Abbasso lo spreco!

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Maria Vago

ABBASSO L O S PR ECO !

Storie per crescere

Il piacere di apprendere

Gruppo Editoriale ELi


Le 6 regole d’oro per non sprecare

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Fai la lista della spesa per non rischiare di comperare alimenti che hai già e che non ti servono.

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Controlla le scadenze Se hai intenzione di mangiarti uno yogurt domenica prossima, fai attenzione che non scada sabato.

Pensa al portafoglio Sprecare cibo significa sprecare denaro.

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Conserva in modo corretto Leggi le indicazioni scritte sulla confezione.

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Serviti piccole porzioni Dopo aver finito, puoi sempre fare il bis.

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Consuma gli avanzi Non buttare ciò che avanzi, conservalo per il pasto successivo.


Storie per crescere

Questi racconti appartengono a ................................


Abbasso lo spreco! Direttore di collana: Mariagrazia Bertarini Testi: Maria Vago Editing: Team redazionale ELI – La Spiga Redazione: Patrizia Cipelli Art Director: Letizia Pigini Progetto grafico: Romina Duranti, Valentina Mazzarini Illustrazioni: Francesca Galmozzi Foto: Shutterstock Impaginazione: Carmen Fragnelli, Erica Tonin Responsabile di produzione: Francesco Capitano © 2022 La Spiga - Gruppo Editoriale ELi Via Brecce 100 60025 Loreto (AN) Tel. +39 071750701 info@elionline.com www.alberodeilibri.com Stampa: T ecnostampa - Pigini Group Printing Division Loreto – Trevi 22.83.292.0 Tutti i diritti riservati. È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questa pubblicazione, così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o qualunque mezzo, senza l’autorizzazione del Gruppo Editoriale ELi. Il Gruppo Editoriale ELi usa carta certificata FSC per le sue pubblicazioni. È un’importante scelta etica, poiché vogliamo investire nel futuro di chi sceglie ed utilizza i nostri libri sia con la qualità dei nostri prodotti sia con l’attenzione all’ambiente che ci circonda. Un piccolo gesto che per noi ha un forte significato simbolico. Il marchio FSC certifica che la carta usata per la realizzazione dei volumi ha una provenienza controllata e che le foreste sono state sottratte alla distruzione e gestite in modo corretto.


Maria Vago

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indice 1 • La gara Dossier 2 • Un pacchetto per il cane? Dossier 3 • Al mercato con i baffi finti Dossier 4 • Un coniglio un po’ fissato Dossier 5 • La prova di coraggio Dossier

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La gara Io l’avevo detto, ma non mi ascoltano mai. L’avevo detto che non era l’ora giusta per fare la spesa al supermercato. «Alle 16 e 30 del sabato pomeriggio! Ci troveremo mezza città» avevo detto. «Allora vuol dire che mezza città pensa che questa sia l’ora giusta per fare la spesa. Sei in minoranza, mollusco» aveva replicato mio fratello Aldo. È diventato più maturo, da un paio di settimane, e usa questa sua nuova capacità di fare ragionamenti (semplici!) come arma contro di me. Infatti siamo in guerra. Da sempre: praticamente gliel’ho dichiarata io quando è nato. Purtroppo più passa il tempo più perdo il vantaggio iniziale. Aldo ora è più alto e robusto di me, infatti mi chiama mollu-

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sco e anche limaccio (sarebbe limaccia, ma lui se ne infischia di certi dettagli). Comunque ci ho azzeccato. Dopo un paio di inutili esplorazioni su e giù e di qua e poi di là attraverso il parcheggio, siamo ancora dentro la nostra auto perché non c’è nemmeno un posto libero. Nemmeno uno! «Eccolo! Eccolo!» grida improvvisamente la mamma, agitandosi tutta. Sulla nostra destra, laggiù, c’è un buco vuoto tra una station wagon e un furgoncino azzurro. «Presto!» grida ancora la mamma. È un buon posto, abbastanza vicino a una delle entrate del super. Soprattutto, è l’unico disponibile. Poi stiamo tutti zitti e per qualche secondo si sente circolare dentro l’abitacolo la tensione dell’attesa. Papà frena un po’ e ha già disposto le mani sul volante per la manovra quando da sinistra sbuca un grosso muso grigio, seguito dall’auto intera. Punta decisa verso il nostro posto. Papà frena, ovvio, per evitare lo scontro, e così è come se glielo cedesse, quell’unico posto prezioso. «L’abbiamo visto prima noi!» esclama Aldo. Questo dimostra che la sua capacità di ragionamento è ancora molto parziale: un po’ c’è e un po’ no. Come può affermarlo con sicurezza? Lui non c’era sulla macchinona grigia. Comunque il posto noi, che for-

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se l’abbiamo visto per primi e forse no ma non si sa, mica glielo lasciamo così, per pura gentilezza! «Stavo per entrarci io» fa segno papà, con la faccia aggrottata e minacciosa. L’uomo alla guida si limita a sollevare le spalle, con un mezzo sorrisino. Anche gli altri tre occupanti sorridono, ma di scherno e ci guardano dall’alto in basso. La grigiona, cioè la macchinona grigia punta arrogante davanti a sé, però avanza pianissimo. Si ferma. Avanza ancora di qualche centimetro. «Non ce la fa! Non riesce a entrare!» esulta il papà. «Ben gli sta! Così imparano ad andare in giro con quella macchina gigantesca» ridacchia la mamma. «Chissà quanto consuma» dico io. «Chissà quanto è comoda» dice Aldo, che non ha per niente senso ecologico. È chiaro che non vorrebbero lasciarci il posto ma qualcuno, bloccato dietro alla grigiona, già suona il clacson. Questo convince il nostro rivale ad arrendersi. Retromarcia, prima marcia un po’ ruvida… e il macchinone si rimette nel giro. Il buco ora è tutto nostro. Papà ci fa scivolare l’auto perfettamente centrata e spegne il motore con un sospiro soddisfatto. Uno a zero per noi.

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Ma ecco che succede una cosa incredibile. La station wagon alla nostra sinistra e l’auto alla sinistra della station wagon se ne vanno praticamente in contemporanea. Ora ci sono ben due posti liberi di fianco a noi. Un colpo di clacson alle nostre spalle, potente e trionfante, ci fa sobbalzare. La grigiona, dopo aver completato il giro è di nuovo qui. Ora non ha più problemi a manovrare e infatti il parcheggio le riesce benissimo. Un’altra auto subito si precipita nello spazio restato (per un minuto circa) libero. «Voglio vedere come faranno a uscire, quei quattro» borbotta papà. Lo vede subito: le portiere della macchinona scorrono silenziose lungo il fianco e gli occupanti escono senza difficoltà. Prima un ragazzino circa della mia età, poi una bambina con i capelli rossi, che penso sia sua sorella perché anche lei ha i capelli rossicci, poi la loro mamma, rossiccia pure lei, infine il papà, che come ha i capelli non si capisce perché è tutto pelato. Si scambiano sorrisi soddisfatti. Ora siamo uno pari. Oggi l’addetto al carrello sono io. Prendo la moneta che tenevo già pronta in tasca e mi dirigo verso la pensilina dove sono depositati. Cammino normale… Ma mi accorgo che il ragazzino sceso dalla

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grigiona, anche lui con una moneta in mano, mi segue quasi correndo. Allora accelero il passo. Accelera anche lui. Scattiamo insieme e insieme arriviamo al carrello. Io mi impossesso del primo della fila di destra e lui del primo della fila di sinistra. Ci aggrappiamo al maniglione di plastica rossa come due naufraghi a un salvagente. Per fortuna ci sono due file, altrimenti magari c’era da discutere. Ma forse no. Io, anche se ogni tanto sogno di eliminare mio fratello, in fondo sono un tipo tranquillo. Due a due. Anche le corsie del supermercato sono piuttosto trafficate, in alcuni punti addirittura intasate. Davanti al banco dei formaggi, per esempio, restiamo bloccati nell’ingorgo e mamma quasi litiga con una tipa che tiene il carrello mezzo storto. «C’è gente che degli altri se ne infischia proprio!» esclama, tutta rossa per la stizza. Nel reparto biscotti chi troviamo? Loro: i rossicci più pelato. Hanno il carrello quasi pieno, come noi. Quando ci vedono, la mamma rossa si affretta ad accaparrarsi l’ultima scatola di frollini in offerta speciale. La nostra mamma allora prende tre confezioni di crostatine all’albicocca, lasciando un buco vuoto

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nello scaffale perché non ce ne sono più. «A me piacciono di più alla ciliegia» le dico, ma non mi dà retta. Anche ai due papà è venuta una gran voglia di arraffare. Prendono biscotti di tutti i tipi e, siccome il carrello è stracolmo, alcuni pacchi se li tengono in mano o sotto le braccia. Finita la corsia, ci separiamo.

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Quelli spariscono nel reparto frutta, noi raggiungiamo la pescheria. Aldo come sempre strappa il bigliettino con il numero dal distributore. Glielo concedo, per poter avere un argomento a mio favore quando lo accuso di essere un moccioso (non dimentichiamo che lui mi chiama mollusco e limaccio). Settantotto! Abbiamo davanti a noi diciannove clienti!


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Per ottimizzare il tempo infinito dell’attesa, mamma spedisce me, mio fratello e il papà da una parte all’altra del super con l’incarico di tornare con un pacco di spaghetti numero 5 o una bottiglia di olio per friggere o il dentifricio o qualcos’altro che ha segnato sulla lista. Sono così fortunata che mi imbatto in un carrello abbandonato e depositiamo tutto lì dentro, visto che quell’altro, quello conquistato all’ingresso, è stracarico. Arriva finalmente il nostro turno. Dopo il pesce, mancano solo le bevande. Io e Aldo siamo costretti a caricarci ciascuno di una confezione di sei bottiglie da un litro e mezzo di un’acqua minerale in promozione. Papà non può aiutarci perché ha mal di schiena. Anche spingere un carrello gli fa vedere le stelle. Per fortuna siamo alle casse. Ci affrettiamo a prendere posto dove c’è la fila più corta. Come al solito, qualcuno davanti a noi ha problemi con il bancomat o la carta di credito e non si va avanti. Invece, quelli delle due file di fianco a noi procedono alla velocità della luce. Una cassiera in particolare è velocissima: prende e lancia i prodotti come un giocoliere del circo. La osservo piuttosto incantata. A un certo punto mi accorgo che anche la bambina rossiccia, quella

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della macchinona, la sta guardando. I rossicci ci stanno a fianco. Un po’ avanziamo noi, un po’ avanzano loro. Li sorpassiamo. Ci sorpassano. Gli adulti fingono di non vedersi, ma io noto che ogni tanto lanciano sguardi furtivi ai reciproci carrelli. Anche loro ne hanno due! «Ci copiano» sussurra la mamma. Alla cassa arriviamo prima noi! Però la loro cassiera recupera. Sfido io: alcuni prodotti nemmeno li conta. Si limita a passarne uno sopra il lettore del codice a barre e a chiedere: quanti? Non so se fa bene a fidarsi di quelli lì… «Duecentosette euro» dice la nostra cassiera. «Duecentosette» spara la loro. È veloce anche a parlare! Ancora una volta finiamo in parità. Mamma deve pagare con il bancomat, perché non ha abbastanza contanti con sé. Credo che per via della gara con i rossicci abbia comprato più di quanto era sulla lista. Questa gara incomincia a stancarmi. Non mi sembra una cosa saggia. Avrebbe potuto almeno chiudersi alle casse. E invece continua nel parcheggio. Eccoci qui davanti, cioè dietro, alle rispettive auto, con due carrelli per famiglia.

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«Dove la mettiamo tutta questa roba?» si chiede papà grattandosi la testa. Lo fa ogni volta che è preoccupato. Ovviamente i rivali sentono e il padre dice, come riflettendo tra sé e sé ma a voce piuttosto alta: «Com’è capiente questo bagagliaio!» Capiente vuol dire che ci sta tanta roba. Però tutta la roba che hanno acquistato non ci sta nemmeno in quel capiente bagagliaio. Sono nei guai, proprio come noi. Mamma cerca di infilare una confezione di merendine in uno spazio vuoto tra due borse, ma lo spazio è troppo piccolo. Allora sbuffando apre la confezione e ci dice: «Mangiatele!» Io però non ho fame. E poi preferisco le crostatine alla ciliegia, mentre quelle sono crostatine all’albicocca. «Preferisco quelle alla ciliegia» dico. «Martina, mangia!» ripete la mamma. Capisco che è un ordine, mi conviene ubbidire. I rossicci stanno facendo le prove degli incastri. Prima una borsa, poi la scatola di cartone… No, sotto ci va il fustino e sopra il pacco della carta igienica. Attenzione ai pomodori, non schiacciarli! Sembra che stiano partendo per un mese di campeggio. Intanto anche loro si stanno abbuffando,

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come se non mangiassero da giorni. Però il loro papà ripete, a bocca piena da maleducato, che è assolutamente importante avere un bagagliaio capiente e che lui non saprebbe come fare se non avesse un bagagliaio così capiente. «Così capiente che non ci sta niente» ironizza la mamma a voce alta. E papà esclama, sempre a voce molto alta affinché quegli altri sentano: «Certa gente la spesa la lascia nel bagagliaio! Strano. Si vede che a casa il frigorifero non ce l’ha!» Noi il frigorifero ce l’abbiamo. Normale. Anche l’armadio che serve da dispensa è normale: due ante, quattro ripiani in alto, due in basso. È chiaro che non potrà accogliere tutte le provviste che abbiamo acquistato. Però a casa abbiamo la dispensa di riserva, che in realtà è semplicemente lo spazio libero tra lo schienale del divano e la parete, dove a volte infiliamo bibite, pacchi di biscotti, rotoli di carta da cucina… cose che si possono conservare a temperatura ambiente. Dopo le merendine, mamma ci ordina di mangiare i gelati alla vaniglia, cacao, nocciola. «Tre a testa» ordina. «Sono piccoli. Anzi, quattro. Io sono a dieta». Siccome lei è a dieta, e i minigelati sono dodici, a

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noi tre ne toccano esattamente quattro. «Però la frutta la puoi mangiare» dice il papà e allunga alla mamma un sacchetto di mele gialle. Io cerco di convincere Aldo a passarmi i suoi minigelati alla vaniglia in cambio dei miei alla nocciola, ma lui non accetta uno scambio alla pari e mi vuole dare due minigelati alla vaniglia in cambio di un solo gelatino alla nocciola. «Non è giusto: così io ne mangio cinque e tu solo tre!» Mio fratello se ne infischia della giustizia. «Prendere o lasciare» dice. Lascio. Ho già un leggero senso di nausea e la mamma mi sta allungando due banane! Anche i rossicci sono alla frutta. Banane anche per loro, pere dalla buccia chiarissima, due cestini di fragole (che chissà quanto le hanno pagate, perché non è stagione). «Troppo mature» si lamenta il padre dopo avere addentato una pera. Prende il sacchetto e va a portarlo nel cestino dei rifiuti poco lontano. Poco dopo nel cestino finiscono un paio di cartoni di latte e qualcos’altro che non si capisce. «Che spreconi!» sibila la mamma. Anche noi siamo spreconi. Abbiamo raccolto in un grande sacchetto i cibi che scadono oggi o domani

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e indovina un po’ dove finisce il sacchetto? No, non dentro il cestino, che è stracolmo, ma lì sotto. Non so chi ha lasciato di più, perciò questa partita non vale per la gara. Finalmente risaliamo in auto. Non vedo l’ora di lasciare il parcheggio, con la sua confusione e la puzza di gas di scarico. Siamo tutti pallidi e un po’ nauseati. Ora la gara potrebbe essere tra chi ha la faccia più verde tra i due autisti. Io penso che vincerebbe papà, ma non oso dirlo. Anni di esperienza mi hanno insegnato che è il momento di tacere. All’uscita, la nostra utilitaria e la grigiona si ritrovano affiancate. «Ma quando riusciremo a scollarceli di dosso, quelli?» sbuffa la mamma. Probabilmente è quello che sta dicendo, dentro l’altro abitacolo, la signora rossiccia. I due papà vanno giù pesante con il piede sull’acceleratore e le due auto, docili, rispondono con un balzo. La grigiona è più potente e il suo motore manda un rombo che è un ruggito, ma la piccoletta, che sarebbe la nostra, è più scattante. I due musi rimangono perfettamente allineati per qualche secondo. E insieme, esattamente nello stesso momento, si

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bloccano davanti alla mano alzata di un vigile urbano. Un secondo vigile si stacca dall’auto con sirena a cui stava appoggiato e raggiunge il collega. Poi uno viene da noi e uno si accosta alla grigiona. «Il nostro è più grosso!» esclama Aldo tutto contento. Ma io credo che la corporatura del vigile non sia un elemento da considerare per la gara con i rossicci. «Non si è accorto che sta imboccando il senso sbagliato, in uscita?» chiede il vigile, gentile ma un po’ minaccioso. «Ah… davvero?» balbetta papà. «La segnaletica non è molto chiara…» «La segnaletica è chiarissima». «Volevamo evitare un lungo giro dentro il parcheggio» si difende il papà, «che è già tanto affollato. Per non creare ingorghi, capisce?» No, il vigile non capisce. Ha già preso penna e blocchetto. «La multa?» si scandalizza papà. «Per una sciocchezza del genere…» Ahi, ahi! Questo non doveva dirlo. La faccia del vigile, da seria che era, diventa severa. La mamma, forse nel tentativo di addolcirlo o forse solo per farsi aiutare a smaltire la quantità di provviste, gli allunga una scatola di cioccolatini.

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«Vuole favorire?» chiede. «Anzi, gliela regalo». La faccia del vigile a questo punto diventa furiosa. Gli occhi sporgono che quasi cascano, la bocca è piegata in una smorfia di disgusto. Mi aspetto di vedere un filo di fumo uscire dalla narici, come succede ai tori infuriati nei cartoni animati. «Forse è allergico» mi sussurra Aldo in un orecchio. E a mamma suggerisce: «Prova con i biscotti di farina di riso». «Questa è tentata corruzione. Sissignori! Ma con me non funziona!» Stringe la penna con furia e incomincia a compilare il verbale come se stesse incidendo una tavoletta dei Sumeri. «Ma… ma… No, aspetti, ha capito male!» balbetta la mamma. «Già. Sono io quello che non capisce! Incredibile!» Schiaffa il foglietto sotto il tergicristallo, che lascia ricadere con stizza. «Potete andare. Da quella parte!» Non ci resta che eseguire, è chiaro. La grigiona ci precede di pochi metri. «La multa l’hanno presa anche loro» dice papà, e non si capisce se sia contento della cosa oppure no, dal momento che questo significa che siamo ancora una volta pari.

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Vale la seconda, perché subito aggiunge: «Copioni!» Allora, per consolarlo, gli faccio notare che però la nostra multa è più salata. «L’hai assaggiata?» chiede Aldo, credendo di essere spiritoso, ma io non raccolgo la provocazione. Sto al gioco e gli spiego: «Vuol dire che noi dobbiamo pagare di più». Mamma e papà non apprezzano e continuano a fissare davanti a sé, muti. Però dopo un po’ papà, che evidentemente ci ha pensato su, mi dà ragione. «È vero!» esclama. «Alla fine, la gara l’abbiamo vinta noi!» E mostra a tutti la sua soddisfazione con tre allegri colpetti di clacson.

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L’arte di esporre Tutto, all’interno del supermercato, è pensato per indurre il cliente a comperare, in media circa tre volte di più di quello che gli serve. Ecco alcune strategie.

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La disposizione delle merci costringe il cliente a venire a contatto prima con prodotti non indispensabili (giochi, cosmetici, dischi) per raggiungere solo più tardi i reparti dei prodotti utili.

2 Zucchero, farina, fazzoletti e altre cose indispensabili si trovano negli scaffali bassi, dove l’occhio non cade. Il cliente farà ugualmente lo sforzo di cercarli e raggiungerli.

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In basso sono esposti anche i giochi e tutto quello che può attirare un bambino. Sono proprio all’altezza dei suoi occhi ed è quasi impossibile che riesca a resistere.

5 Vicino alla cassa si trovano piccole tentazioni che, mentre il cliente aspetta in fila, hanno tutto il tempo di esercitare il loro fascino. Spesso finisce che alla spesa si aggiunga il pacchetto di dolcetti o le gomme da masticare.

4 Ad altezza degli occhi, e comodi per il braccio, si trovano i prodotti sfiziosi, di cui il cliente potrebbe magari fare a meno.

6 In futuro dobbiamo aspettarci perfino di essere presi… per il naso. Per creare la giusta atmosfera, che induce il cliente a comperare, alcune catene di supermercati stanno studiando dei sistemi per diffondere nei reparti non solo musica ma anche profumi. Nel reparto pescheria aleggerà quindi un fresco profumo di mare!

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Una confezione convincente e… intelligente Le confezioni sono pensate per lanciare forte il loro richiamo. Gli esperti di packaging studiano come renderle attraenti e la confezione incide molto sul costo di un prodotto. A ogni promozione è necessario rinnovarla; per esempio, per comunicare che c’è un pezzo gratis o il tagliando per partecipare all’estrazione di un premio o un buono sconto da presentare alla cassa o un gadget. Ciò comporta un aumento del prezzo che può arrivare al 40%. Chi acquista purtroppo a volte presta più attenzione a questi messaggi che non alle informazioni sugli ingredienti o su come conservare al meglio il contenuto.


Per spendere meno… compera di più! Se vuoi spendere meno devi comperare di più. È il messaggio di molte campagne promozionali. A pensarci bene, la cosa suona assurda, eppure… i prodotti scontati fanno risparmiare, ma spesso vengono acquistati per lo sconto e non perché servono veramente. Non solo: convinti di risparmiare, si abbonda con la quantità e magari nel carrello finiscono anche due o tre confezioni dello stesso prodotto il cui acquisto si rivela poi inutile. Se poi la promozione è valida solo per poco tempo, il cliente è ancora più indotto ad accaparrarsi il prodotto. Non pensa che una volta a casa dovrà trovargli posto in dispensa e che dovrà consumarlo prima della scadenza.

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Il problema è solo… spostato I supermercati ricorrono al 2x1 o meglio 3x2 quando si trovano in magazzino merci che stanno per scadere o quando hanno bisogno di spazio. È un sistema che spesso sposta semplicemente il rischio di spreco dal supermercato alla dispensa di casa. Una catena di supermercati inglesi ha introdotto la formula buy one, get one later (BOGOL) che permette al cliente, nel caso di una promozione 2x1, di portarsi a casa un solo prodotto, insieme al buono che gli permetterà di ritirare il secondo, compreso nel prezzo, a distanza di tempo.

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Spreconi e superspreconi L’Europa spreca ogni anno 89 milioni di tonnellate di cibo: 180 kg per ogni abitante e si tratta di alimenti già raccolti, lavorati e pronti per il consumo. Le famiglie europee gettano il 24% del cibo che entra in casa. È come se dividessero, per esempio, una pizza in quattro parti e uno spicchio lo gettassero direttamente nella pattumiera. Negli USA sono ancora più spreconi e buttano addirittura il 30% del cibo che comperano.

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Una gara da non vincere! Il primo… perde e l’ultimo è il migliore Ogni olandese spreca 579 chili di cibo all’anno. A una certa distanza ecco un abitante del Belgio. I più bravi sono i greci, che buttano solo 44 chili di cibo all’anno ciascuno. Olanda 579 Belgio 399 Cipro 334

Estonia 264

Irlanda 250

Gran Bretagna 238 Polonia 235 Svezia 227

Austria 225

Lussemburgo 207 Finlandia 193 Ungheria 184 Spagna 176

Lituania 171

Italia 149

Francia 144

Portogallo 132 Germania 126

Danimarca 118

Slovacchia 109 Romania 105 Lettonia 94

Slovenia 89 Bulgaria 87

Repubblica Ceca 71 Malta 62

Grecia 44

La media è di 180 kg all’anno.

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Tanto vale poco... Perché si fa così poca attenzione agli sprechi domestici? Una ragione consiste nel fatto che negli ultimi decenni il prezzo dei cibi è diminuito. Nel 1970 una famiglia spendeva il 30% delle sue entrate per l’alimentazione; oggi non supera il 12%, eppure non si mangia di meno, anzi! Il cibo viene perciò visto come qualcosa di scarso valore e non ci si preoccupa se una parte viene buttata.

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L’acquirente intelligente Le cause degli sprechi domestici sono molte. Per esempio, chi compera non legge in modo corretto l’etichetta e acquista qualcosa che non è quello che gli serve, che scadrà prima di essere consumato, che verrà buttato perché non sarà stato conservato nel modo corretto. Oppure, prepara porzioni troppo abbondanti o non calcola bene, al momento dell’acquisto, la quantità di cui ha bisogno. Molte volte sono le offerte promozionali che convincono, grazie ai prezzi scontati, a comperare più di quello che veramente serve.

Ognuno, impegnandosi un po’, può diventare un acquirente più intelligente. Con vantaggio del suo borsellino e soprattutto dell’ambiente.


Da consumarsi… quando? Quando sull’etichetta leggi:

ente entro…

da consumare preferibilm

Significa che oltre quella data il suo sapore non sarà più così gustoso, ma è ancora commestibile (biscotti, marmellata, cibo in scatola o sottovetro).

da consumare entro… Significa che dopo quella data potrebbe farti male (formaggi freschi, uova, latte, pesce, carne). Per non correre rischi, i consumatori tendono a lasciare sugli scaffali le confezioni con poca vita residua e questo fa sì che rimanga invenduta merce perfettamente commestibile.

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Un pacchetto per il cane? «Tu al ristorante ci vieni. Punto e stop». Lei ci mette il punto, aggiunge pure stop, quindi la discussione finisce lì. Sono andato a controllare sul vocabolario (ogni tanto lo faccio, si scoprono delle cose interessanti, che non avresti immaginato) e trovo che stop lo usano in tanti campi. Nel calcio lo sapevo già, ovvio: stoppare a me riesce piuttosto bene, anche di petto, e di testa! Ma qual è il primo significato? Se scrivi una frase, vuol dire punto fermo. Quindi punto e stop sono la stessa cosa. Quindi quando la mamma dice, cioè urla, punto e stop, fa una ripetizione. Chissà se lo sa che è l’imperativo del verbo inglese stop (che vuol dire fermare)? Forse sì. Comunque si dimentica che se sei alla guida e ti fermi allo stop, poi

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riparti. Le discussioni con lei invece non ripartono. Si fa come ha già deciso. Questa si chiama tirannia. I tiranni finiscono tutti male, prima o poi. Intanto io domenica prossima devo andare al ristorante. Ci siamo tutti. Anche la mamma dei miei cugini, che è sorella della mia e si chiama zia Betty, è una tiranna. Hanno messo noi ragazzi in un tavolo a parte. Per gentilezza, dicono, ma io credo per tenerci fuori dai piedi. «Così potete parlare liberamente delle vostre cose, invece di ascoltare i noiosi discorsi di noi adulti» ci ha detto il nonno facendoci l’occhiolino. Peccato che tra i ragazzi ci sia la cuginetta Ofelia di tre anni, con cui al massimo puoi parlare di Winnie Pooh, e quel mocciosetto saputello del figlio degli amicissimi. Il mocciosetto si chiama Lodovico, con la o, e sa tutto. Meglio per lui. Il problema è che deve sempre dimostrartelo e allora a te viene voglia di dimostrargli che sapresti come si zittisce un undicenne che se la tira: lo strozzi. Chi sono gli amicissimi? Sono Dario e Donatella, che si sono sposati lo stesso giorno dei miei, ma in due posti diversi, e poi si sono conosciuti durante il viaggio di nozze a Venezia. E da allora non si sono più mollati, cioè sono restati in contatto e ogni

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tanto si incontrano e così possono verificare quanto sono invecchiati nel frattempo e lamentarsi di come sono cambiate le cose. Tranne Venezia, che quella è sempre la stessa, a parte i prezzi alle stelle. Sono cose che ho già sentito. Ecco perché non volevo venire al ristorante. Avevo provato a convincere il papà (mamma dice corrompere) che avrei potuto andare dagli altri nonni. Ma papà non si è fatto corrompere. In effetti è una tattica che dà scarsi risultati e di solito ottiene che la mamma si arrabbia ancora di più. «Quarant’anni di matrimonio sono un tappa importante. Quasi un record oggi. Non pensi che valga la pena di stare vicino ai nonni in questa occasione?» «Ma perché al ristorante? Non potevano fare una cena fredda a casa loro, come l’altra volta?» «L’altra volta avevano cinque anni di meno e soprattutto qualche acciacco in meno. Te la vedi la nonna che cucina per venticinque? E poi chi li avrebbe lavati i piatti, tu?» Io, al momento di lavare i piatti, mi chiudo in bagno. E a chi bussa e protesta perché non ci crede che ho davvero il mal di pancia dico: «Vuoi entrare e annusare?» Nessuno ha mai raccolto l’invito. Comunque non fingo: davvero subito dopo mangiato

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mi viene il mal di pancia! La cosa non ha solo vantaggi. Non sempre è piacevole passare cinque, dieci o perfino quindici minuti in un bagno che non è quello di casa tua. Eccomi dunque al ristorante La pergola, rinomato per i primi piatti e i dolci al cucchiaio, che sono i dolci appunto che mangi servendoti del cucchiaio, anzi del cucchiaio da dessert. È praticamente un cucchiaino, ma un po’ più grande di quello per mescolare lo zucchero dentro il caffè. Ce l’abbiamo davanti, tra il piatto e il bicchiere, orizzontale. Per poco non nasce una zuffa, per colpa del mocciosetto che vuole tenerci una lezione sulle posate. Che c’è da dire sulle posate? Appunto, niente! Ma lui incomincia a blaterare che il cucchiaio va di qua, a destra, e anche il coltello, con la parte tondeggiante della lama a sinistra, e la forchetta va a sinistra. «Deduco che non ci sarà una portata di pesce» continua Lodovico, «dal momento che quel coltello non è un coltello da pesce. Che ha la lama leggermente più corta e larga. Lo riconoscerei subito». «Io so riconoscere subito un rompiscatole» sussurra la cugina Matilde. Lodovico sente e si offende. «Sarei io il rompiscatole?» chiede. «Ci sei arrivato, genio» replica Matilde e allora

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quello tira fuori una serie di insulti davvero piuttosto efficaci. Matilde non è la tipa che sta a sentire mentre la chiamano panna acida. E poi trova un’alleata in mia sorella Chiara, che ha la capacità di sparare parole a raffica. Il mocciosetto non cede. Le voci si alzano. Si alza anche qualche testa dal tavolo dei grandi. Per fortuna arriva il cameriere con la pasta e si decide la tregua. «La pasta gialla!» ci annuncia. Infatti i nonni avevano scelto il menu arcobaleno. Sul cartoncino in mezzo al tavolo c’è scritto: Un assaggio di portate colorate! E poi l’elenco delle portate secondo l’ordine: giallo, rosa, rosso, verde, viola. Sono tantissime e rinunciamo a leggere oltre. Tanto a noi non interessa che cosa c’è dentro. Si assaggia l’assaggio e si capisce se ti piace. Il profumo della pasta gialla è buono. Oltretutto avevamo molta fame, perché praticamente gli antipasti non li avevamo quasi toccati. Tutte cosette minuscole, dall’aspetto viscido. Dopo un’occhiata sospettosa al vassoio e un paio di assaggi per conferma, avevamo deciso tutti che non ci interessavano. «Potrei avere un pacchetto di patatine fritte, magari al formaggio?» aveva chiesto Alex.

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Il cameriere non gli aveva nemmeno risposto. Alex, che non è molto sveglio, non avendo notato l’occhiataccia del cameriere, aveva insistito. «O dei popcorn. Ce li avete i popcorn?» «Non ancora, ma ci stiamo attrezzando e la prossima volta troverai anche il megaschermo». «Davvero? E…» Il cameriere era già scivolato via. Sulla sua schiena diritta potevi leggere disprezzo e disapprovazione insieme. «Siamo in un ottimo ristorante!» gli aveva fatto notare la cugina Guendalina che, poverina, di Alex è la sorella maggiore. «Ottimo! Se non hanno nemmeno le patatine!» aveva replicato Alex. Al che Guenda aveva lasciato perdere, perché Alex è un caso disperato. Non abbiamo ancora finito la pasta gialla che un altro cameriere arriva con un vassoio fumante. «La pasta rosa!» annuncia. Buona anche quella. Riccardo, che fa sempre l’isolato ed è un tipo un po’ pigro, davanti al cibo tira fuori una bella grinta. «La finisco io?» chiede prendendo il vassoio dopo che ci siamo serviti già una volta. La sua in realtà non è una domanda. Senza aspettare la no-

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stra risposta, rovescia il contenuto del vassoio nel suo piatto e ci fa scivolare anche il sughetto rosa (briciole di salmone e panna).



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Riccardo è sovrappeso e dovrebbe perdere almeno dieci chili. Ma se mangia così, non ce la farà mai. Comunque mangiamo tutti un sacco, tranne Chiara e Matilde, che a differenza di Riccardo sono sempre a dieta. Peggio per loro. La pasta rosa è davvero gustosa. Quella rossa idem, la verde suscita meno entusiasmo, ma forse anche perché ormai abbiamo la pancia che scoppia. La viola infatti praticamente nemmeno la tocchiamo. Lodovico dice che è perché il viola non è un colore attraente. Tra i primi piatti e i secondi c’è una lunga pausa. Meno male! Ne approfittiamo per fare un po’ di foto nel giardino del ristorante. Prima tutti insieme, poi i nonni insieme ai figli con rispettivi figli, poi i nonni con gli amicissimi, poi i nonni con tutti noi nipoti… Si intrufola anche Lodovico, anche se non c’entra niente. E ovviamente un paio di mani si alzano a regalargli quattro corna. Un urlo di papà, che è il fotografo ufficiale delle grandi occasioni, fa sparire le corna e i sorrisetti perfidi. Con le foto ce la caviamo abbastanza in fretta. In attesa di tornare a rimpinzarci, io e Manuel giochiamo un po’ a calcio con una grossa pigna. Non è la stessa cosa che avere un pallone, ma riusciamo a scartare, tirare… ecco, Manuel tira troppo forte e la pigna va a finire quasi sopra i piedi di un tipo con le scarpe

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scamosciate e i pantaloni grigi. Alzo lo sguardo su per i pantaloni, percorro la camicia a righe azzurre e mi trovo con gli occhi dentro gli occhi del mio allenatore. «Mister! Che ci fa qui?» gli chiedo sorpreso e insieme contento. «Quello che ci fai tu» risponde scuotendo la testa. «Io mi alleno» dico dando un calcetto alla pigna, per provargli che non mento. Il Mister scoppia a ridere. «Io invece mangio». «Ah, beh, mangio anch’io. Anche se all’idea di rimettermi a tavola mi viene da vomitare» confesso. Lui annuisce. «Non esagerare» mi dice. «La nonna si è raccomandata di finire tutto» sbuffo. «Non vuole che si sprechi il cibo». «Ha ragione. Ma anche mangiare quando sei già sazio in fondo è uno spreco». Ha ragione anche l’allenatore. Ma se ha ragione il Mister e ha ragione pure la nonna, allora io che devo fare? Il Mister mi saluta con una pacchetta amichevole e torna dentro, richiamato da una signora affacciata a una delle grandi portefinestre. Quando rientriamo anche noi, mi rendo conto che

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il tavolo del Mister e della sua compagnia è abbastanza vicino al nostro. Non me ne ero accorto! Comunque il mio Mister è lì a pochi passi, non solo lo vedo quando alzo gli occhi, ma ogni tanto distinguo anche la sua voce. Ci siamo appena seduti che arriva il secondo, porzione gialla. Ce la porta lo stesso cameriere della pasta gialla. Si vede che in quel ristorante ogni cameriere ha il suo colore. Facciamo tutti lo stesso pensiero, perché Chiara esclama: «Sarebbe carino se i camerieri avessero anche le giacche del colore dei piatti che servono!» «Sarebbe ridicolo» sbuffa Marco. Matilde salta su a difendere Chiara, io attacco mia sorella, Lodovico si intromette cercando di spiegarci il valore simbolico del giallo nell’antica Cina… Insomma, ricominciamo a far confusione. Nemmeno la seconda portata ci zittisce. Dopo l’omelette ai fiori di zucca farcita con non so cosa, ci servono del prosciutto cotto. Poi arriva una carne poco cotta, che non piace a nessuno tranne che a Riccardo e poi non ci faccio nemmeno più caso. Tanto io non potrei mangiare più niente. «Vuoi lasciare un po’ di posto per il dolce?» mi chiede Guendalina, notando che allontano il piatto. «Voglio sopravvivere» ribatto.

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Lei è golosa di dolci e, menu alla mano, ce li elenca. Crema alla vaniglia, mousse di fragola… «Smettila» le ordina Alex, ma siccome è suo fratello e per di più ha due anni meno, lei non gli dà retta e continua. «…gelatina di ribes, gelato al pistacchio e per finire torta alle more. Credo che assaggerò almeno la torta e la mousse di fragola». «Io credo che non assaggerò nulla». Peccato, perché il gelato al pistacchio è il mio preferito. Capita, a volte, che mentre si è a tavola un improvviso silenzio duri un po’ troppo. Di solito la cosa mette un po’ a disagio, ma più pensi a che cosa potresti dire per romperlo, più ti senti in imbarazzo e la bocca resta chiusa. I francesi (me l’ha detto la nonna che da giovane ha studiato a Parigi) dicono: «È passato un angelo». L’angelo che ci stava passando accanto doveva essere lungo come un tir, perché il silenzio si prolunga. Così sentiamo bene la voce del Mister che chiede al cameriere se gli prepara, per favore, il doggy bag, il sacchetto per il cane.



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Il cameriere risponde gentilmente: «Certo». Poi però chiede in tono ironico: «Il suo cane gradisce anche contorni e dolci?» «Naturalmente» risponde serio l’allenatore. Ecco, avevo trovato l’argomento per interrompere lo strano, pesante silenzio. «Chissà di che razza è il cane del Mister? Io dico un pastore tedesco». «Se mangia verdure e dolci, sarà di una razza maialoide» ridacchia Marco.


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Guendalina, che è un’animalista convinta, esclama che non vede perché spendere soldi per un cane di razza, quando i canili sono strapieni di poveri cagnolini abbandonati! Io sto per replicare che al canile puoi trovare anche cani di razza, perché la gente quando si stufa o va in vacanza vuole liberarsi dell’impiccio e non sta tanto a distinguere, ma Manuel non me ne lascia il tempo. «Comunque» dice, «il nostro Mister (io e Manuel ci alleniamo nella stessa società) non ha il cane». «Ce l’ha!» replico. «No!» «Sì!» «Chi te lo dice?» «Me l’ha detto lui. Cioè l’ha detto a un tizio mentre io ero presente. Gli ha detto che gli piacerebbe tanto avere un cane, ma non può perché è allergico». Sono disorientato. Lo stomaco, impegnato a digerire tutto il cibo che ci ho ficcato, deve aver chiesto aiuto alle riserve di sangue del cervello e quello gira al minimo, ovvio. Pensare mi richiede uno sforzo immane. Riesco a formulare un semplice ragionamento. Se l’allenatore è allergico e non ha il cane, per chi è il cibo che si porta via dal ristoran-

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te? Probabilmente per il canile; anzi, sicuramente. «Per me quel cibo lo porta al canile. Un sacco di gente ci va per dare una mano e portare a passeggio i cani…» «No, se uno è allergico» mi fa notare Matilde. Sì, il mio cervello deve avere prestato troppo sangue allo stomaco. Funziona da schifo. Devo ammettere che mia cugina ha ragione. Chi mi spiega che cosa sta succedendo? Perché io da solo non ci riesco. E siccome mi conosco, so che la questione mi ronzerà fastidiosamente nella testa e non sarò tranquillo fino a quando l’enigma non sarà risolto. Il Mister e la sua compagnia, più veloci di noi, hanno già preso anche il caffè e si preparano ad andarsene. Mi alzo e lo raggiungo nell’atrio, dove ci sono gli attaccapanni e un grande acquario tutto illuminato. «Vorrei sapere… cioè se posso… insomma, perché ha chiesto il doggy bag?» Sono stato un po’ brutale, ma il Mister non si offende. Scoppia a ridere. «Tu ce l’hai un cane?» mi chiede a sua volta. Scuoto la testa. «Nemmeno io. Sono allergico». Proprio come diceva Manuel. «Però io chiedo sempre il mio doggy bag!» esclama.

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Non capisco. Mi spiega che il doggy bag è il pacchettino con il cibo avanzato che uno si porta a casa dicendo che è per il suo cane. In realtà è tutta roba buona, che si mangiano gli umani. Doggy bag è un’espressione inglese perché è un’abitudine appunto degli anglosassoni. «Una buona abitudine» aggiunge. «Da noi in Italia non si usa, ma è un peccato, perché il cibo che resta sulle tavole dei ristoranti viene buttato. Sai quanto ne finisce nella spazzatura in un anno?» Scuoto la testa. «Immagino tanto» dico. «Immagina ancora di più! Ci vediamo martedì al centro sportivo». L’allenatore esce dalla porta a vetri e io spingo quella dei bagni. Ecco, mi è venuto il mal di pancia anche se non ci sono piatti da lavare. Non fingo, funziono così. I bagni sono decenti. Li divide dall’atrio una parete sottilissima e sento tutto quel che dice chi passa. Sento un bambino che si incanta davanti all’acquario, una signora che si lamenta per il ginocchio che le fa vedere le stelle, due uomini che invece sono tutti contenti. «Questo è un ristorante che dà soddisfazione!» esclama voce uno. L’altro è d’accordo: «Già. Si mangia bene, e tanto».

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Voce uno: «Anche troppo». Voce due: «Meglio troppo che poco. Ci sono certi ristoranti che quando ti alzi hai ancora fame. Lasci il piatto pulito e non ci vuole nemmeno la lavastoviglie». Voce uno: «Vero!» Anch’io dico: «Vero!» Però, a pensarci bene (il cervello ha ricominciato funzionare) che spreco! Torno al nostro tavolo qualche minuto dopo. Il mio gelato al pistacchio si sta squagliando. Ne raccolgo un po’ con il cucchiaino da dessert. Buono. Con un po’ di sforzo lo mangio tutto. La mia fetta di torta invece la passo a Riccardo. Meglio nella sua pancia che nella spazzatura. Se fossero tutti come lui, il problema dei rifiuti, almeno di quelli commestibili, sarebbe già risolto. La tavola disordinata a fine pasto mi mette sempre un po’ di tristezza. Tanto più se intorno stanno seduti dei cugini in vena di polemiche e un mocciosetto che deve aver fatto un corso su come rendersi antipatico, tanto ci riesce bene. Non vedo l’ora di andarmene. Finalmente arriva il momento dei saluti. I nonni e gli amicissimi non hanno fretta. Si fermano ancora un secolo nel parcheggio, chiacchierando di Venezia e Zara e gli altri posti del loro

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viaggio di nozze di quarant’anni prima. Ovviamente poi seguono gli accordi, complicatissimi, per il prossimo appuntamento. Finalmente saliamo in macchina. Io, papà, mamma e i nonni. Chiara è sull’auto dello zio Flavio, con Matilde. Chissà che cosa hanno sempre da raccontarsi quelle due. Il nonno, alla mia destra, si abbiocca presto. La nonna invece è bella arzilla. «Che cosa ti è piaciuto di più?» mi chiede. «La pasta rosa» rispondo. «A me le barchette di pasta frolla con salsa al salmone» dice la mamma. «Che peccato lasciarne sul vassoio almeno la metà…» «E le crepes» aggiunge il papà. «Perché non abbiamo chiesto il doggy bag anche noi?» chiedo. La mamma scuote la testa. «Non oserei. Mi sembra di fare una brutta figura». «Il Mister l’ha chiesto. L’ho sentito io». «Davvero? Allora, la prossima volta lo facciamo anche noi. Ci sono un sacco di cibi che si possono mangiare anche il giorno dopo. La pasta con i pomodorini o le verdure lessate o la crema di piselli o la torta alle more…» «Basta!» mi lamento. Solo a sentire nominare il

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cibo mi viene la nausea; forse un po’ è colpa anche della strada tutta a curve. «Non stai bene? Ti avrà fatto male la crema alla vaniglia, ci avranno messo un sacco di uova» dice la nonna. Mi chiudo la bocca con la mano. «Parliamo d’altro, per favore» sussurro. «Hai finito i compiti?» chiede il papà. «Questa sera faremo tardi». Per la prima volta in vita mia sono contento che si parli di scuola.

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Doggy bag per tutti

Capita, in Gran Bretagna o negli USA, di sentire chiedere al cameriere di preparare, insieme al conto, the doggy bag, il sacchetto per il cane. Anche da chi il cane non ce l’ha, perché dentro il sacchetto il cameriere mette il cibo ordinato e non consumato, che il cliente porterà a casa.

IN ITALIA In Italia questa abitudine è ancora poco diffusa. All’estero è previsto invece che il cliente se ne vada con il suo pacchettino. Ci sono perfino apposite confezioni: sacchetti di carta o scatole di cartone con simpatiche scritte.

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IN GIAPPONE In Giappone l’organizzazione Doggy Bag Committee, in collaborazione con il Ministero dell’agricoltura, lavora proprio per diffondere questa pratica e invita i clienti perfino a portarsi da casa la propria borsa, confezionata con la tecnica dell’origami. Anche questo è un modo per ridurre gli sprechi, che in Giappone sono di 19 milioni di tonnellate all’anno.

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Sprecato? No, regalato! e nel mondo, sono Alcune organizzazioni, in Italia cogliere prodotti alisorte proprio con lo scopo di rac , dalla distribuzione e mentari scartati dall’industria azione per farli avere anche dai diversi servizi di ristor Banco Alimentare o la a persone povere. Per esempio il Società del Pane Quotidiano.

no il cibo avanzato Queste organizzazioni recupera ti, mostre, conferendopo ricevimenti pubblici, concer tari e lo offrono nelle ze… lo cucinano gli stessi volon e di beneficenza. mense per i poveri o durante cen


Oppure, sono le stesse catene di distribuzione che regalano i cibi invenduti o i ristoranti che consegnano direttamente, a chi ne ha bisogno, i cibi lasciati intatti dai clienti.

In Lombardia ci sono tanti ristoranti che aderiscono a Il buono che avanza.

In Piemonte c’è Buta Stupa, cioè bottiglia stappata. Il cliente si porta a casa la bottiglia non finita. I sommelier, gli esperti del vino, nei ristoranti che aderiscono alla campagna Portami via, consegnano la bottiglia ancora mezza piena al cliente, che la porta a casa in una wine bag.

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Meglio il menu del giorno I ristoranti sono luoghi di grande spreco. La dispensa di un ristorante deve essere sempre ben fornita, per soddisfare anche le richieste inaspettate dei clienti. Le porzioni sono spesso abbondanti e quindi una parte del cibo rimane nel piatto. Scegliere il menu del giorno (che il cuoco ha programmato acquistando ciò che effettivamente cucinerà) è un modo per limitare gli sprechi.


Il servizio a buffet invece comporta lo spreco maggiore perché, non potendo prevedere le preferenze dei clienti, si deve comunque preparare una quantità di cibo superiore al necessario. Il desiderio di assaggiare tutto o quasi induce il cliente a riempire il piatto più di quanto gli riuscirà di mangiare. Gli alimenti non consumati verranno tutti buttati.

Un supplemento di 5 euro sarà applicato a tutti i pasti non finiti È la scritta che si legge sopra il buffet di alcuni ristoranti All you can eat, una formula che permette ai clienti di servirsi quante volte desiderano pagando un prezzo fisso. Il primo ad applicare la multa per chi si riempie il piatto solo per ingordigia, avanzandone la maggior parte, è stato il giovane proprietario di un self service giapponese nel nord della Francia seguito da proprietari di ristoranti di tutta Europa.

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Al mercato con i baffi finti Ti è mai capitato di scoprire che una persona che credevi di conoscere bene in realtà è diversa? Che fa cose che non ti saresti mai aspettato? Che si traveste per non farsi riconoscere? A me, sì. La persona a cui mi riferisco è il signor Michele. Il signor Michele, che abita nell’appartamento di fronte al nostro, ha ottantaquattro anni. Lo sa tutto il palazzo, perché non perde occasione di ripeterlo. In realtà ne avrebbe ottantatrè, perché essendo nato a dicembre ancora gli ottantaquattro non li ha compiuti, ma lui da gennaio annuncia: «Ottantaquattro!» Guai a contraddirlo. Se è proprio messo alle strette, allora tira fuori che bisognerebbe contare anche i nove mesi dentro la pancia della mamma. Insomma, ha sempre ragione lui. Però è

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un tipo simpatico. È alto e magro, a parte un po’ di pancia che si appoggia sopra la cintura dei pantaloni, e ha una voce potente, che è molto utile quando recita. Fa l’attore, per divertimento, in una compagnia che si chiama 4 spASSI. Deve essere scritto proprio così, o in un altro modo che comunque faccia subito notare la parola assi, per esempio così: 4 spassi. Sembra un nome strano, ma dopo che te l’hanno spiegato diventa chiaro. Quattro come il numero degli attori (il signor Michele e tre suoi amici), che sono dei veri assi, cioè sono molto bravi a far ridere, quindi sono degli spassi. «Vale la pena di fare quattro passi per venirci a vedere!» ripete il signor Michele, e ogni volta ride come se trovasse ancora divertente questa vecchia battuta. «È il segreto per recitare bene» mi ha confidato una volta che gli ho chiesto se non si stancava di ripetere dieci volte e anche di più la stessa parte. «Considerare ogni volta come l’unica. Cancellare quel che c’è stato prima, quel che forse ci sarà poi… La realtà è tutta lì, e tu ci sei dentro fino al collo». Io credo che non farò mai l’attrice. E poi devi studiare un sacco di battute a memoria. Il signor Michele ha un’ottima memoria. Si ricorda perfino di quella volta che sono inciampata nel gradino e ho

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rotto mezzo dente davanti. «Memoria, vista e udito ancora non mi hanno abbandonato! A 84 anni!» È vero, porta gli occhiali solo per leggere le parole piccole; quelle grandi le vede anche senza. Sono stata così precisa, e anche un po’ lunga lo ammetto, perché le cose che ho scritto sono importanti per capire il fatto che voglio raccontare. Se sei già stufo di leggere, hai due possibilità: o smetti qui oppure fai uno sforzo e continui. Solo la seconda possibilità ovviamente ti permette di sapere quel che viene poi. Devo solo aggiungere che sul pianerottolo si aprono tre porte, perché ci sono tre appartamenti. Quello dove sto io, quello del signor Michele e quello dove abitano Alina e Stepan (e i loro genitori). Alina e Stepan sono miei amici e sono in gamba, specialmente Alina. Una mattina io, Alina e Stepan decidiamo di andare a fare un giro al mercato, che si tiene nella piazza Verdi ogni martedì e sabato. Non che ci interessino tanto le bancarelle, sempre le solite: frutta e verdura, vestiti, calze, borse e ombrelli, piatti e casalinghi… Alina si ferma spesso a guardare la bancarella di una signora cicciotta e sorridente del Senegal, però non compera niente. «Guarda, guarda!» dice la signora del Senegal.

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«Guardare è gratis!» Di solito il nostro giro si conclude davanti al camion del rosticciere. Prendiamo un sacchetto di patatine fritte e ce le dividiamo. Stiamo appunto aspettando, c’è sempre la fila perché il profumo che si diffonde intorno è irresistibile, quando Stepan ci fa cenno di guardare verso la fontanella. Guardiamo. C’è un signore che fruga tra gli scarti di frutta e verdura (li ammonticchiano tutti lì, accanto alle cassette di plastica vuote e agli scatoloni di cartone da buttare, poi passerà a pulire il camion della nettezza urbana). Lo fa con attenzione, osservando bene prima di allungare la mano verso una mela o una mezza zucca o un cespo di insalata. Osserva molto bene anche quello che ha raccolto, lo gira da tutte le parti. Ora sta esaminando un mazzo di cipolle. Ne stacca alcune, che tornano nel mucchio degli scarti; le altre le infila nella borsa azzurra che tiene appesa al braccio. «Beh?» faccio a Stepan, stupita. Non è la prima volta che vediamo qualcuno, uomini e donne, anziani per lo più, ma anche qualche ragazza o ragazzo, che cerca tra gli scarti qualcosa che si possa recuperare. Non è bello… Un giorno avevamo deciso di rinunciare alle patatine e di regalare i soldi a una ragazza, ma non abbiamo osato avvicinarci;

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un altro giorno le patatine le avevamo già comprate, allora le abbiamo regalate al bambino di quella ragazza. Di solito però facciamo finta di niente. Anche alle scene tristi ci fai l’abitudine. Stepan mi guarda, stupito anche lui, e sta zitto. Scuoto la testa per fargli capire che non ho proprio capito. Allora Alina si copre la bocca con la mano, come a trattenere un grido che stava per uscire. Mi viene vicino e mi sussurra nell’orecchio: «È il signor Michele!» «Ma va!» esclamo io. «È lui» insiste Alina.



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Effettivamente gli assomiglia. La stessa statura, la stessa pancia appoggiata sulla cintura, gli stessi capelli grigi un po’ lunghi pettinati all’indietro… «Ha gli occhiali!» obietto. Alina si stringe nelle spalle. «E i baffi!» Ieri sera il signor Michele i baffi non li aveva. Sono sicura perché l’ho incrociato mentre tornava dalla passeggiata con Billo, il cane della signora del terzo piano; lei ha una gamba rotta e il giretto a Billo non glielo può far fare. Faccio notare a quei due che i baffi non ti crescono in una notte. Però forse hanno ragione… Sembra proprio il signor Michele, a parte i baffi e gli occhiali. «Potrebbero essere finti» dice Alina. «Perché uno dovrebbe mettersi i baffi finti?» chiede Stepan. «Per non farsi riconoscere, ovvio» sbuffa Alina. «Per non farsi riconoscere mentre fruga tra gli scarti del mercato» preciso io. Siamo così intenti a discutere che un paio di persone ci sono passate davanti nella fila. Che importa? Ormai le patatine non ci interessano più. Eppure ancora non sono convinta. È troppo assurdo quel che sta succedendo, anche se succede

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proprio sotto i miei occhi. «Mettiamoci là» dico ai miei amici. Là è un buon posto per spiare senza essere visti e anche per sentire, perché è uno spazio vicinissimo alla fontanella, un angolo creato dal muro di un palazzo e dal portellone posteriore di un camion, da cui ogni tanto l’ambulante scarica sacchi di patate. Anche la giacca verde è quella del signor Michele… Ora è chino a scrutare dentro una cassetta di peperoni rossi e verdi. Devono essere tutti marci, perché l’anziano signore scuote la testa e non ne prende nemmeno uno. I vigili! Due vigili urbani si sono fermati proprio alle sue spalle. «Scusi. Signore, dico a lei». La voce del vigile fa trasalire il signor Michele, che subito si raddrizza. Guarda i vigili molto imbarazzato. «Ah… io… Non faccio niente di male. È tutta roba che va buttata» sussurra. «Ci dice il suo nome, per favore? Favorisca anche i documenti». Il signor Michele si massaggia la nuca, impacciato. «Li ho lasciati a casa» dice piano. «È in grado di tornare a casa? Si ricorda dove abita?» chiede ancora il vigile.

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Io avrei voluto uscire dal nascondiglio e dire ai vigili che l’avremmo accompagnato noi, che era il nostro vicino, e che dovevano lasciarlo in pace perché il signor Michele è una brava persona. Alina ha capito e mi ha trattenuta per il braccio. «Non deve sapere che sappiamo» mi ha sussurrato la mia amica. Aveva ragione. Del resto il signor Michele se la cavava bene da solo. «Certo che mi ricordo» risponde al vigile, in tono tranquillo. «E sono perfettamente in grado di tornarci. Grazie dell’interessamento». I due vigili si scambiano un’occhiata. La risposta decisa del signor Michele deve averli convinti, infatti lo salutano con un cenno del capo e finalmente si allontanano. Il signor Michele resta lì, impalato, con le spalle basse, le braccia lungo i fianchi. Ha l’aria tanto stanca. «Che si fa?» chiede Stepan. Non lo so. Comunque abbiamo tutti e tre voglia di tornare a casa, infatti senza dirci una parola ci avviamo insieme. Camminiamo piano piano, in silenzio. In silenzio saliamo le scale. «Ehi, ragazzi!»

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La voce del signor Michele risuona dietro di noi. È una rampa sotto. «Se fate una sosta di quattro, no diciamo cinque minuti, vi raggiungo!» Lo aspettiamo un po’ sollevati dalla sua voglia di scherzare che ci dice che è proprio lui, il nostro vicino pronto alla battuta. La sua immagine così come ci è familiare cancella quella dello sconosciuto che fruga tra i rifiuti. Però quando ce lo troviamo davanti non riusciamo a trattenere un moto di stupore. «Beh, che cosa c’è? Un fantasma?» Il signor Michele si gira alla ricerca del fantasma che evidentemente gli aleggia alle spalle e così si vede riflesso nello specchio appeso alla parete, vicino alla porta dell’appartamento dei Munafò (la moglie è una maniaca dell’aspetto e ci tiene tanto a essere sempre a posto). «Oh!» esclama toccandosi i baffi. Poi ridacchiando dice: «Sto proprio invecchiando. Mi sono dimenticato di toglierli, dopo le prove». «Al mattino?» chiede Stepan. Di solito infatti provano nel pomeriggio. Quando vivi sullo stesso pianerottolo, finisci per conoscere le abitudini dei tuoi vicini. Allora ci spiega che lo spettacolo è imminente e

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che lui e gli altri tre assi ci stanno dando dentro. Noi sappiamo che dice una bugia, perché lo abbiamo visto, poco prima, al mercato travestito con occhiali e baffi finti. «Abbiamo fatto una prova straordinaria» si giustifica. «I baffi le stanno bene» dice Alina. «Io mi preferisco al naturale» dice lui e se li toglie con un piccolo ahi. «Pronti per riprendere la scalata?» Si avvia e noi saliamo con lui. Appesa al braccio regge la borsa di plastica azzurra. Ti risparmio la lunga discussione che, quel pomeriggio, portò me, Alina e Stepan a decidere che avremmo chiesto al signor Michele di darmi ripetizioni di tedesco.

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Che c’entra il tedesco con la frutta ammaccata? Niente, direttamente. Però se hai dei soldi lasci perdere la frutta ammaccata e compri quella buona. Come dare dei soldi al signor Michele senza offenderlo? Pagandogli appunto delle lezioni di tedesco. In un primo momento in realtà avevamo pensato di chiedergli lezioni di teatro. Ma i nostri genitori sarebbero stati d’accordo? Certo, recitare può essere utile nella vita, ma mamma e papà, sono sicura, pensano che conoscere le lingue lo sia molto di più. Il signor Michele il tedesco lo conosce, perché da giovane ha vissuto tanti anni in Germania (faceva il gelataio). Io a scuola mi impegno con il tedesco, ma mi imbroglio con quelle parole chilometriche! Quindi un aiuto mi serve davvero. Un aiuto che diventa un aiuto per il signor Michele. Che non si è mai lamentato della sua pensione, anche se non deve essere granché, e non vuole fare sapere che è povero… però non è certo ricco. Nei prossimi giorni ci faremo venire qualche altra idea. Prima di cena ho suonato alla porta del signor Michele. «Alice, vieni!» Il suo appartamento è più piccolo del nostro, e molto più ordinato. Aleggiava un intenso odore di cipolle, che mi ha fatto arricciare il naso.

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Il signor Michele se ne è accorto, perché è scoppiato a ridere. «Eh sì, questa sera cipolle! Ti dà fastidio l’odore? Io trovo che sia un profumo… appetitoso». Scoperchia una pentola che borbotta sul fornello. «Adoro la zuppa di cipolle. Anche quella di zucca… Oh, ma tu sei venuta per qualche ragione, immagino. La tua mamma è di nuovo senza sale?» È già capitato più volte, infatti. «No, sono venuta a chiederle ripetizioni di tedesco» dico io, e sento che sto un po’ arrossendo. «Oh, il tedesco. Una bella lingua, precisa». «Con parole che non finiscono mai» sbuffo io. Il signor Michele scoppia a ridere un’altra volta. «Già. Der Haustürschlüssel. La chiave della porta di casa. E senti quest’altra: Kapitänsuniformknopf. Però devi ammettere che lì dentro c’è proprio tutto, non si può sbagliare. Ti fa vedere il bottone, l’uniforme e anche il capitano!» «Io sbaglio, eccome! Perciò mi serve un aiuto. Un paio di ore alla settimana…» Il signor Michele scuote la testa. «È passato così tanto tempo… Temo di aver dimenticato molte cose». «Io dico di no. Un attore ha la memoria allenata» obietto prontamente.

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«E va bene, proviamo!» «Proviamo! Poi viene la mamma, per il prezzo…» «Eh, no! Il prezzo lo decido io!» esclama il signor Michele. Lo guardo, un po’ stupita e anche un po’ preoccupata. E se chiedesse cinquanta euro all’ora? O cento addirittura? «Kostenlos!» Continuo a guardarlo stupita e preoccupata. «Eh?» «Abbiamo già incominciato la lezione» ridacchia lui. «In tedesco vuol dire gratis. In realtà, gratis è una parola latina». A questo punto faccio sicuramente una faccia ammirata, perché sto pensando: «Quante cose sa, il signor Michele!» Deve leggermi nel pensiero, perché dice: «Ottantaquattro anni sono un sacco di tempo, sai? Un sacco di tempo per imparare un sacco di cose…» Sono già alla porta quando il signor Michele mi ferma e mi mette una ciotola tra le mani dicendomi: «Qui c’è un assaggio della mia zuppa di cipolle per i tuoi genitori. Credo che a loro piacerà». «Ma… e per lei?» «Ce n’è a sufficienza, stai tranquilla. Le cipolle oggi erano… in offerta speciale!»

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Un minuto dopo sono di nuovo davanti alla porta dell’appartamento del signor Michele. «La mamma dice che gratis non va bene, ma di questo parlerete un’altra volta. Dice anche che accetta la sua zuppa se lei accetta di venire a mangiarla da noi». E così ceniamo insieme: io, i miei genitori e il nostro vicino. Ammetto che all’inizio avrei preferito che il signor Michele non ci fosse. Non sarebbe stato gentile rifiutare la sua zuppa davanti a lui. Infatti ero sicura che non mi sarebbe piaciuta, quella cosa che mi trovavo davanti. Un piatto pieno… Invece l’ho vuotato tutto e ho anche fatto il bis. Le cipolle del mercato, quelle in offerta speciale erano buonissime! Il signor Michele mi guardava raccogliere anche l’ultima goccia della sua zuppa e intanto sorrideva soddisfatto. «Danke» mi ha sussurrato. Ho capito: grazie. Il mio tedesco sta già migliorando.

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Un nome inglese per un progetto italiano Last Minute Market (LMM) è una società fondata dall’università di Bologna, che gestisce più di quaranta progetti in tutta Italia per recuperare i cibi non venduti ma ancora commestibili o prodotti che non possono essere tenuti in commercio (per esempio i farmaci che stanno per scadere). La società mette in contatto direttamente la domanda e l’offerta, cioè chi ha bisogno dei prodotti e chi li può fornire (agricoltori, industrie, magazzini, negozi, mense scolastiche).

Lo scopo, ovviamente, è di recuperare quanto più possibile per ridurre lo spreco. Obiettivo raggiunto per esempio a Verona, dove dalle mense di otto scuole si recuperano 8 tonnellate all’anno di cibi cotti, che corrispondono a 15.000 pasti.

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Tra le iniziative di LM M c’è anche una Dic hiarazione contro lo spreco alimentare presentata al Parlamento Europeo a Br uxelles con l’obiettivo di ridurre lo spreco alimentare del 50% entro il 2025 . La campagna si propone di se nsibilizzare l’opinione pubblica sul problema. Basandosi sui conten uti della Dichiarazione , è stata presentata al Parl amento Europeo una Proposta su come evitare lo sp reco di alimenti: stra tegie per migliorare l’efficienza della catena alimenta re nell’Unione Europea. L’iniz iativa si propone di se nsibilizzare sul tema i govern i nazionali, i quali si at tiveranno per educare i cittad ini, a partire dagli st udenti, e di programmare la ri distribuzione degli al imenti non consumati ai cittadin i più poveri.

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Una banca del cibo Cominciò tutto a Phoenix, negli Stati Uniti, dove viveva John Van Engel. Questo signore osservava, camminando per le strade della sua città, che negozi e ristoranti buttavano un sacco di cibo. Vedeva anche poveri che frugavano tra gli scarti dei mercati e perfino nell’immondizia alla ricerca di qualcosa da mangiare. Allora gli venne l’idea di passare ogni sera a ritirare il cibo avanzato per poi distribuirlo a chi non ne aveva. Presto, altre persone decisero di dargli una mano. Nacque così il primo Banco Alimentare, con il nome di St. Mary Food Bank. Oggi questa speciale banca del cibo è attiva non solo negli USA, ma anche in Canada e in Europa. In Italia si chiama Banco Alimentare.

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Geniale, il Banco Alimentare!

Dal 1989 anche in Italia è presente la Fondazione Banco Alimentare. Funziona proprio come una banca: c’è chi deposita e chi preleva. Però, al posto dei soldi, girano scatolette di carne, pacchi di pasta, cassette di frutta… Infatti, il Banco raccoglie le eccedenze alimentari praticamente in tutte le fasi della filiera, dai campi fino ai ristoranti, e ridistribuisce ad associazioni che aiutano i poveri. Ritira anche cibi cotti, pane e frutta da mense scolastiche, aziendali e da società di catering. Ogni anno organizza la Giornata della colletta alimentare, l’ultimo sabato di novembre, durante la quale è possibile acquistare, presso i negozi che aderiscono all’iniziativa, prodotti che vengono consegnati ai volontari dell’associazione.


Partire dall’informazione

Lo spreco di cibo che vedi passando per una piazza cittadina dopo il mercato è una piccola parte di un fenomeno vastissimo.

FAO La FAO (Food and Agriculture Organization), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ha calcolato che la quantità di cibo sprecato nei paesi industrializzati corrisponde a 222 milioni di tonnellate ed è quasi pari all’intera produzione di cibo, 230 milioni di tonnellate, dell’Africa subsahariana.

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Finisce nella spazzatura l’equivalente di quanto una zona vasta due volte e mezza l’Europa produce per sfamare i suoi abitanti, all’incirca 800 milioni di persone. Purtroppo sono dati poco conosciuti. Riflettere su queste cifre è già un modo per affrontare il problema.

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Storia 4

Un coniglio un po’ fissato C’era una volta un coniglio un po’ viziato o forse un po’ fissato o addirittura viziato e pure fissato, che adorava le carote (e questo non suona strano, essendo un coniglio) ma le voleva perfette. Come sono le carote perfette? Lui lo sapeva bene. Aveva dei criteri precisi, che gli permettevano infallibilmente di classificare una carota come degna dell’etichetta di perfetta, quindi mangiabile. Doveva essere lunga come la sua zampa di dietro (destra o sinistra non importa, perché tanto lui aveva le zampe di dietro lunghe uguali) e grossa come la sua zampa davanti (idem). Quanto al colore, obbligatoriamente arancione. Ovvio? No, aspetta. Doveva essere arancione come il colore dei petali dei fiori arancioni con le foglie

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Un coniglio un po’ fissato

un po’ lunghe e tonde all’estremità, vellutine e non molto appetitose. Se non erano di quell’arancione lì, non andavano bene. Poteva capitare di sentirlo borbottare, esaminando con attenzione una carota da poco strappata: «No e poi no, questa non va. Guarda che colorino sbiadito... è pallida come una primula con l’influenza» (le primule sono delicati fiori gialli). Una cosa che non sopportava erano le carote con le radici. Sì, perché dal fittone della carota (si chiama così la parte della carota che mangiamo) spuntano le radici, ma sono tanto sottili che sarebbe bastata una passata di zampa a farle sparire. Però se erano troppe (diciamo più di una decina), questo coniglio viziato e fissato le scartava. «Non mangerò mai delle carote pelose! Bleee!» esclamava sputacchiando con disgusto. «Carote pelose! Che schifo!» E quelle storte, allora? Le carote storte le disprezzava, addirittura. E le rimproverava. «Come sei venuta su male!» diceva. «Non lo sai che una carota come si deve è bella diritta?» E rimproverava anche se stesso. «Dovevo capirlo subito, sciocco che sono. Potevo risparmiarmi la fatica, e invece ho continuato a tirare. Ma io lo sentivo che quella opponeva resi-

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stenza, che non si lasciava sfilare docile e gentile. Quando fanno così sono troppo grosse, e quindi legnose, pfuà! Oppure hanno dei bitorzoli, pfuà pfuà! O addirittura si sdoppiano». A lui una carota che si sdoppiava faceva impressione, non voleva nemmeno vederla. La prendeva per il ciuffo e la lanciava lontano. Dopo che questo coniglio viziato e fissato aveva visitato un orto, tutto intorno trovavi sparpagliate quattro, cinque, dieci carote ovviamente tutte imperfette. Altre dieci circa, a volte anche di più se il coniglio aveva molta fame, erano finite nella sua pancia, dopo essere state opportunamente rosicchiate dai suoi denti robusti. «Così non va bene» lo avvertiva il coniglio Ruben, che era suo amico. Ma il coniglio Efrem (è arrivato finalmente il momento di svelarne il nome) non gli dava retta. «Prima o poi il contadino si arrabbierà» insisteva il prudente Ruben. Inutilmente.


Un coniglio un po’ fissato


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«Questa no. No. Hum… forse. No. Sì! Brava carotina, ora ti mangio… Oh, come sei buona… Ma io lo sapevo, sai? Carotine così belline sono una garanzia. Tu invece sparisci, stortignacola. Via!» Come aveva predetto il coniglio Ruben, il contadino si arrabbiò. «Chi fa strage delle mie carote?» gridava. «Se acchiappo quel coniglio lo faccio in salmì!» Aveva immaginato subito infatti che responsabile di tutto fosse un coniglio. Tanto più che, guardandosi bene intorno, aveva riconosciuto le orme, impresse sopra un’aiuola da poco zappata e ancora molle di innaffiatura. Non c’erano dubbi! «Coniglio sprecone e cafone» sbraitava. «Te la faccio vedere io! Se t’acchiappo! Se t’acchiappo!» Nonostante le sue lunghe orecchie, il coniglio Efrem non sentì quelle minacce. Dormiva beatamente nella sua tana, che si trovava piuttosto lontana dall’orto del contadino. Spaparanzato sopra un giaciglio di fieno fragrante, con la pancia piacevolmente piena e quasi strapiena, il coniglio sognava una montagnola di carote tutte identiche, tutte perfette. Lui si avvicinava e, senza nemmeno fare la fatica di scovare e scavare e sfilare, ne afferrava una a caso, tanto erano appunto tutte perfette. A quel punto però la montagnola crollava e gli preci-

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pitava addosso, seppellendolo. «Ah! Soffoco!» ansimò il coniglio tirandosi su di scatto. Capì subito che era solo un sogno e si lasciò di nuovo sprofondare nel fieno, sorridendo beato. Non avrebbe sorriso se avesse saputo che cosa stava facendo intanto quell’Edmondo, il contadino arrabbiato. Edmondo stava progettando una trappola. Non troppo complicata, perché lui era un contadino e non un inventore, ma abbastanza efficace per catturare un coniglio e abbastanza robusta per tenerlo imprigionato, una volta catturato. «Se ci entri, da qui non esci più» ridacchiava il contadino mentre piantava chiodi, incollava assi e fissava una rete di ferro sopra uno sportellino chiuso da una molla. Il coniglio Ruben, che per caso passava di lì, sentì i colpi e i suoi sospetti si trasformarono in certezze. Il contadino tramava qualcosa, quell’orto stava diventando un posto pericoloso. «È pericoloso, dammi retta!» Il coniglio Ruben insisteva, ma il coniglio Efrem non gli dava retta. «E allora che ci fai qui?» gli domandò. «Sono venuto proprio per avvisarti!» Intanto Efrem frugava nell’aiuola, spezzan-

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do i ciuffi delicati, dava una tiratina a questa e a quest’altra piantina. Decideva. Strappava, osservava, assaggiava, rosicchiava, lanciava, ruttava (succede anche ai conigli, se mangiano troppo avidamente), strappava di nuovo… Vedendosi ignorato, il coniglio Ruben raccolse svelto tre o quattro carote scartate (una era addirittura doppia) e scappò via a zampe levate. Il coniglio Efrem era così concentrato nella sua ricerca delle carotine perfette che non si chiese che cosa potesse essere quella cosa di fianco all’aiuola delle carote, con un bel mazzo di carote all’interno. Alcune, si vedeva lontano una prateria, erano mosce e storte e pelose e bitorzolute da fare pena; ma ce ne erano un paio eccellenti. «Davvero eccellenti!» esclamò il coniglio Efrem, sentendo l’acquolina in bocca. Con un balzo le raggiunse, cadde nella trappola e il suo peso fece scattare la molla dello sportellino. «Sono in trappola!» esclamò. Anche un coniglio meno sveglio l’avrebbe capito.


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Non rischiava certo di morire soffocato (dalla rete passava aria a sufficienza) e nemmeno di fame, almeno per un po’. «Quanto potrò resistere con soltanto due carote a disposizione?» si chiese. E si rispose: «Poco, probabilmente». Perché quelle altre, le imperfette, non aveva nessuna intenzione di mangiarle. Assolutamente no! «Piuttosto muoio di fame» decise. Non si saprà mai se avrebbe mantenuto la parola dopo un paio di giorni di prigionia. Infatti dovette aspettare meno di quanto aveva immaginato. Già il mattino dopo, il contadino si presentò a controllare la trappola. «Ha funzionato!» esclamò soddisfatto. Come si aspettava, dentro c’era un coniglio. Lo meravigliò molto però il fatto che quel coniglio si fosse pappato solo due carote, le migliori. «Sarà un caso?» si chiese. Si aspettava di trovare il mazzo di carote intatto (un coniglio spaventato forse non le avrebbe nemmeno toccate); oppure di non trovarne nessuna (un coniglio affamato certo le avrebbe divorate tutte). Che razza di coniglio era dunque quello? Un coniglio dal palato raffinato! A quel punto il contadino si rallegrò pensando che

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un coniglio che si era nutrito del meglio sarebbe stato certamente molto gustoso in salmì. Ma subito gli venne un altro pensiero, meno mangereccio. Pensò che, invece di cucinarlo, avrebbe potuto sfruttare quello strano coniglio per il controllo qualità. Già, perché le sue carote erano tutte buonissime, dolci e croccanti, ma quando le portava al mercato per venderle, metà restavano nella cassetta e doveva buttarle. I clienti compravano solo quelle di una certa misura: non troppo lunghe, non troppo grosse e soprattutto belle diritte. O quel coniglio aveva fatto un corso di economia e commercio oppure aveva innato il senso di ciò che la gente voleva. In ogni caso, l’avrebbe messo alla prova. Il coniglio Efrem superò la prova brillantemente. Davanti a un mucchio di carote, infallibilmente pescava le migliori ignorando quelle all’aspetto difettose. Lui avrebbe voluto anche mangiarsele, le migliori, ovvio! Ma il contadino era stato chiaro. A parole e a gesti gli aveva fatto capire da subito come stavano le cose. «Le carote sono per il mercato, se ti azzardi a pappartele, ti faccio la pelle e da quella bella pelliccetta ci ricavo un collo per la mia giacca. Lo stesso se ti scopro a fare il lazzarone». Così il coniglio doveva lavorare come uno schiavo a selezionare carote per molte ore al giorno. Però,

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come si dice: la sentinella ogni tanto si dimentica che è di guardia, ma il prigioniero non si dimentica mai che vuole scappare. Non sempre il contadino si ricordava, o aveva tempo, di controllare il coniglio, mentre al coniglio la voglia di carote perfette non passava mai. E ogni tanto riusciva a soddisfarla! Un giorno il contadino lo beccò sul fatto. Che sgridata si prese, povero coniglio! Per di più ebbe ridotta la sua razione, già non molto abbondante e di qualità appena accettabile, per una intera settimana. «Ah, è così! Allora mi costringi a giocare sporco!» Per ripicca, ogni tanto nel gruppo delle carote perfette ne infilava qualcuna che non avrebbe dovuto stare lì, perché troppo grossa, dopo aver provveduto ad accorciarla un pochino rosicchiandola da vero esperto. E scoprì, guarda un po’ che sorpresa, che le carote grosse, da lui sempre rifiutate e disprezzate, non erano poi così male!


Un coniglio un po’ fissato


Perdite e sprechi rificano durante la raccolve si ri ta en m ali ite rd pe Le lla alimenti, nella fase cioè de ta e il trattamento degli produzione. vece si verificano in fondo Gli sprechi alimentari in o dai campi alle tavole, la alla catena che porta il cib lle fasi di lavorazione indu ne è cio e , re ta en im al a filier tto a distribuzione e soprattu striale del cibo, della su del consumo.

Un filo sempre più lungo Oggi la filiera è sempre più lunga e complessa. Un tempo una carota passava direttamente dall’orto alla pentola del contadino. Ora l’aspettano tante tappe e ogni fermata comporta dello spreco: una parte di prodotto si deteriora, un’altra viene scartata perché non corrisponde agli standard richiesti dai macchinari che confezionano il cibo o dalle preferenze di chi compera.

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Diritta e tutta intera Parlando di carote, i clienti preferiscono carote diritte, per poterle pelare per tutta la lunghezza, dal ciuffo alla punta, con un unico gesto. Nel reparto dell’azienda dove vengono confezionate, le carote vengono fatte passare sotto dei sensori fotografici che scoprono ogni difetto. Oltre che belle diritte, devono essere intatte, intere e di un colore brillante. Il 30% circa delle candidate non supera l’esame e diventa mangime per animali.

I colori delle carote Le carote non sono tutte di colore arancione! Ce ne sono di palliducce, quasi bianche, di gialle, di rosse, di viola, a volte così scuro che sembrano nere. Solo verso la fine del 1700, in Olanda, si cominciarono a selezionare le varietà di colore arancione, il colore degli Orange, i signori del Paese.

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Sprecare conviene?

Mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite si verificano soprattutto nella fase della produzione, nei Paesi industrializzati le cause sono legate a ragioni economiche.

A volte conviene non raccogliere un ortaggio per esempio, perché il suo prezzo sul mercato non coprirebbe i costi della raccolta.

Se sul mio albero ci sono 100 mele, ma me ne hanno richieste solo 20, sapendo che le altre 80 non le venderò, non faccio nemmeno la fatica di raccoglierle.

Anche frutta e verdure che non si presentano con le caratteristiche preferite non vengono nemmeno raccolte, perché si sa che saranno ignorate sui banchi dei supermercati.

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Lo spreco continua nei diversi passaggi. La raccolta meccanica, per esempio, non sempre separa prodotti maturi e prodotti che lo sono meno, e questi ultimi verranno poi scartati. Nel confezionamento un sacchetto di frutta che per un errore di pesatura non raggiunge il peso indicato nell’etichetta viene scartato anche se i frutti all’interno sono perfettamente commestibili; lo stesso vale per una scatola di tonno o un pacchetto di pasta.

E, per finire, lo spreco avviene anche in casa, dove spesso ci si dimentica di consumare i prodotti prima che scadano.


Storia 5

La prova di coraggio Ieri, durante l’intervallo, ho sentito Jason che diceva che nella nostra classe, tranne loro cinque, non c’era nessuno che avesse un po’ di coraggio. Io io mi sono avvicinato e in tono spavaldo ho detto: «Io posso fare cose che voi non avreste mai il coraggio nemmeno di immaginare». Perché l’ho detto? Il fatto è che a volte parlo prima di pensare. Era meglio se fossi stato zitto. O forse no. Prima o poi uno deve farsi avanti e se tiene a qualcosa deve almeno provarci, o non l’avrà mai. I cinque in questione sono i più tosti della classe: Luca, Francesca, Silvio, Pamuk e Jason. E io ci tenevo tanto ad essere ammesso nel gruppo. Luca e Silvio mi hanno guardato stupiti; Francesca ha sbuffato; Jason e Pamuk hanno fatto un

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verso come per liberarsi di una caramella incastrata nella gola. Poi tutti hanno fatto: «Eeeeh?» Sembravano pecore, così mi è venuto da ridere. Con quella risata era come se avessi lanciato una sfida. Ormai non potevo più tirarmi indietro. Ho aggiunto, con tono ancora più spavaldo: «E non sapete che cosa vi perdete a non avere anche me nel vostro gruppo!» «Bla bla bla» ha fatto Jason. «Non ci interessano le tue chiacchiere!» «Già, a noi interessano i fatti» ha detto Francesca. «Mettiamolo alla prova» ha detto Pamuk. «Sì, mettetemi alla prova» ho detto io. Tornando in classe (era suonata la campanella della fine dell’intervallo) Francesca mi ha sibilato: «Tra due ore saprai che cosa devi fare, Simone cuor di leone!» Mi guardava come un serpente che sta per mangiare un topolino. Le due ore di matematica, che è la mia seconda materia preferita, non passavano mai. Di solito intervengo un sacco, ma di solito non mi frullano per la testa pensieri come: “Se mi chiedono di fare una cosa pericolosa, li mando a quel paese. Anche se mi chiedono di fare una cosa stupida, tipo rubare un rotolo di carta igienica dal gabinetto degli inse-

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gnanti… E se mi chiedessero di saltare giù dalla finestra? Impossibile, siamo al terzo piano. Se lo facessi sarei pazzo, non coraggioso”. Mi venivano in mente altre prove, a dire il vero una più assurda dell’altra. A questo punto non vedevo l’ora di sapere che cosa mi aspettava. È proprio vero che l’attesa è peggio della prova, come mi dice mia nonna quando mi vede preoccupato il pomeriggio prima di una verifica. La risposta mi è arrivata in mensa. Infatti la prova di coraggio c’entrava proprio con la mensa. «Devi mangiare tutto quello che c’è nel menu» mi annuncia Pamuk. “Non mi è andata troppo male” penso, “oggi c’è la pizza al prosciutto”. «Ma proprio tutto!» precisa Francesca. “Accidenti, dopo la pizza al prosciutto passano sempre con l’insalata”. «Per una settimana» aggiunge Luca. Che perfidi! Lo sanno tutti che in mensa si mangia malissimo. Praticamente metà dei piatti tornano indietro intatti e metà dell’altra metà rimane mezza piena. Insomma, solo un quarto del cibo che arriva in tavola viene mangiato. Fatta eccezione per un paio di mangioni per classe che sbafano tutto, gli altri cincischiano, piluccano, assaggiano…

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Veramente dovrei dire: cincischiamo, pilucchiamo, assaggiamo… Sì, i cinque avevano scelto una prova davvero difficile. Dopo due giorni avevo deciso di lasciar perdere. Avevo già ingollato, oltre al trancio di pizza e all’insalata, una fettona di polenta con lo spezzatino. Con tutti quei pezzi di carne un po’ duri e un po’ mollicci… Era troppo. Mi ero già avvicinato ai cinque per comunicare che mollavo, quando il sorrisetto sulla faccia di Luca mi fece cambiare idea. Non gli avrei dato quella soddisfazione, a costo di mangiare non uno, ma due piatti di minestrina con il prezzemolo. Perché quello prevedeva il menu del terzo giorno: minestrina con prezzemolo e frittata. La frittata in realtà la trovai buona; la minestrina non lo so, perché la ingoiai tappandomi il naso e se tieni il naso chiuso non senti i sapori, come quando hai il raffreddore. Anche il budino al cioccolato era buono, solo un po’ molliccio. Quella fu una piacevole scoperta, perché io prima non lo avevo mai nemmeno voluto assaggiare. Lo lasciavo lì, intatto; invece molti miei compagni si divertono a bucare il coperchio della confezione con la forchetta per sentire il rumore

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che fa, che è come un piccolo scoppio. Il giorno dopo c’erano i bastoncini di pesce impanati, che non sono male, e la mela. A turno, uno dei cinque mi controllava perché in mensa, con la confusione che c’è, è facile far sparire qualcosa e dire che l’hai mangiata.

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Alcuni miei compagni ad esempio fanno finta di trafficare con coltello e forchetta e poi passano un po’ del loro cibo dentro il piatto di qualcuno che ha finito tutto e così possono dire di averne mangiato almeno metà, e li lasciano in pace. Ammetto di aver provato a fare il furbo con il pane del secondo giorno, ma Francesca mi aveva beccato. «È buono! Almeno assaggialo!» mi aveva detto imitando la signora della mensa. Non mi aveva tolto gli occhi di dosso fino a quando anche l’ultima briciola non era sparita dentro la mia bocca. «Ti è piaciuto?» «Sì, davvero buono» avevo risposto, ed ero sincero: mi era proprio piaciuto. «Cinque giorni. Cinque menu. Tutto spazzolato. Bravo!» esclamò Silvio dandomi una pacca sulla spalla. Mentre mi faceva i complimenti, sorrideva in un modo che non prometteva niente di buono. «Però ha cercato di fare il furbo qualche volta! » si intromise Jason. «Allora non vale. La prova raddoppia» decise Luca ridacchiando. «Non vale lo dico io» sbottai. «Non si cambiano le regole a gioco incominciato!» «C’è una sola regola: noi comandiamo e tu fai come diciamo noi. Chiaro?» strillò Pamuk.

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Che regola del cavolo. Mi stava passando la voglia di entrare nel loro gruppo, però mi dissi che in fondo cinque giorni (di sabato e domenica non c’è lezione, per fortuna!) non erano tanti e che altri cinque menu avrei potuto sopportarli. Non sto a elencare tutti i cibi che trovai nel piatto. Ogni volta restituii quel piatto vuoto e, in qualche occasione, perfino ripassato con il pane per raccogliere il sughetto. L’unico osso duro furono le carote, che in sé non erano affatto dure, ma così mollicce che mi sembrava di mangiare lumache. «Visto che ormai ci hai preso gusto» mi disse Jason a nome del gruppo, «la prova continua per un altro mese». A quel punto però mi ero davvero stufato. Non del cibo della mensa, che non era poi così male, ma dell’arroganza di quei cinque. Mi chiedevo come avevo potuto desiderare di diventare loro amico. «Rinuncio. Comunque, grazie. Mi avete dato l’occasione di fare delle scoperte interessanti» dissi e li lasciai lì a bocca aperta. Il giorno dopo io, la mia compagna di banco Gisella e altri tre o quattro abbiamo creato un gruppo tutto nostro. Ci facciamo chiamare GLI AUDACI e la nostra audacia consiste nel mangiare tutto quel

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che propone il menu della mensa. Il bis non è obbligatorio, però alza il punteggio. In mensa ormai siamo famosi! L’altro giorno, tornando dal bagno, ho notato un piccoletto di prima che cincischiava con aria schifata dentro il suo piatto. Mi sono avvicinato e gli ho sussurrato, con aria da tosto: «Io quella roba lì riesco a ingoiarla tutta, è così che si diventa grandi!» L’ho lasciato che fissava il piatto con aria decisa, impugnando il cucchiaio come un’arma pronta a colpire. Chissà chi avrà vinto la battaglia? Il piccoletto o la brodaglia?

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Tanto lavoro… sprecato!

Che cosa prevede oggi il menu della mensa scolastica? Come contorno: patate al forno. Buone! È un cibo semplice, eppure ha alle spalle una lunga strada e tanto lavoro.

Tutto comincia con il viaggio di Cristoforo Colombo, che scopre l’America e porta in Europa anche nuovi frutti e ortaggi, tra cui appunto la patata. Per un paio di secoli nessuno si azzarda a mangiarla; viene coltivata per i maiali!

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Poi qualcuno (il francese Parmentier) la studia ben bene e scopre che è buona e nutriente, così vengono selezionate varietà sempre migliori. Dentro una patata quindi c’è, in un certo senso, anche l’impegno e l’intelligenza di tanta gente.


Arriviamo a oggi e seguiamo ora la vita di questa patata selezionata. La patata viene piantata e dopo un po’ mette radici e foglie. Qualche insetto le mangerebbe volentieri, tanto sono tenere e appetitose, ma il contadino lo tiene lontano con prodotti appositi. Il contadino irrora anche il campo con dei disinfettanti, così le piantine non si ammalano, arricchisce il terreno con concimi e irriga il campo se non piove a sufficienza. Intanto la terra nutre e protegge le patatine neonate, spuntate da quel germoglio iniziale mentre il sole regala loro il suo calore. Quando le patate sono grosse e mature, il contadino le raccoglie e le carica sul camion fino a un grande magazzino dove vengono ripulite, insacchettate e distribuite. Alla patata che hai nel piatto è toccato in sorte di essere lavata, sbucciata (provvede una macchina sofisticata), cotta brevemente in acqua e poi di nuovo in forno, con aggiunta di sale e aromi (riconosci certamente il profumo del rosmarino) e olio o altri condimenti. La osservi, la spingi qua e là per il piatto con la forchetta. Non l’assaggi nemmeno. Qualcuno del personale passa a ritirare il tuo piatto intatto. La patata finirà nella spazzatura. Ti rendi conto di che cosa hai sprecato?

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Stop al cibo sprecato. Ora c’è il food sharing In Germania esiste una piattaforma Web per mettere in rete il cibo che non si riesce a consumare. Basta buttare il cibo nella spazzatura! Dalla Germania arriva l’ultima iniziativa salva-sprechi. Promotori: un gruppo di persone che ha dato vita a un’associazione socialmente utile per aiutare la lotta contro gli sprechi alimentari. Si chiama Foodsharing e serve per lo scambio gratuito di tutti quei cibi che, in eccesso o non più graditi, correrebbero il rischio di finire in pattumiera senza neppure averli toccati. È quello che accade ogni anno a 90 milioni di tonnellate di alimenti in Europa, 11 milioni nella sola Germania, che spreca cibo per 22 miliardi di euro: 235 a persona!

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Foodsharing funziona così: chi ha in casa un alimento che sa di non riuscire a consumare (quante volte accade dopo una cena o al momento di svuotare il frigo prima delle vacanze?) può metterlo in vetrina, sul sito, indicando la sua data di scadenza e il termine entro il quale potrà essere prelevato da chi abbia interesse a ritirarlo o consumarlo.

baSe si cerca qualcosa, consta andare sul sito e che trollare tra i prodotti are. la gente vuole scambi

Alla base c’è un rigidissimo decalogo che si può sintetizzare in una sola frase: non dare agli altri quello che tu non mangeresti.

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1. Alizé contro Perfidia Mariagrazia Bertarini 2. Rosso Rosso. Clic! Stampato maiuscolo Emanuela Orlandini Storie per crescere 3. Tommy, il pesce ciclista Elisa Prati 4. Carletto rock con Audio CD Mariagrazia Bertarini Musiche di Daniele Cosenza 5. Re e Regine Stampato maiuscolo Valentina Falanga 6. Derby giurassico Stampato maiuscolo Mauro Colombo 7. Lo Scacciapaura Elisa Prati 8. I musicanti di Brema con Audio CD Mariagrazia Bertarini Musiche di Paolo Iotti 9. Mistero alla fattoria Giallogirasole Stampato maiuscolo con caratteri ad alta leggibilità audio disponibile sul sito Maria Giuliana Saletta

10. Super Ugo Alessia Zucchi 11. Strady con Audio CD Federica Castriota Musiche di Paolo Iotti 12. Magicalia e Fantalucio Laura Novello 13. Hansel e Gretel Mariagrazia Bertarini 14. Buon Natale! Stampato maiuscolo e minuscolo Maria Giuliana Saletta 15. Un tipo speciale Alessia Zucchi 16. Una tartaruga extra large Stampato maiuscolo Fulvia Degl’Innocenti 17. Il topino che voleva leggere Stampato maiuscolo Giorgia Cozza 18. Voglio un cane! Stampato maiuscolo Roberto Monti 19. Fiabe Classiche Stampato maiuscolo e minuscolo Mariagrazia Bertarini, Valentina Falanga

1. Viaggio al centro della Terra Gianluca Agnello 2. Dieci milioni di giorni fa Giorgio Di Vita 3. Pizza, pidocchi e un genio nell’astuccio Maria Vago 4. In diretta dalla savana Annalisa Molaschi

5. Tre sirene e un pirata Elisa Prati 6. Alla ricerca della memoria perduta con Audio CD Giancarlo Oliani Musiche di Paolo Iotti 7. Storie con i fiocchi M. Bertarini, M. Martini Raccasi, D. Mecenero, M. Vago, G. Di Vita

Serie verde

20. Il gufetto che voleva contare Stampato maiuscolo Giorgia Cozza 21. Vestiti a pennello Stampato maiuscolo Roberto Monti 22. Una famiglia strana Stampato maiuscolo Francesco Matteuzzi 23. La panchina degli amici Mirko Montini 24. Il Divoratutto Federica Nuccio, Roberta Vottero 25. Quelli del piano di sopra Teo Benedetti, Roberto Irace

Serie gialla

8. Tanti auguri! Maria Vago 9. Un regalo dal bosco Maria Giuliana Saletta


10. Che spasso la montagna! Annamaria Parravicini 11. Il risveglio della mummia Con caratteri ad alta leggibilità Audio disponibile sul sito Mariagrazia Bertarini 12. Storie dalla preistoria Maria Vago 13. Il libro della giungla Elisa Prati 14. Gulliver a Lilliput Con caratteri ad alta leggibilità Audio disponibile sul sito Gianluca Agnello 15. Il giornalino di Luca Francesco Matteuzzi 16. Emergenza lombrichi Laura Novello 17. Fiabe al rovescio Alessia Faltoni

18. Ma quanto sei cresciuto? Francesco Matteuzzi, Andrea Antonazzo 19. Torno Topodomani Carmine Spera 20. Robin Hood Francesco Matteuzzi 21. Storie Sconclusionate Con caratteri ad alta leggibilità Audio disponibile sul sito Gianfranco Liori, Alberto Melis 22. Storie Classiche Mariagrazia Bertarini, Valentina Falanga 23. Il mondo perduto Gianluca Agnello, Valentina Falanga 24. La forchetta volante Tiziana Bruno

1. Sissi e il concorso di Miss Nuvolabuia Mariagrazia Bertarini 2. Re Artù, il cuore e la spada Analisa Casali 3. Lo SmontaBulli anche con DVD Diego Mecenero 4. TomTom e il Re Scorpione Mauro Martini Raccasi 5. Venet, vidi, bici Luca Cognolato 6. Amore e Psiche con Audio CD Giorgio Di Vita Musiche di Paolo Iotti

7. Alè-oo! La vittoria più bella anche con DVD Mauro Colombo 8. TomTom e i predoni Vichinghi Mauro Martini Raccasi 9. I viaggi di Ulisse Gianluca Agnello 10. L’isola del tesoro Claudio Riva 11. Il segreto di Nicola Giorgio Di Vita 12. Il mistero del tortellino mannaro Mauro Martini Raccasi 13. Zanna Bianca Gianluca Agnello

Serie gialla

25. Scuola di mostri Francesco Matteuzzi, Andrea Antonazzo 26. Leonardo Elisa Prati 27. Andrea Maria Giuliana Saletta 28. La cometa Roberto Melchiorre 29. Sulle tracce di Dante Gianluca Agnello, Valentina Falanga 30. I pirati di Marecupo Marco Daeron Ventura

Serie arancione

14. Mai più! M. Maggi, F. Matteuzzi, M. Bertarini, M.G. Saletta 15. A tutto sport! M.Colombo, S. Colombo, G. Caldara 16. Tre spie per un imperatore Francesco Matteuzzi 17. Tutti a bordo! Analisa Casali


18. Il segreto del mantello blu Diego Mecenero 19. Le frittelle di Pericle Roberto Melchiorre 20. Renzo e Lucia Valentina Falanga 21. Il tesoro del castello Micaela Di Trani 22. Che bello un mondo diritto! Con caratteri ad alta leggibilità Audio disponibile sul sito Matilde Guastaferro 23. L’avventuroso Enea Gianluca Agnello 24. Il Corsaro Nero Laura Novello

25. Canto di Natale Valentina Falanga 26. Il furioso Achille Gianluca Agnello 27. Il diario di Anna Frank Maria Giuliana Saletta 28. Vacanze toscane Monica Baccelli 29. Frankenstein Roberto Melchiorre 30. Non parlo più Con caratteri ad alta leggibilità Audio disponibile sul sito Sabrina Mengoni 31. Il segreto del faraone Mariagrazia Bertarini

1. 150 candeline Mariagrazia Bertarini L’unità d’Italia 2. Il mondo a cinque cerchi Mariagrazia Bertarini Le Olimpiadi

3. Abbasso lo spreco! Maria Vago Lo spreco alimentare 4. INforma ragazzi Francesco Matteuzzi Roberto Melchiorre Sport e vita sana

1. Ventimila leghe sotto i mari Mauro Martini Raccasi 2. Sherlock Holmes Mauro Martini Raccasi

3. Il gatto della tramvia Elisa Prati 4. Carlo Urbani  Una vita per gli altri Ilenia Severini

Serie arancione

32. Il mistero del Topkapi Mariagrazia Bertarini 33. Alla scuola del mare Maria Vago 34. Diario di un giovane rocker Alessandra Stanga

Serie oro

Serie rossa


La collana L’albero dei libri vuole proporre ai ragazzi della Scuola Primaria racconti e romanzi che rispettino i loro gusti e la loro graduale capacità di leggere e comprendere una storia, sia dal punto di vista linguistico che dal punto di vista tematico. Racconti e fiabe in stampato maiuscolo o minuscolo per imparare a leggere da soli. Storie per scoprire il piacere di un avvincente gioco lungo un libro. Avventure fantastiche e realistiche per ragazzi che già leggono da soli. Libri per scoprire il piacere di viaggiare con la mente seguendo un filo d’inchiostro. Romanzi e storie per lettori esperti. Libri per esplorare per filo e per sogno il mondo dentro e intorno a noi.

Maria Vago Laureata in Pedagogia, è appassionata di letteratura per ragazzi. Dopo dieci anni di insegnamento e dieci di giornalismo, ora si dedica alla scrittura. Maria ha scritto anche Pizza, pidocchi e un genio nell’astuccio, Storie dalla preistoria, Tanti auguri!

A ciascun colore corrisponde un livello di difficoltà sia linguistica che tematica. Ogni libro accompagna i ragazzi lungo un progressivo apprendimento delle tecniche di lettura attraverso argomenti che rispondono al loro gusto. Storie per crescere Storie che nascono da argomenti quotidiani e raccontano in modo fantastico o reale i problemi dei ragazzi di oggi. La macchina del tempo Vicende ambientate nel passato, per vivere avventure a contatto con la nostra storia. Classici Avventure sempreverdi che contribuiscono alla crescita culturale e individuale di ogni ragazzo. Cartoline Avventure in cui il paesaggio diventa uno dei protagonisti per stimolare i ragazzi a conoscere il mondo in cui viviamo. Artè Storie che hanno come filo conduttore l’arte in tutte le sue manifestazioni, dalla pittura alla musica al teatro.

Francesca Galmozzi Diplomata in Illustrazione presso L’Istituto Europeo di Design, si occupa di illustrazione pubblicitaria. Collabora con periodici femminili e per ragazzi anche come autrice. Francesca ha illustrato Lo SmontaBulli e Alèoò-La vittoria più bella.


Storie per crescere

Abbasso lo spreco! Maria Vago

Un quarto del cibo che viene coltivato nei campi e nelle serre, che troviamo al supermercato e ci passa tra le mani o dentro il piatto finisce nella spazzatura. Eppure milioni di persone non mangiano a sufficienza non solo in Paesi lontani, ma anche nelle nostre città. Lo spreco alimentare non ci può lasciare indifferenti. Cinque simpatici racconti accompagnati da molte informazioni, suggerimenti, esempi di iniziative offrono lo spunto per riflettere sul problema, diventarne consapevoli e anche scoprire quel che si può fare per cambiare le cose.

www.alberodeilibri.com www.gruppoeli.it

Complemento gratuito allegato a ESTATE TUTTO L’ANNO.


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