Valsugana News n. 7/2020 Settembre

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A parere mio

di Katia Cont

Abbiamo imparato…

D

urante una camminata estiva in città, non ho potuto fare a meno di notare come i normali comportamenti delle persone che incontri passeggiando fossero improvvisamente cambiati, modificati da una situazione sanitaria complessa, confusa e instabile. Gli atteggiamenti delle persone sono ora diversi, è innegabile, a volte addirittura contrastanti: chi ha sempre la mascherina, chi la mette solo se costretto, chi invece la mascherina si trova a doverla sempre cercare in fondo ad una borsa colma di oggetti. Quando però, ad un certo punto, mi sono soffermata davanti al parco giochi ed ho visto i sorrisi dei bambini nascosti da una mascherina, ho capito che ormai qualcosa non sarebbe stato più lo stesso. La felicità traspariva dai loro occhi rimasti scoperti, ma la diffidenza e la mancanza di un contatto fisico tra di loro, erano altrettanto evidenti. Sono aspetti difficili da dimenticare, e che purtroppo segneranno il nostro futuro modo di approcciarci al tutto. Ho capito che ognuno ha interpretato questa situazione a modo suo, filtrando paure e timori dal proprio vissuto. Non ci siamo mai sentiti così soli. “Abbandonati” a noi stessi, abbiamo dovuto scavare dentro di noi per capire di chi e di cosa fidarci. Abbiamo ascoltato tutti e abbiamo dovuto

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augana

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decidere da soli, nostro malgrado, chi ci diceva il vero e chi il falso. Abbiamo dovuto prendere coscienza con i mezzi che avevamo e le conoscenze diverse che ognuno di noi possedeva. Abbiamo sperato passasse, ne aravamo certi tanto da chiedere ai nostri figli di imprimere questa certezza su fogli e lenzuola appese ai balconi. Abbiamo sperato si tornasse a vivere come prima, ma non è bastato. Le abitudini sono inevitabilmente cambiate: ora si aspetta il proprio turno per varcare la soglia di un negozio, andiamo al cinema e a teatro con mascherine e gel igienizzante, abbiamo chiamato amici lontani che non sentivamo da anni perché ci siamo sentiti tutti parte dello stesso problema. Lavoriamo lontano dai nostri colleghi, perdendo così il rapporto umano e il confronto. Incontriamo persone che lavorano ogni giorno otto ore rinchiusi in una stanza di plexiglass, coperti da una mascherina. Abbiamo imparato nuove abitudini, nuovi ritmi, li abbiamo accettati senza compromessi, senza grandi periodi di transizione. Sì, è vero, ci sono stati imposti, ma li abbiamo accettati di buon grado, nella disperazione dell’incertezza, nella paura dell’ignoto, della morte, della malattia. Ogni giorno che passava la paura si concretizzava maggiormente vicino a noi, tra parenti amici e conoscenti. Abbiamo visto amici perdere la famiglia

e altri scherzarci sopra, ci siamo trovati nel mezzo, nel vortice. Abbiamo imparato a salutarci da lontano e abbiamo capito l’importanza di quella stretta di mano che spesso ci diceva con chi avevamo a che fare. Le videochiamate sono diventate il nostro quotidiano, mentre prima non le usavamo anche per comodità. Abbiamo perso il significato dei silenzi, delle pause di riflessione in una discussione. Nel paradosso del lockdown siamo diventati più trasparenti, senza segreti. Abbiamo aperto virtualmente le nostre case agli amici, ai colleghi di lavoro, ci siamo inventati passatempi che non avremmo potuto non condividere. Ora siamo ancora soli, accompagnati da un’informazione imbizzarrita e galoppante verso l’ignoto, priva di ogni fiducia e scricchiolante di reale competenza. Abbiamo avuto il via libera! Ognuno con le rispettive idee e visioni. È valso tutto a quanto pare, tranne il buonsenso, il senso civico, il rispetto di chi non c’è più. Ora ne paghiamo le conseguenze. Le scuole, le aziende, la struttura di questo paese galleggia in attesa di un cenno di speranza che ancora non si è capito da dove potrà arrivare. Viviamo nel caos della conoscenza e della razionalità, siamo soli, mai come ora.


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