In Afghanistan le bambine non cantano più P
Francesco PATRIZI
er capire cosa sia successo in Afghanistan, dove più di 50 studentesse sono morte in un attentato lo scorso 7 maggio, bisogna partire dai negoziati intrapresi dall’amministrazione Trump con i talebani. Il gruppo terrorista che tiene in pugno il paese si è formato quarant’anni fa proprio grazie agli USA che, per ricacciare oltreconfine l’invasore sovietico, formarono sul territorio dei giovani miliziani poi divenuti fondamentalisti islamici e alleati di Al Qaeda. Trump aveva promesso il ritiro dell’esercito dall’Afghanistan e la pace tra il governo nazionale e i talebani, ma per fare ciò occorreva riconoscere la vittoria di quest’ultimi, che già amministrano gran parte del paese; con abile mossa diplomatica, gli americani hanno riconosciuto la transizione dei talebani da organizzazione terroristica a forza politica; da parte loro i talebani hanno aperto un ufficio diplomatico a Doha, in Qatar, dove si sono svolti gli incontri che hanno portato, l’anno scorso, ad un accordo: loro rinunciano alle armi, il governo afgano li riconosce come forza politica, gli americani ritirano l’esercito dal paese. Far cambiare mentalità ai fondamentalisti è però un’altra cosa. L’Afghanistan è un paese a maggioranza islamica con una cultura fortemente repressiva nei confronti della donna, il governo in carica, pur non applicando la sharia come i talebani, ha proibito alle ragazze di età superiore a 12 anni di cantare in pubblico durante le cerimonie in cui siano presenti degli uomini.
I talebani gestiscono quasi tutte scuole coraniche del paese, le madrassah, dove insegnano il Corano in arabo (testo scritto in una lingua che gli afgani non parlano e che è vietato tradurre!). Il ministro per l’Educazione Mohammad Hanif Atmar ha detto che i talebani si servono dell’istruzione come arma per il terrorismo e ha finanziato l’apertura di alcune madrassah dove si studia anche informatica e lingue straniere. La bomba esplosa il 7 maggio ha colpito una di queste scuole. I talebani si sono affrettati a dire che non sono responsabili, ma è difficile credergli. L’obiettivo scelto non è solo un modello di istruzione troppo moderno e aperto alle donne, ma è anche un istituto frequentato dal gruppo etnico degli hazara, uno dei più perseguitati del paese; qualcuno ricorderà che il bambino del Il cacciatore di aquiloni era hazara. Durante questi anni, molti hazara sono usciti dal paese e si sono arruolati nelle truppe sciite che hanno combattuto al fianco del presidente siriano Bashar al-Hassad contro le forze dell’Isis; le truppe del sedicente Stato Islamico sono composte da sunniti e, all’inizio della guerra in Iraq e in Siria, erano sostenute da Al Qaeda e dai talebani. L’attentato potrebbe dunque avere una duplice valenza di vendetta politica e non fa ben sperare riguardo agli accordi di Doha. Al di là delle considerazioni strategiche, il pericolo numero uno per l’Afghanistan resta, sempre e comunque, l’emancipazione della donna.
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