Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 1 Gennaio-Febbraio 2021
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N. 1
€ 6,70 Anno XXXIII Gennaio-Febbraio 2021
Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo
Segreteria di redazione Gaia Borghi
Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata
Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi
Euro Annuario Carne EURO ANNUARIO CARNE 2021
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Ufficio stampa e Media Partner
p Stampa
3
N. 1
€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia
A pagina 56.
In questo numero:
Immagini
Il giovane “infossatore” Matteo Bartoloni
12
Tendenze
Il cibo metafora dell’Italia e degli Italiani
14
Salumi & Co.
Vintage è per sempre – T-shirt e ironia – Buono e bello
16
Fotografati e mangiati
Bresaolazero Angus – Salame di Suino Nero
18
Calendario fiere
Fiere, eventi, convegni 2021
20
Brevi storie di cibo lento Manifesti dei mari e della terra a velocità contemporanea
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Alessia Morabito
24
5
Attualità
Il Big Ben ha detto stop
Sebastiano Corona
26
Il food in rete
Social food
Elena Benedetti
28
Aziende
IBRIDABRADA: carni e salumi di suino brado, espressione delle fertili Terre Matildiche
32
Romagnola, dolce e delicata: la Passita
36
Arti e mestieri
Scienza, tecnica e arte nell’affettatura dei salumi
Giovanni Ballarini
38
Interviste
Benedetto Colantuono
Bernardo Pasquali
45
Analisi di settore
Agroalimentare 2020: effetto Covid
Fabio Del Bravo
48
Trend
Tre trend nel mercato globale delle carni e dei salumi
La Qualità
Il Salchichón de Vic IGP
Roberto Villa
56
Progettare il cibo
Dai Dabbawala al Mannarino: storie di delivery identitari
Francesca Monti
60
Belle Botteghe
Ponzo 1947
Massimiliano Rella
62
Parti, il gusto del Chianti Classico in macelleria
Massimiliano Rella
64
Salame delle Valli Tortonesi
Chiara Papotti
68
Napoli, i taralli ’nzogna e pepe di Fortunato il tarallaro
Nunzia Manicardi
70
Una bontà della Garfagnana: il Prosciutto Bazzone
Josette Baverez Blanco 72
Prodotti tipici
54
Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98
Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 1 Gennaio-Febbraio 2021
€ 6,70
A pagina 68. In copertina: Salsiccia Passita CLAI e piadina romagnola. Piatto di Elisa Sasso Ceramiche (photo © Massimiliano Rella).
6
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Nutrizione
Il prosciutto Crudo di Cuneo DOP nella Dieta Mediterranea: sempre meno sale, sempre piĂš gusto
74
Street food
Anche Genova ha il suo mercato del gusto: si chiama MOG
Massimiliano Rella
76
Pasta
Sebadas, la pasta che si crede dolce corre per l’IGP
Sebastiano Corona
78
Formaggio
Professione infossatore
Massimiliano Rella
80
Vino
Liechtenstein, vigne e vini del Principato
Riccardo Lagorio
84
Un secolo di Cantina Garuti
88
I vini di Premiata Salumeria Italiana
Degustazione: dolci fritti
Laura Franchini
90
Bevande
Jameson Distillery, la magia del whisky irlandese
Massimiliano Rella
94
Fiere
Marca by BolognaFiere 2021
98
A pagina 70. A pagina 45.
A pagina 84.
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Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Il calore di casa in ogni momento
QualitÃ
Famiglia
Tradizione
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SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE
SENZA GLUTINE
A pagina 90.
A pagina 114. A pagina 102.
Sicurezza alimentare
Inoculi starter e controllo dei processi per un buon salume
Giulia Mauri
Tecnologie
Per le aziende alimentari l’uso dell’ERP tagliato su misura per le loro esigenze diventa ancora più importante in periodi di crisi
102 106
Sono 180 grammi, lascio? Un cane da pastore, tra lupi ed agnelli
Giovanni Papalato
110
Storia e cultua
French toast e pain perdu
Nunzia Manicardi
112
La donna e il sacrificio del maiale
Giovanni Ballarini
114
La sagra del bollito di San Pietro in Casale per Re Sandròn Spaviròn
Josette Baverez Blanco 116
Libri
Il pane fra sacro e umano
118
Tre Libri
Ostinati – Ricette Rubate – La main à la pâte
120
www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 10
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020
blickdesign.it
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IMMAGINI
Massimiliano Rella ha incontrato il giovane “infossatore” Matteo Bartoloni, che lo ha portato nella grotta di famiglia a Centinarola di Fano (PU) per mostrargli le tecniche di produzione dello straordinario Formaggio di Fossa di Sogliano DOP. Il racconto lo potete leggere e “ammirare” a pagina 80 (photo © Massimiliano Rella).
12
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Senza Conservanti Senza Senza Glutine Glutine Con Con Sale Sale Marino Marino
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TENDENZE Il cibo metafora dell’Italia e degli Italiani
Ancora una volta il cibo è metafora dell’Italia e degli italiani. Assieme alla salute e alla casa, rimane l’ultimo argine alla riduzione dei consumi rispetto al pre-Covid. È quanto emerge dal sondaggio “2021, l’anno che verrà” svolto in collaborazione COOP-NOMISMA e nell’indagine “2021 Restart”. Ciò nonostante, quello del 2021 sarà per molti un cibo “sobrio”: se per il 71% del campione questa voce di spesa rimarrà stabile, un 15% intende infatti risparmiare. Continua l’onda lunga dello slow cooking, la nuova strategia degli Italiani per spendere meno, acquistando più ingredienti di base e meno piatti pronti, e contemporaneamente difendere qualità e salubrità del proprio cibo spesso cucinandolo da sé (il 30% già ad agosto prevedeva di dedicare più tempo alla preparazione dei pasti). Inoltre, secondo gli executive della filiera alimentare, gli acquisti si concentreranno maggiormente sugli alimenti prodotti con materie prime italiane e naturali/sostenibili: rispettivamente il 53% e il 48% del campione ritiene che queste categorie registreranno le migliori performance rispetto all’anno precedente, oltre che con ingredienti freschi (in crescita per il 52%). Proprio il concetto di prodotto sostenibile però si fa più articolato e al generico rispetto dell’ambiente si affiancano il concetto di produzione locale o legata al territorio, col 50% che abbina questo tema alla sostenibilità e a una filiera controllata (49%). Compare anche il principio della giusta remunerazione per i vari attori della filiera (fonte: paolodecastro.it; photo © Marc Roche – stock.adobe.com).
14
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
SALUMI & CO. Vintage è
per sempre
È sostenibile perché consente di mantenere in utilizzo prodotti e articoli oltre il loro ordinario ciclo di vita. È affascinante perché dona quel tocco di fascino in più. È l’idealizzazione del passato. Il vintage in salumeria, che sia un’insegna, un arredo o un complemento, crea atmosfera e dà personalità al locale. A Nipper Milano abbiamo trovato questa Berkel Volano L16 rossa, un modello straordinario e, a tutti gli effetti, un’opera d’arte per uso professionale (photo © instagram.com/nippermilano).
T-SHIRT e IRONIA Da esporre in salumeria, da indossare dietro al bancone, da omaggiare a chi vuoi tu, le T-Shirt di Elvis Lives Roma sono sempre una certezza. Di questi tempi, poi, tra DPCM, regioni a colori e una sottile ansia che avvolge tutti non ci resta davvero che l’ironia! Questa maglietta in cotone organico ci guida anche a scegliere i giusti ingredienti della carbonara e si può acquistare su shop.elvislives.it (photo © shop.elvislives.it).
Buono
E BELLO Ottimo per la qualità ma sicuramente anche un oggetto da conservare: è l’olio extravergine di oliva biologico della linea Costiera Amalfitana dell’azienda agricola Bioagrimar (bioagrimar.com) di Genzano di Lucania (PZ). Si può ordinare anche on-line. Spedizioni in tutta Europa (photo © instagram.com/bioagrimar).
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Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)
FOTOGRAFATI E MANGIATI
BRESAOLAZERO ANGUS di Giò Porro www.gioporro.com
Produttore: SEP Valtellina Srl, Ponte in Valtellina (SO). Regione: Lombardia. Ingredienti: carne di bovino, sale, aromi naturali. Senza: nitriti, nitrati, glutine, lattosio, destrosio. Descrizione: questa stupenda bresaola ricavata dalla sola punta d’anca fresca di bovini di razza Black Angus è stagionata e affinata per oltre 5 mesi. La carne è caratterizzata da un particolare grado di marezzatura. Il prodotto finale ha un sapore profumato e maturo, molto piacevole all’assaggio. In abbinamento a: un calice di Sfursat di Valtellina.
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Premiata Salumeria Italiana, 1/21
SALAME DI SUINO NERO di Gianni Giardina facebook.com/MacelleriaGiardina
Produttore: Macelleria Giardina, Canicattì (AG). Regione: Sicilia. Ingredienti: carne di suino Nero dei Nebrodi, spezie. Senza: glutine. Descrizione: questo profumatissimo salame realizzato dal butcher e norcino siciliano Gianni Giardina, dell’omonima macelleria di Canicattì, in provincia di Agrigento, è realizzato lavorando le carni di maiale di Nero dei Nebrodi a cui si aggiungono le spezie. Il risultato è quello di un salame inconfondibile, profumatissimo, il cui colore e la consistenza della materia prima conferiscono al prodotto caratteristiche uniche. In abbinamento a: un calice di Sambuca di Sicilia rosso riserva.
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
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CALENDARIO FIERE
Fiere, eventi, convegni
2021
ITALIA
MARCA BY BOLOGNAFIERE Salone internazionale sui prodotti a Marca del Distributore Bologna, 24-25 marzo Organizzazione: BolognaFiere Associazione della Distribuzione Moderna (ADM) www.marca.bolognafiere.it 29O MERANO WINEFESTIVAL MWF 2021 Merano (BZ), 26-30 marzo Organizzazione: Gourmet’s International Srl/GmbH info@meranowinefestival.com meranowinefestival.com Photo © @tastefirenze TASTE In viaggio con le diversità del gusto Firenze, 10-12 aprile Organizzazione: Pitti Immagine taste.pittimmagine.com CHAMPAGNE EXPERIENCE Roma, 16-17 maggio Organizzazione: Club Excellence champagneexperience.it
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Premiata Salumeria Italiana, 1/21
Photo © Jenifoto
MEAT-TECH BY IPACK-IMA Processing & Packaging Milano, 17-20 maggio Organizzazione: Ipack Ima Srl sales@ipackima.it www.meat-tech.it
CIBUS 20O Salone internazionale dell’Alimentazione Parma, date da definire (giugno o settembre) Organizzazione: Fiere di Parma Spa cibus@fiereparma.it cibus.it
VINITALY 54a edizione del Salone internazionale dei vini e dei distillati. In contemporanea con ENOLITECH e SOL&AGRIFOOD Verona, 20-23 giugno Organizzazione: Veronafiere www.vinitaly.com
Premiata Salumeria Italiana, 1/21
SANA Salone internazionale del biologico e del naturale Bologna, 9-12 settembre Organizzazione: BolognaFiere www.sana.it
IMEAT BY ECOD La fiera dedicata al negozio di macelleria, gastronomia e ristorazione specializzata Modena, 12-14 settembre Organizzazione: Ecod Srl marketing@imeat.it imeat.it
HOST MILANO Fiera della ristorazione e dell’accoglienza Milano, 22-26 ottobre Organizzazione: Fiera Milano Spa host.fieramilano.it
TUTTOFOOD Milano World Food Exhibition Milano, 22-26 ottobre Organizzazione: Fiera Milano Spa info@tuttofood.it tuttofood.it
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ESTERO SPECIALTY FOOD LIVE Virtuale (NY, USA) 19-22 gennaio Organizzazione: SDA Specialty Food Association www.specialtyfood.com ANUFOOD CHINA Shenzhen (Cina) 21-23 aprile Organizzazione: Koelnmesse Srl info@koelnmesse.it www.anufoodchina.com
ALIMENTARIA In contemporanea con HOSTELCO Barcellona (Spagna) 17-20 maggio Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentaria.com www.hostelco.com
PLMA WORLD OF PRIVATE LABEL Il Mondo del Marchio del Distributore Amsterdam (Olanda) 18-19 maggio Organizzazione: Private Label Manufacturers Association www.plmainternational.com SIRHA FOOD Lione (Francia) 29 maggio – 2 giugno Organizzazione: GL Events sirha@gl-events.com www.sirha.com MARCA CHINA International Private Label Fair Shenzen (Rep. Pop. Cinese) 8-10 giugno Organizzazione: BolognaFiere China Ltd. marcachina@bfchina.net www.marcachinafair.com SALÓN DE GOURMETS Madrid (Spagna) 21-24 giugno Organizzazione: Camera di Commercio italiana per la Spagna comercial@italcamara-es.com
www.italcamara-es.com www.gourmets.net/salon-gourmets ANUFOOD INDIA Bombay (India) 6-8 settembre Organizzazione: Koelnmesse YA Tradefair Pvt Ltd. – Koelnmesse Srl www.anufoodindia.com SIAL CHINA Shanghai (Rep. Pop. Cinese) 28-30 settembre Organizzazione: Comexposium SIAL Exhibition Co. Ltd www.sialchina.com ANUGA Colonia (Germania) 9-13 ottobre Organizzazione: Koelnmesse Srl info@koelnmesse.it www.anuga.com ALIMENTARIA FOODTEC Barcellona (Spagna) 19-22 ottobre Organizzazione: Alimentaria Exhibitions www.alimentariafoodtech.com
Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.
Photo © @SIALChina
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ph: Franceschini Vincenzo
Da oltre 50 anni curiamo i nostri prodotti con grande amore. Selezioniamo solo le migliori carni di suini Italiani e le lavoriamo nel rispetto della tradizione.
FRANCESCHINI GINO & C. SRL Via dei Marmorari, 38 - 41057 Spilamberto (Mo) Tel. + 39 (0) 59784037 - Fax +39 (0) 59784075 - info@franceschinigino.it - www.franceschinigino.it
BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA
Manifesti dei mari e della terra di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)
a Treccani ci dice che la magia è l’idea che il mondo sia governato da forze spirituali intermedie tra uomo e divinità superiore e che si possano influenzare o dominare le forze della natura e gli eventi tramite dei rituali. Mariachiara e Francesca sono gemelle, sono luce e scintille, sono tenebra e tormento, sono fatte di sangue e spezie. In un rituale magico durato 8 anni, fatto di ricette di cucina, ingredienti, fotografie e telefonate quotidiane, racconti, avventure, disavventure, tragedie vere, confessioni, sfoghi, risate e lacrime siamo diventate come le streghe evocate da Shakespeare, siamo le “sorelle strane, mano nella mano, manifesti dei mari e della terra”. Che abbiano i 16 anni di allora, i 24 di oggi o tutti gli anni futuri che spero di vedere, hanno la bellezza delle donne, la magia dell’autodeterminazione e la loro storia tribolata è senza tempo, a combatter debolezze con le quali un giorno forse faranno pace. Eravamo predestinate. La nostra amicizia ancestrale ci ha insegnato, giorno per giorno, che sacrificare è necessario ma sprecare è delitto, che lo slancio vitale rischia di seccare se non trasformato per tempo, che le spezie evocano mondi altri, suggestivi ed eccitanti, migliorando quello che si è obbligati a mandar giù. Ancestrale e senza tempo è anche il Mallegato, un salume tradizionale di San Miniato, Pisa. È fatto con sangue di maiale, cannella e noce moscata, uvetta, pinoli e grasselli marinati nel Vin Santo. È delicatissimo per preparazione e conservazione ed era necessario, un tempo, per integrare il ferro e limitar l’anemia. Protettrice del rituale magico del mallegato è la famiglia Falaschi, assieme a pochi altri maestri uniti nell’Associazione dei Sanguinacci. Si raccoglie il sangue del maiale, lo si condisce, si infila in un budello lasciandolo semipieno, si imbraca lento con lo spago e lo si mette a bollire delicatamente fino a quando non diventa sodo, si fredda e si lascia un poco asciugare. Si produce da ottobre a febbraio. Morbidi o compatti, assoluti o speziati: il Buristo senese e maremmano, il Biroldo garfagnino, il Mazzafegato umbro, la Susianella viterbese, il Sangunet pugliese, il Sanguinari calabrese, la Mustardela della Val Pellice, il Birolt della Valtellina, i Boudin francesi, la Morcilla spagnola e argentina, il Blutwurst tedesco, il Black pudding inglese, il Mustamakkara finlandese, il Blodpudding svedese, lo Sundae coreano. Come voi il sanguinaccio non ha ipocrisie, o viene amato o non viene capito. Come voi appartiene al mondo.
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ATTUALITÀ
IL BIG BEN HA DETTO STOP Dal primo gennaio 2021 la Brexit è realtà. I principi cardine della futura relazione tra Londra e Bruxelles sono fissati, senza ulteriori rinvii. Tra impegni, preoccupazioni e auspici, si apre una nuova era, non solo per la Gran Bretagna di Sebastiano Corona
opo oltre 47 anni di permanenza al suo interno, il Regno Unito ha definitivamente concluso la sua esperienza di Stato Membro dell’Unione Europea. È una fase di incertezza generale, tanto più che al momento in cui scriviamo non si conosce ancora nel dettaglio il contenuto dell’accordo, ma l’ottimismo non
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manca. «La Gran Bretagna continuerà ad avere accesso all’area di libero scambio della UE. Non ci saranno né dazi, né tariffe, ma il Paese si riprende la sua sovranità»: BORIS JOHNSON, nel suo lungo e discusso discorso alla Camera dei Comuni, è stato chiaro su questi tre aspetti, nel definire un passaggio storico da molti punti di vista, destinato
a cambiare la vita di persone e imprese e non solo britanniche. D’altronde le catastrofiche conseguenze di questo divorzio, paventate all’indomani del referendum del 2016 in cui popolo britannico ha fatto la sua scelta, non si sono di fatto concretizzate. Non nelle modalità più temute. La Gran Bretagna è un Paese dalla storia importante, da
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sempre considerato centro economico e finanziario mondiale, ha un sistema che reagisce bene al cambiamento e che tende all’equilibrio. È fiscalmente competitivo con una tassazione nel complesso ridotta e dunque polo di attrazione di investimenti dall’estero. Non sarà la Brexit a comprometterne il futuro. La domanda non è però solo come cambierà il mondo per l’UK, ma come cambierà il modo di rapportarsi ad esso. Se Londra non sarà più parte del territorio doganale e fiscale dell’UE e mancano ancora alcuni nodi da sciogliere — non ultimi gli accordi sulla pesca nelle acque britanniche, la governante, in particolare sui meccanismi da mettere in atto in caso di controversia e le condizioni per evitare una concorrenza sleale —, come dovranno essere gestiti questi cambiamenti dalle imprese che con essa hanno rapporti commerciali in ingresso e in uscita? C’è un netto cambiamento di sistema: si passa da uno armonizzato ad uno divergente e tutto da scrivere. E se questo non deve essere di per sé un problema, è comunque un passaggio che va gestito e governato e al momento richiede uno sforzo di riassetto nella gestione. Dal 31 dicembre la circolazione delle merci da e per il Regno Unito verrà considerata commercio con un Paese Terzo, con tutte le conseguenze del caso e pertanto: l’introduzione di un confine doganale, l’esecuzione di attività amministrative diverse dal passato, una nuova gestione fiscale delle transazioni, l’eventuale pagamento di dazi (al momento in realtà scongiurati), una diversa modalità nei pagamenti. Significa altresì normativa differente sia in ambito commerciale sia nei rapporti professionali, in generale, con tutte le conseguenze del caso. Quanto saranno impegnativi e costosi questi mutamenti per le imprese che con la Gran Bretagna si rapportano periodicamente è tutto da vedere; non a caso, al di là delle rassicurazioni che giungono da più parti, la preoccupazione è tanta. Si tratta di una piazza che per l’Italia vale circa 25 miliardi di euro di esportazioni complessive, 3,4 miliardi delle quali di solo agroalimentare. L’Inghilterra rappresenta il quarto mercato di sbocco per il Belpaese.
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E se i Britannici hanno rischiato di dover rinunciare al cibo nostrano per i problemi conseguenti alla Brexit, le imprese italiane possono tirare per ora, un sospiro di sollievo. Così come i produttori italiani di vini e prosecco — un mercato che vale da solo 700 milioni di euro all’anno — di ortofrutta trasformata, di pasta, salumi e formaggi, le cui esportazioni possono considerarsi al sicuro e proseguire in un trend che negli ultimi 10 anni ha fatto segnare un incremento del 48%. I timori sono diversi: il più grande è quello di essere travolti da burocrazia e complicazioni. Si pensi, per esempio, alla certificazione dei prodotti che passerà da CE a UKCA e che sarà usata per i beni immessi sul mercato di Inghilterra, Galles e Scozia, appunto. La sua apposizione sarà la prova che il prodotto è conforme a tutti i requisiti legislativi del Regno Unito applicabili e che le procedure di valutazione della conformità sono state completate con successo. Ma richiederà uno sforzo in termini di gestione, amministrazione, impiego di personale. Una complicazione che si traduce in una spesa che prima non esisteva. Non si conoscono nel dettaglio i contenuti dell’accordo, preoccupa quindi l’ipotesi di intese bilaterali del Regno Unito con Paesi come gli Stati Uniti o altri Stati che potrebbero diventare la porta di ingresso di produzioni di Italian sounding. Un altro rischio, soprattutto nell’immediatezza, è quello del rallentamento delle transazioni commerciali dovute al fatto che d’ora in poi ognuna di esse sarà di fatto considerata di esportazione a tutti gli effetti, con le relative formalità doganali. L’eventuale applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto alle merci esportate e l’eventuale introduzione di nuovi oneri comporterebbero un maggiore costo finale per l’acquirente inglese che, visto l’aumento di prezzo, potrebbe anche rinunciare a quel bene. Ma anche l’introduzione di nuove disposizioni normative avrebbe il deleterio effetto di generare costi, che andrebbero inevitabilmente a gravare sul prodotto, rendendolo meno appetibile sul mercato. A preoccupare anche i rischi sulla piena tutela giuridica dei prodotti a Indicazione Geografica (DOP/IGP) che
UKCA (UK Conformity Assessed) è il nuovo marchio del Regno Unito che sostituirà la marcatura CE e che sarà utilizzato per le merci immesse sul mercato della Gran Bretagna (Inghilterra, Galles e Scozia) dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (Brexit). La sola marcatura UKCA non potrà essere utilizzata per i prodotti immessi sul mercato dell’Irlanda del Nord, che richiedono la marcatura CE o la marcatura UK (NI). L’apposizione del marchio UKCA testimonierà che il prodotto è conforme a tutti i requisiti legislativi del Regno Unito e che le procedure di valutazione della conformità sono state completate con successo.
incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare made in Italy in Gran Bretagna e che, senza protezione efficace, rischia di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione. Rimangono inoltre da definire i dettagli conseguenti all’applicazione del level playing field, in base al quale il Regno Unito potrà continuare ad esportare anche i suoi prodotti nel mercato UE. In sintesi, le incertezze sono ancora molte e conseguentemente sono numerosi i timori. All’Italia spetta il compito di essere vigile e non perdere d’occhio un mercato che si mostra, da ogni punto di vista, tra i più importanti per l’agroalimentare nazionale e non solo. Sebastiano Corona Nota A pag. 26, photo © Lightboxx – stock. adobe.com
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IL FOOD IN RETE
SOCIAL di Elena
1. Coppiette to-go con 25 Snack Salume storico laziale, le coppiette sono oggi più moderne che mai. Se un tempo davano energia ai pastori durante i mesi della transumanza, oggi sono una fonte proteica veloce, gustosa e “a portata di tasca”. L’azienda 25 Snack, con sede a Nepi (VT), le propone in un comodo pack che contiene 25 grammi di carne di maiale essiccata a regola d’arte, ribattezzata l’Italian jerky, da usare come spuntino veloce o per l’aperitivo. Noi seguiamo 25 Snack su instagram. com/25snack. Bravissimi (photo © instagram.com/25snack).
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2. Beppe e i suoi formaggi & salumi, ecc… Non si può non seguire il profilo Instragram di Beppe e i suoi Formaggi, la bottega con ristorazione nel cuore della Capitale nata da un’idea di BEPPE GIOVALE con l’amico JONATHAN ADESSE (instagram.com/beppeeisuoiformaggi). Qui trovate non solo formaggi ma anche salumi selezionati, pane, vini, dolci. Il tutto all’insegna dell’autenticità, della tradizione e della genuinità (in foto, un Rebroson erborinato da favola; photo © instagram. com/beppeeisuoiformaggi).
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FOOD Benedetti
3. Alla scoperta della cultura cibo autentico È giovane ma con una consolidata esperienza formata all’Antica Macelleria Cecchini e in giro per il mondo con DARIO CECCHINI. È molto preparata, è una toscana DOC con sangue USA, innamorata della sua città, Firenze, e sempre pronta a viaggiare. Il profilo Instagram e le storie di Martina Bartolozzi (@mementomartina) sono ogni volta una scoperta, per i contenuti mai banali e per quella cura che impiega, frutto di tanto lavoro, nel raccontare luoghi, prodotti, mestieri, tradizioni di un’Italia il cui patrimonio culturale agroalimentare sembra davvero infinito. E sempre in doppia lingua, italiana e inglese. Ecco un esempio di grande professionalità nell’utilizzo di Instagram, dove finalmente ci sono grazia e contenuti. Brava Martina (photo © instagram.com/mementomartina).
4. La lista della spesa È un momento sempre molto personale quello della scrittura della lista della spesa, non solo perché riflette i nostri bisogni ma perché forse resta uno dei pochi momenti della nostra quotidianità in cui non utilizziamo un supporto digitale. Oggi c’è il profilo instagram.com/insta_della_spesa che raccoglie e pubblica le nostre liste abbandonate, facendoci scoprire davvero un mondo di emozioni! Come questo, scritto da una mano esperta di grafica (che rimanda al font Rothko Modern Art Deco) e che troviamo meraviglioso (photo © instagram. com/insta_della_spesa).
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Photo: Gurus Lido Vannucchi
Da oggi disponibile anche al pistacchio.
www.mortadellafavola.it
IN BUONE MANI. 100 %
CARNE
ITALIANA
AZIENDE Un suino formidabile, un processo di selezione, una filiera pregiata
IBRIDABRADA: carni e salumi di suino brado, espressione delle fertili Terre Matildiche
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ue allevamenti di maiali allo stato brado e semibrado che nascono e si sviluppano nelle cosiddette Terre Matildiche (i territori che furono dominio di Matilde di Canossa, NdR): è IBRIDABRADA, un progetto che è allo stesso tempo un suino unico e diverso, una modalità allevatoriale e produttiva e una filiera carnivora pregiata da cui
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hanno origine salumi bradi prossimi alla conquista del mercato. Affettati in comode vaschette ATP, come richiede il trend attuale degli acquisti salumieri, dal packaging elegante e facilmente riconoscibile nel punto vendita, con prosciutto crudo e prosciutto cotto come prodotti di punta. Ma facciamo un passo indietro. Siamo a Montecavolo, frazione di
Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia; una zona di colline dolci, boschi e natura verde e incontaminata, luogo ideale per l’allevamento dei suini nel rispetto del loro benessere e dei tempi di crescita naturale della specie. Qui, nei terreni di Grassano, ai piedi del Castello di Canossa, crescono liberi, forti e resistenti, senza l’uso di antibiotici, gli animali di IBRIDABRADA.
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«IBRIDABRADA nasce nel 1989 come azienda agricola che contava su un allevamento suino allo stato brado e semibrado frutto dell’esperienza e passione dell’allevatore proprietario» ci racconta il direttore commerciale di IBRIDABRADA MASSIMILIANO CIRI. «Nel processo di rinnovamento dell’allevamento, dopo attente valutazioni, si decise di incrociare gli esemplari di
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Il prosciutto crudo in vaschetta di suino brado di IBRIDABRADA e il Castello di Rossena, nel comune di Canossa (RE), il più bello e meglio conservato dell’intera area matildica. Fu il conte Adalberto Atto, bisnonno di Matilde di Canossa, a costruire il castello nel 960 circa (photo © www.altamedia.net).
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L’espositore frigo IBRIDABRADA. Cinta senese in purezza con verri Duroc italiani, dando origine ad un meticcio che assomiglia ad entrambe le razze dal punto di vista del fenotipo, ma possiede una carne unica nel suo genere, di un colore rosso intenso e con una notevole marezzatura, un grasso salubre. Il nome dell’azienda deriva proprio da qui, dato che si tratta di un ibrido allevato allo stato brado». I terreni adibiti all’allevamento vengono aperti a rotazione dopo semina e riposo per rispettare la rigenerazione del pascolo. Farine e mangimi naturali sono l’unico supporto all’alimentazione brada, il che conferisce a questa carne un sapore unico, inconfondibile. Prima della macellazione, che avviene con taglio rigorosamente artigianale, i suini selezionati vengono fatti riposare in porcilaia per rilassarne le carni e renderle ancora più tenere. Quella di IBRIDABRADA è infatti una carne con importanti infiltrazioni di grasso intramuscolare, ricco di grassi insaturi e polinsaturi, Omega-3, che le donano tenerezza e succosità. «Dal 2016, IBRIDABRADA ha puntato in alto trasformandosi da azienda agricola ad azienda vera e propria» prosegue Massimiliano Ciri. «Un processo reso possibile dall’acquisizione della stessa da parte di un’importante compagine reggiana di proprietà di tre noti industriali e con la successiva nascita di un ulteriore allevamento a Pecorile, sempre nelle colline reggiane.
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L’obiettivo finale era infatti quello di realizzare un progetto innovativo di filiera agroalimentare basato sul suino brado, mangimi compresi. Creare cioè una filiera che, oltre a rispettare il benessere animale, potesse offrire la massima qualità in tutte le sue fasi, dal concepimento all’allevamento fino alla lavorazione e stagionatura del prodotto finito». Nel 2019 la filiera IBRIDABRADA si è completata con l’acquisizione del Nuovo Salumificio Vitali di Gaggio Montano (BO), con annesso macello artigianale e la messa sul mercato di una linea di salumi affettati in vaschetta. «La linea sarà sul mercato da febbraio 2021» puntualizza Massimiliano Ciri. «Ad oggi abbiamo ottenuto riscontri molto positivi sia sul prodotto che sul packaging. La nostra proposta commerciale ci vede con un posizionamento “conveniente” per il cliente rispetto ai competitor del segmento brado, con una strategia che prevede anche il comodato d’uso di un espositore frigo brandizzato ed attività in store promotion per comunicare al meglio il nostro valore ed identità. Crediamo molto nel nostro prodotto e siamo disponibili ad attività di comunicazione personalizzate nel punto vendita». Effetto coronavirus: come sono andate le cose nell’anno appena trascorso, un anno che definire “complicato” è certamente riduttivo? «Fortunatamente l’azienda nel complesso ha chiuso il 2020 in maniera molto positiva, con una crescita in linea con quelli che erano i nostri obiettivi. La nostra velocità d’azione è stata notevole, abbiamo dovuto adattarci al nuovo contesto legato all’emergenza sanitaria in fretta, con un’accelerata importante da luglio fino a fine 2020. In quel periodo abbiamo pensato ed agito con una nuova identità e linea strategica. La spinta di quei mesi ci pone oggi sul mercato come azienda nuova in tutto e per tutto». Quali sono le caratteristiche della vostra linea di salumi affettati in vaschetta? «L’offerta nel mondo dei salumi affettati in vaschetta preformata in atmosfera protettiva, taglio caldo, fetta mossa, vede il prosciutto crudo brado e il prosciutto cotto brado come prodotti di punta, proposti rispettivamente in
vaschetta ATP da 70 grammi e 90 grammi. In catalogo abbiamo però anche salame brado (70 grammi), guanciale brado (70 grammi) e bresaola di suino brado (70 grammi)». Le confezioni sono bellissime: il prodotto risalta in pieno, colpisce immediatamente e invoglia all’acquisto. «Si tratta di una gamma che nasce con le caratteristiche convenzionali del preformato con la logica di lasciar “parlare” il prodotto e proporlo al meglio. Allo studio, però, ci sono anche progetti su linee innovative complementari a questa proposta, nella quale crediamo molto e che intendiamo sviluppare e consolidare. Nel futuro in generale, stiamo approfondendo anche la nascita di prodotti novità legati ad un consumo in cucina sia per la salumeria che per le carni nei tagli speciali che solo con tale suino si possono realizzare». A febbraio il lancio della linea di affettati. Obiettivo Italia o anche fuori dai confini nazionali? «Il nostro intento è quello di presidiare bene tutti i mercati sia nazionali che internazionali. Stiamo sondando alcuni Paesi come Francia, Germania, Svizzera e vediamo che c’è un ottimo potenziale per il nostro prodotto. Alla luce di ciò abbiamo potenziato la struttura commerciale con un nuovo Export Sales Manager che va ad integrare l’altrettanto nuovo Field Sales Manager per il mercato Italia. Su questi fronti, in azienda lavora un nuovo team competente, snello, efficace e motivato. Siamo soddisfatti e pronti per un 2021 da protagonisti».
IBRIDABRADA Sede legale: Via E. Lazzaretti 2/1 42122 Reggio Emilia Telefono: 0522 510200 Sede produttiva: Via P. Fabbri 7 40041 Gaggio Montano (BO) Telefono: 0534 28530 E-mail: info@ibridabrada.it Web: www.ibridabrada.it
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Nuova governance per FICO Eataly World: la riapertura a primavera Un piano strategico triennale innovativo per dare vita al nuovo FICO, con un forte patto tra investitori, società di gestione e operatori, dotato di capitali freschi per 5 milioni di euro ed una solida governance. Il 2021 di FICO Eataly World si apre con importanti cambiamenti, puntando alla riapertura del parco del cibo a primavera inoltrata. Costretto a chiudere i battenti per l’emergenza Covid, FICO ripartirà sotto la guida di Stefano Cigarini in veste di amministratore delegato, mentre nel Consiglio di amministrazione della società di gestione Eataly World — ora presieduto da Tiziana Primori, alla quale si devono il progetto e l’apertura della start-up a fine 2017 — entrano Stefano Dall’Ara, direttore delle Partecipate di Coop Alleanza 3.0, e Nicola Farinetti per Eataly. Il Piano ha ottenuto il via libera anche del Fondo PAI–Parchi Agroalimentari Italiani Comparto A, gestito da Prelios Sgr e sottoscritto da oltre 25 investitori, tra i quali CAAB, il Centro agroalimentare di Bologna di cui è direttore generale Alessandro Bonfiglioli. Il nuovo AD col suo staff ha messo a punto il piano, approvato dal CdA di Eataly World, che riprogetta in maniera importante l’esperienza per i visitatori ed il business model di FICO, pronto a cambiare volto e strategie nei prossimi mesi. I lavori di trasformazione sono partiti e vedranno modifiche sostanziali nel lay-out e nella modalità di fruizione della struttura, funzionali anche a un diverso approccio di marketing e commercializzazione, a partire dall’introduzione di un biglietto di ingresso. Obiettivo, arrivare al termine del triennio a risultati positivi e a un nuovo piano di sviluppo e crescita del parco. Il nuovo FICO si svilupperà su 100.000 m2 coinvolgendo tutti i sensi, un vero e proprio “parco da mangiare” non solo col palato. Grandi scenografie divideranno il parco in 7 aree a tema e il divertimento sarà assicurato dal Parco Luna Farm. Determinante sarà il ruolo delle aziende di eccellenza italiane e dalle grandi marche dell’Italian food che a FICO offriranno ristorazione, street food, prodotti e produzione dal vivo: per esaltare e raccontare il cibo, offrire degustazioni ed esperienze, assicurando ai visitatori il massimo coinvolgimento (photo © instagram.com/eatalyworld). >> Link: www.eatalyworld.it — instagram.com/eatalyworld
ROMAGNOLA, DOLCE E DELICATA: LA PASSITA LAI, Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi oggi è una delle più importanti cooperative agroalimentari italiane che opera nel settore dei salumi e delle carni fresche bovine e suine. Da tre generazioni, i circa 150 soci allevatori del Gruppo CLAI gestiscono i propri allevamenti e conferiscono il bestiame alla cooperativa. CLAI coltiva terreni, gestisce l’allevamento, il conferimento
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del bestiame da parte dei soci allevatori e svolge internamente ogni fase della lavorazione — dalla macellazione alla produzione — controllando l’intera filiera delle carni, filiera 100% Italiana. Nuova linea preaffettati e la Salsiccia Passita La filiera CLAI integra e garantisce il patrimonio della tradizione con le nuove esigenze nutrizionali e gli stili di vita del
consumatore, abitudini che la situazione pandemica sta portando sempre di più frequentemente al consumo di prodotti preaffettati. Per rispondere ai nuovi bisogni del cliente CLAI ha lanciato una nuova linea di affettati, che vede come prima proposta distintiva la Passita. La Salsiccia Passita CLAI è la tipica salsiccia romagnola, dal gusto dolce e delicato, insaccata in budello naturale, prodotta rispettando l’antica ricetta con le migliori carni magre di suini nati e allevati in Italia della Filiera CLAI. Viene sottoposta ad una breve e delicatissima stagionatura mirata ad ottenere un prodotto tenero, dolce e facile da pelare. Un salame sottile unico nel suo genere, ideale per ogni tipologia di consumo e vendita. Ingredienti Carne 100% italiana di filiera CLAI. Peso medio/pezzature Disponibile in un’elegante vaschetta da 90 grammi, sfusa in budello naturale da 500 grammi e in una esclusiva confezione regalo in scatola. Caratteristiche Un prodotto ideale per ogni tipologia di consumo e di vendita: dagli aperitivi al tagliere italiano classico, come pasto o spuntino veloce, da banco taglio e libero servizio.
La Salsiccia Passita CLAI.
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ARTI E MESTIERI
Scienza, tecnica e arte nell’affettatura dei salumi di Giovanni Ballarini
a forma è espressione di stile, arte e sostanza, in tutti i campi, anche in cucina. Un esempio ormai classico è quello delle Pringles, note per la particolare forma, geometricamente definita come un paraboloide iperbolico, che
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permette loro di appoggiarsi sulla lingua e consente un apprezzamento completo della croccantezza, aroma e sapore delle patatine. Una forma ottenuta con uno speciale macchinario brevettato e che ha assicurato al marchio, unitamente alla particolare forma della scatola, il
successo commerciale. La forma degli alimenti come espressione artistica e di stile ha radici antiche e l’arte del taglio dei salumi è uno dei segreti che concorre ad esaltarne l’apprezzamento in termini di palatabilità, aroma e sapore. Per gustare un qualsiasi salume fondamentale
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PER IL TAGLIO DEI SALUMI È BENE RISPETTARE LA STRUTTURA DEL PRODOTTO. LA SEMPLICITÀ CON CUI SI RIESCE AD AFFETTARLO È INOLTRE SINTOMO DELLA SUA QUALITÀ PERCHÉ SALUMI POCO STAGIONATI O SCADENTI TENDONO A PERDERE DI ELASTICITÀ E SONO PIÙ SOGGETTI A ROTTURE
IL TAGLIO OTTIMALE DEVE ESSERE ESEGUITO DA UNA MANO ESPERTA CHE CONOSCE GLI ATTREZZI IDONEI E LA TECNICA PERFETTA PER OGNI TIPO DI SALUME, RICORDANDO CHE PER PRODOTTI CON STAGIONATURA LUNGA È MEGLIO OPTARE PER IL TAGLIO AL COLTELLO
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è sapere come praticare il giusto taglio. Una fetta tagliata male può rovinare l’esperienza di gusto del prodotto, mentre affettare a “regola d’arte” è la prima “regola” per assaporare al meglio la sua bontà. Il taglio non è solo una pratica necessaria ma una vera e propria arte che deve interpretare i caratteri del salume e il suo “uso”, se assaporato cioè da solo o associato con altro cibo, o se inserito in ricette che prevedono una cottura di diverso tipo, non trascurando l’utilizzo degli strumenti più adatti per ottenere il risultato finale voluto. Arte del taglio L’arte del taglio si rifà ai banchetti, attraverso i quali i potenti manifestano la propria ricchezza e stato sociale e sono quindi carichi di un valore sociale e politico. Nell’antica Roma attendono al convivio addetti specializzati e tra questi gli scissores, responsabili del taglio delle carni portate in tavola. Nel Rinascimento, quando il banchetto assume una valenza rituale, un ruolo importante ha il trinciante. Nel 1581 VINCENZO CERVIO, trinciante di Casa Farnese, dà alle stampe “Il Trinciante”, un trattato sul taglio delle carni, e nel 1647 JACQUES VONTET a Lione pubblica L’art de trancher la viande et toutes sortes de fruits. Il trinciante non è un cuoco e di frequente è di famiglia nobile, se non addirittura appartenente allo stesso casato dell’anfitrione, e ha il compito di trinciare le varie tipologie di carni presenti attribuendo ai vari commensali — di cui deve conoscerne i personali gusti —, quale parte gli spetta secondo una tacita ma precisa graduatoria. Il trinciante davanti al signore e con gli strumenti più idonei trincia ogni tipo di vivanda, in quanto in tale momento storico non si fa uso delle posate e si mangia con l’aiuto delle mani. Per portarsi alla bocca qualunque cibo questo deve essere preparato in modo tale e nelle dimensioni appropriate da non creare difficoltà all’ospite per cui esistono scuole per imparare l’arte dello scalcare e soprattutto l’arte di “tranciare in aria”. Quasi come un giocoliere il trinciante prende la forcina con la mano destra, con un elegante movimento lo lancia nella sinistra e quasi contemporaneamente con la destra prende un coltello da trancio che ha l’eleganza di
una spada. Con la forcina il trinciante infilza il pezzo da tagliare e tenendolo sospeso in aria lo trincia in modo da ottenere piccoli pezzi o strisce facilmente mangiabili, che lascia cadere ordinatamente in un vassoio, mentre le parti più pregiate sono fatte cadere davanti ai signori e ai notabili presenti al banchetto. Prima di autorizzare alla servitù il servizio delle carni tagliate ai commensali, con la punta del coltello il trinciante prende il sale dalla saliera e ne cosparge il bordo del piatto. Il taglio delle carni fin dall’Età della pietra era fatto esclusivamente col coltello e solo recentemente con una macchina, l’affettatrice, un capolavoro di tecnologia. Uno dei primi prototipi viene inventato nel 1862 dal meccanico bolognese Luigi Giusti. L’affettatrice permette il diffondersi nel mondo della salumeria italiana, accompagnando lo sviluppo delle esportazioni dei nostri prodotti, ma non soppianta completamente il taglio a coltello tradizionale. Affettatura, qualità estetiche e gustative Affettare correttamente un salume è necessario per esaltarne la qualità e le proprietà estetiche perché una fetta tagliata irregolarmente, troppo grossa o troppo sottile, porta a negative conseguenze all’assaggio. La prima regola per il taglio dei salumi è che bisogna rispettare la struttura del prodotto: il salume va affettato trasversalmente e in quelli più grandi la fetta va ricavata sul lato più lungo in modo parallelo. La semplicità con cui si riesce ad affettarlo è inoltre sintomo della buona qualità del prodotto, perché i salumi poco stagionati o scadenti tendono a perdere elasticità e sono più soggetti a rotture durante il taglio. Per quanto riguarda lo strumento da utilizzare gli esperti e i puristi suggeriscono di praticare il taglio a mano con un coltello di acciaio inossidabile che, a differenza del ferro, non corre il rischio di ossidazione in seguito al contatto con i grassi dei salumi. Non bisogna però escludere il ricorso all’affettatrice, ormai presente nelle case di molte famiglie italiane e strumento utile e rapido, con l’avvertenza di attendere alcuni secondi tra una fetta e l’altra per evitare il riscaldamento della lama e l’alterazione del
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La nascita delle affettatrici a volano Berkel risale a fine ‘800, quando un macellaio di Rotterdam, Guglielmo Van Berkel, stanco delle lamentele della sua clientela relative all’irregolarità del taglio dei salumi, cercò di trovare un dispositivo meccanico che riuscisse a tagliare i salumi e le carni in modo manuale. Effettuando delle ricerche, si accorse che anche altri inventori come lui avevano concepito tale idea, ma queste costruzioni seppur ingegnose non erano pratiche. Van Berkel ebbe però un’idea geniale: combinò una grande lama circolare ad un grosso volano da azionare manualmente e, dopo diversi tentativi, trovò la formula giusta. Nel 1888 aprì la sua prima fabbrica in una ex tipografia (photo © karina – stock.adobe.com). gusto. Per il prosciutto crudo è necessario un taglio delicato e omogeneo che deve interessare in modo uniforme la parte grassa e quella magra e, rispetto al taglio a macchina, con quello a coltello è più facile personalizzare le fette in base ai gusti di ognuno. Per salumi come la mortadella, il prosciutto cotto e la bresaola ideale è un taglio sottile per favorire l’apprezzamento dell’aroma e del sapore collegati ad una piacevole sensazione di scioglievolezza al palato. I salami devono essere tagliati tenendo conto della dimensione e della stagionatura per non rischiare di
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sbriciolare le fette e, come insegna la tradizione, quelli grossi richiedono un taglio dritto, quelli di minore dimensione un taglio obliquo per avere una fetta allungata per una migliore presentazione sul piatto, ma soprattutto deve avere più o meno la dimensione della lingua sulla quale la fetta si deve appoggiare per poterne apprezzare tutte le caratteristiche gustative. Gli amanti dei salumi sanno che l’esperienza aiuta a perfezionare il taglio al coltello e a macchina e con attenzione e pratica si possono ottenere tagli capaci di esaltare il gusto di ogni tipo di salume.
La mortadella e l’invenzione dell’affettatrice La mortadella di Bologna ha storia antica e per essere di buona qualità deve avere dimensioni ragguardevoli e essere gustata in fette tanto sottili da essere quasi trasparenti. Attraverso la fetta, secondo un detto locale, si dovrebbe poter vedere il Santuario della Madonna di San Luca posto sulla collina che domina la città! Per fare questo è necessario usare una coltellina affilatissima e procedere con grande perizia, soprattutto per affettare mortadelle di grandi dimensioni. Bologna, città non solo grassa, ma anche dotta (è infatti sede della più
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antica università europea, del 1088), è Terra d’Arte Meccanica: si pensi che i mulini da seta “alla bolognese” rappresentarono la più alta espressione della tecnologia europea sino al XVIII secolo e che nel 1891 in città venne costruito il fucile Modello 91 di alta precisione, protagonista di due guerre mondiali. Nella Bologna fine 1800 esistevano stabilimenti di produzione salumieri nei quali l’affettatura delle mortadelle era un problema: non ci si deve stupire quindi che sia stato proprio un bolognese a progettare la prima affettatrice. Luigi Giusti era un giovane meccanico che aveva la sua officina in via S. Giuseppe dietro l’Arena del Sole e che era in rapporto col Gabinetto di Fisica dell’Università di Bologna e con l’Istituto Aldini-Valeriani, sorto dalle Scuole Tecniche bolognesi istituite nel 1844 dal comune di Bologna a seguito dei lasciti testamentari del matematico LUIGI VALERIANI (1758-1828) e del fisico GIOVANNI ALDINI (1762-1834) nipote di celebre LUIGI GALVANI, e nel quale la preparazione tecnica era favorita dal connubio fra lezioni teoriche e lezioni pratiche, grazie all’annessa scuolaofficina. Nel 1873 Luigi comunicava di aver messo a punto una macchina per affettare la mortadella e di questo ne dava notizia il Monitore di Bologna del 3 maggio: “Un giovane di distintissimo ingegno, in questo genere di cose, e che ben altri lavori e di maggior importanza eseguirebbe, qualora non gli mancassero opportune occasioni e l’appoggio di chi siede in alto, ha inventato una elegante macchinetta che taglia qualunque mortadella in fette di eguale spessore, variabile entro certi limiti”. Di fronte a questa invenzione storsero il naso i puristi e i tradizionalisti della cucina petroniana, che preferivano il taglio a mano con la coltellina, ma il tempo approverà la nuova invenzione. Già nel 1870 in Olanda il costruttore di macchine BURGERS aveva brevettato una macchina semi-automatica per affettare gli alimenti, ma il primato della produzione industriale delle affettatrici di salumi spetta alla ditta Berkel, fondata da WILHELMUS ADRIANUS VAN BERKEL (18691952), che ne brevetta il primo esemplare, iniziandone la fabbricazione in serie a partire dal 1898. Van Berkel, un macellaio appassionato di meccanica, voleva realizzare un apparecchio in
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Il modo migliore per tagliare un salame? Certamente a mano, poggiandolo su un tagliere ampio, di legno o di plastica, e utilizzando un coltello lungo, sottile e ben affilato, meglio se senza denti. La tradizione raccomanda di tagliare le fette dello spessore di un grano di pepe, quindi né troppo sottili ma nemmeno troppo spesse, avendo cura, prima di iniziare il taglio, di eliminare le muffe tipiche della stagionatura dal prodotto (photo © LIGHTFIELD STUDIOS – stock.adobe.com) grado di tagliare le fette di carne senza fare ricorso al taglio col coltello e dopo numerosi esperimenti inventò una lama concava, ruotante perpendicolarmente contro un piatto mobile con scorrimento avanti e indietro, su cui andava collocata la carne o il salume da affettare. La prima fabbrica venne inaugurata a Rotterdam il 12 ottobre 1898: un anno più tardi era in grado di sfornare 84 affettatrici. La produzione aumentò con una sessantina di modelli sempre più perfezionati, fino alla metà degli anni
Sessanta del secolo scorso, quando iniziarono a si diffondersi le affettatrici elettriche. Nel 1993 la Berkel è stata acquisita dalla multinazionale inglese GEC e nel 2004 è approdata a Milano, dove è prodotto un modello nello stile originario manuale, miracolo di meccanica e tecnologia e sofisticata eleganza, oggetto cult ricercato dai collezionisti e dal mercato antiquario e che diviene anche elemento di arredo per ristoranti e boutique gastronomiche ma anche status symbol per le cucine di casa.
IL SEGRETO PER ESALTARE IL BUON SAPORE DEI SALUMI PARTE DAL TAGLIO: UNA FETTA TAGLIATA MALE PUÒ INFATTI ROVINARE L’ESPERIENZA DI GUSTO, MENTRE AFFETTARE A “REGOLA D’ARTE” È LA PRIMA “REGOLA” PER ASSAPORARE AL MEGLIO IL SAPORE E LA BONTÀ DEI PRODOTTI DI NORCINERIA
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Affettatrici tra status symbol e collezionismo Dopo il 1945 compaiono i primi prototipi a motore elettrico con rotazione coassiale o perpendicolare all’asse di rotazione della lama e negli anni ‘50 ‘60 e ‘70 l’affettatrice elettrica diviene un elettrodomestico per le famiglie, oltre che una macchina per macellai professionisti. In America l’affettatrice si trasforma in un all-kitchen-must-have (che tutte le cucine devono avere) di vario colore, con la linea caratteristica del tempo, lo streamline, tipica forma a goccia dell’epoca, in anni nei quali è fondamentale un’operazione di marketing rispetto al prodotto. Le caratteristiche fondamentali diventano la facilità nella pulizia, la dimensione della lama, i materiali, la facilità di assemblaggio disassemblaggio e riassemblaggio. Dopo il boom economico di metà Novecento, l’affettatrice rimane uno strumento largamente usato dai macellai e anche dagli utenti in ambito domestico e l’arrivo dei grandi supermercati apre un nuovo canale di vendita per le affettatrici. Da questa nuova esigenza del mercato nascono numerose aziende soprattutto in Italia e Germania dove il consumo di salumi è radicato nella cultura nazionale. Oggi le affettatrici si dividono in diverse tipologie, manuali a volano e elettriche, da casa e professionali, anche automatiche. Un nuovo aspetto che interessa le affettatrici è il collezionismo, una passione che riguarda l’estetica e il meccanismo di funzionamento degli ingranaggi. Tra gli esemplari preferiti dai collezionisti vi è il modello A, la prima Berkel, un tempo conservata nel museo aziendale di Van Berkel a Rotterdam, ma anche il n. 20, in produzione tra il 1930 e il 1935, che presenta caratteristiche meccaniche raffinate che anticipano la futura evoluzione tecnologica dell’apparecchio come, ad esempio, l’avanzamento a vite senza fine non più anteriore, ma posteriore. Altri modelli di grande perfezione meccanica e molto ricercati sul mercato antiquario sono quello della primissima serie, contraddistinta dalla lettera L, in fabbricazione tra il 1899 e il 1910, il n. 3 (1915-21) e il n. 5 (1918-1929). Va anche ricordato che alle macchine iniziali di colore rosso, che ha abbrac-
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ciato l’85% della produzione, si sono affiancate quelle di colore nero o di color crema, queste ultime destinate soprattutto ad ospedali e luoghi di cura. Maestri di Lama per salumi di alta qualità Come il servizio del vino, soprattutto di certi vini pregiati e costosi, ha bisogno dell’esperienza di un sommelier, allo stesso modo i salumi d’alta qualità hanno necessità di Maestri di Lama capaci d’interpretarne le caratteristiche, mettendone in luce peculiarità e qualità. Nella salumeria italiana vi è stata un’importante evoluzione dovuta alla comparsa e alla diffusione di salumi, prosciutti soprattutto, ottenuti da particolari razze, come i suini neri nazionali e esteri. Questi prodotti, per essere apprezzati in pieno, hanno necessità di una affettatura adeguata, fatta utilizzando lame affilate e soprattutto usate da operatore addestrati. Il che significa ritornare al passato, far rivivere un’arte quasi dimenticata, ma anche definire gli standard di affettatura dei diversi salumi italiani e al tempo stesso educare i consumatori alle dimenticate caratteristiche dei salumi. Infatti le dimensioni ideali della fetta e lo spessore necessario per permettere una percezione gustoolfattiva e una masticazione perfetta dei salumi non sono uguali a quelli ai quali il consumatore medio è abituato. Il taglio manuale dei salumi Anche in Italia esistono Maestri di Lama, artisti nel taglio manuale, esperti nel disosso e padroni dello stile del taglio dei salumi, che operano soprattutto nei ristoranti dove si inizia a educare il consumatore a questa antica novità. Non tutti i salumi però si prestano ai rituali messi in opera dai Maestri di Lama: i salumi più adatti, e in particolare i prosciutti e le spalle, devono essere ben stagionati e per un lungo periodo, con carni che devono avere una buona infiltrazione di grasso. L’arte del taglio manuale anche in Italia si sta tramandando da maestro ad allievi, come avveniva nelle botteghe rinascimentali, e non vi sono scuole per formare professionisti del taglio a mano dei salumi di alta gamma come avviene in Spagna, ad esempio nella scuola di Jesús Serrano, la Escuela Internacional de Cortadores de Jamón
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(escueladeljamon.com), che offre corsi didattici differenti per tagliatori di prosciutto o di tecniche di taglio. Per quanto riguarda il prosciutto, il salume maggiormente interessato al taglio a mano, fondamentale è la posizione del tagliatore. Secondo la scuola spagnola il tagliatore deve mettersi di fronte al prosciutto e non di lato, in modo da gestire meglio il prodotto col taglio della fetta orizzontale. Nella scuola italiana c’è invece ammette anche un taglio verticale, che parte dalla punta verso il basso. La vera abilità del tagliatore sta nel tenere il taglio dritto, senza curvature nella parte centrale del prosciutto, perché la lama del coltello possa aderire perfettamente sulla superficie tagliata. Per una perfetta degustazione è necessario presentare affettate le tre parti del prosciutto (punta, parte centrale e gambetto), in modo che il consumatore possa capire i diversi sapori. Le fette devono essere piccole e uniformi, quattro parti di magro e una parte di grasso, senza parti rancide e tagliate più sottili possibili, servite con una pinzetta in acciaio a una temperatura di 22/23 °C. Anche i “ferri” del mestiere sono fondamentali e comprendono coltelli di varie lunghezze, di ottima qualità, come il coltello per togliere la cotenna e le parti rancide, il coltello per rifilare i punti vicino all’osso e soprattutto un coltello di 25/30 cm per il taglio delle fette, unitamente all’acciarino per dare il filo alla lama. I salami soprattutto artigianali sono tagliati in fette di maggior spessore, per tradizione e praticità, ma, soprattutto, per assaporarne meglio il gusto. Per molti salami la fetta ideale deve essere dello spessore di un grano di pepe e obliqua, per avere una forma di una ellissi allungata, di migliore effetto visivo e che ricalca la forma della lingua e quindi ne facilita l’apprezzamento gustativo. Diverso è invece il discorso per i salami di piccolo taglio o per il Salame Milano che deve essere affettato molto fine. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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Nota A pag. 38, speck tagliato al coltello (photo © monropic – stock.adobe.com).
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Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.
INTERVISTE
Vita, salumi e coltelli del più grande Maestro di Lama d’Italia
BENEDETTO COLANTUONO di Bernardo Pasquali Premiata Salumeria Italiana, 1/21
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ategli in mano un coltello affilato e il vostro prosciutto non sarà mai più lo stesso. BENEDETTO COLANTUONO ha una storia bellissima da raccontare che affonda le sue radici in un piccolo borgo dell’alto molisano. «Venafro è il mio paese di origine ed è lì che è iniziato tutto, è lì che ho forgiato il mio carattere e la mia esperienza». Mai come nel suo caso la parola forgiare è usata a proposito. Sono dieci anni che Benedetto ha iniziato questa sua splendida avventura nel mondo dell’agroalimentare. Lui è un Maestro di Lama predestinato perché, in soli tre anni, ha bruciato le tappe, affermandosi oggi come il più grande professionista in circolazione. Riesce, infatti, a regalare emozioni in tutta Italia e nel mondo, con composizioni straordinarie che incantano i più grandi interpreti della cucina internazionale. Benedetto, come è nata questa tua affascinante professione? «Ho sempre sognato di mettermi in proprio e ho seguito la mia passione di lavorare nel settore agroalimentare. Ho mosso i primi passi andando personalmente in giro per l’Italia, nelle realtà produttive: prosciuttifici, salumifici caseifici, cantine. L’ho fatto perché ho sempre pensato che solo vedendo di persona i processi produttivi e parlando con i produttori direttamente,
avrei consolidato le mie competenze e conoscenze». C’è una persona in particolare che ti ha ispirato in questo tuo percorso formativo? «Ho la fortuna di conoscere molti grandi maestri e li rispetto tutti, ma ho un legame speciale e profondo con SIMONE FRACASSI, il macellaio di Rassina (AR). Gli sono molto legato perché in lui, ho da subito visto quello che avrei voluto essere io! Una persona vera, ambasciatore di quello che dovrebbe essere il cibo vero, italiano, uno tosto, uno di quelli che lasciano il segno!». Dove hai imparato l’arte del taglio a coltello? «Sono rimasto particolarmente affascinato dall’arte del taglio dei cortador spagnoli, così, nel 2016, ho contattato una scuola internazionale di tagliatori di prosciutto e sono volato in Spagna per perfezionare questa tecnica del taglio a coltello. Inizialmente, per una mia cultura personale, poi, fortemente attratto dalla tecnica, ho deciso di farlo perché diventasse un lavoro. Ho conseguito il Diploma di tagliatore professionale di prosciutto e, nel 2018, ho frequentato un corso individuale di perfezionamento con uno dei più grandi cortador spagnoli che mi ha insegnato l’arte creativa degli impiattamenti». Benedetto, da una piccola bottega
L’arte del taglio di un prosciutto ad opera di Benedetto Colantuono.
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di eccellenze alimentari italiane, diventa quindi il primo Maestro di Lama in Italia. Una professione che sta avvicinando anche altri giovani appassionati di questo mondo. Se dovessi definire la tua più grande soddisfazione in questo percorso rapido ma intenso? «La mia più grande soddisfazione è sicuramente essere riuscito ad emergere nonostante le avversità che ho incontrato, provenendo da una realtà piccola dove spesso si fa fatica a farsi comprendere. Infine, tutto quello che ho ottenuto, anche e soprattutto la stima di molti professionisti, l’ho ottenuto solo con le mie forze». E i tuoi eventi più importanti? «Il primo evento importante è stato un fuori Vinitaly nella cantina di ROMANO DAL FORNO, dove ho tagliato un prosciutto di maiale tranquillo di ben 8 anni di stagionatura. È proprio lì che sono stato notato dal curatore della guida dell’ESPRESSO. C’erano molti critici e giornalisti; mi tremavano le gambe ma, alla fine, come è nel mio stile, nei momenti di tensione viene fuori il meglio di me. Da lì fu un susseguirsi di richieste: a Cibus, Festa a Vico da Gennaro Esposito, Milano Golosa, Identità Golose, Capolavori a Tavola di SIMONE FRACASSI. Un’altra bellissima esperienza il taglio di un prosciutto a Les Folies Bergère, storico locale di Parigi! Poi, affascinante, la serata dei 120 anni del Salumificio Pavoncelli, persone splendide degne di essere nominate e poi ancora la collaborazione nella tribuna authority dello stadio di Genova, per tutte le partite della Serie A TIM di Genoa e Sampdoria. Altra bellissima esperienza, la collaborazione con la Scuola di cucina “Alma” di Colorno, con la quale abbiamo organizzato un corso di taglio per gli studenti, futuri operatori di sala». Cosa rappresenta per te il made in Italy? «Ho sempre cercato prodotti e produttori che non si nascondono dietro un’etichetta o dietro altre sigle; per me il produttore serio ci mette la faccia e deve far parlare il prodotto. Il made in Italy va rispettato, bisogna saper raccontare le storie, le realtà che lavorano in modo eccellente. Mi ricordo la frase
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Prosciutto L@b È un brand di Benedetto Colantuono dedicato al mondo del prosciutto al più alto livello professionale, che va dalla selezione di prodotti eccellenti,alla loro valorizzazione attraverso l’arte del taglio. «I pilastri che mi guidano nel lavoro di selezione dei prodotti sono la genetica, l’alimentazione e il benessere, infatti il taglio prevede tecniche precise, che si fondano su una profonda conoscenza della materia prima, sulle sue origini e morfologia. Il tagliatore professionista può così trasformare una semplice degustazione in qualcosa di straordinario; sapori e aromi del prosciutto vengono esaltati, garantendo un’esperienza di gusto indimenticabile». >> Link: benedettocolantuono.it – instagram.com/benedetto_colantuono
di un grande produttore di mozzarella di bufala che mi disse: “all’animale, quello che gli dai, quello ti ridà”, tutto questo per dire che il cibo sano, quello salubre, è da ricercare e in Italia per fortuna ne abbiamo! Dietro ogni prodotto c’è una storia, c’è una famiglia, ci sono sacrifici che ci “regalano” prodotti che sono un’esperienza di gusto unica e irripetibile. Con la mia lama, cerco di valorizzarli al massimo sia organoletticamente che
visivamente, presentandolo in maniera ordinata e precisa. Mi piace dargli la giusta dignità». Ma la ristorazione oggi dà un giusto valore ai salumi? «Spesso in molti locali il salume è il primo piatto servito, quindi il biglietto da visita. Mi piacerebbe entrare in un ristorante dove vengono serviti salumi di alta qualità, anche tagliati a vista, e avere una degna spiegazione di ciò che
si andrà a degustare. Ho frequentato e frequento tutt’ora per lavoro e per passione diversi ristoranti e la cosa che mi lascia sempre perplesso è proprio il salume. Sembra quasi l’ultima cosa alla quale dare importanza. Servizio dei salumi ad una temperatura sbagliata, salumi con difetti organolettici, salumi con difetti di struttura. Questo, mi fa intendere che il ristoratore compri i salumi senza conoscerne le caratteristiche. Saper servire un salume in maniera giusta è un’esperienza molto piacevole e che ti rimane impressa e anche presentarlo in un certo modo stuzzica l’appetito, invita alla condivisione». Hai un sogno nel cassetto? «Il mio sogno è poter creare un luogo dedicato ad una mia selezione di prodotti e alla mia arte, un posto dove si possa fare dialogo e si possa raccontare una bella storia». Bernardo Pasquali Nota Fonte: www.foodyes.it; photo © benedettocolantuono.it
FoodYes.it, the Millennials’ Food Journal Charles De Gaulle, presidente della V Repubblica francese ed eroe della Seconda guerra mondiale, affermò che “era impossibile governare un Paese (la Francia) che contava 256 tipi di formaggi. Qualcosa del genere mormorano anche dalle parti di Roma, dove debbono confrontarsi con un Paese che ha ben 433 tipi di formaggi differenti… Anzi, qualcuno sostiene che, a contarli bene, probabilmente si arriva quasi a mille… Insomma, mai come in Italia l’agroalimentare permea la nostra vita quotidiana. Oltre al cibo, è dappertutto. Nell’economia, dall’alto dei suoi 140 miliardi di fatturato, nel costume, nelle tradizioni, nell’identità di ogni singolo campanile del Belpaese. Per questo, dall’esperienza ventennale in diverse testate d’informazione generalista – L’Adige di Verona e EuroFinanza – e specializzate nel wine’n food – Euposia–La Rivista del Vino, L’Acino Parlante e The Italian Wine Journal – nasce questo nuovo canale di informazione dedicato ai foodies ovvero agli appassionati della cultura, della storia e delle tradizioni del cibo. Rispetto a diverse altre esperienze informative, Foodyes.it guarda in modo specifico al “nuovo” agroalimentare, basato su vere politiche di sostenibilità, sulla tutela del patrimonio naturale, sulla salute degli animali di allevamento e dei consumatori, sulle innovazioni di processo e di prodotto che già consegnano ai consumatori cibi più sani, etici, rispettosi della Natura, della cultura e del reddito dei Produttori. Un amplificatore di tutto quanto c’è di buono e funzionale a queste politiche attive agroalimentari che guardano ad un futuro migliore. Una scelta di campo, fatta per amore dell’agroalimentare di qualità e non «contro» l’industria alimentare impegnata — coi suoi brand migliori — a trovare il corretto equilibrio fra questi valori”. >> Link: www.foodyes.it
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ANALISI DI SETTORE
Agroalimentare 2020: effetto Covid a cura di Fabio Del Bravo, Ismea
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e performances del settore delle IG (Indicazione Geografica), riferite al 2019, analizzate nel presente Rapporto (Rapporto Ismea-Qualivita 2020, NdR), risultano in linea col trend di oltre 10 anni rilevato dall’Osservatorio economico Ismea-Qualivita. Tuttavia, tali dati fotografano un contesto già obsoleto a causa degli eventi che stanno caratterizzando il 2020 e che avranno una ricaduta molto significativa anche sul percorso di sviluppo futuro del sistema delle produzioni DOP e IGP. Il 2019 potrebbe segnare la fine di una lunga fase nella quale lo sviluppo delle filiere dei prodotti a IG è stato gradualmente trainato da fattori specifici appartenenti alla natura stessa dei prodotti e da modelli organizzativi di valorizzazione territoriale. Ad avvio 2020, in contemporanea all’esplosione della pandemia conseguente al Covid-19, ha anche trovato concretizzazione un processo di riscrittura del modello di competitività dei sistemi alimentari sulla base di obiettivi assai ambiziosi fissati a livello comunitario in tema, ad esempio, di sostenibilità. Un processo che proprio dai primi mesi dell’anno ha subito un’improvvisa accelerazione in ragione dei disastrosi effetti economici e sociali causati, su scala mondiale, dal Covid-19. Dopo il crollo dell’economia globale nel secondo trimestre 2020, nei tre mesi successivi lo scenario macroeconomico è migliorato grazie al temporaneo e illusorio affievolirsi della morsa della pandemia, ma già da ottobre, con la risalita dei contagi, la situazione è nuovamente peggiorata. Il Fondo Monetario Internazionale stima una flessione del PIL mondiale, per il 2020, del –4,4% e un recupero del 5,2% nel 2021; in Italia, il calo del PIL dei primi nove mesi del 2020 è del –8,2%, contenuto grazie alla marcata ripresa dell’economia registrata nel terzo trimestre, ma destinato a peggiorare ulteriormente a causa del deterioramento della situazione. In questo contesto, il valore aggiunto del settore primario, dopo aver chiuso il 2019 con un calo del –1,7% sull’anno precedente, ha continuato a diminuire nella prima metà del 2020 (–3,7% sul I semestre 2019). Le prospettive per la seconda metà dell’anno non sono
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La spesa delle famiglie per prodotti alimentari, dopo il timido incremento del 2019, ha guadagnato il +7% su base annua nei primi nove mesi del 2020. Si tratta della variazione più imponente degli ultimi 10 anni buone, visto che nel corso del 2020 il settore non è stato risparmiato dalle anomalie meteorologiche, che hanno compromesso le campagne della frutta estiva e di alcune orticole e a ciò si è aggiunta una dinamica negativa dei prezzi dei prodotti zootecnici soprattutto nel secondo e nel terzo trimestre, nonché una campagna olearia che a causa di diversi elementi ha portato a una contrazione del –30% della produzione di olio d’oliva. Per quanto riguarda le fasi di prima e seconda trasformazione industriale, negli ultimi anni l’alimentare è stato uno
dei settori più dinamici dell’economia nazionale: nel corso del 2019, l’indice della produzione industriale del settore ha, infatti, seguito un trend notevolmente migliore rispetto al manifatturiero, chiudendo l’anno con un +3% sul livello del 2018, la variazione più alta tra tutti i settori di attività economica. La pandemia ha interrotto anche questa performance positiva e, nei primi nove mesi del 2020, la produzione alimentare è diminuita del –2,2% su base annua; un calo comunque di gran lunga inferiore al –15,3% del manifatturiero nel complesso.
Le dinamiche della produzione industriale sono risultate coerenti con quelle dell’export agroalimentare che nel 2019 ha toccato 44,6 milioni di euro, il +5,3% rispetto al 2018 e il +85% rispetto al periodo precedente la crisi economica mondiale del 2008/09. L’Italia rappresenta il 2,8% dell’export mondiale di tutte le merci, quota che sale al 3,2% per l’agroalimentare. Quest’ultimo segmento si è dimostrato infatti più dinamico, con un incremento del +21% negli ultimi 5 anni (2019 rispetto a 2015) contro il +16% dell’export totale. Nel 2020, l’impatto della pandemia sulle esportazioni agroalimentari si è tradotto in un rallentamento della crescita, che nei primi nove mesi del 2020, rispetto all’analogo periodo del 2019, è stata del +2,8%, mentre un notevole calo ha interessato il complesso dei beni e servizi esportati (–11,6%). La crescita dei flussi di prodotti agroalimentari nel corso del 2020 si deve alla
Il quasi azzeramento degli ordini del canale Ho.re.ca. nel corso del primo lockdown ha avuto un enorme impatto sulle performance delle imprese. All’assenza dei turisti e alle misure di distanziamento che continuano a limitare i pasti erogabili, si aggiungono la chiusura serale delle attività nelle zone gialle e i soli servizi di asporto e consegna a domicilio consentiti nelle zone arancioni e rosse (photo © Harry Rendón).
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Nel 2020 l’andamento dei consumi alimentari domestici delle famiglie in una certa misura ha compensato la riduzione dei consumi fuori casa, limitando l’impatto negativo sul settore alimentare e sull’agricoltura, sebbene il risultato complessivo si differenzi sui prodotti e sulle filiere agroalimentari (photo © Sebastian Gelbke). performance particolarmente brillante dei primi mesi del 2020 (su base annua +10,1% a gennaio, +11,4% a febbraio, +9,8% a marzo); a questi è seguito un calo ad aprile (–1,5%) e un vero e proprio tonfo a maggio (–10,2%); a giugno, tuttavia, l’export agroalimentare ha ripreso a crescere con un +3% su base tendenziale, seguito da due rallentamenti dell’aumento nei mesi successivi, +1% a luglio, +0,8% ad agosto e da un recupero del +2,8% a settembre. Per quanto riguarda il mercato nazionale, il valore dei consumi extradomestici nel 2019 è stato di 85,3 miliardi di euro, ovvero il 34% della spesa per prodotti alimentari e bevande in Italia; era il 31% prima della crisi economica nel 2007. Nell’ultimo quinquennio (2015-2019) i consumi domestici hanno ritrovato una certa dinamicità (+2,9% in termini reali), inferiore tuttavia rispetto a quella che ha riguardato i consumi fuori casa (+5,3%). Il quasi azzeramento degli ordini del canale HO.RE.CA. nel corso del primo lockdown ha avuto un
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enorme impatto sulle performance delle imprese. All’assenza dei turisti e alle misure di distanziamento che continuano a limitare i pasti erogabili, si aggiungono la chiusura serale delle attività nelle zone gialle e i soli servizi di asporto e consegna a domicilio consentiti nelle zone arancioni e rosse. D’altra parte, l’andamento dei consumi alimentari domestici delle famiglie nel 2020 in una certa misura può compensare la riduzione dei consumi fuori casa, limitando l’impatto negativo sul settore alimentare e sull’agricoltura, sebbene il risultato complessivo sarà differenziato sui prodotti e sulle filiere agroalimentari.
La spesa delle famiglie per prodotti alimentari, dopo il timido incremento del 2019 (+0,4% rispetto all’anno precedente), ha guadagnato il +7% su base annua nei primi nove mesi del 2020. Si tratta della variazione più imponente degli ultimi dieci anni ed è conseguenza delle restrizioni imposte per fronteggiare il diffondersi del coronavirus in tutto il territorio nazionale alla fine di febbraio, protrattesi fino al mese di maggio, mentre a partire da giugno la riapertura dei luoghi di consumo fuori casa è stata progressiva e parziale. I dati del Panel Ismea-Nielsen hanno evidenziato un deciso balzo dei consumi delle famiglie: nel mese di marzo un
Nel settore dei salumi, la perdita per il comparto IG stimata per il 2020 potrebbe superare i 120 milioni di euro e l’export si ridurrà sui mercati esteri presumibilmente di oltre 30 milioni di euro
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Performance dei salumi I prodotti a base di carne si attestano su un valore alla produzione di 1,9 miliardi di euro nel 2019, in calo del –4,7% rispetto all’anno precedente, anche se al consumo si sfiora la quota di 5 miliardi di euro con un +3,5%. Crescita anche per l’export, che con il +5,6% su base annua supera per la prima volta i 600 milioni di euro. In Emilia-Romagna si concentra oltre la metà del valore dell’intera categoria con oltre 1 miliardo di euro generato; seguono Friuli-Venezia Giulia e Lombardia con 315 milioni di euro e 305 milioni di euro. Le prime cinque filiere per valore alla produzione sono Prosciutto di Parma Dop, Prosciutto di San Daniele Dop, Mortadella Bologna Igp, Bresaola della Valtellina Igp (in foto), Speck Alto Adige Igp, che complessivamente valgono 1,7 miliardi di euro.
+18% su base annua ha ridato slancio al primo trimestre, poi nei mesi di aprile e maggio le vendite sono proseguite con crescite a doppia cifra (+11% e +14%); nel mese di giugno, col graduale ritorno alla normalità, il trend positivo si è leggermente affievolito attestandosi comunque a +7%, facendo sì che il secondo trimestre si chiudesse con un incremento di spesa medio del +11%, dopo il +7% del primo trimestre. A luglio la spinta espansiva sembrava essersi
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arrestata (solo +1,5%), ma in agosto ha ripreso leggero vigore (+3,8%) mantenuto anche in settembre, portando la spesa del trimestre al +3%. Per comprendere come in questo scenario 2020 oggettivamente stravolto stia reagendo il settore di DOP e IGP, a luglio, ISMEA e QUALIVITA hanno condotto un sondaggio tra alcuni dei Consorzi di tutela più grandi e strutturati del nostro sistema. I risultati dell’indagine dimostrano che le difficoltà nella gestione
dell’emergenza sono riconducibili alla tipologia di prodotto, alla rilevanza del canale HO.RE.CA. e al peso del mercato estero. Sul primo punto ha influito molto la possibilità di stoccaggio del prodotto e la possibilità di trasformazione o conversione, come ad esempio da prodotto fresco a stagionato nel settore dei formaggi; sul secondo punto ha pesato, invece, la capacità degli operatori di organizzare la sostituzione, seppure parzialmente, della somministrazione con l’asporto e, ovviamente, la prevalenza del canale HO.RE.CA. su quello della GDO che, di contro, ha fatto registrare incrementi delle vendite per la stragrande maggioranza dei prodotti; sul terzo punto è stato determinante il mercato di destinazione della specifica IG con le relative misure di restrizione adottate e il funzionamento della catena di distribuzione. Le risposte sono state dunque molto diverse anche all’interno di uno stesso settore, ma tutte quelle fornite evidenziano un’eloquente cautela nelle valutazioni generali delle performances dell’intero 2020, pur essendo state fornite in un momento di graduale ritorno di fiducia, prima che ripartisse la seconda ondata di diffusione del virus. I Consorzi che hanno denunciato infatti nei primi mesi una perdita nel fatturato delle aziende socie per la paralisi del canale HO.RE.CA. stimano, solo con una certa prudenza, una possibile ripresa in tempi ragionevoli sia sul mercato interno che su quello estero, pur nella consapevolezza che sul mercato interno peserà il crollo del turismo nonché i cambiamenti nei comportamenti di acquisto dei consumatori italiani, così come sul mercato estero influiranno, oltre alle chiusure dei locali, le difficoltà logistiche e dell’innalzamento dei costi di distribuzione. Ma anche i Consorzi che sembrano più ottimisti e valutano possibile la ripresa della domanda dei propri prodotti non si sbilanciano sul risultato complessivo di fine anno e comunque in molti dichiarano di non avere elementi sufficienti per poter fare delle previsioni. Sintetizzando le risposte, emerge che, a fronte di una concordanza tra tutti gli intervistati nell’indicare il dettaglio (piccolo dettaglio o distribuzione organizzata) come il canale di vendita che ha subito il maggiore incremento nei
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primi sei mesi dell’anno, a fronte di una perdita dell’HO.RE.CA. stimata tra il –20% e il –40% (con punte fino al –60%), maggiore incertezza si evidenzia per l’andamento delle esportazioni (tra un –20% e un –40% in meno nei casi più negativi). Di fatto, la cautela nelle previsioni dei Consorzi intervistati si è rivelato un approccio corretto perché con la recrudescenza dei contagi di ottobre, a livello nazionale e internazionale, anche le previsioni più rosee dell’estate hanno perso parte notevole della loro consistenza. A ottobre, ISMEA ha provato a stimare l’impatto del nuovo colpo di coda della pandemia sull’economia delle filiere IG ipotizzando le perdite complessive a fine 2020 rispetto al 2019 in funzione delle variazioni nelle quantità prodotte e certificate, delle perdite del canale HO.RE.CA., delle compensazioni del canale retail e delle contrazioni delle esportazioni. Nel settore del vino IG, la perdita da attribuire al canale HO.RE.CA. si stima possa superare 1 miliardo di euro. A questa cifra andrà aggiunta una contrazione delle esportazioni per un valore di circa 200 milioni e circa 1,5 miliardi di fatturato riconducibile al circuito dell’enoturismo. Nel settore lattiero-caseario per il comparto delle IG la perdita stimata relativa al canale HO.RE.CA. potrebbe raggiungere i 230 milioni di euro, a cui andrà sommato un decremento stimato in circa 100 milioni di euro delle esportazioni. Nel settore dei salumi, la perdita per il comparto IG stimata per il 2020 potrebbe superare i 120 milioni di euro e l’export, condizionato dalle chiusure di bar e ristoranti in atto nei principali Paesi di destinazione delle produzioni IG italiane, si ridurrà sui mercati esteri di oltre 30 milioni di euro. Nel settore delle carni fresche la perdita di fatturato potrà superare il 9,5 milioni di euro relativamente al canale HO.RE.CA., soprattutto per le difficoltà di collocamento di alcuni tagli pregiati. Fabio Del Bravo ISMEA Nota Fonte: Rapporto Ismea–Qualivita 2020 sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop, Igp e Stg.
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TREND
TRE TREND NEL MERCATO GLOBALE DELLE CARNI E DEI SALUMI
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e il consumo di carne continuerà ad aumentare nel mondo con una media di 35,3 kg per persona l’anno entro il 2025 (dati FAO), l’industria e i suoi operatori si troveranno ad affrontare sempre nuove sfide. Per soddisfare una domanda sempre più esigente già oggi occorre innovare, cosa che i professionisti del settore sanno da tempo. Il segmento della carne e dei salumi è infatti uno dei più innovativi al mondo: secondo il Global Innovation Panorama di ProteinesXTC nel 2018 questo comparto ha rappresentato il 5,8% di
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tutte le innovazioni alimentari globali. L’esigenza di innovare per soddisfare la domanda è particolarmente forte in Europa, dove il mercato delle carni è il terzo più innovativo dopo la ristorazione e il settore lattiero-caseario. Benessere animale e ambiente Uno dei problemi principali che gli operatori delle carni devono affrontare riguarda l’impronta di carbonio dei loro prodotti. Per questo sono possibili diverse soluzioni. Diversi produttori optano oggi per imballaggi meno inquinanti. Le Picoreur, ad esempio, ha sviluppato
un packaging utilizzando il 70% in meno di plastica rispetto ai precedenti per avvolgere i suoi tagli di pollame. L’imballo è inoltre più facilmente riciclabile, potendo separare la parte in cartone dal film plastico. I consumatori sono anche più esigenti in termini di benessere animale. Oltre a volere maggiore trasparenza sui processi di trasformazione, una percentuale crescente di acquirenti si rivolge a sostituti vegetali della carne. Gli analisti di Barclays Bank stimano che il mercato dei sostituti vegetali della carne peserà 140 miliardi di dollari in
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rato di 82 milioni di euro (+10,8%) e la carne ovina 55 milioni di euro (+12,2%). Gli amanti della carne vogliono anche prodotti di qualità da animali nutriti nel modo più naturale possibile. Loeul et Piriot offre quindi cotolette di coniglio da allevamenti nazionali, alimentati con mangimi 100% vegetali e senza OGM mentre il Salumificio Fratelli Beretta commercializza una gamma di salumi realizzati con carni provenienti da animali nutriti senza l’utilizzo di antibiotici dalla nascita e da filiera controllata al 100%.
L’innovazione di prodotto passa anche per il packaging: un esempio è il brand Labeyrie, che ha ideato un kit che comprende canovaccio e bottiglia di Armagnac per la preparazione del foie gras a casa. dieci anni, “catturando” il 10% del mercato globale. I produttori che si stanno posizionando velocemente in questa nicchia sono tanti e stanno immettendo sul mercato sempre nuovi prodotti, da Beyond Meat — uno dei leader del settore che ha inventato i nuggets e le ali a base di proteine vegetali per KFC — a Impossible Food e Triballat Noyal. L’italiana Giuseppe Citterio combina il packaging ecologico ai suoi sostituti della carne a base di verdure e legumi senza conservanti (già intercettati al SIAL Innovation del 2018).
Carni biologiche e di qualità Anche il biologico è un trend in crescita. In Francia, il 74% dei consumatori sostiene di mangiare carne biologica almeno occasionalmente, secondo un’indagine Ifop condotta nel 2018. Nel 2015 era solo il 59%, a riprova che la voglia di biologico è tangibile. Il mercato della carne bovina biologica pesa in Francia 317 milioni di euro, in crescita del 12,8% sull’anno precedente; quello della salumeria biologica 132 milioni di euro, in crescita del 22,2%; secondo Interbev, il maiale bio registra un fattu-
Rinnovare il prodotto I professionisti delle carni sono chiamati a lavorare sull’innovazione di prodotto anche dal punto di vista del branding, della comunicazione e del pack. Pensiamo a JAN e alle sue guance di vitello sottovuoto presentate in un’elegante scatola o al Foie gras Kit di Labeyrie per la preparazione del foie gras a casa con tanto di canovaccio e bottiglia di Armagnac. Fonte: SIAL PARIS
15-19 ottobre 2022 www.sialparis.fr Nota A pagina 54, © Sergey Ryzhov – stock. adobe.com
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LA QUALITÀ
Un salame prodotto in Catalogna, in una valle con microclima nebbioso
IL SALCHICHÓN DE VIC IGP di Roberto Villa 56
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In alto: il Salchichón de Vic (photo © www.3tres3.com). A sinistra: la Plana de Vic immersa nella nebbia (photo © Jordi Costa, www.reddit.com).
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Storia e legame col territorio a specificità del Salchichón de Vic si basa sulla reputazione e sulla notorietà acquisita dal prodotto sia in Catalogna sia nel resto della Spagna nel corso dei secoli, in particolare a partire dal XIX secolo, e sulle condizioni ambientali e climatiche della zona geografica che ne permettono la produzione. La zona geografica dell’IGP, la Plana de Vic, è una pianura con condizioni favorevoli all’agricoltura e un gran numero di aziende agricole e piccoli centri rurali. È situata a un’altitudine compresa fra 400 e 600 metri e circondata dalla catena delle Guilleries e dal Montseny, il Collsacabra e il Lluçanés, fatto che la rende relativamente isolata. Il clima è mediterraneo continentale, ma a causa della sua ubicazione molto spesso si verifica una stagnazione della massa d’aria in questa zona in condizioni anticicloniche. Si produce così un’inversione termica, con temperature fino a 20 °C inferiori nella pianura rispetto alle zone limitrofe. Nella zona è inoltre frequente la presenza di nebbia (in media, 225
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giorni di nebbia l’anno). Di conseguenza, nella Plana de Vic vengono a crearsi condizioni ambientali molto particolari e difficilmente riproducibili che favoriscono lo sviluppo di una flora microbica tipica, responsabile dei processi enzimatici e di fermentazione che conferiscono al Salchichón de Vic il suo inconfondibile aroma e sapore. Esistono riferimenti scritti al Salchichón de Vic sin dal 1456, anche se la sua origine potrebbe risalire al IV secolo. Anticamente era prodotto nelle case contadine della zona per la conservazione dei tagli più nobili delle carni. A partire dalla metà del XIX secolo, abbondanti documenti scritti esaltano la qualità del Salchichón de Vic e ne attestano la buona reputazione. A titolo d’esempio, in un articolo pubblicato sul periodico EL PORVENIR il 29 maggio 1867 si legge: “[…] gli ormai famosi Salchichónes de Vic”. È inoltre risaputo che fra gli ammiratori del Salchichón de Vic c’era lo stesso re ALFONSO XIII. Da anni, dunque, Vic è indissolubilmente associata al salchichón, che col tempo è diventato un piccolo tesoro. E sebbene il termine salchichón si riferisca
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Zuccheri solubili totali espressi in glucosio: massimo 3% (valore espresso sulla base della sostanza secca); • Proteine aggiunte: nessuna • Attività dell’acqua a 20 °C: Aw < 0,92; • 5,3 ≤ pH ≤ 6,2. Si utilizzano carne magra di suino selezionata (prosciutto, spalla e parti magre di prima qualità), lardo, sale, pepe e budello naturale (culare, crespone, cucito o ricostituito). Altri ingredienti: si autorizza esclusivamente l’impiego di zuccheri (monosaccaridi e disaccaridi), lieviti naturali propri del fabbricante, nitrito di potassio e di sodio, nitrato di potassio e di sodio, acido ascorbico e suo sale di sodio. Sulle confezioni del prodotto è obbligatorio apporre in modo ben visibile il nome dell’Indicazione Geografica Protetta Salchichón de Vic o Llonganissa de Vic, il logo dell’Igp e il simbolo dell’UE per le Igp, nonché l’etichetta autorizzata e numerata dal Consiglio regolatore (photo © www.3tres3.com).
Peso (g)
Diametro del salame stagionato a secco (mm)
Periodo minimo di stagionatura (giorni)
200-300
≥ 35 ≤ 75
30 giorni
≥ 300
> 40 ≤ 90
45 giorni
tradizionalmente a un grosso insaccato stagionato, va segnalato che in catalano è chiamato llonganissa, che è il nome autoctono e originale e che, tradotto in castigliano, diventa salchichón, motivo per cui si utilizza indistintamente la denominazione Salchichón de Vic e Llonganissa de Vic. In sintesi, il Salchichón de Vic è un prodotto che gode di ottima reputazione, frutto dell’esperienza tramandata da generazioni di produttori e delle particolari condizioni ambientali presenti nella zona geografica di produzione. Descrizione del prodotto Il Salchichón de Vic / Llonganissa de Vic IGP è un insaccato tradizionale della Catalogna prodotto con carne magra di suino, lardo, zuccheri, sale e pepe come unici condimenti, che viene macinata, macerata, insaccata e quindi stagionata. Insaccato in budello naturale, il salame si caratterizza per l’aspetto esterno rugoso, col budello ben
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aderente all’impasto, la forma cilindrica abbastanza regolare e il colore esterno biancastro dovuto alla microflora, che col tempo acquista una tonalità marrone violacea. All’interno sono visibili il lardo a dadini e il pepe in grani. Il processo di stagionatura e le spezie conferiscono al prodotto un aroma e un sapore caratteristici e gradevoli. Il diametro e le dimensioni del Salchichón de Vic / Llonganissa de Vic dipendono dal tipo di budello utilizzato. In Tabella si precisano le dimensioni al momento della spedizione e i periodi di stagionatura. Parametri fisico-chimici • Grassi: massimo 48% (valore espresso sulla base della sostanza secca); • Proteine: minimo 38% (valore espresso sulla base della sostanza secca); • Rapporto collagene/proteine x 100: massimo 12;
Area di produzione La fabbricazione del prodotto (preparazione delle carni fresche, mondatura e macinazione, mescolatura, impasto, macerazione, insaccamento e stagionatura-maturazione) deve essere effettuata nella zona geografica che comprende tutti i comuni della Plana de Vic, situata nel distretto di Osona, provincia di Barcellona, ossia: Aiguafreda, Sant Martí de Centelles, El Brull, Seva, Tona, Muntanyola, Malla, Taradell, Sant Julià de Vilatorta, Santa Eugènia de Berga, Calldetenes, Folgueroles, Vic, Santa Eulàlia de Riuprimer, Gurb, Tavèrnolas, Roda de Ter, Manlleu, Santa Cecila de Voltregà, Sant Hipòlit de Voltregà, Les Masies de Voltregà, Oris, Torelló, Centelles, Balenyà, Les Masies de Roda, San Vicenç de Torelló e Sant Pere de Torelló. L’affettamento può avvenire anche al di fuori della suddetta area geografica. I produttori attualmente approvati sono sei, reperibili sul sito ufficiale della IGP (www.llonganissadevic.cat). Marchiatura ed etichettatura Oltre alle informazioni prescritte in generale dalla normativa vigente, sulle confezioni è obbligatorio apporre in modo ben visibile il nome dell’Indicazione Geografica Protetta Salchichón de Vic (in castigliano) o Llonganissa de Vic (in catalano), il logo dell’IGP e il simbolo dell’UE per le IGP, nonché l’etichetta autorizzata e numerata dal Consiglio regolatore. Roberto Villa
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Nuova banca dati di ricerca per le Indicazioni Geografiche anche di Paesi Terzi
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Le Indicazioni Geografiche (IG) stabiliscono diritti di proprietà intellettuale per prodotti specifici, le cui qualità sono specificatamente legate alla zona di produzione. Sono una risorsa economica fondamentale per l’Unione europea e fanno parte del sistema dei diritti di proprietà intellettuale in tutta l’UE. Il nuovo database di ricerca, GIview, accessibile al link www.tmdn.org/giview, fornisce un unico punto di ingresso per i dati IG registrati nell’UE ed è una risorsa utile per consumatori, produttori e professionisti della proprietà intellettuale. Esso contiene, inoltre, informazioni dettagliate sulle Indicazioni Geografiche non UE protette a livello dell’UE tramite accordi bilaterali e multilaterali e sulle indicazioni geografiche protette nei Paesi Terzi. Il database, di facile navigazione e coi contenuti anche in lingua italiana, è costantemente aggiornato con i dati ufficiali registrati dalla Commissione europea (Direzione generale dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale) ed è sviluppato e mantenuto dall’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione Europea (EUIPO). Al suo interno trovate tutto, compreso il Salame felino Igp (photo © andraphoto58 – stock. adobe.com).
Una sinfonia di prelibatezze
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PROGETTARE IL CIBO
DAI DABBAWALA AL MANNARINO: STORIE DI DELIVERY IDENTITARI di Francesca Monti
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l delivery oggi è un fenomeno diffuso e internazionalizzato, realtà come Glovo, Deliveroo e Just Eat hanno applicato degli standard di qualità e servizio sempre più efficienti per il cliente, ma allo stesso
tempo sono diventati fonte di domande e riflessioni, non solo sulle condizioni di lavoro dei corrieri e dei riders, ma anche sulla spersonalizzazione del servizio che non riesce a comunicare oltre il prodotto. Se qualche mese fa la scelta
sull’attivazione di servizi a domicilio poteva essere discussa, oggi sappiamo che non vi possiamo più prescindere. Le abitudini al consumo, che già si stavano trasformando, ora si stanno radicando. Durante il lockdown si è registrato un
La traduzione letterale di Dabbawala è “colui che porta un contenitore” e Dabba è il contenitore in cui viene messo il cibo da consegnare a chi lavora negli uffici di Mumbai. Questo servizio di consegne indiano sarebbe nato tra il 1885 e il 1890. Il servizio non subisce mai interruzioni, neppure nel periodo dei monsoni (photo © Lottie Gross, adventure.com).
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+314% di ricerche di vino su Amazon1, che porta a pensare ad un chiaro segnale di cambiamento nella percezione dei prodotti. Utilizzare canali distributivi come quelli sopraccitati rimane una scelta pratica e veloce, ma bisogna fare attenzione a non perdere il significato e la storia che si vuole trasmettere. Lo storytelling, ovvero l’arte di raccontare storie attorno a brand e prodotti, è infatti ciò che ne costruisce il valore. Nel 2010 viene avviato Significant Objects, un esperimento letterario e antropologico ideato dal giornalista americano ROB WALKER e dallo scrittore e editore JOSHUA GLENN, per dimostrare l’effetto della narrazione sul valore di un oggetto. «Le storie sono un potente motore di valore emotivo e il loro effetto sul valore soggettivo di un dato oggetto può effettivamente essere misurato oggettivamente» (Joshua Glenn e Rob Walker). Un esperimento che ha coinvolto scrittori creativi per narrare oggetti provenienti dai negozi dell’usato dal valore medio di un dollaro. Cento di queste storie sono state raccolte in un libro testimonianza del fatto che, grazie al processo narrativo, il valore totale è aumentato e da 100 dollari è diventato di 3.700, una palla di pezza è stata così acquistata a 1,5 dollari e rivenduta a 51 dollari. Le storie sono fondamentali per dare un’identità, un’impronta distintiva e generare valore, perché rendono visibile tutta quella parte che senza l’uso di parole e immagini non traspare, con una particolare attenzione all’equilibrio tra immaginario e realtà. Dunque, anche nei servizi delivery è importante che non si trascuri l’aspetto narrativo, perché fino alla porta del cliente state raccontando la vostra storia. La nascita del delivery risale all’India del 1800, quando la rapida crescita commerciale della città di Mumbai portò un grande afflusso di lavoratori appartenenti a Paesi e comunità diverse. Anche l’alimentazione e i gusti erano differenti e potevano essere soddisfatti solo da pasti cucinati a casa. Nel 1890 MAHADEO HAVAJI BACHCHE ebbe l’intuizione di attivare a Mumbai un servizio di consegna alimentare composto da circa un centinaio di persone. Si chiamavano dabbawala, letteralmente “colui che consegna un
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Convertendo in tempi record il proprio modello di business e facendo un uso intelligente della comunicazione social, Il Mannarino è un esempio di attività di ristorazione uscita addirittura rafforzata dal periodo di lockdown (photo © www. facebook.com/ilmannarino). contenitore”. Ancora oggi cinquemila dabbawala vestiti di bianco col copricapo tradizionale si muovono nella città per svolgere le consegne. Non è un caso che l’abito dei corrieri indiani sia in khadi, tessuto simbolo della produzione interna e della resistenza, che si contrappone ai tessuti occidentali dettati dal colonialismo. Forse oggi riders e dabbawala non sono così distanti ma ciò che li differenzia è proprio la storia dietro l’abito che vestono, simbolo di una cultura identitaria da un lato e omologata dall’altro. Proprio per la loro forte connotazione i dabbawala sono stati protagonisti della campagna Share Your Goodness di NESTLÉ INDIA nel 2014, per parlare di gratitudine e di quanto il cibo possa rendere la vita migliore e farci sorridere. Un progetto non replicabile che riesce a trattenere le caratteristiche e il linguaggio del territorio e della comunità. Il Mannarino a Milano (www.ilmannarino.it), macelleria di quartiere con cucina che per definizione include la cultura della prossimità, vista la chiusura dei due punti vendita durante il lockdown
si è adattato alle nuove modalità di vendita riconvertendo lo staff e assumendo quaranta nuove persone per far fronte ad un numero di ordini in continua crescita. Grazie ai camerieri trasformati in addetti al confezionamento e in riders e alla tempestiva apertura di un e-commerce, Il Mannarino ha raddoppiato il fatturato. La forza di un servizio personalizzato, realizzato da persone competenti e appassionate e raccontato attraverso una comunicazione social efficace ha portato la realtà milanese a non soccombere e al contempo a consolidare la propria identità. Dai dabbawala al Mannarino ci insegnano quanto sia profondo il valore intrinseco che si costruisce attraverso la narrazione, quella che arriva fino alla porta di casa e si intensifica assaporando i prodotti nella box, un’esperienza di cui non faremo più a meno. Francesca Monti Selezione e lavorazione carni www.monticarni.it Nota 1. Amazon e Vino, Ricerca XChannel “Rivoluzione eCommerce” (05/2020).
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BELLE BOTTEGHE Macellai, norcini e… pastai
PONZO 1947 di Massimiliano Rella
acellai e norcini da tre generazioni, i Ponzo da qualche anno sono diventati anche pastai. Pasta artigianale, tutto di qualità e in linea con l’impegno dimostrato già da lungo tempo nel settore della carne e della norcineria. Come dire, anche per non smentire una storia importante fatta di bovine piemontesi, costate, salsicce crude e trippa in cassetta. Dove? Ad Agliano Terme, in provincia di Asti.
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Aperta da GIACOMO nel ‘47, la macelleria-norcineria passa nelle mani del figlio Francesco e da queste ai nipoti MASSIMO, MAURIZIO e DAVIDE PONZO, tutti e tre macellai, ma il secondo anche norcino e il terzo anche pastaio. Il pastificio nasce invece al piano superiore della stessa macelleria nel 2007, tredici anni fa, da un’idea dei tre fratelli per vendere pasta artigianale come i ravioli del territorio, preparati con vari ripieni delle loro carni, seguendo le ricette
casalinghe e della tradizione. Ad esempio, i ravioli classici piemontesi ripieni di suino e bovino e spinaci, oppure i ravioli al plin ripieni di bovino, suino e coniglio (in minor parte) e spinaci. E ancora: i ravioli alle verdure di stagione, oppure i classici tajarin (tagliolini) e le tagliatelle, queste ultime anche alla Barbera, quindi rosse vinaccia come il vino delle terre astigiane. Agliano Terme, infatti, è uno dei paesi simbolo della Barbera d’Asti DOCG.
Tagliatelle alla Barbera d’Asti del pastificio-macelleria-norcineria Ponzo ad Agliano Terme (AT).
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In alto: Maurizio, Davide e Massimo Ponzo nella loro bottega ad Agliano Terme (AT). In basso: ravioli classici piemontesi e ravioli al plin.
Le tagliatelle fresche alla Barbera sono fatte artigianalmente senza conservanti e coloranti con semola di grano duro italiano, uova e Barbera di Asti di varie cantine locali nella proporzione di 150 ml per 1 kg di impasto. La pasta è venduta in bottega e in alcuni ristoranti del territorio, così come la carne e la norcineria, ma si trova solo dal giovedì alla domenica. E veniamo adesso alla macelleria. I Ponzo comprano bovini di razza Piemontese e suini da allevamenti selezionati del territorio, aziende agricole e zootecniche non intensive, mediopiccole, dove gli animali sono nutriti con alimentazione controllata e in parte autoprodotta.
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Tra i trasformati troviamo: la salsiccia di bovino, con una piccola percentuale (il 10%) di grasso di maiale, simile alla salsiccia di Bra, di grana media, da mangiare cruda o cotta, che non fa stagionatura. Un’altra specialità è la trippa in cassetta, cucinata secondo un’antica ricetta familiare e pronta per essere affettata e condita con un filo di olio evo, sale e pepe. Come si fa? La carne una volta cotta viene pressata in uno stampo e raffreddata. Si mangia a fettine come il carpaccio ed è un prodotto da loro stessi ideato. Troviamo infine salumi crudi e cotti, cotechini di propria produzione e anche prosciutti come il pregiato Crudo di
Cuneo DOP e prosciutti cotti, questi però non di loro produzione ma di selezionati norcini del territorio. La macelleria e norcineria Ponzo è inserita nel circuito delle Botteghe Storiche della Provincia di Asti. Massimiliano Rella Macelleria-Salumeria Ponzo Francesco Via Principe Amedeo 33 14041 Agliano Terme (AT) Telefono: 0141 954632 E-mail: info@ponzo1947.it Web: www.ponzo1947.it Nota Photo © Massimiliano Rella.
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PARTI, IL GUSTO DEL CHIANTI CLASSICO IN MACELLERIA di Massimiliano Rella
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ILIANO PARTI guida da vent’anni
con passione e competenza la macelleria di famiglia, aperta nel ‘70 nel centro storico del grazioso borgo toscano di San Donato in Poggio (FI), in Chianti Classico, terra di vini e di ottimi prodotti gastronomici. «Guardi quella foto!» ci indica da dietro il bancone. «Avevo appena 4 anni ed ero già qui coi miei genitori. Non è che loro volessero che
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facessi proprio questo lavoro, però a me piaceva tanto e negli anni il settore si è evoluto, l’offerta è cambiata, grazie anche all’importanza turistica conquistata dal Chianti Classico. Oggi coi forni si fanno anche le porchette, in macelleria tanti si sono messi al servizio della ristorazione» sottolinea. «Il lavoro degli stessi macellai, non più semplici selezionatori e venditori di carne come un tempo, si è ampliato nella direzione
della trasformazione, le preparazioni e il rifornimento sempre più personalizzato dei ristoranti che di volta in volta sono stati aperti». Ristoranti esclusi, è un po’ la storia della Macelleria Parti che col tempo si è orientata di più verso i preparati da cuocere e la norcineria, oggi una voce importante dell’attività. Tra i preparati troviamo ad esempio girellini, polpettine, polpettone, tramezzini, sottoli e sughi
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Cottura del prosciutto della Macelleria-Norcineria Parti.
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Il macellaio e norcino Emiliano Parti. di capriolo, anatra, ecc…, e per citare un’altra golosità, la Marinata del Chianti, sorta “Simmenthal” che troviamo sia in barattolo (€ 7,50) che in confezione di plastica. La Marinata è una specialità prevalentemente estiva, fatta con carni selezionate della parte anteriore del vitello, messe in marinatura per una settimana, bollite, tritate e immerse nel brodo che diventa gelatina. Come si mangia? A tocchetti in insalata, a fette con un filo d’olio, insomma un piatto veloce, freddo, sostanzioso. La Macelleria Parti tratta solo carni
di qualità da Fassona piemontese e Garronese selezionate da un fornitore di fiducia certificato, LUIGI CARLO VALLINO. Emiliano le tratta con una frollatura di 15-20 giorni, ad esempio per lombate e cosci, mentre il quarto anteriore di vitello arriva a maturazione un po’ più “fresco”. Il pollame è invece acquistato da vari allevamenti di Montespertoli (FI) e i suini nazionali da allevatori zootecnici dell’Emilia, ottenuti da incroci di razze Large White e Duroc. Una voce importante, dicevamo, è rappresentata dalla norcineria. Tra gli
Col tempo la Macelleria Parti si è orientata verso i preparati da cuocere e la norcineria, oggi una voce importante dell’attività. Tra gli insaccati che vanno per la maggiore c’è il Prosciutto sgambato di suino, artigianale, decisamente il prodotto di punta, che arriva fino a Parigi
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insaccati che vanno per la maggiore c’è il Prosciutto sgambato di suino, artigianale: viene salato e aromatizzato con un mix di spezie (pepe e aglio fresco macinati, sale e altre), poi stagiona nel laboratorio sul retro della macelleria minimo 12 mesi. Troviamo anche il prosciutto con l’osso, il capocollo, il lonzino, il rigatino (pancetta di suino salata e stagionata), il guanciale, la spalla di maiale salata, la finocchiona (sbriciolona), il salame di cinghiale e il Bastardo, «che è il salame più antico del Chianti» ci racconta Emiliano. «Un tempo era fatto con suini non certo di prima scelta, cioè con carni di maiali molto grassi, che si mescolavano con quelle più magre di bovino per compensare la grassezza. Oggi lo facciamo con una piccola percentuale di carne bovina, circa il 10%. Viene tutto macinato insieme. È un salame morbido, delicato e fa minimo tre mesi di stagionatura». Comunque, il prosciutto di Parti rimane il prodotto di punta: si trova pure in Francia, nella scintillante Parigi. Invece tra le ricette più importanti di territorio troviamo il Peposo alla fornacina, che si fa col muscolo anteriore o posteriore del vitellone. Sembra che la ricetta sia stata ideata dagli artigiani delle fornaci del cotto ai tempi della costruzione della cupola del Duomo di Firenze. La carne condita con aglio, vino rosso, conserva di pomodoro e abbondante pepe nero, veniva ricoperta d’acqua calda e cotta lentamente all’imboccatura della fornace. Oggi si fa con lunga cottura a fuoco lento. Un’altra ricetta della tradizione è lo stracotto, fatto con tagli meno pregiati del quarto anteriore del vitello: la carne lardellata con rigatino viene legata, pepata, salata e fatta rosolare in tegame con aglio e odori. Si aggiunge vino rosso e passata di pomodori. Poi il brodo per 3 ore. Massimiliano Rella Macelleria Parti Via Senese 33-35 San Donato in Poggio (FI) Telefono: 055 8072952 E-mail: info@macelleriaparti.it Web: www.macelleriaparti.it Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Prosciutto di Cinta senese with Sergio Falaschi Emiko Davies è una scrittrice, blogger, fotografa e autrice di libri di cucina australiano-giapponese che ha fatto dell’Italia la sua casa. Cresciuta in una famiglia di diplomatici, ha trascorso due terzi della sua vita vivendo in Paesi e contesti diversi dal suo, dalla Cina agli Stati Uniti. Dopo essersi diplomata al liceo artistico, è capitata a Firenze e oggi vive sulle colline fiorentine con la sua famiglia. Nel suo blog, all’interno di www.emikodavies.com, Emiko ha postato un bellissimo articolo sul prosciutto di Cinta senese realizzato dalla Macelleria Sergio Falaschi. Attraverso le immagini l’autrice ha dato risalto all’importanza della razza dei suini di Cinta senese da cui provengono le carni lavorate, ai cenni storici di questi animali e all’artigianalità che ogni giorno si esplicita nella preparazione del banco carni dei Falaschi, cultori della tradizione macellaia e maestri norcini (photo © www.emikodavies.com/blog). >> Link: www.emikodavies.com/blog
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PRODOTTI TIPICI
Salame delle Valli Tortonesi L’emozione di un cibo sano, presidio Slow Food, che rievoca la memoria di spuntini caserecci fatti di “pane e salame” di Chiara Papotti
a sempre protagonista indiscusso della nostra sopravvivenza alimentare, tanto da apparire sugli scudi della celebre X Legione, fiore all’occhiello dell’esercito romano, come figura simbolica, il maiale ha rafforzato la sua importanza nel tempo, soprattutto dal Medioevo in poi, di pari passo alle tecniche salumiere. È soprattutto negli insaccati che hanno trovato modo di esprimersi gli artigiani norcini, in particolare nella produzione dei salami. Elencarli tutti? Quasi impossibile: ce ne sono tantissimi, distinti per dimensione, forma, scelta delle carni, tipo di macinatura, grasso impiegato e conce differenti, arricchite di spezie e ingredienti aromatici come vino, aglio, peperoncino, semi di finocchio. Sono solo alcuni degli elementi che hanno contribuito a creare, nei secoli, una vastissima gamma di salami, ciascuno caratteristico di un particolare rapporto col territorio e la gente che lo vive. L’allevamento dei maiali è stato ed è ancora oggi parte integrante della storia e della cultura contadine delle tre Valli Tortonesi: Val Curone, Val Grue e Valle Ossona, a sud-ovest di Tortona (in provincia di Alessandria), al confine tra Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria. In questa area geografica dal maiale si producono i classici della norcineria piemontese: salsicce, cacciatorini, cotechini, zamponi, pancette, lardo e salami cotti. Ma la principale
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Notevole dopo tre mesi di affinamento, il salame delle Valli Tortonesi offre una complessità organolettica straordinaria quando supera l’anno. Si produce tradizionalmente da ottobre ad aprile (photo © terramadresalonedelgusto.com). specialità della zona è il Salame crudo al quale, proprio perché espressione di una produzione e di una cultura territorialmente ben definite, è stato concesso il presidio Slow Food. Il piccolo gruppo di norcini che produce il salame crudo delle tre Valli Tortonesi punta su una caratteristica rara nella salumeria moderna: la presenza di locali per la stagionatura naturale degli insaccati. Nel Disciplinare di produzione è imposto l’utilizzo esclusivo di budelli naturali e l’assoluto divieto di zuccheri, carni congelate, ingredienti liofilizzati e additivi alimentari. È ammesso un
impiego pressoché nullo di nitrato di potassio per impedire lo sviluppo di botulino e mantenere vivo il colore. Le carni utilizzate per la produzione provengono da suini pesanti allevati localmente allo stato semibrado, una scelta che consente di offrire una materia prima dalle caratteristiche superiori. La parte magra dell’impasto, che costituisce circa il 60%, è ottenuta dalla macinatura di precisi tagli anatomici: spalla, coscia, filetto, lonza, coppa, magro di pancetta e ritagli del banco e del prosciutto. La parte grassa (20-30% del totale) è, invece, ottenuta dalla gola e/o dalla pancetta.
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Salame delle Valli Tortonesi e coppa della Cooperativa Valli Unite di Costa Vescovato (AL). “Dall’allevamento semi brado alla macellazione in azienda, da quando alimentiamo i nostri animali a quando insacchiamo il salame, abbiamo l’occhio attento su ogni singola fase di questa complessa filiera” si legge nel loro sito www.valliunite.org. “La tradizione accompagna i gesti che si traducono in una peculiarità organolettica dei nostri prodotti. Alleviamo suini di razza Goland allo stato semi brado: gli animali, nel periodo estivo, possono godere di un pascolo/bosco di circa 2 ha, direttamente collegato alla stalla, nel quale piantiamo leguminose di cui sono golosi. Lavoriamo la carne nei periodi invernali tra ottobre e marzo e il risultato di un intero inverno è custodito nella nostra vecchia cantina di stagionatura in pietra”. Il segreto della bontà del salame crudo in queste valli? La sua valenza ormai storica, favorita dal clima indirettamente marino che permette una buona stagionatura degli insaccati (photo © facebook.com/valliunite).
Conciato con sale marino, pepe nero in grani e macinato fine, infuso di aglio fresco e vino rosso locale, l’impasto viene insaccato in un budello naturale di suino e lasciato asciugare per circa due settimane per passare poi alla stagionatura, che va da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 18. La stagionatura in locali a umidità e temperatura controllate favorisce le giuste fermentazioni e lo sviluppo dei batteri (lattobacilli e micrococchi) nell’impasto che garantiscono il caratteristico sapore al prodotto finale. Durante questa fase, i salami sono spostati dalle fresche cantine ai locali più alti per gestire al meglio il ciclo delle muffe che si formano sulla superficie esterna e sono indispensabili per la traspirazione dell’umidità e l’eliminazione dell’acidità in eccesso. Tipico degli antipasti rustici e delle merende in collina, il salame delle tre Valli Tortonesi va comunque apprezzato con il dovuto rispetto. È notevole dopo tre mesi di affinamento, ma quando supera l’anno offre una complessità organolettica unica, dalle note aromatiche più fini: dolce, invitante, con note di sottobosco, noce e muffe nobili. L’accostamento coi sottaceti, per quanto diffuso, è sconsigliabile. È invece preferibile consumarlo con alimenti freschi, magri e con una leggera punta acidula. Anche se, il più naturale tra i matrimoni resta comunque quello con il pane casereccio. Chiara Papotti
Diamo il benvenuto a Chiara Papotti su Premiata Salumeria Italiana Laureata in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma nel 2014 a coronamento di una passione per il cibo che viene da lontano, Chiara Papotti è esperta di comunicazione e marketing alimentare nonché di tecniche di cucina che consentono di riconoscere la qualità degli alimenti. Docente di “Cibo e Comunicazione” presso l’Istituto Alberghiero Nazareno di Carpi (MO), insegna come comunicare al meglio la professionalità a chi lavora nel settore enogastronomico. Con entusiasmo promuove attività di educazione alimentare nelle scuole di ogni ordine e grado, con particolare riguardo alla ricerca della qualità e della promozione alla salute. Sposata, mamma di Anna e Tommaso, ama cucinare per gli amici e ascoltare musica davanti ad un buon calice di vino. Scrive articoli per blog, siti web, giornali e riviste specializzate nel settore alimentare. Per Chiara scrivere significa dare valore alla curiosità verso il mondo della gastronomia. Una sua prerogativa? Ovunque si vada, assaggiare tutto.
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Meraviglie della creatività partenopea
Napoli, i taralli ’nzogna e pepe di Fortunato il tarallaro Strutto, pepe e mandorle per un cibo da strada povero e antico che dai vicoli più nascosti ci porta ancora oggi il calore e il sapore della città più umile e più vera, lasciandoci in bocca e nel cuore il piacere di un’esperienza indimenticabile di Nunzia Manicardi
ono meno commercializzati dei tarallini pugliesi ma mi auguro, con queste poche righe, di riuscire a rendere loro un buon servizio facendoli maggiormente conoscere al di fuori della città di cui sono simbolo nascosto e verace: Napoli. Non c’è napoletano, infatti, che non ami e non si identifichi con i propri taralli, che nulla hanno a che vedere coi più famosi tarallini pugliesi. Con questi ultimi condividono soltanto la forma circolare anche se quelli napoletani sono molto più grandi. Ciò è necessario per permettere alle abili mani del fornaio di intrecciare le due striscioline di pasta lievitata a formare quella grossa e volutamente grossolana ciambellina che sembra una ghirlanda campagnola e che va poi cotta nel forno. Una volta i taralli ci finivano dentro insieme con il pane per utilizzare lo sfriddo, cioè i ritagli della pasta con cui esso era appena stato preparato; però in seguito, col sempre crescente successo di vendita, venivano cotti anche da soli, appositamente, in
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una sorta di specializzazione come dimostrano le insegne “Taralleria” che ancora si trovano a Napoli. Anche l’etimologia ci ricorda la sua intima derivazione dal pane, venendo forse dal greco daratos, col significato di “sorta di pane”. Ma, per quanto riguarda la forma circolare, potrebbe anche derivare dall’italico tar (avvolgere) o dal francese antico danal (pain rond, pane rotondo). Nasce sotto un panno, il tarallo partenopeo di cui siamo convintissimi e appassionati sostenitori. Nasce e lievita nei forni della Napoli più umile e più vera e da lì si diffonde nei vicoli oscuri dove il sole non penetra mai e dove il calore veniva portato da lui, questo piccolo sole di pasta intrecciata che per i popolani costituiva forse l’unico sfizio (e l’unico cibo!) sempre a portata di mano e a portata delle proprie possibilità economiche. Costava poco, grazie ai suoi bassi costi di produzione, e riempiva molto, ma soprattutto regalava una pausa benedetta nelle abbruttenti fatiche quotidiane, uno spiraglio di godimento
del palato e del cuore, un ristoro momentaneo che, tuttavia, grazie agli altri ingredienti che lo compongono, durava a lungo, che ti portavi dietro mentre riprendevi a faticare e, talvolta, a soffrire anche dei più sottili mali dell’anima e del sentimento. Quello che resta così a lungo in bocca e nella mente è dato dalla presenza di tre ingredienti fondamentali, senza i quali un tarallo napoletano non è un tarallo e, men che meno, è napoletano: la ’nzogna (la “sugna”, termine dialettale che, in italiano, indica lo strutto, il grasso di maiale) e parecchio pepe, pepe nero. Tarallo ’nzogna e pepe: questo è il suo nome, una parola d’ordine che apre le porte di questa straordinaria città. All’inizio dell’800 si è poi arricchito di un altro ingrediente che tuttora ne è parte integrante: la mandorla, che si sposa alla perfezione col pepe. La mandorla permette anche di capire se il tarallo è fresco o no, poiché deve essere dura e profumata. Alla larga da quelle molli e inodori!
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Il tarallo ‘nzogna e pepe a Napoli è considerato un pezzo della tradizione culinaria partenopea. Una delizia che si può comprare nei tarallifici e nei chioschi sul lungomare.
Tutto questo costituiva anche una sorta di cibo “salvavita” per la popolazione più povera, quella che si affollava nelle zone del porto e che MATILDE SERAO ha descritto così bene nel suo racconto “Il ventre di Napoli”. Per questo popolino perennemente denutrito e affamato arrivava in soccorso il tarallo che costava poco ma saziava molto. La sugna e il pepe lo facevano durare a lungo soddisfacendo almeno il ricordo di aver mangiato, mentre la sugna donava una parte, per quanto minima, delle necessarie calorie quotidiane. In questo modo il tarallo diventava una benedizione per tutti, dal fornaio al consumatore. Oggi il tarallo napoletano è diventato un bene voluttuario. Lo si trova ancora, appena sfornato, in alcune panetterietarallerie e nei chioschetti sul lungomare, ma è reperibile anche confezionato in sacchetto nei supermercati e, soprattutto, nei pub e nelle birrerie. Taralli e birra sono un duo vincente presso la clientela più giovane, che mantiene attuale questo genuino prodotto dell’inventiva locale.
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Cibo povero, in origine, e cibo di strada Il “tarallaro” era una figura caratteristica. Girava tutti i quartieri della città con la sua cesta sulle spalle, offrendo i suoi taralli ai passanti dalla mattina alla sera tanto che ancora oggi, per indicare una persona costretta ad arrabattarsi senza sosta, a Napoli si dice: “Me pare ’a sporta d’o tarallaro!”. E, poiché il tarallo va consumato caldo affinché possa sprigionare tutta la sua fragranza, andava gridando: Taralle, taralle càvere!, che significa “Taralli caldi!”, estraendoli con estrema attenzione da sotto la coperta con la quale cercava di conservarne il tepore del forno il più a lungo possibile. Riscaldare il tarallo rimane sempre fondamentale: non occorre chissà che cosa, basta il termosifone o anche il semplice calore del sole affinché la sugna si liberi e la mandorla profumi… FORTUNATO BISACCIA, Fortunato il “tarallaro”, ha incarnato al meglio questa figura di ambulante-imbonitore. Se lo ricordano tuttora, nei vicoli della
città antica. Povero in canna, al ritorno dalla seconda guerra mondiale non trovò nient’altro da fare che prendere alcuni taralli da un forno e mettersi a venderli per i vicoli del Rione Sanità e dei Quartieri Spagnoli. Era tanto bravo, tanto simpatico, tanto convincente che arrivò a venderne 1.500 al giorno, cosicché quello che doveva essere un ripiego in attesa di trovare un’occupazione più stabile e redditizia divenne il lavoro di un’intera vita e fece di lui un indimenticabile beniamino delle strade, che rallegrava coi suoi lazzi e i suoi richiami dal sapore napoletano non meno inconfondibile di quello dei suoi taralli. Perfino il cinema e la televisione finirono per interessarsi a lui e gli fu dedicato pure un gradevole libro (“Fortunato. Vita, morte e nessun miracolo di un tarallaro napoletano” di MASSIMO ANDREI, 2007) ma è soprattutto nel cuore della gente del popolo che è rimasta la memoria del suo inconfondibile slogan: Fortunato tene ’a rrobba bbella,’nzogna’nzo’! Nunzia Manicardi
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Una bontà della Garfagnana: il Prosciutto Bazzone di Josette Baverez Blanco
l ricordo di momenti vissuti in tutta libertà, pensiero nostalgico o felice a secondo della persona, mi ha riportato alla mente l’ultima discesa in Garfagnana, destinazione Ghivizzano, un piccolissimo paesino sito a circa trenta chilometri da Lucca nel comune di Coreglia Antelminelli,
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altro meraviglioso borgo molto più noto e pubblicizzato e facente parte dell’associazione I Borghi più belli d’Italia. Lo scopo di quella gita era gastronomico, ovvero assaggiare in loco il Prosciutto Bazzone, salume caratteristico dei territori montani della Media Valle del Serchio e della Garfagnana. Questo
ambiente si rivela particolarmente propizio alla presenza di maiali locali dal mantello grigio, allevati in stato semibrado dalla fine dell’Ottocento. Ricordiamo soltanto che i salumi rappresentavano una fondamentale risorsa proteica, in particolare per le famiglie contadine, normalmente molto numerose.
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Ghivizzano viene citato per la prima volta in un documento del 983, per il suo castello e l’abitato ad andamento concentrico che si ritrova nei vecchi camminamenti coperti della fortezza e le sue feritoie. Il borgo toscano si “apre” e si “chiude” con due porte monumentali e la sua fortificazione è di epoca romana. Il suo sviluppo urbano risale al periodo longobardo: furono i Ronaldinghi, antica e potente famiglia longobarda, a gestire questo borgo dal 983 per diversi secoli fino a che, per via ereditaria, passò alla famiglia dei Bizzarri e poi agli Antelminelli nel XIV secolo. Fu allora che il condottiere e Duca di Lucca CASTRUCCIO CASTRACANI DEGLI ANTELMINELLI, grande stratega e uomo d’armi, fece un’opera di consolidamento della cittadella, con la Torre che porta il suo nome, alloggio in tempo di guerra. A fianco della porta d’ingresso si può tuttora ammirare quella che fu la sua dimora signorile. In Lunigiana sono numerose le opere del patrimonio storico e monumentale del Medioevo italiano legate al suo nome, in particolare castelli e fortificazioni. Quando Castruccio morì, nel 1328, fu suo erede FRANCESCO CASTRACANI DEGLI ANTELMINELLI, prima che subentrassero i Guinigi e gli Sforza. Nel 1810 governava a Lucca la sorella di Napoleone, Granduchessa di Toscana ELISA BONAPARTE BACIOCCHI, e fu lei a decidere l’apertura di una seconda porta di accesso al castello, Il Portello. La particolarità più affascinante di Ghivizzano è però il porticato che conduce a stretti cunicoli e viuzze fino alla Piazza centrale e alla chiesa San Pietro e San Paolo alla sommità del colle. Con una breve scalinata si raggiunge poi la Rocca col suo giardino e la torre antica e da lì l’occhio abbraccia un bellissimo panorama sulla vallata circostante. Non va tralasciata nemmeno la piccola chiesa oratorio romanica di Sant’Antonio, da scoprire in mezzo agli angoli pittoreschi, tra archi e passaggi segreti. Il Bazzone, origine e caratteristiche Questo prosciutto deve l’appellazione “Bazzone” alla sua forma caratteristica che rammenta un mento sporgente, nel dialetto locale detto “bazzo” o “bazza”. La forma del prosciutto è infatti particolarmente slanciata, grazie ad
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Ghivizzano è uno dei pochi borghi esistenti lungo la Valle del Serchio a mantenere quasi integra la sua struttura medievale e il suo castello sorto in epoca romana. una specifica rifilatura che lascia uno spazio tra l’osso e la parte inferiore che varia dai 12 ai 18 centimetri. Il Prosciutto Bazzone è diventato un Presidio Slow Food per evitare che scompaia la sua metodologia di lavorazione tradizionale. I produttori aderenti si attengono infatti ad un Disciplinare di produzione, che riguarda ogni fase della filiera, dalla scelta dei suini alla stagionatura. Come dicevamo, gli animali sono tuttora allevati allo stato semibrado nutrendosi di ghiande, castagne, noci, mele e pere raccolte a terra, muschio, sapori che si ritrovano in questo prosciutto particolare dal gusto aromatico di frutta secca. Le uniche aggiunte sono la farina di farro e la “scotta”, ossia lo scarto di lavorazione dei piccoli caseifici. La produzione si fa da settembre ad aprile. Il suino viene macellato quando raggiunge i 200 kg, a 15 mesi circa.
Il prosciutto viene poi rifilato e salato. La salagione dura circa 3 mesi durante i quali il pezzo è regolarmente massaggiato con sale e spezie. Viene allora lavato, asciugato e messo a stagionare per un minimo di 24 mesi. Sono assolutamente esclusi conservanti o sostanze additive per questi cosciotti ricoperti di pepe nero di 16-19 kg. Al taglio, da fare rigorosamente a coltello per esaltarne le caratteristiche, si nota il contrasto tra il buon strato di grasso roseo e la carne magra, di un bel colore rosso vivo. Una vera delizia da abbinare al classico pane di patate garfagnino, dal sapore di mandorla e nocciola, alla polenta fritta e ai porcini in stagione. Josette Baverez Blanco Nota A pagina 72, il prosciutto Bazzone dellaGarfagnana e della Valle del Serchio (photo © www.vetrina.toscana.it).
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NUTRIZIONE
IL PROSCIUTTO CRUDO DI CUNEO DOP NELLA DIETA MEDITERRANEA: SEMPRE MENO SALE, SEMPRE PIÙ GUSTO La nutrizionista Sara Cordara (www.nutrizionismi.it) illustra i tanti benefici del Crudo di Cuneo Dop: dal ridotto contenuto di sodio all’ottimo apporto proteico, caratteristiche che lo rendono adatto a tutti i regimi alimentari
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al ridotto contenuto di sodio all’ottimo apporto proteico: S ARA C ORDARA (www.nutrizionismi.it), biologa nutrizionista specializzata in Scienza dell’alimentazione umana ed esperta in nutrizione e integrazione sportiva, ci illustra di seguito i tanti benefici del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, un’eccellenza piemontese adatta a tutti i regimi alimentari. Tante proteine e vitamine per tutte le fasce d’età «Il Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, grazie all’ottimo contenuto proteico (circa il 29%), al ridotto contenuto di sodio e di colesterolo e alla presenza di vitamine del gruppo B, che aiutano a ridurre stress e stanchezza, è consigliabile alla popolazione di tutte le fasce di età» sostiene la dottoressa Cordara. «Dai bambini agli anziani (il prosciutto crudo ha infatti un coefficiente di digeribilità attorno al 97%), passando anche per gli sportivi, merito del marcato contenuto di sali minerali e delle proteine, altamente ricche di amminoacidi essenziali e anche di “ramificati” come valina, leucina e isoleucina». Poco sale, molto gusto «Nel Crudo di Cuneo DOP troviamo circa 4,5 g di sale in 100 g di prodotto: questo giustifica il suo sapore dolce e delicato» puntualizza Sara Cordara. «Detto ciò, non c’è ragione per rinunciare al rito dell’antipasto all’italiana, quello in cui troneggiano fette di prosciutto insieme alle verdure in sottolio, in pinzimonio e sottaceto. Ma bisogna considerarlo un piatto unico, perfetto per un pasto semplice e veloce e, soprattutto, sfizioso». Abbinamenti consigliati, tutti da sperimentare «Per abbassarne la “salinità” puntate
sulla frutta, in quanto l’acqua e il potassio di cui è ricca favoriscono l’eliminazione del sodio presente nei salumi» suggerisce la nutrizionista. «Provate e sperimentate coppie insolite, come prosciutto crudo e ananas o pompelmo o uva bianca o frutti di bosco o ancora mango e papaia. Oltre a stemperare la sapidità dei salumi, la frutta apporta fibre e vitamina C, facilitando così l’assorbimento del ferro presente nei salumi stessi. Ovviamente, come accennavo prima, nello stesso pasto meglio consumare alimenti poco sapidi, come il pane toscano senza sale». L’importanza della Dieta Mediterranea «Mangiare sano sposando la Dieta Mediterranea significa mettere in tavola pasti equilibrati, ossia che apportino determinate quantità di carboidrati, grassi e proteine. L’equilibro dei nutrienti garantisce benessere e giusto senso di sazietà. Ad esempio, una buona e sana merenda per i bambini può essere il classico panino con il prosciutto, preparato con 50 grammi di crudo e 100 grammi di pane (preferibilmente integrale, più ricco di fibre); apporta inoltre una buona quantità di proteine e carboidrati. Nutrizionalmente però non è completo: meglio aggiungere delle verdure grigliate o qualche foglia di insalata, con un cucchiaio di olio extravergine di oliva e succo di limone, un ottimo antiossidante capace di favorire l’eliminazione del sale attraverso le urine. Se desiderate consumare il prosciutto crudo per colazione affiancatelo con due fette di pane di segale tostato e un frutto fresco». •
Per avere maggiori informazioni consultate il sito www.prosciuttocrudodicuneo.it
REGIONE PIEMONTE FEASR – Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale L’Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3 – Sottomisura 3.2 – Operazione 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 1/2020_B
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41038 S. Felice s/P (MO) Via Palazzetto, 36
STREET FOOD
ANCHE GENOVA HA IL SUO MERCATO DEL GUSTO: SI CHIAMA MOG MOG – Mercato Orientale Genova è uno spazio di ristorazione sorto nel centro storico della città ligure fra cibo da strada e alta cucina, attenzione all’ecologia e alla sostenibilità, in una location di grande valore di Massimiliano Rella
La piazza del MOG – Mercato Orientale Genova col bar centrale e gli stand gastronomici laterali.
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Genova è nato un mercato del gusto sullo stile della Boqueria di Barcellona o del Mercado de San Miguel di Madrid e del Covent Garden di Londra. Si chiama MOG – Mercato Orientale Genova ed è uno spazio di ristorazione fra cibo da strada e alta cucina all’interno dello storico Mercato Orientale. Uno spazio tra i banchi frequentati dai genovesi alla ricerca di primizie che si ispira alle ultime tendenze di quei luoghi d’aggregazione e gusto ormai diffusi in tutto il mondo. Il MOG va inserirsi in una location di valore storico-architettonico, con un’attenzione agli aspetti ecologici e all’uso di materiali compostabili, uno spazio recuperato di 2.000 m2 per un’innovativa piazza del gusto con 11 food corner, 270 posti a sedere, un ristorante gastronomico di 50 coperti affacciato sul cortile interno, un bar centrale con una drink list di 100 offerte e un soppalco di 800 m2 dedicato alla formazione. È stato inaugurato nel maggio 2019 a 120 anni esatti dall’apertura del Mercato Orientale e si trova sul piano rialzato, una sorta di “piazza” interna alla struttura ottocentesca, illuminata di luce naturale che filtra da ampie vetrate laterali, concepito secondo un progetto che è stato premiato nel 2017 nell’ambito del concorso di UrbanPromo per le nuove modalità di urbanistica e architettura nel campo della produzione. Un tempo lo spazio occupato dal Mercato Orientale ospitava il convento eremitano di Sant’Agostino, che tuttora possiede la contigua chiesa di Nostra Signora della Consolazione.
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Banchi al Mercato Orientale. Dal 1899 l’area del chiostro del convento ospita invece i banchi di frutta, verdura, pesce, carne, pane e spezie, vicino a quella che era la porta orientale dove il mercato all’ingrosso fu trasferito a fine ‘800. Una delle etichette di punta del MOG è — ci scuserete per la ripetizione di parole — il ristorante gastronomico MercatOrientale, diretto dallo chef DANIELE REBOSIO, 24 anni, ligure, ex studente dell’alberghiero Marco Polo prima di girare alcune delle migliori cucine d’Europa: a Londra da Il Macellaio Roberto Costa, allo Splendido di Portofino, a Barcellona per 6 mesi al Bulli Lab, poi a Venezia all’Aman Venice gestito dallo chef ANDREA JUNIO TORRE in collaborazione con DAVIDE OLDANI e a Parigi al Gran Cascade. Oggi di ritorno a Genova per questa nuova sfida. «Il
genovese è attaccato alla tradizione, la mia è quindi una cucina che parte dai prodotti del territorio, con un menu mensile di carne e pesce, anche prodotti poveri come razza e midollo o della tradizione come la lingua di manzo o il coniglio, cotto però a bassa temperatura e lavorato in modo diverso» spiega DANIELE REBOSIO. «La mia idea è di far cambiare idea al genovese, portarlo a provare nuove interpretazioni dei riferimenti gastronomici del territorio con un tipo di cucina moderna, contemporanea, a volte sperimentale, che qui ancora non è arrivata». Massimiliano Rella >> Link: www.moggenova.it Nota Photo © Massimiliano Rella.
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PASTA
Sebadas, la pasta che si crede dolce corre per lâ&#x20AC;&#x2122;IGP Gli imprenditori sardi chiedono la denominazione europea che potrebbe diventare la seconda Igp regionale della pasta e la sesta italiana di Sebastiano Corona
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he il primo piatto per antonomasia fosse un prodotto versatile, con cui si possono realizzare menu completi dall’antipasto al dolce, era cosa nota. La Sardegna ne dà conferma, proponendo una specialità che, pur considerata a tutti gli effetti una pasta alimentare, viene servita come dessert ed entra a pieno titolo nell’elenco dei prodotti tradizionali più caratteristici della cucina isolana e nazionale. Una specialità che potrebbe presto acquisire anche il più ambito dei riconoscimenti in materia di agroalimentare, quello della Indicazione Geografica Protetta. È stata infatti depositata di recente, l’istanza per le Sebadas di Sardegna IGP. La richiesta è partita da un gruppo di imprenditori del settore della pasta fresca che si sono riuniti in Comitato, nel tentativo di tutelare e promuovere il prodotto.
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Sono dieci le imprese artigiane, sparse in tutto il territorio regionale, che si sono assunte l’onore e l’onore di inoltrare la richiesta al Ministero delle Politiche Agricole e all’Assessorato Agricoltura della Regione Sardegna. Si tratta dei maggiori produttori isolani della nota specialità: La casa della nonna di Bolotana (NU), il Laboratorio di pasta fresca e pasticceria di Richard Marci di Cardedu (NU), il pastificio Contini Srl di Santa Giusta (OR), il pastificio Calitai di Cagliari, il pastificio Antonio Cossu srl di Iglesias, la ditta I Sapori d'Ogliastra di Vito Arra di Lanusei, il panificio La fornarina di Marco Orrù di Cagliari, il Biscottificio Demelas di Stintino e La Sfoglia d'Oro di Sassari. Le Sebadas vengono prodotte unicamente in Sardegna ma, soprattutto, il loro consumo è per il momento fortemente limitato all’isola, sebbene sia possibile acquistarle anche Oltretirreno. Anche per questo, forse, i numeri sono ancora modesti. Si stima una produzione media annua complessiva di circa 1.625.000 pezzi e 1.300 quintali, per oltre 1.300.000 euro di fatturato, 150 dipendenti nel solo ambito della trasformazione e 250 addetti complessivi per 200 pastifici circa. Corre però l’obbligo di segnalare che buona parte della produzione sfugge alle statistiche: non c’è ristorante o agriturismo che non le proponga nel menu, quasi sempre di propria realizzazione. Numeri modesti, si diceva, ma destinati ad aumentare se, come si spera, il tanto sospirato riconoscimento, dovesse arrivare. Un riconoscimento che potrebbe generare ricadute importanti, a cascata sul primario. Le Sebadas sono infatti un prodotto dal grande significato simbolico e dalla forte identità che la storia vuole come piatto per gratificare il pastore al rientro dalla transumanza di settimane intere, lontano da casa assieme al bestiame. Rappresentano l’incontro tra le più importanti filiere dell’agricoltura isolana: quella ovina, quella suinicola e quella cerealicola, poiché si tratta di un prodotto di semola e farina, con un ripieno di formaggi e aromi e una sfoglia particolare che contiene dello strutto, che lo rende particolarmente croccante a seguito di frittura.
Valorizzano al meglio le produzioni locali e il saper fare dei pastai isolani che, con sapienza e impegno, rinnovano il patto con una tradizione culinaria che è anche espressione della cultura e della identità locali. «Puntiamo a far entrare le Sebadas nell’Olimpo delle eccellenze gastronomiche mondiali con l’acquisizione di una denominazione che è innanzitutto una tutela per il consumatore e dei produttori che fanno qualità» dichiara FRANCO CALISAI, presidente del Comitato promotore Sebadas di Sardegna IGP, che da anni ormai lavora alla causa e che aggiunge: «non è sempre facile trovare un punto di sintesi tra produttori. Anche quando si tratta di una specialità universalmente realizzata in tutta la regione, ogni impresa ha una sua ricetta che si discosta, seppur non in maniera significativa, da uno all’altro». Il Disciplinare depositato prevede per questo varianti minime, ma che si rifanno alla tradizione locale talvolta differente da comune a comune e sono prevalentemente relative alla tipologia di formaggio utilizzato (ovino o caprino o vaccino), agli aromi (scorza di limone o di arancia), alla dimensione e al peso. La ricchezza del patrimonio gastronomico sardo non sta infatti tanto o solo negli innumerevoli prodotti che non esistono fuori dall’isola, ma anche nelle leggere difformità tra ricette, a sottolineare l’artigianalità del prodotto e il suo stretto legame con il territorio. Se dovessero riuscire nel loro intento, i produttori sardi scriverebbero una nuova pagina di storia del patrimonio enogastronomico nazionale. Le Sebadas di Sardegna diverrebbero infatti la seconda IGP isolana della pasta e la sesta italiana, dopo la Pasta di Gragnano IGP, i Maccheroncini di Campofilone IGP, i Cappellacci di Zucca IGP, i Culurgionis d’Ogliastra IGP e i Pizzoccheri della Valtellina IGP. La certezza è che l’Indicazione Geografica Protetta possa aprire la porta ai mercati extraregionali, essere volano per un’economia oggi in forte sofferenza e dare una garanzia di qualità al consumatore. Sebastiano Corona Nota Photo © Alessio Orrù – stock.adobe.com
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FORMAGGIO
Professione infossatore di Massimiliano Rella
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ATTEO BARTOLONI, professione
agricoltore e infossatore di formaggi, a Centinarola di Fano (Pesaro-Urbino). Lo incontriamo nella sua piccola azienda a conduzione familiare con 90 piante d’ulivo e tre fosse di stagionatura, nell’area DOP del pregiato Formaggio di Fossa di Sogliano, prodotto caseario della zona appenninica, a cavallo tra Emilia-Romagna e Marche, tra le vallate del Rubicone e del Marecchia. L’idea di far maturare questo formaggio sotto terra si deve in realtà all’iniziale esigenza di nasconderlo dalle razzie dei predoni in età medievale, ma presto ci si rese conto che il prodotto acquisiva carattere e profilo organolettico, intensità di profumo e piccantezza, doti che da sempre contraddistinguono quest’eccellenza casearia, le cui origini più nobili si fanno però risalire al periodo dei Malatesta, signori di Rimini da fine ‘200 al ‘500. La preparazione di questo formaggio, che nel 2009 ha ottenuto la DOP europea, è tanto particolare quanto meticolosa. La prima cosa da sapere è che si può fare tanto con latte intero ovino e vaccino oppure misto (vaccino massimo 80%, ovino minimo 20%). Il resto del procedimento riguarda il rapporto con la terra, che nella zona a Denominazione D’origine Protetta è composta da limo, tufo e argilla. Ne abbiamo una dimostrazione dalla nostra “guida”, Matteo, la cui attività, oltre all’olio extravergine d’oliva e agli ortaggi, si completa da una ventina d’anni proprio con la stagionatura del formaggio nelle tre fosse di proprietà, una di queste nei rifugi della seconda guerra mondiale. Le fosse non sono semplici buche in cui gettare qualche forma per andarla a ripescare dopo un po’ di tempo, ma ci piace pensare siano un sodalizio tra un’antica architettura rurale e ipogea e la sapienza del contadino-casaro. Le fosse sono uno spazio ricavato nella terra tufacea e argillosa il cui microclima ideale, temperato dall’uomo con l’introduzione di accorgimenti, favorisce il migliore affinamento del formaggio. Hanno la forma di un fiasco rovesciato scavato nella terra di 3 metri di larghezza nel punto più alto, 2 metri in quello più stretto in basso, e un’altezza longitudinale di almeno 3 metri. Sulla
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In queste pagine, Matteo Bartoloni posa i sacchetti di Formaggio di Fossa di Sogliano in una delle tre fosse di proprietà a Centinarola di Fano (PU). Una volta ricoperti con la paglia, si procede alla chiusura con coperchio e terriccio.
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In alto: la famiglia Bartoloni con Gianluigi Draghi, presidente del Consorzio della Casciotta di Urbino e dell’azienda Fattorie Marchigiane, e Paolo Cesaretti di Cooperlat Trevalli. In basso: il Formaggio di Fossa di Sogliano Dop. base la presenza di una “fossetta” di raccolta dei liquidi d’affinamento. Così in generale. Le tre fosse dell’azienda di Centinarola di Fano hanno capacità di 78 quintali, la più grande, e capienza di circa 4.600 forme, 32 quintali la seconda e la terza, nel rifugio bellico, di “appena” 5 quintali. Quando un formaggio di Sogliano entra in fossa pesa 1,5 kg ma ne esce deformato dal peso, un po’ schiacciato e cilindrico, e alleggerito di almeno 300-400 grammi, persi durante il “dimagrimento” ad una temperatura costante
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di 16-17° gradi e umidità relativa del 98%. I formaggi sono avvolti in sacchi di cotone, ogni sacco con 10 forme, e l’insieme dei sacchi poggiato sui bancali di legno alla base della fossa, tenuti al caldo tutti ammassati e avvolti da una “coperta” di canne e paglia, sapientemente addobbata sulle pareti del “fiasco rovesciato”. Il “letargo” dura 80-100 giorni e la “sfossatura” avviene a novembre e trova il suo momento più simbolico il 26, Santa Caterina. C’è un particolare. Anche dalla stessa fossa si ottengono formaggi con profilo organolettico diverso, a seconda
della loro posizione nel “fiasco”: quelli maturati vicino alle pareti più intensi e piccanti, più delicati invece i più interni alla fossa e distanti dalla terra. «Esistono un centinaio di fosse. Un tempo si distinguevano tra le cantine delle case, le neviere e le fosse di grano» ci racconta GIANLUIGI DRAGHI, presidente del Consorzio della Casciotta di Urbino e dell’azienda Fattorie Marchigiane, Gruppo Cooperlat Trevalli, produttrice di 400.000 forme di Formaggio di Fossa di Sogliano DOP. «Inoltre, il profilo organolettico è diverso a seconda dell’esposizione e delle temperature e dei terreni. Ci sono fosse che lavorano molto, fosse che lavorano il giusto, in queste i formaggi perdono il 10% del peso e scendono di volume senza crepe». Un suggerimento sui vini da abbinare ai formaggi ci arriva da OTELLO RENZI, il capo dei sommelier delle Marche. «Se per la delicata Casciotta di Urbino suggerisco uno dei nostri bianchi, come il Bianchello del Metauro, per i formaggi di fossa non posso che consigliare rossi non particolarmente strutturati, come il Rosso Conero o il Rosso Piceno». Invece per i consigli ai fornelli conclude il giro di suggerimenti lo stesso Draghi. «Il Formaggio di Fossa di Sogliano DOP? Ottimo condimento per carpacci, passatelli in asciutto e Crescia di Pasqua». Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.
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Il formaggio del futuro contiene conservanti che fanno bene Prima dell’introduzione di prodotti chimici negli alimenti, gli unici conservanti a cui le nonne avevano fatto ricorso erano il sale, il freddo, l’olio. Ma una rassegna condotta dalle ricercatrici Pamela Manzi e Mena Ritota del CREA—Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione di Roma, dimostra come sia possibile fare ricorso anche alle piante per conservare, ad esempio il formaggio, ed ottenerne addirittura dei benefici per la salute. Il formaggio, infatti, è un alimento suscettibile alla contaminazione da parte di microrganismi che possono comportare una ridotta durata di conservazione del prodotto, oltre che rischi per la salute dei consumatori. «Il Reg. UE n. 1129/2011 permette l’utilizzo di conservanti nel processo di produzione, ma allo stesso tempo — spiega Pamela Manzi — i consumatori chiedono sempre più cibo privo di conservanti sintetici. Proprio per questo gli ingredienti naturali stanno ricevendo sempre più attenzione come sostituti degli additivi chimici, anche perché hanno composti bioattivi che potrebbero apportare benefici alla salute nella prevenzione di diverse malattie». Secondo lo studio, presentato in anteprima durante la special edition di Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona (3-5 dicembre 2020), la maggior parte degli ingredienti naturali ha mostrato diverse attività, tra cui quella antimicrobica, che potrebbe ritardare o inibire la crescita di microrganismi patogeni negli alimenti, oltre ad avere un effetto positivo caratteristiche nutrizionali e sensoriali del prodotto finito. L’uso di erbe e spezie nella produzione del formaggio è una pratica diffusa fin dall’antichità. Numerosi sono i formaggi già trattati con erbe naturali, in particolare in Italia (Casoperuto, Marzolino, Romano pepato, Piacentinu Ennese Dop, ecc…), pertanto la ricerca scientifica è attualmente concentrata sullo sviluppo di nuovi metodi per utilizzare estratti naturali come conservanti. I composti naturali che esercitano attività antimicrobica e che si trovano in concentrazioni più elevate nelle piante sono composti fenolici, terpeni (monoterpeni, sesquiterpeni), aldeidi e chetoni, composti contenenti zolfo. L’attività antibatterica dei composti naturali viene generalmente valutata contro i principali microrganismi patogeni comunemente riportati nei formaggi come Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus, Escherichia coli e Salmonella. Tra le piante più efficaci, l’olio di semi di cumino nero integrato con un formaggio a pasta molle ha mostrato un’attività antibatterica generale contro tutti i principali batteri patogeni del formaggio. Caienna e pepe verde sono stati in grado di ridurre la popolazione di S. aureus nel formaggio egiziano Karish, mentre estratti di cannella, aglio, citronella, crescione, rosmarino, salvia e origano hanno inibito individualmente la popolazione di L. monocytogenes nei formaggi lavorati. Gli oli essenziali di origano e timo hanno dimostrato di esercitare attività antimicrobica contro L. monocytogenes nella feta, mentre nel formaggio bianco iraniano, salvia e oli essenziali di basilico hanno mostrato attività antimicrobica contro L. monocytogenes. Recentemente anche gli estratti acquosi sono stati valutati come potenziali conservanti naturali, ad esempio gli estratti acquosi di aghi di pino. Alcuni composti di origine vegetale hanno anche mostrato risultati promettenti nell’inibire la crescita di funghi patogeni. I funghi sono microrganismi che alterano in modo significativo gli alimenti durante la conservazione, determinando la non idoneità al consumo umano, riducendo il loro valore nutritivo e talvolta producendo micotossine. Diversi oli essenziali (cannella, basilico, zenzero, limone, menta piperita, ago di pino e menta verde) hanno mostrato in vitro una attività antifungina contro Penicillium spp. e, tra questi oli essenziali, quelli di foglie e cortecce di cannella sono stati testati come antimicrobici durante la stagionatura del formaggio. Infine, l’azione antiossidante dei composti di origine vegetale è dovuta principalmente all’elevata concentrazione di composti fenolici, che il formaggio di per sé contiene in bassa quantità. Ad esempio, l’aggiunta di estratti di Inula britannica in un formaggio di tipo Cheddar ha fatto riscontrare un aumento dell’attività antiossidante. Tuttavia, i composti di origine vegetale hanno generalmente un sapore forte, anche se presenti in piccole quantità, il che potrebbe comportare un possibile rifiuto dei consumatori. Fortunatamente la ricerca scientifica è oggi in grado di effettuare studi analitici sulle proprietà sensoriali dei formaggi, ottimizzando l’utilizzo di composti naturali. Un altro vantaggio per la ricerca scientifica odierna è che le apparecchiature analitiche sono anche in grado di valutare il profilo aromatico del formaggio, al fine di determinare il contributo reale di ciascun composto naturale all’aroma del formaggio. «Un ulteriore aspetto su cui è necessario riporre molta attenzione — concludono le ricercatrici — e che, a nostro avviso, non è stato ancora preso in considerazione, è il potenziale utilizzo di conservanti naturali per migliorare ulteriormente il valore nutrizionale del formaggio. Erbe e spezie, infatti, possono essere utilizzate in diverse ricette per sostituire parzialmente o totalmente ingredienti meno salutari come sale e grassi saturi» (fonte: Testori Comunicazione).
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VINO
LIECHTENSTEIN, VIGNE E VINI DEL PRINCIPATO di Riccardo Lagorio
La produzione di vino è una delle principali attività dell’agricoltura nel Liechtenstein, piccolo principato incastonato tra l’Austria e la Svizzera. La coltivazione della vite risale all’epoca celtica ed ebbe un grande sviluppo durante la dominazione romana (photo © Marcel Hagen – studio22.at).
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on cercatelo nelle statistiche dei 20 maggiori produttori mondiali di vino. Le vigne del Principato del Liechtenstein, sebbene diffuse in tutta la zona collinare del Paese, non competono per quantità con Francia o Italia. Nemmeno coi numeri ben più esigui di Austria e Svizzera che accerchiano il piccolo Stato. Tuttavia, il clima ideale di fondovalle, incoraggiato dai pendii calcarei rivolti a Sud-Est e da un’insolazione di oltre 1500 ore all’anno sostenuta dal föhn che in estate corre sul Reno, si rivela una straordinaria condizione per la viticoltura. Le stime spesso esibite di oltre 100 viticoltori, molti hobbisti, rende bene l’idea della diffusione dei tini nel Principato, in considerazione del numero di sudditi inferiore a 26.000. Anche la storia della viticoltura riserva sorprese, essendo particolarmente longeva. Pare infatti che le viti di Pinot nero arrivarono all’inizio del Seicento su sollecitazione di Enrico II di Rohan e ancora a fine Ottocento vino e bestiame erano i prodotti più esportati del Liechtenstein. Nel 1871 si contavano 320 ettari destinati alla coltivazione di uva per produrne vino. A causa dei raccolti altalenanti e della difficoltà di immettere il vino sul mercato, alcuni agricoltori fondarono nel settembre 1930 l’Associazione dei viticoltori Triesen. L’associazione, che conta 36 iscritti, si impegnava ad acquistare tini e botti e aiutare i soci nella commercializzazione del vino (weinbauverein.li). L’area che
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Non solo vino, ma anche grandi birre nel piccolo Stato. Le crea Bruno Güntensperger, dal 2007 a Schaan (brauhaus.li). In verità, il primo birrificio del Liechtenstein risale al 1917. Racconta: «Grazie ad un riuscito gioco di diversi malti e luppoli selezionati, che vengono attentamente maturati, si creano opportunità brassicole uniche e di grande godimento, che non hanno nulla in comune con le birre standardizzate prodotte dall’industria». Parte dell’orzo proviene proprio dalla campagna del principato e viene maltata in Germania, mentre il luppolo giunge dall’area intorno al lago di Costanza come il Tettnanger, usato per l’Alpagold, birra tipo Lager, dal profumo luppolato e citrino e gusto leggermente amarognolo con finale che sottolinea la presenza di questo particolare luppolo. L’Indian Pale Ale Club Bier 05 profuma di frutta tropicale, gusto di caramello e di spezie possiede un caratteristico retrogusto erbaceo. Tutta la dozzina di birre prodotte dal microbirrificio è piacevole e garantisce abbinamenti centrati coi cibi del Principato. Tuttavia, merita particolare menzione la Whisky Beer edizione limitata, maturata per 9 mesi in botti di rovere. Cremosa, spettacolare, dalle note di whisky, cioccolato e liquirizia appena stappata, rilascia in bocca note di tabacco, vaniglia, liquore di ciliegie. Il corpo ampio, l’amaro armonico, la persistenza ne fanno una delle migliori birre del continente.
Nella seconda metà dell’800 il vino era il principale prodotto d’esportazione del Principato insieme al bestiame. Oggi ci sono poco più di un centinaio di piccoli e piccolissimi produttori, molti hobbisti. Anche il Principe produce vino attraverso la sua cantina. Le varietà più diffuse tra i bianchi sono Riesling, Chardonnay, Gewürztraminer, tra i rossi, Pinot Noir, Blauburgunder, Blaufränkish, Zweigelt
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Uve di Maréchal Foch. Resistente a oidium, peronospora e botrytis, è adatta al vino biologico. Il succo è rosso, di conseguenza il vino, indipendentemente dall’estensione, ottiene un colore rosso forte. È molto aromatico, con tocco di bacche nere, more, mirtilli, ciliegie nere. viene coltivata a vite dall’associazione è di circa 3,5 ettari, con netta prevalenza di Pinot nero, al quale si aggiungono altri vitigni internazionali e dei vitigni resistenti come Maréchal Foch e Rac 3209. Tra le etichette di coloro che partecipano all’associazione e vinificano anche con nome proprio va segnalato un generoso Pinot nero barricato 16 mesi St. Wolfgang, vinificato da parte della famiglia di MICHAEL GOOP dalle uve di ROSA e FRANZ WACHTER, proprietari della Trattoria Au di Vaduz. Il Pinot nero risulta essere il vitigno più diffuso nel Principato. Presenti in quantità minore ceppi a bacca rossa di Zweigelt e Franconia, mentre tra quelli a bacca bianca prevalgono Pinot grigio e Riesling x Sylvaner. La riprova sta nella Tenuta Castellum di HUBERT GSTÖHL, dove la maggior parte dei 4 ettari sulle colline di Eschen è piantata a Pinot nero (weine. li). Sono ben 15 le varietà di uva, tutte raccolte a mano. Lo Zweigelt Tradition, rosso granato, profuma di frutti di bosco, impreziosito dal passaggio in legno. Con la stessa varietà, Gstöhl elabora anche un giovane e rigoglioso rosato. Appassionato vignaiolo è HARRY ZECK, che ha collezionato 40 presenze
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nella nazionale di calcio prima di votarsi completamente alla viticoltura nel 1998. Con un diploma in enologia ottenuto alla scuola di Wädenswil, dal 2014 adotta un approccio il più possibile naturale e bandisce ogni tipo di trattamento chimico in campo producendo secondo i canoni dell’agricoltura biodinamica (hz-weinbau.li). Nell’ampia sala degustazione, accanto alla statua di Sant’Urbano, protettore dei vignaioli, spiega «L’obiettivo che mi pongo è arrivare ad avere ogni volta un vino personale con metodi naturali. Ciò è possibile solo se l’uva arriva in cantina sana e con una maturazione fisiologica naturale. Il fattore decisivo è la bassa resa per metro quadrato». In cantina pigiano le uve in maniera molto soffice. La fermentazione è spontanea. In seguito i vini rossi non vengono filtrati mentre i vini bianchi vengono filtrati il meno possibile. Primus Mauren Doc è un Sauvignon della vigna Haberwald dal naso che provoca ricordi di mandarino e pera, la bocca è pervasa da sapidità brecciosa. Il Pinot bianco Vaduz Doc è verdolino, dai profumi che spaziano dalla menta al melone alla pesca, ha corpo pieno.
Nel Pinot nero Aurum si distinguono chiaramente chiodi di garofano e frutta rossa nel finale, nel Roteshauss sboccia forte la rosa. A limitate ma avvincenti produzioni si dedica ANDRÉ KINDLE (kapuziner.li): il suo Pinot nero vinificato in bianco è verdolino, al naso ricorda la mela verde che si ritrova anche in bocca, unita a pera matura. Il Pinot nero è austero e ricco di frutta rossa, con una piacevole vena speziata finale. Anche il principe GIOVANNI ADAMO II possiede 4 ettari di vigne, rivolte a Sud-Ovest nel centro di Vaduz (hofkellerei.com). La vista dal pergolato del ristorante Torkel (torkel.li), sempre di proprietà della famiglia regnante, è di grande impatto visivo. Lo Chardonnay Herawingert ha corpo pieno, citrino. Il Va Dolce è vino da uve appassite da Pinot grigio e altre numerose varietà. Dopo una raccolta tardiva manuale, i graspi rimangono 4 settimane ad appassire. Il risultato è un vino dal colore giallo paglierino, dalla dolcezza poco pronunciata e dalla simpatica acidità finale. Insomma: 160 km2 di sorprese, anche enoiche. Riccardo Lagorio
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Veronafiere: confermati Vinitaly, Enolitech e Sol&Agrifood dal 20 al 23 giugno. Il 19 giugno ci sarà l’edizione speciale OperaWine 10th year anniversary con Wine Spectator La 54a edizione del Salone internazionale dei vini e dei distillati di Veronafiere si terrà dal 20 al 23 giugno, in contemporanea con i saloni Enolitech, Salone Internazionale dedicato a tutta la filiera tecnologica applicata alla vitivinicoltura, all’olivicoltura e al beverage, e Sol&Agrifood, Salone Internazionale dell’Agroalimentare di Qualità. OperaWine 10th year anniversary con Wine Spectator sarà invece il 19 giugno. La decisione è il risultato di un’attenta verifica ed è stata presa dopo uno specifico sondaggio di mercato. «Lo spostamento a giugno — commenta Maurizio Danese, presidente di Veronafiere Spa — è in linea con la revisione del posizionamento dei calendari delle principali fiere internazionali italiane ed estere. Il consiglio di amministrazione della fiera ed i soci hanno fatto una scelta ponderata in base alle informazioni più attendibili in campo medico, considerando anche l’incoming di buyer extra-europei. Stiamo inoltre lavorando con la Fondazione Arena che organizza la stagione lirica e la città di Verona per offrire ai nostri ospiti internazionali un’edizione imperdibile». «Vinitaly con OperaWine e le rassegne concomitanti — sottolinea Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere Spa —, si svolgeranno in un contesto temporale in cui il governo avrà avuto il tempo di predisporre le procedure di ingresso dei buyer internazionali nel nostro Paese. Nello stesso tempo in Europa vi saranno altri eventi rivolti alla promozione del settore vinicolo. Si tratta di una decisione strategica e sinergica per consentire agli operatori del mercato e dell’informazione, soprattutto quelli provenienti da Asia e USA, che sono tra i principali visitatori delle nostre rassegne, di poter ottimizzare la loro partecipazione con un solo spostamento» (photo © Ennevi).
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A Sorbara, nelle generose terre del Lambrusco, produttori da tre generazioni
UN SECOLO DI CANTINA GARUTI I
I fondatori di Cantina Garuti in una foto d’epoca: Romeo, Dante e Elio Garuti.
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l 25 novembre 2020 ha compiuto 100 anni Cantina Garuti, un secolo di attività per questa storica cantina modenese ubicata nelle campagne di Sorbara, cuore della produzione dell’omonimo Lambrusco e territorio tra i più vocati per la coltivazione di questo antico vitigno grazie alla sua origine alluvionale, ideale per la crescita della vite. Furono DANTE GARUTI e la moglie VALENTINA a raggiungere Sorbara dopo il loro matrimonio, nel 1920, dando origine al primo nucleo dell’azienda agricola dalla quale sarebbe nata e cresciuta la Cantina. Con l’ingresso in azienda dei due figli ROMEO e ELIO ci fu il primo ampliamento e la sede fu spostata in Via per Solara, dove si trova tutt’oggi. Negli ultimi decenni la proprietà è cresciuta e attualmente i vigneti coprono una superficie complessiva di una trentina di ettari; altrettanti sono dedicati a frumento, erba medica, sorgo e altre colture. Alla cantina vinicola si affiancano poi un’acetaia, con trecento barili certificati per la produzione di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, e dal 1993 anche un agriturismo, otto camere con vista sui vigneti e un ristorante nel quale i piatti della tradizione modenese, coi primi piatti e la sfoglia tirata a mano protagonisti del menu, si accompagnano a tutte le migliore proposte Garuti, esaltandole. Cantina Garuti è, infine, anche museo, quest’ultimo ricavato da un recente restauro conservativo della cantina storica e dedicato all’accoglienza dei turisti, che possono immergersi nelle atmosfere quotidiane del secolo scorso grazie ad alcune stanze arredate con antichi oggetti di famiglia e acquistare i vini e i prodotti dell’azienda al wine shop posto al suo ingresso.
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La terza generazione della famiglia Garuti brinda per festeggiare i 100 anni con le bottiglie della nuova linea realizzata in occasione del centenario della Cantina. In foto, Gianni, Annamaria, Antonella, Paola e Mariarosa Garuti. La linea del centenario Per festeggiare i suoi “primi” cent’anni, Garuti ha realizzato una nuova linea di prodotti, nella quale ogni vino ha il nome di un componente della famiglia che ha
contribuito a fare la storia della Cantina: c’è il Lambrusco di Sorbara DOP “Dante”, prodotto sia nella versione secca che amabile, il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOP “Romeo”, il Pignoletto
DOP “Elio” e il “Valentina”, un Rosato pluripremiato in vari concorsi che ha come base un Lambrusco Sorbara in purezza. La linea è comprensiva di due Metodo Classico, un rosato di Lambrusco di Sorbara in purezza e un bianco di Trebbiano di Spagna, frutto di due sperimentazioni compiute tra il 2015 e il 2016. «È una sperimentazione di cui andiamo molto orgogliosi, nata da un’idea di MAURO BOMPANI, marito di mia sorella Antonella» racconta ANNAMARIA GARUTI, rappresentante della terza generazione attiva in azienda. «Il vino è stato mantenuto in botti interrate nella nostra cantina, al buio, a riposare a temperatura costante, ed è stato riportato alla luce ad inizio 2020 per effettuare il remuage. “Cento Anni” è il suo nome, in onore del traguardo raggiunto. La forza della nostra famiglia — prosegue Annamaria — è che ciascun componente è animato dalla stessa passione e dallo stesso obiettivo, ovvero portare avanti ciò che hanno costruito dal nulla i nostri nonni e i nostri genitori con tanti sacrifici, e mostra così la strada alla quarta generazione che sta arrivando».
I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA
Degustazione: dolci fritti di Laura Franchini
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on è forse l’anno ideale per organizzare festeggiamenti e feste in maschera. Le mascherine del 2020 e del 2021 sono purtroppo ancora altre. Non vedremo le festose folle di Viareggio o Venezia, ma in situazione di sicurezza qualche soddisfazione potremmo anche levarcela, soprattutto a tavola. E non solo perché dopo il Carnevale ci aspetta la Quaresima: il momento è difficile a prescindere, toglierci qualche sfizio è doveroso. Consoliamoci allora con qualche peccato di gola, rendendo omaggio alla magnifica tradizione dei dolci fritti carnevaleschi. Primi fra tutti le frappe, una preparazione che ha tanti nomi (bugie, galani, sfrappole, chiacchiere, crostoli…) e che viene proposta anche al forno e nella versione ripiena, con crema pasticcera, ricotta, cioccolato. Sempre di tradizione carnevalesca tra i fritti troviamo le castagnole, soffici frittelline rotonde, proposte anche ripiene, prevalentemente di crema o ricotta. Le zeppole, invece, preparate anche per San Giuseppe, sono anelli di pasta choux farciti di crema pasticcera e guar-
niti con amarene sciroppate. M Merita il krapfen, erita una n citazione i affrancato da tempo dal periodo carnevalesco e reperibile tutto l’anno, ripieno di crema o marmellata. In Romagna troviamo il Re bombolone, profumato ricordo di lunghe notti estive in discoteca e colazioni in riva al mare. In Trentino sono di tradizione le frittelle di mele, preparate con gli squisiti frutti locali, impanate nella pastella di acqua e farina e cosparse di zucchero, mentre nel Napoletano troviamo gli struffoli, piccole palline di pasta fritte e ricoperte di miele caldo. Gustosissime anche le frittelle di polenta, che si possono preparare con la polenta avanzata del giorno prima, magari arricchendole di uvetta passa e scorza di limone, così come quelle di riso, aromatizzate alla vaniglia. In Emilia, nel Modenese, troviamo un’altra ricetta gustosissima, che viene preparata già per le festività natalizie: si tratta dei tortelli fritti, ripieni di creme o di savor e marmellata. Una leccornia che vale la pena continuare a mangiare fino a Carnevale.
I DOLCI DI CARNEVALE PIÙ POPOLARI SONO QUASI TUTTI A BASE DI PASTA FRITTA, SPESSO GUARNITI CON MIELE O ZUCCHERO A VELO. PORTANO NOMI DIVERSI A SECONDA DELLA REGIONE DI PROVENIENZA, NONOSTANTE LE RICETTE IN FONDO SIANO SIMILI OVUNQUE
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Frrap ppe p , un impasto tto o semplicissimo a base d far di ari rin ina, a zuc u cchhero, burro e uova, a cui cc’’è chi ag ggi g unge Marsala, vino bianco, V n Sa Vi Sant n o o addi d rittura grappa (ph p oto © RRyyba a Sisste t rs – stock.adobe.com).
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Brachetto d’Acqui DOCG Fiocco di Vite 2019 Toso Siamo nella valle del Belbo, più precisamente a Cossano Belbo, paese che ospita la sede di questa cantina, conosciutissima per i suoi vini immediati e beverini, soprattutto per i Moscato. Quello che vi proponiamo è però un Brachetto d’Acqui DOCG, profumatissimo. Già menzionato da GALLESIO, che lo definisce vino celebre, il Brachetto è classificato nel 1922 da GARINO CANINA: “Tra i vini di lusso il Brachetto appartiene alla categoria dei rossi dolci ed aromatici: è infatti un vino con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino, non molto colorito che per lo più si consuma spumeggiante o spumante”. All’inizio del ‘900 VINCENZO TOSO investe interesse ed impegno nella valorizzazione dei vitigni autoctoni del territorio e nella produzione di vini dolci tradizionali. Alla degustazione si presenta brillante nel colore e nell’espressione olfattiva, intensa e diretta. Sono soprattutto note fruttate di ciliegie, lamponi e amarene, leggermente aromatiche, e un lieve ricordo di pepe rosa. Al palato è freschissimo e armonico, perfetto compagno di dolci fritti e pasticceria secca.
Toso Spa Via Statale 3 12054 Cossano Belbo (CN) Telefono: 0141 83789 E-mail: info@toso.it Web: www.toso.it
Moscato d’Asti DOCG La Serra 2019 Marchesi di Grésy Indiscutibile portabandiera dell’enologia del Piemonte, questa rinomata cantina affonda le proprie radici in un nobile ed antico passato, che la vede iniziare il suo percorso nel 1650, quando la famiglia DE GRÉSY acquista i primi terreni a Treiso. Ora la tenuta vanta un’estensione di oltre 45 ettari di vigneti, distribuiti tra le colline delle Langhe e del Monferrato, e quattro aziende vinicole. Ottenuto in purezza da uve Moscato, questo bel calice brillante regala note generose di frutta tipica, pesca e mele, con netti sentori di frutti freschi esotici e ricordi aromatici di menta. Un’olfattiva linda e intensa, come intensa è la sorsata, fresca di equilibrio acido, con una bollicina fine, avvolgente e vellutata. Vino da dessert per eccellenza, ottimo coi panettoni e la pasticceria delle feste, si presta perfettamente ad accompagnare i dolci fritti del Carnevale. Consigliamo di abbinarlo alle frittelle di pesche sciroppate, ricetta facile e gustosa, perfetta per linearità di sentori.
Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy SSA Azienda Agricola Martinenga Strada della Stazione 21 12050 Barbaresco (CN) Telefono: 0173 635221 E-mail: form on-line Web: marchesidigresy.com
Albana di Romagna DOCG Passito 2016 Bissoni La dolcezza di RAFFAELLA BISSONI è pari alla passione e dedizione con la quale cura le sue viti. Perché la radice, la prima vera pratica vinicola, si fa in vigna. In questa tenuta, fondata nel 1988 e sita a Casticciano, non lontano da Bertinoro, si coltivano unicamente i due principali attori della Romagna del vino: Sangiovese e Albana. Il vino che vi proponiamo è proprio un Albana, nella versione passita. Con questo calice Raffaella ha raccolto numerosi riconoscimenti e soddisfazioni nell’arco degli anni. Ogni vendemmia è differente, resta costante la sua mano sapiente e la qualità organolettica, che ben si esprime in degustazione. Un calice eccellente, di un bel giallo dorato limpido, che sprigiona copiosissime note di frutta, fresca e secca, albicocche e ricordi di datteri, cedro e papaya, erbe aromatiche, spezie, zafferano in primis. Complessità olfattiva che ritorna circolare al palato, che si esprime con altrettanta forza ed eleganza. Precisa la spalla acida a sostegno, vino da meditazione, ottimo con la pasticceria, anche fritta e volutamente untuosa.
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Az. Agr. Bissoni di Bissoni Raffaella Alessandra Via Colecchio 280 47032 Bertinoro (FC) Telefono: 0543 460382 38 82 / 3474566893 E-mail: info@vinibissoni.com ssoni.com Web: www.vinibissoni.com soni.com
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Moscato Rosa Alto Adige DOC Praepositus 2018 Abbazia di Novacella
Abbazia di Novacella Via Abbazia 1 39040 Varna (BZ) Telefono: 0472 836189 E-mail: info@abbazianovacella.it Web: www.kloster-neustift.it
Fondata nell’anno 1142, l’Abbazia di Novacella annovera molteplici possedimenti agricoli e vigneti, nonché un’antica sapienza che, unita alle moderne tecniche produttive, le permette di proporre vini di grande impronta stilistica, profondamente radicati nella tradizione del territorio. I vini della linea Praepositus vengono prodotti con uve selezionate e sono dedicati ai 57 priori che si sono succeduti alla guida dell’Abbazia. Questo calice di Moscato Rosa si presenta di un limpidissimo rosso granato trasparente, mentre è al naso che dà il meglio di sé: è un’olfattiva elegantissima e intensa, con sentori di frutti di bosco, mirtilli e more, e fichi secchi, cioccolato e caffè in polvere, nette le rose in fiore, pepe rosa e ricordi aromatici, menta di campo e muschio. Sorsata assolutamente armonica, piena, intensa, perfetta l’acidità, in linea col tenore zuccherino. Ottimo vino da meditazione, davanti al camino, si presta all’abbinamento con la pasticceria, con clafoutis alle fragole e frittelline di Carnevale.
Malvasia Dolce Il Mio Malvasia Dolce 2019 Camillo Donati
Donati Camillo Az. Agricola Via Costa 3 43035 Barbiano Felino (PR) Telefono: 0521 637204 E-mail: camillo@camillodonati.it Web: www.camillodonati.it
Indiscusso e indiscutibile paladino del biologico e della naturalezza dei vini, CAMILLO DONATI propone prodotti di grande riconoscibilità e dalla qualità estrema e costante. Solo vitigni autoctoni e grande rispetto delle uve, in vigna come in cantina, vini di grande successo, spesso esauriti ancora prima della loro uscita sul mercato. Non fa eccezione questo calice prodotto con uve Malvasia Aromatica di Candia in purezza. Un calice dal tenore alcolico leggero e dalla degustazione esaltante. Un naso straordinario, ampio e complesso, intenso e limpido. Le note sono fruttate di pesche bianche, albicocche, pompelmo rosa e frutta secca, ritorni vegetali di erbe di campo e ruta, fieno e tarassaco. La sorsata è piena e non stucchevole, rotonda ed equilibrata, lunga e intensa, circolare nei sentori. Vino caratterizzato da un’estrema bevibilità, adatto a tutte le occasioni dolci e a tutte le pasticcerie. Assolutamente indicato per ciambelloni e torte morbide, perfetto con frittelle dolci di forma e sapore.
Friuli Colli Orientali DOC Verduzzo Friulano Segni di Terra 2018 Zorzettig
Zorzettig Strada Sant’Anna 37 – Spessa 33043 Cividale del Friuli (UD) Telefono: 0432 716156 E-mail: info@zorzettigvini.it Web: zorzettigvini.it
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La splendida e ricca di storia Cividale ospita questa realtà del vino, con un altrettanto lunga storia, iniziata ben 100 anni fa sulle colline della località di Spessa di Cividale, luogo ideale per la viticoltura grazie a un terroir e un microclima unici. Oggi l’azienda può contare su oltre 115 ettari di terreno vitato, per una produzione totale di circa 800.000 bottiglie. Sono uve di Verduzzo Friulano in purezza per questo calice, vendemmiate a mano nel corso della prima decina di giorni di ottobre e lasciate appassire per circa due mesi in tettoie coperte e ben ventilate. La degustazione si apre ben invitante, grazie ad uno splendido colore del calice, limpidissimo giallo dorato con riflessi ambrati. Al naso è intenso e sfaccettato, pieno di tonalità. Sono soprattutto albicocche mature e secche, bacche rosse ed erbe balsamiche, china e tinte aromatiche, miele e fieno. Olfattiva circolare al palato, che è deciso e armonico, spalla acida e toni zuccherini in armonia. Fantastico ntas calice da meditazione, perfetto per la pasticceria fresca e secca. a.
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BEVANDE A Midleton, nella contea di Cork, Irlanda
JAMESON DISTILLERY, LA MAGIA DEL WHISKY IRLANDESE di Massimiliano Rella
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A sinistra: una sala della Jameson Distillery, a Midleton. A destra: in alto, il distillatore ad alambicco in rame più grande del mondo (144.000 litri di capienza). In basso, vecchie botti di legno.
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idleton, un tranquillo villaggio dell’Irlanda occidentale. I primi edifici dell’area che ospita la distilleria Jameson furono edificati nel lontano 1794 per creare un lanificio “industriale”, ma l’attività non fu stabilmente redditizia e nel 1825 gli spazi furono venduti ai fratelli Murphy che li trasformarono in una distilleria di whiskey. Nel 1867 i fratelli si unirono a quattro distillerie di Cork nella Cork Distillery Company, che un secolo dopo — 1966 — si fuse con due note distillerie di Dublino: Powers e Jameson. La loro produzione fu trasferita a Midleton. La nuova società nata dalla fusione aziendale fu ribattezza Irish Distillers e nel ‘75, su un’area adiacente ai vecchi impianti, fu costruito un nuovo complesso di distillerie. Accuratamente restaurati, oggi questi locali sono l’unico stabilimento industriale a ciclo completo del XVIII secolo in Irlanda. Anche di interesse architettonico, a partire dal deposito di materia prima. Infatti, prima dell’arrivo dei moderni trasportatori a nastro, i sacchi d’orzo da 100 kg venivano portati a spalla su cinque piani, ciascuno con capienza di 250 tonnellate. Per sostenere quest’immenso peso la struttura fu attrezzata con potenti tiranti di ferro, ancora visibili all’esterno in prossimità dei dischi metallici neri che spuntano dai mattoni. La principale forma d’energia era invece data da una ruota idraulica in
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IN QUESTO GIOIELLO D’ARCHITETTURA INDUSTRIALE TROVIAMO TRE MODERNI ALAMBICCHI DI RAME: PER IL MOSTO DI 2.500 LITRI DI CAPIENZA, I DUE PER LE “CODE” E LO SPIRITO DI 1.500 LITRI CIASCUNO. L’AZIENDA PRODUCE ANCHE IN DISTILLAZIONE CONTINUA WHISKEY DI CEREALI E GRANO CON UNA COMBINAZIONE DIVERSA DI ORZO E ORZO MALTATO
Vecchi tini di legno per l’infusione in acqua calda del mosto di orzo, orzo maltato e lieviti alla Jameson Distillery. ghisa di 6,7 metri di diametro, costruita nel 1852 e in uso fino al ‘75, alimentata da un motore a vapore a carbone da 20 cavalli. Dentro la fabbrica i giganteschi ingranaggi collegati alla ruota muovevano macine, pompe e nastri trasportatori. Le macine trituravano l’orzo fino a ridurlo in poltiglia grossolana, una sorta di farina di malto. Gli ingredienti principali del whisky irlandese sono orzo, orzo maltato, granoturco e acqua. L’orzo è portato nell’impianto di maltazione, immerso in acqua e lasciato germinare quattro giorni in condizioni di temperatura e umidità che simulino la primavera. Prima di immagazzinarlo il grano viene fatto essiccare nell’essiccatoio per mezzo di antracite, un combustibile che non produce fumo. E questa è una delle differenze tra i whiskey irlandese e scozzese; in Scozia durante l’essiccazione
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per conferire allo scotch un caratteristico gusto affumicato e torbato si bruciano zolle o torba. Dopo la macina la poltiglia d’orzo e orzo maltato va in infusione, immersa in un grande tino con aggiunta d’acqua calda, mescolata da pale rotanti. L’infusione trasforma gli amidi in zuccheri fermentabili. Con i vecchi macchinari il mosto finiva nelle vasche di fermentazione. Qui era aggiunto il lievito per la produzione d’alcol. Il liquido (10% di alcol sul volume) era poi rinforzato dalla distillazione in alambicco di rame, il più grande del mondo, capienza di 144.000 litri. Oggi, invece, in questo gioiello d’architettura industriale che è la Jameson Distillery troviamo tre moderni alambicchi di rame: per il mosto di 2.500 litri di capienza, i due per le “code” e lo spirito di 1.500 litri ciascuno. L’azienda
produce anche in distillazione continua whiskey di cereali e grano con una combinazione diversa di orzo e orzo maltato. Altro motivo dell’unicità del whiskey irlandese è la tripla distillazione; lo Scotch è di solito distillato due volte, il whiskey americano una. Con tre distillazioni si ottiene un prodotto finissimo e purissimo, con l’84% di alcol sul volume. Il Readbreast è un esempio di straordinario whiskey distillato in alambicchi discontinui. Il prodotto è poi affinato in botti di rovere. Tour guidati di un’ora con degustazione € 22,00; ridotto € 18,00. Massimiliano Rella >> Link: www.jamesonwhiskey.com Nota Photo © Massimiliano Rella.
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BONUS PUBBLICITÀ È confermata anche per il 2021 e 2022 la quantificazione del Bonus Pubblicità a favore di imprese, enti non commerciali, lavoratori autonomi che investono in “campagne pubblicitarie” su giornali quotidiani, periodici, anche in formato digitale, \hg \k^]bmh ] bfihlmZ g^eeZ fblnkZ ]^e 50% degli investimenti effettuati.
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Photo © Pasquale Minopoli, fotominopoli@gmail.com
Doppio appuntamento, digitale e in presenza
MARCA by BolognaFiere 2021 edizione 2020 di Marca by BolognaFiere aveva segnato un importante punto di svolta grazie ai risultati raggiunti in termini di partecipazione degli operatori, frutto anche del lavoro
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di promozione svolto in collaborazione con ICE – Agenzia, che ogni anno contribuisce ad invitare category manager e buyer delle principali catene internazionali. Per l’edizione 2021, che si è trovata a fronteggiare una situazione
radicalmente diversa con numerose restrizioni imposte agli spostamenti, BolognaFiere ha riposizionato l’evento fieristico in presenza dal tradizionale mese di gennaio alle giornate del 24 e 25 marzo. Ma non solo! È infatti
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stata ideata anche una Digital Session di Marca by BolognaFiere, un evento on-line che si svolgerà nei giorni immediatamente precedenti ovvero dal 15 al 25 marzo. L’obiettivo? Rispondere alla necessità di mantenere i rapporti tra buyer ed espositori ed accrescere le opportunità di stabilire nuovi contatti; nei giorni precedenti sarà infatti possibile incontrare i buyer sulla piattaforma video e stabilire dei rapporti che potranno essere successivamente consolidati nel corso della fiera con una visita allo stand. L’agenda digitale degli incontri b2b tra espositori e buyer è ospitata dalla piattaforma B2Match, la stessa utilizzata con successo negli ultimi anni per gli incontri dell’International Buyer Programme. Come funzionerà la Digital Session? I partecipanti (espositori e buyer) potranno richiedere appuntamenti 1:1 a seconda dei loro interessi specifici (tipo di collaborazione, Paese, prodotto) utilizzando un sistema di matchmaking con filtri avanzati. Una volta concordati, gli incontri si svolgeranno on-line attraverso la piattaforma video integrata al sistema (per informazioni e iscrizione: marca@bolognafiere.it). I prodotti MDD al centro della fiera Marca by BolognaFiere è l’evento leader per il settore della MDD in cui la GDO è protagonista e rappresenta, da oltre 17 anni, il momento di confronto per l’analisi dei trend di mercato e la pianificazione delle strategie business. A poche settimane dalla data di svolgimento della manifestazione — organizzata da BolognaFiere in collaborazione con ADM, Associazione Distribuzione Moderna — c’è fiducia da parte delle imprese nella manifestazione e nella la volontà di rilancio dell’economia nel post pandemia. «Rilevare un’adesione così significativa da parte delle imprese — ha dichiarato ANTONIO BRUZZONE, direttore generale di BolognaFiere — dopo un anno che ci ha costretti al confronto con l’emergenza causata dalla pandemia è, per la nostra società, motivo di orgoglio. In questi mesi la struttura, in stretta collaborazione con il partner ADM e il comitato tecnico scientifico, ha lavorato per arricchire ulteriormente
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la fiera con nuove iniziative che renderanno la partecipazione a Marca by BolognaFiere ancora più strategica e performante». Il positivo trend nelle adesioni a Marca by BolognaFiere 2021 è anche lo specchio del dinamismo dei prodotti MDD che, nel nostro Paese, hanno ancora ampie opportunità di incrementare le rispettive quote di mercato: in Francia questa categoria di prodotti vale il 33,9% del food, nei Paesi Bassi il 30% (con andamento costante), in Italia il 22,3% (+2%); l’unico Paese in Europa in controtendenza è il Regno Unito che registra un –2.8% ma a fronte di una quota di penetrazione del mercato del 53%. Negli USA, infine, i prodotti MDD rappresentano il 18,7% (+0,5%) (fonte: IRI-Consumer Spending Tracking, maggio 2020). Lay-out rinnovato e obiettivo sicurezza Gli operatori professionali in visita all’evento potranno muoversi all’interno di un lay-out ulteriormente finalizzato rispetto alle precedenti edizioni che si svilupperà in sette grandi padiglioni espositivi. Infatti, in aggiunta ai tradizionali 25, 26, 28 e 29, Marca by BolognaFiere 2021 occuperà anche i padiglioni 31, 32 e il nuovissimo 37 del quartiere fieristico di Bologna, assicurando le migliori condizioni per uno svolgimento dell’evento in piena sicurezza, grazie anche a percorsi finalizzati alla razionalizzazione dei flussi di visita e ai protocolli per la sicurezza che saranno applicati. Marca by BolognaFiere 2021 dedicherà al settore food i padiglioni 25, 26, 28, 29 e 37 e al settore Non food i padiglioni 31 e 32. Due gli ingressi a disposizione di espositori e operatori: l’ingresso Nord e l’ingresso Ovest Costituzione; il primo collegato direttamente alla rete autostradale e al sistema di parcheggi (più funzionale per quanti utilizzeranno l’auto), il secondo collegato alla stazione ferroviaria, al centro cittadino e all’aeroporto internazionale G. Marconi con mezzi pubblici (funzionale a quanti privilegeranno la rete ferroviaria o il trasferimento in aereo). Focus dedicati ai trend emergenti: Fresco, Wine e Free From in primo piano Da sempre Marca by BolognaFiere si caratterizza per mettere in evidenza i
trend emergenti, dedicandogli spazi e occasioni specifiche di approfondimento. Nel 2021 la manifestazione proporrà, accanto alla seconda edizione di Marca Fresh — lo spazio riservato al settore del fresco, ortofrutta in primis (ma destinato a coinvolgere tutti i settori del fresco), che promuove le relazioni tra produzione e distribuzione mettendo in evidenza tre obiettivi primari in termini di strategie per il business: Innovation, Experience, Networking — la nuova Marca Wine Area e l’iniziativa Free From Hub. Sviluppata dal know-how di BolognaFiere e BOS, Free From Hub si ripropone nell’edizione 2021 con l’obiettivo di rappresentare il mercato free from italiano e internazionale. Il mercato evidenzia che viene posta sempre più attenzione agli healthy food nella loro accezione più ampia: cibi sani, che fanno bene all’organismo sia per le proprietà benefiche che sono state aggiunte, nel caso dei cibi rich-in, o tolte nel caso dei prodotti free from. I consumatori sono sempre più attenti al binomio cibo-salute, prediligendo, con sempre maggiore incidenza, prodotti funzionali, alimenti biologici e free from. Queste tendenze saranno in primo piano a Marca by BolognaFiere 2021 nell’ambito di Free From Hub, che comprenderà anche un nuovo spazio Functional Food Hub per dare risposte esaustive e promuovere nuove opportunità di business.
Marca Digital Session 15-25 marzo 2021 Piattaforma on-line www.marca.bolognafiere.it
Marca by BolognaFiere 24-25 marzo 2021 Bologna Fiere www.marca.bolognafiere.it
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Confermato Cibus 2021. Si terrà a metà giugno o all’inizio di settembre: sondaggi in corso tra aziende espositrici e buyer nazionali ed esteri. Pronto un budget record per l’incoming dei top buyer Confermata la XX edizione di Cibus 2021, Salone Internazionale dell’Alimentazione esclusivamente dedicato ai prodotti agroalimentari italiani. L’imprevedibilità della pandemia ha suggerito a Fiere di Parma e a Federalimentare di valutare lo spostamento in avanti della data di apertura, inizialmente prevista per il 4 maggio. Per fissare la nuova data sono stati avviati, alla fine del 2020, due sondaggi: uno su un campione rappresentativo degli espositori di tutti i settori alimentari, l’altro su un panel di 1.500 buyer nazionali ed esteri provenienti da tutte le geografie di riferimento. Due le possibilità che stanno emergendo: aprire Cibus nella terza settimana di giugno, prima di Vinitaly, oppure agli inizi di settembre, prima del Salone del Mobile. La scelta finale terrà conto naturalmente dell’andamento della pandemia e della campagna di vaccinazione. Fiere di Parma e Federalimentare, in accordo con ICE-Agenzia e i principali attori della filiera agroalimentare, contano di poter fissare a breve la data definitiva. Il 95% delle tremila aziende che avevano prenotato il proprio stand per Cibus 2020, poi cancellata, ha già confermato la propria presenza. Una risposta positiva sta arrivando anche dai buyer esteri, tanto che è previsto un budget senza precedenti di oltre 3 milioni di euro per favorire l’incoming. La scommessa è quella di incrociare la progressiva ripresa produttiva e commerciale in Italia e nel mondo. Cibus 2021 sarà una fiera in presenza, per presentare i nuovi prodotti e per consentire alla community internazionale di tornare sul territorio, a visitare le aziende fiore all’occhiello del Food & Beverage italiano. Ma l’evento capitalizzerà anche il matching generato dalla piattaforma on-line MyBusinessCibus e dai contenuti sviluppati in ambiente phigital e digital da Cibus Forum e Cibus Lab, portale sul quale saranno organizzati per tutto il 2021 nuovi workshop con la partecipazione di aziende e buyer nazionali ed esteri. >> Link: www.cibus.it
Tuttofood si riprogramma in autunno insieme a HostMilano: appuntamento a Fiera Milano dal 22 al 26 ottobre 2021 Tuttofood Milano, la manifestazione B2B globale e innovativa dell’ecosistema agroalimentare, punto di riferimento nazionale ed internazionale, ha deciso di spostarsi dal tradizionale appuntamento di maggio ad ottobre 2021, nei giorni dal 22 al 26, per cogliere l’opportunità di sfruttare tutte le sinergie strategiche e di sistema con HostMilano, la manifestazione leader mondiale delle tecnologie e delle soluzioni per l’ospitalità ed il fuori casa. «In questo momento è necessario agire in modo sinergico e trasversale anche nel settore fieristico — ha detto Carlo Bonomi, presidente di Fiera Milano — le manifestazioni professionali devono rimanere al fianco delle imprese, aiutandole ad essere sempre più competitive in un mercato dove l’innovazione e l’internazionalizzazione oggi, più che mai, rappresentano elementi fondamentali per la ripresa dei settori economici oltre che per l’intero sistema-Paese». «Consapevoli della centralità delle nostre manifestazioni vogliamo trasformare le incertezze di questo momento in opportunità — ha sottolineato Luca Palermo, AD di Fiera Milano — la contemporaneità delle due manifestazioni, fortemente connesse, consentirà l’arricchimento dell’intero sistema del Food e dell’Hospitality e Milano si confermerà, ancora una volta, hub internazionale di interscambio e facilitatore di occasioni di incontro e di opportunità di business tra le filiere». >> Link: www.tuttofood.it
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SICUREZZA ALIMENTARE Patogeni, contaminanti e tossine: contro di loro c’è l’innovazione
Inoculi starter e controllo dei processi per un buon salume di Giulia Mauri
a digitalizzata fiera zootecnica di Cremona edizione 2020 ha ospitato un incontro sulla produzione delle carni suine. L’evento, organizzato anche grazie ad AITA – Associazione Italiana Tecnologi Alimentari, aveva come titolo “Riduzione del consumo di salumi: la
L
sostenibilità della filiera per affrontare il mercato”. Di fronte ad un dato di fatto come la progressiva riduzione dei consumi, qual è la strada da percorrere per riuscire a rimanere sulla piazza? Tutta la filiera italiana deve essere coinvolta in questa evoluzione perché i salumi riescano ad
essere ancora adatti alle richieste del mercato di oggi. E bisogna puntare su innovazione, qualità e garanzie. In realtà, la sicurezza dei salumi — come quella di qualsiasi prodotto alimentare — non è affatto qualcosa di ovvio, ma il frutto di quotidiano lavoro di produzione e controllo consolidato
Il contrasto alla progressiva riduzione del consumo dei salumi pone una domanda di base all’intera filiera suinicola italiana: come devono adattarsi al mercato odierno i salumi? Quali devono essere le caratteristiche dei salumi del futuro? A queste domande hanno cercato di rispondere i relatori intervenuti al convegno dal titolo “Riduzione del consumo di salumi: la sostenibilità della filiera per affrontare il mercato” svoltosi durante l’edizione digitale delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona lo scorso dicembre (photo © nadianb – stock.adobe.com).
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nel tempo dalla professionalità di tutti gli operatori coinvolti e dalla spinta al continuo miglioramento. Anche se tutta questa fatica è ignorata o semplicemente data per scontata dai consumatori, i produttori sanno bene quante insidie si celino dietro le operazioni di allevamento e macellazione degli animali e di trasformazione e stagionatura dei prodotti. G IUSEPPE C OMI , professore dell’Università di Udine, ha fatto il punto sulle criticità relative all’igiene, alla contaminazione e alla qualità dei salumi. Rimangono costanti i pericoli costituiti da patogeni quali Clostridium perfringens, Listeria monocytogenes, salmonelle spp., Escherichia coli enteroemorragici. A questi si sommano i pericoli costituiti da ammine biogene e ocratossine. Si tratta di pericoli noti ed è noto anche come mantenere basso il rischio che essi comportano. Tuttavia, distrazioni o leggerezze nella gestione dei punti critici rimangono sempre responsabili di contaminazioni. Non va abbassata la guardia su materie prime, temperatura e umidità di stagionatura, controllo e manutenzione delle camere bianche, istruzione del personale. Le buone pratiche invece vengono continuamente implementate perché sono fondamentali e perché si potenziano vicendevolmente quando sono applicate correttamente. Ad esempio, per il contrasto alla salmonellosi Comi dice che è fondamentale il controllo degli infestanti in allevamento, sia insetti, sia roditori. Per il Clostridium perfringens invece è l’errore tecnologico quello che più facilmente fa la differenza, in peggio: ad esempio un raffreddamento dei würstel troppo lento e prolungato dopo la cottura apre di nuovo la porta a questo contaminante che la cottura aveva eliminato. Anche per la contaminazione da ammine biogene vale il discorso dell’errore tecnologico. Comi riporta l’esempio del salame d’oca che, contaminato da enterococchi, ha intossicato gli operatori per produzione di istamina: indagando sulle cause dell’infortuno sul lavoro (la reazione allergica scatenatasi nei lavoratori) si è individuata la fonte del rischio nella differenza di umidità fra l’impasto da insaccare e l’ambiente di lavorazione. Infatti, se la temperatura
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Fichi con roselline di salame (photo © Valerio Pardi). dell’impasto al momento dell’insaccatura non è appena 2 °C inferiore a quella ambientale, ma presenta una differenza maggiore, l’impasto rimane più umido e ciò favorisce la crescita degli enterococchi. Sempre più poi si dà spazio a soluzioni in grado di ridurre l’attività dei microrganismi patogeni o alteranti eventualmente presenti. Si tratta di aggiungere colture starter e bioprotettive che per competizione del substrato o per produzione di batteriocine e acidi organici riescono a mantenere sotto controllo la popolazione di microrganismi che potrebbero costituire un problema di salubrità e sicurezza del prodotto. Comi ha mostrato i risultati di una sperimentazione sul controllo della Listeria monocytogenes. La listeriosi è la nemica peggiore e misconosciuta: comporta una mortalità del 13,7% dei casi di infezione. Con che coraggio possiamo mangiare dei cubetti di prosciutto cotto confezionati in atmosfera modificata con una shelf-life di 60 giorni? Solo se abbiamo la garanzia che ragionevolmente il prodotto presenterà livelli di contaminante solo in tracce fino alla fine dei suoi giorni di commestibilità. Ebbene, questo risultato lo possiamo raggiungere inoculando delle colture starter di Carnobacterium e Lactobacillus sakei: questi non modificano le caratteristiche organolettiche del prodotto e riescono a evitare che la Listeria eventualmente presente ad esempio sulle lame della cubettatrice proliferi nel prosciutto con lo scorrere del tempo.
Anche il contrasto all’ocratossina è possibile grazie alle colture starter. Nel salame o nei prosciutti crudi l’Aspergillus responsabile della produzione di questa molecola carcinogenica cresce durante la fase di disidratazione e stagionatura. Ma starter come il Lactobacillus buchneri sono risultati competitori efficaci che hanno ridotto la presenza di alcuni tipi di Aspergillus. Talvolta invece l’azione delle muffe starter non è sufficiente a limitare i danni di un errore tecnologico. Ad esempio, la muffa starter Penicillium nalgiovense consente sì di ridurre lo sviluppo di muffe indesiderate. Ma se la cella di stagionatura è troppo grande e viene riempita con lotti di produzione diversi, inseriti in giornate diverse, l’umidità relativa della cella non è ben regolabile e questo fattore non consente alle muffe starter di moltiplicarsi a dovere. Così si crea una breccia e subito ne approfittano altre muffe che riescono a tollerare sbalzi maggiori di umidità e che producono le temibili ocratossine. Non tutto è perduto: per evitare la proliferazione di aspergilli produttori di ocratossine è possibile pianificare un doppio inoculo: al momento dell’insacco e a metà dell’asciugatura e maturazione. Oppure, è possibile trattare con l’ozono la cella di asciugatura: a 1,5 ppm per una durata di esposizione di 8 ore, questo gas consente di eliminare le muffe ocratossinogene. Ma è anche pericoloso per l’uomo e deve quindi essere gestito con grande attenzione. Questo trattamento può essere previsto anche
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Panini all’aglio e erbe aromatiche con Salame Felino e maionese alla curcuma (photo © www.salamefelino.com).
Cosa serve ai salumi del futuro Norme comprensibili e applicabili, conoscenza al pubblico dei risultati dei controlli e della vigilanza, garanzie sull’autenticità dei prodotti: queste sono le chiavi di accesso al frigorifero degli Italiani. Al leggio virtuale dell’incontro on-line della Fiera di Cremona sulla sostenibilità della filiera per garantirsi un accesso al mercato, si sono alternati diversi oratori. • L’avvocato parmense AFRO AMBANELLI ha evidenziato le mancanze del Decreto pubblicato il 06/08/2020 sulle voci obbligatorie da riportare in etichetta per i prodotti contenenti carni suine trasformate. Da relazionare al Regolamento (EU) n. 775/2018 e al pronunciamento della Corte di Giustizia del 01/10/2020, il Decreto si applicherà sperimentalmente fino al dicembre 2021, anche se è ammesso l’utilizzo fino all’esaurimento delle scorte delle etichette precedenti la sua pubblicazione. «In conclusione, possiamo dire che il Decreto è poco utile, soprattutto se redatto in modo così dubbio su tante questioni solo all’apparenza secondarie o di semplice interpretazione» ha chiosato Ambanelli. • Dopo questa iniziale digressione sulle difficoltà che l’industria può trovare nell’adeguarsi a richieste opache del legislatore, i vari relatori hanno mostrato i risultati di loro lavori e dell’attività di vigilanza e in questo modo hanno definito implicitamente quali caratteristiche deve possedere un salume per riuscire a mantenere una sua posizione nel carrello della spesa a degli Italiani. Deve essere un prodotto di qualità e privo di rischio di contaminazioni per il professor GIUSEPPE COMI. • Deve anche essere garantito da controlli efficaci e trasparenti secondo quanto illustrato da GAETANO LIUZZO consigliere della società AITA e dipendente dell’AUSL di Modena. • Infine, deve dare garanzie di autenticità per LUCIA DE CASTELLI, anch’ella consigliere AITA e dipendente dell’IZS di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Perché solo nel 2019 si sono contati sequestri di bevande e cibi falsi per 100 milioni di euro e, anche se le truffe che hanno colpito il settore delle carni non sono che una parte molto ridotta, il mercato è davvero ricco e fa gola anche ai disonesti. Se gli Italiani non ricorrono più ai salumi come necessaria fonte di proteine, ma come prodotto che soddisfi il palato e sia portatore di esperienze positive che coinvolgono tutti i cinque sensi e anche aspetti emotivi ed etici, deve essere un prodotto di altissimo livello. Il più elevato possibile, in termini di qualità, mentre l’indispensabile sicurezza deve essere data per scontata. Ma solo dai consumatori. G.M.
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quando i prosciutti crudi presentano una quantità eccessiva di muffe sulla loro superficie. Questo è il caso in cui i telai sono posizionati troppo ravvicinati fra loro ostacolando i flussi d’aria, oppure quando l’umidità dell’aria non è gestita adeguatamente dall’impianto controllo. L’eccesso di muffe sulla superficie delle carni a sua volta favorisce l’infestazione di acari che si nutrono proprio di queste (e non delle carni, come si potrebbe pensare). L’ozono allora permette di eliminare muffe e acari, ma non può essere utilizzato sempre sul prosciutto crudo perché tende a irrancidire il grasso superficiale. Nelle celle di salame questo rischio invece non si presenta, forse grazie alla protezione offerta dal budello, e quindi l’ozono risulta sempre molto utile. Al termine degli interventi scientifici il dottor CRISTINI, in sostituzione del presidente della SIOOT – Società Internazionale di Ossigeno e Ozono Terapia MARIANNO FRANZINI, ha presentato diversi casi in cui l’ozono permette di intervenire positivamente sulle condizioni di vita degli animali da reddito, ridurre le infezioni e quindi il consumo di farmaci antimicrobici e migliorare le performance produttive. «L’ozono agisce efficacemente su tutte le forme di vita, spore e cisti comprese. Ha effetto anche su molecole come nitriti, nitrati, metalli pesanti e pesticidi. La sua azione non è influenzata dal pH del substrato su cui agisce, né dalla presenza di sostanza organica» ha dichiarato Cristini, anche se ha glissato sul meccanismo d’azione sulle molecole inorganiche. «L’ozono ha applicazioni in ambito veterinario, civile e zootecnico, ma va attentamente dosato e bisogna gestire correttamente il contatto di questo gas con l’operatore. Per poterne sfruttare i vantaggi è indispensabile acquistare macchinari adeguati e formare il personale, ma il costo dell’operazione viene ampiamente ammortizzato in breve tempo». Sulla tipologia di macchinari e sulla ditta produttrice di questi però Cristini è stato molto chiaro e ha ripetuto più volte che è fondamentale affidarsi a ditte serie, che sono attive sul mercato da anni e dispongono di personale qualificato: non ci si può improvvisare utilizzatori di ozono. Giulia Mauri
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STAMPI ALLUMINIO
STAMPI INOX
ATTREZZATURE INOX
PIANTANE INOX
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TECNOLOGIE Alla CSB-System ne sono convinti
Per le aziende alimentari l’uso dell’ERP tagliato su misura per le loro esigenze diventa ancora più importante in periodi di crisi
scoltando i nostri clienti, la sensazione è che mai prima d’ora l’industria alimentare abbia registrato fluttuazioni della domanda così forti come negli ultimi mesi». Va subito al punto il dott. ANDRÉ MUEHLBERGER,
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direttore della CSB-System Srl, filiale italiana della softwarehouse CSB-System SE, specializzata in soluzioni gestionali specifiche per il settore alimentare. E aggiunge: «Gli effetti sono stati massicci per molte aziende: ciò che ha portato ad ordini record per alcune,
per altre ha comportato gravi crolli delle vendite. Su una cosa però sono d’accordo tutti: le enormi turbolenze causate dalla pandemia globale hanno mostrato quanto sia stato determinante in azienda avere a disposizione il gestionale giusto».
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A sinistra: il CSB-System impone il rispetto di best practices attraverso percorsi guidati. A destra: il dottor André Muehlberger, direttore della CSB-System Srl, filiale italiana della softwarehouse CSB-System SE, specializzata in soluzioni gestionali specifiche per il settore alimentare. L’ERP aiuta nella pianificazione e la rende più flessibile «Parliamo di pianificazione» continua Muehlberger. «Nei miei oltre vent’anni di attività in questo settore, ho osservato come sia cambiato l’approccio delle aziende. Il nostro ERP CSB-System si è evoluto con loro, spesso anticipando soluzioni e funzionalità che aiutassero i nostri clienti ad assecondare la domanda dei mercati e ad adempiere alle richieste legislative in materia di sicurezza e rintracciabilità. Fino a qualche anno fa, la maggior parte delle aziende pianificava solo a breve termine: il ricalcolo del fabbisogno di materie prime era quasi sempre una questione semplice. Oggi, con margini che si sono assottigliati, la pianificazione
a breve termine può trasformarsi velocemente in un gioco rischioso a causa delle molte interdipendenze, quali i tempi di consegna di materie prime e imballaggi, l’utilizzo delle linee di produzione, la disponibilità del personale e così via. Un esempio: se più prodotti hanno gli stessi ingredienti e sono lavorati sulle stesse linee dagli stessi dipendenti, un aumento della produzione di un articolo potrebbe portare ad una riduzione della quantità prodotta di un altro. Ecco che un modulo di pianificazione della produzione, integrato nell’ERP, può essere di grande aiuto perché in grado di ottimizzare tutti i fattori di produzione e semplificare così la produzione stessa.
NEI SISTEMI ERP I BENEFICI POSSONO SUPERARE I CONFINI AZIENDALI: INFATTI, PIÙ L’INTEGRAZIONE SI ESTENDE LUNGO LA FILIERA, MAGGIORI SONO LE OPPORTUNITÀ DI MIGLIORARE PRODUZIONE E SERVIZI AL CLIENTE E LA CERTEZZA DEL DATO
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O ancora, se il prodotto finito ha una durata di conservazione più lunga rispetto alla materia prima, può avere senso produrne più del necessario per guadagnare tempo. Il CSB-System è in grado di visualizzare le materie prime e/o i componenti in scadenza per poi decidere cosa fare: produrre, conservare o, se possibile, vendere direttamente. Vi sfido a farlo con Excel!». L’ERP impone il rispetto delle best practices L’industria alimentare richiede operatori formati. Dipendenti inesperti tendono ad aggirare le procedure stabilite e a mettere così a repentaglio la sicurezza e la qualità del prodotto. Quanto più alta è la percentuale di nuovi arrivati rispetto al personale esperto, tanto più difficile sarà mantenere gli standard correnti. Anche in questo contesto, l’utilizzo del CSB-System, gestionale integrato in tutte le aree aziendali, impone il rispetto di best practices attraverso percorsi guidati che riducono fortemente le possibilità di errore del personale «perché l’acquisizione dei dati sul campo — afferma Muehlberger — è strettamente collegata alle fasi fisiche di produzione. Penso ad esempio all’operaio che riempie un
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CSB fornisce soluzioni pratiche per rispondere in modo ottimale alle richieste dei clienti. cartone di pezzi e poi scansiona direttamente i codici a barre per registrare gli articoli nelle aree Vendite e Magazzino, che a loro volta “comunicano” con gli Acquisti. Il processo di acquisizione dei dati diventa una parte essenziale ed integrata del processo di produzione e grazie all’ERP è eseguito una sola volta in tempo reale senza la necessità di supporti cartacei». In un altro scenario, la best practice potrebbe essere quella di effettuare manualmente e registrare ogni ora le letture della temperatura del prodotto nella cella frigorifera. Un lavoro che richiede all’operatore non più di 30 secondi ogni volta. Tuttavia, è nella natura umana evitare il lavoro che non serve a raggiungere lo scopo primario anche se, nel caso specifico, tutti coloro che conoscono la produzione sanno quanto sia importante trasformare questo compito piuttosto fastidioso in un’abitudine. Con un sistema ERP che prevede controlli programmati durante il processo di produzione, qualora questo non avvenga, il processo si interrompe fino all’inserimento obbligatorio dei
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dati della temperatura; ecco allora che la rilevazione avviene sul campo, in tempo reale. ERP spinge verso l’automazione L’interazione dei flussi di dati e di merci che si ha con l’impiego di un ERP, facilita l’introduzione dell’automazione e della robotica. «Molti dei nostri clienti — aggiunge Muehlberger — hanno già implementato nell’intralogistica soluzioni futuristiche, dove i magazzini automatici a scaffalature e i robot a portale per la giusta combinazione di carichi lavorano fianco a fianco dei dipendenti e gli ordini sono evasi in maniera parzialmente automatizzata». Tutto questo è gestito dal sistema ERP: il CSB-System comunica con i dispositivi esistenti e dice alle macchine cosa prelevare, indirizza la merce alla corretta linea di etichettatura e indica all’addetto al prelievo quali prodotti mettere in quale scatola attraverso soluzioni guidate come pick-by-voice e pick-by-vision. Infine, il gestionale assicura che il carico sia fornito da dietro verso davanti e dall’alto verso il basso, affinché il cartone più in alto sull’ultimo bancale caricato
nel veicolo sia poi il primo ad essere consegnato durante il giro di consegna. Grazie all’ERP i vantaggi superano i confini aziendali Il bello dei sistemi ERP è che i benefici possono superare i confini dell’azienda: più l’integrazione si estende lungo l’intera filiera, maggiori sono le opportunità di migliorare la produzione e il servizio al cliente così come maggiore è la certezza del dato, essenziale per prendere decisioni giuste.
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
UN CANE DA PASTORE, TRA LUPI ED AGNELLI di Giovanni Papalato
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er raccontare le connessioni di questo disco con cibo e botteghe, negozi di carne e salumi, posso tracciare due linee che partono da una canzone che ha come sottotitolo il nome stesso dell’album: Il cane da pastore. Nel brano viene citato il garzone del macellaio all’interno del racconto di uno spaccato nordamericano unico e intercambiabile, ma non sostituibile, nella sua identità, con quella di migliaia di altre. Così è importante la provenienza, cosa ci viene trasmesso nel racconto e nella sostanza, in quello che mangiamo e viviamo, nell’ascolto e nella conoscenza. Ed è anche nell’aspetto rurale di un pastore, del suo cane e dell’allevamento, che si muove l’immaginario di questo disco, il terzo a nome di Iron & Wine, al secolo SAM BEAM. La copertina autografa raffigura a fronte un cane e sul retro l’autore stesso. Gli stessi occhi, gli stessi colori per entrambi. Un moniker che sa di romanticismo e di tradizione, ma che è stato ispirato da tutt’altro: un integratore aromatizzato all’interno di un drugstore, su una statale. Provenienza, quanto è… vero? Dopo due dischi che rimandano ad una tradizione folk legata ad un’espressione classica e poco strutturata, l’incontro con il duo dei CALEXICO nel 2005 con
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l’ep Woman King porta Sam Beam ad evolvere il suo stile, a lasciare il suo ruolo di docente di Arte Cinematografica all’Università della Florida e ad incidere un disco che è un deciso cambio di direzione verso chi vuole essere. The Shepherd’s Dog è un album che lascia la solitudine di un interprete e le parole sussurrate per emanciparsi in una band. Strutture armoniche complesse e varietà di strumenti e suoni porterebbero ad immaginare un lavoro inaccessibile e ostico, invece è una sorpresa bellissima e affascinante quella che si svolge tra i solchi del vinile. Traspare una cura e un’attenzione alla produzione che permette un’incredibile chiarezza espressiva. A dirigere i lavori, dietro il vetro dello studio di registrazione, siede BRIAN DECK, già fondatore dei Red Red Meat e precedentemente al lavoro con Modest Mouse e Califone. È anche grazie a lui che si trova la voce giusta per raccontarsi, perché oltre alla band di cui sopra, con chitarre steel ed elettrificate, banjo, piano e fiati, ciò che permette di smarcarsi dal passato è un’immanente componente percussiva. Tamburi, bacchette, pavimenti, bicchieri, le stesse mani, tutto è utilizzato per sorreggere, modellare, identificare i brani lungo l’Intero album. È già tutto chiaro con Pagan Angel and a Borrowed Car: bongo, tamburi, shaker, battiti di mani sono il ritmo malandato e organico di certi blues scalcinati di TOM WAITS in cui si muove sinuosa la voce di Beam. Una viola che rimanda a NICK DRAKE è l’elemento che spiazza e, al tempo stesso, risulta naturale, donando aspettativa e soddisfazione fin dal principio. Concentrico e orientaleggiante, le melodie vocali come in una spirale, White Tooth Man è uno degli episodi più chiari nella tracklist del modo in cui la cura e l’attenzione alla struttura pop si inseriscono nel contesto folk da cui ha origine Iron & Wine. In qualche modo, però, l’intimità peculiare del progetto si riaffaccia in un trittico di brani che inizia con Lovesong From The Buzzard sospesa tra ricami e ornamenti, echi di un avantfolk che ricorda certi Califone e che nel finale si intreccia con l’ammaliante Carousel.
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Xilofono e Vocoder, così apparentemente inconciliabili, si fondono e si aggiungono ad un wurlitzer che guida il brano attraverso una nenia senza tempo. House By The Sea ridesta con gentilezza e ha le caratteristiche più consumate e confortanti della ballad anche quando l’elemento percussivo si prende la scena nel finale. Durante questa suite, tre brani distinti ma uniti tra di loro, si ha come la percezione di trovarsi nel mezzo di una calura estiva e, per lasciarsi indietro il quotidiano, infilarsi in un bosco, camminando nella solitudine tra alberi e luce filtrata dai rami, in una sobria bellezza. L’arrangiamento acustico di Innocent Bones, soprattutto nell’utilizzo del banjo, distrae dall’anima r’n’b che rimane comunque esplicita e si concretizza ad ogni ascolto. Arriviamo cosi al brano che di fatto ispira questo articolo, nel sottotitolo e nel testo, quella Wolves (Song of the Shepherd’s Dog) che piazzandosi all’inizio del lato B e, dando il nome al disco, ha un’importanza simbolica notevole. Perché è una canzone che più di tutte segna un’emancipazione da ciò che più non è, nel suo tropicalismo, nel suo essere così radicalmente slegata dalla tradizione, nella sua inedita jam di riverberi ed echi, nel suo essere cosi collettiva e sperimentale. “Wolves in the middle of town and the chapel bell ringing through the windblown trees / She’ll wave to the butcher’s boy with the parking lot music everybody believes / And then dive like a dying bird at any dude with a dollar at the penny arcade The song of the shepherd’s dog / The waiter and the check or the rooster on a rooftop waitin’ for day / And you know what he’s going to say”. Eccolo, il cane da pastore, la metafora centrale e conflittuale dell'intera canzone. È solo ad un passo dall’essere un lupo, ma ha lo scopo di mantenere gli agnelli al sicuro, in linea con la guida del suo padrone. Nient’affatto scontato che l’ultimo sguardo a quello che non è più, in termini stilistici, sia la successiva Resurrection Fern, che sembra un ricordo già nella melodia e nel suo parlare al passato.
Ma non ci sono rimpianti o rimorsi: lo dimostra la scelta di Boy With a Coin come primo singolo, retto da un insolito impianto tra il flamenco e il folk, che ritmicamente stordisce e ammalia, si fa sedurre da tregue slide e seconde voci. Come in una mappa, certe canzoni in certi momenti, alcuni luoghi del disco sottolineano e rimarcano una nuova direzione, una nuova identità. La breve The Devil Never Sleeps sembra quasi una reprise ibrida di alcuni brani precedenti, una jam session estemporanea, forse inserita per dare ancora più forza al mood che ha portato alla registrazione dell’intero lavoro. Di nuovo rimandi orientali stavolta mischiati ad un blues lisergico e dilatato sono Peace Beneath The City. Nell’economia di un lavoro così vario questo è davvero un brano che trova collocazione senza nessun tipo di difficoltà, perfetta cartina tornasole di un lavoro davvero organico. La sequenza delle canzoni dà il senso di qualcosa di vivo e continuo, alternando brani contrastanti l’uno contro l’altro e terminando con la struggente e cruenta nella sua emotività Flightless Bird, American Mouth. L’armonia vocale mentre sale nel ritornello è un assoluto e commuove nell’offrire il senso di risoluzione che gran parte dell’album, volutamente, trattiene. Un malinconico e delicato valzer che ci culla nello straziante dubbio contenuto nel refrain: “Have I found you? / Flightless bird, jealous, weeping / Or lost you? / American mouth”. Quello che ha lasciato e quello che ha trovato con questo disco Sam Beam lo sa molto bene. Ha lasciato un contesto limitato ad un folk che, per quanto di spessore, lo avrebbe condannato alla ridondanza e alla ripetibilità, per un liberatorio caleidoscopio stilistico che da questo album lo ha portato a esplorare con rinnovata sensibilità scenari inediti. The Shepherd’s Dog è un album di rottura col passato, con una grazia e un equilibrio che lo rende tra i più riusciti di Iron & Wine e il suo preferito per chi scrive. Giovanni Papalato Nota Photo © Lucio Pellacani.
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STORIA E CULTURA
Delizie e dispute gastronomiche a base di pane, avanzato e non
FRENCH TOAST E PAIN PERDU L’uso di inzuppare il pane e poi friggerlo viene da lontano: le sue origini risalgono addirittura all’epoca romana. In seguito si sono aggiunti latte e poi uova. Il nome, però, non tragga in inganno: non indica affatto una preparazione francese ma, semmai, statunitense. In Francia viene invece chiamato “pain perdu” (pane perduto) per l’utilizzo del pane raffermo di Nunzia Manicardi 112
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a preparazione è semplice ed attraente, soprattutto per i più golosi: fette di pane che dapprima vengono inzuppate nelle uova sbattute, spesso con un po’ di latte, e poi fritte. Si chiama French toast, ma è noto anche come Eggy bread, German toast, Poor knights o Spanish toast. Nella versione più semplice le fette di pane vengono soltanto immerse nel latte. C’è chi le inzuppa in altri liquidi: vino, succo d’arancia e perfino acqua di rose per un gusto più delicato e profumato. Gli antichi Romani usavano solo il latte. Sì, perché la preparazione, nella sua prima menzione, risale addirittura al I-II secolo d.C., se non prima. Appare infatti tra le ricette trascritte da MARCO GAVIO APICIO nel suo fondamentale libro “De re coquinaria”, in cui parla di immergere il pane nel latte, ma non nelle uova, e non fornisce un nome
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specifico bensì quello generico di aliter dulcia (“un altro dolce”). Non si parla neppure di friggere, ma ciò non dovrebbe inficiare totalmente la supposta primogenitura. Dai Romani il piatto si è propagato per tutto il Medioevo europeo con il nome di suppe dorate o soupys yn dorye, il cui riferimento al “dorato” fa supporre che nel frattempo fossero state introdotte anche le uova. Questa zuppa era spesso servita come salsa di contorno per selvaggina e carni in genere. Nel Trecento il famoso cuoco francese GUILLAUME TIREL, noto come Taillevent e considerato autore del celebre manoscritto di cucina “Le Viandier”, la presenta come tostées dorme. In Germania, a quanto risulta da un ricetta tedesca del XIV secolo, veniva chiamata con il curioso nome di Arme ritter (“poveri cavalieri”), analogo all’inglese “Poor knights” tuttora in uso. Altre ricette inglesi sono rintracciabile per tutto il secolo successivo. Questo piatto però non va confuso con la “zuppa alla pavese” (che in ambiente austriaco e bavarese viene detta “pafese”) riferita alla città lombarda di Pavia, perché quest’ultima è una zuppa non fritta ma in brodo, costituita da fette di pane raffermo, formaggio e un uovo fresco al centro. Non va neppure confuso con la napoletana “mozzarella in carrozza” in cui, come ben ricorda la definizione, tra i protagonisti c’è il formaggio che viene inserito tra due fette di pane prima della frittura. In comune, tuttavia, vi è la bagnatura del pane raffermo nel latte e il passaggio successivo nella pastella di uova. Ma come mai questa antica ricetta è diventata poi nota con il nome di French toast? La Francia non c’entra niente. Anzi, in Francia prende il nome di pain perdu, “pane perduto”. Questa bella espressione, dalle sfumature poetiche, fa riferimento all’utilizzo del pane raffermo ed è venuta ad indicare metaforicamente anche i “costi irrecuperabili”. In questa nazione così amante delle rielaborazioni il pain perdu viene spesso impiegato come dessert oppure a colazione o per il tè del pomeriggio (il cosiddetto goûter). E, allora, perché questo nome? Dato che da tempo si fa riferimento
alla versione fritta, sembra che si debba far risalire il nome di French toast alla novità della sua frittura introdotta probabilmente negli Stati Uniti, paese in cui la diffusione del piatto è maggiore che altrove. In precedenza, infatti, se si doveva cuocere il pane lo si metteva nel forno, mentre negli Stati Uniti prese piede l’abitudine di friggerlo. FRENCH, secondo quella che è a metà tra storia e leggenda, non sarebbe altro che il nome del proprietario di un piccolo locale di Albany, capitale dello Stato di New York, che nel 1724 avrebbe inventato questa specialità servendola a colazione. L’equivoco sarebbe poi nato per non aver usato il genitivo sassone. Si sarebbe dovuto quindi chiamare French’s toast (“di French”) ma, poiché così non è stato, si è creduto in seguito di ravvisare nella definizione un’origine francese che invece non ha niente a che fare. Per il French toast la scelta del pane raffermo non è soltanto un mezzo per recuperare avanzi della tavola ma anche la scelta ideale in quanto il pane raffermo — più sodo di quello fresco — assorbe con maggiore facilità le uova senza sbriciolarsi. Le fette di pane sono messe a mollo in un mix di uova sbattute, spesso con latte, e con l’eventuale aggiunta di gusti dolci (zucchero, vaniglia) o speziati (cannella, noce moscata). Esagerando, e per un risultato più gonfio, si può usare anche la panna, e pure montandola. Le fette sono in seguito fritte su entrambi i lati finché non acquistano una bella doratura. Le si serve cosparse di zucchero a velo o le si guarnisce a piacere. Anche in questo caso si può prediligere il dolce di marmellate, miele o frutta, o il salato di svariate salse. Negli Stati Uniti, secondo il tipico gusto, sono molto usati sia lo sciroppo d’acero, analogamente a quanto si fa con i pancakes, col ketchup. E, forse proprio per imitare i pancakes, spesso i French toast assumono la forma il più possibile circolare e la disposizione impilata. Nunzia Manicardi Nota In foto, French toast con burro, banana e sciroppo d’acero (photo © alex9500 – stock.adobe.com).
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La donna e il sacrificio del maiale di Giovanni Ballarini
in dai tempi più remoti, quando le temperature cominciano a scendere sotto lo zero e compaiono i primi ghiacci, inizia la programmazione della macellazione del maiale, evento nel quale sacro e profano si sono sempre intrecciati senza contraddizione. Il solstizio invernale (21 dicembre) coincide con la morte e la nascita del sole che il cristianesimo identifica nel Natale di un Dio destinato a morte sacrificale. Il cristianesimo festeggia la fine dell’anno il 31 dicembre, ma il mondo agricolo non dimentica il calendario celtico e mantiene un posto di primo piano al suo capodanno coincidente con l’11 novembre, non a caso sovrapponendo la festa di San Martino, il più importante tra i “santi militari” cristiani adottati quali forti protettori dai contadini costretti ad abbandonare i culti tradizionali di Michele, Fermo, Giorgio, Magno, Chiaffredo, Sebastiano. In questo quadro, il sacrificio del maiale e la sua “resurrezione” nei suoi prodotti (spalle, coppe, prosciutti, salami, pancette, lardi, ecc…), in un intreccio tra vita e morte, avviene in un periodo delimitato tra la commemorazione di Santa Lucia (13 dicembre) e quella di Sant’Antonio abate (17 gennaio). Il giorno è scelto anche in base alla fase lunare, preferendo un periodo di freddo asciutto ed escludendo rigorosamente il 17 gennaio, festa di colui che è divenuto protettore degli animali.
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Uccisione del maiale in Ciociaria (photo © www.obiettivointercultura.eu). Uomo e donna nei lavori agricoli del passato Nella famiglia contadina di un tempo le donne avevano compiti specifici tra i quali la cura dell’orto, l’allevamento degli animali da cortile e dei maiali, nutriti con gli avanzi della cucina, il pascolo e, solo nell’ultima fase di ingrasso prima della macellazione, con farine di granaglie diverse. Alle donne spettava la macellazione di polli, galline e conigli, ma non quella del maiale, in quanto la mole dell’animale e del lavoro richiedeva l’intervento dell’uomo,
in particolare di un esperto, il mazén, masalèn o norcino. Gli uomini avevano il compito di affilare i coltelli, mettere a punto le attrezzature necessarie (come il sostegno sul quale mettere la carcassa del maiale macellato), preparare il luogo dove mettere sul fuoco una caldaia per la preparazione dello strutto e della coppa di testa, sistemare i tavoli per le diverse lavorazioni, acquisire la macchina per macinare la carne, acquistare le budella di bovino, lo spago, il sale, le spezie e quant’altro occorreva alla salatura e
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alla concia delle carni da insaccare. Le donne si dedicavano invece alla preparazione degli spazi necessari per le varie lavorazioni, provvedendo alla pulizia di tutto quello che occorreva durante la complessa operazione di macellazione, dai grembiuli ai tovaglioli, agli strofinacci, ai diversi contenitori per il sangue e le frattaglie da usare in cucina, senza dimenticare la preparazione delle bevande e dei cibi di sostegno agli uomini che avrebbero lavorato sul maiale e sulla sua trasformazione in salumi. Il rito della macellazione L’arte del mazén, masalèn o norcino è esclusivamente maschile, ma questo non significa che la donna sia assente. È infatti lei, che ha allevato e nutrito il maiale familiare stabilendo sottili ma importanti rapporti con il giovane animale e i propri bambini, anche per le malattie “rosse” che sembrano accomunarli (il mal rosso del suinetto e il morbillo o la rosolia del bambino), che non cessa di partecipare, con ruoli non solo di lavoro, ma potremmo dire di tipo quasi magico, alla trasformazione del maiale in cibo da consumare subito, come i sanguinacci, le salsicce e le ventricine. È il maschio che uccide, dissangua, seziona, lavora le carni e le sala, mentre è una donna della famiglia che, accanto all’uomo, porge o si adopera per mettere in una posizione adeguata un secchio per raccogliere il sangue. Una volta raccolto, è la donna che, prima di andarlo a cuocere, lo batte con un frustino di rami e lo tratta con le mani per liberarlo dalla fibrina. Se l’uomo è il responsabile di un buon dissanguamento, che deve essere lento e continuo fino a un “salasso in bianco”, è la donna di maggiore età della famiglia che lo giudica, affermando che, se il dissanguamento non è avvenuto come si deve, anche i sanguinacci, le salsicce e tutta la trasformazione salumiera sarà compromessa. Un giudizio di cui si appropria la donna in menopausa, perché nei tempi passati si riteneva che fosse divenuta esperta. Per lo stesso motivo non dovevano venire a contatto col sangue le donne in età fertile, le giovani non ancora mestruate e le donne incinte, tanto che in Romagna vi era il detto: “se quand t’mez e’ porc la dona l’ha
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Uno dei 36 scatti eseguiti da Bruno Lomasto per l’esposizione fotografica “Quinto Quarto” dedicata al tema dell’uccisione del maiale. Il fotografo punta l’obiettivo nell’indagine estetica di un atto di sopravvivenza primitiva di così fondamentale importanza da meritare un’attenzione rituale, liturgia necessaria per un vero e proprio sacrificio di “uno per il bene di tutti” (photo © www.killthepig.it). e’ su mes, mandla a spass par e’ paes” (“se quando uccidi il maiale la donna di casa ha le mestruazioni, mandala a spasso per il paese”). Il sangue raccolto a volte viene messo in una pentola d’acqua bollente, altre volte è adoperato per preparare piatti tradizionali d’uso immediato (sangue fritto con cipolle e alloro, migliacci, roventini, ecc…) oppure serve per produrre insaccati diversi da luogo a luogo, come i baldóni veneti, il biroldo, il sanguinaccio, il mallegato, la mustardela, la susianella, il mazzafegato, u sangunet, ecc… È la donna di casa che raccoglie gli organi interni del maiale appena macellato (fegato, polmone, rene o rognone, cervello e omento, la cosiddetta “rete”), che dopo un attento esame sono destinati alla trasformazione o all’uso in cucina. È sempre la donna che contribuisce a pulire le trippe e gli intestini e a confezionare le salsicce e le ventricine. In una netta separazione di compiti tra uomini e donne, quando gli uomini avevano terminato le azioni di mazén fuori della casa, solitamente nel sottoportico o nella “porta morta” le donne portavano loro una bevanda ristoratrice e si rinchiudevano nella cucina, dove gli uomini erano esclusi, per svolgere le loro operazioni attorno ad una o più pentole.
Divinazione femminile dei visceri di maiale Nell’antichità l’esame dei visceri degli animali era praticato dagli aruspici, che prevedevano il futuro. Una pratica fortemente repressa dalla religione cristiana, ma che in parte sembra essere rimasta, nascosta, nell’usanza delle donne di valutare la forma, il colore, l’aspetto e le anomalie dei visceri del maiale macellato per trarre previsioni. Una pratica di tipo sciamanico o magico che le contadine del passato applicavano a tantissimi avvenimenti legati non solo al sacrificio di animali: ad esempio la lettura di gocce d’olio lasciate cadere in un catino riempito d’acqua, l’interpretazione degli anelli di fumo generati dalla combustione dell’incenso o quella della forma dei fondi di caffè rimasti nella tazzina, l’osservazione del comportamento degli uccelli, ecc… In questo quadro solo accennato, ancora oggi resiste la tradizione di affiggere sul retro della porta di casa il lunario dell’anno nuovo, almanacco o calendario che sia, e di affidarsi alle sue previsioni o a quelle dei proverbi tramandatici dalla saggezza popolare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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LA SAGRA DEL BOLLITO DI SAN PIETRO IN CASALE PER RE SANDRÒN SPAVIRÒN di Josette Baverez Blanco 116
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ovembre è il mese della Sagra del Bollito di San Pietro in Casale, graziosa ed elegante cittadina in provincia di Bologna, Emilia-Romagna, la regione più famosa d’Italia assieme al Piemonte per questa specialità. Peccato però che tutti gli eventi ad alto tasso di assembramenti da diversi mesi a questa parte siano stati drasticamente vietati e con loro siano sfumate le gioie del palato, la curiosità delle tradizioni, della convivialità. Nata nel 2009, non è una sagra antica, tutt’altro, ma è invece legata alla necessità di sostenere lo storico Carnevale cittadino, questo sì risalente al 1871. Il Carnevale sanpierino fu istituito da alcuni giovani buontemponi, trenta in tutto, che decisero di fondare una società per i divertimenti carnevaleschi, eleggendo anche il Re del Carnevale, Sandròn Spaviròn dal Bosco di Sotto da Modena, Re dal sbocc e dal ven bon, oggi maschera tradizionale del comune. Ogni anno, a febbraio, al termine del Carnevale, viene fatta lettura del suo Testamento, scritto in rima e nel dialetto locale, seguito da un magnifico ballo popolare e dal rogo del fantoccio di Sandròn. Nel testamento vengono messe alla berlina personalità del paese, con richiami a fatti ed aneddoti avvenuti nel periodo recente. Fin dalla loro origine, le maschere permettono infatti di prendere in giro personaggi locali, di esprimere desideri e delusioni, di vivere appieno il senso di comunità e di condivisione. Protagonisti indiscussi della sagra culinaria che sostiene l’evento attraverso l’associazione Cranvel ed San Pir in Case — ed è un appuntamento imperdibile per i veri buongustai della zona — sono ben due bolliti: il Bollito “Ed Sandròn Spaviròn”, con muscolo, coda, lingua, cappone, guanciale, cotechino, durelli e ovine, e il Bollito di maiale, con lingua, zampetto, cotechino e costolette. Il menù della festa, sempre ricco e vario, per cominciare prevede i classici nervetti con cipolla e fagioli. La scelta dei primi è naturalmente ultra-tradizionale: tortellini e passatelli in brodo di cappone, maltagliati in brodo di fagioli, gramigna con salsiccia. Oltre ai due bolliti, tra i secondi si può scegliere tra la trippa in ciotola, la grigliata mista
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con salsiccia, coppone, pancetta e costolette e il castrato (lombata e coscia). Il tutto viene accompagnato da contorni appetitosi, come l’immancabile friggione, e innaffiato da Lambrusco e Pignoletto locali. Il friggione è una salsa cremosa tipica della cucina bolognese e della sua tradizione contadina a base di cipolle bianche e pomodori pelati. Si può gustare caldo durante l’inverno per accompagnare le carni o la polenta, freddo d’estate su croccanti crostini di pane. La ricetta depositata alla Camera di Commercio di Bologna dall’Accademia Italiana della Cucina è datata 1886 ed è attribuita a Maria Manfredi Baschieri. Nel corso degli anni sono state apportate delle variazioni alla versione originale, variazioni considerate eretiche dai puristi, come sostituire lo strutto con la stessa quantità di olio extravergine di oliva, e c’è chi al posto dell’acqua aggiunge, se necessario, brodo. Bolliti e brodi I bolliti misti emiliani e piemontesi offrono un bel assortimento di carni né magre né asciutte e numerosi ristoranti regionali impostano la loro fama sul famoso “carrello” servito in tutte le stagioni. Il bollito è un piatto tradizionale per tante altre regioni del Nord Italia, che sia per la carne o per il brodo che viene consumato con pasta adeguata. Non tutti sanno però che, a secondo dell’utilizzo che se ne intende fare, bisognerà scegliere tra un modo o l’altro di cucinare. Un ottimo brodo si ottiene mettendo la carne, le verdure e le spezie in acqua fredda non salata, mentre la carne è migliore quando viene calata nell’acqua bollente, così che il sangue si coagula in superficie, mantenendo nel taglio tutte le sue caratteristiche. Assieme all’arrostitura, la bollitura è uno dei più antichi e tradizionali metodo di cottura. Non richiede l’aggiunta di grassi o condimenti, anzi sgrassa senza alterare i principi nutrienti. Sappiamo che il brodo di carne è un ottimo stimolante per le funzioni gastriche e secretorie ma pochi conoscono il ruolo benefico del semplice brodo d’ossa. Ha un’azione sull’intestino, sul sistema immunitario, sull’apparato locomotore e tegumentario e persino sulla psiche! Josette Baverez Blanco
LIBRI
Il pane fra sacro e umano Photo © Alexander Raths – stock.adobe.com
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ARLO LEVI scrisse che il pane costituisce la prima prova della civiltà e la più profonda delle sue espressioni. Questa frase mi colpì molto mentre scrivevo un saggio sulle Origini della Dieta Mediterranea per il terzo volume della Storia dell’Agricoltura Italiana dell’Accademia dei Georgofili (Firenze, 2002). Da qui il mio interesse per la storia plurisecolare del pane e da qui nasce questo lavoro che si concentra sulla concatenazione fra le carestie, le guerre e le pestilenze che ha caratterizzato la storia dell’Europa dal Medioevo alla prima guerra mondiale. Non si tratta di stabilire una gerarchia, come spesso si è fatto, all’interno di questo ciclo infernale, ma di dimostrare che queste disgrazie si presentano sempre intrecciate e che, nonostante le terribili conseguenze sociali e demografiche, non è mai venuta meno la spinta ad andare avanti. Spesso senza fare tesoro dell’esperienza del passato. Le pandemie, ad esempio, hanno sempre accompagnato il processo di espansione della civiltà europea, che tuttavia, nonostante gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e della potenza economica, non è mai riuscita a interrompere il ciclo infernale. Ciclo che, infatti, si è ripresentato con il suo intreccio fino alla grande guerra. Il dopo è oggi, ma già la seconda guerra mondiale, sorta dalle ideologie del male, di cui ha parlato nelle sue Memorie PAPA WOJTYLA, GIOVANNI PAOLO II, aveva dimostrato che era possibile
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spezzare il ciclo infernale che dal Medioevo tormentava l’umanità. Nel secondo dopoguerra si sconfisse, anche se mai del tutto, la fame con la rivoluzione verde e con lo sviluppo dello stato sociale, ma si combatterono anche le malattie con i sistemi sanitari e con le vaccinazioni, non solo nel mondo occidentale. Oggi siamo davanti alla sfida del coronavirus, una pandemia globale che è una sfida non solo alla ricerca scientifica ma anche alla nostra coscienza storica. Se, nonostante il ripetersi del ciclo infernale per secoli e secoli nella storia europea, l’umanità e la civiltà è andata avanti, bisognerà riconoscere che la spinta alla vita, la forza vitale ha sempre superato la disperazione e la morte. Il filosofo francese PIERRE TEILHARD DE CHARDIN, uno dei pensatori più importanti del Novecento, ci ricorda che il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame, né la peste: è invece quella malattia spirituale — la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli — che è la perdita del gusto di vivere. Sicuramente grave la perdita della memoria e della consapevolezza storica degli ultimi decenni, quelli delle magnifiche sorti e progressive del mondo globalizzato. A proposito della spagnola, che tanto spesso viene evocata in relazione alla pandemia del coronavirus che sta sconvolgendo il mondo intero, STEFAN CUNHA UJVARI, epidemiologo e storico insigne delle epidemia, già nel 2003 scriveva: Chi immagina che la storia
dell’influenza spagnola appartenga solo al passato si sbaglia. Una nuova epidemia, mortale tanto quella vissuta nel 1918, è una minaccia costante ancora oggi […]. Non si può sottovalutare il potenziale di insorgenza di nuovo tipo di virus di influenza ad alto tasso di mortalità. In questo senso la storia può servire” (dalla Prefazione dell’autore). Fonte: Accademia dei Georgofili www.georgofili.info
ZEFFIRO CIUFFOLETTI Il pane fra sacro e umano Dal Medioevo cristiano al Novecento Editore: Le Lettere, 2020 204 pp. – €15.00 lelettere.it
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TRE LIBRI
Ostinati Storie di resilienza e sostenibilità delle osterie d’Italia. 15 racconti. 115 ricette Edizioni: Slow Food, 2020 381 pp. – € 29,00 slowfoodeditore.it
FORNO BRISA (DAVIDE SARTI, PASQUALE POLITO) Ricette Rubate per artigiani, sognatori e startupper Edizioni: Vandenberg, 2020 208 pp. – € 25,00 cookinc.it
ALESSIA SERAFINI La main à la pâte Lundi, c’est pas ravioli Edizioni: Les éditions de l’épure, 2016 112 pp. – € 19.00 amazon.com alessiaserafini.com
Osti si nasce, non si diventa. Ostinati indica un destino, una vocazione, ma anche un atteggiamento nei confronti della vita. Ecco allora una monografia dedicata agli osti e alla loro cucina. Col loro sapere e il loro agire si prendono cura di noi e dell’ambiente, preservano conoscenze che altrimenti andrebbero perdute, tengono vivo il legame con il territorio e la propria comunità. Questo libro raccoglie 15 storie di passione e resilienza e oltre 100 ricette da sperimentare a casa per portare in tavola tanti pezzetti di Italia. Un volume bello ed emozionante, ricco di scatti fotografici e scritto dalla nuova generazione di autori gastronomici.
Realizzato dal bolognese Forno Brisa — un punto di riferimento nel capoluogo emiliano con tre punti vendita all’attivo —, in collaborazione con Cook_inc., “Ricette Rubate per artigiani, sognatori e startupper” è una sorta di ricettario sui generis che traccia le tappe fondamentali per la realizzazione di un modello d’impresa artigiana e contemporanea con una visione d’impatto positivo sul mondo. “Questo libro contiene idee, valori e principi presi da altri, che abbiamo sentito l’urgenza di scrivere e tramandare. Ricette, dal latino, indica qualcosa che viene ricevuto, che passa di mano in mano come un testimone, attraversando epoche, civiltà e luoghi. Rubate in quanto le abbiamo avute in dono dalle persone che — anche se non consapevolmente — ci hanno ispirato in questi anni e vogliamo condividerle con tutti voi perché crediamo che custodire e trasferire sia una delle più grandi responsabilità culturali di ciascuno e che l’umanità si evolva in questo modo” raccontano DAVIDE SARTI e PASQUALE POLITO, fondatori di Forno Brisa e autori del volume.
Alessia Serafini è una designer ferrarese che vive e lavora a Parigi. Suo il bel libro La main à la pâte (tradotto in italiano, “Le mani in pasta”) in cui, attraverso acquerelli e testi mirati, guida i lettori nella realizzazione delle ricette della sua famiglia emiliana. Sono le ricette della tradizione, fatte di gesti che si tramandano nel tempo, semplici negli ingredienti ma potenti nell’evocare l’intimità e nostalgia della sua famiglia proveniente da un territorio nel quale la cultura gastronomica fa parte della sua identità. Passatelli in brodo, tagliatelle al ragù, gnocchi al pomodoro, lasagne al forno, maltagliati ai fagioli, cappellacci di zucca e cappelletti in brodo… Un libro bello da sfogliare con le illustrazioni di Alessia, da utilizzare in cucina e da conservare con cura perché pieno di poesia. “La main à la pâte” è stato insignito con l’Eugenie Brazier Prize 2016 – Iconography and Image Prize.
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