NO. 10 I'GIORNALINO

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ARTE AL FEMMINILE

Artemisia Gentileschi di Daniele Gulizia

S

iamo nel 1593, a Roma. In quegli anni (per la precisione in un lasso di tempo compreso tra il 1592 ed il 1594) nell’Urbe giunge Michelangelo Merisi, meglio noto come il Caravaggio. La sua ascesa nella scena artistica è rapida e folgorante. Forse un “punto di non ritorno” nella storia dell’arte: porta nella pittura delle innovazioni di incredibile portata. Proprio in questa città, nei suoi primi anni di attività riscuote un grande successo e molti pittori ne rimangono profondamente colpiti. Tra questi vi è Orazio Gentileschi, che in breve tempo porterà nella sua pittura lo stile del Caravaggio. In quell’anno, il 1593, nasce sua figlia Artemisia Gentileschi, anch’ella destinata alla pittura, anch’ella destinata ad una vicenda umana piuttosto “accidentata”, come la storica dell’arte Mina Gregori definisce quella di Caravaggio. Forse Orazio non sapeva che sarebbe stata destinata ad essere un astro nella pittura Italia del Seicento o forse è proprio il primo che intravede nel suo precoce talento i numeri per una possibile carriera artistica. Quello che sappiamo è che la istruisce al mestiere del pittore, insegnandole prima a fabbricarsi colori e materiali e poi la tecnica pittorica. Artemisia ha modo di coltivare la sua dote, cresce in un ambiente -la bottega del padrefrequentato da vari artisti che all’epoca operavano a Roma (sappiamo che anche lo stesso Caravaggio vi giunse, anche se è improbabile un contatto diretto con Artemisia) e respira il fervente clima artistico-culturale che animava la città papale in quel secolo. È una donna fortunata, bisogna ricordare che a

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quel tempo alle donne non era concesso nemmeno di frequentare le accademie. Purtroppo, nel maggio del 1611, quando ha appena 18 anni, la sua vita subisce un tracollo ed è vittima di un evento che la segnerà indelebilmente per tutta la vita: lo stupro da parte di Agostino Tassi, pittore anch’egli, abilissimo nello prospettiva e collaboratore del padre che aveva deciso di portare Artemisia proprio sotto la sua ala (affinché fosse iniziata alla prospettiva) Costui era effettivamente conosciuto come un uomo iroso e violento, mandante di diversi omicidi, ciononostante Orazio doveva avere una grande stima di lui. Nel 1611, entrato nello studio di Orazio, approfittando della temporanea assenza dell’artista, ne violenta la figlia Artemisia. Le vicende che si accavallano dopo questo tragico avvenimento sono numerose e contorte, ma, alla fine, Orazio denunciò l’accaduto ed ebbe inizio una vicenda giudiziaria che mise in luce tutta la forza d’animo della giovanissima Artemisia, profondamente colpita e umiliata dall’accaduto, ma animata da un violento desiderio di rivalsa. Durante il processo Artemisia fu sottoposta a delle torture umilianti per dimostrare la veridicità delle sue affermazioni e in queste rischiò quasi di perdere l’uso delle dita, ma alla fine ottenne la vittoria. Il Tassi fu riconosciuto colpevole e condannato ad un esilio che, tuttavia, non scontò mai. Tormentata dall’avvenimento e dal processo, dopo essersi sposata, nel 1612 Artemisia lasciò Roma per dirigersi a Firenze, dove, finalmente, la sua carriera artistica sbocciò, e dove vide venirle riconosciuto tutto il talento che possedeva. Quivi entrò in contatto con la corte


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