A parere mio di Caterina Michieletto
La siccità nella politica italiana Quando nello scacchiere politico si è affacciata la figura carismatica e adamantina di Mario Draghi ci siamo riscoperti a credere nella politica del possibile: dalle parole ai fatti, dalle prospettive remote agli interventi tempestivi, dalle divisioni partitiche all’unità dello spirito repubblicano. Nella accozzaglia dei partiti politici Draghi si era posto come un bilanciere per dare all’Italia la stabilità politica, quindi economico-finanziaria, presupposto indispensabile per incamerare i fondi del Next Generation EU e portare avanti gli obiettivi del PNRR. Cosa dire di questa stagione di primavera dopo un lungo letargo?
C
he è stato bello finché è durato. Questo mi viene da pensare e credo di interpretare il sentire della maggioranza degli italiani nell’esprimere l’amarezza, la delusione, il senso di tradimento di fronte all’ennesima vittoria del ricatto di una fetta di politica che antepone l’interesse di partito all’interesse di uno Stato-comunità. Si possono affermare tante cose a contorno di questa crisi di governo sfociata nella campagna elettorale, ma un dato è lampante: Draghi è stato apprezzato dagli italiani per il suo operato e prima ancora per lo spessore morale e la solidità istituzionale di un tecnico che non ha scelto la politica ma si è trovato a fare politica con onore, coscienza e con l’umiltà che contrassegna tutti i grandi uomini. Per quanto si cerchi di piantare semi buoni, sembra che nel campo della politica italiana non riesca a crescere altro che quell’erba infestante che anche se non piove per mesi resta sempre in vita: l’irresponsabilità. Ecco, dunque, che si ripresenta una questione cruciale che ciclicamente si palesa ma non si vuole vedere ed affrontare con la dovuta attenzione e che è preliminare rispetto a qualsiasi altro interrogativo sulle sorti del nostro Paese: la qualità della politica e soprattutto di quella politica che ha la sua casa nel Parlamento, simbolo per eccellenza delle democrazie occidentali. Nell’edificio della rappresentanza
della volontà popolare ormai da troppo tempo assistiamo ad un gioco a squadre dove ognuno cerca di spuntarla alla meglio invece che ad un gioco di squadra per portare avanti gli interventi legislativi di cui l’Italia e di cui gli italiani hanno bisogno. In un gioco di squadra ci sono il pluralismo di idee e di proposte, la diversità di richieste e di risposte, il confronto e lo scambio di opinioni con argomenti opposti, ma lo scopo di questa fondamentale attività di incontro e scontro dialettico è il medesimo, è condiviso ed elevato al di sopra dei particolarismi di partito: è il bene di un Paese e di chi ogni giorno lo fa crescere, lo promuove, lo valorizza e lo vive in tutte le sue bellezze e specificità. Questo è il dibattito parlamentare costruttivo di cui abbiamo disperato bisogno per mandare avanti le riforme della giustizia (civile, penale, tributaria), del codice degli appalti, i progetti di revisione del fisco, la fitta agenda sociale che lotta alla povertà ed alle diseguaglianze con i posti di lavoro e con la promozione di un’economia reale e molto altri interventi alla base della stabilità di uno Stato. Una persona sola in una democrazia parlamentare messa alla guida di governo nonostante le straordinarie capacità e la inscalfibile integrità mo-
rale non può fare la differenza. In una Repubblica parlamentare le decisioni devono passare attraverso il setaccio del Parlamento e se in Parlamento non c’è una maggioranza coesa, con una visione comune che procede nella medesima direzione allora il governo è inevitabilmente costretto ad un compromesso al ribasso. Se già nella normalità questa pratica di accordi a ribasso si rivela inefficiente ed intempestiva, ora in questa fase storica, in questa congiuntura economica e geopolitica è a maggior ragione un modulo operativo che non ci possiamo permettere.
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