Ieri avvenne di Davide Pegoraro
Merci et bravò!
C
’è stato un periodo nel quale, l’intero massiccio del Grappa era conosciuto con questo nome: la Monfenera. Correva l’Anno Domini 1650 e in un’antica mappa è ben evidente anche il fiume che costeggia il lato orientale della montagna: la Piave. Il suo nome, associato a quello del monte divenne un binomio tristemente noto a causa degli eventi bellici del 1917-1918. Grappa e Piave divennero un tutt’uno, “per far contro il nemico una barriera”. Perno di quella difesa era proprio l’ultimo monte o meglio, una dorsale degradante verso est composta da tre rilievi principali: il Tomba, il Monfenera e il La Castella. La non eccessiva quota, inferiore ai mille metri, rendeva quest’area la più agevole per le truppe austro-tedesche per tentare di sfociare nella sottostante pianura e così, con una manovra aggirante, rendere possibile l’incubo di una seconda Caporetto, con le truppe italiane circondate e di nuovo prigioniere. Proprio per questo motivo la difesa assunse toni epici e la disperata azione dei fanti della brigata Basilicata e di molti altri reparti di fanteria, alpini ed artiglieri garantì una prima tenuta delle posizioni fino al tardo autunno. Terminata la Battaglia d’Arresto, si cominciò a studiare un piano per rendere più sicure le trincee e le linee minacciate dagli avversari e in particolar modo quelle di questo delicatissimo tratto di fronte. I
tedeschi infatti erano in possesso della cresta dell’intera dorsale e da quella posizione potevano facilmente puntare verso sud e mettere in seria difficoltà le forze italiane. Già dal mese di novembre, erano però giunte sul fronte delle Prealpi Venete delle unità alleate, nello specifico britanniche e francesi. Queste ultime erano entrate in linea a partire dal 4 dicembre 1917 e si trovavano nelle immediate adiacenze della linea di massima resistenza. Si decise per un intervento diretto delle unità combattenti d’oltralpe e si predispose un piano per la riconquista della vetta del Monte Tomba e per il consolidamento delle linee sul Monfenera. Dunque ancora una volta tedeschi e francesi si sarebbero scontrati come avveniva tutti i giorni sul fronte occidentale. A verdun, sulla Somme, in Piccardia ed anche dai Vosgi al Grappa, una rincorsa durata più di due anni. Tanto tempo era stato necessario perché a circa 700 chilometri di distanza, i reparti della 47^ divisione (51° e 115° battaglione Chasseurs Alpins) rincontrassero sul loro cammino l’ottavo reggimento Jager della Riserva, inquadrato nel gruppo Von Bibra. Reduci dai sanguinosissimi scontri del luglio-agosto 1915 in Alsazia, al Collet du Linge e sullo Schratzmaenelle, eviteranno l’ennesimo contatto solo per pochi giorni, poiché i tedeschi verran-
no rilevati dalla 50^ divisione di fanteria austroungarica prima della battaglia del 30 dicembre, nella quale verrà parzialmente coinvolto solo il 1° reggimento Jager. Fino a quella data comunque non persero occasione, con pattuglie e ricognizioni fuori dalle linee, per saggiare la reciproca combattività. Toccò dunque alle sole truppe imperiali subire il pesantissimo se pur breve cannoneggiamento preliminare che venne poi seguito dallo scatto delle truppe del generale Dilleman. Aerei da caccia mitragliavano a bassa quota in appoggio ai soldati e nel volgere di poco più di un’ora, le trincee erano state conquistate ed il nemico costretto a ritirarsi sotto al monte, lungo il corso del torrente Ornic. Dopo la guerra a Pederobba venne costruito un imponente ossario nel quale oggi riposano 1044 ragazzi francesi, caduti tra le balze della nostra montagna. Solo pochi mesi dopo l’inaugurazione, svoltasi alla presenza dei principali rappresentanti militari e politici, i due paesi entrarono in guerra, questa volta come nemici. Nello sguardo del padre e della madre che in forma di statua sorreggono il figlio comune sacrificato lassù, tutto lo sgomento per la follia dei governanti, tutta la rabbia per il dolore generato da quelle scelte.
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