella maggior parte dei casi l’installazione degli spyware viene fatta da qualcuno che conosce la vittima e che ha facilmente accesso ai suoi dispositivi. L’installazione di uno di questi software sullo smartphone, tablet, etc., della persona che si vuole controllare, garantisce l’accesso remoto a tutte le informazioni. Localizzazione, mail, telefonate, messaggi istantanei, SMS, social network, fotocamera e ogni tipo di file. Le applicazioni spia costano poche decine di euro e agiscono senza che la vittima se ne renda conto. Il perseguitato è osservato, tipicamente con un portale web, dallo stalker. La situazione in Italia è leggermente in miglioramento rispetto ai numeri degli anni precedenti, ma questo non vuol dire che il fenomeno sia meno grave. I dati emersi dal rapporto fanno notare

che non tutte le vittime nel mondo reale subiscono solo forme di stalking digitale, ma spesso quest’ultime sono esposte anche a soprusi concreti. Infatti, sempre dall’indagine di Kaspersky, emerge un collegamento tra la violenza online e offline. Dove l’11 % degli italiani dichiara di essere stata vittima di stalking digitale e il 13% afferma di aver subito violenza - abusi da parte del partner. Nel 2021, sempre limitatamente a chi usa software di sicurezza prodotti da Kaspersky, in Italia i casi di stalking digitale sono 611, in calo rispetto ai 1.144 del 2020 e i 1.829 del 2019 (rispettivamente ottavo e sesto Paese al mondo tra le nazioni più soggette al fenomeno). I ricercatori stanno analizzando e comprendendo questa attitudine, mettendo l’accento su una tendenza culturale. Stando ai dati del report, circa il 26 % degli italiani sostiene la legittimità nel controllare il partner in determinate circostanze. A novembre Kaspersky ha commissionato una ricerca globale con 21mila partecipanti provenienti da 21 Paesi diversi: il 70 % si è detto contrario al controllo del partner, ma il 30 % restante d’accordo. I motivi che spingono alla sorveglianza sono sospetti di infedeltà, incolumità personale e dubbio di attività illegali da parte del partner. Oltre le analisi e le graduatorie delle nazioni i software spia rappresentano vere e proprie attività di stalking, cyberstalking, abusi e violenze. 51


Non solo animali di Monica Argenta

Il cavallo: simbolo di libertà, forza e nobiltà, ma anche di maltrattamento, spesso spettacolarizzato

L

a forza dei simboli sta anche nella loro ambivalenza e il caso del cavallo ne è una prova evidente. Questo animale così grande ma anche elegante e maestoso suscita in tutti noi l'idea di libertà, forza e nobiltà. Ritratto già dai tempi preistorici sulle pareti delle grotte oltre 30 mila anni fa, il cavallo è una figura centrale nei miti e nelle fiabe non solo indoeuropee e la sua domesticazione risale probabilmente all'epoca dell' invenzione della ruota. Per esser più precisi, furono probabilmente gli Ittiti che con le loro ruote con i raggi capirono per primi la grande potenzialità del cavallo. Attaccati ai loro carri, gli eserciti mesopotamici divennero velocissimi e potenti. Usati in guerra o nei cruenti spettacoli al Circo Massimo come all' ippodromo di Bisanzio, i cavalli poi durante il Medioevo divennero veri e propri status symbol, donando un aurea di nobiltà a chiunque li cavalcasse e al loro mondo. Dame e cavalieri, ancora oggi, non si incontrano (e fanno sognare le masse) semplicemente partecipando ad una partita a polo o alle corse di Ascot? C'è da chiedersi però se dietro a quest'aurea di aristocrazia e nobiltà non vi

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sia un'ombra altrettanto forte che parla di maltrattamento, sfruttamento e quanto ci può essere di peggio nel rapporto uomo-animale. La sfortuna del cavallo sta proprio nella sua etologia ovvero essere un animale altamente sociale e “programmato” per seguire un capobranco. Peccato però che pochissimi cavalli abbiano ancora la fortuna di avere come capobranco uno stallone libero delle praterie ma nella maggior parte dei casi si ritrovano a dover seguire le volontà di un umano. Intendiamoci, non tutti i “cavalieri” maltrattano o rendono la vita difficile al proprio cavallo, ci mancherebbe. Tuttavia, ancora oggi in un mondo dove la fatica e la miseria sono state alleviate dai motori, il cavallo è ancora una specie ad elevato sfruttamento, sotto gli occhi di tutti noi. E' cronaca quotidiana, specialmente in questi mesi di calura estiva, la morte per sfinimento di qualche esemplare destinato al traino delle carrozze per i turisti delle principali città d'arte. A poco servono le ordinanze dei sindaci che, sempre dopo che è successa la tragedia, limitano gli orari delle così dette “botticelle”. Mi chiedo però come un turista, che si vanta di visitare un luogo per le sue bellezze artistiche possa poi avere così poca sensibilità e si faccia scorrazzare da un povero essere, spesso vecchio e stanco, sotto al sole ...cocente. Chi lo fa per far divertire

i propri bambini, sappia che sta invece impartendo una lezione di massima inciviltà nei confronti di un animale. Sotto gli occhi di tutti, ci sono poi situazioni di degrado civile “collettivo”, camuffate da “rivisitazioni storiche” : i palii. Il più famoso, quello di Siena, si è appena concluso a luglio, per fortuna senza grandi infortuni quest'anno ma con denunce da parte di più Associazioni animaliste: Zio Frac, il cavallo vincitore ha ricevuto 18 frustate negli ultimi 15 secondi della gara. Anche lo stesso sindaco della città Luigi De Mossi ha dovuto pubblicamente dichiarare su FaceBook: “Credo che sia necessaria una profonda e attenta riflessione sul Palio che si è appena concluso. Ce la domandano le Contrade, i cittadini, i tanti soggetti che sono parte di questa nostra festa di popolo”. Ma si sa, dove ci son grossi gli interessi economici è difficile fare giustizia. I cavalli nelle corse ippiche ne sanno qualcosa, purtroppo. Quotidianamente vengono abusati, all'età di 2 o 3 anni, ovvero quando ancora non maturi psico-fisicamente, vengono spronati con fruste, bastoni chiodati, jiggers elettrici, frena-lingue, speroni e tanti altri veri strumenti di tortura. Vengono doppati con mix micidiali per esser competitivi, legalmente classificati non come atleti ma “prodotti”, sono vittime di continui infortuni che ben presto li rendono “scarti”. Siamo lontani dal glamour dei vari rotocalchi che ci mostrano solo la facciata nobile del mondo equestre, ci ammalia con esemplari di rara bellezza accompagnati da eleganti dame e cavalieri. Cavallo come simbolo di forza, libertà e nobiltà sì certo, solo se però tutti noi ci mettessimo una mano sulla coscienza e smettessimo di partecipare al suo inutile e crudele “spettacolare maltrattamento” in tutte le sue forme.


ElezionI POLITICHE NAZIONALI PER IL RINNOVO DI CAMERA E SENATO 25 SETTEMBRE 2022

CONDIZIONI DI ACCESSO PER LA DIFFUSIONE DI MESSAGGI POLITICI ELETTORALI SUL PERIODICO VALSUGANA NEWS Si informano gli interessati che il periodico FELTRINO NEWS, nel rispetto di quanto previsto dall'art. 7, comma 2, della legge 22 febbraio 2000, n° 28, e successive modifiche, pubblicherà nel mese di settembre 2022, uno SPECIALE ELEZIONI all'interno del quale sono stati previste pagine politiche riservate ai candidati, partiti e movimenti politici. Si informa che i messaggi politici elettorali saranno posizionati in ordine di prenotazione e in spazi chiaramente evidenziati e riconoscibili con modalità uniformi per ciascun candidato, Partito e/o Movimento politico, e recheranno la dicitura “messaggio politico elettorale” con l'indicazione del soggetto politico committente. Si informa, inoltre, che potranno essere pubblicate soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale: 1) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze e discorsi; 2) spazi riservati alla presentazione dei programmi delle varie liste, dei gruppi di candidati e dei candidati; 3) pubblicazioni di confronto tra più candidati.

COSTO SPAZI ELETTORALI: PAGINA INTERA 400,00 + IVA AL 4% - MEZZA PAGINA 250,00 + IVA AL 4% PER INFO E PRENOTAZIONI

Prof. Armando Munaò - Tel.: 333 2815103 direttore@valsugananews.com direttore.feltrinonews@gmail.com 53


Lamon in cronaca di Nicola Maccagnan

Dal 16 al 18 settembre torna a Lamon “A tavola nel Feltrino: IL FAGIOLO”.

Il presidente della Pro Loco Ruben Faoro: “Dopo due anni di pandemia, stiamo lavorando per ripartire a pieno regime!”

R

uben Faoro, 39 anni, dal 2017 è alla guida della Pro Loco di Lamon, l’associazione che sull’altopiano rappresenta l’autentico motore di una serie di iniziative sociali, culturali e ricreative destinate ai residenti, ma anche alla promozione del territorio verso l’esterno. La più importante di queste manifestazioni è, senza dubbio, la “Festa del Fagiolo”, giunta quest’anno alla sua 31esima edizione. Che cosa rappresenti storicamente, per i lamonesi, la coltivazione del fagiolo è

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persino superfluo ricordarlo; basti citare il fatto che il suo fortunato arrivo sull’altopiano risale a oltre 500 anni fa e che nel 1996 la specialità locale ha ottenuto dalla Comunità Europea il marchio I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta), oggi tutelato anche dal Consorzio nato nel ‘93. Ora, dopo due anni in cui la manifestazione si è dovuta tenere in tono minore, essenzialmente solo in forma di mostra-mercato del prodotto agricolo per le note ragioni legate alla pandemia, l’appuntamento si appresta a tornare nel suo pieno vigore, sotto le insegne di “A tavola nel Feltrino: IL FAGIOLO”. Presidente Faoro, con che spirito vi accingete a vivere questa edizione 2022? Ritornare a celebrare il momento più importante per la vita del paese, con la celebrazione del suo prodotto-simbolo, è per i lamonesi qualcosa di impareggiabile. L’appuntamento è sempre caratterizzato da un fermento palpabile già dalle settimane precedenti la manifestazione di settembre e si propaga poi per tutta la “tre giorni” della festa. Quest’anno, in particolare, c’è una grande voglia di ripartire nel segno della “normalità”, dopo le due edizioni passate in “tono minore”, e per questo ci stiamo mettendo tutto l’impegno e le energie possibili. Come è composta la macchina organizzativa? A parte la Pro Loco, che coordina il gruppo di lavoro, la manifestazione può contare

sulla collaborazione preziosa di una decina di associazioni locali, ma anche da fuori, che mobilitano, nell’arco della festa, circa 300 volontari; un vero esercito che si dà da fare per la buona riuscita dell’evento e a cui va il nostro grande “grazie”.

Cosa troveranno i visitatori in piazza, ma anche per le vie di Lamon, nel terzo weekend di settembre? La manifestazione sarà caratterizzata dalla presenza di ben sei punti gastronomici gestiti dalle associazioni in cui sarà possibile gustare i prodotti tipici della nostra terra. Come di consuetudine, poi, i ristoranti e i locali offriranno ai visitatori dei menu a tema. Piazza III novembre, al centro del paese, sarà deputata alla mostra-mercato del fagiolo, sia fresco che secco, a cura del


Lamon in cronaca

Consorzio di Tutela. Sarà inoltre allestita un’ampia area fieristica, con prodotti dell’artigianato locale e oggetti vari, in gran parte legati al mondo dell’agricoltura, così come saranno riproposti alcuni antichi mestieri: ci attendiamo la presenza di oltre cento espositori! A proposito, com’è la produzione quest’anno? E’ ancora un po’ presto per dirlo, ma fino adesso possiamo ritenerci soddisfatti. Il fagiolo è però un prodotto molto delicato

e bisognerà vedere le evoluzioni, in particolare del meteo, prima del raccolto. L’annata molto siccitosa non è stata certo ottimale da questo punto di vista. Sappiamo che il programma, come da tradizione, prevede anche molti eventi collaterali… Certamente. Sono previsti vari spettacoli folkloristici, per bambini e musicali nella piazza centrale. Sul piano culturale, oltre all’apertura del museo archeologico e della sede del gruppo “Drio le pèche”, presente con la sua esposizione permanente in via Roma, avremo ben quattro mostre a tema,

pittoriche e fotografiche. L’evento più importante sarà ospitato dalla chiesa di San Daniele, dove in collaborazione con il Parco di Paneveggio, sarà allestita la mostra dal titolo “Delicata natura” che tratta le questioni, purtroppo molto attuali, del cambiamento climatico e dell’andamento dei ghiacciai negli ultimi decenni.

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Feltre in cronaca

Maurizio Nicodemo è il nuovo primario

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aurizio Nicodemo è stato nominato dal Direttore Generale Maria Grazia Carraro nuovo primario dell’Oncologia di Feltre. Il Centro di riferimento per la chirurgia oncologica gastroenterologica “Michele De Boni” ha fatto attrazione: entra a far parte del team dell’Ulss Dolomiti un riconosciuto professionista che proviene dal privato: l’IRCCS Sacro cuore – don Calabria di Negrar – Verona, prestigioso istituto di ricerca rinomato a livello nazionale. Classe 1964, romano di nascita, veronese di adozione, il dottor Nicodemo si è laureato in Medicina e chirurgia all’Università “La Sapienza” di Roma nel 1992 dove si è poi anche specializzato in Oncologia. Attualmente presta servizio al sacro Cuore di Negrar dove ha maturato una solida esperienza a tutto tondo sulla cura dei tumori e anche una expertise nel trattare i tumori uro-genitali e della testa-collo. i completa così la rete professionale dell’ulss Dolomiti in ambito oncologico, con esperti in tutti i tratti che coinvolgono il tratto digestivo. Dal 2015 è Componente del gruppo

di lavoro PDTA della Rete Oncologica Veneta per i pazienti affetti da Tumore testa-collo. Ha al suo attivo una ricca produzione scientifica, con pubblicazioni su importanti riviste nazionali e internazionali. Si è occupato con attenzione anche dell’umanizzazione delle cure. «Un benvenuto al nuovo direttore dell’oncologia di Feltre, che potrà dare nuovo slancio al Centro di riferimento regionale per la chirurgia oncologica gastroenterologica, in collaborazione con le altre équipe aziendali », commenta il Direttore Generale Maria Grazia Carraro, « Colgo l’occasione per ringraziare il facente funzione dr Zustovich che sta traghettando a scavalco il reparto in questo periodo non facile". In questi mesi, in poco tempo, sono stati nominati numerosi nuovi primari al Santa Maria del Prato: il primario di psichiatria, dr Brega; il primario di

ortopedia, dr Di Fabio; il primario di Geriatria, dr.ssa Omiciuolo, il direttore del Distretto dr.ssa Dalla Torre e ora il dr Nicodemo. Nei prossimi mesi si completerà la squadra con le nomine dei primari di Anestesia e di Direzione Medica». (Alex De Boni)

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Società ed ecologia di Alex De Boni

Rottamare le vecchie stufe

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ottamare la vecchia stufa oltre che fare bene all’ambiente garantirà anche un beneficio

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economico per le casse di tante potenziali famiglie. Su proposta dell’assessore all’Ambiente della Regione Veneto, Gianpaolo Bottaccin, la Giunta regionale ha approvato i criteri del bando finalizzato a incentivare la sostituzione dei generatori di calore domestici alimentati a biomassa (legna,

pellet o cippato) con potenza a focolare inferiore o uguale a 35 kW. “Una nuova e ulteriore azione per migliorare la qualità dell’aria”, spiega l’Assessore, “ con l’obbiettivo di rottamare i vecchi apparecchi per il riscaldamento domestico e sostituirli con impianti a basse emissioni in atmosfera e ad alta efficienza energetica”. L’iniziativa è rivolta ai residenti privati nel territorio regionale con una situazione economica familiare non superiore a 50mila euro (con riferimento all’ISEE ordinario 2022). Il contributo regionale è aggiuntivo rispetto all’incentivo assegnato dal GSE quantificato in rapporto alla situazione economica familiare


Società ed ecologia (fattore principale), nonché sulla base delle emissioni di particolato primario generate dal nuovo impianto. “In un momento di grave difficoltà, in primis per le famiglie”, specifica Bottaccin, “abbiamo scelto la formula di sommare il nostro contributo a quello statale previsto dal conto termico così da ampliare la platea dei possibili richiedenti, che potranno ottenere un contributo molto alto, vicino al 100% della spesa ammessa. Ovviamente, per le medesime ragioni, abbiamo scelto come criterio principale il reddito familiare, così da aiutare chi ne ha veramente bisogno”. La disponibilità finanziaria messa in campo dalla regione sarà di 3.880.000 euro (di cui 1,6 milioni sul bilancio 2022 e la differenza nel 2023). Nella determinazione della graduatoria si terrà, altresì, conto del Comune in cui viene realizzato

l’intervento, con un ulteriore coefficiente premiale per quei Comuni che, dal 2019, abbiano adottato ordinanze per il miglioramento della qualità dell’aria. “Oggi parliamo delle vecchie stufe, ma in programma c’è anche il bando per la sostituzione delle auto, che sarà pronto a breve”, conclude l’assessore regionale. “Questo per confermare l’attenzione nei confronti dell’inquinamento atmosferico che si concretizza con importanti e continui investimenti, che negli ultimi anni ammontano complessivamente ad oltre 1 miliardo di euro, per incentivare la sostituzione dei mezzi pubblici con treni e autobus a basso impatto ambientale, con il miglioramento delle infrastrutture e con l’efficientamento energetico”. Per informazioni specifiche sull’incentivo è possibile contattare la Direzione Ambiente e Transizione Ecologica - U.O.

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Oltre la vita di Walter Laurana

DIAVOLO D'UN DIAVOLO

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obbiamo sempre vigilare contro l’inganno del demonio. Parola di papa Francesco, che in un'omelia ha ricordato come la lotta al demonio sia incessante, senza pause, senza compromessi. La lotta al diavolo, satana, lucifero, belzebù (il demonio ha tanti nomi) è lo scopo stesso della Chiesa che dovendo diffondere il bene deve avere per antagonista il male. In sintesi, se non ci fosse il male non ci sarebbe bisogno del bene. Gesù stesso, figlio di Dio, da cui discende la Chiesa, nella predicazione terrena si scontrò spesso con il male, il diavolo. Secondo l'evangelista Marco fu nella casa di Pietro ( Simone) che Cristo affrontò pubblicamente il demonio risanando la suocera del primo fra gli apostoli. Racconta il Vangelo le molte occasioni in cui Cristo cacciò i demoni dalle persone possedute. Meno nota è

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l'attività di esorcista praticata da papa Wojtyla, Giovanni Paolo II, che più volte ha invitato i fedeli a non sottovalutare la presenza del demonio nel mondo. Secondo il giornalista David Murgia, autore di un servizio per TV2000, l'emittente dei vescovi italiani, Giovanni Paolo secondo, fu il primo papa, dopo quattrocento anni, ad affrontare il diavolo in un rito di esorcismo. D'altra parte come racconta Murgia nel suo servizio (Ai confini del sacro: l'ultimo esorcista 2013-2016), quando era giovane il futuro papa aveva compiuto il rito dell'esorcismo su alcune persone. E pare con successo. A raccontare un primo caso di esorcista da papa è padre Gabriele Pietro Amorth, esorcista della diocesi di Roma, morto nel 2016 . Era il 4 aprile del 1982, il quarto anno di pontificato e il papa acconsentì alla richiesta di un vescovo. " Lo ricordo perfettamente,

dice padre Gabriel, la giovane che era presente quella mattina all’udienza papale in Vaticano. In precedenza, il vescovo della diocesi a cui la ragazza apparteneva le chiese se fosse disposto a esorcizzarla, e il papa diede il suo assenso, senza problema. E il Papa procedette subito dopo all’esorcismo, nella sua cappella privata in Vaticano. Francesca non faceva altro che sputare e strisciare contorcendosi al suolo. Le persone che attorniavano il Papa non credevano ai loro occhi: ‘Non abbiamo mai visto una scena come quelle che si descrivono nel Vangelo’, ammettevano, sbalorditi." Confesso che quando ero molto giovane ho spiato, trasgredendo ad un preciso ordine, da una bocca di lupo che dava nella cripta della chiesa-santuario della mia parrocchia, il rito esorcistico praticato da uno dei frati minori conventuali di Padova. La scena a cui ho assistito ha molte analogie con quella raccontata da padre Amorth. Ancora oggi ne sono turbato. Più cruda è la scena del secondo intervento da esorcista di papa Wojtyla, nel settembre del 2000. Racconta padre Gabriele di una ragazza di diciannove anni, di un paese vicino a Monza, venuta una settimana a Roma, per farsi esorcizzare da lui e dal collega e fratello, Giancarlo Gramolazzo. Durante l'udienza generale i presenti si accorsero dello strano atteggiamento della ragazza. Il Papa quando ne fu informato accolse la richiesta di compiere il rito dell'esorcismo. Non andò completamente a buon fine ma Papa Wojtyla ne trasse insegnamento e più volte affermò


Oltre la vita la presenza del diavolo nel mondo. " Il presenti nel duomo male che è in esso, il disordine che si dell' isola veneziana di riscontra nella società, disse durante una Torcello e nel Battistero visita pastorale in Puglia, l’incoerenza del duomo di Firenze. dell’uomo, la frattura interiore della Famosa è la rappresentazione che Giotto ha quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche eseguito nella cappella effetto dell’azione infestatrice ed oscura degli Scrovegni di del Satana, di questo insidiatore dell’ePadova (1303-1304). quilibrio morale dell’uomo”. Contro di Negli affreschi Lucifero lui il papa chiese la protezione dell'Arè obeso, livido, animacangelo Gabriele. lesco, attorniato di serpi Il diavolo in realtà non è uno solo. Semostruose; i suoi democondo alcune fonti ce ne sono almeno ni hanno tratti selvaggi 17, per altri 72, ognuno con il proprio e sadici; le pene sono nome, inseriti in una gerarchia al cui terribili. Nel suo giudizio vertice c'è Lucifero. C'è chi ha abbinato universale l'artista toscano raffigura il Cristo un diavolo perfino ad ogni segno dello con ai lati da una parte Zodiaco. i giusti, tranquilli, beati e I diavoli hanno trovato spazio nell'arte, sereni e dall'altra i dannati avvolti dalle in particolare del Medioevo, nell'iconografia delle chiese, in affreschi più fiamme, sottoposti a terribili supplizi. o meno celebri. Alcuni esempi sono Chissà se vedendoli il grande cantante Logo con colori quadricromia applicati

Zucchero (Adelmo) Fornaciari, interprete del rock italiano, ripeterebbe i versi della sua celebre canzone del 1995 "Accendi un diavolo in me".

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Ieri avvenne di Davide Pegoraro

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’è stato un periodo nel quale, l’intero massiccio del Grappa era conosciuto con questo nome: la Monfenera. Correva l’Anno Domini 1650 e in un’antica mappa è ben evidente anche il fiume che costeggia il lato orientale della montagna: la Piave. Il suo nome, associato a quello del monte divenne un binomio tristemente noto a causa degli eventi bellici del 1917-1918. Grappa e Piave divennero un tutt’uno, “per far contro il nemico una barriera”. Perno di quella difesa era proprio l’ultimo monte o meglio, una dorsale degradante verso est composta da tre rilievi principali: il Tomba, il Monfenera e il La Castella. La non eccessiva quota, inferiore ai mille metri, rendeva quest’area la più agevole per le truppe austro-tedesche per tentare di sfociare nella sottostante pianura e così, con una manovra aggirante, rendere possibile l’incubo di una seconda Caporetto, con le truppe italiane circondate e di nuovo prigioniere. Proprio per questo motivo la difesa assunse toni epici e la disperata azione dei fanti della brigata Basilicata e di molti altri reparti di fanteria, alpini ed artiglieri garantì una prima tenuta delle posizioni fino al tardo autunno. Terminata la Battaglia d’Arresto, si cominciò a studiare un piano per rendere più sicure le trincee e le linee minacciate dagli avversari e in particolar modo quelle di questo delicatissimo tratto di fronte. I

tedeschi infatti erano in possesso della cresta dell’intera dorsale e da quella posizione potevano facilmente puntare verso sud e mettere in seria difficoltà le forze italiane. Già dal mese di novembre, erano però giunte sul fronte delle Prealpi Venete delle unità alleate, nello specifico britanniche e francesi. Queste ultime erano entrate in linea a partire dal 4 dicembre 1917 e si trovavano nelle immediate adiacenze della linea di massima resistenza. Si decise per un intervento diretto delle unità combattenti d’oltralpe e si predispose un piano per la riconquista della vetta del Monte Tomba e per il consolidamento delle linee sul Monfenera. Dunque ancora una volta tedeschi e francesi si sarebbero scontrati come avveniva tutti i giorni sul fronte occidentale. A verdun, sulla Somme, in Piccardia ed anche dai Vosgi al Grappa, una rincorsa durata più di due anni. Tanto tempo era stato necessario perché a circa 700 chilometri di distanza, i reparti della 47^ divisione (51° e 115° battaglione Chasseurs Alpins) rincontrassero sul loro cammino l’ottavo reggimento Jager della Riserva, inquadrato nel gruppo Von Bibra. Reduci dai sanguinosissimi scontri del luglio-agosto 1915 in Alsazia, al Collet du Linge e sullo Schratzmaenelle, eviteranno l’ennesimo contatto solo per pochi giorni, poiché i tedeschi verran-

no rilevati dalla 50^ divisione di fanteria austroungarica prima della battaglia del 30 dicembre, nella quale verrà parzialmente coinvolto solo il 1° reggimento Jager. Fino a quella data comunque non persero occasione, con pattuglie e ricognizioni fuori dalle linee, per saggiare la reciproca combattività. Toccò dunque alle sole truppe imperiali subire il pesantissimo se pur breve cannoneggiamento preliminare che venne poi seguito dallo scatto delle truppe del generale Dilleman. Aerei da caccia mitragliavano a bassa quota in appoggio ai soldati e nel volgere di poco più di un’ora, le trincee erano state conquistate ed il nemico costretto a ritirarsi sotto al monte, lungo il corso del torrente Ornic. Dopo la guerra a Pederobba venne costruito un imponente ossario nel quale oggi riposano 1044 ragazzi francesi, caduti tra le balze della nostra montagna. Solo pochi mesi dopo l’inaugurazione, svoltasi alla presenza dei principali rappresentanti militari e politici, i due paesi entrarono in guerra, questa volta come nemici. Nello sguardo del padre e della madre che in forma di statua sorreggono il figlio comune sacrificato lassù, tutto lo sgomento per la follia dei governanti, tutta la rabbia per il dolore generato da quelle scelte.

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Per la prevenzione e cura della malattia diabetica di Alex De Boni

Retinografi a Pieve e Agordo: oltre 36 mila chilometri risparmiati

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a distanza che separa Belluno a Sidney, andata e ritorno sono circa 36 mila chilometri, sono l'equivalente dei viaggi risparmiati ai pazienti durante l'ultimo anno nel campo delle visite alla retina grazie ad una nuova sinergia tra professionisti medici e la telemedicina all’oculistica. Dall’attivazione a novembre 2021 ad oggi, sono stati eseguiti 290 esami del Fundus oculi per una diagnosi precoce della retinopatia diabetica, eseguiti dagli infermieri dei Centro anti diabetico di Pieve di Cadore e di Agordo e refertati in remoto dall’oculistica di

Belluno, senza far spostare il paziente e con l’unico accesso all’ospedale per la visita diabetologica. La Retinopatia diabetica, infatti, è una complicazione del diabete che colpisce gli occhi. È causata da un danno ai vasi sanguigni del tessuto della parte fotosensibile dell'occhio, la retina. Se non diagnosticata e trattata precocemente può portare alla cecità. Di norma, le persone con diabete eseguivano lo screening del fundus ogni 2 anni attraverso una visita oculistica nelle unità operative di Belluno o Feltre. Grazie al sistema di telemedicina

avviato a Pieve di Cadore e Agordo e finanziato attraverso i Fondi Comuni Confinanti, la persona con diabete, contestualmente al controllo diabetologico, con un solo accesso al Centro Anti Diabete vicino a casa, esegue anche l'acquisizioni delle immagini per lo screening attraverso i retinografi acquistati nell’ambito del progetto. Il personale del CAD, infatti, è stato formato dai medici oculisti per la raccolta e la trasmissione delle immagini alle unità operative di oculistica dove vengono refertate. Nella maggioranza dei casi lo scree-

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Per la prevenzione e cura della malattia diabetica ning si conclude cosi. Nel caso venga rilevata la patologia, il paziente viene preso in carico per gli approfondimenti necessari. In otto mesi sono stati eseguiti oltre 290 esami, con conseguenti 290 viaggi a Belluno risparmiati per i pazienti, spesso anziani, e per i loro accompagnatori. «Questa è stata la prima applicazione della Telemedicina in azienda ed è il simbolo del lavoro di rete che azzera le distanze: si muovono le immagini e non le persone », ha commentato il direttore generale ULSS 1 Dolomiti Maria Grazia Carraro, «hanno fatto rete i nostri professionisti per la formazione e la costruzione del percorso, ha fatto rete il territorio che ha investito in questo progetto i Fondi dei Comuni di Confine. Con grande vantaggio per molti cittadini, prevalentemente anziani, e per i loro familiari, in termini di tempo e spostamenti».

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Lo sapevate che? di Elisa Rodari

La spedizione Kon-Tiki: tra mito e realtà

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a storia è da sempre ricca di misteri irrisolti e di domande senza risposta. Spesso ci si chiede come molti popoli antichi, dotati di strumenti primitivi basati sulle poche conoscenze del tempo, abbiano potuto compiere imprese tanto straordinarie da lasciarci a bocca aperta. Nella stessa situazione si è trovato Thor Heyerdahl, chiedendosi quale fu il primo popolo in grado di raggiungere le isole polinesiane. Da oltre un secolo infatti archeologi ed esploratori hanno tentato d’identificare coloro

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che per primi realizzarono un’impresa tanto rischiosa quanto goliardica. L’esploratore norvegese Thor Heyerdahl sosteneva infatti che i primi a raggiungere queste isole in epoca precolombiana, antecedente quindi alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, provenissero dal Sud America. Thor fu in grado di affermare la sua tesi, ovvero che il viaggio dal Sud America alle isole polinesiane fosse alla portata degli antichi peruviani, mettendosi lui stesso alla prova in un’impresa senza precedenti. Avendo questo preciso obiettivo, Thor si mise all’opera costruendo una zattera, utilizzando gli strumenti e i materiali disponibili ai peruviani attorno al XIII secolo: lo scopo non fu solo quello di dimostrare che il viaggio dal Sud America alle isole polinesiane fosse possibile, ma che fosse possibile grazie a una rudimentale zattera costruita secondo le tecniche del tempo. Per la realizzazione dell’imbarcazione vennero utilizzati tronchi di balsa lunghi 14 metri uniti tra loro grazie a corde di canapa, fusti di bambù per sorreggere la vela lunga 4,6 metri, foglie di banano e bambù per la realizzazione di una cabina a poppa, legno di mangrovie e abete per il timone.

Nessuna vite, nessun materiale metallico che tenesse insieme la struttura della zattera, solo diverse tipologie di legname. Gli unici elementi “moderni” impiegati nella costruzione dell’imbarcazione furono un generatore elettrico, un sestante e una bussola, strumenti non presenti al tempo degli antichi peruviani ma fondamentali per

la sopravvivenza dell’equipaggio che nel 1947 salpò alla volta di questa avventura. L’equipaggio della Kon-Tiki, guidato da Thor Heyerdahl, era composto da altri cinque componenti: Erik Hesselberg navigatore e artista, Bengt Danielsson unico svedese a bordo (tutti gli altri erano norvegesi) e sociologo interessato alle migrazioni umane, Knut Haugland esperto radio, Torstein Raaby incaricato di effettuare


Lo sapevate che? le trasmissioni radio ed infine Herman Watzinger ingegnere esperto in misurazioni che durante il viaggio prese nota dei dati meteo ed idrografici della spedizione. L’avventura ebbe inizio il 28 aprile 1947 da Callao, Perù. La zattera venne scortata per circa 80 km dalla marina peruviana per evitare in questo modo il traffico costiero. Raggiunto il largo, la zattera si trovò a navigare in mare aperto guidata dalla corrente di Humboldt, procedendo verso Ovest e solcando le acque del Pacifico. Dopo tre mesi di navigazione, il 30 luglio ci fu il primo avvistamento di un’isola, ma la zattera non si fermò

cito americano, insieme alla possibilità di pescare quotidianamente, furono sufficienti a garantire la sopravvivenza dell’equipaggio nei mesi della spedizione. Sicuramente questa della Kon-Tiki fu una spedizione senza precedenti; migliaia di chilometri per confermare il fatto che gli antichi popoli dell’era precolombiana furono perfettamente in grado di compiere un viaggio simile. Conclusosi il viaggio della Kon-Tiki, Thor decise di scrivere un libro che raccontasse le vicende di

quell’incredibile avventura, ottenendo infatti un grande successo. Il racconto del viaggio venne anche immortalato tramite immagini, video e commenti di tutti i membri dell’equipaggio: il film che venne realizzato e diretto dallo stesso Thor Heyerdahl arrivò persino a vincere un Academy Awards come miglior documentario nel 1951. La zattera nella sua forma originaria, restaurata ovviamente dopo il naufragio che subì, si trova ora esposta al Kon-Tiki Museum nella città di Oslo, in Norvegia. Una spedizione passata alla storia che confermò alcuni di quei misteri che la storia può portare con sé anche per secoli.

e proseguì il viaggio fino all’atollo Angatau dove però, data la conformazione dell’isola, l’equipaggio non poté sbarcare. Il 7 agosto la zattera andò a colpire il reef che circondava l’isola disabitata di Raroia. Dopo qualche giorno passato in solitudine su quest’isola, l’equipaggio fu presto raggiunto da alcuni abitanti dell’atollo vicino. L’impresa venne portata a termine con successo dopo aver percorso quasi 7.000 chilometri in 100 giorni. Anche le scorte di cibo, circa 200 noci di cocco, patate dolci, vari tipi di frutti, un’abbondante riserva d’acqua e razioni da campo fornite dall’eser67


Tra lavoro, hobby e passioni di Sonia Sartor

Alla scoperta della numismatica

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a numismatica, dal latino numisma, allude allo studio della moneta e della storia che porta con sé in tutte le sue varie forme. La Sartor Numismatica è una nuova attività del territorio feltrino, diretta da Nicola, un giovane di soli ventun anni. Di seguito la nostra intervista a Nicola: È alle passioni che dobbiamo le nostre più grandi conquiste. Partiamo da qui; da dove nasce il suo interesse per il collezionismo? Mio nonno paterno aveva una grande collezione di francobolli, è così che ho iniziato. Avevo all’incirca 6 anni ed ero attratto dai colori e dalle immagini che

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quei piccoli pezzetti di carta evocavano. Qualche anno più tardi ho scoperto le monete e il mondo della numismatica, settore al quale attualmente mi dedico in maniera quasi esclusiva. A 10 anni partecipavo insieme a mio padre a numerose aste e il mio compito era alzare la paletta. Tutt’oggi mi capita di avere a che fare con clienti incontrati alcuni anni fa, che nel loro ricordo conservano l’immagine di quel bambino seduto in prima fila ad alzare la paletta. Lei si è avvicinato alla numismatica che era ancora un bambino; ritiene che il rispetto per la conservazione dei beni storici e culturali sia un valore su cui si può lavorare nel contesto scolastico? Indubbiamente. Credo che la chiave possa essere individuata nella curiosità dei bambini. Essere curiosi spinge al desiderio di conoscere la nostra storia e alla volontà di rispettarla. L’istituzione scolastica può pertanto rivestire un ruolo determinante nell’introduzione dei valori storici e culturali rispondendo alla sete di conoscenza dei propri

scolari. La produzione numismatica di ogni epoca è portatrice di una propria originalità; quale momento storico la incuriosisce maggiormente? Se dovessi scegliere un periodo in particolare direi i moti rivoluzionari del 1848-1849 nel contesto veneziano. Si tratta dell’anno che sancisce la volontà di rinascita della Repubblica di Venezia. L’insurrezione contro il governo austriaco e la conseguente formazione del governo provvisorio trovano una loro traduzione significativa in ambito numismatico: in questo periodo furono infatti coniate monete dal valore di 20 lire in oro, 5 lire in argento, 15 centesimi in mistura, e da 5, 3 e 1 centesimo in rame. Dal punto di vista stilistico la monetazione di questa fase si avvale, in maniera più intensa di quanto non avvenisse in passato, del simbolo del leone. Un lavoro dunque che richiede un’ampia conoscenza di carattere storico e culturale. Di quali contesti si avvale per le sue ricerche? Esistono numerosi cataloghi a disposizione del numismatico per la consultazione dei caratteri della monetazione e del periodo storico a cui essa appartiene. In Veneto disponiamo dell’Archivio di Stato di Venezia che costituisce una fonte ricchissima di materiale. Parlando di questioni più tecniche; in base a quale criterio si giudica la qualità di una moneta? È lo stato di conservazione di una moneta ad influire nel suo valore. Esiste una scala convenzionalmente utilizzata per valutare le condizioni di conserva


Tra lavoro, hobby e passioni

zione, così che possiamo fare riferimento ai seguenti termini: FDC- fior di conio -SPL-splendido BB-bellissima - MB-molto bella. Si tratta del passaggio dal grado massimo relativo ad una moneta in condizioni perfette, priva di segni di usura, colpi ed eventuali graffi via via

sino ad arrivare ad una moneta che è stata oggetto di una lunga circolazione e pertanto maggiormente usurata con scritte a volte poco leggibili. Spesso è il luogo geografico a determinare il successo di un’attività . Quanto spazio può avere una simile realtà in una cittadina come Feltre? Si tratta indubbiamente di una professione che richiede una certa disponibilità a spostarsi e a viaggiare per relazionarsi con i propri clienti oltre che per visionare il materiale di interesse. Al tempo stesso però non va omessa la forza della tecnologia che permette anche in ambito numismatico uno scambio veloce ed efficace.

Feltre, pur rappresentando una realtà non ancora ampiamente ricettiva al settore numismatico, vanta dalla sua parte l’esistenza del centro filatelico e numismatico R.Grammaticopolo.

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I nostri maestri gelatieri di Waimer Perinelli

UNA COPPA AL GELATO BELLUNESE

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erlino Marienkirche, estate 2001. C'era un caldo pazzesco pur nello splendido giardino che circonda la chiesa protestante nel quartiere Mitte, quello dove c'è la torre della televisione. All'angolo di una strada, di cui ho scordato il nome, c'è una gelateria. Con il collega entro e chiedo un gelato, cioccolato fondente e yogurt, non ho mai cambiato gusto. Senza pensarci ho parlato in italiano e mi sono sorpreso solo quando mi hanno risposto in veneto. Ero entrato da un gelataio di Belluno. E, visto che mi hanno sempre dato uno stipendio per fare domande, ho chiesto cosa ci faceva un gelataio bellunese a Berlino "Ce ne sono tanti

i Germania, mi ha risposto, e siamo i migliori. Non lo diciamo noi, lo dicono i molti premi che vinciamo". Belluno, Oggi. Roberto Padrin presidente della Provincia si lecca i baffi, come avesse appena gustato un gelato e idealmente lo ha fatto. "Apprendiamo con grande piacere, dice, dell'iniziativa di legge regionale per la promozione del gelato artigianale. E' il riconoscimento della capacità da un lato dei maestri gelatieri e dall'altro dell'intero territorio perché è storicamente innegabile che il gelato artigianale nasca tra Zoldo, Cadore e Longarone". I fatti gli danno ragione. Già nel 1800 gli zoldani e i cadorini erano famosi per la produzione del gelato artigianale e,

mentre dal Primiero trentino, i perteganti partivano con la cassetta in spalla per vendere in Russia e tutta Europa le stampe sacre dei Pasqualini di Bassano del Grappa, i gelatieri bellunesi si distribuivano sul Continente portando i segreti del gelato artigianale. Nessuno oggi sembra ricordare l'origine della ricetta originale del gelato, né se sia veramente nata fra questi monti e valli o sia stata importata. Ma poco conta: l'importante si dice a Zoldo è che i prodotti siano naturali, genuini. Anche Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, in un'intervista ha dichiarato di avere gustato da bambino il gelato artigianale al suo paese d'origine, Bra in provincia di Cuneo, in una gelateria ge-

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I nostri maestri gelatieri stita da una famiglia originaria di Zoldo. Il gelato è ottimo contro l'arsura, ma non per questo raffredda gli animi. Recentemente fra Zoldo e Longarone è nata una disputa su chi fosse autorizzato a chiamarsi "Città del gelato". La storia del gelato parla di un primo gelatiere bellunese, un certo Tomea di Zoppè, ma con parentele a Venas, che nel 1820 andò a Vienna e iniziò la sua attività di gelatiere. Nel 1903 ci fu il brevetto del cono gelato a New York da parte di Italo Marchioni, di Peaio, frazione di Vodo; dunque nè Zoldo e nè Longarone. In quegli anni l'emigrazione all'estero continuò e sembra non placarsi la "guerra" a palline di gelato ch'è stata riportata anche dal Corriere delle Alpi, sul quale troviamo il tentativo operato da Gabriele Soravia, di Venas, gelatiere da più generazioni, di raffreddare gli animi, perché l'unione fa la forza. Guerra del titolo a parte

la cosa più divertente è che Soravia, emigrato in Germania, è campione nel " Guinnes Wordl Records" niente popò dimeno che nel lancio di palline di gelato. E' Soravia a ricordare i molti successi bellunesi all'estero, ma anche la dura realtà che vede competere ai veneti il primato da parte di città come Cesena, Verona, Napoli e Modica in Sicilia. Quindi stiano attenti a Zoldo e nel Cadore che fra i due litiganti spesso altri godono. La fiducia dei bellunesi è però incrollabile e la legge regionale appena approvata conforta gli artigiani che vedono tutelato il loro lavoro. Merito anche di Luca Zaia governatore del

Veneto che indubbiamente ama il gelato visto che non manca mai alla mostra del gelato internazionale che si tiene annualmente a Longarone. Chissà se nell'agenda è prevista nel prossimo futuro una visita a Zoldo per gustare un bel cono.

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Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

M

i permetto, dopo quasi un anno che vi scrivo, una considerazione un po’ più personale del solito per questo accaldato numero d’agosto che ha il sapore delle vacanze estive, delle nuotate, delle passeggiate, delle stelle cadenti. Come forse avrete visto, è venuto a mancare in circostanze tragiche Luca Serianni, linguista e storico docente di Storia della lingua italiana all’Università “La Sapienza” di Roma, scrittore di una Grammatica italiana e di numerosi altri autorevoli testi, socio dell’Accademia dei Lincei, della Crusca e dell’Arcadia. Ho riascoltato in questi giorni alcune sue lezioni, alcuni suoi discorsi. L’ho fatto, come spesso mi capita, mentre portavo avanti altre faccende: cucinando, riordinando le cataste di libri del mio studio,

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allenandomi, stendendo, portando fuori il cane. La sua lezione di congedo dall’attività didattica mi ha però fermato del tutto. Mi sono seduta, davanti al computer e a quel professore intento ad accomiatarsi, ho cliccato all’impazzata sul pulsante indietro per riavvolgere il video di dieci secondi, e dieci, e dieci ancora. Ma cosa ti ha colpito così tanto? – vi chiederete. La compostezza di quell’uomo? La sua preparazione? Il modo di rinvenire le radici della parola ‘asino’ o di raccontare l’analisi logica? No. Sono stata rapita dalla sua fede profondissima, entusiasta, lucida e incrollabile nei giovani. Non solo negli studenti, nei suoi studenti, in quelli magari diventati professori ordinari o sceneggiatori o scrittori, ma nei giovani tutti.

Tra le molte cose dette in quel discorso – su cui spero avremo modo di tornare – c’è l’idea di una scommessa sui giovani, sulla loro capacità di apprendere al di là del personale punto di partenza, sul loro percorso di maturazione. E, bellissimo, affiora il pensiero che un insegnante non possa prendersi il lusso di essere pessimista quando si interfaccia con i giovani. Queste parole penso abbiano a che fare con il credere in una totale pienezza e potenzialità della giovinezza. Guardiamo adesso la foto di cui voglio parlarvi. È uno scatto del 1951, di Nino Migliori, fotografo classe 1926, profondo conoscitore del mezzo fotografico e del suo linguaggio. Ritrae due ragazzi, sul molo di Rimini. Stanno giocando. Fanno una breve rincorsa e si tuffano in acqua. L’occhio


Racconti d'arte del fotografo li cattura. Uno dei due è seduto sulla destra, e con la curvatura della schiena spinge la composizione verso l’alto, portandoci a guardare appena sopra la sua testa. Ed ecco che lì c’è il tuffatore, colto mentre è perfettamente parallelo all’acqua. Sono giovanissimi uomini, entrambi. La scena è loro, non c’è spazio per altro dentro la fotografia. Il mare è calmissimo, un’area vuota, segnata dalla linea d’orizzonte. Fa solo da sfondo, assieme al cielo. Sono i due corpi ad occupare tutto. Sono un tripudio di vita, di desiderio, di presente. Il tuffatore si allunga, da destra a sinistra, si tende, lasciando solo una piccolissima porzione libera sui lati. L’altro ragazzo disegna lo spazio scendendo con le gambe oltre il limitare inferiore della fotografia stessa. Tutto è fermo, tranne il suo ciuffo: vibra, quasi impercettibilmente, ma con grande forza. Anche qui, la pienezza della gioventù, in

questo caso anche fisica, estetica, di pesi distributivi, è il centro del discorso. Di fronte alla pienezza e al suo mostrarsi in modo indiscutibile, vero, evidente, la tentazione del lusso di una qualsiasi sorta di pessimismo nella mia testa scompare. Migliori e Serianni, a braccetto, mi portano fino al mio di amore per la giovinezza, per quello stato dell’essere giovani di cui così bene ha parlato il filosofo Leonardo Caffo*, per la gioventù come «capacità non tanto o soltanto di vivere il reale, ma di esserlo. Essere giovani, essere realtà.» E io credo davvero il reale e il mondo tremino, come il ciuffo del ragazzo di destra, tremino in tutte le direzioni, e mi viene una gran voglia di chiedervi non soltanto di affidarvi all’incredibile potere dei giovani di viverlo, di mettersi in relazione con esso, di assorbirlo come spugne e trasformarsi, ma magari anche proprio di scoprire di esserlo un po’, giovani, e di respirare a pieni polmoni

tutto il tremore. Riuscite a immaginare quante questioni diventerebbero affrontabili? Possibili? Percorribili? Magari avrete dato una sbirciata alla foto, e dopo aver letto il titolo di questo pezzo estivo starete canticchiano il brano degli anni Ottanta degli Alphaville sotto l’ombrellone, pronti per un tuffo in mare… ci risentiamo a settembre! Buona estate! * Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, si rimanda alla lettura di Leonardo Caffo, Essere giovani, Ponte alle Grazie, Adriano Salani Editore, Milano 2021 e Paul B. Preciado, Un appartamento su Urano, Fandango Libri s.r.l., Roma 2020. *Daniela Zangrando è Direttrice del Museo d'Arte Contemporanea Burel di Belluno

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Salute e benessere di Enrico Coser

L’ONICOFAGIA Il vizio di mangiarsi le unghie Classificato come un disturbo compulsivo si manifesta generalmente durante infanzia e adolescenza come abitudine transitoria e senza conseguenze e talvolta si può protrarre fino all’età adulta. La diagnosi spesso è ritardata in quanto chi si rosicchia le unghie nega il problema o ne ignora le conseguenze.

L

e cause che inducono questo comportamento sono molteplici e spesso è difficile trovarne la vera ragione che può risalire all'infanzia. L'onicofagia è dunque il risultato di un’abitudine protratta nel tempo. Accade soprattutto in momenti di nervosismo, noia e stress, sintomi di ansia ma anche di un disagio psicologico. Secondo la teoria freudiana portare qualcosa alla bocca richiama metaforicamente l’esperienza dell’allattamento e l’onicofagia avrebbe dunque il medesimo effetto calmante. La causa scatenante è sempre di natura psicologica legata alla tendenza a contenere reazioni e disagi soggettivi e se le cause vengono meno tende a scomparire. Per quanto sembri innocua

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rappresenta un atteggiamento autolesionista e un’espressione di aggressività. Molti esprimono la rabbia rivolgendola a se stessi piuttosto che verso l’esterno. Il paziente è portato a mangiare tutte le proprie unghie nello stesso modo e la fase preliminare che precede l’onicofagia consiste nell’ispezionare l’unghia alla ricerca di irregolarità e difetti da eliminare. Le conseguenze dell’onicofagia non sono infatti solamente estetiche. Può provocare dolore, sanguinamento e può danneggiare l’iponichio, la porzione di pelle alla base e ai lati dell’unghia e determinare l’infezione virale o batterica nota come “giradito”. L’onicofagia può inoltre portare a malocclusione dentale,

danni gengivali e anche carie, in quanto viene intaccata la sostanza adamantina. Ingerire residui ungueali può inoltre determinare danni gastrici e nel lungo periodo a malformazioni delle dita. Esistono vari trattamenti. Quello più comune ed economico consiste nell’applicare uno smalto speciale, trasparente e dal sapore amaro che dovrebbe scoraggiare la pratica di mettersi le dita in bocca. Altri rimedi naturali sono la tintura madre di genziana da applicare sulle unghie, le tisane rilassanti oppure masticare un chewingum o un bastoncino di liquirizia quando si avverte la necessità di mordere le unghie sono valide alternative per tenere la bocca occupata. Per i più piccoli c’è l’uso di pigiami integrali che impediscono al bambino di mordersi le unghie di mani e piedi. Mantenere le unghie tagliate è un’altra misura utile affinché angoli e cuticole sporgenti non costituiscano una tentazione per l’onicofago. Una persona con le mani brutte può dare l’idea di un soggetto timido, con poca autostima e problemi nel gestire la rabbia. La cosmesi viene incontro a questo problema grazie al trattamento di ricostruzione unghie che aiuta non solo a superare gli effetti sociali, ma anche a prendersi cura delle mani, risolvere il problema e sentirsi più sicuri nella vita quotidiana. Smalti appositi , creme, gel specifici e l’applicazione di unghie artificiali può limitare il disturbo e permettere all’unghia naturale di crescere sana e forte.


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ADIOGRAFIA DIGITALE 3DA differenza delle normali lastre, che danno un'immagine in due dimensioni, il Cone Beam permette di creare immagini in 3D ovvero un modello virtuale della struttura ossea e dentaria del paziente con una precisione assoluta e con minimi margini di errore ma permette anche di visualizzare tutte le strutture nobili del paziente (nervi, vasi sanguigni etc) che non devono essere toccate durante l'intervento. Si ha quindi una visione totale come se si trattasse di una TAC ma con un impiego di radiazioni molto minore. Anche se non sempre è necessaria la Cone Beam è una tecnica innovativa che permette di vedere con precisio-

ne e dettaglio la struttura ossea del paziente permettendo così -soprattutto nei casi di chirurgia e implantologia- un miglior diagnostico e una

migliore preparazione del caso; tutto questo si traduce in una maggiore predicibilità dell'intervento e in un miglior risultato per il paziente.

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Dalla parte del cittadino in collaborazione con A.E.C.I. - FELTRE

CONOSCIAMO IL TRUST

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l TRUST è un particolare istituto giuridico, (sembrerebbe di origine anglosassone). mediante il quale un soggetto (chiamato “disponente”) e attraverso un particolar atto, sia tra vivi sia a causa di morte, decide di separare il suo patrimonio destinando alcuni dei suoi beni a favore di determinati beneficiari ovvero trasferisce la titolarità e la gestione di questi beni a un altro soggetto (chiamato “gestore”). Il TRUST, quindi, è una particolare forma fiduciaria che, nell'interesse di uno o più beneficiari o per uno specifico scopo, permette di strutturare in vario modo diverse "posizioni giuridiche". Importante sapere che regola fondamentale del TRUST possono godere dell'estrema riservatezza e questo può essere un motivo sufficiente per la sua creazione Il TRUST, quindi, e secondo gli esperti rientra a pieno titolo, in quelli che sono considerati “strumenti di tutela e protezione del patrimonio”. In altre e più semplici parole il TRUST altro non è che l'affidamento e il trasferimento fiduciario da parte di un soggetto ad un altro soggetto il quale ne diventa unico controllore e unico gestore per il raggiungimento delle finalità che il disponente gli chiede di realizzare.

Ci sono diversi e molteplici tipi di TRUST ma quelli che vengono maggiormente utilizzati riguardano due gradi categorie; quelli che nello specifico sono di interesse familiare e quelli di interesse imprenditoriale, finanziario o d'azienda. Tra i TRUST di carattere familiare sono compresi sia quelli che hanno il compito di assistere e quindi proteggere soggetti deboli sia quelli che preordinano una possibile successione familiare. Quest'ultimi, a detta degli esperti, sembrano essere i più frequenti e i più utilizzati. Tra i TRUST di interesse imprenditoriale le finalità e le applicazioni sono numerose e di varia tipologia e possono riguardare sia i singoli, sia soggetti giuridici e sia aziende o particolari strutture. Al momento non esiste un chiaro e unitario modello di TRUST applicabile alla varie situazioni. E' possibile invece creare diversi e opportuni schemi a seconda delle finalità ultime

che si desiderano raggiungere. Da precisare che nello statuto del TRUST ci possono essere diverse posizioni giuridiche, ma quelle più importanti sono tre: il DISPONENTE (persona fisica o giuridica),ovvero colui il quale istituisce e promuove il TRUST. Nella prassi corrente il conferimento è di solito irrevocabile e quindi i beni confluiscono in via definitiva.; L'A MMINISTRARORE-GESTORE che quando diventa intestatario dei beni ha il preciso dovere di gestirli correttamente e secondo le precise “regole” del TRUST. Infine il BENEFICIARIO che può essere una persona fisica o giuridica oppure un insieme di determinati soggetti che devono,però, essere indicati con precisione. In sintesi, tra gli usi più frequenti del TRUST possono essere annoverati: - la protezione dei beni; - tutela dei minori e dei soggetti diversamente abili; - tutela del patrimonio per finalità successorie; - una eventuale e qualsiasi forma di beneficenza; - forme di investimenti e pensionistiche; - vantaggi di natura fiscale; - e altre situazioni alle quali può essere creato e applicato uno specifico TRUST:

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Che tempo che fa di Giampaolo Rizzonelli

Estate 2022 ancora all’insegna del caldo e della siccità

L’agricoltura uno dei settori più colpiti e purtroppo di nuovo incendi in tutta Europa.

N

ell’ultimo numero concludevo il mio articolo con queste parole: “Nei prossimi numeri vedremo come sarà proseguita quest’estate, ma mentre sto scrivendo la situazione a giugno si è fatta ancora più pesante”, il riferimento era il perdurare della siccità in Trentino e in Italia e non solo in Italia, di precipitazioni decisamente inferiori alla media nonché di temperature sopra la media, giugno e luglio hanno ancora una volta, purtroppo, confermato questo trend. La mancanza di nevicate durante il periodo tra autunno e primavera unite alla scarsità di precipitazioni piovose negli ultimi sei mesi, stanno creando uno stato di siccità che non si vedeva in molte zone da oltre 70 anni, il ricordo più vicino è quello della terribile estate

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del 2003. Conseguenze evidenti sono i bacini svuotati con conseguente minor produzione di energia idroelettrica,

mancanza di acqua per l’agricoltura e non solo per questa, Mare Adriatico che risale per decine di chilometri la foce del Po e dell’Adige, incendi ecc…. Settore tra i più colpiti l’agricoltura, Coldiretti il 14 luglio ha lanciato l’ennesimo allarme, con il crollo delle riserve di acqua nazionali a causa della siccità i campi sono allo stremo e hanno già perso in media 1/3 delle produzioni nazionali dalla frutta al mais, dal frumento al riso, dal latte alle cozze e alle vongole. E l’arrivo dell’ondata di caldo prevista per la seconda metà di luglio (di cui probabilmente parleremo nel prossimo numero) aggrava l’emergenza raccolti con la necessità di stipulare accordi di filiera per aiutare le aziende contro i drammatici effetti dei cambiamenti climatici e delle tempeste sui mercati internazionali causate dalla guerra in Ucraina. Secondo la Coldiretti è di fatto in grave rischio per la siccità il 46% degli agricoltori italiani per un totale di 332mila imprese con la probabile estensione dello stato di emergen-


Che tempo che fa

za per la siccità ad altre quattro regioni (Lazio, Umbria, Liguria e Toscana) annunciata dal Ministro dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli dopo che il consiglio dei ministri lo aveva già deliberato per Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Secondo Coldiretti in Italia si registrano già cali del 45% per il mais e i foraggi che servono all’alimentazione degli animali, del 20% per il latte nelle stalle, del 30% per il frumento duro per la pasta di oltre 1/5 della produzione di frumento tenero, del 30% del riso, meno 15% frutta ustionata da temperature di 40 gradi, meno 20% cozze e vongole uccise dalla mancanza di ricambio idrico nel Delta del Po, dove si allargano le zone di “acqua morta”, assalti di insetti e cavallette con decine di migliaia di ettari devastati. Siamo di fronte – spiega la Coldiretti – a un impatto devastante sulle produzioni nazionali con danni che superano i 3 miliardi di euro. Con l’Italia che è dipendente dall’estero in molte materie prime evidenzia Coldiretti e produce appena il 36% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci, il 53% del mais per l’alimentazione delle stalle, il 56% del grano duro per la pasta e il 73% dell’orzo, il rischio è un aumento delle importazioni dall’estero, ma anche un

ulteriore aggravio di costi soprattutto per gli allevamenti, che dipendono dai cerali e dai foraggi per l’alimentazione degli animali. Un’impennata che si aggiunge all’aumento della spesa per energia e materie prime spinto dalla guerra in Ucraina, facendo salire il conto per le aziende agricole alla cifra di oltre 9 miliardi di euro. Il risultato è che più di 1 impresa agricola su 10 (11%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben il 30% del totale nazionale si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dell’aumento dei costi di produzione, secondo le elaborazioni del Crea. Sui campi pesano rincari per gli acquisti di concimi, imballaggi, gasolio, attrezzi e macchinari: si registrano aumenti dei costi che vanno dal +170% dei concimi al +90% dei mangimi al +129% per il gasolio, a cui si aggiungono rincari di oltre il 30% per il vetro, del 15% per il tetrapack, del 35% per le etichette, del 45% per il cartone, del 60% per i barattoli di banda stagnata, fino ad arrivare al 70% per la plastica, secondo l’analisi Coldiretti. Il Presidente di Coldiretti Ettore Prandini

ha comunicato che “Serve responsabilità da parte dell’intera filiera alimentare con accordi tra agricoltura, industria e distribuzione per garantire una più equa ripartizione del valore anche combattendo le pratiche sleali nel rispetto della legge che vieta di acquistare il cibo sotto i costi di produzione”, con la necessità di risorse per sostenere il settore in un momento in cui si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza che deve spingere il Paese a difendere la propria sovranità alimentare” Altro effetto della siccità son gli incendi, in Trentino al 19 luglio ci sono stati diversi incendi, ricordo in particolare quello sopra Nago dove sono brucati circa 30 ettari di bosco e quello della Panarotta (vedi immagini 1, 2 e 3) che hanno devastato circa 70 ettari di bosco. Situazioni ben più disastrose, in Francia dove nella sola Gironda al 19 luglio gli ettari bruciati sono stati più di 20.000, ma gli incendi hanno colpito duramente anche la Spagna e il Portogallo. Curiosità: mentre sto scrivendo questo articolo, oggi, 19 luglio, in Europa sono stati battuti diversi record di temperatura massima assoluta, in particolare segnalo i +40,2°C di Londra (prima volta che nel Regno Unito si superano i 40°C). Massime “africane” anche a Parigi dove sempre il 19 luglio si sono toccati i +40,5°C

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Il libro nello scaffale di Andrea Casna

«Tullio Marchetti,

Diario dalla guerra di Libia (1913-1914)»

«

Tullio Marchetti. Diario dalla guerra di Libia (1913-1914) » è il titolo del lavoro firmato dal giovane storico Luca Filosi. Edito dal Centro Studi Judicaria e Museo Storico Italiano della Guerra, il lavoro di Filosi è dedicato ad un personaggio importante per la storia militare italiana. Si tratta di Tullio Marchetti (Roma 1871, Bolbeno 1855). Marchetti è stato, durante la Prima Guerra Mondiale, capo del servizio informazioni della Prima Armata, responsabile dell’ufficio propaganda dell’esercito italiano sul fronte trentino durante la Prima guerra mondiale ed è stato, in fine, uno dei sette firmatari dell’armistizio con l’Impero

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austro-ungarico. Ma la sua è stata una vita intensa e ricca di esperienze ancora poco note come, infatti, la sua partecipazione in Africa come capitano degli Alpini durante le spedizioni in Tripolitania e Cirenaica tra il 1913 e il 1914. Questo nuovo volume, infatti, si concentra sull'esperienza di Marchetti durante la guerra di Libia. Filosi ha usato come base di partenza per il suo lavoro il fondo archivistico conservato presso il Museo della Guerra di Rovereto. Francesco Frizzera, Direttore del Museo della Guerra di Rovereto, spiega «che la storia coloniale italiana, poco affrontata nel dibattito pubblico, necessita di essere

conosciuta e approfondita attraverso la voce dei protagonisti». E il libro va proprio in questa direzione. Luca Filosi, autore del libro, ha spiegato, nel corso della presentazione (Rovereto, 20 luglio 2022), che «Marchetti è stato un uomo legato alla patria e al corpo degli alpini. Oggi è ricordato in tutta Italia per quello che farà dopo la guerra di Libia. Marchetti stesso non pubblicherà mai nulla della sua esperienza in Libia. Scavando nel suo passato, quello appunto in Libia, possiamo aggiungere un tassello in più. In Libia Marchetti ha servito al fronte: durante la Prima guerra mondiale, infatti, lui starà nelle retrovie


Il libro nello scaffale organizzando lo spionaggio e il servizio informazioni. Questi diari – racconta Filosi – ci raccontano il Marchetti al fronte e il Marchetti lontano da casa. Ci raccontano cosa vuol dire vivere lontani da casa. I diari di Marchetti, pensati per rimanere chiusi in una cassapanca, raccontano anche cosa voleva dire impegnarsi in una guerra di conquista coloniale. Questi diari – conclude Filosi – riportano l'attenzione su un periodo storico poco studiato e analizzato». Come si legge sul portale del Museo della Guerra di Rovereto «centodieci anni fa l’Italia dava inizio a un conflitto in Libia che coinvolse soldati provenienti dall’intera penisola. Una guerra che

continuò sul campo ben oltre la sottoscrizione con l’Impero ottomano della pace di Losanna del 21 ottobre 1912. L’esercito italiano rimase infatti impegnato a contrastare un articolato movimento di resistenza turco-arabo fino agli anni ’20. Una drammatica esperienza militare e di vita che rappresentò per molti soldati anche l’occasione per cimentarsi in un’inedita attività di scrittura epistolare e diaristica. Tra questi, l’allora capitano degli alpini Tullio Marchetti che visse in Tripolitania e Cirenaica tra il marzo 1913 e il febbraio 1914 e raccontò giorno dopo giorno la cronaca a tratti drammatica di questa spedizione in terra africana».

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L' EDUCAZIONE DEL CANE ADULTO O CUCCIOLO

L

'educazione cinofila, secondo gli esperti del settore, è un momento veramente importante per la vita in comune e consiste nel rendere il proprio amico a quattro zampe gestibile, non solo all'interno delle mura domestiche, ma anche e principalmente nei confronti di tutte le differenti e improvvise situazioni sociali alle quali il “piccolo amico” va

spesso incontro. Per poter educare un cane, e nel migliore dei modi, cucciolo o adulto che sia, e quindi gestire tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti, è necessario riuscire a creare con lui una indispensabile intesa e un importante feeling senza, però, particolari forzature o deleteri obblighi. Il padrone deve essere consapevole che non di rado può o potrebbe essere frainteso e che i suoi comandi spesso non compresi. Ma alla fine i risultati che si otterranno saranno decisamente importanti e forieri di grande soddisfazione per tutti. Attraverso l'educazione, se concretizzata nel migliore dei modi, il cane impara importantissime regole di vita, non solo

per la convivenza con il padrone e i suoi familiare, ma anche e forse principalmente quando si trova al di fuori della abitazione in cui normalmente vive. Da ricordare che costruendo un buon legame con il proprio animale sarà anche possibile cimentarsi in particolari discipline sportive cinofile che non solo divertono e gratificano il padrone, ma sono una inesauribile fonte di soddisfazione e gioioso piacere anche per il cane. Purtroppo non tutti i proprietari sono in grado di svolgere pienamente e perfettamente questa importantissima “educazione” e quindi è opportuno rivolgersi a veri ed esperti educatori oppure a professionisti cinofili, i quali, con la loro competenza saranno in grado di dare i giusti e appropriati consigli.

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Conosciamo le leggi di Erica Vicentini*

L’uccisione

e il maltrattamento di animali

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rmai si sa, gli animali sono diventati davvero i più fedeli amici dell’uomo e si sono diffusi molto di più di quanto nascano figli. La tutela degli amici a 4 zampe è molto severa anche dal punto di vista delle norme civili e penali che vigono in Italia. L’ordinamento giuridico italiano negli ultimi anni ha dato sempre maggiore rilievo agli animali, domestici e non. Un presidio forte si trova nel codice penale, che agli artt. 544 bis e ter c.p. punisce l’uccisione ed il maltrattamento di animali. Dunque il nostro codice penale non punisce in modo esclusivo l’uccisione ma anche il maltrattamento, perpetrato sotto ogni forma e soprattutto da valutarsi in concreto se volto a procurare all’animali inutili sofferenze. Il delitto di uccisione di animali si perfeziona solamente se la morte è provocata con coscienza e volontà, quale conseguenza voluta della propria azione od omissione. Ciò significa che il reato non sussiste nel caso di colpa, da intendersi come negligenza, imprudenza o imperizia, di chi ad esempio investe un cane o un gatto perché non lo ha visto sbucare in strada oppure perché non ha fatto in tempo a sterzare. Il maltrattamento, invece, si realizza ogni

qualvolta un soggetto provochi una lesione ad un animale ovvero lo sottoponga a “sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, che significa in sostanza lavori e compiti oggettivamente inadatti rispetto alle caratteristiche fisiche dell’animale (ad esempio un carro pesante trainato da un cane di taglia media o bassa). La giurisprudenza ha ritenuto perseguibile penalmente anche il proprietario di un animale che lo costringa a vivere in un ambiente non adatto, perché molto angusto oppure sporco. Entrambi i delitti di uccisione e maltrattamento, poi, richiedono che la condotta sia stata realizzata “per crudeltà o senza necessità”: questo inciso va inteso nel senso di mancanza di un’adeguata e oggettiva giustificazione alla condotta violenta posta in essere contro l’animale. Sebbene il concetto, di primo acchito, sembri di difficile comprensione, esso va relativizzato agli altri eventuali interessi che, nel caso concreto, vengono in gioco. La valutazione, infatti, va condotta in termini di “giustificazione” della condotta che, astrattamente intesa, sarebbe da considerarsi violenta. Laddove, ad esempio, la morte dell’animale è provocata dal veterinario per evitare sofferenze a un animale anziano oppure malato, essa va considerata lecita, di certo non penalmente rilevante, dato che si assume che essa sia stata “giustificata” proprio dalla patologia dell’animale

e, quindi, quale unica soluzione alle sue sofferenze. La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che la giustificazione può essere rinvenuta in un pericolo attuale e concreto di aggressione o comunque di rischio per l’incolumità personale, con ovvia esclusione del caso in cui l’animale sia già stato messo in fuga. Per converso, la giurisprudenza non ritiene la lesione o il maltrattamento leciti, con integrazione del reato, nel caso di uccisione di cani che parevano aggirarsi minacciosi in una proprietà privata mediante sparo proveniente dall’interno della propria abitazione. In tal caso non può ritenersi esistente lo stato di necessità che giustifica l’uccisione di un animale, che sussiste solamente quando vi è «una situazione di attuale ed imminente pericolo alla incolumità personale che non sia altrimenti evitabile». Va infine, purtroppo, evidenziato, che i delitti di uccisione e maltrattamento di animali non consentono l’arresto in flagranza di reato (né obbligatorio né facoltativo), quindi nel caso di fatti di questo tipo l’autore può solo essere identificato e rimesso in libertà. Nota: chi desiderasse ulteriori informazioni in merito a quest'articolo può contattare la dott.ssa Vicentini. *Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca, 84. Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore.feltrinonews@gmail.com 83


Conosciamo le leggi in collaborazione con Autopratiche Dolomiti

Rinnovo e conseguimento patenti:

dal 1° aprile 2022 stop al pagamento tramite bollettino postale.

Si paga solo con PagoPA

G

li italiani per lungo tempo, e per adempiere i vari e dovuti pagamenti richiesti dalla Stato Italiano, si sono sempre serviti dei famosi specifici bollettini, sia postali sia bancari e di diverso tipo. In questi ultimi anni è stata data, agli italiani, la possibilità di utilizzare anche altre forme di pagamento. In questo 2022 le cose sono decisamente cambiate perchè, dopo diverse deroghe degli anni scorsi, lo Stato Italiano ha deciso che per tutti i pagamenti dovuti alla Pubblica Amministrazione si dovrà usare, il forse poco conosciuto, PagoPA, ovvero un nuovo sistema elettronico per eseguire, tramite i cosiddetti Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti, i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione in una modalità standardizzata. Una nuova piattaforma nazionale che permette di scegliere, secondo le proprie abitudini e preferenze, come pagare tributi, imposte e tutti i dovuti allo Stato. Il tutto per rendere più semplice, sicuro e trasparente qualsiasi pagamento allo Stato. E nello specifico, e per quanto riguarda

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le tasse dovute alla Motorizzazione e al Dipartimento dei Trasporti Terrestri sia per l’area patenti (conseguimento, rinnovo, duplicato, riclassificazione patente di guida o conversione da patente estera e commissione patenti) che per quella veicoli (passaggi di proprietà, duplicati, revisioni, collaudi), dal 1° aprile 2022 non sarà più consentito farlo con i soliti bollettini postali da sempre usati, ma necessariamente occorrerà avvalersi del PagoPA. Prima di tutto è necessario creare il bollettino attraverso il sito www.ilportaledellautomobilista.it accedendo con il proprio SPID, oppure recarsi presso le agenzie pratiche auto che offrono questo servizio. Ma dove e come si potrà pagare con PagoPA? Il sistema permette l’utilizzo di una grande varietà di canali dove effettuare i pagamenti che potranno essere

eseguiti con diversi mezzi come contanti, carte di credito oppure addebito in conto corrente. Nello specifico si potrà pagare: ïdirettamente sul sito PagoPA o sull’applicazione mobile dell’ente (creazione e pagamento). oppure solo pagamento dopo creazione del bollettino: - presso le agenzie della banca - utilizzando l’home banking dei PSP (riconoscibili dai loghi CBILL o PagoPA) - presso gli sportelli ATM abilitati delle banche - presso i punti vendita SISAL, Lottomatica e Banca 5 - presso gli Uffici Postali. E sempre per il rinnovo o il conseguimento della patente di guida, L'Azienda sanitaria comunica che - in deroga alla scadenza fissata il 1° aprile 2022- saranno ancora accettati i pagamenti con i famosi bollettini per coloro i quali hanno effettuato la visita medica prima del 31 marzo 2022. Chi invece è stato sottoposto a vista medica dopo il 31 marzo 2022, i bollettini e i relativi pagamenti, anche se effettuati in precedenza (e di cui si potrà richiedere il rimborso) non saranno considerati validi e quindi si dovrà necessariamente pagare servendosi della modalità PagoPA.


Agenzia consorziata

PUNTO ABILITATO AL PAGAMENTO “PAGOPA” ANCHE PER PRATICHE DI MOTORIZZAZIONE

PRATICHE VEICOLI

Trasferimenti di proprietà e immatricolazioni Radiazione per esportazione veicoli Consulenze e pratiche per il trasporto di merci conto terzi e conto proprio Nazionalizzazione veicoli provenienti dall’estero

TASSE AUTOMOBILISTICHE Riscossione bollo auto anche per prima immatricolazione Gestione pratiche di contenzioso bolli con la Regione Veneto Gestione domande di rimborso bollo auto

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PATENTI AUTOMOBILISTICHE E ANCHE NAUTICHE

Rinnovo patenti con medico in sede Gestione pratiche rinnovo patenti presso Commissione Medica Locale Duplicati e pratiche patenti - Visite mediche per rilascio patenti

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Visure Pubblico Registro Automobilistico (PRA) per la verifica di eventuali gravami Pratiche di rinnovo e rilascio porto d’arma e patente nautica Gestione parchi veicoli e pagamento di bollettini postali

Via Montelungo, 12/F - Feltre (BL) - c/o Centro Acquisti “Le Torri” Tel: 0439 1870004 - info@autopratichedolomiti.it


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FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina e della Conca bellunese. È stampato in 6mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm. FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici. La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 30 collaboratori di cui 12 giornalisti, 2 avvocati, 1 ingegnere, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici. FELTRINO NEWS viene posizionato in oltre 320 punti quali edicole, farmacie, supermercati, centri commerciali, alberghi, ristoranti, parrucchieri, autostazioni, ambulatori, ospedali, bar, negozi, macellerie e in tutti i luoghi di pubblica affluenza.

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