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RASSEGNA STAMPA DICEMBRE 2020
PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI DICEMBRE:
LE DIMISSIONI DEL DIRETTORE DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO ....................................................... 3 APERTURA STAGIONE SCIISTICA: PROSPETTIVE E ALTERNATIVE ................................................................ 11 LAPBOOK: EDUCARE CON LE DOLOMITI ........................................................................................................ 24 MONDIALI 2021 E OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................... 25 COLLEGAMENTO FUNIVIARIO SAN MARTINO – PASSO ROLLE ...................................................................... 26 PIANO EURAC PER LA PROVINCIA DI BELLUNO ............................................................................................. 28 TRENO DELLE DOLOMITI ................................................................................................................................. 31 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 32 VALANGA AL RIFUGIO PIAN DEI FIACCONI ..................................................................................................... 35 NOTIZIE DAI PARCHI ........................................................................................................................................ 37 NOTIZIE DAI CLUB ALPINI ITALIANI ................................................................................................................. 38
LE DIMISSIONI DEL DIRETTORE DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO L’Adige | 10 Dicembre 2020
p. 21 Dolomiti UNESCO senza guida leonardo pontalti La Fondazione Dolomiti Unesco perde la sua direttrice. Marcella Morandini ha presentato le proprie dimissioni e dal febbraio del 2021 assumerà un nuovo incarico in Provincia a Bolzano. Una decisione figlia non di dissapori o difficoltà legate alla Fondazione, ma a scelte professionali e personali di Morandini, come lei stessa ha spiegato: «Bolzano è la città dove vivo ed ho deciso di cogliere questa nuova possibilità. Lavorerò all'assessorato all'urbanistica e tutela del paesaggio guidato da Maria Magdalena Hochgruber Künzer, curando i rapporti con il governo e le altre realtà istituzionali». Marcella Morandini, 42 anni, fiemmese, era stata nominata alla direzione della Fondazione Dolomiti Unesco nell'ottobre del 2013 assumendo l'incarico a partire dal 2014. Dopo il primo e il secondo mandato, entrambi triennali, nel 2019 era stata riconfermata fino al 2022. Non un addio polemico dunque? «Lo posso assicurare. Vivo a Bolzano e ho colto la possibilità di poter lavorare in città anche per i risvolti positivi che questo può comportare per la mia vita personale. Una decisione presa serenamente, per affrontare una nuova sfida professionale dopo sette anni meravigliosi». Il momento dei saluti è anche quello dei bilanci. Il suo è positivo, ci pare di capire.
«Molto. Non sono stati anni facili, ma entusiasmanti, quello senza dubbio. L'ho scritto anche nella lettera con cui ho accompagnato le mie dimissioni: questi sette anni hanno rappresentato un'esperienza molto intensa e gratificante. A febbraio lascerò una realtà profondamente diversa da quella in cui ero arrivata nel 2013. Forte di una struttura più solida, di un gruppo di lavoro affiatato, giovane e dinamico e forte dell'appoggio convinto delle amministrazioni». In cosa dovrà migliorare, la Fondazione del dopo-Morandini? «Al di là della mia presenza, credo che in futuro sempre più si dovrà lavorare per far capire all'esterno cosa sia la Fondazione, cosa significhi per dei territori essere un bene patrimonio Unesco. In troppi ancora sono convinti che si tratti solo di un qualcosa attraverso cui monetizzare o, dall'altro, che si tratti solo di un qualcosa di poco concreto dal punto di vista della tutela ambientale». E invece? «Invece il nostro lavoro e di chi verrà deve puntare a far comprendere innanzitutto come sia un qualcosa di importante e straordinario vivere in luoghi considerati un bene di tutta l'umanità. E far comprendere anche come il lavoro della Fondazione sia delicato e si concretizzi proprio nel costante sforzo per garantire un equilibrio tra sviluppo e tutela, tra capacità di questi luoghi di garantire sussistenza a chi ha la fortuna di viverci e lavorarci e la necessità di preservarli». Marcella Morandini è stata ringraziata dal presidente della Fondazione, il vicepresidente della Provincia di Trento Mario Tonina, che ora assieme al Cda appronterà a breve il bando di concorso per la prossima figura di direttore: «La settimana prossima fisseremo una videoconferenza, i tempi sono stretti perché entro febbraio dobbiamo avere un nuovo nome. Ringrazio nel frattempo la direttrice Morandini: ha contribuito, in modo decisivo, a rendere la Fondazione Dolomiti Unesco un modello a livello internazionale».
Trentino | 10 Dicembre 2020
p. 19 Fondazione Dolomiti Unesco, lascia la direttrice Morandini Trento «Ho rassegnato le mie dimissioni al presidente della Fondazione Dolomiti Unesco. Sono passati più di sette anni da quando vinsi il concorso che mi avrebbe portata a vivere un'esperienza molto intensa e gratificante. Inizierò con impegno ed entusiasmo una nuova sfida professionale, conservando sempre la gratitudine per chi ha avuto fiducia in me e portandomi nel cuore questi indimenticabili
sette anni ». Inizia così la nota con cui Marcella Morandini, ha comunicato al Presidente della Fondazione Mario Tonina le sue dimissioni dall'incarico di direttore. «Certamente - ha poi scritto Morandini - c'è ancora molta strada da percorrere per fare in mondo che tutti comprendano il senso del riconoscimento Unesco, la responsabilità che ne deriva e le reali funzioni e potenzialità della Fondazione. Questo è, come è normale che sia, un processo culturale in continuo divenire che chi verrà dopo di me avrà il compito di continuare a facilitare e stimolare». «Ho appreso la notizia delle dimissioni con grande dispiacere. Verrà a mancare l'apporto professionale di chi ha contribuito, in modo decisivo, a rendere la Fondazione Dolomiti Unesco un modello a livello internazionale per la gestione di un Sito Patrimonio Mondiale», ha commenta Mario Tonina. Toni diversi, ma non mancano i ringraziamenti, anche da parte di Luigi Casanova, che fino a maggio 2020 è stato rappresentante di Cipra in seno alla Fondazione.«Certo, fra noi ambientalisti e la direttrice vi è stato conflitto - esordisce Casanova - Non poteva essere diversamente. Il nostro ruolo è quello di tutelare l'ambiente: questo ruolo deve essere svolto con rispetto verso chi pensa diversamente e con competenza, tecnica e scientifica, ma senza cedere su questioni cardine. Nel difendere la Fondazione la signora Morandini verso di noi è stata severa, meritavamo, ne sono certo, ben altre attenzioni. Noi le abbiamo sempre riconosciuto l'importante e delicato ruolo che ha svolto nella Fondazione, anche quando critici come nel piano propositivo. Se il piano di gestione nella sua definizione è stato costruito attraverso un metodo basato sulla ampia partecipazione il merito va ascritto a Morandini e a chi in quel ruolo l'aveva preceduta, Paola Matonti. Purtroppo - prosegue Casanova - tale lavoro non ha trovato realizzazione pratica: la Fondazione è arenata in un immobilismo che deve preoccupare. Le Dolomiti meritano ben altre attenzioni che non quelle di vedere definiti ulteriori inconcepibili collegamenti sciistici e imposizione di infrastrutture sempre più pesanti, accettare lo svolgimento di manifestazioni motoristiche sul territorio, abbandonare la cura del paesaggio e conclude la nota ambientalista - delle foreste».
Alto Adige | 10 Dicembre 2020 p. 19
Corriere delle Alpi | 10 Dicembre 2020
p. 22, segue dalla prima Morandini saluta le Dolomiti Unesco «La parola d'ordine è sostenibilità» Francesco Dal Mas Cortina «Le mie sono dimissioni? "Fisiologiche", per come è strutturata la Fondazione Dolomiti Unesco. Lo statuto prevede che l'incarico di direttore sia triennale. Senza la possibilità di costruire la continuità di cui sento il bisogno, dopo sette anni ho deciso di cogliere una bella opportunità che mi è stata offerta, dopo averne rifiutate altre. Le Olimpiadi sono ancora lontane, ma spero davvero che possano essere un'occasione per dimostrare al mondo che possono essere organizzati grandi eventi limitando l'impatto sul territorio e costruendo un futuro di vera sostenibilità e abitabilità per la montagna. Ci credo ancora, spero che anche a livello politico seguano decisioni innovative, lungimiranti, dirompenti rispetto alla tradizione consolidata e coerenti con la linea della sostenibilità scelta come distintiva in fase di candidatura. È un treno che si prende o si perde».Marcella Morandini, dopo sette anni, lascia la direzione della Fondazione Dolomiti Unesco.Quali sono state le opportunità di questi anni?«Oggi le Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco sono un apprezzato esempio di gestione a livello internazionale, non a caso scelto da Iucn come uno dei sette siti pilota al mondo (su 1121)». Quali, invece, le difficoltà?«Riuscire a far comprendere agli abitanti delle Dolomiti il significato autentico del riconoscimento Unesco. Ancora troppo spesso è banalizzato in un marchio per la promozione turistica. Dovrebbe essere invece l'occasione per ri-conoscersi e cambiare marcia».Come è riuscita a consolidare la sede di Cortina?«Il Segretariato di Cortina può ora contare su cinque dipendenti giovani, altamente qualificati e molto motivati, un budget triplicato rispetto a quello del 2013 e la prospettiva di trasferirsi a breve nella nuova sede in località Acquabona, grazie al supporto del Comune e Anas. Ai "ragazzi" va la mia profonda gratitudine e riconoscenza per questi anni vissuti fianco a fianco».Lei è una sincera ambientalista. L'hanno amareggiata le critiche di quelli che ritengo consideri i suoi amici, appunto gli ambientalisti? «Non amo le definizioni, ho una sensibilità ambientale. Mi interessa contribuire a mantenere la
montagna diffusamente abitata, nel rispetto della millenaria civiltà alpina. Mi affascina di più la saggezza e la grande portata innovativa della gestione delle regole alpine che l'autoritarismo ideologico a matrice urbana di chi vorrebbe calare sulle Alpi una campana di vetro. Mi piace parlare di conservazione attiva e di sviluppo contemporaneo che sappia da un lato cogliere le opportunità del ventunesimo secolo e dall'altro valorizzare la specificità e unicità delle Alpi e delle Dolomiti in particolare».Adesso può dire che cosa pensa dei collegamenti sciistici tra un hub e l'altro: la pandemia non sta mettendo in crisi le grandi opportunità di assembramento?«Sono preoccupata per i nuovi collegamenti Cortina-Arabba e Cortina-Alleghe. Credo, come ho avuto più volte modo di dire, che occorra da un lato valutare attentamente, con onestà intellettuale e con trasparenza, gli impatti sul Patrimonio Mondiale anche a livello paesaggistico. Le scelte di un territorio hanno ripercussioni su tutti gli altri: se il riconoscimento viene meno, viene meno per tutti. Dall'altro occorre anche superare l'opposizione ideologica infrastrutture si/infrastrutture no per ragionare invece sul come».Si sostiene che i collegamenti potrebbero essere utili alla mobilità.«Non è vero che gli impianti di risalita sono automaticamente al servizio della mobilità sostenibile. Se progettati a livello interregionale all'interno di un piano di sviluppo concertato possono costituire una modalità alternativa per muoversi tra le valli dolomitiche. Ma occorre progettarli perché siano accessibili a tutti, disabili compresi, aperti tutto l'anno, disponibili a prezzi socialmente accessibili a tutti. Parallelamente occorre implementare misure coerenti per la gestione del traffico motorizzato sui passi. Un modello come questo sarebbe apprezzato anche da Unesco. Mi sembra però ancora prevalere l'approccio del "ma anche": nuovi impianti ma anche mobilità libera sui passi».L'ha sorpresa il fatto che siano stati gli impiantisti a fare meno polemiche per la chiusura delle piste? Sta maturando una nuova coscienza, a quanto pare.«È un segnale incoraggiante, nella consapevolezza di cosa significa l'economia dello sci per chi abita in montagna».Altri siti Unesco, anche vicini, stanno immaginando e progettando chissà quali arrivi turistici. I limiti che proprio la sua gestione ha cercato, seppur con tanta fatica, per le Tre Cime e Braies stanno a dire che una Fondazione Unesco dovrebbe puntare concretamente alla sostenibilità.«Purtroppo il turismo di massa senza regole, come vediamo dai dati e dagli studi, squalifica le destinazioni e la qualità percepita della visita. Risultato: i turisti non tornano, la destinazione "si consuma". È questo quello che vogliamo per le Dolomiti?». --
Corriere delle Alpi | 10 Dicembre 2020 p. 22 Tonina: «Sempre in prima linea nella tutela del sito» BELLUNO «Ho appreso la notizia delle dimissioni della dottoressa Morandini con grande dispiacere. Verrà a mancare l'apporto professionale di chi ha contribuito, in modo decisivo, a rendere la Fondazione Dolomiti Unesco un modello a livello internazionale per la gestione di un Sito Patrimonio Mondiale».Parole dell'attuale presidente della Fondazione Dolomiti Unesco Mario Tonina, che poi aggiunge: «Sono certo di interpretare il parere di tutti i membri che compongono il consiglio di amministrazione nell'esprimere questa certezza: quello che non verrà mai meno è il risultato del lavoro svolto in questi anni dalla Morandini per costruire, insieme alle comunità locali, una gestione del patrimonio dolomitico attiva, rispettosa delle differenze e al tempo stesso tesa a superarle, per raggiungere insieme l'obiettivo della conservazione attiva del patrimonio stesso». Anche per gli ambientalisti «non vi è dubbio alcuno che la Fondazione Dolomiti Unesco, con questo abbandono, venga a perdere l'apporto di una persona preparata, forte di competenze specifiche nel tema della tutela della natura e del rispetto delle istituzioni». Lo riconosce Gigi Casanova, di Mountain Wilderness, che all'interno della fondazione rappresenta Cipra Italia. «Certo, fra noi ambientalisti e la direttrice vi è stato conflitto. Non poteva essere diversamente. Il nostro ruolo è quello di tutelare l'ambiente: questo ruolo deve essere svolto con rispetto verso chi pensa diversamente e con competenza, tecnica e scientifica, ma senza cedere su questioni cardine. Nel difendere il ruolo e l'operato della Fondazione, la signora Morandini verso di noi è stata severa, meritavamo, ne sono certo, ben altre attenzioni. Noi le abbiamo sempre riconosciuto l'importante e delicato ruolo che ha svolto nella fondazione, anche quando critici come nel piano propositivo».Se il piano di gestione nella sua definizione è stato costruito attraverso un metodo basato sulla ampia partecipazione «il merito», ammette Casanova, «va ascritto alla stessa Morandini e a chi in quel ruolo l'aveva preceduta, ovvero Paola Matonti. Ma, purtroppo questo lavoro non ha trovato realizzazione pratica: la Fondazione è arenata in un immobilismo che deve preoccupare». «Mountain Wilderness», sottolinea Casanova, «è stata costretta a uscire dal collegio dei soci sostenitori: non è costume della associazione rimanere affogata in un pantano. Tale sofferto abbandono è dovuto a una classe politica, specialmente veneta e altotesina, incapace di condividere, di diffondere solidarietà, di avere visione sulla gestione di un ambiente tanto delicato e fragile».Irma Visalli, che ricopriva il ruolo di assessore provinciale all'ambiente nell'amministrazione o Reolon, è stata una delle protagoniste nella promozione delle Dolomiti Unesco. Anche lei si dice triste per questo distacco. «La tua competenza», scrive Irma Visalli sulla sua pagina facebook per salutare Morandini, « e soprattutto la visione del futuro per questo enorme territorio composto da diversità da rispettare ma anche da orientare verso l'armonizzazione e la unitarietà d'intenti, ha fatto fare passi da gigante alle Dolomiti Unesco. Non basta un grazie, ma qui è l'unica parola dotata di senso. Buon tutto». --F.D.M.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 10 Dicembre 2020
p. 13, segue dalla prima Dolomiti UNESCO si dimette la direttrice
Marcella Morandini cesserà presto di dirigere la Fondazione Dolomiti Unesco; ha rassegnato ieri le proprie dimissioni, consegnate al presidente Mario Tonina. «E' stata una bellissima esperienza, umana e professionale, durata sette anni». Sarà presto emesso un bando per trovare il suo sostituto. Infine l'appello: «Va ancora capita l'importanza di essere Unesco». «E' stata una bellissima esperienza, umana e professionale, durata sette anni. Lo statuto della Fondazione non mi permette di costruire quella continuità e stabilità di cui sento il bisogno ed è arrivato, anche per questo, il momento di una scelta», commenta Morandini. «Sarò comunque in Fondazione ancora sino a metà febbraio, perché ho dato un preavviso di sessanta giorni. Poi inizierò, con impegno ed entusiasmo, una nuova sfida professionale, conservando sempre la gratitudine per chi ha avuto fiducia in me e portandomi nel cuore questi indimenticabili sette anni alla Fondazione Dolomiti Unesco». LA SODDISFAZIONE In quanto alla sostituzione, alla direzione della struttura, ci sarà da attendere: «Sarà aperto un bando, sarà fatto un concorso, come accadde nel 2013, quando io partecipai e vinsi», commenta Morandini. «Lascio, con soddisfazione, una Fondazione profondamente diversa, rispetto al 2013. Abbiamo lavorato moltissimo in questi sette anni, costruendo reti coinvolgendo comunità, dimostrando il nostro valore sul campo. La più grande soddisfazione è costituita da quello che insieme abbiamo raggiunto, lavorando in sinergia internazionale, nazionale e interregionale». Fondazione Dolomiti Unesco riunisce in un'unica struttura componenti delle cinque province, in tre regioni, che rappresentano I Monti Pallidi. Sono Belluno per il Veneto; Pordenone e Udine per il Friuli Venezia Giulia; Bolzano e Trento per il Trentino Alto Adige. La sede della Fondazione è collocata, sin dall'inizio dell'attività, nel palazzo del Comun Vecio, nel centro di Cortina, messo a disposizione dall'amministrazione comunale ampezzana. IL DECENNALE Proprio a Cortina, il 26 giugno 2019, ci furono i festeggiamenti per il decennale della Fondazione, con la presenza di tutti i territori coinvolti. La presidenza è affidata a rotazione di tre anni in tre anni, ad ogni provincia; in questo momento tocca a Trento; nel 2022 passerà a Udine. Di recente si è prospettata anche la possibilità di trovare un'altra sede, di spostare gli uffici nella vecchia casa cantoniera di Acquabona, alle porte di Cortina, lungo la statale 51 di Alemagna, con una formula di intesa fra l'azienda Anas, che ne è proprietaria; il Comune di Cortina; la Fondazione Unesco. «C'è ancora molta strada da percorrere, per fare in modo che tutti comprendano il senso del riconoscimento Unesco, la responsabilità che ne deriva e le reali funzioni e potenzialità della Fondazione. Una cosa è certa: oggi le Dolomiti Unesco sono un apprezzato esempio internazionale di gestione», conclude Morandini. Marco Dibona © riproduzione riservata
Corriere del Trentino | 10 Dicembre 2020 p. 6 Dolomiti Unesco, Morandini si dimette Dopo sette anni, Marcella Morandini lascia la direzione della Fondazione Dolomiti Unesco. «Ho rassegnato le mie dimissioni al presidente — spiega Morandini —. Inizierò con impegno ed entusiasmo una nuova sfida professionale, conservando sempre la gratitudine per chi la avuto fiducia in me e portandomi nel cuore questi indimenticabili sette anni». «Lascio una fondazione profondamente diversa rispetto al 2013 — prosegue l’ex direttrice —. La più grande soddisfazione è costituita da quello che insieme abbiamo raggiunto, lavorando in sinergia a livello internazionale, nazionale e interregionale con i colleghi di Regioni e Province che condividono il patrimonio mondiale, con il comitato tecnico e scientifico». A salutare Morandini anche il presidente della fondazione Mario Tonina: «Verrà a mancare l’apporto professionale di chi ha contribuito a rendere la fondazione un modello a livello internazionale»
Corriere del Veneto | 10 Dicembre 2020 p. 10 Morandini lascia dopo 7 anni Belluno Dopo sette anni, Marcella Morandini lascia l’incarico di direttore della Fondazione Dolomiti Unesco per un nuovo incarico alla Provincia autonoma di Bolzano. «Conserverò per sempre la gratitudine per chi ha avuto fiducia in me e portandomi nel cuore questi indimenticabili anni alla Fondazione» le parole di Morandini. «Sono dispiaciuto — afferma il presidente Mario Tonina — A Marcella la
gratitudine di tutti coloro che hanno accettato la sfida a cui siamo chiamati dal 2009: tutelare l’unicità delle Dolomiti continuando ad abitarle». (M.G.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 11 Dicembre 2020 p. 24 «L'Unesco è un'opportunità e dobbiamo fare di più» Irene Aliprandi Belluno «Possiamo e dobbiamo fare di più affinché il riconoscimento delle Dolomiti Patrimonio Unesco sia sempre di più un volano di crescita e valorizzazione del nostro territorio». Roberto Padrin, presidente della Provincia di Belluno e membro del cda della Fondazione Dolomiti Unesco si dice dispiaciuto delle dimissioni del direttore Marcella Morandini, ma coglie l'occasione per rilanciare il ruolo bellunese all'interno di questa realtà.«Le dimissioni di Morandini mi hanno stupito, non ne sapevo nulla e non me le aspettavo, ma le auguro di avere successo e soddisfazioni dal suo futuro incarico. Colgo l'occasione per ringraziarla per tutto l'ottimo lavoro svolto», afferma Padrin.In questi anni il cambiamento più rilevante è stato culturale: se all'inizio l'Unesco era percepito come un'ulteriore fonte di vincoli, oggi nessuno immagina di farne a meno. «Il riconoscimento Unesco è una grandissima opportunità per il territorio dolomitico», prosegue Padrin, «e questo anche grazie ai buoni risultati ottenuti dalla Fondazione Dolomiti Unesco».Certo, non tutto è stato semplice e le frizioni non sono mancate: «Si sono create anche alcune situazioni di difficile gestione», ricorda il presidente di Palazzo Piloni. «Penso ad esempio al Comelico e alla vicenda dell'impianto di risalita proposto da Senfter, con posizioni che potevano portare alla creazione di nuovi vincoli, ma siamo riusciti ad uscirne bene condividendo il fatto che quell'intervento non avrebbe creato un'insostenibilità ambientale e alla fine anche la parte tecnica ha accolto positivamente il progetto».Secondo Padrin, la funzione della Fondazione Unesco è soprattutto quella di: «Valorizzare gli aspetti di sostenibilità e vivibilità del territorio, obiettivi che siamo riusciti a raggiungere in questi anni, lungo una strada tracciata anche nel decennale».Ma non ci si può accontentare, anzi: «Per quanto riguarda la provincia di Belluno si può fare di più, nel senso che noi bellunesi dobbiamo sfruttare meglio le opportunità date dalla presenza dell'Unesco. Abbiamo ancora margini su cui lavorare e migliorare. Noi stessi possiamo e dobbiamo essere più propositivi all'interno della Fondazione Dolomiti Unesco che, lo ribadisco, è un'opportunità che dobbiamo imparare a cogliere sempre di più», esorta Padrin, riconoscendo che molto è stato fatto, con risultati eccellenti, ma guai fermarsi.«Marcella Morandini ha fatto un ottimo lavoro e ha costruito buoni rapporti nel consiglio di amministrazione all'interno del quale ci sono unità di intenti e ottima coesione. È lei ad aver trovato la mediazione nell'unico momento di tensione, cioè quando abbiamo adottato il marchio "Dolomiti, the mountains of Venice", che agli altri membri non è piaciuto ma alla fine hanno compreso che era un veicolo di valorizzazione e non un tentativo di escludere qualcuno. Morandini è stata molto brava a mediare e a cercare una soluzione condivisa. Lunedì ci sarà un incontro per valutare le modalità di individuazione del nuovo direttore, ma penso che un nuovo concorso sia l'unica strada percorribile», conclude Padrin. --
Corriere delle Alpi | 11 Dicembre 2020 p. 24 Visalli: «Concreta e competente ha indicato la via per il futuro» belluno Protagonista della candidatura che portò al riconoscimento Dolomiti Unesco e ancora oggi consulente nell'ambito di due progetti di rete, Irma Visalli mette in luce gli aspetti più rilevanti del lavoro di Marcella Morandini: «È una donna della montagna molto concreta, con una competenza elevatissima a livello mondiale. Era ciò che serviva alla Fondazione che è un laboratorio di alta complessità interterritoriale e lei ha favorito la costruzione della governance e delle reti che sono tanto belle sulla carta, ma l'operatività è ben altra cosa. Ha riempito di cose concrete un contenitore vuoto e ora lo spazio è delineato. È sempre stata presente ai tavoli tecnici con le Province e le Regioni senza mai disturbare la specificità di nessuno, esaltando il fatto che le Dolomiti sono un territorio senza confini».Visalli riconosce l'enorme lavoro, in particolare su due aspetti: «La concretezza e la mondializzazione dell'essere patrimonio Unesco. Ovunque, nel Mondo, il caso della Fondazione Dolomiti è citato come una delle migliori pratiche realizzate nella gestione di un bene che è anche un patrimonio forte e complesso e questo grande merito va a Marcella Morandini, che sa essere ferma e determinata».Ora il direttore uscente, che con le sue dimissioni ha lasciato tutti sorpresi: «Lascia un testimone importante a chiunque verrà dopo di lei, ma ci sono tante cose che restano, a partire da una squadra giovane e bravissima: l'ufficio Unesco ha pochi dipendenti, ma veramente eccellenti».Visalli sottolinea soprattutto il salto di qualità: «A Belluno l'Unesco era visto come vincolo o al massimo come marketing, invece è diventato un equilibrio tra i valori della conservazione e lo sviluppo economico, perché nessuna
montagna è viva se non è abitata. È lo stesso principio che seguimmo noi, con Sergio Reolon, durante la candidatura. E la montagna è abitata se è produttiva. Oggi si è capito che essere patrimonio non comporta controindicazioni. Forse dovremmo invece capire che è utile in situazioni conflittuali, cioè: non ti dico cosa devi fare, ma ti aiuto a capire come farlo. Come nel caso delle Olimpiadi, colte come opportunità positiva anche dalla Fondazione».Adesso si tratta di guardare avanti. «Spero che le radici siano così profonde che non ci possa essere nessuna Vaia», afferma Visalli. «Il cda deciderà se e come fare un bando per la selezione del nuovo direttore, ma anche qui la Morandini viene in aiuto perché con il suo lavoro ha tracciato un identikit e la scelta del successore sarà più facile ».
APERTURA STAGIONE SCIISTICA: PROSPETTIVE E ALTERNATIVE L’Adige | 1 Dicembre 2020 p. 10 Sci a Natale, si gioca un'ultima carta Il presidente trentino Maurizio Fugatti non ci spera molto ma, a differenza del collega altoatesino Arno Kompatscher, secondo il quale non ci sono i presupposti (vedi articolo sopra), e dell'orientamento che si sta rafforzando, oltre che in Germania ora anche in Austria, insiste nel sostenere la necessità di riaprire gli impianti di risalita prima di Natale, pur schermandosi dietro la postilla «solo se le condizioni sanitarie lo consentono». Eppure ormai sembra molto probabile che con lo sci da discesa ci si rivedrà solo dopo l'Epifania, secondo la linea già emersa nel Governo. Ieri lo stesso Fugatti ha dovuto ammettere che la posizione di Roma è «abbastanza chiara», ma comunque ha sostenuto l'ultimo tentativo rappresentato dal documento firmato dagli assessori al turismo delle regioni dell'arco alpino - Trentino, Alto Adige, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Valle d'Aosta a cui si è aggiunto anche l'Abruzzo - che propongono al Governo come mediazione «vacanze di Natale diverse, con la possibilità di sciare solo per chi pernotta almeno una notte nelle diverse destinazioni o per chi possiede o affitta una seconda casa nelle zone sciistiche». Gli assessori, tra cui il trentino Roberto Failoni, sottolineano che in questo modo «si sarà in grado di sapere con precisione il numero degli avventori per ogni giorno e in questo modo potremo gestire al meglio l'afflusso e il deflusso agli impianti di risalita. Si tratta di una soluzione ragionevole, da adattare alle esigenze di ciascun territorio». Naturalmente, la proposta viene accompagnata dalla richiesta di consentire a chi ha una prenotazione in albergo o si reca in una seconda casa di proprietà o in affitto di potersi spostare da regione a regione nel periodo natalizio, spostamenti che come si sa invece il Governo è orientato a vietare in particolare sotto le feste persino tra regioni gialle. L'Oms ha ribadito che «il rischio non è lo sci in sé, ma gli aeroporti, i bus, i resort, i rifugi dove le persone si riuniscono in grandi numeri. Non dovremo ridurre il problema allo sci: i governi devono considerare che ogni attività che implica grosse masse di persone che si muovono deve essere gestita con cura e con un approccio di riduzione del rischio», ha detto il capo delle emergenze dell'Oms Mike Ryan. E persino in Austria non sono più tutti così convinti che sia un bene aprire le piste a Natale. Il presidente del Consorzio dei comuni tirolesi e sindaco del centro sciistico Sölden, Ernst Schoepf ieri si è mostrato prudente: «L'inverno è lungo. Siamo solo all'inizio. Anche se partissimo solo a gennaio, avremmo ancora parecchio da fare. Per il momento né in Austria né in Germania i numeri consentono una riapertura». Ma in Trentino i focolai nelle località sciistiche e i morti del marzo scorso sembrano essere ormai un lontano ricordo, la priorità è riuscire a riaprire gli impianti, troppo importanti per l'economia provinciale, e non rassegnarsi a chiedere solo adeguati ristori. «Non è vero - ha precisato ieri infatti il presidente Fugatti - che le regioni sono d'accordo a riaprire dopo il 7 gennaio. Se c'è la possibilità sanitaria noi chiediamo di aprire prima. Qualora poi non si possa aprire allora è chiaro che chiederemo i ristori in base al fatturato della stagione invernale dell'anno scorso». Ieri i governatori hanno avuto un confronto sullo sci e su altri contenuti del prossimo Dpcm e oggi la proposta delle regioni alpine sugli impianti di risalita sarà discussa in un confronto con il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il ministro agli affari regionali, Francesco Boccia, dai quali è attesa una risposta definitiva.
L’Adige | 1 Dicembre 2020 p. 10 Gli albergatori contro il Governo
Il presidente degli albergatori trentini all'attacco del governo nazionale. A scatenare le critiche contro l'esecutivo guidato da Giuseppe Conte è stato Gianni Battaiola, presidente di Asat, nel suo intervento durante l'assemblea annuale dei rifugisti. Battaiola si è soffermato sull'inverno ormai prossimo. «Sono infastidito - ha detto - dagli attacchi del Governo nazionale nei confronti della vacanza in montagna. Quasi come se solo nei rifugi, in hotel o sulle piste ci si contagiasse. E non a fare shopping assembrati nei centri storici. Sembra che il turismo della montagna invernale sia uno sfizio di alcuni pochi turisti. E che ci si possa rinunciare. Ma ricordo che sono migliaia le assunzioni invernali ed altrettante le famiglie e le persone che vivono di turismo invernale. Non scordiamo che, poi, come accaduto per la stagione estiva, il Trentino e i suoi attori mettono la sicurezza sanitaria davanti a tutto. Nel caso di un blocco del turismo invernale, come Asat stiamo lavorando per avere ristori certi e congrui per le nostre strutture e per i dipendenti che devono essere correttamente retribuiti».Intanto il sindacato attacca l'assessore al turismo della Provincia Roberto Failoni. «L'ennesima estemporanea proposta dell'assessore al Turismo di permettere lo sci solo a chi pernotta per eliminare gli affollamenti sulle piste ha il pregio di far sorridere, magari amaramente, ma pur sempre sorridere. Al di là che con ogni probabilità i confini delle regioni resteranno chiusi, una proposta simile non aiuterebbe nessuno, tanto meno gli impiantisti ed i lavoratori che rischierebbero, in caso di aggravarsi della situazione sanitaria, di essere ingiustamente accusati di essere coloro che aumentano la diffusione del contagio. Le società funiviarie hanno annusato l'aria ed alcune hanno iniziato a richiedere l'apertura del Fondo di Solidarietà per i propri dipendenti, sapendo che di apertura se ne riparlerà a feste passate - sottolinea il segretario della Fit Cgil Stefano Montani - A gennaio si ripartirà con meno turisti e si potranno testare i protocolli sulla sicurezza, tra l'altro al riguardo vi è un avviso comune siglato dalle organizzazioni sindacali di categoria ed Anef che risale allo scorso giugno e che ha permesso di gestire in sicurezza la ripresa estiva. L'assessore in cerca di facile pubblicità la smetta di ragionare da albergatore e inizi a farlo da assessore». Corriere delle Alpi | 1 Dicembre 2020 p. 10 Le regioni alpine: «Piste aperte a Natale per chi ha casa o soggiorna in montagna» Francesco Dal Mas BELLUNO Vacanze di Natale in pista per i residenti, per chi pernotta almeno una notte nelle diverse destinazioni o per chi possiede o affitta una seconda casa. Evitando, quindi, gli spostamenti tanto temuti dal Comitato tecnico scientifico a dal Governo. È la proposta degli assessori delle regioni alpine per salvare una parte importante della stagione invernale, quella delle festività, che a Cortina rappresenta il 30% del fatturato, altrove il 50% se non il 70. Tra i firmatari della proposta anche il veneto Federico Caner. «Concedere lo skipass a chi ha pernottato in una struttura ricettiva e a chi possiede o prende in affitto una seconda casa consente di controllare al meglio l'afflusso all'impianto sciistico. Il pendolarismo può infatti essere un problema in certe giornate», spiega Caner, specificando che la soluzione proposta permetterebbe di avviare la stagione invernale con gradualità. «In questo modo si potranno applicare i protocolli di sicurezza che abbiamo approvato lunedì scorso e metterli alla prova. Se infatti consentissimo l'acquisto degli skipass solo a chi ha pernottato in una struttura ricettiva o in una seconda casa saremmo in grado di sapere con precisione il numero degli avventori per ogni giorno e in questo modo potremmo gestire al meglio l'afflusso e il deflusso agli impianti di risalita».Caner e colleghi fanno riferimento alle linee guida proposte dalle Regioni e che in questi giorni sono all'esame del Cts. Ancora ieri il coordinatore del Comitato, Agostino Miozzo, ha precisato: «Siamo preoccupati dai grandi spostamenti, la fine dell'anno tradizionalmente ha una marcata mobilità. I grandi numeri facilitano la trasmissione del virus. Il prossimo non può essere un Natale tradizionale, purtroppo».Siccome gli alberghi possono rimanere aperti e le seconde case sono raggiungibili, almeno fino al 18 dicembre (se il nuovo Dpcm non regolerà ulteriormente questo aspetto), ecco la proposta di Caner e degli altri assessori. «Si tratta di una soluzione ragionevole, da adattare alle esigenze di ciascun territorio. Il Governo ci ascolti, consenta l'apertura degli impianti di risalita con questo criterio e permetta la mobilità regionale. Permettere la mobilità regionale durante le festività è infatti un requisito necessario per il settore. Se il Comitato Tecnico Scientifico e il Governo intendono vietarla per evitare feste e momenti di aggregazione, consentano perlomeno la mobilità tra regioni per chi ha prenotato in una struttura ricettiva almeno una notte». Il presidente della Regione, Luca Zaia, che sa come a Roma e nelle altre capitali europee, Vienna compresa, si voglia rinviare l'apertura dello sci a dopo l'Epifania, definisce quella degli assessori «una clausola di salvaguardia». O, se vogliamo, il minimo sindacale. «Ben venga questo documento perché c'è interesse, ma non è la proposta della Regione Veneto per gli impianti di sci, per i quali ho avanzato un parere e aspetto ora che ci dicano cosa vogliono fare con gli assembramenti», insiste il presidente. «Non vado a parlare con il Governo», spiega Zaia, «dicendo "la misura è da qua in giù". Io la definirei come una clausola di salvaguardia. È giusto aver presentato il documento, tanto è vero che l'ho condiviso, ma non rappresenta la base dei ragionamenti della trattativa. È solo la volontà di dire "oltre questo livello non si può andare", perché ci sono anche gli alberghi, una residenzialità turistica che non può essere spenta del tutto».Il presidente di Confturismo e di Federalberghi Veneto Marco Michielli appoggia la scelta delle Regioni: «Per l'ennesima volta si dimostra che la vicinanza delle regioni alle esigenze della popolazione e dell'economia marciano a una velocità diversa da quella a cui viaggiano le istituzioni romane», afferma. «Bene hanno fatto gli assessorati di tutte le regioni alpine a unirsi per formulare una proposta che riteniamo seria e praticabile, che dia garanzie sotto il profilo sanitario consentendo contemporaneamente la sopravvivenza delle imprese». In nessun altro territorio come in quello
della montagna, «oggi come oggi, il turismo è l'unica fonte di reddito delle comunità», osserva. «Ogni sforzo per cercare di salvaguardare questo fondamentale settore dell'economia va nella direzione da noi auspicata». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 2 Dicembre 2020 p. 2 «Ciaspole, sentieri e silenzi danno più di piste e folla. Può essere un’occasione» Francesca Visentin PADOVA La montagna da vivere (e riscoprire) oltre lo sci. La conosce bene lo scrittore Matteo Righetto, che vive tra Padova e Colle Santa Lucia sulle Dolomiti e in tanti libri ha raccontato splendore e magia di boschi, vallate e vette. Una penna raffinata, che ha messo al centro la natura, il rispetto per l’ambiente e l’ecosistema da proteggere, come nel suo recente romanzo I prati dopo di noi (Feltrinelli). In questo momento di pandemia, va fermata la stagione dello sci? «La montagna non è solo sci. Io sono da sempre uno sciatore, ma non un fanatico. E in questa situazione di pandemia è giusto chiudere gli impianti. Può diventare una grande opportunità per ripensare il turismo della montagna e tutto l’indotto, puntando a un’economia diversa, a un turismo non di massa, non aggressivo verso territorio e paesaggio. Dobbiamo uscire dallo sci-centrismo, dalla mentalità playground , di montagna come parco giochi». Quali alternative allo sci offre la montagna? «C’è molto altro. Le affollate piste da sci non sono certo la parte migliore delle nostre Dolomiti. In montagna si può camminare in mezzo alla natura, ammirando il paesaggio, apprezzando il silenzio, respirando. Si può ciaspolare e ogni località offre percorsi con le ciaspole adatti a tutti, c’è lo sci da fondo, uno sport da riscoprire che porta in luoghi incantati, in solitudine, in un autentico contatto con la natura. O lo sci alpinismo, una pratica individuale meravigliosa, emozionante, per cui però bisogna essere preparati e esperti. Ci sono le passeggiate nei boschi, il forest bathing e tante vallate poco conosciute da scoprire attraverso escursioni. La flora e la fauna di montagna possono essere lo stimolo per imparare a conoscerle. Il silenzio, i rumori della natura, l’aria pulita, la lentezza e la calma: tutti aspetti da ritrovare». C’è qualche itinerario per passeggiate invernali in montagna nel Veneto che consiglia? «L’Alta Via dell’Orso a Colle Santa Lucia (Belluno) è un’escursione tra natura e letteratura, ispirata al mio romanzo La pelle dell’orso , da cui è stato tratto il film con Marco Paolini. Si snoda sulle pendici del Monte Pore, prende spunto dal viaggio che i protagonisti hanno fatto sulle tracce dell’orso, El Diàol . Il sentiero si inerpica sui paesaggi del massiccio del Pore (gruppo Nuvolau-Averau), per poi scollinare sul versante di Livinallongo del Col di Lana (Fodóm) e ricongiungersi all’antica Strada de la Vena. Poi ci sono le bellissime passeggiate tra Livinallongo e Selva di Cadore, fino al Rifugio Città di Fiume partendo dal passo Staulanza e fino a Forcella Ambizzola, uno dei luoghi più belli del mondo». Cosa deve cambiare nel concetto di «vacanza»? «Il turismo deve diventare più lento, esperienziale, curioso, cercare originalità, percorsi e sentieri unici. Deve iniziare ad esserci rispetto per l’ambiente e per la sostenibilità. Gli sciatori spesso riversano nel caos e nell’affollamento delle piste da sci gran parte dello stress accumulato in città e sul lavoro. Tanto che le liti su piste, impianti e rifugi sono all’ordine del giorno. Tutto il contrario del relax. Il turismo di massa è un problema enorme, quest’estate abbiamo visto quali sono state le conseguenze dell’assalto a mare e montagna. Credo che il turista vada rieducato. Se le persone non ci arrivano culturalmente, deve pensarci la politica, le istituzioni, il sistema turistico: serve un cambiamento strutturale e quindi anche nell’offerta. Ad esempio le Dolomiti hanno luoghi meravigliosi e incontaminati, dove si può andare nel rispetto della natura facendo un’esperienza unica. Perchè allora tutti si ammassano sempre negli stessi posti? Bellissimo il lago di Braies, ma non ha senso convogliare solo lì tutto il turismo». I suoi romanzi guidano i lettori a sviluppare conoscenza, sensibilità e passione verso la natura, il territorio, la montagna. I libri possono aiutare a cambiare abitudini e salvare il pianeta in cui viviamo? «La narrativa certo può sensibilizzare a migliorare il rapporto con l’ambiente. La difesa dell’ecosistema richiede però un’azione culturale che coinvolge più aspetti, educazione civica e ambientale, progetti didattici e culturali mirati».
Trentino | 3 Dicembre 2020 p. 35 Maturi: «Si deve riflettere sulla monocultura-sci» elena baiguera beltrami
madonna di campiglio Il Carlo Magno Hotel Spa Resort appare robusto e imponente dietro una curva della statale 239 che da Madonna di Campiglio sale verso Campo Carlo Magno. Una storica residenza alberghiera acquistata negli anni 50 dalla famiglia di Franco Maturi al rientro in patria dopo un lungo periodo di emigrazione negli USA. Oggi la struttura è quel che si definisce un "hotel di destinazione internazionale", dotato di un comparto servizi tra i più completi dell'offerta turistica provinciale, una delle poche strutture dell'arco alpino di queste dimensioni a essere rimasta saldamente in mano alla famiglia dei proprietari. Anche dal punto di vista delle dimensioni il Carlo Magno rappresenta un colosso: 145 camere, con molte suite e camere familiari a fronte di oltre 70 dipendenti. A condurlo, dopo la prematura scomparsa del marito, è Liliana Maturi, alla quale in questa situazione difficile per il turismo invernale abbiamo voluto rivolgere qualche domanda.Innanzitutto, come ha accolto la notizia di questa cancellazione totale della vacanza natalizia?«Non c'è altro da fare, dispiace per il blocco anche della mobilità tra regioni, sarebbe stata un'occasione per far conoscere una montagna diversa, senza code, assalti ai rifugi, agli impianti, meno caotica, a mio avviso, più apprezzabile, c'è moltissima gente che non scia. In ogni caso con la salute non si scherza, sono stata forse l'unica albergatrice durante la prima ondata in febbraio a telefonare all'assessore Failoni perché fermasse la stagione. Gli alberghi si sono attrezzati con investimenti per garantire la sicurezza, ma se qualcuno si contagia fuori, potrebbe portare il virus all'interno dell'albergo e allora sarebbe davvero un disastro».L'assessore Failoni ha proposto l'accesso a strutture ricettive e impianti sciistici solo con una prenotazione in albergo, o in appartamento: era una buona mediazione?«A mio avviso no, era una soluzione che si prestava a essere facilmente aggirata, ci voleva una task force di controllo imponente, forze dell'ordine a bloccare gli ingressi giorno e notte. Inoltre il furbo che tenta di aggirare i divieti c'è sempre. E poi ci sono altri problemi in questo momento, legati agli infortuni sugli sci: avremo ancora per un po' di tempo gli ospedali occupati dai pazienti Covid, se qualcuno si fa male come facciamo a garantire cure adeguate?»Saranno ingenti i danni per la sua azienda a causa di questi provvedimenti?«I danni saranno molto ingenti per tutti, ma una situazione come questa deve far riflettere sulla monocultura dello sci. Alzando lo sguardo a Madonna di Campiglio non c'è un angolo di cielo senza, funi, cavi, ponti, cantieri, le nostre montagne hanno subìto troppe aggressioni. Le emergenze ormai sono la normalità: climatiche, ambientali, economiche e la politica turistica va declinata diversificano e ampliando le stagioni della vacanza. Altrimenti sarà tutto il comparto della montagna a trovarsi in difficoltà in futuro. Pensiamoci ora, perché forse è già troppo tardi».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 3 Dicembre 2020 p. 10 L'alto rischio del "de profundis" dei monti «Data certa e indennizzi modello tedesco» Francesco Dal Mas ARABBA «Prepariamoci a recitare, domani (oggi per chi legge, ndr), il "de profundis". Di neve ne è caduta poca, speriamo nei 40 centimetri previsti domani e il resto tra sabato e domenica. Ma se fino al 10 gennaio non potremo aprire le piste e se resteranno chiusi anche gli alberghi e i ristoranti, la montagna può prepararsi davvero a celebrare il suo funerale». A raccogliere l'allarme della sua gente è Leandro Grones, sindaco di Livinallongo, oltre che albergatore. Anche ieri, peraltro, i gatti delle nevi si sono arrampicati lungo le piste deserte per battere la coltre bianca caduta. E proprio Arabba annuncia che a partire dalla vigilia dell'Immacolata, il 7 dicembre, Dpcm permettendo aprirà la seggiovia tra Campolongo e Bec de Roces, con la pista Campolongo e Rutort, ma, ben s'intende, soltanto per gli atleti e gli sciclub Fisi, ovviamente previa prenotazione. Ciò che sta facendo anche il Col Gallina, sopra Cortina: E che nei prossimi giorni farà la skiarea Falcade Pellegrino, mettendo a disposizione la "Violata" da Col Margherita.Tutti, sulle Dolomiti, sono in attesa del Dpcm che varrà dal 4 dicembre. E di quanto potranno ottenere i governatori regionali nella trattativa dell'ultimo minuto. «Non chiediamo di aprire domani mattina con 600 morti al giorno, come tanti dicono in questi giorni. Però» ha detto la presidente nazionale dell'Anef (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari), Valeria Ghezzi in un incontro promosso a Roma dalla stampa estera «la nostra attività, per le caratteristiche intrinseche degli impianti, non si apre girando una chiave e necessita di programmazione. Se ci dicono di aprire il 15 gennaio, dobbiamo saperlo almeno un mese prima per avviare la parte tecnica. Abbiamo capito che non si apre a Natale, ma abbiamo bisogno di una data certa per aprire a gennaio o di una certezza sulla non apertura, per evitare di affrontare a vuoto ulteriori spese». «Siamo in contatto con gli altri paesi europei attraverso la Fianet, la nostra associazione europea. I problemi sono gli stessi per tutti in ogni paese: la sopravvivenza delle comunità, il lavoro e gli stagionali», ha aggiunto. Renzo Minella, presidente regionale degli impiantisti, anche ieri è stato sul Pellegrino, dove i suoi sono già al lavoro. «Prepariamo le piste con la neve che il buon Dio ci manda, ancora poca per la verità. Sappiamo che non apriremo fino ai primi di gennaio. Ma ciò che ancora non sappiamo - insiste - è la certezza del ristoro, degli indennizzi».Il fatturato degli 80 impianti della regione è di 60 milioni, quello dell'indotto cuba almeno mezzo miliardo. «Perdere il primo mese di attività, comprensivo del ponte di Sant'Ambrogio e delle festività, significa vedersi tagliare un terzo del fatturato, intorno ai 170 milioni di euro. Ma in alcune località la perdita può arrivare al 50%, addirittura superarla». Quindi? «Quindi ristori a manetta, come in Germania, dove lo stato garantisce la copertura del 75% delle perdite rispetto agli introiti del
corrispondente mese dell'anno passato».Ghezzi, dal canto suo, ha ribadito a Roma, ancora una volta, i numeri che rendono questo comparto così importante per l'economia del nostro paese e di alcune regioni in particolare. «Il nostro settore fattura 1, 2 miliardi all'anno, di cui 400 milioni arrivano dal periodo natalizio. Abbiamo 15mila dipendenti, di cui 5mila a tempo indeterminato e 10mila stagionali. Per i primi ci può essere la cassa integrazione, per i secondi non c'è alcuna tutela», ha ricordato la presidente Anef. «Con l'indotto si arriva a un fatturato di 11 miliardi, con oltre 120mila dipendenti e la percentuale di stagionali aumenta fino all'80%. Parliamo di famiglie intere che lavorano nel settore e rischiano di restare senza reddito. Questo conta più dell'aspetto sportivo. Sono rimasta sbalordita dall'idea di chiudere gli alberghi, anche perché finora non sono mai stati chiusi, neanche a marzo. Non capisco perché ci sia tanto accanimento, la coda per entrare nel centro commerciale è uguale a quella che si fa per la cabinovia. Anzi, in questo caso viene fatta in maggior sicurezza, all'aria aperta. Forse» ha sottolineato Ghezzi «manca una conoscenza dell'economia della montagna, che invece le Regioni hanno mostrato di comprendere e le ringrazio per l'aiuto che ci stanno dando». Ma i ristori non sono sufficienti. L'Anef fa parte di Confustria Dolomiti e Minella rilancia le richieste presentate nei giorni scorsi dalla presidente Lorraine Berton. Dalla parziale compensazione delle riduzioni di fatturato - da calcolare sui mesi di effettiva chiusura o di limitazione dell'attività (es. novembre, dicembre, ecc.) alla moratoria sui mutui e sui leasing. Dalla riduzione del cuneo fiscale (costo del lavoro) in caso di apertura in condizioni di limitata attività (blocco dei turisti stranieri, limitazione agli spostamenti tra regioni dei turisti italiani) alla sospensione o riduzione degli adempimenti fiscali, alla garanzia del trattamento di cassa integrazione per i lavoratori fissi e l'introduzione di ammortizzatori sociali e misure di sostegno al reddito per gli stagionali. «Sono ipotesi di lavoro che però vanno subito messe in campo, se vogliamo tutelare e dare un futuro all'industria turistica delle nostre montagne» chiosa Berton. --Francesco Dal Mas
Corriere delle Alpi | 4 Dicembre 2020 p. 9 Sulle piste dal 7 gennaio: ma occorre approvare le linee guida per aprire FALCADE Si potrà tornare a sciare dal 7 gennaio. È quanto prevede il Dpcm che entrerà in vigore da oggi e sarà valido fino al 15 gennaio. «Sono chiusi gli impianti nei comprensori sciistici - vi si legge -; gli stessi possono essere utilizzati solo da parte di atleti professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale... per permettere la preparazione finalizzata allo svolgimento di competizioni sportive nazionali e internazionali o lo svolgimento di tali competizioni. Dal 7 gennaio, gli impianti sono aperti, agli sciatori amatoriali», con l'adozione delle linee guida di Regioni e Province autonome validate dal Cts. I giovani che devono allenarsi possono usufruire, al momento, delle piste del Col Gallina e Monte Croce Comelico, da domani anche di quelle sul Campolongo (Funivie Arabba), dalla fine della prossima settimana sarà attiva pure la "Volata" sul Col Margherita. Per quanto riguarda l'apertura degli impianti agli sciatori amatoriali, i presidenti di regione hanno chiesto ieri pomeriggio al presidente del Consiglio, rassicurazioni circa la tempestiva valutazione e approvazione delle linee guida da parte del Cts, (di cui alla bozza già trasmessa dalle Regioni lo scorso 23 novembre). «Lo sollecitano gli stessi impiantisti - conferma il presidente regionale dell'Anef, Renzo Minella - perché facciamo sì il sacrificio di saltare le festività e di aprire il 7 gennaio, ma vorremmo sapere a quali condizioni. Se, infatti, continueranno ad imporci il dimezzamento del trasporto negli impianti, il numero chiuso e il tracciamento nei comprensori, ciascun operatore dovrà valutare puntualmente la convenienza della riapertura». Minella si dice fiducioso, perché riscontra una sempre maggior voglia di ritornare in montagna. L'Anef, in ogni caso, fa sapere di aver tirato ieri un sospiro di sollievo, perché con la data fissata al 7 gennaio si dà quantomeno un inizio certo alla stagione sciistica e si permetterà a tutti gli operatori del settore, dagli impiantisti, ai ristoratori, agli albergatori di organizzare gli investimenti e le assunzioni per l'inverno. Ieri al passo san Pellegrino gli albergatori hanno tenuto una riunione con i responsabili degli impianti. La preoccupazione manifestata è stata notevole, anche se nell'area saranno possibili lo scialpinismi, le ciaspole, le lunghe camminate. Tra l'altro gli operatori sono preoccupati della chiusura dei confini tra regioni. --F.D.M.
Alto Adige | 6 Dicembre 2020 p. 34 «È impensabile un inverno senza lo sci» Ripartirà lo sci? Quando? Come? Si parla di far cominciare la stagione dopo le feste di Natale e l'epifania, ma questo rinvio o la temuta cancellazione dell'inverno turistico quali danni comporteranno o comporterebbero per operatori, albergatori e per tutti i lavoratori che intorno al mondo dello sci e dello sci vivono? E ancora: ha senso una proposta come quella fatta da Messner, della montagna senza lo sci? A queste e altre domande hanno cercato di dare una risposta con una diretta Facebook l'onorevole Mauro Della Barba, Stefania Gander, coordinatrice provinciale di Italia Viva, ed Ennio Chiodi nella duplice veste di giornalista e albergatore. I dati emersi in circa
un'ora di conversazione e le domande di alcuni spettatori sono allarmanti, partendo dal fatto che il turismo in Alto Adige produce il 16% del prodotto interno e che ci sono circa 10.000 imprese turistiche che danno lavoro a 27-30.000 persone. Solo durante la stagione invernale si registrano 12,5 milioni di pernottamenti, con un fatturato che si aggira sui 2 miliardi. "Sciare è sicuro, non è come andare in discoteca - ha detto Chiodi - Per salire sugli impianti con gli sci ai piedi, il distanziamento è ovvio, senza sci si entra uno alla volta. Le corse sono brevi, si possono effettuare con la metà della capienza abituale. Inoltre tutti avranno la mascherina e le finestre resteranno aperte". Al blog ha preso parte anche Paolo Cappadozzi, presidente degli impiantisti del comprensorio Val Gardena-Alpe di Siusi. "È impensabile e irrealizzabile - hanno sostenuto tutti - una stagione invernale senza impianti di risalita". Per poter sopravvivere, gli impianti ("Ormai sul filo del rasoio", è stato detto) devono poter registrare almeno la metà dei passaggi. Meno non avrebbe senso: i costi fissi sono enormi, a cominciare dall'innevamento già partito su tutte le piste, e poi il personale addetto al funzionamento, la gestione, la sicurezza. E poi c'è l'indotto: ogni euro speso in impianti si moltiplica per 8-10. Solo il Superski Dolomiti fattura 360 milioni di euro. A questo va aggiunto tutto l'indotto che va dal commercio all'edilizia, dai servizi alle persone all'artigianato. E poi le riparazioni, le assicurazioni, le officine meccaniche, i servizi alle persone, dalle cliniche ai massaggiatori e via dicendo. Come ha sottolineato Della Barba, "bisogna aprire in assoluta sicurezza. Il Governo ha a cuore la situazione di tutte le zone alpine che vivono sul turismo". Adesso non resta che attendere cosa deciderà appunto il governo.
Trentino | 10 Dicembre 2020 p. 19 Delladio agli impiantisti: un patto sullo scialpinismo andrea selva trento «Troviamo un accordo tra scialpinisti e impiantisti per l'utilizzo delle piste, a particolari condizioni, anche per la risalita con le pelli di foca». L'appello arriva da Lorenzo Delladio, titolare de La Sportiva, già protagonista del dibattito su ambiente e turismo quando tre anni fa lanciò l'idea di un "parco per l'outdoor" a passo Rolle. E ora, leggendo sui giornali, l'ennesimo capitolo che vede contrapposti i due mondi (ne abbiamo dato conto sul Trentino di ieri), rilancia un tema che gli sta a cuore: «Lo scialpinismo è un fenomeno in crescita, si tratta di una tendenza che va oltre l'emergenza sanitaria attuale e che emerge chiaramente anche dai nostri dati aziendali. C'è una domanda in crescita per questo genere di esperienza e - soprattutto in caso di assenza di neve - non vedo perché non consentire agli scialpinisti di frequentare le piste da sci, naturalmente in sicurezza, negli orari previsti dalle funivie e ovviamente pagando anche un prezzo, perché è giusto garantire una remunerazione per chi pensa all'innevamento».Quanto al fatto di aprire le piste agli scialpinisti anche ora, in emergenza Covid, con abbondante neve naturale e con i bollettini valanghe che indicano un rischio elevato di distacchi nevosi, Delladio frena: «La sicurezza prima di tutto - spiega - gli impiantisti hanno le loro ragioni, i gatti delle nevi in azione rappresentano un pericolo. Quello a cui penso io va oltre l'emergenza attuale: mi immagino piste aperte agli scialpinisti la sera, magari a turno, un giorno in un comprensorio e un giorno in un altro, con gli sciatori che salgono facendosi luce con le lampade frontali e poi - perché no? - possono essere un'occasione di reddito per i rifugi che credono in questo progetto. Una sorta di "palestra" a cielo aperto dove gli appassionati potrebbero allenarsi in sicurezza». Insomma una sorta di prodotto turistico-sportivo alternativo, sicuramente a basso costo, che anche le Apt potrebbero pubblicizzare. Anche perché - come insegnano gli esperti di marketing - l'effetto novità premia chi agisce per primo.Quanto ai puristi dello scialpinismo nessun problema: «Ognuno fa le sue scelte» continua Delladio. «L'altro giorno sono salito a Bellamonte e ho visto gente salire in pista, mentre io sono andato nel bosco. Poi è chiaro che al momento di scendere può essere più comoda la pista. L'importante è che ci sia un sistema di regole e che ci sia chi le fa rispettare. Sono convinto che molti scialpinisti - ripeto: soprattutto quando non c'è neve naturale - sarebbero disposti a mettere mano al portafogli per questo, a vantaggio di chi sostiene i costi per la produzione di neve artificiale». E Delladio lancia un appello anche alla politica: «Penso che siamo di fronte a un fenomeno nuovo, le persone che chiedono questo sono in aumento, servono norme nuove e la politica non può chiamarsi fuori. Agli imprenditori delle funivie (che magari considerano gli scialpinisti solamente una scocciatura) suggerisco invece di vederli come un'opportunità».
Corriere delle Alpi | 12 Dicembre 2020 p. 8 «Un hotel su due non aprirà per le feste» BELLUNO
Più di un albergo su due rimarrà chiuso a Natale e a Capodanno. A meno che non si liberalizzino i confini tra i Comuni il 26 dicembre, giornata solitamente di arrivi, e il 1° gennaio, data dei primi rientri. Lo fa sapere il presidente provinciale di Federalberghi, Walter De Cassan.«Se passiamo il Natale indenni, a mio avviso progressivamente potranno essere riaperte alcune attività, la strada sarà in discesa e potremo allentare la morsa. Ad esempio i ristoranti, i campi da sci potranno riaprire», ha aperto ieri uno spiraglio Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute.«Ma noi albergatori», obietta un altro De Cassan, Maurizio, da Malga Ciapela, ai piedi della Marmolada, «non possiamo aprire il giorno dopo l'eventuale annuncio: dobbiamo riscaldare e far venire il personale». Intanto gli albergatori cominciano a ricevere le ultime disdette, quelle dei resistenti. Oppure, in tanti casi, sono loro stessi ad avvertire i clienti che non sono nelle condizioni di aprire. La maggior parte delle attività sarà pronta all'accoglienza subito dopo il primo dell'anno - attesta De Cassan - a cavallo del 7, la fatidica data dell'avvio dello sci. Luca Dal Poz, direttore di Confcommercio, fa sapere che l'associazione si è attivata da settimane a tutti i livelli. «Siamo attivi sul fronte politico, coinvolgendo in prima istanza il ministro D'Incà e poi gli altri parlamentari. C'è incertezza estrema», afferma, «su cosa potranno o meno fare gli alberghi a Natale: dal cenone di Capodanno alle indicazioni ai propri clienti sugli spostamenti, dalla confusione sui servizi accessori alla ricettività all'impossibilità per le strutture prive di servizio di ristorazione di poter far cenare i propri ospiti nei locali dei paesi che devono dal canto loro chiudere alle 18. Registriamo quotidianamente decine di telefonate da associati giustamente esasperati».«Ma vi pare mai ipotizzabile», interviene Walter De Cassan, «che la clientela possa scegliere strutture presso le quali sono poi costrette a consumare la cena del 31 dicembre in camera o a recuperare un trancio di pizza da asporto?».Altra chiarezza viene sollecitata al governo per capire quale sarà da gennaio il regime di ingressi in Italia.«Noi, qui ad Alleghe, quindi sul Civetta e nello Zoldano, abbiamo le settimane bianche garantite solitamente dagli amici dell'est europeo», rileva l'abergatore Sergio Pra, «vorremmo essere messi nelle condizioni di poter programmare. Ci preoccupa, in ottica settimane bianche, e quindi in modo particolare per i mesi di febbraio e marzo, il regime di ingresso in Italia ; ad oggi nulla è dato a sapersi rispetto agli scenari che ci attendono da metà gennaio». Aggiunge De Cassan: «Se si pensa di mantenere l'obbligo di quarantena per chi entrerà in Italia per turismo possiamo metterci il cuore in pace... Scenario che non voglio neppure immaginare. Chi decide a livello governativo non si rende conto di cosa significhi programmare una stagione, organizzare assunzioni, aprire prenotazioni, pensare a strategie di accoglienza; non si rende conto di cosa significa rapportarsi con un mercato sovralocale, sovranazionale».Proprio il ministro D'Incà una certezza l'ha anticipata: a gennaio arriveranno i ristori. «Rivendichiamo supporti importanti sul fronte di una necessaria e "pesante" defiscalizzazione», sottolinea il presidente di Federalberghi, «per dare ossigeno al settore e permettergli di ripartire quando vi saranno le condizioni». --francesco dal mas
Corriere delle Alpi | 13 Dicembre 2020 p. 11 Impianti di sci: «Vogliamo le linee guida» Francesco Dal Mas ARABBA «Prima di Natale il Governo o il Comitato tecnico scientifico dovranno darci le linee guida per la prossima stagione, altrimenti non riusciamo a partire il 7 gennaio». Andy Varallo è il presidente del Dolomiti Superski, che intercettiamo durante il sopralluogo alla pista della Coppa del Mondo in Val Badia. In questi giorni nel mondo dello sci si comincia a temere che non tutto vada per il verso giusto per la riapertura.Intanto è così sicuro che il 7 si riapra? «Perché me lo chiede? Lo prevede il Dpcm». Ma se i contagi non si riducono drasticamente...«In effetti questa è la grande paura di noi impiantisti. Non vorremmo che la tanta voglia di tornare in montagna rovinasse tutto. Ricordo che fino al 7 gennaio le ski area sono chiuse». Evidentemente il Comitato tecnico scientifico, prima di prendere in esame e di pronunciarsi sulle linee guida che avete proposto vuol verificare che cosa succederà nei prossimi giorni.«Noi siamo doppiamente preoccupati. Sia per i contagi in aumento che per il silenzio che... ascoltiamo da Roma. La stagione sulla neve va programmata. Dobbiamo sapere se si parte o no. E come si parte. Ma dobbiamo saperlo per tempo. Le nostre società devono procedere all'assunzione degli stagionali, debbono fare anche determinati ordini e le aziende tra Natale e Capodanno non lavorano». Insomma non possono dettarvi le norme di comportamento il 2 gennaio o, peggio ancora, la sera della Befana? «No, evidentemente. Pretendiamo di essere rispettati nel nostro lavoro. Proprio noi che non abbiamo fatto nessun problema a farci carico della chiusura per un mese della stagione. Non abbiamo sollevato nessuna eccezione. Abbiamo chiesto soltanto due cose: che ci avvertano per tempo e che quanto prima ci facciano sapere dei ristori. Anzi, le dirò di più...»Che la vostra responsabilità è andata oltre? «Appunto. Abbiamo detto che non siamo d'accordo, anche perché ci deriverebbe un danno, aprire le piste solo per i residenti, oppure per i residenti e di villeggianti, o ancora per gli iscritti agli sci club. So che da più parti vengono avanzate proposte come queste, ma non si possono fare deroghe. Di nessun tipo, altrimenti di deroga in deroga non si sa dove si va a finire». Ma aprire le piste agli sciatori che si preparano alle gare? «È evidente che si può, anzi si deve fare. Ma il controllo deve essere massimo. Chi scia va certificato».Ieri sono state aperte numerose piste di sci da fondo. «Bene, immagino però che anche queste siano sottoposte a vigilanza, in modo che siano rispettate tutte le norme comportamentali. Insomma, se il sistema è chiuso, deve rimanere inattivo, salvo le eccezioni che si è detto, ma anch'esse sono da certificare. Altrimenti non se ne esce più. E noi vogliamo uscirne».C'è chi vorrebbe poter utilizzare le
piste per salire con le ciaspole o con lo sci alpinismo. «Che nessuna si permetta di entrare nei nostri cantieri di lavoro. È pericolosissimo. Sia, appunto, perché i nostri collaboratori sono al lavoro e stanno letteralmente faticando. Sia perché trattandosi di cantieri aperti possono avere elementi di insicurezza, per esempio le reti sono in sostituzione, là dove sono rotte. E poi si sta spalando neve sugli impianti, nelle stazioni. In ogni caso vorrei aggiungere una considerazione: attenzione che le valanghe sono in agguato». La neve abbondante è stata una grazia, perché altrimenti le vostre società si sarebbero dovute "spennare". Avete calcolato quanto state perdendo con la chiusura del ponte all'inizio della settimana appena trascorsa.«Come ho dichiarato in questi giorni, la perdita degli stagionali e del pubblico tra Sant'Ambrogio, l'Immacolata e Natale significa che per le nostre società è andato in fumo il 25/30 per cento del fatturato, a fronte di spese già sostenute per il primo innevamento (35 milioni considerando la spesa aggregata di Superski). Questo ci farà male, ma la salute è una priorità per tutti».Lei ha anche auspicato che per lo sci vengano adottati protocolli europei.«Fin dal marzo scorso noi siamo al lavoro per garantire la massima sicurezza. Ma dal 7 gennaio vorremmo ripartire su scala europea con protocolli chiari e snelli. Vogliamo pertanto conoscere le regole del gioco. Ma, sia chiaro, regole che non vengano rimesse in discussione tra un mese». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 13 Dicembre 2020 p. 2, edizione Belluno «Temiamo il Far West su una montagna non governata» BELLUNO In attesa della vera riapertura, i comprensori bellunesi hanno iniziato ad rendere le piste disponibili agli atleti. Si tratta ovviamente di pochi tracciati, quelli omologati per allenamenti e competizioni, rigorosamente off limits per il grande pubblico. I semplici appassionati dovranno attendere il 7 gennaio, nuovi dpcm permettendo. «Grazie alle copiose nevicate di questi giorni riusciamo a dar seguito alle richieste della Fisi conferma Renzo Minella, presidente di Anef Veneto, l'associazione degli esercenti funiviari -. Nei vari comprensori bellunesi ci si è attrezzati per dare la possibilità a tutte le categorie di agonisti, dai baby ai master, di svolgere gli allenamenti. Il tutto seguendo i rigidi protocolli ideati da noi e dalla Fisi stessa: non è una cosa particolarmente complessa da mettere in atto perché si tratta di gestire gruppetti di 40 50 persone. È un impegno che tutte le aree sciistiche bellunesi vogliono onorare e non certo per una questione di ritorno economico. Anzi, lo si fa con spirito di collaborazione, per sostenere l'attività sciistica soprattutto dei ragazzi. Se dovessimo guardare i conti sarebbe subito palese che il bilancio è in rosso, che ci rimettiamo perché così non copriamo nemmeno le spese». LINEE GUIDA In attesa della grande apertura del 7 gennaio, gli impiantisti stanno ancora attendendo che il Comitato tecnico scientifico validi le linee guida da adottare per evitare aggregazioni di persone e, in genere, assembramenti nelle stazioni invernali. «Sarebbe importante che il protocollo validato arrivasse prima di Natale in modo da avere il tempo per analizzarlo e per organizzarci», dice Minella. In questo periodo interlocutorio, non mancano le preoccupazioni che riguardano il possibile assalto alla montagna da parte di tanti turisti attratti dal paesaggio innevato: «Temiamo il far west su una montagna non governata. Ciò potrebbe avvenire già questo weekend e soprattutto a Natale. In tanti si improvviseranno scialpinisti, ciaspolatori o escursionisti d'alta quota, magari causando incidenti e appesantendo ancor di più la macchina dei soccorsi e gli ospedali già allo stremo», dice Minella. I rischi sono correlati in particolare al pericolo di valanghe e al fatto che sulle piste si sta lavorando per avviare la stagione, con i mezzi in azione. Per questi motivi Dolomiti Superski il consorzio che raggruppa i principali comprensori delle Dolomiti, tra cui Cortina, Ski Civetta, Arabba, Marmolada, Falcade/San Pellegrino e Ski Area Colemico/Tre Cime» - ha diffuso sui suoi canali social un accorato appello ai turisti: «A causa delle abbondanti nevicate dei giorni scorsi, il pericolo di valanghe è particolarmente alto! Ricordiamo agli scialpinisti e agli escursionisti che tutti i comprensori sciistici del Dolomiti Superski sono chiusi fino al 6 gennaio 2021. Ciò significa che le piste da sci sono chiuse e quindi non percorribili. Sulle piste da sci sono in corso lavori di preparazione con i gatti delle nevi con verricelli e argani, che rappresentano un elevato rischio. Le aree sciistiche sono da considerare alla stessa stregua del territorio alpino incontaminato. Il soccorso alpino sconsiglia escursioni scialpinistiche in questi giorni, in cui il grado di pericolo è molto alto a causa dell'enorme quantità di neve fresca». Andrea Ciprian
Corriere delle Alpi | 14 Dicembre 2020 p. 18 La stagione dello sci è ancora in forse Minella preoccupato ma resta ottimista
Francesco Dal Mas FALCADE L'Anef lancia l'allarme. «Ho la sensazione che le piste da sci non ce le fanno aprire neppure il 7 gennaio. Ancora troppi i contagi e i comportamenti pre-natalizi nelle città non depongono a nostro favore». Renzo Minella, presidente regionale dell'Associazione degli impiantisti, è ottimista di natura, ma questa volta si lascia catturare da qualche dose di pessimismo. «Riscontro, come ha anticipato il presidente di Superki Dolomiti, Andy Varallo, che c'è qualche ritardo di troppo nel licenziare le linee guida da parte del Comitato tecnico scientifico. Non vorrei che si stiano facendo l'idea che la montagna non è pronta». Minella ha trascorso un fine settimana all'insegna della preoccupazione. Temeva per sabato, tanto più per ieri. Era allarmato del possibile assalto "disordinato" alle piste da sci, ai sentieri, ai rifugi, alla montagna incustodita, perché, tutto sommato, gli 80 impianti del veneto sono anche un presidio di sicurezza, essendo vigilati quando sono attivi. Ieri sera ha tirato mezzo sospiro di sollievo. «Tutto sommato non ci sono stati incidenti, non abbiamo contribuito ad intasare gli ospedali. Mi dispiace, però, che da tante parti i villeggianti non abbiano trovato esercizi aperti». A Falcade, ad esempio, i ristoranti aperti ieri erano pochissimi e tutti con le prenotazioni. Il caso più singolare è di un rifugio al passo Duran, i cui gestori hanno chiuso per il timore di assembramenti. Tra sabato ieri hanno ricevuto più di 50 prenotazioni. «In queste ore mi sto chiedendo, ad esempio, se è saggio consentire la mobilità, ma non favorire al tempo stesso la disponibilità dei necessari servizi» ammette Minella, che ha impegnato il pomeriggio di ieri per avere riscontri delle presenze nelle diverse località della provincia. «Ho saputo della massiccia frequentazione a ridosso della pianura, dal Cansiglio al Nevegal, dal monte Avena a Croce d'Aune. Mai vista tanta gente, mi hanno detto. Speriamo, adesso, che non ci siano riscontri sul piano dei contagi. Mi hanno detto, peraltro, che dappertutto sono state rispettate le norme, dalla mascherina al distanziamento, passando per l'igienizzazione. Con qualche fatica, è vero, soprattutto nei rifugi d'alta montagna, dove magari la gente si sente più libera. Però adesso aspettiamo con ansia che il Cts, il Governo, le Regioni, battano un colpo». Già ieri il presidente Anef ha scritto all'assessore regionale Caner. Tra oggi e domani, insieme ai vertici dell'Associazione, sentirà Roma. «Vogliamo anzitutto capire se sono intenzionati o no ad aprire la stagione invernale. E se lo sono a passarci le linee guida». Mancano poco più di tre settimane, attraversate dalle feste. «Non ci possono far assumere gli stagionali all'ultimo momento. Se apriamo, abbiamo delle commesse da fare, dei rifornimenti da procurare. Non basta che in qualche modo battiamo le piste e sgomberiamola neve dagli impianti. C'è un capitolo complesso e delicato che richiede molto tempo. Area ski per area bisognerà contrattare con l'Usl di riferimento il numero di sciatori che sarà possibile accogliere. Ci vogliono due settimane solo per definire questo piano. Di tempo, dunque, ce n'è poco».La sensazione è che la risposta del Cts sulla proposta inoltrata non arriverà nemmeno entro questa settimana, proprio perché la situazione dei contagi lascia a desiderare. E l'Anef con Minella, per la verità, non ha mai contestato che la priorità sia la salute.
L’Adige | 15 Dicembre 2020 p. 32 «Nuova strada per il turismo» MARIO FELICETTI VALLE DI FIEMME Si è tenuta venerdì scorso, in videoconferenza, l'assemblea annuale gli albergatori della valle di Fiemme, alla vigilia di una stagione invernale sicuramente problematica e con molti interrogativi. Ne ha parlato nella sua relazione il presidente Diego Zorzi , ricordando quanto successo alla fine della scorsa stagione invernale conclusa in anticipo, e durante l'estate, andata meglio dei previsto, anche se non del tutto soddisfacente, mentre ora si guarda all'inverno con tutte le incognite che si conoscono. «Tuttavia - ha detto Zorzi - non dobbiamo abbatterci, ma prendere la situazione di petto e andare avanti. Ci aspettano settimane difficili, ma questo è il tempo di investire nella progettazione di un turismo rivolto al futuro. Stiamo vivendo - ha puntualizzato - grandi momenti di cambiamento, a partire da quelli climatici e dal tipo di clientela. Lo sci resterà il nostro punto di riferimento ma da qui dobbiamo iniziare ad intraprendere anche un nuovo tipo di turismo, diversificando i servizi, andando alla ricerca del cliente adatto a noi, imparando a comunicare in modo diverso e continuando a formarci, punto fondamentale per il nostro arricchimento». Il presidente ha poi richiamato i recenti cambiamenti al vertice dell'Apt, dicendosi «orgoglioso che, per la prima volta, ci sia alla guida, come presidente, una persona (Paolo Gilmozzi, ndr) che è diretta espressione della nostra associazione e che abbiamo voluto fortemente. Grazie alla collaborazione con tutti i consorziati dell'Apt, dai Comuni fino ai soci privati, ci siamo fatti trovare pronti alle sfide del futuro, a partire dall'emergenza Covid, alla legge provinciale sul turismo, alle Olimpiadi del 2026». Ribadendo come «la nostra associazione vuole creare una rete sempre più forte fra tutti i comparti economici della valle, con la regia dell'Apt, anche in vista dell'appuntamento con le Olimpiadi che devono essere il nostro punto di partenza e non d'arrivo». Zorzi ha richiamato la necessità, in questo momento difficile, di poter contare sul sostegno della Provincia e di avere «protocolli celeri
e certi dai nostri governanti», oltre a poter contare «su finanziamenti a lungo termine e a bassi costi per uscire dalla crisi e su norme congrue e sicure per l'aiuto ai collaboratori, a casa che aspettano l'evolversi della situazione». Per ribadire infine come «le normative anche a livello nazionale non ci consentano di dare un vero sostentamento a tutti noi e devono essere chiare, non cambiare oggi mese. E comunque - ha concluso - restiamo ottimisti e vediamo di lavorare insieme, in vista di tempi migliori». Nel successivo dibattito, sono intervenuti il presidente dell'Asat provinciale Giovanni Battaiola («il modello dello sci ha portato benessere e non bastano ciaspole, sci di fondo e cavalli; stiamo lavorando per chiedere mutui ventennali, ristori che affianchino quelli statali, un sistema di sostegno ai collaboratori che sono a casa senza lavoro, iniziative per attenuare il peso fiscale, la cancellazione dell'Imis e della Tari, guardando alle sfide del dopo Covid»), il direttore Roberto Pallanch («importante evitare la perdita patrimoniale delle aziende alberghiere e garantire interventi a favore dei dipendenti»), il presidente ed il direttore dell'Apt di Fiemme Paolo Gilmozzi e Giancarlo Cescatti , con un appello al coinvolgimento di tutti gli attori economici per lavorare in modo forte e coeso. All'incontro hanno partecipato anche Riccardo Turri , titolare della ditta Starpool, accompagnato da Francesca Eccel , per parlare del valore dei centri benessere negli alberghi, da vivere in sicurezza e relax.
Corriere del Trentino | 17 Dicembre 2020 p. 7, segue dalla prima Piste da sci, ecco come cambiare Editoriale di Michele Andreaus Senza i grandi numeri, i conti alla fine dell’anno non tornano, non potranno mai tornare. A questo punto abbiamo due alternative. La prima è basata sulla speranza che tutto torni bello come prima. Soffriamo un anno, poi il prossimo anno passa tutto. È una speranza che molti accarezzano perché, sperando, non siamo costretti a metterci in discussione e possiamo cullarci nella nostra comfort-zone, che è peraltro sempre più angusta. La seconda è che possiamo utilizzare questa crisi per plasmare il nuovo modello di sviluppo turistico del Trentino. Questo nuovo sviluppo deve partire dai punti di forza che siamo riusciti a raggiungere, con il coraggio di introdurre quelle discontinuità che, se non parte da noi, sarà l’evoluzione del contesto a farlo. Noi dobbiamo «vendere» le nostre unicità con l’obiettivo di massimizzare il nostro valore aggiunto, usare il turismo per valorizzare i prodotti del nostro territorio, in un’ottica di sistema. Se noi proseguiamo nel privilegiare la quantità alla qualità, non abbiamo molto spazio per valorizzare i nostri prodotti. Dobbiamo poi riuscire a valorizzare le nicchie: il turismo invernale non è solo Campiglio o la val di Fassa, ma anche molti posti incantevoli, magari non serviti da impianti di risalita. Certamente molti turisti vorranno sempre i grandi caroselli, ma la scorsa domenica, di sole e neve perfetta, ha visto le valli trentine letteralmente invase da ciaspole e pelli di foca. È vero, con gli impianti chiusi ci si butta su quello che si può fare. Non trascuriamo però questo fenomeno. Io mi aspetto che in futuro ci sarà una crescente fetta di turisti che apprezzeranno sciare su neve naturale, fuori dai grandi caroselli. Ecco quindi ad esempio, che da stazione marginale, Pejo 3000 potrebbe rappresentare una nicchia importante di attrattività. Nel mondo ci sono sciatori che cercano il fuori pista, le gobbe, che altro non sono se non le piste non battute. Perché non immaginare alcune stazioni con questa vocazione? Non si tratta di un turismo povero, perché sono sciatori che arrivano dal Canada o dalla Nuova Zelanda, quindi di un mercato ricco. Proviamo poi a recuperare il progetto Rolle di Delladio, non solo come progetto in sé, ma anche e soprattutto come filosofia. Non è infatti con la telecabina che sale da San Martino che si risolvono i problemi del Rolle: si tratta di alcune decine di milioni di euro di investimento e alcuni milioni di euro ogni anno di costi, che non si recupereranno mai con lo sci alpino. Oltretutto questo è un prodotto maturo, dove il numero di sciatori non aumenta e nuovi impianti e nuovi caroselli possono, semmai, solo spostare sciatori. Lasciamo allora lo sci dove questo ha una sostenibilità, anche e soprattutto economica, ma poi cerchiamo di concentrarci su quelle nicchie che possono consentirci di lavorare sia sulla qualità, sia sulla capacità di attrarre quei turisti che non sono e non saranno più attratti dai grandi caroselli. Il monoprodotto invernale non potrà più essere contemplato: troppo costoso, troppo rischioso, non sostenibile, né dal punto di vista economico, né tantomeno da quello ambientale. Se noi immaginiamo nei prossimi dieci anni lo sci in stazioni a quote inferiori ai 1400 metri, tanto varrebbe pensare subito agli ski-dome, in stile Dubai. Ecco, forse nelle tante prese di posizione che abbiamo letto in questi giorni, manca una visione di prospettiva. Si lavora sempre con lo sguardo sullo specchietto retrovisore, come se questa maledetta pandemia ci consentisse di riavvolgere il nastro. Non sarà così, temo, e risolta la pandemia sanitaria, ci sarà quella economica, con disoccupazione e debiti da pagare. Non diamo per scontato che l’Europa ci conceda i fondi Next Generation per fare funivie e campi sportivi: usiamo questi fondi per investimenti in grado di creare valore, non di distruggerlo .
Corriere dell’Alto Adige | 17 Dicembre 2020 p. 5 Sci, obiettivo 7 gennaio I paletti di Varallo «Cabinovie all’80% della capienza» Lorenzo Fabiano BOLZANO Trentacinque anni, sempre più affascinante, desiderio di molti, conquista di pochi. È la pista Gran Risa, première dame all’Academy Awards dello slalom gigante. A La Villa è tutto pronto: domenica si parte con il tradizionale appuntamento delle porte larghe (prima manche alle 10 seconda alle 13.30), il giorno dopo tocca alle strette (prima manche alle 10 seconda alle 13). Una trentacinquesima edizione della classicissima, inevitabilmente diversa per le ben note ragioni. Senza pubblico, saranno le immagini in diretta televisiva a garantire lo spettacolo agli appassionati di tutto il mondo. L’arrivo della Coppa del Mondo di sci sulle Dolomiti, ci si augura possa essere da volano al via della stagione turistica con l’apertura degli impianti fissata al 7 gennaio. «In quota ci sono due metri di neve, la valle è pronta all’imminente apertura della stagione. Mai come quest‘anno lo scopo delle due gare di Coppa del Mondo è volto a sostenere la causa turistica invernale della valle. In una prossima stagione colma di incertezze, non possono mancare segnali di ritorno alla normalità — commenta Andy Varallo, presidente del comitato organizzatore, nonché di Superski Dolomiti —. Noi continuiamo a investire perché crediamo nel futuro dello sci. La montagna è viva». Varallo ha colto l’occasione per puntualizzare la posizione degli operatori in vista dell’apertura: «Abbiamo trovato disponibilità nei ministri, nel Cts e nella Fisi. L’apertura era prevista il 18 dicembre, con un protocollo approvato dalla Conferenza delle Regioni; abbiamo accettato di partire il 7 gennaio, la nostra parte di sacrificio l’abbiamo fatta. Il carico al 50% della capacità degli impianti non è però più sostenibile; chiediamo che per le cabinovie sia all’80%. Guanti, occhiali, mascherine: gli sciatori sono protetti, le cabine sanificate. Lo sci è sport che si pratica all’aria aperta, non siamo untori. Ribadisco che non è pericoloso, già in estate si è visto come gli impianti di risalita non siano focolai». Quanto a un possibile allungamento della stagione, Varallo tiene la porta aperta: «L’argomento è sul tavolo e ci stiamo ragionando, ma è impossibile anticipare una risposta prima di marzo». Il presidente di Superski Dolomiti lancia un appello: «È ingiusto basarsi sui dati dello scorso marzo. Fateci aprire, facciamo i test e poi saranno i numeri a dire se la montagna è pericolosa o meno».
L’Adige | 18 Dicembre 2020 p. 8 «L'avventura è anche a due passi da casa» flavia pedrini f.pedrini@ladige.it Hervé Barmasse , forte alpinista valdostano e celebre guida alpina del Cervino, vive la montagna con lo spirito di un novello D'Artagnan. «L'uomo resta un ospite e gli alpinisti - dice - devono difenderla». L'approccio alla scalata è lo stesso dei grandi alpinisti del passato. Il 42enne di Valtournenche segue le orme tracciate da Walter Bonatti e Reinhold Messner, il re degli Ottomila, che parlando di lui ha osservato: «Tempo fa ho detto che l'alpinismo era fallito, ma oggi dico no, non è vero, perché ci sono giovani come Hervé Barmasse». Ecco perché, seppure dietro la spinta di un evento terribile come la pandemia, Barmasse si dice convinto che questa possa essere l'occasione per riscoprire un modo più autentico di vivere la montagna, ma anche di ripensare un modello turistico che non punti solo sui caroselli e abbia come bussola rispetto per l'ambiente e sostenibilità. L'alpinismo e, più in generale la montagna, da sempre, sono sinonimo di libertà. Come si possono vivere in questo momento, con i limiti e i divieti legati alla necessità di contenere l'epidemia? «I limiti che ci vengono imposti in montagna sono gli stessi imposti a tutti sul territorio italiano. Ma si è visto questa estate e lo dimostra anche la possibilità di ciò che sarà la stagione futura invernale: la montagna, secondo me, ci predispone a rispettare le regole, senza indurre le persone agli assembramenti. I grandi spazi, la natura incontaminata, danno la possibilità di vivere in modo autentico la montagna, purtroppo anche lontano dalle piste da sci. Dico purtroppo, perché sappiamo benissimo che ci sono località che hanno improntato tutto sullo sci su pista e se questa attività viene tolta, ne subiscono gravi danni economici. Ma ricordo che gravi danni economici si stanno vivendo in tutti i settori in Italia». La montagna, insomma, non sono solo le piste da sci. «Possiamo vivere la montagna come i nostri antenati, i miei nonni, i bisnonni, che lo facevano in un modo che definirei più "sobrio", frequentandola con passeggiate, con lo scialpinismo, con le ciaspole, le racchette da neve, prendendosi il tempo per godersi il
panorama e il sole. C'è un altro modo di muoversi in montagna. E questa estate ne abbiamo avuto la prova. Chi ama la montagna non la lega solo agli impianti da sci. E questo, aggiungo, potrebbe essere anche un momento di riflessione». Su un modello diverso di turismo montano? «Le località in montagna, con l'eccezione di quest'anno, che quasi vuole farsi beffa di questa situazione, non vivono più inverni con tanta neve. Dunque si dovranno comunque ripensare la montagna e il turismo. Non possiamo credere di continuare a vivere nei prossimi anni offrendo solo, come portata principale, lo sci su pista. E c'è un altro aspetto». Quale? «Come ho detto in una recente riunione fatta per i soci del Cai, noi - parlo dei professionisti della montagna e di chi gestisce le località turiste di montagna - abbiamo perso una grande occasione. Da una parte, con chi governa, è giusto porre l'accento sui problemi del settore, ma dall'altra si sarebbe dovuto sottolineare ciò che di positivo c'era. Nel momento in cui tutta la comunicazione raccontava come la montagna avrebbe accolto le scelte del governo, si doveva veicolare un messaggio diverso, dicendo: "Certo, con la chiusura degli impianti da sci subiamo un danno importante, ma per fortuna la montagna non è solo lo sci. Speriamo che tutto questo finisca presto, ma nel frattempo invitiamo le persone a venire in montagna perché abbiamo molto altro da offrire"». Nei racconti delle sue scalate, spesso in solitaria, ricorre il termine avventura. È possibile vivere questa dimensione anche a due passi da casa? «Secondo me questa è l'occasione per scoprire i nostri territori. Facciamo mente locale, conosciamo bene il nostro territorio? Io avrei tantissime montagne da esplorare. E, a proposito di avventura, vorrei dire che questa dimensione la creiamo noi, semplicemente andando su un sentiero che non abbiamo percorso, provando lo scialpinismo se siamo abituati allo sci su pista, cambiando vallata. Ci sono mille modi per esplorare, ma dobbiamo volerlo. E per volerlo non dobbiamo lamentarci, ma creare opportunità. Siamo tutti consci che le cose non vanno come vorremmo, ma cosa dobbiamo fare? Non credo che il governo "voglia" attuare norme cosi restrittive, perché nessuno ci guadagna. Dunque, rispondendo a questa domanda molto semplice, forse dobbiamo prendere atto che il problema è serio e porci noi l'idea che la nostra quotidianità si debba vivere in modo diverso. Anche rispetto alla frequentazione della montagna». Nel suo dizionario la parola montagna non è mai disgiunta dalla parola sostenibilità. «La montagna più autentica, che possiamo vivere anche nelle nostre valli, ti obbliga ad avere rispetto per il territorio. Lo sci su pista, ad esempio, e lo scialpinismo, sono due mondi diversi. Il silenzio, la quiete e la natura più selvaggia, il passo lento della salita e una discesa che non sarà veloce come quella su pista, già ti fanno entrare in un'altra dimensione, che ha bisogno di rispetto. L'uomo, comunque, rimane ospite della montagna. Ormai l'obiettivo non è più la sfida sportiva. Oggi l'obiettivo è cercare di mantenere intatto questo ambiente, che noi valorizziamo anche con le gesta di scalatori, ma che per me rimane il nostro più grande giardino». Il mondo è alle prese con una pandemia, ma il pianeta non sta meglio e i ghiacciai sono in agonia. Un problema che riguarda tutti, non solo chi frequenta la montagna. «L'ho ricordato in occasione della Giornata internazionale della montagna (l'11 dicembre): in realtà non è che noi dobbiamo salvare il pianeta, noi dobbiamo salvare noi stessi da quello che stiamo facendo al pianeta. La catastrofe riguarderà l'uomo, mentre la vita continuerà ad esistere. Se pensiamo che il il 60-80% delle acque dolci arriva dai territori di montagna, significa che una volta che i ghiacciai si saranno sciolti, il problema non sarà fare o meno lo sci estivo, ma che non ci sarà più acqua da bere. L'alpinismo è un bel gioco, ma deve restare tale. Per questo l'alpinista dovrebbe puntare a qualcosa di più che scalare le montagne. L'alpinista dovrebbe essere il D'Artagnan delle montagne, quello che le difende». Un'immagine molto poetica. «Sì, molto romantica, ma se ci guardiamo in giro, sembra di vivere un medioevo della montagna. Basta pensare a cosa succede oggi sul K2, l'ultimo Ottomila a non essere stato salito di inverno. Tutti pronti a partire, ma non interessa se poi andranno a imbrigliare di corde fisse la montagna. La plastica verrà abbandonata, si userà l'ossigeno, dunque sulla cima del K2 non si sarà ad una quota reale, eppure questo non importa. L'ego è cosi grande che l'idea è che l'uomo possa fare tutto. Ma questo me per è il messaggio più sbagliato». In questi giorni fa discutere l'ordinanza del governatore della Valle d'Aosta che, fino al 20 dicembre, prevede la possibilità di fare scialpinismo solo se accompagnati da una guida alpina o da un maestro. Cosa ne pensa? «Ho ascoltato anche le ragioni del presidente della Regione, che poneva l'accento sull'interessamento delle terapie intensive e dell'ospedalizzazione legato agli incidenti in montagna. Un aspetto da ricordare anche in relazione alla chiusura degli impianti da sci: sull'arco alpino, durante le vacanze di Natale, si contano in media 20-25 mila incidenti. Dunque c'è un problema. Però su questa scelta della Regione non sono d'accordo: o dai la possibilità a tutti o la togli a tutti. Queste distinzioni stonano a mio parere». Il rischio zero in montagna non esiste. Vista la sofferenza del sistema sanitario, il richiamo alla prudenza è d'obbligo, soprattutto per i neofiti. Cosa consiglia? «Il consiglio per chi non conosce un certo tipo di montagna è di avvalersi dei professionisti. Ma oggi consiglierei a tutti più prudenza, per questo senso di responsabilità che abbiamo dimostrato nel primo lockdown e che oggi stiamo patendo. Ma ci sono dei dati inconfutabili: non possiamo non pensare a chi sta peggio, alle persone che muoiono ogni giorno. Questo, lo preciso, non significa non muoversi, ma facciamolo con la testa e con dei professionisti, se abbiamo paura di rischiare troppo». Lei è stato spesso in Trentino. Il Cervino è la sua montagna del cuore, ma se dovesse sceglierne una qui. «C'è il Cervino delle Dolomiti, il Cimon della Pala, la Marmolada, ce ne sono molte. Penso che tutte le montagne siano belle, tanto che
con la famiglia, quando tutto questo sarà finito, stavo pensando di trasferirmi e vivere un anno in Trentino, nelle Dolomiti». Per il 2021 ha dei progetti? «All'inizio della pandemia dovevo andare sull'Everest, perché mi piacerebbe dimostrare che si può scalare la cima più alta del mondo in modo "pulito", senza corde fisse, senza sherpa e ossigeno. Poi è saltato tutto. In estate avevo programmato di partire in gennaio: avrei dovuto provare a salire un Ottomila in inverno in Pakistan. Vista la situazione, prima come padre, avendo due figlie piccole, ho preferito restare. E nel momento in cui tutti chiedono di evitare spostamenti, mi pareva ipocrita difendere questi messaggi lanciati da chi affronta l'emergenza in prima linea e poi partire. È una questione di coerenza. Mi porrò dei progetti sulle montagne di casa».
L’Adige | 18 Dicembre 2020 p. 46, segue dalla prima L'occasione per ripensare il turismo Di DUCCIO CANESTRINI Sciare è entusiasmante. Chiusi gli impianti, finita la pacchia? Neanche per sogno. In questi giorni il boom del fuoripista e di altre attività all'aria aperta, ma "sganciate", è stata una sorpresa che fa volare col pensiero ai tempi e ai luoghi di una volta. All'epoca delle gambe in spalla. In Trentino, pochi non l'hanno fatto. Ci siamo divertiti come i pazzi, siamo caduti felici con la faccia nelle neve (meno contenti quelli finiti al pronto soccorso). Ci siamo innamorati sulle piste, e piantati in neve fresca. Da ragazzi, c'era chi partiva a piedi alle cinque del mattino, chi prendeva la corriera, chi saliva perfino con la Vespa, gli sci legati in qualche modo alla sella. Stregati non soltanto dal brivido della velocità, ma anche dalla grande metafora dello sci, la ricerca di un equilibrio dinamico, scivolando sulla vita. Poi sono arrivati gli anni della folla, delle giacche a vento alla moda, delle canzonette gracchiate dagli altoparlanti sui tralicci dello skilift. Di più, sempre di più. Abbonamenti cari come biglietti della Scala di Milano. Impianti, caroselli, raccordi, passerelle, cannoni, ristoranti in quota, baracchini della grappa a metà pista, tornelli elettronici, rifugi con le ballerine brasiliane. Un modello di sviluppo voluto o sfuggito di mano? Dunque nei primi anni del Duemila alla Trento School of Management discutevamo sul futuro della montagna: immaginavamo un turismo invernale più sostenibile, flussi e strutture meno inquinanti, un'ospitalità alpina più sincera. Quelle idee implicavano anche riflessioni sul significato dell'appartenenza, anagrafica o adottiva, al mondo della montagna. Che cosa vuol dire essere del posto, amare una località, gestire un servizio su quel bene comune che è il territorio. Negoziare ragionevoli limiti. Sentire la responsabilità della bellezza. Perché l'offerta di una destinazione turistica non è come quella di una qualsiasi merce; oltre al valore economico di ciò che viene offerto si basa sul rispetto, su una complicità che genera reciproca soddisfazione. Ma quanta resistenza al cambiamento, sul territorio. Perché i "decisori" sembravano parlare con lingua biforcuta, come dicono gli indiani: tanti proclami sulla qualità del turismo, ma poi gli investimenti sulla quantità. Più gente, più strutture, più soldi. Fine del discorso. Il grande ripensamento non ha attecchito perché è prevalso l'approccio industriale, con lo sbandieramento di fatturati (e sovvenzioni) da capogiro. Il linguaggio dei numeri che non lascia possibilità di replica, anche se diversi costi, intanto, venivano ignorati. Costi sociali e ambientali. Vette meccanizzate, abetaie scalpate, risorse idriche saccheggiate, problemi di parcheggio, ressa davanti agli impianti, cibo spazzatura, sculettate in tutine modaiole, e un totale disinteresse per la vita dei residenti. Con reciproci rapporti d'uso, a scapito dell'ambiente. Quanto alla ricettività alberghiera, è rimasta sempre più legata dal cordone ombelicale alle funivie, un cordone che con gli anni è diventato un cappio. Quest'anno, giocoforza, siamo passati dal cosiddetto overtourism all'undertourism, per dirla in dialetto trentino dal masa al miga. Tanta neve e impianti fermi. Ma le cronache di questi giorni registrano una tendenza a trovare altri modi. Non soltanto scialpinismo, fondo e snowboard. La cosa curiosa è che si tratta di alternative nate dal basso, senza tanti marketing e management. Iniziative spontanee da parte di escursionisti che nonostante la chiusura degli impianti vanno sulla neve. Salgono con gli sci in spalla, battono pistarelle a scaletta (come facevamo da ragazzini), tirano la slitta, surfano in neve fresca, ciaspolano in allegria, fanno pupazzi. Tutte persone per le quali lo sci non è soltanto la giostra, su e giù. Certo salire in funivia e poi scendere sul bianco tappeto spianato la sera prima dal gatto delle nevi è meno faticoso. Certo i numeri non sono quelli di un turismo invernale industrializzato. Certo i ricavi economici non saranno quelli degli anni scorsi. Ma non per questo i trentini dovranno tornare a imbarcarsi sulle navi per il Sudamerica, in cerca di fortuna. Perlomeno, non solo per colpa degli impianti chiusi fino alla Befana, giacché tutta l'economia italiana, a forza di misure restrittive, rischia il collasso, ahinoi. Toccherà cambiare qualcosa, ripensare l'ospitalità, reinventarsi. Da una parte recuperando lo spirito del passato, dall'altra aperti al futuro. Cioè attenti alla qualità del nostro patrimonio ambientale e ai rapporti umani. Duccio Canestrini Antropologo, giornalista, scrittore
Corriere dell’Alto Adige | 19 Dicembre 2020 p. 3 Saslong chiusa, Varallo:«Al lavoro per garantire percorsi alternativi» Lorenzo Fabiano BOLZANO Dopo la decisione choc delle Funivie Saslong di non aprire gli impianti per tutto l’inverno, le altre società del comprensorio cercano soluzioni per «aggirare» l’ostacolo. Scartata l’ipotesi di uno skibus che non garantirebbe la portata, si studiano percorsi alternativi. La bordata però ha lasciato il segno. Nel dettaglio, gli impianti in questione sono tre: una cabinovia, Saslong, e due seggiovie, Sochers e Sochers 2, la cui chiusura mette però a rischio il collegamento con il Ciampinoi e quindi il SellaRonda. In realtà, si sta lavorando a un percorso alternativo che prevede l’utilizzo delle seggiovie del Monte Pana per salire a Plan De Gralba e di qui scendere a Selva. Sempre che, il proprietario Claudio Riffeser non torni sui suoi passi e allora tutto rientri. Questo è quanto si augurano il Consorzio esercenti impianti a fune Val GardenaAlpe di Siusi, e Andy Varallo, presidente di Superski Dolomiti. «Premesso che si tratta di tre impianti su un totale di 450 del nostro carosello, e di un impiantista sui 41 operanti in Val Gardena, sono scelte imprenditoriali che non ci permettiamo di sindacare: altresì, pretendiamo che non si venga a sindacare sulle nostre. Ci mancherebbe — prosegue Varallo — non avessimo a cuore la salute degli utenti e dei nostri lavoratori. Il protocollo, approvato da Cts e Conferenza delle Regioni, grazie al supporto di assessori al turismo e ai trasporti, garantisce la sicurezza. Ora speriamo solo di poter ripartire il 7 gennaio». Sulla comunicazione di Funivie Saslong aggiunge: «È stato un fulmine. Non ne sapevamo nulla, io l’ho appreso leggendo il post che hanno pubblicato su Facebook. In ottobre un piccolo comprensorio in Austria aveva fatto la stessa cosa. Non ha poi comportato alcun danno rilevante. So che il Consorzio degli impiantisti gardenesi sta lavorando a una soluzione alternativa che non interrompa i collegamenti in valle e con Superski Dolomiti. Tuttavia, mi auguro che il signor Riffeser ci ripensi e torni sulla sua decisione» conclude Varallo. Il Cai Nel frattempo, in vista della possibile apertura, si lavora alla preparazione delle piste, che rimangono chiuse anche per gli alpinisti muniti di sci e pelli. In assenza di un servizio di soccorso alpino, un appello a rispettare i divieti giunge in forma congiunta dall’Associazione delle Imprese Funivie dell’Alto Adige, l’Associazione Alpini dell’Alto Adige, il Soccorso alpino dell’Avs e il Cai Alto Adige. I controlli Intanto ieri sono iniziati i servizi di vigilanza dei carabinieri nelle aree montane. Anche se gli impianti sono chiusi i militari garantiranno la sicurezza dei luoghi e delle persone in montagna, assicurando assistenza e soccorso alle persone e sorvegliando i parcheggi. Predisposto anche un servizio per vigilare sul rispetto delle norme anti covid. Già lo scorso fine settimana sono arrivate le prime multe. Violazioni sono state contestate presso locali pubblici e après ski a Riscone di Brunico, Badia, val Pusteria e valle Aurina. Dopo un consulto con i comandanti di stazione, alcuni gestori hanno messo transenne fuori dai locali per impedire assembramenti e hanno assunto degli steward per evitare assembramenti. L’Austria Intanto novità sullo sci arrivano anche da oltreconfine. In Austria gli impianti sciistici apriranno nonostante il lockdown, ma con l’obbligo di mascherine Ffp2 sugli impianti di risalita e quando si è in fila. Lo ha annunciato il vice cancelliere Werner Kogler. Le attività motorie all’aria aperta sono esplicitamente consentite durante il nuovo lockdown dal 26 dicembre al 17 gennaio. Il governo, durante una videoconferenza con i laender, ha trovato l’accordo sui protocolli di sicurezza per gli impianti di risalita. Bar e ristoranti rimarranno chiusi.
LAPBOOK: EDUCARE CON LE DOLOMITI Trentino | 2 Dicembre 2020 p. 20 "Educare con le Dolomiti", il lapbook Trento «Educare i nostri giovani alla responsabilità e alla cittadinanza attiva verso l'ambiente è il miglior modo per celebrare il decennale dell'iscrizione Unesco delle Dolomiti tra i patrimoni naturali dell'umanità. Oggi riusciamo a raggiungere questo obiettivo grazie ad uno
strumento innovativo, qual è il lapbook, destinato ai ragazzi del quarto e quinto anno della scuola primaria». Il vicepresidente della Provincia Mario Tonina (nella foto) ha ribadito il proprio apprezzamento per il lapbook "Educare con le Dolomiti", mappa tridimensionale dei diversi aspetti che caratterizzano il gruppo montuoso, unico al mondo. Il progetto educativo, ideato dal Muse e dall'Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educative (Iprase), è stato presentato nel pomeriggio di ieri agli insegnanti trentini nel corso del seminario formativo. Collegato via streaming, Tonina è intervenuto anche nella veste di presidente della Fondazione Dolomiti Unesco.
MONDIALI 2021 E OLIMPIADI 2026: GLI AGGIORNAMENTI Gazzettino | 2 Dicembre 2020 p. 13, edizione Belluno La Fis dà il via libera ai Mondiali La Fondazione Cortina 2021 e la Federazione internazionale sci concordano: l'organizzazione dei Campionati del mondo di sci alpino del febbraio 2021 è a buon punto. Ieri c'è stato l'ultimo confronto, prima dell'evento. Di solito questo sopralluogo era fatto di persona, anche gli anni passati, per le gare di Coppa del mondo sulla Tofana; quest'anno la pandemia ha indotto a fare questo incontro online, in videoconferenza. Una fase di ispezioni sul campo era stata comunque portata avanti, nelle scorse settimane, a piccoli gruppi di interesse e di specificità. TEAM AFFIATATO «Cortina è pronta per dare il via alle gare dei Mondiali, siamo riusciti a portare a termine tutti gli impegni presi, nei tempi prestabiliti, e siamo fieri che anche Fis abbia riconosciuto la qualità e l'efficacia del lavoro svolto fin qui, insieme a un team affiatato e di grande competenza» - ha dichiarato Valerio Giacobbi, amministratore delegato di Fondazione Cortina 2021, al termine della riunione. «Siamo impegnati a fare in modo che i Campionati del mondo di febbraio ci siano, nel rispetto delle regole e della salvaguardia della salute. Perciò non vediamo l'ora che i grandi campioni dello sci internazionale arrivino nella nostra località per dare spettacolo sui pendii delle Tofane. Sappiamo che, come grande evento internazionale in piena era Covid-19, avremo ancor di più gli occhi del mondo puntati su di noi e questo ci carica di grande responsabilità. Lavoriamo nella massima concentrazione per realizzare un evento che abbia nei protocolli di sicurezza e nella tutela della salute un pillar di successo». APPREZZAMENTO All'incontro decisivo, con Fis e Fondazione, è intervenuta l'amministrazione comunale, che ha appena sottoscritto un protocollo, a indicare gli impegni di ogni contraente. Per la Fis c'erano Jurg Capol e Stephan Huber, che hanno espresso, ancora una volta, apprezzamento e soddisfazione per il grande lavoro svolto a Cortina in questi anni, anche a dispetto delle difficoltà causate dall'emergenza sanitaria globale in corso. Concordano Stefan Krauss, Tito Giovannini e Daniela Calandra di Infront, l'agenzia che gestisce i diritti commerciali e televisivi dell'evento. Fondazione Cortina 2021 ha illustrato i diversi settori di intervento: infrastrutture, operations, sport, sostenibilità, marketing e comunicazione. Hanno seguito l'incontro anche gli organizzatori dei Mondiali di Courchevel-Méribel 2023, in Francia, e gli austriaci di Saalbach 2025, nell'ottica del trasferimento di esperienze e del lascito immateriale dei grandi eventi sportivi. GRANDE ORGANIZZAZIONE In particolare, Fis ha constatato che Cortina d'Ampezzo è davvero pronta per ospitare i Campionati, tanto sul piano delle infrastrutture di gara quanto su quello organizzativo e della comunicazione, e ha potuto prendere atto dell'importante sforzo messo in atto per implementare le misure di sicurezza e di contrasto al Covid-19, a garanzia della salute di tutti i partecipanti e della popolazione locale, che avrà l'onore di ospitare la manifestazione. Marco Dibona © riproduzione riservata
Gazzettino | 19 Dicembre 2020 p. 11, edizione Belluno Mondiali di sci, 50 giorni all'apertura
A cinquanta giorni dalla cerimonia di inaugurazione dei Campionati del mondo di sci alpino Cortina 2021, fissata per domenica 7 febbraio, si lavora in tutti i comparti della organizzazione, resa ancora più complessa dall'emergenza sanitaria Covid-19. Sono state allestite le strutture ai traguardi di Rumerlo e Colfiere; si lavora sulle piste della Tofana e del Col Druscié; si interviene alle Cinque Torri, sulla nuova pista agonistica Lino Lacedelli. TRA UN DECRETO E L'ALTRO «L'evento è troppo importante per rischiare di non essere pronti nel momento dell'inaugurazione afferma Valerio Giacobbi, amministratore di Fondazione Cortina 2021 per cui noi andiamo avanti per la nostra strada, seppure nell'incertezza di questo particolare momento, fra un decreto e l'altro». Alcuni settori non subiranno ridimensionamenti, altri saranno penalizzati, per cui si stanno cercando soluzioni alternative: «Le squadre nazionali di atleti sono tutte confermate, una settantina elenca Giacobbi e così le televisioni, ma queste con qualche ridimensionamento. Noi abbiamo dunque confermato le stanze negli alberghi, seppure con meno presenze rispetto alle previsioni iniziali. Garantiremo comunque ventimila pernottamenti negli alberghi di Cortina. Al traguardo sono state montate le strutture temporanee, anche quelle ridotte, compatibili con le norme anti Covid-19. La tenda dell'ospitalità sarà allestita come un ristorante, con i posti a sedere e distanziati. Le tribune principali avranno 800 posti, anche questi seduti e a distanza. La speranza è che il nuovo Dpcm, a gennaio, non cambi tanto le cose e ci permetta di gestire l'evento con i nostri ospiti». ALLESTIMENTI A COLFIERE Gli allestimenti interessano anche l'area di Colfiere, alla base delle piste del Col Druscié: «Anche lì è stata attrezzata la tenda per l'ospitalità e ci sono le tribune, dove si vivranno le ultime due giornate dei Mondiali, le gare di slalom femminile di sabato 20 e maschile di domenica 21 febbraio. Poi seguirà, sulla neve, la cerimonia di chiusura dell'evento e il passaggio di consegne agli organizzatori del Mondiale 2023, come è consuetudine». La salute delle persone coinvolte nel grande evento è la priorità, a cominciare da atleti e squadre, così come ospiti e giornalisti, personale e volontari: «Gli aspetti sanitari sono della massima importanza conferma Giacobbi e per questo siamo in costante contatto con le autorità provinciali, regionali e governative. Questo comporta una modifica al programma iniziale. LA DIRETTA RAI Per la cerimonia di apertura dei Mondiali, alle 18 di domenica 7 febbraio, ci sarà la diretta televisiva Rai. Questo evento avrà una parte istituzionale, con la presenza delle squadre, anche se purtroppo non potranno esserci gli atleti, a fare da portabandiera, e una parte di spettacolo. Tutto diventa un evento mediatico, che va oltre l'esperienza diretta, di chi sarà presente, per raggiungere lo spettatore a casa». Marco Dibona
COLLEGAMENTO FUNIVIARIO SAN MARTINO – PASSO ROLLE L’Adige | 13 Dicembre 2020 p. 37 «Collegamento con Rolle è ora di fare l'appalto» MANUELA CREPAZ PRIMIERO «Ora si può cominciare l'iter per l'appalto dei lavori del collegamento funiviario San Martino-Passo Rolle. La Via positiva c'è, i soldi ci sarebbero e si manterrebbero le promesse fatte al territorio, dando una spinta al lavoro». Esordisce così il consigliere Michele Dallapiccola , tra i padri fondatori della cabinovia Colbricon Express, tangibile tassello del 2018 nella riqualificazione impiantistica di San Martino di Castrozza che vede il suo compimento nell'arrivo sci ai piedi a Passo Rolle. A parte l'annosa questione economica, non le sembra che non sia il momento migliore per parlare di nuovi impianti di risalita, con la bagarre in corso? «Il collegamento non va configurato come un aggeggio per divertirsi. Perché questo è un attrezzo per lavorare e il capitolo "collegamento San Martino Passo Rolle" fa parte delle politiche del lavoro perché aggancia l'esigenza delle imprese di operare e aggancia le esigenze delle aziende turistiche di lavorare e di continuare a sperare nel proprio futuro. Quindi va decontestualizzato rispetto alla polemica impianti a fune sci sì sci no perché questa è tutta un'altra cosa, è uno sviluppo pensato e ragionato per la Valle dall'utilizzo più che trasversale. Quindi è forse l'unico impianto a fune sensato per la Provincia». Un impianto di mobilità sostenibile, come lo si è sempre definito. «Sì, io sogno un Passo Rolle quale località di montagna raggiunta così, a periodi con la strada chiusa al traffico e aperta per le biciclette oppure come un'area pedonale o di pace, insomma un luogo da occupare interamente servito da un meraviglioso impianto che ne determini la sua specialità di area non solo nel periodo sciistico ma anche in molte altre stagioni».
Perché oggi sarebbe l'ora "x" per cantierare? «Un cantiere è una spinta all'economia. In questi giorni, il progetto ha ricevuto l'ok anche dalla Via, la valutazione di impatto ambientale (subordinato però alla progettazione della strada lungo la Busabella, ndr), perciò siamo praticamente in grado di appaltare. Se l'intenzione è ancora quella di inaugurare entro il 2023 l'impianto, quindi con la stagione che parte alla fine del 2022, si deve partire a breve. Sì, vanno recepite delle osservazioni, ma tutta questa procedura ha senso non duri più di qualche mese. Nel frattempo, il bilancio provinciale diventa operativo e dunque si può pensare che prima della fine dell'inverno si possa dare ragionevole timing per le fasi di appalto, le autorizzazioni etc. Se c'è urgenza, i tempi si possono forzare: entro 30-60-90 giorni ma anche nella peggiore delle ipotesi con 90 giorni finiamo comunque a metà marzo, giusti in tempo per cominciare i lavori a fine inverno». La soluzione economica è allora nel bilancio provinciale? «Esatto. Nel bilancio della Pat dal 2019 sul 2020 si arrivava con un avanzo di amministrazione di 111,4 milioni, addirittura adesso ci presentiamo nel 2021 con un bilancio 2020 che produce un avanzo di 233,4 milioni, più del doppio. Non vedo dove sia il problema a destinarne 30 al progetto. Ovviamente questo per mantenere fede alle promesse. Se poi non si intende tener fede alle promesse, allora va bene qualsiasi altra volta, purtroppo». Lei ha depositato un emendamento al proposito. «Sì, e a quel punto, nel bene o nel male, il re sarà nudo perché sarà il presidente Maurizio Fugatti a decidere se far procedere l'iter o fermarlo. Se decide di fermarlo, dovrà avere la bontà di spiegare il perché. Saranno scuse, si farfuglierà spiegando che i soldi non servono subito, che la loro intenzione è realizzarlo, che io stia tranquillo, non serve stanziarli adesso perché i tempi ci sono per farlo anche dopo. E così io puntuale a maggio riprensenterò lo stesso emendamento e continuerò a presentarlo qualora venisse bocciato fin quando i tempi non saranno ritenuti maturi».
L’Adige | 16 Dicembre 2020 p. 19 «Funivia operativa nel 2023» manuela crepaz PRIMIERO «Il collegamento funiviario San Martino-Passo Rolle non è in discussione. Prova ne sono le quattro conferenze dei servizi provinciali che si sono susseguite dal luglio 2019 a giovedì scorso, che dimostrano la volontà vera del presidente Maurizio Fugatti di voler portare avanti fino in fondo l'opera». Ha esordito così l'assessore Roberto Failoni , presente da remoto all'assemblea dell'Azienda per il Turismo San Martino di Castrozza Primiero e Vanoi lunedì sera. Ed ha specificato: «Il passo più importante è stato fatto appunto giovedì con il via libera della conferenza dei servizi al procedimento di valutazione di impatto ambientale del collegamento nonché della pista di rientro "Panoramica" che parte da Malga Fosse per arrivare alle Nasse, che era un aspetto assolutamente non scontato. Quattro conferenze dei servizi non sono poche, quindi vuol dire che i problemi erano molti. Ringrazio pertanto il sindaco Daniele Depaoli e tutti coloro che in questo anno e mezzo ci hanno aiutato a superare le criticità. Nei prossimi mesi ci saranno dei passaggi tecnici fino all'appalto per un'opera di circa 30 milioni di euro. Se non ci saranno grandi ostacoli, nel 2023 al massimo nel 2024 quest'opera sarà terminata». E dopo la buona notizia, Failoni non ha nascosto che il 7 gennaio - fatidica data indicata dal Dpcm quale apertura degli impianti - la stagione dello sci non partirà, a meno di un miracolo: ad oggi, infatti, la "conditio sine qua non", vale a dire la firma al protocollo impianti da parte del Comitato tecnico scientifico non c'è. «La critica è che il protocollo è debole sugli assembramenti. Chi è a Roma non si rende conto di quanto abbiano lavorato gli impiantisti per poter garantire la sicurezza a chi va a sciare». La platea online di una novantina di soci sembrava annuire, conscia che si debba guardare in faccia la realtà (strutture ricettive chiuse fino a data da destinarsi, stagionali a casa o alla ricerca di lavoro altrove), speranzosa delle parole dell'assessore: «Ci batteremo con tutte le forze per i ristori alle aziende e garantire ai lavoratori un aiuto importante». Certo che non c'è da stare allegri, se, come ha sottolineato l'assessore, da Primiero non ci sono state domande sui due bandi "Qualità Trentino" sul capitolo "Riparti Trentino" con l'erogazione di contributi a fondo perduto per investimenti volti al miglioramento delle strutture ricettive e alla riqualificazione delle imprese del commercio e dei servizi. «Può essere che i timori blocchino la volontà di investire, però vi invito ad approfondire le possibilità messe in campo». Il presidente dell'Apt, Antonio Stompanato , non ha nascosto le difficoltà aziendali: «La stessa Apt, da sempre impegnata nell'organizzare eventi e grossi meeting, si vede costretta ad attendere l'evoluzione del Covid per ripartire con le attività di supporto a gruppi o di aziende». Inoltre, la crisi si rifletterà sui trasferimenti che la Provincia gira al comparto Apt. «Già nel 2020 abbiamo avuto una riduzione intorno al 20% e la riduzione dei trasferimenti del 2021 si attesta ancora intorno al 20%». Il bilancio è stato approvato all'unanimità, con un budget sul 2021 di 1.988.724 euro, con 883.365 euro di finanziamento provinciale.
PIANO EURAC PER LA PROVINCIA DI BELLUNO Corriere delle Alpi | 20 Dicembre 2020 p. 18 Il Piano Eurac evolve Marketing territoriale per far crescere l'intera provincia Irene Aliprandi Belluno Se vieni a Belluno, non la lascerai più. Nuova svolta nella fase 2 del Piano Eurac "Vivere le Dolomiti" di cui la Provincia è soggetto attuatore. Nelle scorse settimane l'ente di Palazzo Piloni ha deciso di rivoluzionare la gestione del piano stesso, che in passato si è sviluppato attraverso il lavoro del Consorzio Dmo, ma d'ora in avanti passerà nelle mani di un team di esperti coordinati dalla Provincia stessa. I ritardi nell'applicazione del piano e la necessità di realizzare i suoi principi cardine stanno alla base di questa decisione, ma la rivoluzione inevitabile nel mondo del turismo alla fine della pandemia impone una visione più ampia. L'idea, dunque, è quella di dare una marcia in più al piano di marketing turistico, affinché si trasformi in un vero e proprio piano di marketing territoriale, che sia in grado di esaltare e far crescere tutte le eccellenze bellunesi e non solo quelle strettamente legate al turismo.La ricalibratura del lavoro conseguente all'emergenza sanitaria guarda al completamento e potenziamento della programmazione a livello di promozione turistica, nella costruzione di un brand che in futuro possa evolversi in marketing territoriale a 360 gradi. Un obiettivo a lungo raggio che è sposato in pieno da Confindustria Belluno Dolomiti e che punta a rendere il territorio bellunese attrattivo non solo per i turisti, ma anche per imprese, investimenti, lavoratori e nuovi residenti.«La lotta allo spopolamento, uno dei punti cardine del programma provinciale e contemporaneamente una priorità per dare un futuro al nostro territorio, passa anche da qui, dal promuovere la provincia sotto diversi punti di vista», spiega il consigliere provinciale delegato al turismo, Danilo De Toni. «Il Bellunese ha tantissime eccellenze, non solo paesaggistiche e ambientali, ma anche imprenditoriali. Ha possibilità di lavoro e occasioni di residenzialità da far conoscere. Ovviamente partiamo dal Piano Eurac, costruito sul marketing turistico, e intendiamo portarlo a compimento e a potenziarlo; anche per questo abbiamo chiesto una proroga al 2023, indispensabile visto che il Covid ci ha impedito di svolgere diversi punti del programma. Ma proprio le condizioni create dalla pandemia, disastrose sotto tutti i punti di vista, ci offrono l'occasione per ripensare alcuni modelli di sviluppo. Se pensiamo all'emergenza sanitaria come a un terremoto, abbiamo la possibilità di studiare un'architettura nuova, diversa, accattivante e attrattiva. E in questo abbiamo l'appoggio pieno di Confindustria, per implementare il marketing anche a livello territoriale. L'obiettivo primo - non lo perdiamo certo di vista - è quello di rendere il territorio sempre più attrattivo dal punto di vista turistico. Ma non ci nascondiamo che le possibilità di crescita sono tante. L'idea da sviluppare è che quelli che oggi possiamo attrarre come turisti, domani potrebbero essere nuovi residenti, nuovi lavoratori, nuovi talenti».L'idea in fase di costruzione è quella di creare all'interno delle future declinazioni del Piano Eurac anche un vero e proprio marketing territoriale, in modo da promuovere tutto quello che il Bellunese è: dalla manifattura e dal made in Belluno Dolomiti, fino alle possibilità di lavoro e crescita professionale. Il primo step però resta quello del potenziamento della promozione e dell'offerta turistica, obiettivo per cui è stato predisposto il programma "Vivere le Dolomiti".«La sfida è accrescere l'attrattività del territorio per talenti e investimenti, oltre ai turisti», commenta Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, stakeholder sostenitore della Provincia per il Piano Eurac. «Il progetto politico-territoriale punta allo sviluppo dell'economia bellunese attraverso la tenuta della manifattura e la creazione di un ecosistema dell'innovazione, che è uno dei presupposti fondamentali per qualsiasi azione rivolta ad accrescere l'attrattività di un'area. Sappiamo infatti che competenze e innovazione tendono oggi a concentrarsi geograficamente, soprattutto nelle zone metropolitane. Qui, però, tra le nostre bellissime montagne abbiamo anche imprese ad alto contenuto tecnologico che competono nel mondo, che possono offrire prospettive professionali e di vita ai giovani qualificati che vengono da fuori. Per questo crediamo che un piano di marketing territoriale, di concerto con la Provincia, sia indispensabile per la crescita di tutto il sistema economico bellunese», conclude Berton. Gazzettino | 20 Dicembre 2020 p. 5, edizione Belluno «Marchio Belluno: verranno da noi» BELLUNO Provincia e Confindustria Belluno Dolomiti avanti insieme sul Piano Eurac Vivere le Dolomiti, per la promozione del turismo. Il sindaco di Alleghe, Danilo De Toni, in veste di delegato provinciale: «Il terremoto prodotto dal Covid ci obbliga a ripensare i modelli di sviluppo, ma ci dà anche l'occasione di costruire un paradigma diverso». Dopo le novità degli ultimi mesi con la nomina, da parte di Palazzo Piloni, dei due professionisti Tom Buncle e Roberto Locatelli (esperti che saranno comunque affiancati da un team locale, compresa
la Dmo) prosegue il percorso di Palazzo Piloni con Eurac Vivere le Dolomiti, quel piano di marketing territoriale da oltre 5 milioni di euro che vede la Provincia come titolare delle risorse e come unico soggetto attuatore. La ricalibratura del lavoro conseguente all'emergenza sanitaria guarda al completamento e potenziamento della programmazione a livello di promozione turistica, nella costruzione di un brand per marketing territoriale a 360 gradi. LA SFIDA L'obiettivo a lungo raggio è sposato in pieno da Confindustria Belluno Dolomiti e punta a rendere il Bellunese attrattivo non solo per i turisti, ma anche per imprese, investimenti, lavoratori e nuovi residenti. «La lotta allo spopolamento, uno dei punti cardine del programma provinciale, passa anche da qui, dal promuovere la provincia sotto diversi punti di vista - spiega il consigliere provinciale delegato al turismo, Danilo De Toni -. Il Bellunese ha tantissime eccellenze, non solo paesaggistiche e ambientali, ma anche imprenditoriali. Ha possibilità di lavoro e occasioni di residenzialità da far conoscere. Ovviamente partiamo dal Piano Eurac, costruito sul marketing turistico, e intendiamo portarlo a compimento e a potenziarlo. Anche per questo abbiamo chiesto una proroga, indispensabile visto che il Covid ci ha impedito di svolgere diversi punti del programma». Ma proprio le condizioni create dalla pandemia, «disastrose sotto tutti i punti di vista, ci offrono l'occasione per ripensare alcuni modelli di sviluppo sottolinea il delegato provinciale -. Abbiamo la possibilità di studiare un'architettura nuova, diversa, accattivante e attrattiva. E in questo abbiamo l'appoggio pieno della Confindustria, per implementare il marketing anche a livello territoriale». «L'obiettivo primo - sottolinea - non lo perdiamo certo di vista: è quello di rendere il territorio sempre più attrattivo dal punto di vista turistico. Ma non ci nascondiamo che le possibilità di crescita sono tante. L'idea da sviluppare è che quelli che oggi possiamo attrarre come turisti, domani potrebbero essere nuovi residenti, nuovi lavoratori, nuovi talenti». IL MARKETING L'idea, infatti, in fase di costruzione, è quella di creare all'interno delle future declinazioni del Piano Eurac anche un vero e proprio marketing territoriale, in modo da promuovere tutto quello che il Bellunese è: dalla manifattura e dal made in Belluno Dolomiti, fino alle possibilità di lavoro e crescita professionale. Il primo passo però resta quello del potenziamento della promozione e dell'offerta turistica, obiettivo del programma Vivere le Dolomiti. «La sfida è accrescere l'attrattività del territorio per talenti e investimenti, oltre ai turisti commenta Lorraine Berton, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, stakeholder sostenitore della Provincia per il Piano Eurac -. Il progetto politico-territoriale punta allo sviluppo dell'economia bellunese attraverso la tenuta della manifattura e la creazione di un ecosistema dell'innovazione. Tra le nostre bellissime montagne abbiamo anche imprese ad alto contenuto tecnologico che competono nel mondo, che possono offrire prospettive professionali e di vita ai giovani qualificati che vengono da fuori. Per questo crediamo che un piano di marketing territoriale, di concerto con la Provincia, sia indispensabile per la crescita di tutto il sistema economico bellunese». Federica Fant
Corriere delle Alpi | 22 Dicembre 2020 p. 22 Contrasti tra i soci sul futuro della Dmo pedavena Un incontro utile per fare il punto della situazione dopo le difficoltà registrate negli ultimi mesi. Ieri, in Birreria a Pedavena, si è tenuta una riunione sollecitata dall'assessore regionale Federico Caner, in seguito alle voci contrastanti e non prive di polemiche giunte a Venezia sulle strategie turistiche per la provincia di Belluno. Di recente, infatti, la Provincia ha deciso di aggiornare il Piano Eurac Vivere le Dolomiti, alla luce dei ritardi nella sua applicazione, di una mutazione del contesto internazionale e della necessità di realizzare alcuni suoi aspetti fondamentali. Presenti, oltre all'assessore regionale Caner, il presidente della Provincia, Roberto Padrin, il consigliere provinciale delegato al turismo Danilo De Toni e online numerosi sindaci, i consorzi turistici e molti operatori. L'assessore Caner, tirato per la giacchetta da più parti, ha cercato di comprendere la natura dei contrasti emersi durante i vari interventi: «Fondamentalmente è mancato il dialogo e la tensione tra le parti era palpabile», ha spiegato Caner al termine della riunione. «Operatori e sindaci non erano a conoscenza del lavoro svolto fino a ieri da Dmo e nemmeno delle intenzioni manifestate dalla Provincia nel lancio di queste nuove iniziative legate al Piano Eurac. Gli interventi sono stati franchi, c'è chi ha preso posizione a favore della Dmo, altri hanno manifestato critiche e così anche per quanto la Provincia sta mettendo in campo». In realtà, però, tutti i passaggi fatti dalla Provincia in questi mesi sono stati discussi con gli addetti ai lavori e ampiamente documentati dalle cronache. Il dibattito è durato due ore e mezza in modo serrato e Caner ha fatto anche delle promesse: «La Regione mette a disposizione i propri tecnici che così sapranno cosa il territorio sta pensando e facendo». L'assessore sostanzialmente promuove Dmo per l'attività svolta fin qui: «È vero che si è trattato di un lavoro parziale, finora centrato sul marketing e non sulla gestione dei servizi, ma va anche detto che la Dmo ha lavorato con due, tre persone, mentre ce ne vorrebbero una decina. Si possono mettere in campo tutte le strategie turistiche di questo mondo, ma se non ci sono le persone che le traducono sul territorio non si fanno progressi. Il tema dunque è dotare la Dmo del personale necessario per gestire i servizi turistici sul territorio, ampliando quindi il proprio raggio di azione». Per aumentare il
personale di Dmo, tuttavia, servono finanziamenti e i soci (tra i quali non c'è la Regione) di recente hanno già aumentato gli stanziamenti a favore del consorzio, da 80 a 132 mila euro all'anno, che servono a pagare il direttore e un collaboratore. Per assumere altro personale sarà necessario che i soci mettano mano al portafogli, perché non ci sono finanziamenti esterni destinati al funzionamento del consorzio Dmo. Inoltre, la struttura dedicata alla revisione e realizzazione del Piano Eurac è stata creata all'interno della Provincia e Dmo ne è una componente, oltre ad essere il principale interlocutore. «È stato un incontro utile per chiarire come la Provincia sta procedendo nell'attuazione del Piano Eurac e garantire che all'interno del progetto Dmo manterrà il ruolo che ha sempre avuto», commenta il presidente della Provincia, Padrin. -r. c.
Corriere delle Alpi | 22 Dicembre 2020 p. 22 Ferrazzi: “Serve accrescere l’attrattività del territorio” PEDAVENA Non solo attrattività turistica per la provincia delle Dolomiti. Ma anche sociale ed economica. Andrea Ferrazzi, il direttore si Confindustria Belluno Dolomiti, lo ha detto chiaro e tondo davanti all'assessore Federico Caner.«È strategico accrescere l'attrattività del territorio, ma non solo per i turisti, ma anche per i talenti e gli investimenti. I dati demografici sono allarmanti: la provincia perde circa mille abitanti all'anno, e stiamo per scendere sotto la soglia dei 200 mila dopo che nel 1982 eravamo 220 mila. Ma sono le proiezioni ad essere inquietanti: si prevede che, nel 2030, ci saranno 18 mila giovani e 64 mila anziani. Mentre le persone nella fascia tra i 15 e i 64 anni passeranno dalle 143 mila unità del 1982, alle 124 mila di oggi fino alle 116 mila del 2030». Parallelamente, ha sottolineato Ferrazzi, stiamo assistendo alla concentrazione geografica di competenze e innovazione in alcune zone, prevalentemente urbane, che stanno trascinando la crescita economica mondiale. «Mentre in altre aree si assiste a fenomeni di abbandono, deindustrializzazione, disagio sociale. In mezzo ci sono territori, come il nostro, che possono ancora evolvere in una direzione o involvere nell'altra. Siamo perciò in una fase delicatissima di transizione - ha segnato il direttore di Confindustria -: servono politiche coraggiose e lungimiranti a sostegno della crescita economica e sociale della montagna bellunese. Il che significa, innanzitutto, favorire la nascita di un ecosistema dell'innovazione, che è uno degli elementi cardine per attrarre persone qualificate e per sostenere le imprese nella trasformazione tecnologica». E poi, secondo Ferrazzi, è strategico attuare un vero e proprio piano di marketing territoriale che segua e si incardini su quello elaborato da Eurac, con una visione complessiva di quali sono i valori e le vocazioni da promuovere, per fare in modo che qui arrivino non solo i turisti, ma anche aziende che vogliono investire e persone qualificate che possono trasferirsi per realizzarsi professionalmente. «Sottoscrivo in pieno - fa sapere il presidente Roberto Padrin -. L'attrattività turistica è determinante, come si è dimostrato anche l'estate scorsa, ma sicuramente non possiamo offrire vallate wilderness. Abbiamo bisogno di aziende nuove, non solo di nuove aziende, per trattenere e far rientrare i nostri ragazzi».Per Tatiana Pais Becher, sindaco di Auronzo, "sinergia e condivisione" - due parole scelte non a caso per il particolare momento di fibrillazione che vive la governance del turismo nel Bellunese - sono fondamentali per poter affrontare e ripensare il futuro turistico della nostra Provincia dopo l'emergenza Covid. È convinzione di Pais Becher che Comuni, Provincia, Regione, associazioni di categoria e privati condividono un unico obiettivo: lo sviluppo turistico della nostra Provincia che dovrà passare attraverso la valorizzazione delle risorse umane presenti in loco, la riprogrammazione dell'offerta, la creazione di un brand chiaramente identificabile, il potenziamento della comunicazione digitale, con ricadute positive sulla qualità della vita dei residenti. --F.D.M.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 22 Dicembre 2020 p. 8, edizione Belluno Turismo e tensioni, la Regione convoca tutti PEDAVENA «Clima di condivisione», «incontro utile ma con diversi istanti in cui qualcuno è andato giù pesante». Basterebbero gli aggettivi sufficientemente distanti per non dire contrapposti (Roberto Padrin, la prima e Federico Caner, la seconda) per spiegare che l'incontro di ieri mattina alla birreria di Pedavena è stato sì chiarificatore ma che qualche problema è anche venuto a galla. IL NODO A convocare la riunione l'Assessore regionale al turismo Federico Caner. Sul tavolo la gestione della Dmo e il futuro del progetto Eurac avviato dalla Provincia di Belluno. «I progetti di questo anno e mezzo - spiega il presidente della Provincia Roberto Padrin - sono stati fatti utilizzando i 5,6 milioni di euro che la Provincia gestisce dei Fondi di Confine. Ora vogliamo sviluppare il resto del piano: il prodotto digitale e le azioni che non sono state ancora sviluppate. All'interno di questa parte c'è anche l'analisi attorno al payoff. L'obiettivo è di
provare a capire se troviamo un marchio che segua questo payoff, come ha fatto il Trentino che ha legato ai suoi prodotti il concetto di Sud Tirol». LA REPLICA «Qualcuno si è chiesto che ragione ci fosse di convocare questa riunione - spiega l'assessore Caner - ma poi nel corso del dibattito è emerso chiaramente che in provincia di Belluno non c'è un'unità di intenti sul futuro del turismo. È emersa chiaramente la spaccatura». A dividere i partecipanti all'incontro il giudizio su Dmo (Destination Management Organization): secondo alcuni ha lavorato bene, secondo altri meno. «È emerso che tra sindaci, Dmo e Provincia non c'era dialogo. Sono uscite le magagne - riprende Caner - la legge regionale prevede però le Dmo e alla Regione spetta l'approvazione. La Provincia è sicuramente un attore importante, perché gestisce Fondi di Confine ma quelli sono soldi che hanno i sindaci. Vogliamo usarli per la Provincia, bene, ma qualsiasi intento di usare i fondi va condiviso con sindaci e Dmo». All'incontro Caner ha anche ribadito che Dmo, compatibilmente con il personale a disposizione, non poteva organizzare il turismo in provincia di Belluno, ma si è concentrata sul marketing «perché era la cosa più urgente». L'INTEGRAZIONE La fase due del piano Eurac che vorrebbe attuare la Provincia non ha avuto un disco verde incondizionato. «Se ora si vuole integrare - prosegue Caner - si può fare ma il presupposto è che la Dmo deve essere potenziata. Poi se loro hanno problemi con le persone lo devono gestire loro. Io dico che secondo me la Dmo ha lavorato bene a livello territoriale ma ci vuole maggior dialogo. Puoi fare gli studi che vuoi. Ma se ogni tre anni ripartiamo da capo con qualcuno che non ha la struttura per farlo, rischiamo di perdere tutto. Non piace The Mountain of Venice? Sia chiaro che se l'idea è proporre come alternativa Belluno non se lo fila nessuno. La legge regionale prevede già un brand che è The land of Venice per questo quello indicato per Belluno rappresenta un payoff. Va bene metterlo in discussione ma prima bisogna avere l'alternativa». L'INTESA Nessuna pacca sulla spalla all'uscita. Ma in questo hanno giocato un ruolo fondamentale anche le necessità di distanziamento sociale. I protagonisti dell'incontro si sono lasciati con una promessa: «Ragioniamoci attorno a un tavolo». La Regione ha messo a disposizione un dirigente per coordinare i lavori. «L'importante è andare tutti nella stessa direzione, essere tutti d'accordo». Un accordo che, almeno da quello che si è percepito, non sarà così facile da trovare e se non si è trovato in una birreria sarà complicato anche trovarlo altrove. Ma questo è il compito della politica. Andrea Zambenedetti
TRENO DELLE DOLOMITI L’Adige | 23 Dicembre 2020 p. 23 Treno Dolomiti nuovo studio Viabilità Rfi in campo La Provincia autonoma di Trento e Rete ferroviaria italiana collaboreranno allo svolgimento delle valutazioni preliminari sulla fattibilità tecnico-economica di un collegamento ferroviario tra le due linee commerciali «Primolano - Bassano del Grappa» e «Belluno Montebelluna». Rfi realizzerà lo studio, la Provincia fornirà la documentazione e le informazioni in suo possesso e sosterrà la spesa di 64.500 euro. Sarà anche costituito un gruppo di lavoro. Il tempo previsto per la conclusione dello studio è di 270 giorni. La Giunta provinciale di Trento ha approvato lo schema di convenzione, con un provvedimento proposto dal presidente, Maurizio Fugatti. Nel 2017 era stato approvato lo schema di Protocollo d'intesa tra la Provincia di Belluno, la Provincia autonoma di Trento e la Ragione Veneto per la realizzazione di un collegamento ferroviario sulla direttrice Feltre - Valsugana - Trento. Nel febbraio scorso la Giunta provinciale ha invece approvato lo schema di convenzione tra la Provincia di Belluno e la Provincia autonoma di Trento per l'avvio del progetto «Treno delle Dolomiti - ferrovia bellunese (Sud)».
Trentino | 23 Dicembre 2020 p. 14 Accelera il Treno delle Dolomiti Trento
Due fatti concreti fanno accelerare il Treno delle Dolomiti. L'elettrificazione della ferrovia della Valsugana, per ora finanziata sino a Borgo, ed il fatto che entro il 2030 gli attuali Minuetto a trazione diesel dovranno andare in pensione. Due realtà che hanno convinto il governatore Maurizio Fugatti ad andare a "vedere" con più convinzione se la tratta sia destinata ad uscire dal libro dei sogni o, al contrario, rimanere definitivamente in quell'ambito. E così la giunta ieri ha deliberato il via allo studio di fattibilità tecnico economica per un progetto di cui si discute da anni, quello di un collegamento tra le linee Primolano-Bassano del Grappa con la Belluno Montebelluna. Un anello di grande fascino, anche se con un bacino di potenziali fruitori non proprio vasto e dagli intuibili costi altissimi. Non è un segreto che l'esecutivo provinciale abbia in animo di seguire a breve il medesimo binario anche per un altro tratto, questa volta tutto Trentino, ovvero il collegamento tra Rovereto e Riva.Ma rimaniamo sul Ring delle Dolomiti, un anello per cui RFI realizzerà lo studio, la Provincia fornirà la documentazione e le informazioni in suo possesso e sosterrà la spesa di 64.500 euro. Sarà anche costituito un gruppo di lavoro. In primo luogo va detto che Trento si occupa di un progetto fisicamente situato in Veneto perché fa parte di quei ragionamenti sui territori di confine. Qui l' l'Autonomia è da tempo impegnata per fare digerire meglio la specialità a quei Comuni che per pochi chilometri sono esclusi dai benefici. Per quanto riguarda la tratta in questione si pensa ai residenti ma anche ad una possibile accessibilità turistica. Perché lo studio di fattibilità di un eventuale Ring si fa proprio ora? «Perché la Valsugana avrà l'attivazione del processo di elettrificazione sino a Borgo: siamo nella fase della progettazione e ci sono 59 milioni per realizzarla, entro il 2025» osserva Roberto Andreatta, dirigente del settore trasporti della Provincia. «E l'elettrificazione si porta in dote una suggestione. Quale? Visto che si arriva sino lì con una rete elettrica e che il ring delle Dolomiti in Veneto godrà di altrettanta elettrificazione, si potrebbe chiudere quell'anello. Anche perché la trazione diesel che oggi caratterizza la Valsugana verrà meno entro poco tempo». Se per Borgo ci sono già le risorse l'idea è quella di completare l'upgrade della ferrovia sino a Primolano. A quel punto il treno si troverebbe ad un passo dalla possibilità di salire verso Feltre.Lo studio di fattibilità comprenderà: la valutazione plano-altimetrica del tracciato del nuovo collegamento secondo tre alternative; la valutazione preliminare dei costi associati a ciascuna alternativa di tracciato ai fini di una analisi preliminare di redditività; lo studio di trasporto, finalizzato sia alla valutazione dei prevedibili effetti sulla mobilità intercomunale sia alla valutazione di indicatori da utilizzare nell'ambito dell'analisi preliminare di redditività dell'investimento; l'analisi finalizzata all'individuazione della migliore delle alternative esaminate; l'analisi costi benefici della migliore alternativa. Il tempo previsto per la conclusione dello studio è di 270 giorni. Il tema è anche quello della sostenibilità gestionale della ferrovia, visto che bisognerà comunque fare i conti con un territorio non molto popolato. Ma d'altra parte, sull'altro piatto della bilancia pesa il fatto che le motrici a trazione diesel dovranno essere pensionate entro la fine del decennio. Per il probabile completamento della Valsugana sino a Primolano (senza cui viene a cadere tutto il discorso dell'anello) si ragiona su treni ibridi alimentati a batteria, per avvicinarsi a quel tutto elettrico che appare nelle cose. E per cui il progetto dell'Anello delle Dolomiti potrebbe uscire dall'elenco dei sogni. G.T.
NOTIZIE DAI RIFUGI L’Adige | 1 Dicembre 2020 p. 12, segue dalla prima Estate, il Covid taglia i ricavi dei rifugi Per i rifugi alpini ed escursionistici dell'Associazione Gestori Rifugi del Trentino l'estate 2020 è stata di quelle da dimenticare. Da un sondaggio dell'Associazione risulta un crollo delle presenze del 73% con un conseguente calo del fatturato. Per i rifugi alpini ed escursionistici dell'Associazione Gestori Rifugi del Trentino l'estate del 2020 è stata caratterizzata da un crollo delle presenze straniere, dal calo del fatturato per la maggior parte delle strutture e da un aumento dei costi. La ragione? Ovviamente il Covid-19, o meglio gli effetti della pandemia che, esplosa a marzo 2020, ha prodotto restrizioni e limitazioni che si sono riflesse anche sull'attività dei rifugi. A darne la misura è il sondaggio effettuato dall'Associazione, i cui risultati sono stati presentati nella consueta assemblea annuale dei soci. Un'assemblea «strana» l'ha definita in apertura il presidente dei Rifugisti Ezio Alimonta , perché tenuta in videoconferenza nel rispetto delle norme Covid, e anche per il rinvio della parte elettiva - prevista per questa edizione - a un momento successivo «quando il virus si placherà, in modo da permettere la maggior partecipazione possibile agli associati nella scelta dei loro rappresentanti». L'incontro di quest'anno, ha continuato Alimonta, è stato pensato come un «momento di incontro e di confronto dove ragionare sulla stagione appena conclusa, per capire come sarà la prossima stagione invernale (se ce ne sarà una) ma soprattutto per gettare lo sguardo oltre la pandemia». Ad illustrare i risultati del sondaggio, cui hanno risposto 40 rifugi sul centinaio di associati, è stato il vicedirettore dell'Asat Davide Cardella . I risultati hanno fotografato la stagione estiva del campione, costituito per il 65% da rifugi alpinistici e per il 35% da rifugi escursionistici, il 68% dei quali posti sopra i 2.000 metri di altitudine. Oltre la metà dei rifugi interessati dal sondaggio hanno indicato una flessione del fatturato nella stagione estiva, contro un 18% che ha indicato di aver aumentato i ricavi. Tra le ragioni il fatto che sempre il 58% circa degli intervistati dichiara di aver perso mesi di apertura. Altra causa della perdita di fatturato è il crollo degli stranieri, fenomeno che ha riguardato il 100% degli intervistati anche se con percentuali diverse. Ma quasi il 60% dei rifugi ha indicato
un calo uguale o superiore all'80% delle presenze di turisti dall'estero. In parte l'assenza di clienti esteri è stata compensata dall'aumento della clientela italiana segnalata da tutti gli intervistati, con il 79% circa per il quale l'incremento è stato di almeno il 40% rispetto all'estate del 2019. Come conseguenza ecco il calo dei pernottamenti che ha riguardato il 73% del campione. Nota positiva il fatto che per circa il 47% è aumentato il lavoro di ristorante, contro un 26% che indica un calo. Il giudizio sulla stagione quindi nel complesso è stato negativo, anche se con eccezioni importanti. Un 16% la definisce da dimenticare, un altro 39% "mica tanto buona", coi voti negativi che assommano a circa il 55%. Per un 8% la stagione è andata come lo scorso anno, per un 29% è stata buona, per un 8% circa molto buona. Poco più di un rifugio su dieci spiega di aver avuto controlli dalle autorità sulle regole anti-Covid , mentre il 65% degli intervistati sostiene che la maggior parte dei clienti hanno rispettato le regole e un altro 31% che tutti i clienti le hanno rispettate. Un 86% del campione ha ritenuto giuste quelle approvate dalla Provincia. Il presidente di Asat, Gianni Battaiola ha detto che «grazie ai rifugi tutti i turisti, anche chi non era mai stato in montagna, hanno avuto la possibilità di avvicinarsi alla montagna». «Rimangono da affrontare - ha sottolineato Cardella - la modifica della legge 8 del 1993, che regolamenta le attività dei rifugi, per adeguarla al mercato. Inoltre, soprattutto alla luce dell'attualità, i rifugi dovrebbero poter contare sulla connettività di banda larga». L'assessore al turismo Roberto Failoni ha rassicurato i rifugisti su una presa in carico della legge 8 del 1993. «Nel 2021 - ha affermato - procederemo con un percorso di ascolto molto approfondito per capire quali sono i cambiamenti reali che ci sono stati in questi 27 anni. Solo allora decideremo come modificare la legge, nell'eventualità, come intervenire con una nuova legge». Failoni ha ricordato che «è intenzione dell'assessorato quella di concludere il progetto di messa in rete iniziato, con una tempistica di due anni per trovare una soluzione di connettività efficace per tutto il Trentino».
Alto Adige | 3 Dicembre 2020 p. 34 I gestori dei rifugi: vogliamo solo iniziare a lavorare daniela mimmi VAL GARDENA "Smettete di dire: "per una sciata". No, non è una sciata. Siamo persone, famiglie, vallate. Siamo impiantisti, rifugisti, noleggiatori, maestri di sci, ma siamo anche alberghi, agenzie immobiliari, bar, ristoranti, negozi... Siamo vallate intere che vivono grazie alla neve. Non siamo solo una sciata! Smettete di dire: "prenderete le risorse" (a vederle le risorse) ma comunque no, noi gente di montagna preferiamo risvoltare le maniche e darci da fare, i sussidi li lasciamo volentieri a chi non può e non riesce a lavorare. E non credo ci siano sussidi per tutti. Faremmo volentieri in maniera differente, ma l'asporto con i rifugi è impossibile, noleggiare a distanza non ha senso, impartire lezioni di sci dal divano è assai riduttivo e non credo nemmeno che qualcuno pagherebbe per un giro in funivia in streaming. Smettete di dire : "faranno sacrifici " i sacrifici li stiamo facendo come tutti da febbraio, non abbiamo paura dei sacrifici. Chiediamo solo di darci la possibilità di fare il nostro lavoro, in sicurezza. Non ci serve un comitato scientifico per capire come smaltire le code, ce la possiamo fare, gli impiantisti lavorano da quest' estate a dei piani per evitare assembramenti. Siamo disposti tutti a subire delle ristrettezze in termini di numeri e persone. Chiediamo inoltre a chi non sa, di tacere, perchè la vostra semplice sciata in realtà è la nostra vita!". Così scrive sulla sua pagine Facebook Sharon Colombo, maestra di sci che gestisce il Rifugio Stella ai Piani di Bobbio a Barzio, in provincia di Lecco. Rifugio appena preso in affitto e che forse dovrà cedere. "Se non ci fanno aprire per Natale, siamo costretti a rinunciare al nostro sogno", dice. Il suo post, secco, lucido, senza vittimismi e autocommiserazioni, sta facendo il giro del web ed è la risposta a quanti inondano la rete di riflessioni tipo: "La gente muore e voi pensate a sciare", "Le discoteche ci hanno portato la seconda ondata, adesso sarà lo sci!", "Per un anno si può stare anche senza sciare", "Con tutti i soldi che avete, potete anche stare chiusi per un anno!" e via dicendo. Il post della maestra di sci lombarda, che ha avuto 150.000 visualizzazioni, è stato ripreso e rilanciato anche da Alex Monteleone, titolare del Rifugio Saleil a Passo Sella. «L'ho rilanciato sulle pagine del rifugio perché Sharon è lucida e fredda, non offende nessuno, non incolpa nessuno. Lei e tutti noi vogliamo solo lavorare. Non abbiamo contributi come in Germania, non abbiamo niente, ma nel mio albergo ci sono 50 dipendenti. Sono disperati: hanno famiglia, devono pagare gli affitti, mangiare, vivere. Ho voluto rispondere con le parole di Sharon a quanti considerano lo sci un passatempo da vacanzieri spensierati, una cosa di cui si può fare a meno, e ai politici che non fanno niente per noi». Monteleone non apprezza per niente la proposta di Kompatscher di aprire gli impianti, e eventualmente i rifugi, solo per i residenti. «Le spese di gestione sono troppo alte per tenere aperto solo per pochi clienti. Qui bisogna riscaldare tutta la casa, non è come al mare. La stessa cosa per gli impianti: con una capienza del 50% si viaggia sul filo del rasoio. Tante strutture saranno costrette a chiudere per sempre. Noi chiediamo solo di poter lavorare, nient'altro". Prospettive future? «Si parla di aprire il 7 gennaio, ma io sono sicuro che rinvieranno. E la stagione sarà perduta, o quasi...».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Gazzettino | 4 Dicembre 2020 p. 13, edizione Belluno Il rifugio Nuvolao resta orfano di Mansueto e Jo Anne Il rifugio Nuvolau avrà un nuovo gestore, dal prossimo anno. Mansueto Siorpaes e Jo Anne Jorowski lasciano, dopo 47 anni di attività continua, sulla vetta della montagna che domina la conca d'Ampezzo da una parte e l'Agordino dall'altra. A dare la notizia, che suscita grande scalpore fra le migliaia di appassionati che frequentano quella cima, è la sezione di Cortina del Club alpino italiano, con la presidente Paola Valle: «Con il 31 marzo 2021 il nostro storico gestore lascerà per raggiunti limiti di età. Il Cai Cortina è rammaricato per questa decisione improvvisa, ma anche consapevole che i nostri amici Mansueto e Giovanna Siorpaes abbiano tutto il diritto di godersi i prossimi anni in serenità e tranquillità». Il Cai fa sapere che il bando per la nuova gestione verrà pubblicizzata nel prossimo mese di gennaio, con scadenza a fine febbraio, in quanto il contratto con il nuovo gestore avrà decorrenza dal 1 aprile 2021. Si volta così una pagina importante nella ricettività sulle Dolomiti d'Ampezzo, dopo quasi mezzo secolo. Mansueto Siorpaes e Jo Anne Jorowski salirono lassù nel 1973, per poi portarci i tre figli David, Kevin e Wendy. Il rifugio nacque nel 1883, grazie alla donazione dell'escursionista tedesco Richard von Meerheimb, un colonnello della Sassonia: per questo motivo il primo nome della struttura fu proprio Sachsendankhutte, il rifugio del ringraziamento del Sassone. Fu inaugurato l'11 agosto di quello stesso anno. Distrutto durante la Prima guerra mondiale, poi più volte ampliato, riprese l'attività nel 1930, inaugurato il 3 agosto. Oggi è uno dei punti di riferimento per gli escursionisti a Cortina. Nel 2003, alla festa per i cento e vent'anni del rifugio e nel trentesimo della sua gestione, Mansueto Siorpaes commentò con semplicità il traguardo raggiunto: «Non ci vedo nulla di straordinario, perché qui il panorama l'ha fatto il buon Dio. Noi ci abbiamo messo solamente il nostro lavoro. Spero di andare avanti ancora a lungo: mi sento bene, mi piace, ho voglia di farlo. Devo solo dire grazie a quanti ci hanno aiutato, in trent'anni: senza di loro non ce l'avremmo fatta». La moglie Jo Anne è venuta dal Canada per amore di Mansueto, che andò oltreoceano come maestro di sci, e lassù si è fermata: «E' stato il Nuvolau a convincermi a restare in Italia: lì non esistono montagne come queste. Abbiamo fatto la prima stagione quassù nel 1973, con tanti disagi, poi in autunno ci siamo sposati e da allora non ci siamo mai più staccata da questo posto». (mdib) © riproduzione riservata
Corriere del Trentino | 19 Dicembre 2020 p. 9 Sat, bilancio ok «Rifugi, colpiti quelli di alta montagna» La Società degli alpinisti tridentini (Sat) ha approvato ieri, nell’assemblea a distanza di fine anno, la relazione morale di Anna Facchini e i dati di bilancio 2020, anno anomalo e gravoso a causa del Covid. A tenere banco anche la situazione dei Rifugi: «I gestori hanno affrontato l’estate 2020 con professionalità imprenditoriale — spiega facchini — riuscendo, seppur con fatica e stress, a chiudere quasi tutti con risultati di sostanziale tenuta. I mesi di lockdown hanno penalizzato maggiormente i Rifugi ad apertura annuale, quelli di bassa quota con attività prevalentemente ristorativa, quelli di alta montagna vocati anche per la pratica dello sci alpinismo o in prossimità di zone sciistiche, con crollo verticale dei ricavi».
VALANGA AL RIFUGIO PIAN DEI FIACCONI L’Adige | 16 Dicembre 2020
p. 19 Pian dei Fiacconi, valanga sul rifugio leonardo pontalti Un pezzo di storia sepolto, travolto, spazzato via. La valanga che nei giorni scorsi si è staccata lungo la parete nord est della Marmolada ha distrutto il rifugio Pian dei Fiacconi. Per sempre: metà struttura è stata danneggiata in maniera irreparabile, l'altra metà sarà da demolire. E difficilmente verrà ricostruita. Forse il rifugio potrà essere riedificato ma altrove: di quel Pian dei Fiacconi non resterà niente. A lanciare l'allarme era stato lunedì il pilota di un elicottero impegnato in un sorvolo sulla Regina delle Dolomiti: dall'alto era ben visibile il fronte del distaccamento di neve, ghiaccio e rocce, così come appariva evidente il fatto che la valanga avesse investito in parte anche la struttura, a 2.626 metri di quota. Così, ieri mattina il gestore Guido Trevisan, assieme ai soci Davide Menegazzi, Stefano Cattarina e Sirio Pedrotti e ad altri amici, sono saliti con le pelli per verificare la situazione. Nessuno di loro immaginava di trovarsi davanti un disastro del genere: in passato valanghe e slavine erano sempre state nell'ordine delle cose ma le abituali precauzioni, con porte e finestre sbarrate, perimetro protetto da barriere il legno e così via - comuni alla gran parte delle strutture uin quota durante le chiusure invernali - erano sempre bastate. Questa volta la valanga è caduta con grande violenza, forte di un fronte impressionante (le prime stime parlano di 600 metri, provate a immaginarli) e non ha lasciato scampo alla struttura. Pare che a muoversi sia stata le neve lungo l'intero versante, caduta copiosa nei giorni scorsi: oltre tre metri in cinque giorni. Parte di questa massa - presumibilmente sabato 12, anche se non si esclude che la valanga possa risalire a qualche giorno prima - è finita a valle. Una delle ipotesi è che la valanga si possa essere infilata lungo l'ampio canale compreso tra punta Penia e punta Rocca. Alle spalle del rifugio, da anni ormai - con il ritiro del ghiacciaio - si è formata una conca in cui solitamente le valanghe si fermano.
Questa volta invece l'avvallamento deve aver fatto da trampolino per neve e ghiaccio che - in base al tipo di danni rilevati - sono piombati presumibilmente dall'alto sulla struttura, facendola collassare. La parte alta, delle camere, è stata distrutta, con la copertura scaraventata sul davanti, come il coperchio di una scatola da scarpe. La valanga ha risparmiato il rifugio Ghiacciaio Marmolada, a monte del Pian dei Fiacconi. Potrebbe forse essere da lì che l'avventura di Guido e dei suoi soci potrebbe ripartire: tra colleghi rifugisti, operatori della montagna e altri appassionati e amici, già da ieri si è fatta largo l'idea di partire subito con una raccolta di fondi per la ricostruzione. La valanga ha distrutto anche la stazione a monte dell'impianto che saliva dal Fedaia, ma che è stato dismesso con il termine della scorsa stagione.
L’Adige | 16 Dicembre 2020 p. 19 «Sono vent'anni di vita buttati via» il proprietario Guido Trevisan è salito ieri mattina: «Non si è salvato nulla» «Vent'anni. Vent'anni di vita buttati». Ha lo sguardo vuoto e il fiato corto Guido Trevisan, nel video che ha inviato agli amici e diffuso sui social per documentare l'accaduto. Ansima non per la fatica della risalita con le pelli dal passo Fedaia al suo rifugio. Ma per lo sconforto nel vederlo ridotto così. «Metà è stato distrutto, l'altra metà è da demolire. Camere e dispensa, nei locali superiori, non ci sono più. Quel pezzo è stato scoperchiato, con il tetto che è finito sopra quello della sala, sfondandolo». Non si è salvato niente. « Niente. Anche la parte che esternamente sembrava essere stata risparmiata, dentro è un macello. I muri sono stati spostati di dieci centimetri, solai e pavimenti hanno ceduto, i muri sono pieni di crepe. No, non si è salvato niente». Quando è salito? «Siamo partiti ieri alle 6 dal Fedaia, i mei soci, io e alcuni amici. Volevamo dare un'occhiata dopo la segnalazione arrivata lunedì ma non pensavamo di trovare quello che abbiamo trovato. Slavine ne sono sempre scese, ma mai di questa portata, con questi effetti». Dentro c'era il suo lavoro, ma anche la sua vita. «La mia, la nostra, quella dei tanti che passavano di qui. Non è rimasto niente». Il dolore di Guido Trevisan e dei soci Davide Menegazzi, Stefano Cattarina e Sirio Pedrotti è quello di tanti appassionati e colleghi. In particolare di Sergio Rosi , proprietario col figlio Daniele del rifugio passo Principe, nel Catinaccio, ma prima ancora ex socio di Trevisan. Assieme avevano rilevato il Pian dei Fiacconi dalla famiglia Platter nel 2001, ristrutturandolo. «Per me Guido è come un figlio. Ha iniziato a lavorare con me al rifugio Carè Alto, in Adamello, poi assieme abbiamo acquistato e ristrutturato il Pian dei Fiacconi. L'ho visto crescere, Guido, finché è diventato un collega in grado di andare avanti da solo. Vedere le foto, sentirlo sconfortato, fa molto male. Speriamo possa ripartire. Di certo se potrà essere ricostruito, il rifugio dovrà rinascere non nello stesso punto. Speriamo possa accadere. La valanga non ha spazzato via l'impegno di Guido Trevisan e dei suoi Soci, di Sergio e Daniele Rosi, ma anche di tanti altri che in precedenza avevano fatto crescere la struttura dalla sua realizzazione, nell'immediato dopoguerra. Era il 1946 quando l'allora chalet aveva preso forma. Nomi storici per la Val di Fassa e la Marmolada: Parmesani, Baldissera, Platter. Le. Po. L’Adige | 17 Dicembre 2020 p. 15 Dopo la valanga sul Rifugio è scattata la rete solidale elisa salvi canazei Che Guido Trevisan, in vent'anni d'attività del rifugio Pian dei Fiacconi, abbia "costruito" molto di più di un rifugio ai piedi del ghiacciaio della Marmolada, lo si capisce chiaramente dall'affetto e la solidarietà scattati non appena si è diffusa la notizia della valanga che, la sera del 14 dicembre (ma è sempre più accreditata l'ipotesi che il distacco sia avvenuto qualche giorno prima), ha quasi demolito la struttura. Il fronte di neve ampio 600 metri e capace di spostare i muri del rifugio di dieci centimetri, non ha affatto scalfito il rapporto creatosi nel tempo con la Marmolada, montagna affascinante quanto austera e difficile, e con gli alpinisti e le tante persone che conoscono Guido e condividono la sua visione di presidio di montagna capace di integrarsi in modo sostenibile nell'ambiente dolomitico.Così sin da martedì si è diffuso un tam-tam tra gli amici e i social media per una raccolta fondi per aiutare Guido (padre di tre figli) e i soci, Davide Menegazzi, Sirio Pedrotti e Stefano Cattarina, con cui dall'estate scorsa gestisce anche il Rifugio Ghiacciaio
Marmolada.«In queste ore - spiega Federico Sordini, amico di Trevisan - la guida alpina Valerio Scarpa abbiamo promosso l'apertura di conto corrente il cui beneficiario è Guido Trevisan (Coordinate bancarie: Iban IT64 I058 5635 2200 7757 1457 626 - Bic BPAAIT2B077). Si tratta di un aiuto immediato, anche in vista del Natale, che sarà accompagnato da una raccolta fondi su Facebook, attivata da altri amici nei prossimi giorni».Si punta in poco tempo a mettere insieme una somma simbolica ma significativa, disponibile almeno in parte già per le feste. La notizia della valanga ha scosso tutti in valle, in particolare a Canazei, come sottolinea il primo cittadino Giovanni Bernard: «Siamo dispiaciuti e vicini a Guido Trevisan e ai suoi soci, che vivono una situazione difficile. La valanga è il frutto di una concomitanza di circostanze sfortunate: precipitazioni nevose copiose, che non capitavano da tempo; stratificazioni in cresta e un rialzo improvviso delle temperature che hanno provocato un distacco nevoso importante». Un evento su cui il sindaco attende dati certi. «In questi giorni sono state effettuate solo ricognizioni con gli elicotteri. Aspettiamo, appena possibile, le rilevazioni degli esperti per capire se si tratti di un episodio eccezionale e quanto possa essere collegato ai fenomeni indotti dal cambiamento climatico e alle nuove morfologie del clima e del territorio che siamo chiamati a esplorare e fronteggiare».La valanga, che ha spazzato via anche la stazione a monte della storica cestovia (chiusa nel 2019 per fine vita tecnica) che dal Fedaia portava a Pian dei Fiacconi, sta inducendo, in alcuni, riflessioni sul progetto di un nuovo impianto. «Al di là della funzione e validità dell'impianto - dice Bernard questo evento potrebbe comportare specifiche valutazioni, da parte della società che avanza il progetto, in merito a scelte realizzative e a eventuali protezioni».©RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTIZIE DAI PARCHI Corriere delle Alpi | 4 Dicembre 2020 p. 25 Parco, sette milioni di euro per tutta l'area protetta Raffaele Scottini FELTRE Un pacchetto da 7 milioni di euro di investimenti. È «una cifra assolutamente importante» quella che il Parco delle Dolomiti aspetta di vedersi autorizzare dal Ministero e che permetterebbe di eseguire una serie di operazioni che spaziano su tutto il territorio dell'area protetta. Il bilancio di previsione dell'ente di villa Binotto è stato approvato dal consiglio direttivo (che si è riunito in rigorosa videoconferenza), dopo aver acquisito il parere favorevole della Comunità del Parco (cioè l'organismo deputato a dare le linee guida, di cui fanno parte i rappresentanti dei Comuni).Proprio nei giorni di elaborazione del bilancio poi, il Ministero ha annunciato quattro aspetti di finanziamento, che non sono potuti entrare nel bilancio di previsione perché ormai era troppo tardi, ma che si aggiungeranno.«Sono 63 mila euro per un piano pluriennale di recupero dei muretti a secco in tutta la zona pre Parco», spiega il presidente del Parco delle Dolomiti Ennio Vigne. «Un altro intervento importante, da 43 mila euro, interesserà la sentieristica. La terza è un'iniziativa di plastic free attraverso Legambiente e la quarta riguarda l'educazione ambientale con le scuole, dalle materne alle superiori. Non è ancora la cifra che sarà a disposizione per supportare i Comuni nelle campagne di questo genere».Voltando pagina, un aspetto importante sul quale il Parco punta molto per il 2021 è quello della segnaletica per dare maggiore visibilità al territorio dell'area protetta, che deve essere facilmente identificato attraverso la cartellonistica per guidare i visitatori e per dargli il benvenuto. «È indispensabile la collaborazione dei Comuni per il completamento della tabellazione dei confini del Parco e il miglioramento della segnaletica, ma è una cosa che si fa solo in stretta sinergia, perché si tratta di andare nel dettaglio», dice il presidente Vigne, riguardo a un aspetto ritenuto strategico per fare un balzo in avanti in termini di visibilità. «Quest'anno la pandemia non ci ha aiutato e allora ci riproviamo». Approvato dal consiglio direttivo, il bilancio di previsione adesso va al Ministero per l'ultima parola. Confermate naturalmente le iniziative storiche, con tutta l'attività scientifica. Riguardo alla parte corrente (cioè il denaro che serve al normale funzionamento dell'ente), «il bilancio è stretto e il pareggio viene raggiunto con l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione. Stiamo cercando di aumentare le entrate proprie», commenta Ennio Vigne. Che infine aggiunge.«È alla firma del ministro il regolamento, mentre il Piano del Parco (lo strumento fondamentale di pianificazione territoriale dell'area protetta) è in Regione, quindi penso che nei primi mesi del 2021 ci sarà la fase delle osservazioni e anche su questo stiamo andando avanti bene. Nonostante la pandemia, riusciamo a costruire cose importanti. Abbiamo tanta carne al fuoco e una rete di relazioni che si è ravvivata». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
Messaggero Veneto | 4 Dicembre 2020 p. 35, edizione Pordenone
Comunità di montagna «Non si strumentalizzi il Parco delle Dolomiti» Giulia Sacchi Maniago «Il sindaco di Maniago, Andrea Carli, non utilizzi strumentalmente un'ipotetica separazione del Parco delle Dolomiti friulane, che non ha ragione di esistere, per giustificare la sua adesione alla Comunità di montagna ovest. Il ruolo dell'ente Parco è diverso da quello delle future Comunità: è nato, tra l'altro, a cavallo di due province e tre ex Comunità montane. Le funzioni dei due organismi non vanno confuse. Maniago non è membro del Parco e le Dolomiti nella città del coltello non ci sono: è singolare che Carli, attuale presidente dell'Uti, tiri in ballo questo termine. Le Dolomiti logorano chi non le ha». Lo afferma il presidente del Parco e sindaco di Erto e Casso, Fernando Carrara, il cui rapporto con Carli è da sempre fatto di stoccatine e punzecchiature. «Basti pensare a quanta importanza è stata data dalla gestione Uti alla partecipazione nella fondazione Dolomiti Unesco: in tale istituzione, per diritto, spettano seggi in consiglio di amministrazione ai soci fondatori, tra i quali la Provincia - prosegue -. Con la soppressione di quest'ultima, la rappresentanza è stata data alle Uti. Carli ha tenuto per sé tale seggio, senza tuttavia dedicarsi con passione a ciò: non c'è mai stata una discussione sui temi della montagna né coi Comuni cuore dell'area dolomitica né nell'Unione. Per l'Uti, essere componente di Dolomiti Unesco o essere abbonata al Guerin sportivo è la stessa cosa in termini d'importanza».«In occasione della festa del decennale, tenutasi a Cortina d'Ampezzo a giugno 2019, sono intervenuti tutti i componenti della fondazione tranne il rappresentante delle Dolomiti friulane, che, rimanendo tra la folla, non ha avuto neanche la voglia di alzarsi - rincara Carrara -. Aver delegato il sindaco di Sequals, comune notoriamente dolomitico, a rappresentare l'ente in qualche riunione Unesco è altra prova del disinteresse di Carli. Ma è noto che i sindaci dei veri comuni dolomitici (Valcellina) non sono di suo gradimento. Ce ne faremo una ragione, ma è inammissibile che si strumentalizzi un nome tanto evocativo per fini politici».Carrara chiude con una battuta. «Chissà se qualcuno ha informato le autorità di Cipro sulla fine delle Uti, visto che su quell'isola il "nostro" presidente si è recato a decantare l'Unione territoriale più grande d'Italia - ironizza -. Tutto scorre e il tempo è galantuomo: per l'Uti rimane solo la messa da requiem, con l'auspicio, non scontato, che le Comunità di montagna possano dare ai territori ciò che è mancato sino a ora». --© RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTIZIE DAI CLUB ALPINI ITALIANI Corriere delle Alpi | 9 Dicembre 2020 p. 32 Alta Via numero 5: un progetto di rilancio che vale 80mila euro PIEVE DI CADORE L'Unione Montana di Centro Cadore investe sul rilancio dell'Alta Via numero 5. Assegnati alle guide alpine Tre Cime i lavori di ripristino e messa in sicurezza del primo percorso alpinistico delle Dolomiti che dalla Pusteria arriva fino a Pieve. Un progetto articolato, che vede in prima linea il Cai Veneto, finanziato dai fondi di confine per una cifra che si aggira intorno agli ottantamila euro. Soldi che l'UM di Centro Cadore ha affidato alle guide alpine Tre Cime che si occuperanno dei lavori di messa in sicurezza e tabellazione del percorso, considerato uno dei più affascinanti, alpinisticamente parlando, delle Dolomiti. I lavori interesseranno, in particolare, il tratto conosciuto come strada Sanmarchi, che va da forcella Marmarole, sopra la val Da Rin, fino ai rifugi San Marco, Galassi e Antelao. Si tratta, spiegano gli esperti, del segmento più selvaggio ed anche per questo più impegnativo dell'intera Alta Via numero 5 che parte da Sesto Pusteria ed arriva a Pieve.«Il percorso è esposto a continui assestamenti della roccia ed alla caduta di sassi dalla sommità delle pareti che lo sovrastano», racconta Alex Pivirotto, guida alpina chiamata a coordinare l'intervento, «quindi ha bisogno di frequenti interventi di messa in sicurezza e di ripristino. La consistenza economica di questo cantiere consentirà la messa in opera di alcuni ausili che allungheranno i tempi di tenuta. Di certo dopo questi lavori si potrà stare tranquilli per un po' di tempo».A valutare positivamente il progetto illustrato da Alex Pivirotto è stato Lio De Nes, guida alpina di collaudata esperienza per quanto riguarda la manutenzione delle ferrate al quale l'UM di Centro Cadore ha affidato l'incarico di seguire i lavori da realizzare in quota. Il progetto di ripristino della strada Sanmarchi è stato già presentato nel corso di una riunione alla quale hanno partecipato il presidente dell'UM di Centro Cadore, Pier Luigi Svaluto, e il vicepresidente Giuseppe Casagrande. Quest'ultimo ha sottolineato l'attenzione che l'UM di Centro Cadore sta rivolgendo al turismo d'alta quota passando per la promozione del patrimonio sentieristico.«Per noi è importante stabilire punti d'incontro col territorio», ha concluso Svaluto, «per questo è determinante lavorare in sinergia con i Comuni, l'imprenditoria locale, le associazioni della montagna, il Cai, le guide alpine e gli accompagnatori di media montagna. Tra le risorse turistiche del Cadore, la rete sentieristica per come si articola e per i paesaggi dolomitici che consente di ammirare rappresenta una ricchezza da scoprire e valorizzare».Non a caso, oltre all'Alta Via numero 5, l'UM Centro Cadore ha "sposato" altre cause sul fronte della rete sentieristica
locale: sentieri di fondo valle, traversata del Cadore e via dell'Acqua figurano, tutte, tra gli interventi cui l'ente sta lavorando. --Gianluca De RosaŠ RIPRODUZIONE RISERVATA