Giroinfoto magazine 55

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N. 55 - 2020 | MAGGIO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com

N.55 - MAGGIO 2020

www.giroinfoto.com

Oregon Coast Band of Giroinfoto

ALL AMERICAN REPORT

TREK IN SCAMPIA NAPOLI Di Mariella Soldo

TIBIDABO SPAGNA Di Mariangela Boni

SANTORINI LA BELLISSIMA Di Barbara Lamboley Photo cover by Barbara Tonin


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WEL COME

55 www.giroinfoto.com MAGGIO 2020

Giroinfoto Magazine nr. 53


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la redazione | Giroinfoto Magazine

Seattle skyline by Giancarlo Nitti

Benvenuti nel mondo di

Giroinfoto magazine

©

Novembre 2015,

da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti

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Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.

Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.

Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.

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L E G G I L A G R AT U I TA M E N T E O N - L I N E www.giroinfoto.com Giroinfoto Magazine nr. 53


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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente

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ANNO VI n. 55

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20 Maggio 2020

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LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci Studios, hello@giroinfoto.com DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati.

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CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.

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I N D E X

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C O N T E N T S

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SANTORINI

28 URBEX

OSPEDALI ABBANDONATI

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OREGON COAST

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OREGON COAST All American Report Di Barbara Tonin e Mariangela Boni

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SANTORINI Kallístē "la Bellissima" Di Barbara Lamboley

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OSPEDALI ABBANDONATI Urbex Di E.C. e G.G.

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TIBIDABO Spagna Di Mariangela Boni

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TREK IN SCAMPIA Napoli Di Mariella Soldo


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TREK IN SCAMPIA

ACROPOLI Atene Di Adriana Oberto

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MONTERANO Trekking Band of Giroinfoto Roma

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ISTANBUL Tra oriente e occidente Di Alessandro D'Angelo LE TUE FOTOEMOZIONI Questo mese con: Ciro Schiavone Tino De Luca Rita Russo

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ACROPOLI

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90

MONTERANO

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A cura di Barbara Tonin e Mariangela Boni

Barbara Tonin Fabrizio Rossi Mariangela Boni

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La costa dell’Oregon

Nel nostro viaggio, lasciata la California alla volta di Seattle, abbiamo percorso la Highway 101 lasciandoci incantare dalla costa mozzafiato dell’Oregon. È una delle aree geologicamente più attive: le montagne appaiono basse ma ripide, frastagliate e sezionate da canyon fluviali… un paesaggio in continua evoluzione. Infatti, nei quasi 500 km di costa il paesaggio muta: spiagge bianchissime si alternano a spiagge dorate, morbide dune a rocce frastagliate…

Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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L’area costiera Seal Rock

Cape Perpetua

Tokatee Klootchman

Oregon Dunes

Face Rock, Coquille Point

Gold Beach

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si estende tra i fiumi Columbia e Coquille e le montagne Klamath. La pioggia contraddistingue questa regione, ad eccezione dei tre mesi estivi. I fiumi corrono freneticamente, giù per i canyon tempestati di conifere, per poi rallentare all’avvicinarsi dell’Oceano, scorrendo in canali più bassi dove le conifere cedono il posto a pioppi, ontani, salici e arbusti decidui. I fiumi si allargano, alcuni in ampi estuari e finalmente si fondono con l’Oceano Pacifico. I fiumi che attraversano l’Oregon sono diversi: Il Columbia è il più grande e sfocia ad altezza di Astoria, al confine tra Oregon e Washington. Più a sud ci sono il Tillamook e il Siletz, che sfocia a Gleneden Beach, poi il fiume Yaquina a Newport. Il fiume Siuslaw entra nel piccolo estuario di Florence e i fiumi Smith e Umpqua formano un grande estuario a Reedsport prima di attraversare la striscia di 60 km di dune che si estende da Florence a North Bend. A sud della foce del fiume Coquille a Bandon, le montagne di Klamath iniziano a salire contro la costa e i fiumi scorrono dritti nell’oceano. Coquille sfocia nel Pacifico a Bandon e i fiumi Sixes e Elk entrano a Port Orford. Un altro fiume è Pistol River che sfocia poco lontano da Gold Beach. Sembra che il nome nasca da un episodio avvenuto nel lontano 1853, quando il pioniere James Mace perse la sua pistola nel fiume. Nel mezzo c’è Cape Blanco, il punto più occidentale dell’Oregon. Più a sud, tra Gold Beach e Brookings, il clima è più caldo, i porti più piccoli e le comunità più isolate. Le valli fluviali costiere sono strette, il paesaggio montuoso e boscoso lascia poco spazio alla terra coltivabile e, infatti, è il commercio del legname il settore trainante dell’economia.


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Fabrizio Rossi Photography

La lotta per la privatizzazione Le spiagge ampie e piatte, sono state a lungo a rischio di privatizzazione. Le spiagge venivano utilizzate dai nativi americani per il trasporto, la raccolta di cibo e altre attività.

clienti del Motel. Alcuni cittadini lo denunciarono. Il gesto di Hay aveva messo in luce una falla nella legge del 1913 che tecnicamente proteggeva solo le parti bagnate delle spiagge.

Anche i coloni bianchi, approdati nel 1800, ricorsero presto all’utilizzo delle spiagge per il trasporto nordsud, essendo difficile costruire strade in quell’area per via dei promontori. Gli abitanti delle montagne, grazie allo State Land Board, avevano la possibilità di acquistare case mobili sulla costa. Fu il Governatore Oswald West, con una legge approvata nel 1913, a porre un freno alla privatizzazione. Questa legge dichiarava la costa dell’Oregon un’autostrada pubblica, poi la designazione fu cambiata da “autostrada” ad “area ricreativa” nel 1947.

Con il “House Bill 1601” del 1967 cercarono di porre rimedio a questa falla. Il disegno di legge dichiarava proprietà dello Stato tutta la sabbia bagnata dalla linea di bassa marea fino a 5 m in linea verticale. Inoltre tutta l’area fino alla linea di vegetazione era considerata di servitù pubblica.

Nel 1966 un’altra minaccia arrivò da Bill Hay, proprietario del Surfand Motel a Cannon Beach. Hay collocò una serie di tronchi sulla spiaggia per delimitare un’area di spiaggia ad uso esclusivo dei

La legge imponeva ai proprietari di immobili di ottenere i permessi statali per la costruzione e altri usi della riva e nel contempo dichiarava che il pubblico avrebbe avuto un uso gratuito e ininterrotto delle spiagge. Oggi alcuni tratti di spiaggia rimangono di proprietà privata. Tuttavia, gli sforzi di attivisti, cittadini e leader politici hanno protetto l’accesso libero a queste magnifiche spiagge.

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Barbara Tonin Photography

Gold Beach è il capoluogo di Curry County e dista poco più di 60 km dal confine californiano. Nel 1853, nella sabbia vicino alla foce del fiume Rouge, trovarono delle pietre luccicanti: era oro! E così, quella che in origine si chiamava Ellensburgh, prese il nome di Gold Beach. I cercatori d’oro si riversarono nella zona e sorsero diverse miniere, non solo di oro ma anche di rame e altri minerali. Ad un certo punto ci fu persino una cava di estrazione di giada. Tuttavia queste miniere erano meno ricche di quanto si pensasse e oggi c’è solo qualche miniera attiva a monte. Ma in questa zona c’era un’altra enorme ricchezza da sfruttare: il salmone. Per anni la pesca del salmone fu effettuata con tramagli e con sciabiche.

Nel 1876, Robert D. Hume vi stabilì un’industria conserviera: da allora il salmone ha svolto un ruolo fondamentale nell’economia locale. Nel 1935 il legislatore statale fu costretto a vietare la pesca commerciale perché la sua rapida espansione provocò una riduzione altrettanto celere dei banchi di pesce. Da allora in compenso ha conosciuto un forte incremento la pesca sportiva. Numerose organizzazioni di appassionati hanno dato vita ad attività per proteggere e aumentare la popolazione di salmoni nel Rouge e anche in altri fiumi dell’Oregon. Essendo stata la pesca una delle attività trainanti di Gold Beach, non sorprenderà che una delle star del posto sia il piroscafo Mary D. Hume.

Barbara Tonin Photography

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La tempesta e il vento si abbatterono sulla costa di Gold Beach e sulla nave a vapore “Varuna” che non resse la furia degli elementi e affondò nel fiume Rogue. Era il 1880. Il magnate Hume riuscì a recuperare il motore a vapore e si diede subito da fare per sostituire il mercantile andato perduto. Individuò in un maestoso cedro bianco di 42 m sulle rive del fiume la chiglia della nuova imbarcazione. Le radici, per la loro naturale curvatura, erano l’ideale per le ordinate. Il 21 gennaio 1881 la nuova imbarcazione fu inaugurata con il nome di Mary D. Hume in onore della moglie del Sig. Hume. Da allora prestò servizio per ben 97 anni. È stata la nave commerciale con il servizio più longevo della costa del Pacifico e mantenne il proprio nome immutato per tutto il tempo. Per i primi dieci anni fu utilizzata come mercantile per il trasporto di legname, salmone e altre merci dalla costa dell’Oregon a San Francisco. Il 5 dicembre 1889 la Pacific Whaling Co. acquistò la Mary D. Hume. La nave iniziò la sua avventura nel Mar di Bering, a caccia di balene.

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Partecipò alla più importante battuta di pesca di misticeti, durata 29 mesi e valutata 400.000 $. Fece registrare anche un altro record: la caccia alle balene più lunga, durata ben 6 anni! Durante questo interminabile viaggio, per via delle privazioni, molti marinai morirono di scorbuto, di freddo o impazzirono… La sua ultima caccia alle balene fu nel 1899 e nel suo viaggio di ritorno fu colta da una terribile tempesta, molte imbarcazioni subirono danni e alcuni marinai morirono dopo essere stati scaraventati nelle gelide acque artiche. Il 20 maggio 1909 The American Tug Boat comprò la Mary D. Hume e la impiegò come rimorchiatore nel fiume Nushagak, in Alaska. Nel 1914 fu riequipaggiata per essere utilizzata nella pesca degli halibut. Ma fu un’esperienza breve e presto tornò a svolgere il servizio di rimorchiatore. Rimase in servizio per altri sessant’anni, sotto diversi proprietari. Nel 1978 andò “in pensione” e intraprese il suo ultimo viaggio: tornò a casa, a Gold Beach dove ancora oggi è possibile ammirarla.

Il piroscafo Mary D. Hume

Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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OREGON COAST

Lo scenario che si presenta è magnifico. Una lunga e ampia distesa sabbiosa percorre la costa senza ostacoli, ben oltre lo sguardo può arrivare.

Proseguendo verso nord sulla Highway 101, gli scorci sul litorale si fanno sempre più emozionanti ed ogni punto panoramico ci attira a sé come il canto di una sirena, ma siamo appena all’inizio del nostro lungo viaggio. Ci atteniamo quindi alle tappe concordate e la prossima è a Bandon: il Face Rock State Scenic Viewpoint. Precedentemente noto come Bandon Ocean Wayside, dal 1931 il Face Rock State Scenic Viewpoint e Coquille Point sono parte del National Wildlife Refuge delle Isole dell'Oregon, che si estende per circa 6 ettari e nel quale nidificano più di 300 specie diverse di uccelli.

Alti faraglioni e formazioni rocciose più arrotondate frastagliano il bagnasciuga, creando giocosi moti ondosi e dando riparo a foche, leoni marini e molti altri piccoli animali. Di fronte a noi, verso ovest, osserviamo la Face Rock, con un dolce profilo di donna e poco lontano le Cat and Kitten Rocks, che rappresentano una gatta con i suoi gattini. Una leggenda indiana narra che una sera Ewauna, figlia di Siskiyou capo della tribù Nah-So-Mah, mentre il suo clan festeggiava il ritorno di Siskiyou, si fosse recata a fare un bagno, spinta dal suo grande amore per l’oceano. Portò con sé anche il suo cane Komax e una cesta con la gatta e i gattini.

Incurante della temuta Seatka, spirito malvagio che viveva nel mare, si immerse e nuotò sempre più lontano. Improvvisamente Komax iniziò ad abbaiare per avvertirla, ma ormai Seatka l’aveva catturata. D’impeto il suo fedele cane prese la cesta con i gattini e corse in suo aiuto. La raggiunse e morse il braccio del malvagio spirito, che lasciò la presa ma buttò in acqua i gattini. Ewauna però non tornò a riva e rimase lì, incantata, a fissare la luna. Quando all’alba la tribù la raggiunse, la trovò con i suoi gatti a osservare il cielo, congelati dalle gelide acque e trasformati per sempre in pietra. Quando soffia il vento è ancora possibile sentire la sua voce.

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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Barbara Tonin Photography

L’abitazione del custode era collegata al faro tramite una lunga passerella di legno.

Nel 1936 un grande incendio distrusse gran parte di Bandon e causando il declino dell’economia della città.

Sulla riva nord della foce del fiume Coquille, ci fermiamo a visitare il piccolo faro del Bullards Beach State Park. Circondato da una folta vegetazione di arbusti aghiformi ed erba, il faro si affaccia sull’oceano poggiato sugli scogli.

Il faro fu poi spento nel 1939 per disuso e abbandonato, portandolo negli anni successivi a un forte degrado. Un nuovo faro, invece, fu costruito sul molo sud. Il primo restauro del Coquille River Lighthouse fu messo in opera nel 1976, grazie all’intervento dell’Army Corps of Engeneering e dell’Oregon State Parks. Non fu invece possibile recuperare l’edificio del custode.

Memoria di tempi in cui il commercio di legname era florido, fungeva da guida alle imbarcazioni che dovevano attraversare l’imbocco del fiume Conquille, per raggiungere le foreste dell’Oregon. Costruito nel 1895, è il più recente tra gli otto fari storici della costa. Il faro fu acceso l’anno seguente e illuminava il porto tramite una lente di Fresnel per 28 secondi e 2 di oscuramento. Alto poco più di 14 metri, fu costruito con pietra e mattoni locali, poi ricoperti di stucco. Adiacente, un minuto edificio a pianta ottagonale con una singola stanza, conteneva una tromba Daboll per inviare segnali in caso di nebbia. Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Mariangela Boni Photography

Si estende per 87 km da Heceta Head a nord di Firenze a Cape Arago a sud di Coos Bay e copre quasi 5 km verso l’entroterra, per gran parte della sua lunghezza. È la più ampia area dune sulla costa occidentale di tutto il Nord America.

La tappa successiva al Coquille River Lighthouse ci offre uno scenario a dir poco inaspettato. Siamo al Dune Overlook e sembra di essere stati teletrasportati in un altro continente. Inizialmente l’ambiente si presenta con una fitta vegetazione boschiva. Continuando a salire per il lieve pendio, arriviamo in cima alla collinetta e, gradualmente, si apre un panorama quasi surreale. Una distesa immensa di dune altissime si frappone tra l’entroterra e la spiaggia dell’oceano, impedendo quasi la vista di quest’ultimo, e la vegetazione ne segna i confini. L’area delle dune copre più di 16.000 ettari, di cui 13.000 sono parte dell’Oregon Dunes National Recreation Area (ODNRA), che è gestito dal Servizio Forestale degli Stati Uniti. La rimanente parte è ad uso privato o proprietà della contea o dello Stato. Giroinfoto Magazine nr. 53

Le dune si possono suddividere in tre fasce, a seconda del tipo di ecosistema presente. La fascia attigua alla costa è detta foredune ed è la più prominente. Segue il litorale in modo abbastanza omogeneo e varia in altezza dai 7,5 metri ai 15 metri. Formata negli ultimi 6000 anni, è la più recente ed è ricoperta prevalentemente d’erba. La seconda fascia, più ad est, si è formata più di 20.000 anni fa ed è più pianeggiante, a causa dei fenomeni di deflazione. Presenta stagni stagionali occasionali e basse dune trasversali (altezza massima 6 metri), orientate perpendicolarmente ai principali venti stagionali. Nella terza fascia nell’entroterra si trovano le dune oblique alte più di 55 metri e larghe fino a 1,6 km; le loro dorsali sono formate dall'interazione tra i venti estivi provenienti da nord-nord-ovest e i venti invernali da sud-sud-ovest. A sud di Florence e a nord di Coos Bay si trovano lunghe strisce di dune a parabola che si inoltrano nella foresta circostante.


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L’ultima attività delle cime delle dune più alte, ovvero gli ultimi cambiamenti nella forma per mezzo del vento, risalgono a più di 100.000 anni fa. Questa zona di sviluppo delle dune poggia su una terrazza, in leggera pendenza, di arenaria marina solida chiamata Coos Bay Dune Sheet. Un’altra zona caratteristica è Tree Islands, dove possiamo vedere delle ”oasi” in mezzo alle dune sabbiose. Le Tree Islands sono formate da resti isolati di foreste costiere più antiche. Da un’analisi della sabbia delle dune, è emerso che la fonte principale della loro formazione è il Coast Mountain Range, che 12 milioni di anni fa attraverso il fiume Umpqua (ad ovest di Reedsport) e con il contributo del fiume Siuslaw e altri corsi più piccoli, ha lentamente depositato sabbia della sua roccia sedimentaria fino a valle. L’attività delle dune, inoltre, ha formato numerosi bacini di varie dimensioni: i più grandi sono laghi di sbarramento su cui si sono riversati diversi torrenti e i più piccoli sono laghetti inter-dune. Alcuni dei 32 laghi presenti erano un tempo ruscelli di montagna che sono stati arginati dalla sabbia, altri insenature oceaniche. Altri ancora si formarono quando le depressioni nella sabbia si riempirono di acqua, mentre la falda si alzava.

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Nel corso degli anni, diversi laghi sono stati sepolti dalla sabbia o prosciugati. Le Tree Islands, la vegetazione delle “pianure di deflazione” e le dune montane boscose fanno da habitat alla fauna selvatica che include mammiferi di molte specie: dai piccoli roditori all’istrice, visoni, orsi neri, volpi, cervi, alci, oche canadesi e pivieri nevosi occidentali. Le comunità di piante sia delle zone umide che di quelle aride, compresi arbusti e alberi autoctoni e non autoctoni, possono svilupparsi diversi anni dopo che le sabbie delle dune sono diventate inattive. Alcune, ad esempio, sono la Poa macrantha, la Carex macrocephala, la Glehnia littoralis, Elymus mollis e la Ammophila arenaria. Quest’ultima, in particolare, è stata introdotta alla fine degli anni '30 per stabilizzare la sabbia vicino a strade e campeggi. Nel tempo, tuttavia, è risultata dannosa, in quanto non avendo predatori naturali, ha cambiato in modo imprevisto l’ecosistema, favorendo una sempre maggior diffusione del foredune e della vegetazione nella pianura di deflazione. Attualmente, per contrastare tali cambiamenti dovuti alle specie infestanti non-native, si stanno svolgendo degli interventi di rispristino, in modo che l’ecosistema torni ad essere quello originario.

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Mariangela Boni Photography

Copre una superficie di quasi 3 ettari e fu ceduto da privati tra il 1971 e il 1975.

Lasciandoci alle spalle la città di Florence, ci fermiamo per una breve sosta prima di raggiungere Cape Perpetua. Una casa blu, affacciata su una piccola spiaggia racchiusa da una fitta vegetazione di arbusti e fiori, attira la nostra attenzione. Siamo al belvedere del Tokatee Klootchman State Natural Site, che è amministrato dall'Oregon Parks and Recreation Department.

È considerato un ottimo punto per l’avvistamento delle balene migratrici. Se, invece, si vogliono osservare più da vicino i leoni marini e la piccola fauna marina, c’è un sentiero che porta direttamente alla spiaggia. Nel parco, che comprende anche parte dell’entroterra, sono state avvistate anche specie rare o stagionali quali l’anatra arlecchina, il pellicano bruno, il gabbiano tridattilo (caratteristico per le zampe nere) e il Gabbiano di Hermann.

Fabrizio Rossi Photography

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Barbara Tonin Photography

intercotidale piana di rocce basaltiche, frastagliata e ricca di insenature che creano spettacolari moti ondosi. Si pensa che fossero parte di un’antica grotta che con l’erosione di acqua e vento crollò, trasformandosi nei millenni come la vediamo ora. I punti più interessanti sono Thor's Well, Spouting Horn e Devil's Churn.

Uno dei luoghi più caratteristici della costa dell’Oregon è Cape Perpetua. Situato a circa 3 km a sud di Yachts, fa parte della Siuslaw National Forest dal 1908. Si estende per circa 1100 ettari e si presenta come un promontorio boscoso, alto 244 metri s.l.m., di pietra basaltica di origine vulcanica. Fu il Capitano James Cook, il 7 marzo 1778, a battezzarla con questo nome per onorare Santa Perpetua. I primi insediamenti risalgono a migliaia di anni fa e fu abitata da tribù indigene della famiglia Alsea, che chiamavano il luogo Halaqaik. Questi però la disboscarono, creando ampi prati liberi. Dopo che la tribù fu costretta a lasciare il territorio, l’abete rosso ripopolò il terreno. Ciò che contraddistingue Cape Perpetua, sono le insolite formazioni rocciose ai piedi del promontorio: una zona Giroinfoto Magazine nr. 53

Thor's Well, detto anche "Gate to Hell", è un’insenatura a pozzo profonda 6 metri, che risucchia l’acqua e la espelle con un getto di altrettanti metri. Spouting Horn è un’ampia rientranza simile ad un largo canale cieco e molto frastagliato, con al fondo una sporgenza a “corno”, che crea spruzzi vaporosi altissimi simili ai geyser. Devil's Churn è un’ampia insenatura rientrante a forma di cuneo che forma al fondo onde molto alte. Il momento migliore per vedere questi siti spettacolari è un'ora prima e un'ora dopo l'alta marea o durante le tempeste. Non solo lo spettacolo dei moti ondosi che si infrangono sulle rocce vale una visita a Cape Perpetua. Anche il profumo dell’oceano e il fragore delle onde o il ribollio e il gorgoglio dell’acqua sono suoni piacevoli e rilassanti, che creano una magica atmosfera.


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Purtroppo siamo all’ultima tappa, prima di dirigerci verso Seattle. Ci fermiamo solo qualche minuto, ma ne vale la pena. L’area di Seal Rock, a sud di Newport, si estende per quasi 2 ettari e diviene definitivamente parco statale nel periodo dal 1929 al 1942, quando la Contea di Lincoln ed alcuni privati cedono le loro terre. Il Seal Rock State Wayside presenta grandi formazioni rocciose poco lontano dalla riva, che forniscono l'habitat per foche, leoni marini, uccelli e altra fauna marina. Le più conosciute sono Elephant Rock, all'estremità nord della spiaggia, una grossa roccia che ricorda l'intero profilo di un elefante sdraiato e Castle Rock, il gruppo centrale di rocce, simile alle pareti e ai tetti di un castello. Le grandi formazioni rocciose di questo meraviglioso luogo sono il risultato di una massiccia eruzione di

lava che si diresse verso il mare. Seal Rock è anche uno dei posti migliori per vedere i movimenti delle maree e la vita nelle pozze di marea, sacche isolate di acqua marina che si formano con le maree lungo il litorale delle coste rocciose.

e raramente anche il calamaro gigante. Per quanto riguarda gli uccelli costieri, possiamo osservare urie colomba, uriette marmorizzate, beccacce, chiurli e addirittura rapaci, quali l'aquila di mare testa bianca, il barbagianni e il falco pescatore.

Vi si trovano anemoni, stelle marine, ricci, crostacei, cozze, lumache, cirripedi, alghe rosse e verdi, cottidi, piccoli pesci e tanti altri piccoli organismi marini. La zona di Elephant Rock, invece, è consigliata per il birdwatching. Gabbiani, cormorani e altri uccelli marini, infatti, nidificano in cima alla roccia. Nella zona sud di Seal Rock, un’area recintata chiamata Tourist Rock preserva l'habitat per la nidificazione delle beccacce di mare nere e fa da rifugio alla fauna selvatica. In questa area sono stati trovati anche tumuli di conchiglia appartenenti ai nativi americani.

Un’attenzione particolare però viene data al piviere nevoso, di cui si può facilmente trovare (e anche calpestare) il nido sulla sabbia asciutta lungo il litorale. Anche la piccola fauna delle pozze di marea attira la curiosità dei visitatori e l'attenzione di naturalisti e biologi marini. È un microcosmo brulicante di vita, resistentissimo, ricco delle più svariate forme e colori. Piante e animali che vivono in un ambiente aspro e mutevole, in continua balia delle maree e delle onde che si infrangono.

Non solo Seal Rock, tuttavia, è l’habitat ideale per la fauna marina e gli uccelli. Tutta la costa, infatti, presenta la più ampia diversità di specie che si possa trovare in un ecosistema marino e litoraneo. È possibile, infatti, avvistare diversi tipi di foche, squali e balene, focene, orche

La costa dell’Oregon è ricca di meraviglie di ogni tipo. Non stupisce che lo Stato abbia tentato negli anni di preservarne l’ecosistema originario e continui tuttora a farlo. È un tesoro americano che merita di essere scoperto ma anche vissuto, nel rispetto di tutti gli organismi che lo abitano.

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Kallístē LA BELLISSIMA

SANTORINI A CURA DI BARBARA LAMBOLEY

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SANTORINI in greco antico “Thera”; in italiano si chiama anche “Santorino” e in greco moderno “Santoríni”, fa parte di un gruppo di isole vulcaniche dell’Egeo appartenente alle Cicladi. Santorini (nome probabilmente derivato dall’italiano Sant’Erini o Santa Irene e dato all'isola dai Veneziani in onore di Santa Irene di Tessalonica, martire del 304) è di gran lunga l'isola maggiore. Lunga circa 17 km e larga al massimo 5, ha una superficie di 75 kmq. Costituisce porzione di un antico orlo craterico, del quale fa parte anche l'isola di Terasia e lo scoglio di Aspronési, ad ovest. Fra queste isole (che sorgono sopra una comune piattaforma subacquea) si apre una baia di forma ellittica, lunga circa 11 km e larga 7; tale baia si formò per una violenta esplosione vulcanica, seguita da sprofondamento, avvenuta nel 1600 a.C. L’eruzione seppellì l’intera isola sotto la lava e fece fuoriuscire quasi 7000 metri cubi di magma; la cenere si sparse su gran parte del Mediterraneo orientale e sulla Turchia. Barbara Lamboley Photography

Sara Morgia Photography

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LE 5 ISOLE Da allora Santorini risulta composta da 5 isole principali: Nea Kameni, Palea Kameni, Asponisi, Therasis e Thera riunite attorno alla cosiddetta “caldera”, un grande cratere vulcanico.

dello stato Indipendente della Grecia nel 1830. Il paese era ricco grazie all'agricoltura e in particolare al suo rinomato vino; il suolo tufaceo era straordinariamente favorevole alla coltura della vite.

Rimasta deserta dopo l'immane catastrofe, Thera fu ripopolata dai Fenici che la chiamarono Kallisti (che significa “La bellissima”) e, in seguito, dai Dori di Sparta che, avendo come re “Thira”, le diedero tale nome. Sotto il dominio dei Dori furono costruiti porti, città, templi e venne introdotto l’alfabeto (1115 a.C.).

La sua esportazione, insieme con lo sfruttamento di cave di pozzolana, all'industria dei tessuti e all'attività marinara, dava un certo benessere alla popolazione.

Successivamente, l’isola si alleò con Sparta per poi essere cristianizzata nel III secolo. I Franchi arrivarono a Thira nel 1204 e la battezzarono Santorini. Si susseguì un periodo di peripezie per gli isolani: lotte Bizantine, incursioni di Turchi, rivalità tra Genova e la Serenissima…fin quando l’isola non venne annessa all’impero ottomano nel 1579.

Nel XX secolo, dopo un primo sviluppo economico, Santorini subì un forte decremento demografico dovuto al terremoto del 1956, ma ancor prima allo spostamento di diversi cantieri navali nella terraferma greca.Il turismo, sin dagli anni ’60, rappresenta la fonte economica principale dell’isola.

In realtà i Turchi non colonizzarono mai l’isola e Santorini riuscì a vivere con relativa autonomia per poi divenire parte

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OIA Là

Oia, conosciuto anche con il nome di Ià, è probabilmente il più bello e pittoresco villaggio di Santorini. Si trova nell'estrema punta a nord-ovest dell’isola, sul bordo delle altissime scogliere della costa occidentale. L'attuale nome Oia risale all'inizio del secolo scorso. In precedenza si chiamava Ano Meria, anche se molti suoi abitanti utilizzano ancora oggi questo nome. È stata una delle cittadine più popolose delle Cicladi: un secolo fa raggiunse i 10.000 abitanti quando il trasporto navale era la sua principale risorsa. Nella seconda metà del XIX secolo Oia era un centro molto ricco e in sviluppo, e poteva commerciare con la Russia e il Medio Oriente. Il declino del commercio su nave e il terribile terremoto del 1956 convinsero gran parte della gente a trasferirsi sul continente greco o all'estero. Oggi il paesino conta poche centinaia di residenti, tutti impiegati nel turismo o in attività a esso collegate. Le chiese dalle cupole blu splendenti e le bianche abitazioni trogloditiche che sembrano sospese nel vuoto

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simboleggiano perfettamente la Grecia e appartengono ormai all’immaginario collettivo. Costruito in alto sul bordo della Caldera, Oia ha piccoli vicoli, un panorama mozzafiato, curati negozi, graziosi musei, numerose gallerie d’arte e le rovine della fortezza veneziana che rendono il villaggio un luogo unico e affascinante. Oia si popola al calar del sole, quando centinaia di turisti si spingono nella zona più a nord-ovest della città alla ricerca della miglior posizione, sui muretti o sui tetti delle case, dove poter osservare il sole che si tuffa nel mare. A Oia si può ammirare il miglior tramonto di Santorini.


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KAPETANOSPITA E IPOSKAFA L'architettura tradizionale di Oia annovera due tipologie di case: le kapetanospita e le iposkafa. Le kapetanospita, ovvero le case dei capitani, appartenevano agli abitanti più ricchi del paese che, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo, erano giustappunto i capitani delle navi che solcavano le rotte commerciali di gran parte del pianeta.

dell'isola, ideali per chi ama fare snorkeling. Nei pressi di Oia c'è una spiaggia vera e propria, Katharos. Per raggiungerla bisogna scendere lungo la strada carrabile verso Ammoudi e svoltare non appena si vede l'indicazione. È fatta di sabbia nera con alcuni grossi massi lisci, sia a riva che in acqua. Non è attrezzata e non è mai affollata.

Le iposkafa, ovvero le case-grotta, appartenevano alle classi sociali più povere. Erano scavate nella roccia vulcanica e incastrate l'una sopra l'altra. Erano case misere con un paio di ambienti stretti e lunghi con soffitti in pietra e paglia. Il pavimento era in terra battuta. Restaurate, oggi sono alloggi lussuosi. Trovandosi sul bordo della scogliera, Oia non ha spiagge cittadine. Per fare il bagno si può scendere la scalinata e raggiungere i due porti cittadini, Ammoudi e Armeni. I fondali del mare di questi due porticcioli sono tra i più belli Barbara Lamboley Photography

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FIRA Thira

Fira è il capoluogo di Santorini; il nome deriva da una differente pronuncia di Thira, il nome dell'isola in greco antico, ma un'altra versione ricondurrebbe all'aggettivo fyrros, che nel dialetto dell'isola significa rossastro. Fira è un piccolo villaggio dai caratteristici vicoli lastricati dove dominano i colori del bianco delle case, dell’azzurro delle porte e delle finestre e del blu delle cupole delle chiese. Si trova nella parte occidentale dell’isola, sulla cima di una roccia che scende a picco sul mare, da cui si può ammirare la caldera del vulcano Thera. Un'estensione di Fira è il villaggio di Firostefani, distante circa un chilometro dal centro principale. A 10 chilometri dal porto principale, Fira offre un gran numero di hotel, molti dei quali con piscina e splendida vista sul mare. Arroccato su una scogliera della caldera a 260 metri sul livello del mare, ad ogni angolo svela d’improvviso splendidi scorci: le viste eccezionali, in primo luogo quelle sul vulcano sommerso, hanno fatto arrivare nel corso degli anni a Santorini una grande quantità di turisti da ogni parte

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d’Europa e da oltreoceano e hanno fatto spuntare in pochi anni un numero impressionante di negozi e boutique. E’ probabile che a breve ci saranno più negozi di alta moda e gioiellerie nella strada del centro che in tutta via Condotti a Roma! Orientarsi a Fira è molto facile: la piazza principale è Theotokopoulou Square ed è intersecata da odos 25-Martiou (via 25 Marzo), la via che sale nella parte alta del paese. Per arrivare al mare si può prendere il vicolo lastricato all’angolo dell’agenzia Pelikan Travel. L’attività diurna e notturna si concentra in cinque o sei piccole vie. Fira è l’unico centro di Santorini in cui si può vivere la notte. Gli altri paesi sono più tranquilli, sia di giorno che di sera… Senza dubbio i più romantici preferiranno Firostefani, una piccola frazione tranquilla, più a nord, proprio sulla strada panoramica.


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Affascinante guardare Fira da lontano: le case costruite direttamente nella pomice, le une addossate alle altre e decorate con gusto, si susseguono a perdita d’occhio. Ancora più bello girovagare tra le viuzze strette e ripide, in cerca di angoli tranquilli e silenziosi. Affollata a qualsiasi ora del giorno e della notte durante i mesi di luglio e agosto, ma mai tanto da esserne infastiditi, Fira è bellissima di sera quando la città si illumina in contrasto con il mare scurissimo.

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OSPEDALI

ABBANDONATI UNA CURA PER QUESTO MALE

[13 maggio 1978] veniva emanata la Legge n. 180, nota anche come “Legge Basaglia” per il ruolo che lo psichiatra ebbe nel processo di ordinamento degli ospedali psichiatrici italiani fino alla loro chiusura.

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OSPEDALI ABBANDONATI Verso la fine degli anni ‘90 si scoprì che c’erano ancora una sessantina di strutture psichiatriche aperte con un notevole numero di internati. Nel 1999 si cercò di sanare la situazione con un decreto, noto come “Riforma sanitaria Bindi”, che ne stabilì la definitiva chiusura, la vendita o il riutilizzo.

ragioni sociali o politiche, venivano allontanate dalla società “civile”. Per avere un’idea della vastità e della potenzialità di tali spazi, basti pensare a dei veri e propri comprensori circondati da parchi di diversi ettari.

Che fine hanno fatto gli ospedali psichiatrici a 42 anni dalla Legge Basaglia? Solo alcuni sono stati riconvertiti per altri scopi ma molti sono in un completo stato di abbandono e di degrado. Edifici destinati al collasso, biblioteche e archivi ancora ricolmi di documentazione in fase di decomposizione e suppellettili sanitarie, lasciati incustoditi e destinati alla dispersione o alla distruzione. Memorie ancora vive di situazioni difficili, al limite dell’umanità, storie di personaggi segregati in luoghi della sofferenza per la sola colpa di essere visti come “diversi”. Erano gli anni in cui la malattia veniva repressa e non curata e le persone ritenute diverse, per

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Curiosando un po' tra i nostri territori ci si imbatte in numerose architetture abbandonate di svariata natura. Strutture destinate all’oblio ma che, date le loro particolarità architettoniche e simboliche, potenzialmente rappresentano un edificato recuperabile e magari sfruttabile nelle occasioni di emergenza. Per ragioni poco comprensibili si preferisce, invece, continuare a costruire strutture nuove, destinate anch’esse, alcune volte, all’abbandono in breve tempo. Osservando questi luoghi dell’abbandono si rimane prima di tutto affascinati dalle volumetrie e dalla qualità architettonica e solo in un secondo momento si percepisce la realtà inquietante che li caratterizza. Un ottimo esempio è la visita svolta all’ex ospedale neuropsichiatrico: un luogo periferico circondato da alte mura immerso in un parco e caratterizzato da una rilevante importanza storica, sociale ed architettonica. Osservando gli edifici dall’esterno è palpabile lo stato di disagio che questi luoghi contengono, intuibile scrutando attraverso le finestre danneggiate, ma solamente una volta entrati ci si rende conto di quanta sofferenza rimanga intrappolata in queste prigioni della sofferenza.

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La struttura venne edificata tra il 1930 ed il 1937 su un’area immersa nel verde di circa 13 ettari. Costituita da 20 padiglioni, tra cui una chiesa ed un teatro, fu uno degli ospedali per la cura di persone affette da malattie mentali più grandi d’Italia. Qui passarono migliaia di persone le cui diagnosi più comuni erano l’epilessia e la schizofrenia. Il complesso psichiatrico fu chiuso nel 1978 ma fino al 1991, anno della chiusura definitiva, alcuni padiglioni vennero riadattati ed utilizzati come sede ospedaliera ordinaria.


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Oggi il complesso si erge tra la vegetazione in uno stato di totale abbandono: i padiglioni, tutti uguali ed allineati, tendenzialmente sono elevati su due piani fuori terra ed un piano interrato. Nel viale alberato di ingresso si affacciano le strutture amministrative, caratterizzate da porte cigolanti e calcinacci, all’interno è possibile osservare stanze

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ricoperte di documenti sparsi ovunque, cartelle cliniche dei pazienti, archivi, piatti ed apparecchiature elettroniche. Questi padiglioni ospitavano anche gli alloggi dei dipendenti, le cucine e i laboratori educativi per i pazienti.

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Entrando nelle strutture sanitarie si respira un odore acre di polvere che negli anni si è depositata ovunque, qui sono riconoscibili suppellettili quali sedie a rotelle, lettini, strumenti medici e macchinari. L’atmosfera che accoglie il visitatore è piuttosto angosciante e surreale: i padiglioni destinati ai pazienti agitati sono caratterizzati da grate e sbarre, rafforzando l’impressione di immobilità che caratterizzava i pazienti stessi. Un padiglione era dedicato totalmente ai bambini e sembrerebbe sia stato in uso fino al 2000; all’interno, oltre ad esserci una palestra, sono presenti peluches, videocassette, libri e i muri e le finestre mantengono ancora i particolari dei disegni. Si scorge anche un padiglione contenente un archivio di stato della città all’interno del quale, in spazi angusti e molto confusionari, sono presenti documenti, cartelle cliniche dei ricoverati e vecchie pratiche amministrative. Troveremo mai una cura per questo male?

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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI

Tratto da www.ascosilasciti.com

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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.

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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 53

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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.

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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…


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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.

Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!

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Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.

Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.

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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.

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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.

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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 53


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A cura di Mariangela Boni

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ARCELLONA, IL CAPOLUOGO DELLA CATALOGNA, È UNA CITTÀ POLIEDRICA, RICCA DI STORIA DOVE SI POSSONO TROVARE TRACCE DI RESTI ROMANI, QUARTIERI MEDIEVALI, ESPRESSIONI DEL MODERNISMO E DELLE AVANGUARDIE DEL XX SECOLO. OGNI VOLTA CHE LA VISITI PUOI SCOPRIRE SEMPRE QUALCOSA DI NUOVO… Sicuramente un contributo decisivo al volto della città è stato dato dal rinomato architetto Antoni Gaudí: le sue opere particolari, oniriche persino, sono facilmente riconoscibili. E così, se siete in città, non potete assolutamente esimervi dal visitare la Sagrada Familia, il Parc Güell, Casa Batlló e Casa Milà (si veda articolo sul n 14). Ma in questo articolo vorrei farvi vedere Barcellona da un punto di vista d’eccezione: il Monte Tibidabo.

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Si tratta della cima più elevata della catena di Collserola nonché il punto più alto della città, con i suoi 512 m. La vista che si gode da quassù è eccezionale: si vedono la Sagrada Familia, la Torre Agbar e persino il mare. Consiglio di raggiungere la cima con la combinata Tram Blau e funicolare. Si tratta di due mezzi storici, attivi dal lontano 1901: sarà come viaggiare nel tempo.

Templo Expiatorio

del Sagrado Corazón Proprio su questo monte è stato costruito il Templo Expiatorio del Sagrado Corazón: la scelta del posto non è stata casuale. Nel 1886, la Giunta dei Cavalieri Cattolici, timorosi che in questo luogo venisse eretto un tempio protestante, acquistarono il terreno e lo offrirono al fondatore dei salesiani, Giovanni Bosco, durante la sua visita a Barcellona con lo scopo di edificare un tempio dedicato al sacro cuore. Il luogo si rivelò ideale perché ricordava una delle tentazioni di Cristo, quando di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai” (Matteo 4, 8-9). La decisione di dargli il nome di Sacro Cuore (Sagrado Corazón) era dovuto a una moda lanciata dal Papa dell’epoca, Leone XIII. Non è un caso infatti che proprio in quel periodo furono realizzate le chiese del Sacro Cuore di Gesù a Roma, incentivata proprio da Giovanni Bosco, e il Sacré-Couer di Parigi.

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Ed è soprattutto a quest’ultima a cui i barcellonesi si ispirarono. Infatti alla posa della prima pietra, il vescovo Salvador Casañas y Pagés durante il suo discorso esortò i fedeli ad effettuare donazioni per contribuire alla costruzione del “nuovo Montmartre di Barcellona”.


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Nel 1902, dopo diversi anni di stallo sul progetto, vinto da Enric Sagnier i Villavecchia, iniziarono i lavori del tempio e furono terminati dal figlio Josep Maria Sagnier i Vidal nel 1961. È un tempio in stile neo-gotico, diviso su due livelli: al piano inferiore la cripta e a quello superiore la basilica. La cripta è stata costruita tra il 1903 e il 1911. Nella facciata in pietra, riccamente decorata, sono presenti sculture di Eusebio Arnau, raffiguranti San Giacomo, San Giorgio e la Vergine della Misericordia ovvero i patroni di Spagna, Catalogna e Barcellona. Inizialmente vi era un mosaico di Daniel Zuloaga rappresentante la Trinità. Andato distrutto nel 1936, è stato sostituito nel 1955 da una nuova decorazione, un’allegoria della devozione della Spagna ad opera dei Talleres Bru di Barcellona. L’interno della cripta è formato da cinque navate separate da colonne.

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Nell’abside ci sono quattro altari laterali, ognuno con una statua e un mosaico rappresentativo come sfondo: Sant’Antonio con Padova come sfondo, Maria Ausiliatrice con la battaglia di Lepanto, San Giuseppe con la nave della Chiesa che affronta una tempesta e, infine, Nostra Signora di Montserrat, con rappresentata la montagna e il monastero di Montserrat. Una striscia unica in alabastro policromo corre lungo

tutta la cripta: un racconto ininterrotto della via crucis. La luce naturale filtra attraverso vetrate colorate, esaltando i colori dei mosaici. Due scalinate esterne conducono al livello superiore dove si trova la chiesa, un mix di stile romanico e gotico, come denotano lo sviluppo in verticale e gli interni austeri. Giroinfoto Magazine nr. 53


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La facciata principale è suddivisa in tre corpi, quello centrale sovrastata dalla figura dell’Arcangelo Michele e quella di San Giovanni Bosco nel frontone superiore. Sulla porta sinistra si trova la statua di Santa Teresa e su quella di destra quella di Santa Margherita Maria Alacoque. La struttura è di pianta quadrata. È coperta da una cupola sulla quale campeggia una statua del Sacro Cuore, realizzata in bronzo dorato dallo scultore Josep Miret (nel 1950 ha sostituito quella originale di Frederic Marès, andata distrutta). La scultura rappresenta l’immagine di Gesù a braccia aperte in un simbolico abbraccio della città.

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Guardandola è inevitabile pensare al Cristo Redentor di Rio de Janeiro. Ai lati della cupola vi sono quattro torri, circondate dalle sculture dei dodici apostoli. Le vetrate delle quattro torri contengono l’espressione latina tibi dabo, ovvero ti darò, il nome del monte.

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L’aspetto che rende ancor più interessante questo luogo è l’accostamento tra sacro e profano. E così, oltre al tempio, su questa cima si trova uno dei parchi di divertimento più antichi d’Europa, costruito ben 120 anni fa! Fu un’idea del fondatore della Societat Anonima Tibidabo, Salvatore Andrei.

Il parco Divertimenti Molte attrazioni risalgono a quel periodo come: il Castello del Terrore, le montagne russe, il Carousel e il museo degli Automi (con modelli e giochi originari del 1800-1900). Oltre alle attrazioni più classiche vi è l’area panoramica, il Camí del Cel dove si possono trovare: l’Embruixabruixes è l’attrazione più antica, si tratta di una monorotaia sospesa con effetti audio, video ed ologrammi (ovviamente questi sono più recenti); il Giradabo, ovvero la grande ruota panoramica di 20 m di diametro; la Telaia, due gabbie unite da un lungo braccio meccanico che gira su se stesso; ma, la giostra più gettonata è l’Aviò del 1928, una fedele riproduzione dell’aereo che fece il primo viaggio tra Barcellona e Madrid.

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La Torre di Collserola Impossibile non notare la torre di telecomunicazioni che svetta su Turó de la Vilana, un’altra montagna di Collserola. È stata progettata nel 1992 dall’architetto inglese Norman Foster, in occasione dei Giochi Olimpici. È una grande torre di cemento e acciaio che con la sua altezza di 288 m, raggiunge i 560 metri sul livello del mare. Garantisce le telecomunicazioni della città e la maggior parte dei collegamenti audiovisivi nell’area metropolitana e nella provincia. Ciò che può risultare interessante è che la torre è accessibile. Al 10° piano vi è un belvedere che vi permetterà di godere di una vista a 360° su Barcellona e l’area metropolitana fino a Montserrat e la catena montuosa pre-pirenaica del Cadí-Moixeró. Pensate che nelle giornate terse si ha una visibilità di oltre 70 chilometri. La visita alla torre si acquista al parco divertimenti, quindi se andate al parco non dimenticate di chiedere il biglietto combinato.

L’osservatorio Fabra Poco distante dalla Torre di Collserola si trova l’Osservatorio Fabra. Aperto nel 1904, è il quarto osservatorio attivo più antico del mondo. È dedicato al Marchese di Alella, Camil Fabra i Fontanills che, grazie alla sua generosità, ne ha resa possibile la costruzione. Si occupa di Astronomia, Meteorologia e Sismologia. Gli studi più corposi in ambito astronomico riguardavano l’osservazione di Marte e delle stelle doppie. Sono stati scoperti undici asteroidi e la cometa 32P/Comas Solá (scienziato e direttore dell’Osservatorio fino alla sua morte, nel 1937). Dal 1940 a causa di mancanza di finanziamenti e alla conseguente impossibilità di comprare nuova strumentazione, l’attività scientifica è stata ridotta e la sezione Astronomia si concentra sullo studio di stelle doppie, asteroidi e comete. Nei mesi estivi, dal 14 giugno al 28 settembre, vi è la possibilità di partecipare a una “cena con le stelle”. Dopo la cena, servita in terrazza, seguirà un dibattito scientifico, una visita guidata e l’osservazione del firmamento attraverso il telescopio.

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Mariangela Boni Photography

Informazioni utili Ci sono diversi modi per raggiungere Tibidabo: Si possono prendere il bus T2A da Plaça Catalunya o il T2B che parte da San Genís Oppure si possono prendere la linea 7 dei treni FGC e scendere alla stazione Av. Tibidabo e poi prendere il tram Blau e la funicolare del Tibidabo. Infine si può prendere la linea S1 o S2 dei treni FGC fino alla fermata Peu del Funicular da dove prendere la funicolare de Vallvidrera e poi prendere l’autobus 111

Basilica:

Torre di Collserola:

dalle 11:00 alle 18:00 (nei mesi da luglio a settembre l’orario è prolungato fino alle 20:00), L’ingresso è gratuito. A pagamento l’ascensore per accedere alla parte superiore del tempio

Accesso al belvedere: fine settimana dalle 12:00 alle 14:00 (condizioni meteorologiche permettendo)

Parco di divertimento:

Osservatorio Fabra

Aperto fine settimana e giorni festivi Dal 2 al 5 gennaio Dal 1 luglio al 13 settembre aperto anche da mercoledì a venerdì Agosto: aperto tutti i giorni Chiuso: dal 6 gennaio a fine febbraio Le attrazioni cominciano a funzionare dalle ore 12

Visite diurne: domenica e festivi alle 11:00 e alle 12:30 (adulti 3€; gratuiti meno 14 anni) Visite notturne e cena con le stelle: solo previa prenotazione

Adulti: 28,50€ Over 60: 9,00€ Minori tra i 90 e i 120cm: 10,30€ Minori sotto i 90 cm: gratuito

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Mariella Soldo Un viaggio nel senso recuperato di Scampia Giroinfoto Magazine nr. 53


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ualche mese fa, nell’immensa rete di immagini che è Instagram, ha attirato la mia attenzione una locandina che promuove un “Trek in Scampia“.

Incuriosita, chiamo uno dei numeri indicati per le informazioni. Mi risponde Giacomo D’Alessandro, l’ideatore di questa iniziativa, che propone un insolito itinerario tra le associazioni che operano a Scampia, il tutto rigorosamente a piedi. Perché Scampia non è solo Gomorra. Non ho scoperto il post per caso. Da tempo frequento Napoli, con lo scopo di visitarne tutti i quartieri e realizzare un reportage con i volti diversi della città. Scampia era, quindi, già nei miei programmi. Ero a conoscenza degli enormi cambiamenti del quartiere, pertanto lo scenario Gomorra non mi inquietava affatto. Sapevo che la Scampia violenta, neorealisticamente reinventata della serie tv, non esisteva più, o almeno non a quei livelli drammatici. Giacomo mi ispira subito fiducia, tant’è che, dopo un paio di giorni, prenoto i biglietti.

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Trek in Scampia “Trek in Scampia” prevede di scoprire a piedi il quartiere, percorrendo il tragitto che porta dalla stazione centrale alla periferia, per osservare come cambia il paesaggio urbano. Ci incontriamo tutti la mattina del 12 ottobre davanti al Museo Archeologico Nazionale e iniziamo la “scalata” verso Scampia. Facciamo una sosta al Parco di Capodimonte, dove ci liberiamo dei frastuoni e dello smog della città. Sembra il luogo ideale per raccontarci e conoscerci meglio. Quando riprendiamo il cammino, il sole continua a picchiare forte. Ci lasciamo alle spalle le meraviglie del bosco reale, con il suo verde, i suoi spazi aperti e i bambini che giocano spensierati. Veniamo catapultati, quasi con violenza, in uno scenario diverso. Ci sembra di lasciare Napoli alle spalle, così lontana, così diversa. Quella Napoli cui siamo abituati, con i suoi vicoli, pizzerie, madonne, chiese, musei, librerie, caffè. La Napoli turistica e intellettuale. La Napoli di Totò, la Napoli del Napoli e di San Gennaro. La Napoli che con la sua storia ci rassicura.

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Siamo su Via Miano, l’importante stradone che collega Piscinola, Miano, Don Guanella, Secondigliano e naturalmente Scampia. Non abbiamo il tempo di pensare, di riflettere. Non abbiamo il tempo di abituarci a quello scenario svuotato di ogni immagine pittoresca. Siamo subito nella periferia nord di Napoli, dove scompare per magia tutta quella poesia, a volte anche un po’ stereotipata, che accompagna i nostri sogni sulla bella Napoli. Tante macchine percorrono la strada e poca la gente che decide di muoversi a piedi, gente che parla con il tipico accento del luogo, e allora penso: sì, anche questa è Napoli. E dobbiamo prendere confidenza con questo suo volto meno conosciuto. Il sole picchia sempre forte. È un sole di periferia: secco e spietato. In quel groviglio di stradoni e ponti, imbocchiamo una stradina quasi invisibile, che ci porterà direttamente alla nostra prima tappa: al Gridas – Gruppo Risveglio dal Sonno, situato all’interno dei locali abbandonati del Centro Sociale Ina di Secondigliano. Si è colpiti subito dai murales, quello che ricopre la facciata esterna e quelli che colorano gli interni. Nella sala più grande ci aspetta Mirella La Magna, una signora di ottant’anni sorridente e ancora nel pieno delle sue energie. Quello che ci racconterà sarà importante per proseguire il viaggio e vedere con occhi più consapevoli il paesaggio sociale di Scampia.

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La storia del Gridas è legata alla storia di Scampia. I suoi fondatori, Mirella e suo marito Felice Pignataro, decidono di avviare questo progetto nel 1981.

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Ma la loro storia inizia molto prima. Lui è pugliese e proviene da Mola di Bari. Si è trasferito a Napoli per studiare architettura. Lei è originaria del Vomero, il quartiere “perbene” di Napoli, tant’è che in casa il napoletano non si parlava affatto. Mirella si abilita presto in greco antico e non è mai stata un giorno senza insegnare. Anche se si considera una privilegiata, presto rinuncia a quello che ha avuto per intraprendere un percorso più complesso e fuori dal comune. Allontana da sé l’idea di pensare alle troppe differenze per agire esclusivamente sugli aspetti comuni. Anche Felice lascia i suoi studi e frequenta la Facoltà di Teologia a Posillipo. Deluso dall’ambiente, si avvicina agli insegnamenti di Don Milani. Mirella insegna al liceo e scopre presto che proprio lì vicino alla scuola ci sono delle baracche: è il campo ARAR di Poggioreale, il più grosso insediamento di baraccopoli a Napoli, che nasce durante la Seconda Guerra Mondiale come deposito di residuati bellici.

con negozietti improvvisati, tirati su per vendere materiale utile alla costruzione delle baracche, ma anche negozietti per commerciare fiori, dato che il campo era in prossimità del cimitero, e piccole attività domestiche che forniscono pochi beni alimentari. Non si butta nulla al campo, neanche il letame, che veniva venduto ai contadini come fertilizzante.

Dopo la guerra, molti approfittano di quei rottami per fare commercio e iniziano a costruire le prime baracche. Si crea così un piccolo sistema economico,

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Trek in Scampia Siamo già verso la fine degli anni ’60. Lo Stato è ancora assente. La gente deve rimboccarsi le maniche per sopravvivere alla povertà, all’abbandono e al degrado sociale. In quel campo dove la creatività per la sopravvivenza non mancava, Mirella e Felice decidono di dedicarsi al doposcuola, e devono reinventarsi un nuovo spazio dove poter insegnare, fatto prevalentemente con materiali di riciclo. Non ci sono servizi nella nuova baracca-scuola. Bambini e ragazzi sono disposti a rinunciare alle necessità primarie pur di avere un minimo di istruzione. Mirella continua a raccontarci di un aspetto importante di Scampia, da cui probabilmente partono tutti i disagi che l’hanno resa il quartiere che conosciamo oggi: l’urbanistica. Dopo il primo nucleo di case sorte negli anni ’50, nella zona in cui attualmente ha sede il Gridas, compare un secondo nucleo di case. Verso la fine degli anni ’60, nella periferia nord di Napoli, si costruivano case popolari ovunque, concepite come immensi contenitori di umanità varia, all’interno di un contesto urbano privo di spazi aggregativi e attività commerciali.

L'ALBERO DELLE STORIE Mariella Soldo Photography Giroinfoto Magazine nr. 53

Sorgono così enormi palazzoni, simili a piccole città sviluppate in verticale.

Solo case su case, case dopo case, case dentro case. Ed è la prima condizione che favorisce l’illegalità, dal momento che molti iniziano a mettere su negozi abusivi di beni primari, spinti dalla necessità. I palazzi però rimangono vuoti, perché il Comune ci mette molto ad assegnare le abitazioni ai beneficiari. Così alcuni, evidentemente i più bisognosi, coloro che si erano stancati di vivere nelle baracche, iniziano a occuparle abusivamente, senza che fossero ancora del tutto terminate. Poi le case occupate vengono abbandonate proprio per l’assenza di servizi e, quando i destinatari finalmente vi entrano, trovano case già degradate e ancora da finire. Si sviluppa così una sorta di individualismo che porta gli abitanti del quartiere a curare e rifinire le proprie case ma non lo spazio condiviso. E così lo spazio pubblico non viene mai visto come un bene da rispettare, ma come un luogo di servizio che non appartiene a nessuno.


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PARCO MALTESE Mariella Soldo Photography

Trek in Scampia Il terremoto degli anni ’80 rimette in gioco tutto. Occorre ricostruire ciò che la natura ha distrutto. I soldi a disposizione sono tanti ma vengono gestiti illegalmente attraverso la camorra.

centinaia di studenti nella realizzazione di aree verdi e aiuole. Colpisce questa zona di Scampia per gli opposti che la rendono così affascinante e misteriosa.

Scampia diventa un luogo di spaccio perfetto. Vie di fuga larghe, gente abituata all’illegalità e ragazzini senza istruzione, quindi privati di ogni aspettativa di crescita o di cambiamento. Lo Stato continua a essere assente.

Nonostante gli enormi palazzi che sembrano annientare la presenza umana, scopriamo che Scampia è ricca di verde e di progetti volti al recupero ambientale.

Così passano venticinque anni senza che nessuno sappia cosa accade a Scampia. Le istituzioni vengono viste come nemiche, dal momento che non hanno mai offerto il loro aiuto. Tra il 2004-2005 la lotta tra il clan Di Lauro e gli scissionisti apre una lunga stagione di sangue e di terrore a Scampia, il cui risvolto della medaglia porterà, inaspettatamente, a un piccolo spiraglio di cambiamento e risanamento. La mattina del 13 ottobre al Giardino dei Cinque Continenti e della Nonviolenza, incontriamo Aldo Bifulco, un insegnante di scienze in pensione che ha aperto a Scampia il circolo di Legambiente La Gru, coinvolgendo

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Tra questi rientra Parco Maltese, dedicato allo storico personaggio di Hugo Pratt. Il parco ricopre una superficie di 22 mila metri quadri ed è ‘protetto’ da palazzoni. Per anni è stato una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Grazie all’Associazione Pollici Verdi Scampia, il luogo viene restituito ai cittadini, in tutta la sua bellezza reinventata. Ci sono murales e fiori ovunque, è presente una zona protetta per far giocare i cani e a breve vi sorgerà anche un laghetto. La nostra passeggiata continua per fare ritorno al Giardino dei Cinque Continenti e della Nonviolenza, diventato ormai uno dei simboli della Nuova Scampia.


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Fino a quattro anni fa, al posto di aiuole e murales, sorgevano sei discariche. Grazie al Progetto Pangea, anche questo luogo è stato restituito ai cittadini. Ciò che colpisce subito di quest’area sono i murales sul muro dello stadio Landieri, dove notiamo volti conosciuti, come quello di Gandhi, Nelson Mandela e Martin Luther King, e volti meno noti della storia non-violenta, tra cui Malala Yousafzai (attivista pakistana che sin da giovanissima ha lottato per i diritti civili e per il diritto delle donne allo studio nel suo paese), Rigoberta Menchú (esponente del movimento di liberazione degli Indios del Guatemala), Claudio Miccoli (pacifista e ambientalista, ucciso da un gruppo di neofascisti il 30 settembre 1978), Maria Occhipinti (anarchica e femminista ragusana), Marco Mascagna (ambientalista napoletano), e il volto di un aborigeno Maori. Le aiuole del giardino sono dedicate ai cinque continenti, dove troviamo piante e fiori appartenenti a ciascun continente, arricchite da immagini di personaggi legati alla storia non-violenta, tra cui quella di Ciro Esposito, ucciso con un colpo di pistola il 3 maggio 2014, prima della finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.

GIARDINO DEI 5 CONTINENTI Mariella Soldo Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Mariella Soldo Photography La mattina del 14 ottobre ci rechiamo verso Le Vele di Scampia.

Il sole è tenue e si sente l’umidità del primo mattino. Lì, proprio all’ombra di quegli enormi edifici divoranti, ha sede l’Albero delle Storie di Davide Cerullo. Davide ci invita a toglierci le scarpe e a sederci in cerchio, su sedie per bambini. La stanza sembra quasi un luogo sacro, pieno di libri, vecchie macchine fotografiche, scritte-slogan, giocattoli.

per avere in futuro adulti responsabili e consapevoli. Sottolinea che non ha bisogno di gente che dice di fare ma di gente che fa.

Tutto all’Albero delle Storie profuma d’infanzia, bellezza e poesia. Davide mi colpisce subito per il suo modo di parlare sincero. Nei suoi discorsi sento tutta la bellezza di una letteratura sofferta e di una vita recuperata. Letteratura e vita che si annodano per farsi forza, coraggio e speranza.

Investe, Davide, soprattutto nei sogni da regalare ai bambini, affinché quelle Vele, da “architettura criminale”, si possano trasformare in vele vere, che portano lontano, nella fantasia, come accade proprio nella favola da lui scritta, "La ciurma dei bambini e la sfida al Pirata Ozi". Restiamo pochissimo all’interno.

Davide ci racconta della sua esperienza a Scampia, fa un brevissimo riferimento alla sua vita dal passato difficile e insiste sul suo impegno con i bambini da 0 a 6 anni, perché è su quella fascia d’età che bisogna lavorare,

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È importante trasformare la volontà in azione, quando c’è una necessità urgente di ricostruire e riparare. Ci dice anche che non si sente eccezionale, che quello che fa dovrebbe rientrare nella normalità.

Davide ci porta subito al giardino/orto che diventerà presto una fattoria didattica. Cerchiamo di dare anche noi un piccolo contributo, ripulendolo da erbacce, carte e plastica. L’Albero delle Storie è un luogo suggestivo, che ti resta dentro per giorni, così come ti restano le parole di Davide, il suo sguardo e la sua forza.


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METRO DI SCAMPIA Mariella Soldo Photography

Trek in Scampia La sensazione di ricchezza che si ha dopo ogni incontro non lascia spazio a riflessioni immediate. Scampia è un quartiere che ha fatto della perdita una fonte di ricostituzione, con il tentativo di creare un efficace modello sociale utile a chi si trova nelle stesse condizioni.

spontaneità nel lavoro sociale, il coraggio di dare nuove prospettive, l’attivismo cristiano che si perde dinanzi a una Chiesa sempre più artificiale e incerta.

Le poche risorse disponibili, prevalentemente umane, si sono rafforzate nella condivisione e nella dinamica del dono, poiché il bene offerto da un cittadino diventa privilegio della comunità. Ed è proprio questa la parola chiave che rende forte la nuova identità di Scampia: la Comunità, nel senso recuperato di koinonia, e quindi di unione, dove il singolo è una parte del tutto.

Gente di Scampia, che avuto la forza di cercare l’oro in un ventre marcio e terrificante.

Una Comunità sempre in movimento, che utilizza l’intercultura come atteggiamento mentale e l’unione come forza necessaria per ricostruire lì dove ogni cosa sembrava perduta. L’impatto con l’estrema periferia Nord di Napoli è stato fortissimo. Non per i pregiudizi che si porta dietro a causa del suo passato e della speculazione mediatica, quanto per il sostrato di solidarietà e unione tra le persone: la Giroinfoto Magazine nr. 53

Gente anonima, di cui forse mai sentiremo i nomi, che continua ad agire per il bene comune.

Scampia diventa così, da piazza di spaccio internazionale a modello sociale da importare. Ed è su questo che tutte le periferie del mondo devono puntare, se vogliono davvero il cambiamento.

Mariella Soldo


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A CURA DI ADRIANA OBERTO

PART 1

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La città si Atene è famosa per la sua storia antica e per i siti archeologici di una delle maggiori civiltà dell’antichità. Il sito per eccellenza, quello forse più radicato nell’immaginario collettivo è

L’ACROPOLI

Un'acropoli (greco antico: άκρόπολις, akropolis; da akros (άκρος) o akron (άκρον), "più alto, in cima, più esterno" e polis (πόλις), "città”) era nell'antica Grecia un insediamento, in particolare una cittadella, costruito su un'area di terreno elevato, spesso una collina con pareti scoscese e che offrivano perciò protezione. L'Acropoli aveva la funzione di un santuario religioso e le sorgenti sacre presenti sulle sue pendici ponevano l’accento proprio su questo aspetto. L'acropoli divenne il nucleo di grandi città dell'antichità classica, come l'antica Atene, e per questo motivo a volte sono punti di riferimento importanti nelle città moderne con un passato antico, come appunto Atene, ma non solo. L'esempio più famoso è l'Acropoli di Atene, che, a causa delle sue associazioni storiche e dei numerosi edifici famosi eretti su di essa (in particolare il Partenone), è nota anche semplicemente come Acropoli. Essa ha raggiunto la sua forma nel V secolo a.C. ed è attualmente un sito archeologico. Sebbene originario della terraferma della Grecia, l'uso del modello di acropoli si diffuse rapidamente anche nelle colonie greche.

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L'ACROPOLI DI ATENE dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1987 ha un tale significato storico da essere comunemente e semplicemente nota come “l’Acropoli”. In antichità veniva conosciuta come Cecropia, termine derivante da Cecrope, il leggendario uomoserpente che si pensa sia stato il primo re della città. L’acropoli si staglia su uno sperone di roccia che domina Atene, in un punto di forte significato storico e architettonico, e contiene i resti di vari edifici, tra cui il Partenone è sicuramente il più famoso. Il sito era già in uso nel Neolitico e Paleolitico e imponenti costruzioni si elevavano sull'acropoli già nell’età classica; di quegli edifici a noi non è giunto niente, perché distrutti durante l’occupazione persiana del 480 a.C. Fu Pericle a portare avanti la ristrutturazione dell’Acropoli (iniziata in parte da Temistocle e Cimone), e proprio in quel periodo venne costruito il Partenone (nel suo interno c’era la statua colossale di Atena Parthenos, opera di Fidia, che purtroppo è andata perduta). A quel periodo risalgono anche i Propilei e in seguito l’Eretteo e il tempio di Atena Nike. Giroinfoto Magazine nr. 53

Nel corso degli anni la rocca e gli edifici hanno subito cambiamenti d’uso; il Partenone è diventato prima una chiesa dedicata alla Vergine Maria (tardo impero romano) e l’intera area fu trasformata in fortezza militare durante il medioevo, prima dai Franchi e poi dai Turchi. Fu bombardata dai veneziani nel 1687 e il Partenone subì ingenti danni a causa dell’esplosione della polvere da sparo di cui era diventato deposito. In seguito, gran parte dei marmi che ornavano i frontoni e le metope vennero rimossi e portati in Inghilterra. Finalmente nell’Ottocento vennero iniziati i primi lavori di scavo, grazie ai quali ci furono scoperte importantissime, tra cui le Kore, le famose statue arcaiche di fanciulle. Questi ritrovamenti sono ora esposti per la maggior parte nel Museo dell'acropoli di Atene. Si giunge all’Acropoli attraverso una grande scalinata ed una porta fortificata di epoca romana. Queste furono scoperte dall'archeologo francese Charles Ernest Beulé durante i lavori eseguiti nella seconda metà del XIX secolo per liberare l’acropoli dalle strutture fortificate che erano state costruite.


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SALITA ALL'ACROPOLI Il sito dell’Acropoli di Atene non è, però, costituito esclusivamente dagli edifici sulla spianata in cima, dove si trovano i resti forse più famosi e di sicuro quelli di cui tutti ci ricordiamo. Affinchè la visita sia completa, occorre iniziare da una delle due entrate principali – quella situata a sud-est, non lontano dalla stazione della metropolitana. Sarà così possibile accedere ai monumenti costruiti sulle pendici meridionali della collina, altrettanto importanti per valore storico ed archeologico.

Si tratta di edifici principalmente ad uso non religioso, quali: il Teatro di Dioniso, La Stoà di Eumene, il Santuario di Asclepio e l’Odeo di Erode Attico.

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IL TEATRO DI DIONISO Il teatro di Dioniso è considerato il più importante del mondo greco nel V e IV secolo a.C. Si trova molto vicino al santuario di Dioniso e all’Odeo di Pericle e la sua costruzione risale al V secolo; è il più antico teatro al mondo in legno e fu, al periodo della costruzione e nel secolo successivo, il più importante dell'intero mondo greco, poiché tutti i più grandi autori del tempo vi mettevano in scena le loro opere. Tra questi vanno ricordati Eschilo, Sofocle ed Euripide per la tragedia, e Aristofane e Menandro per la commedia. Dai pochi documenti storici che abbiamo, possiamo dedurre che all’inizio (attorno al 534 a.C.) le rappresentazioni teatrali ad Atene si svolgessero nell’Agorà. Tra il VI e V secolo si decise però di avere un luogo dedicato e si scelse allo scopo un’area alle pendici dell’Acropoli, vicino al santuario di Dioniso. Il teatro fu costruito sfruttando il naturale pendio dell'Acropoli stessa. La disposizione delle diverse zone del teatro subì una variazione nel corso degli anni e il teatro cambiò aspetto di conseguenza. Al tempo della sua costruzione aveva un’orchestra del diametro di 25 metri, in cui recitavano gli attori e il coro. Sembra che non esistesse un palcoscenico per gli attori, che interagivano col coro allo stesso livello. Alle loro spalle c’erano alcuni pannelli di legno – la skené – sui quali era disegnato uno sfondo. Si accedeva all’orchestra da due corridoi laterali (chiamati parodoi o eisodoi), oppure da una porta al centro della skené. Dalla parte opposta c’erano le gradinate per il pubblico, disposte a semicerchio.

Avevano sedili in legno e seguivano la pendenza naturale del terreno; in questo modo gli spettatori (tranne quelli in prima fila) avevano una visuale dall’alto. Il teatro di Dioniso arrivò a contenere fino a 15.000 spettatori. Facevano ancora parte del teatro il theologeion, una pedana rialzata che veniva usata per l’apparizione degli dei; la mechanè, per sollevare gli attori e simulare il volo, e l’ekkyklema, che ruotando su se stessa permetteva di vedere l’interno dell’edificio scenico. Tra la fine del V secolo a.C. ed il 330 a.C., l’aspetto del teatro cambiò: fu costruito il palcoscenico, più in alto e collegato all’orchestra da alcuni gradini. Il palcoscenico era per gli attori; l’orchestra per il coro. Le gradinate di legno furono sostituite da altre in pietra; queste erano suddivise in settori in riconoscimento del censo e della nobiltà degli spettatori. Il sacerdote di Dioniso sedeva nel posto centrale della prima gradinata – un sedile di marmo riccamente decorato. Le rovine che vediamo oggi risalgono all’impero romano, periodo fino al quale Il teatro di Dioniso rimase in uso. In seguito venne abbandonato e fu sepolto dal terreno e dalla vegetazione, tanto da risultare completamente distrutto già nel periodo bizantino. Fu l'archeologo Wilhelm Dörpfeld a riportare alla luce i resti durante scavi condotti tra il 1882 ed il 1895. E’ da notare che le gradinate che si possono ammirare ora sono solo una parte d quelle originarie, che occupavano un’area ben più ampia.

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IL TEATRO DI TORIC O Il primato di più antico teatro al mondo viene conteso a quello di Dioniso dal teatro di Torico. La differenza sta nei materiali di costruzione. Mentre infatti quello di Torico fu interamente costruito in pietra da subito, quello di Dioniso aveva le scalinate dell’auditorio e almeno la Skenè in legno; venne ristrutturato successivamente e le parti in legno furono ricostruite in pietra.

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Il teatro di Torico è un gioiello ancora quasi sconosciuto al pubblico in generale e solo parzialmente studiato dagli archeologi, tanto da essere accessibile da chiunque a piedi e senza pagare biglietto di ingresso. Si trova nell’antica demo (suddivisione territoriale N.d.R) di Torico, nell’Attica, ad un decina di chilometri da Capo Sunio (vedi articolo su Giroinfoto n.54). Nell'area erano presenti numerosi laboratori per la fusione e la lavorazione dei metalli provenienti dalle miniere del Laurio; il teatro serviva proprio la popolazione della zona. Il teatro risale al VI sec. a.C. ed è di forma bizzarra; ha cioè una curva irregolare con una delle ali più lunga rispetto alle altre. Sulla collina dietro al teatro ci sono resti di un’acropoli e, non lontano, di un porticato quadrangolare con colonne doriche.

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IL SANTUARIO DI ASCLEPIO Il santuario di Asclepio o Asclepieion (asklepieion, greco Aσκληπιεiον - Aσκλαπιεiον in dialetto dorico) fu costruito intorno al 420 a.C. sul lato meridionale dell'Acropoli di Atene, sotto il Partenone e subito dietro alla Stoà di Eumene e al teatro di Dioniso.

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Il santuario era intitolato ad Asclepio, il dio della medicina, ed era dedicato alla guarigione dei malati ed usato come un vero ospedale. Il culto del dio era stato portato ad Atene da Epidauro dopo il 420 a.C.. Facevano parte del santuario un recinto quadrato, un tempio e una stoà di ordine dorico di 50m a doppia galleria, che fu costruita nel IV sec. a.C. Esiste una grotta (che ora è una cappella cristiana) con una sorgente ritenuta curativa. La cappella viene aperta solo il 15 agosto, giorno della dormizione di Maria. La stoà e il tempio vennero in seguito inglobati in una basilica paleocristiana. Parte del santuario è stata ricostruita.

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L’ODEO DI ERODE AT TIC O L'odeo di Erode Attico (in greco Ωδείο Ηρώδου του Αττικού) è un piccolo teatro, anche se la sua struttura è forse la più imponente di questa parte del sito archeologico. Costruito a partire dal 161 d.C. e completato prima del 174 d.C., fu fatto erigere dal ricchissimo politico e sofista greco Erode Attico in memoria della moglie Appia Annia Regilla. È una delle varie opere che Erode Attico fece costruire per commemorare la moglie, uccisa da un liberto. Si trattava di un teatro coperto (la copertura era in legno) e ospitava esecuzioni musicali. I lavori durarono una decina di anni. Molti dei mattoni della costruzione portano incise le lettere ΘHΡ, il che ne attribuirebbe forse la paternità (“Teatro di Erode e Regilla”), o indicherebbe semplicemente i marchi di fabbrica degli artigiani.

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In seguito all'invasione degli Eruli nel 267, il teatro fu distrutto. Un gruppo di studenti dell’Università di Atene si esibì il 7 dicembre del 1887 nell’Antigone di Sofocle, in onore della Regina Olga di Grecia e al suo cospetto. Il coro, composto da quindici elementi, declamò versi di Sofocle su musica di Mendelssohn. Negli anni cinquanta del XX secolo l'uditorio e l'"orchestra" furono restaurati e a questo scopo venne utilizzato marmo bianco e cipollino. Da quel momento il teatro è uno dei maggiori auditori del Festival Ateniese, che si svolge ogni anno da giugno a settembre e che ospita importanti artisti greci e internazionali.

Adriana Oberto


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ACROPOLI DI ATENE

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Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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WORKING GROUP 2019

BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project

PIEMONT

ITALIA

E

L OMBARDI

A

LAZIO

ORINO ALL AMERICAN

REPORT

Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 53

LIGURIA

STORIES

GIROINFOTO MAGAZINE


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COME FUNZIONA

Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.

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CHI PUÒ PARTECIPARE

Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.

PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.

SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto si trova a Torino con sezioni a Genova, Milano e Roma. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.

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MONTERANO

MONTE

RANO IL BORGO FANTASMA A cura di Laura Rossini e Gianmarco Marchesini

Francesca Nicolamarino Gianmarco Marchesini Laura Rossini Roberto Dal Pozzo Roberto Giancaterina Valentina Bova

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A circa 50 Km a nord di Roma, su un’altura di tufo incastonata tra i Monti della Tolfa e i monti Sabatini, vi è un luogo surreale dove il tempo sembra essersi fermato, dove il sacro si fonde con il profano, dove la natura si fonde con l’arte. Non a caso l’Antica Monterano ha ispirato registi che, sfruttando alcuni dettagli dell’incantevole ambientazione, hanno dato vita a scene di film destinate a segnare la storia della cinematografia italiana ed internazionale quali Guardie e Ladri, Il Marchese del Grillo e Ben-Hur, e fotografi che la utilizzano ancora oggi come set o come soggetto.


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Roberto Del Pozzo Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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ANTICA MONTERANO L’incontro con questo luogo speciale nasce da un workgroup giornalistico realizzato con la Band di Giroinfoto - Regione Lazio - in collaborazione con l’Associazione Controluce a fine febbraio 2020. Partiamo di buon mattino armati di macchina fotografica, cavalletti e zaini ma, appena arrivati nella parte nuova di Canale Monterano, capiamo che oltre alla pausa caffè forse è il caso di fare una tappa per assicurarci il pranzo che poi si trasformerà in semplice spuntino. Entriamo nel forno sulla strada principale. Il luogo è piccolo e non molto luminoso. Varcando la soglia un profumo di pane e pizza pervade l’aria

Roberto Del Pozzo Photography Giroinfoto Magazine nr. 53

e dietro la gentilissima signora intenta a servire si intravede il retrobottega. In un attimo un omone con braccia e mani possenti, con inaspettati gesti leggeri si muove sopra la pizza appena sfornata e fumante, versando olio, sale ed applicando un massaggio degno di una SPA.


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Con grande soddisfazione riprendiamo le macchine per fare l’ultimo tratto del percorso. Mancano solo 2 Km per arrivare all’Antica Monterano. Dopo aver lasciato l’auto in un piazzale adibito a parcheggio, inizia il sentiero immerso nel verde che ci porterà alla città abbandonata. Dopo una breve passeggiata ecco che davanti a noi compare l’antico acquedotto romano. Cominciamo a sparpagliarci prendendo posizione con lo scopo di sperimentare e portare a casa i primi scatti. Al primo passo falso e alla prima richiesta di aiuto, il presidente della nostra associazione, Roberto Giancaterina, ci suggerisce le impostazioni di base da settare sulle nostre macchine fotografiche. Ci lascia liberi di provare, di creare per qualche minuto che a noi però è sembrato solo qualche secondo per poi richiamarci all’ordine non solo perché dobbiamo procedere, ma perché è arrivato il momento di immergerci nella storia e nell’atmosfera di questo luogo abbandonato.

Laura Rossini Photography

Valentina Bova Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Laura Rossini Photography

L’avvenimento storico che spinse gli abitanti ad andarsene fu invece frutto di un equivoco. Nella vicina Tolfa, che si era ribellata alla dominazione Francese, la popolazione era ridotta allo stremo perché non aveva a disposizione un mulino per la macinazione del grano, mentre Monterano prosperava.

Le origini del borgo risalgono all’epoca etrusca e vedono succedersi dominazioni romane e longobarde ma è in epoca medioevale che raggiunge il massimo splendore. Diverse famiglie nobili si avvicendano, quali gli Anguillara, gli Orsini e gli Altieri. Sarà proprio un esponente di quest’ultima famiglia, Papa Clemente X, a commissionare diverse opere architettoniche e scultoree a un giovane Bernini, trasformando l’abitato in un gioiello Barocco. Dopo la morte del Papa, inizia il declino di Monterano. Il motivo dell’abbandono fluttua tra leggenda e realtà. La prima narra che nel ‘700 gli abitanti, non riuscendo a costruire un ponte a causa del forte vento, chiesero aiuto a Lucifero promettendogli in cambio il sacrificio di animali. In una sola notte riuscirono ad erigere il ponte ma, presi dall’euforia, festeggiarono banchettando con gli animali promessi al Diavolo che in tutta risposta il giorno seguente li colpì diffondendo la peste.

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I Tolfetani chiesero aiuto agli abitanti di Monterano che si rifiutarono per paura di essere giudicati a loro volta ribelli dai Francesi. Inaspettatamente però il comandante dei Francesi, venuto a sapere della vicenda ordina alle sue truppe di scortare la popolazione fino al mulino. I Monterani, invece, vedendo arrivare le truppe Francesi pensarono ad un attacco e scapparono. Intanto camminiamo e cominciamo a notare i ruderi sulla nostra destra, oltre alle grotte etrusche disseminate all’interno della collina.


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Gianmarco Marchesini Photography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Laura Rossini Photography Giroinfoto Magazine nr. 53

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Valentina Bova Photography

Poco distante, percorsa una piccola salita, si nota la chioma di un albero dalla quale si intravede Piazza San Bonaventura con la Chiesa omonima dove all’interno madre natura ha riconquistato i suoi spazi dando vita ad uno spettacolo bello quanto insolito. Di fronte a quello che una volta era l’altare, si erge una grande pianta di fico. La chiesa sembra chiusa ed inaccessibile, ma guardando attentamente notiamo che Roberto ha guadagnato una posizione strategica. Conosciamo bene i suoi super poteri, ma capiamo che c’è una via secondaria che consente di fotografare in tutta sicurezza e lo seguiamo. Eccoci qua, chi punta il cavalletto, chi scatta a mano libera, chi usa il grandangolo cercando di inquadrare tutti i resti della chiesa, chi si concentra sulla pianta di fico.

stucco sormontate da un grande timpano triangolare. Nel retro due porte collegavano la chiesa alle sagrestie e al convento. A seguire ci incamminiamo verso il centro cittadino costituito dal palazzo ducale sul quale si erge la Fontana con il Leone ad opera del Bernini. La fontana detta “Capricciosissima” è stata realizzata sfruttando le fondamenta rocciose del palazzo, con il Leone nell’atto di dare una zampata alla roccia per farne sgorgare l’acqua. La statua del Leone che si ammira qui è una copia. L’originale che era caduto rovinosamente negli anni ’30 a causa dell’incuria e del vandalismo, una volta restaurato è stato collocato nel Palazzo Comunale di Canale Monterano.

Qualcuno invece è rapito da particolari dell’architettura o di ciò che ne resta, ma gli scatti d’autore restano e fanno la differenza. La chiesa ed il convento annesso furono progettati dal Bernini, così come la fontana ottagonale che si trova di fronte alla chiesa (anche se, in realtà, questa è una riproduzione, l’originale si trova nella piazza del comune di Canale Monterano). La chiesa presenta una facciata racchiusa tra due campanili, pressoché scomparsi, con lesene doriche in

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Roberto Giancaterina Photography

Al suo fianco reggono ancora le mura della Chiesa di San Rocco con il cielo che disegna il tetto e le sue vetrate. Costruita nel XV secolo come ringraziamento in seguito ad un’epidemia di peste, l’abside e l’altare sono tutt’oggi fonte di ispirazione per gli amanti di architettura e fotografia. Siamo arrivati quasi alla fine della nostra avventura e non possiamo non assecondare il richiamo del Leone che con la fontana senza acqua si sente solo. Non ci pensiamo due volte e ci disponiamo tutti intorno alla fontana per un goliardico autoscatto. Il momento creativo non si esaurisce e sul finale ci concentriamo sulle foto per noi impossibili. Un grappolo di campanelle sole solette in mezzo al prato, una foto a cascata dove ognuno di noi fotografa l’altro, l’ombra su un muro di una pianta di fico…un rudere che si fonde con un albero che sembra una Mug.

Francesca Nicolamarino Photography

È arrivato il momento del pranzo e visto che nei dintorni ci sono diversi agriturismi e piccole locande sempre aperte, ci lasciamo lusingare dalle pietanze fatte in casa e dal buon vino. Un gruppo di amici che condivide una passione per la fotografia e per i viaggi. Tutti pronti a nuove esperienze ed avventure, dedicato anche a chi non era presente, ma è come se ci fosse stato. Gianmarco Marchesini Photography

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Valentina Bova Photography Giroinfoto Magazine nr. 53

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Canale Monterano è un comune italiano della provincia di Roma di poco più di 4000 anime. Il comune, già di per sé ricco di eventi e tradizioni, è noto in tutta Italia per il suo vecchio borgo da ritenersi una vera e propria città fantasma. Raggiungere Canale Monterano è piuttosto semplice. Partendo da Roma con il proprio mezzo va percorso un tratto più o meno lungo del GRA, per poi imboccare la Cassia Bis e a seguire la Braccianense. Quest’ultima strada si distingue per un tracciato misto veloce, solitamente non molto trafficato e piacevole per la guida. Quindi estremamente adatto per chi vuole coniugare due passioni: la fotografia e i motori con particolare attenzione alle motociclette. Difatti non sarà così difficile incontrare gruppi di fieri centauri in sella alle proprie roboanti moto. L’intero tragitto, a partire dal GRA, è di circa 55 km e durante il percorso l’attenzione del turista viene rubata da invitanti indicazioni turistiche, offrendogli quindi l’opportunità di fare una o due soste.

Valentina Bova Photography

In tal senso si segnalano il Museo Storico dell’Aeronautica Militare e, in quel di Bracciano, il noto castello Odescalchi (teatro di importanti eventi e di sfarzose feste e cerimonie religiose tra le quali spicca il matrimonio tra Tom Cruise e Katie Holmes). In virtù delle suddette opportunità e di quanto offre il territorio in termini folcloristici e naturalistici è consigliabile valutare se voler fare la classica gita fuori porta o trascorrere un weekend lungo per non perdersi ogni angolo di questa incantevole terra laziale. Nel primo caso, raggiunta la destinazione, prima di catapultarsi nell’antico borgo si suggerisce di godersi le specialità culinarie del posto recandosi in uno dei tanti punti di ristoro che il paese offre e degustando le specialità tradizionali tra le quali spiccano l’amatriciana e le tagliatelle al ragù di cinghiale. Prima di andar via è tassativo acquistare qualche latta di olio che da sempre fa parte del patrimonio storico del territorio di Canale Monterano. Nel secondo caso invece si suggerisce di strutturare il piccolo viaggio tenendo conto delle diverse strutture ricettive (consultabili sui vari siti istituzionali tra i quali segnaliamo www.comune.canalemonterano.rm.it) e della stagione. Particolarmente interessante è il periodo estivo con specifica attenzione per la seconda metà di agosto durante la quale si svolge la Corsa del Bigonzo o Palio delle Contrade che riesce a coinvolgere in ugual misura sia i concorrenti che gli spettatori. Avendo più giorni a disposizione, oltre a visitare il paese ci si potrà deliziare con le tipiche sagre del posto tra le quali la sagra delle fettuccine paesane e la sagra dei lombrichelli piuttosto che visitare la riserva naturale regionale di Monterano impreziosita dalla relativa solfatara.

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ISTANBUL tra oriente e occidente

Non è la prima volta che visito Istanbul, ma in questa occasione ho un preciso scopo: raccontare la città vista dalle acque che la circondano e la dividono.

A cura di Sandro D'Angelo

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Sandro D'AngeloPhotography

Istanbul, situata su sette colline, è il punto d’incontro tra Asia ed Europa. Una megalopoli di 15 milioni di abitanti, dove oriente e occidente si fondono in una miriade di colori e profumi unici nel loro genere; un caleidoscopio di culture, popoli e religioni; una città moderna ma allo stesso tempo rispettosa del proprio passato; una città piena di contrasti che la rendono unica al mondo. Bisanzio, Costantinopoli e infine Istanbul, capitale dell’impero bizantino, romano ed ottomano, ognuno dei quali ha lasciato un’impronta decisa nell’architettura di monumenti, moschee e castelli.

Istan bu l è circondata dal Mar di Marmara, dal Mar Nero e attraversata dal Bosforo e dal Corno D’Oro. Il trasporto navale riveste quindi un ruolo fondamentale per i pendolari che, per lavoro, si spostano dalla parte Asiatica verso quella Europea e viceversa. Ancora oggi, anche dopo la realizzazione della metropolitana Marmaray inaugurata il 12 marzo 2019, un tunnel di 1400 metri sottomarini che attraversano il Bosforo, la vera spina dorsale degli spostamenti di massa è garantita dal trasporto navale con i tipici vaporetti che partono ogni 5 minuti e, attraversando il Bosforo e il Corno d’Oro in lungo e in largo, collegano Europa ed Asia in un via vai frenetico quasi confusionale ma perfettamente orchestrato.

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Il Bosforo Lungo circa 32 km, divide la Istanbul europea da quella asiatica. Ha un’importanza strategica in quanto unico passaggio dal Mediterraneo al Mar Nero. Giornalmente lo stretto del Bosforo è attraversato da navi mercantili, petroliere e navi da crociera. Ad accogliere i naviganti c’è un isolotto sul quale si trova la Torre di Leandro o Torre della Fanciulla, costruita dall’imperatore Bizantino Alessio I per sbarrare l’ingresso al Bosforo con una catena tesa tra la torre stessa ed un’altra posta sulla spiaggia del quartiere Manganae. E’ erroneamente chiamata torre di Leandro in quanto associata al mito di Ero e Leandro, che invece, ebbe come teatro i vicini Dardanelli. Dalla parte opposta si ergono maestose la moschea Blu, la Moschea di Aya Sofia e il palazzo del Topkapi.

La prima si distingue per i suoi 6 minareti, superata in questo solo dalla moschea della Ka‘ba, a la Mecca, che ne ha sette. La Moschea di Aya Sofia, cattedrale ortodossa convertita dai crociati in cattolica, divenne moschea nel 1453 e fu sconsacrata nel 1935. Il palazzo del Topkapi fu costruito sul promontorio del Serraglio per volere del sultano Maometto II con lo scopo di dominare la città di Costantinopoli. Tre sono i ponti stradali che attraversano il Bosforo e che collegano i due continenti, ma sicuramente il “Ponte dei martiri del 15 luglio”, così ribattezzato dopo il fallito colpo di stato del 2016 in memoria delle vittime, è quello che più degli altri colpisce lo sguardo dei naviganti; splendidamente illuminato di notte, è un’arteria fondamentale per lo spostamento di merci e persone da una parte all’altra dei continenti.

TOPKAPI Sandro D'Angelo Photography

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Il Corno D’Oro In turco Haliç, così chiamato per la sua forma arcuata e per le immense ricchezze che vi portavano le navi, si insinua verso l’entroterra per circa 7 km, dividendo la città. Da una parte la città vecchia con i suoi maestosi monumenti che sembrano sorvegliare chi entra, come il Serraglio di Topkapi e la Moschea di Eyup; dall’altra la parte moderna, la colonia genovese di Pera-Galata, con la sua maestosa torre e, sullo sfondo, i grattacieli. Percorrerlo a bordo dei traghetti è sicuramente il modo migliore per godere della bellezza di questa parte della città, scendendo per visitare i diversi quartieri, ed è una buona occasione per immergersi in una differente realtà, assai meno turistica di İstanbul.

Sandro D'Angelo Photography

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PONTE DEI MARTIRI Sandro D'AngeloPhotography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Sandro D'Angelo Photography

Il ponte di Galata É sicuramente il più importante a cavallo del Corno D’Oro, ultimato nel 1994, ultimo di 5 edificati: il primo fu realizzato nel 1845, anche se i primi progetti risalgono al 1500 commissionati a Leonardo da Vinci dal sultano Bayazid. Dal ponte è possibile godere di un vista quasi a 360 gradi di Istanbul. Il ponte è attraversato giornalmente da migliaia di persone che si spostano da una parte all’altra della città. Se state cercando un posticino dove rilassarvi sorseggiando un tè o un caffè turco e osservare la gente, il ponte di Galata è quello che fa per voi. Durante tutta la giornata eserciti di pescatori affollano il ponte nella speranza di accaparrarsi un pesce in un apparente groviglio di lenze. Nella parte inferiore del ponte brulicano ristoranti di pesce e bar nei quali è possibile gustare piatti tipici turchi, osservando il frenetico via vai di traghetti che fanno la spola da una parte all’altra della città e che, nel loro passaggio sotto il ponte, sembrano quasi scontrarsi contro la volta.

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La pesca É alla base della cultura culinaria della città. Durante tutto l’arco della giornata flottiglie di piccole imbarcazioni solcano le acque del Bosforo, impegnate nella pesca dello sgombro e del pesce serra, qui chiamato lüfer. Si narra che il sultano Solimano il Magnifico amasse pasteggiare con le guance di questi pesci e che i pescatori, per non far mancare questa prelibatezza sulla tavola del Sultano, usassero canzoni, tramandate per generazioni, per attirare magicamente i banchi di lüfen e farli abboccare ai loro ami. Il pescato va a rifornire i ristoranti, ma anche piccole imbarcazioni ormeggiate al molo di Eminönü, all’estremità del ponte di Galata, dove è possibile gustare il “balik ekmek” letteralmente “panino con pesce”.


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Torre di Leandro Torre della Fanciulla

prende il nome da un mito greco che ha per protagonisti due giovani amanti: Ero e Leandro. I giovani si erano incontrati ed innamorati durante una festa in onore di Adone.

Il nome è legato a un’antica leggenda turca. Un oracolo aveva predetto a un sultano che sua figlia sarebbe morta al suo 18mo compleanno a causa del morso di un serpente.

Vivevano sulle rive opposte dell’Ellesponto ma, pur di incontrare l’amata, ogni notte Leandro attraversava a nuoto lo stretto. Lo guidava la luce di una lucerna accesa da Ero sulla cima della torre in cui viveva.

Il sultano fece costruire la torre e vi nascose la figlia per proteggerla. Il fatidico giorno, il padre portò in dono alla figlia un cesto di frutta esotica ma, proprio lì, si era nascosto un serpente velenoso che morse la fanciulla.

Una notte tempestosa, il vento spense il lume. Leandro, senza orientamento, morì annegato. Quando all’alba Ero scorse il corpo esanime dell’amato sulla spiaggia, sopraffatta dal dolore, si buttò dalla torre.

Il padre impotente e sgomento non poté fare altro che tenere tra le braccia la figlia e vederla esalare l’ultimo respiro.

TORRE DI LEANDRO o DELLA FANCIULLA Sandro D'Angelo Photography

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Sandro D'Angelo


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Marmaray Sandro D'AngeloPhotography Giroinfoto Magazine nr. 53


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Impavidi

Autore: Ciro Schiavone Castel Volturno (CE)

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Plaza de EspaĂąa Autore: Rita Russo Siviglia ES Giroinfoto Magazine nr. 53


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Magie di luce

Autore: Tino De Luca Cascata Capelli di Venere Casaletto Spartano (SA) Giroinfoto Magazine nr. 53


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Giroifoto è

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Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.

Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.

Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.

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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Giugno 2020

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Conoscere il mondo attraverso un obbiettivo è un privilegio che solo Giroinfoto ti può dare veramente.

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PHOTO T R AV E L

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Oregon Coast - Coquille Mariangela Boni

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