Riqualificazione e valorizzazione dei laghi di cava - Parte 2

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rinaturalizzazione, piccole attrezzature per la fruizione o impianti legati all’attività estrattiva, da rimuovere a coltivazione cessata, interventi di sistemazione finalizzati • ad una restituzione dei processi naturali e di morfologie paesistiche naturaliformi, da ottenere per fasi, durante l’attività estrattiva, e nel rispetto delle seguenti regole parametriche: distanza di almeno 150 m tra il • ciglio superiore dello scavo e l’alveo fluviale attivo, profondità degli scavi limitata alla • falda freatica senza connessioni con gli acquiferi profondi fasce di rinaturalizzazione al • contorno del lago di superficie almeno pari a quella del lago, fasce di rinaturalizzazione al • bordo del lago di larghezza non inferiore a 50 metri.

Lo studio di valutazione di impatto e i monitoraggi

I progetti di sistemazione sono stati sistematicamente accompagnati da studi di valutazione di impatto (obbligatori data l’area protetta, la dimensione degli interventi estrattivi e l’interferenza in fasce fluviali di attenzione idrogeologica).

Le valutazioni di impatto in numerosi casi hanno comportato condizionamenti significativi dei progetti: modificando forma e posizionamento dei laghi proposti o riducendone la profondità e la superficie, imponendo attenzioni per gli habitat di fauna endemica, per le

connessioni ecologiche e per gli aspetti paesistici, richiedendo attrezzature per la fruizione, l’accessibilità e la sicurezza del pubblico, a lavori terminati.

Alle indagini conoscitive dei luoghi e dell’ambiente normalmente richieste per gli studi di impatto (vedi l.r.40/1998) si sono aggiunti approfondimenti sugli aspetti geotecnici e idrogeologici, con carotaggi profondi e valutazioni scientifiche sui campioni di terreno e di acque, soprattutto per verificare i rischi di interferenza delle parti scavate con le falde profonde, durante lo scavo e nei periodi successivi.

Importanti sono anche le verifiche di idraulica fluviale, per controllare le eventuali interferenze fiume-cava in occasione di eventi catastrofici.

La gestione dei progetti di sistemazione, a cura delle imprese proponenti, viene accompagnata da un robusto protocollo di monitoraggi e da una commissione di controllo (presenti il Parco,la Regione, i Comuni).

I monitoraggi verificano con scadenze diverse (trimestrali le acque, annuali il resto):

i livelli freatici della falda, • la qualità chimica e biologica delle • acque a monte e a valle dei laghi, l’andamento della dinamica fluviale

• in relazione ai bacini estrattivi, l’attuazione del progetto estrattivo

• (profondità dello scavo e dimensioni laghi),

l’attuazione del progetto di recupero • e sistemazione (vegetazione e attrezzature per fauna e visitatori).

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Il processo produttivo

Il processo produttivo di coltivazione di un giacimento in falda è piuttosto omogeneizzato e si è evoluto nel tempo con innovazioni tecniche che hanno aumentato la potenza, la sicurezza e l’efficienza delle macchine: gli asterischi * seguenti segnano le attrezzature che si sono evolute con innovazioni tecnologiche significative negli ultimi anni.

Tuttavia, in termini, operativi la sequenza delle operazioni è rimasta la stessa da oltre un secolo: si libera il suolo dalla vegetazione e • si asporta la frazione superficiale del suolo, composta di terreno vegetale, per raggiungere lo strato di ghiaie (o di sabbie) utili nella produzione edilizia: lo scotico; a parte si accumula lo strato fertile della cotica rimossa, per ristenderlo alla fine dell’attività estrattiva;

si scava con escavatori sino a • raggiungere la falda superficiale (a profondità normalmente di 2-5 metri dal piano di campagna iniziale) e si forma un lago a bassa profondità (7-8 metri) e di ridotta dimensione, con sponde a pendenza inferiore al 30% per garantire stabilità alla parte di terraferma e sicurezza per chi la percorre; le acque provenienti dall’esterno vengono drenate in modo da non confluire nel lago, per evitare eventuali inquinamenti; sul lago viene varata una draga • galleggiante*, dotata di benna mordente elettrica spesso di grandi dimensioni (fino a 9 mc), che consente l’estrazione direttamente dal fondo subacqueo, formando una fossa fino alle profondità di progetto, verso la quale converge il materiale circostante;

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il materiale estratto, liberato

dall’acqua e dai materiali grossolani, viene portato con nastri trasportatori (pgalleggianti e a terra) agli impianti di vagliatura*, consistenti in setacci a varia misura, che consentono di accumulare il materiale selezionato per le diverse pezzature (la dimensione media dei grani) utili per diversi prodotti in edilizia; il materiale più grossolano viene • frantumato in appositi impianti di frantoio*, fino al raggiungimento delle dimensioni richieste (nella produzione di calcestruzzi è anche necessaria una quota di pietra frantumata);

il materiale, prima di essere spostato • con benne gommate e autocarri e accumulato in grandi mucchi per la vendita, viene lavato a fondo, in impianti che separano le ghiaie dai residui e dai limi*, depositati insieme alle acque di lavaggio in appositi bacini di decantazione.

Sopra, i nastri galleggianti per il trasporto dei materiali e gli impianti di selezione e trattamento Sotto, draga galleggiante con benna mordente A sinistra, estrazione del materiale in alveo prima metà ‘900. (Foto:archivio fam. Ghione)

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Interventi naturalizzazione

Un recupero correttamente realizzato di un’attività estrattiva deve potersi considerare una valorizzazione naturalistica dei luoghi, che migliora nel complesso la situazione ambientale precedente: non solo quella dovuta all’attività industriale, ma anche quella della campagna agricola intensiva. Per questo i recuperi sono generalmente impostati per assicurare un ruolo centrale alla vegetazione “naturale” (cioè artificialmente realizzata, ma con caratteristiche di impianto e di essenze simili a quelle che si sarebbero sviluppate spontaneamente) e alla formazione di habitat che favoriscano una maggiore biodiversità, anche faunistica.

Obiettivo generale è quindi accompagnare l’attecchimento e la crescita vegetazionale per ottenere unità ecosistemiche diverse e integrate, che

raggiungano la complessità e la stabilità per evolvere naturalmente.

Nelle schede seguenti si sintetizzano per tipi gli interventi principali di ricostruzione naturalistica, distinguendo tra le zone in asciutto e quelle umide, ma il risultato qualitativo dipende molto dall’integrazione che si riesce ad ottenere nel progetto complessivo di sistemazione di ciascun sito, sia entro la parte di recupero che in relazione al progetto dell’attività produttiva, in modo che la valorizzazione ambientale proceda di pari passo con le fasi estrattive.

Il progetto estrattivo deve anticipare alcuni dei caratteri fondamentali della sistemazione ambientale finale, almeno per la parte di profilatura e di modellamento dei bacini lacustri, che coniughi l’esigenza produttiva con le morfologie

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Il disegno dei laghi CASO SFAVOREVOLE CASO INTERMEDIO CASO FAVOREVOLE
Realizzazione di zone umide lungo tutte le sponde Realizzazione di un’isola Realizzazione di una grande zona umida Creazione di due diversi laghi

curvilinee e mosse che si riscontrano in natura lungo i fiumi, nelle fasce segnate da lanche e paleoalvei di meandri.

D’altra parte si è verificato che la regola generale, di autorizzare attività estrattive che comportino meno del 50% di acque profonde, ha eliminato la tendenza al massimo sfruttamento dei lotti, che spingeva al disegno di laghi quadrangolari, con bordi il più vicino possibile al confine dei lotti disponibili, anche se è evidente che dalle parti d’angolo si ottengono volumi ridotti e difficili da estrarre. Al contrario, rispetto al lago perfetto per il cavatore che è circolare, con la draga al centro sono modeste le “perdite” di volumi estraibili se si

disegnano con qualche attenzione profili spondali con anse e bassi gradienti di pendenza nei primi metri subacquei: le “acque basse”, di particolare interesse ambientale.

Un progetto integrato tra estrazione e recupero consente infine di evitare interferenze gravi tra le parti sistemate e l’attività produttiva ancora in essere, sia per contenere il disturbo ambientale e l’impatto percettivo (degli impianti, dei mucchi di ghiaie estratte, dei parcheggi), sia per assicurare l’accessibilità e la sicurezza dei visitatori.

Sopra, esempio di recupero ambientale per fasi contestuali alle attività di coltivazione ed estrazione

A sinistra, tipologie di profilatura dei laghi per ottimizzare l’habitat faunistico nelle fasce spondali

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ampliamento lago recupero ambientale I FASE II FASE III FASE IV FASE
ampliamento lago recupero ambientale ampliamento lago recupero ambientale ampliamento lago recupero ambientale

In asciutto:praterie e cespuglieti

Le praterie, da sfalcio o da pascolo, svolgono un importante ruolo ecologico, di radura e intervallo delle aree boscate ed arbustate, contribuendo alla biodiversità vegetazionale e faunistica. E’ un ruolo ormai consolidato nell’ecosistema attuale, in parte legato alle attività antropiche, perchè nei processi naturali il prato, nelle situazioni geoclimatiche della pianura, non è una forma stabile: evolverebbe verso il bosco se non ci fosse l’intervento umano a mantenerlo pulito dal novellame di alberi e arbusti.

Quindi negli interventi di naturalizzazione vanno mantenute alcune superfici erbate, che rendono aperto il bosco planiziale e facilitano l’arricchimento della gamma ecotonale (cioè della fascia preziosa dove sono compresenti due ecosistemi) tra zone umide e sistema alberato.

Nei recuperi di aree che sono state a

lungo denudate e sterili l’operazione preliminare è la ristesura di terreno “vegetale” (in buona parte derivante dagli accumuli fatti all’inizio delle attività estrattive, e quindi giacente da anni senza areazione e rinnovo delle parti vitali). E’ in questa prima fase che l’inerbimento costituisce una fase iniziale, di una durata di almeno 2-3 anni, obbligatoria per stabilizzare la terra stesa di recente e per ricostituirne un minimo di vitalità fertile.

L’inerbimento può essere effettuato con la semina meccanica o in alternativa, su terreni in pendenza o di difficile accessibilità, con l’idrosemina, consistente nella distribuzione di una miscela complessa di sementi, concimi, collanti ed acqua con una speciale pompa, l’idroseminatrice, normalmente utilizzata nei recuperi ambientali. Particolare attenzione deve essere rivolta alla scelta del miscuglio di

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sementi, che deve tener conto delle specie rilevate in zona, delle caratteristiche ecologiche che presumibilmente si instaureranno nella situazione finale, degli aggruppamenti fitosociologici di riferimento e della disponibilità sul mercato, scartando le varietà commerciate correntemente per le aree verdi urbane oppure come foraggere per l’allevamento.

Per introdurre elementi di valorizzazione paesistica e naturalistica della prateria nel primo periodo di recupero, si possono utilizzare arbusti autoctoni, notevoli per il fogliame o le fioriture (sia per l’uomo che per l’avifauna),

che si dovrebbero impiantare a macchie di 20-30 arbusti, irregolari come grandezza, forma, disposizione, anche ad integrazione della vegetazione arborea preesistente.

Le specie arbustive da utilizzare possono essere: biancospino (Crataegus monogyna), rosa selvatica (Rosa canina), prugnolo (Prunus spinosa), crespino (Berberis vulgaris), ligustro (Ligustrum vulgare), nocciolo (Corylus avellana), pallon di maggio (Viburnum opulus), berretta da prete (Euonymus europaeus).

Sopra e a fianco, esempi di recupero naturalistico a praterie

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Come il prato, l’arbusto e il cespuglio costituiscono formazioni instabili che spontaneamente tendono ad evolvere nelle formazioni boschive planiziali. Solo una gestione antropica, anche se discreta e attenta ai processi naturali, consente il mantenimento di un paesaggio variato e complesso, in cui il cespuglieto costituisce uno degli elementi di maggiore pregio per la ricchezza di forme e colori stagionali, costituendo d’altra parte un importante appoggio alimentale e di nidificazione per l’avifauna.

Il cespuglieto arbustivo assume diverse connotazioni a seconda delle diverse situazioni in cui è inserito.

A macchie isolate è corredo del prato, se aumenta in densità e si posiziona al bordo del bosco di piante arboree costituisce un complemento vegetazionale importante per ospitare una

varietà di piccola fauna e di insetti. D’altra parte l’introduzione di impianti a cespugli è una pratica di notevole utilità nel processo di attuazione del recupero, dato che permette di ottenere risultati significativi in un periodo medio-breve, mentre la parte arborea si afferma solo in tempi più lunghi. Queste performance derivano dalla relativa facilità di propagazione, dalla rapidità di crescita che consente di avere validi risultati estetici in tempi brevi e le resistenza anche nelle fasi di prima crescita (in molti casi si tratta di piante pioniere).

Sopra e a fianco, esempi di recupero naturalistico con cespuglieti arbustivi

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Un caso: Cava Fornace Violani a Ravenna

Gli impianti di una fascia di cespugli di bordo della ex cava, hanno lo scopo di arricchire la vegetazione dell’area, procurare nuove nicchie per la fauna selvatica, nonché contenere lo sviluppo delle specie esotiche (es. robinia) e, infine, proteggere meglio gli ambienti interni al sito (l’area è in un contesto ad elevata antropizzazione e la vicinanza di infrastrutture viarie la mette a rischio di intrusioni, discariche abusive etc.).

Si è posta particolare attenzione al reperimento del materiale impiegato, realizzando appositamente alcuni “vivai volanti”, dove le piante erano riprodotte da seme (proveniente dal limitrofo parco del Delta del Po) o comunque recuperate in natura (talee poi fatte radicare o giovani individui). Alle piante messe a dimora (alte circa un metro e dell’età di 2-3 anni) si è assicurata una manutenzione per i primi 3-4 anni dall’impianto: messa in posto di un film plastico nero attorno alla siepi all’impianto; sfalci delle specie erbacee e lianose nel raggio di 50 cm, mediante decespugliatore portatile. Nell’arco di 10 anni le siepi perimetrali si sono impiantate stabilmente (senza più necessità di manutenzione da almeno 5 anni). In particolare, si è ottenuto un significativo incremento della biodiversità, con l’inserimento di specie che ormai da secoli erano scomparse dal territorio considerato.

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In asciutto: aree boscate

Dove la sponda risale al piano di campagna, la presenza del fiume influenza poco l’assetto vegetazionale che spontanemente evolve, senza presenza umana, verso il bosco mesofilo (cioè con fabbisogno idrico medio, rispetto al bosco idrofilo e a quello xerico). Nell’area della pianura piemontese il bosco mesofilo è a prevalenza di farnia (Quercus robur), con rovere (Quercus petraea), frassino maggiore (Fraxinus excelsior), e carpino bianco (Carpinus betulus) quali principali specie accompagnatrici.

Dunque nel progetto di recupero, per la parte arborea massiva, si fa riferimento a queste formazioni arboree, da distribuire secondo impianti non regolari e con una densità media di 800 piante/ha (una ogni 12/13 mq).

Per un buon risultato almeno la metà

Un caso: Cava Ghiarella a Modena

degli impianti è di farnia, poi il carpino e il frassino per almeno il 10% e altre in misura minore: olmo e acero campestre, tiglio, ciliegio selvatico, pioppo bianco.

A completamento dell’associazione vegetale, da impiantare anche successivamente all’attecchimento delle piante arboree, un impianto arbustivo delle essenze in precedenza citate, per almeno il 25 % del totale degli alberi (una densità di circa 200 piante/ha).

Il sesto di impianto per un bosco naturaliforme è privo di geometrie riconoscibili, tuttavia, per facilitare la manutenzione e lo sfalcio nei primi anni, è normale ricorrere a un impianto “a onde” parallele la cui regolarità a piante cresciute non è percepibile ma, mantenendo un intervallo solo erbato di circa 4 metri, consente il passaggio delle macchine operatrici.

Un rimboschimento ormai consolidato del fondo (13.000 mq.) di una cava in asciutto, a circa 15 m sotto al piano di campagna attuale. Nei due anni precedenti all’impianto si inerbì il fondo con erba medica (Medicago sativa L.), per migliorarne le caratteristiche fisiche e agronomiche. L’erbaio al secondo anno fu poi interrato (sovescio), l’area concimata con letame bovino maturo e arata per 50 cm di profondità ed, infine, erpicata. Teli in polietilene nero impedivano la crescita di specie erbacee concorrenti per luce e nutrienti, assicurando una certa umidità del suolo. Il sesto d’impianto (3 x 3 m), scelto al fine di favorire la chiusura delle chiome, limitava ulteriormente la crescita delle specie erbacee concorrenti (contenendo in tal modo anche i costi di manutenzione per gli sfalci). Le piante utilizzate sono delle specie classiche per il bosco mesofilo con aggiunta di salici per le parti più vicine alla falda, e sono state posate per lo più in fitocella, dell’età di 1-2 anni ed altezza di 20-50 cm, per il resto a radice nuda o in forma di talea.

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Sopra, schema e realizzazione di bosco mesofilo con sesto di impianto a onde parallele Sotto, bosco planiziale con sesto di impianto naturaliforme ad uno stadio evoluto

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In molti casi i programmi di recupero devono ottimizzare i risultati attraverso una strategia di intervento che, fase per fase, media tra l’obiettivo di ottenere una vegetazione climax (cioè, nella fase matura, naturalmente adatta alla situazione geoclimatica locale) e la difficoltà ad ottenere in tempi relativamente brevi tale evoluzione, a partire da suoli degradati. Il primo intervento spesso richiede formazioni vegetali “di colonizzazione” che costituiscono il primo stadio evolutivo della serie di vegetazione che si vuole costituire, che poi vengono accompagnate verso le associazioni vegetazionali più evolute (ed esigenti).

Un metodo efficace per innestare con una certa velocità e naturalezza il processo è quello di impiantare sin dalla prima fase macchie seriali, ponendo in sequenza specie diverse di vegetazione partendo dalle formazioni erbacee situate verso l’esterno e finendo con la formazione boschiva verso l’interno.

Si utilizzano specie arboree in zolla di altezza elevata (circa 2,5 metri) al centro della formazione e di taglia minore, fino a piantine di 40-60 cm al margine della formazione; lo stesso per le specie arbustive (tra i 150 e i 40 cm), in modo da ottenere effetti di questo tipo:

Una nota specifica occorre per gli interventi di valorizzazione della vegetazione spontanea preesistente, che per lo più, nella parte mesofila, è ridotta a minimi termini per la pressante incidenza dell’agricoltura, che sgombra le piante improduttive. Non dovunque va mantenuto ciò che resta di non coltivato. Infatti, a parte rari casi di esemplari arborei importanti, lasciati nel campo proprio per il loro portamento, le macchie alberate sono spesso infestate dalla Robinia pseudoacacia e da varie specie alloctone del

sottobosco, che vanno contenute, limitandone la diffusione con decespugliamenti sistematici e viceversa densificazioni con piante autoctone, ove risultino parti più rade.

Infine, la gestione naturalistica del bosco impone di lasciare sul terreno parte della piante abbattute che costituiscono rifugio per la fauna selvatica (per rettili, piccoli mammiferi), alimento per insetti xilofagi e quindi appoggio di biodiversità e di stabilità delle catene ecologiche locali.

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erba erba radi arbusti erba arbusti radi alberi erba arbusti alberi erba erba radi arbusti erba arbusti radi alberi

Esempi di recupero e rinaturalizzazione con inserimento di macchie seriali

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Le fasce spondali e le zone umide

Come già accennato la fascia delle acque basse è strategica per valorizzare naturalisticamente un sito estrattivo.

Poiché la profondità dell’acqua condiziona pesantemente lo sviluppo della vegetazione, particolare attenzione va posta nell’attuare una morfologia spondale che faciliti l’attecchimento di una vegetazione variata in ragione della presenza dell’acqua.

Una sequenza classica, e di massima funzionalità per gli habitat faunistici di interesse per queste zone, presenta le seguenti tipologie vegetazionali:

zona dei salici e degli ontani •

zona dei grandi carici (magnocarice- • to)

zona della cannuccia palustre • (fragmiteto)

zona delle tife (tifeto)

zona delle piante acquatiche.

Inoltre i diversi popolamenti sono anche influenzati dalle variazioni di livello della falda, diversificando ulteriormente le condizioni ecologiche nel raggio di pochi metri.

Questa complessità concentrata dell’habitat vegetazionale è una premessa indispensabile per l’insediamento di una fauna diversificata che, a partire da consumatori primari giunge sino ai predatori, (insetti, crostacei, pesci, uccelli) costituendo una complessa rete alimentare.

Nelle sponde dei bacini di cava con sezione appositamente studiata per favorire la naturalizzazione delle acque basse, la colonizzazione delle piante igrofite ed elofite avviene per lo più spontaneamente, vista la rapidità di diffusione e di adattamento di molte specie. In qualche caso è necessario innescare il processo di colonizzazione tramite l’introduzione di nuclei di idonee specie erbacee, accelerandone i tempi di sviluppo, assumendo come

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tifeto fragmiteto cariceto salici e ontani arbusteti di scarpata bosco mesofilo planiziale

riferimento le serie vegetazionali che caratterizzano le più vicine lanche, nei diversi stadi di impaludamento e di interrimento.

Sulla base del livello medio dell’acqua si distinguono tre situazioni tipiche:

le fasce a maggiore profondità, con • livello medio della falda compreso tra -150 cm e -80 cm, destinate alle macrofite sommerse appartenenti all’All. Potamion, con presenza talvolta di specie appartenenti all’All. Nymphaeion (macrofite galleggianti): Callitriche stagnalis, Potamogeton nodosus, Potamogeton pusillus, Ceratophyllum demersum, Myriophillum spicatum

prevalenza di Phragmites australis, con presenze di Nasturtium officinale, Veronica anagallis-aquatica, Sparganium erectum, Iris pseudacorus, Rumex conglomeratus, Alisma plantago-aquatica

la fascia al limite dell’asciutto, • maggiore di -30 cm, ma comunque con falda non più profonda di 30 cm, con i tipici popolamenti di interrimento a carice: Carex elata, Carex pseudocyperus, Lycopus europaeus, Lysimachia vulgaris, Polygonum hydropiper, Mentha aquatica, Lythrum salicaria, Myosotis scorpioides, Equisetum palustre.

le fasce intermedie, comprese tra -80

• cm e -30 cm, adatte ai canneti a prevalenza di Typha latifolia e delle prime forme di interramento a

Nell’altra pagina e sotto, successione degli habitat vegetazionali e faunistici che caratterizzano gli ambienti acquatici e spondali (da Le Cave in Provincia di Cremona 1996)

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1. Rigogolo 2. Storno 3. Pavoncella 4. Gallinella d’acqua 5. Pendolino e nido 6. Tarabusino 7. Cannaiola 8. Biscia d’acqua 9. Rana 10. Airone cenerino 11. Germano reale 12. Alzavola 13. Testuggine palustre 14. Triotto 15. Airone rosso 16. Cannareccione 17. Porciglione 18. Cuculo 19. Nitticora 20. Usignolo di fiume 21. Luccio 22. Sterna 23. Moriglione 24. Svasso maggiore
25.
Scardola
26.
Cormorano 27. Carpa
28.
Anguilla

Per mantenere un buon ricambio d’acqua è opportuno che nelle aree estese di acque basse siano presenti canali con acque di profondità maggiore di 150 cm (quindi poco o nulla vegetate). Le aree ad acque basse si realizzano normalmente con scavi fino a 150-200 cm dal livello medio della falda e, ove necessario, con un successivo riporto di terreno non sterile con pendenza modesta, in modo da stabilire una situazione dove spontaneamente si attesti l’intera sequenza vegetale (e faunistica) dell’ecotono acqua-terra. Ove necessario i materiali di scavo possono essere riutilizzati per la formazione di rilevati che modellano la parte in asciutto, ad esempio a formare le scarpate per uccelli fossori (vedi oltre).

La colonizzazione delle macrofite sommerse si ottiene affondando fastelli di canne, nel periodo della prima primavera. Dove possibile è opportuno utilizzare rizofite a foglie galleggianti e a foglie sommerse, comuni nel passato nelle lanche, sia per l’estetica (le fioriture) che per il ruolo di ossigenazione dell’acqua e di formazione di ambienti adatti alla riproduzione di anfibi e (quindi) di avifauna. Per il canneto e il cariceto si avvia il popolamento (che successivamente procede spontaneamente) con messa a dimora di rizomi nel tardo inverno, piantandoli nel fondo bagnato o in ceste di rete metallica, se a maggiore profondità. Per le specie di difficile reperimento o riproduzione si utilizzano piantine coltivate.

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Esempio di canneto con canale libero per il ricambio delle acque

Un caso: Lanca di S.Michele (Carignano- Carmagnola)

La lanca, prodotta da un salto di meandro del 1976, risulta in fase di progressivo interramento nel 1998, quando si avvia il progetto di recupero del sito (di oltre 100 ettari, comprensivo di due grandi bacini estrattivi e del Bosco del Gerbasso, area pubblica in un’ansa del Po rimboschita negli anni ’70).

Il progetto di sistemazione da una parte prolunga la vitalità della lanca, ripulendola dalle tife e aprendo varchi di acque libere, dall’altra riproduce nelle immediate vicinanze, al bordo del lago di cava, uno spazio di acque basse di dimensioni e caratteristiche vegetazionali simili, ma reso vivo in permanenza per il contatto con le acque profonde del lago estrattivo.

Preventivamente all’attività estrattiva profonda, è stata quindi realizzata al bordo del lago una fascia di acque basse vegetate di dimensioni simili a quelle della vicina lanca in progressivo interramento. I profili e le profondità sono stati studiati per mantenere un equilibrio ecosistemico nonostante le significative escursioni di quota della falda (oltre 120 cm.) e l’intervento di naturalizzazione ha riprodotto le popolazioni vegetali della lanca “storica” vicina, che si sono sviluppate velocemente (in meno di 5 anni), comportando una spontanea ricollocazione preferenziale dell’avifauna stanziale e di passo.

Nuove aree ad acque basse, canneto e saliceto realizzate in prossimità dell’antica lanca in progressivo interramento

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Il saliceto connota la fascia spondale dei corsi d’acqua padani, oggi spesso con tratti degradati e discontinui (soprattutto lungo le acque minori e poco tutelate). Anche la vegetazione spontanea delle sponde dei bacini estrattivi abbandonati sviluppa saliceti, ma quasi sempre risulta limitata e degradata da un punto di vista della varietà floristica.

Con l’abbandono delle pratiche colturali che utilizzano il salice come materiale per gli usi domestici, è ormai raro trovare saliceti arborei (e non arbustivi) in posizioni distanti dai fiumi e in configurazioni di macchia estesa e non solo lineare. Per questa rarità relativa, e per il ruolo consolidato che svolgono nel sistema vegetale ripario, ad integrazione delle fasce umide e delle acque basse, i

saliceti sono importanti nei progetti di recupero dei bacini estrattivi. Anche in questo caso l’impianto serve solo come start-up di un processo che si sviluppa naturalmente. Per il solo salice bianco (Salix alba) è in generale facile prelevare talee in aree prossime alla zona dell’intervento, con costi modesti. Per arricchire il sistema, con l’ontano nero (Alnus glutinosa) ed il pioppo bianco (Populus alba) e da arbusti tendenzialmente mesoigrofili, generalmente si ricorre all’utilizzo di piantine radicate.

A completare la sequenza acqua-terra svolge un ruolo ecosistemico rilevante il “prato bagnato”, che viene sommerso in certi casi di falda alta o di microeventi alluvionale, e che in natura rappresenta la fase più evoluta

A destra, sponda con spiaggia ghiaiosa e sequenza saliceto, prateria, arbusteto, bosco mesofilo Sotto, aree spondali a saliceto

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di interramento delle lanche e delle paludi. Il miscuglio da utilizzare per l’inerbimento fa riferimento ai raggruppamenti fitosociologici della Classe Molinio-Juncetea Br.Bl. (Ordine Molinetalia coerulae): sono popolamenti di un certo interesse ecosistemico funzionali soprattutto dove integrate ai saliceti, alle aree umide a canneto ed alle acque basse. Anche in questo caso l’inerbimento artificiale serve solo ad innescare il processo di colonizzazione dell’area che evolve in una formazione stabile attraverso la selezione naturale delle specie ecologicamente più adatte.

A complemento della sequenza vegetale delle sponde umide, per la biodiver-

sità delle fasce fluviali sono importanti le spiagge in ciottoli e ghiaia, che formano microambienti xerici, la cui funzionalità è migliore se sono localizzati a monte dell’area umida, in prossimità delle macchie alberate mesofile. L’interesse delle zone xeriche è prevalentemente faunistico: sono frequentate per la sosta o la nidificazione per specie di uccelli poco comuni quali il fraticello (Sterna albifrons), la sterna (Sterna hirundo) e il corriere piccolo (Charadrius dubius); inoltre sono aree adatte ai rettili, per i quali è opportuno sistemare microhabitat di rifugio, formati da cumuli di pietrame grossolano, di ramaglie o di tronchi morti.

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Interventi specifici per la fauna

La geografia delle aree a valenza ambientale nella piana saluzzese evidenzia sia la rarità delle connessioni ecologiche tra versanti e piana occidentale sia la mancanza di adeguate connessioni ecologiche lungo l’asse nord sud, nonostante le fasce fluviali. Infatti lungo il primo tratto del Po di pianura è ormai rada la vegetazione spondale e le uniche isole di (relativa) qualità ambientale sono le parti recuperate delle cave. La connettività ecologica a scala territoriale si deve assegnare soprattutto alle aree recuperate intorno ai bacini di cava, che formano stepping stones, cioè punti tappa, funzionali per l’avifauna, in transito o stanziale.

Per questo in generale l’obiettivo principale delle sistemazioni dei laghi di cava è indirizzato a formare oasi per l’avifauna, soprattutto nelle parti spondali, e, per quanto possibile, a migliorare le connessioni fini (almeno in termini di siepi e filari) ramificate nel contesto agricolo.

Isolotti artificiali

Nelle aree umide sono preziose per l’avifauna le parti più isolate, non disturbate e difficilmente accessibili ai predatori. In questo senso valgono gli isolotti, con ridotta copertura vegetazionale, affioranti dalle acque anche in condizioni di falda alta.

Quando non è possibile realizzare isolotti naturali, sono utili gli isolotti

artificiali. A titolo di esempio, di seguito si riporta la realizzazione di isolotti artificiali per un progetto di assistenza alla nidificazione di una colonia di Sterne.

Per la nidificazione delle Sterne comuni è importante predisporre idonee zattere ancorate ricoperte di ghiaioni, con tegole o ripari antipredazione per i piccoli, adeguatamente sollevati rispetto all’innalzamento del livello dell’acqua anche a seguito di forti precipitazioni.

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Isolotto artificiale per la nidificazione delle sterne Isola artificiale con vegetazione per l’avifauna.

Un caso: Cava le Chiesuole (Parma, tra Madregolo e Collecchiello)

Il recupero naturalistico esemplare della cava, utilizzata fino al 1998, ha ricostituito un complesso di zone umide con differenti profondità dell’acqua, che si è fuso con la parte a terra, già densamente colonizzata dai canneti e da boschetti di salici e ontani. L’ampia rete di canali alternati a lembi parzialmente inondati popolati da tife, giunchi e carici costituisce un ampio comparto idoneo per la riproduzione di anfibi e per il rifugio di aironi e rallidi. Nel bacino lacustre si trovano alcune isole in ghiaia a cui si sono aggiunte numerose “zattere galleggianti”, che ospitano la più numerosa colonia di sterne comuni presente nel Parco, che si aggiungono alle varie specie di aironi, anatre, rapaci diurni e notturni che ormai sono presenti con continuità.

Le zattere, ancorate in modo da seguire le oscillazioni della falda, sono di dimensione intorno al metro quadrato (adatte ad una coppia di sterne), possono essere collegate rendendo disponibili piattaforme più ampie. I materiali sono semplicissimi: la base in legno trattato (spesso si utilizzano pallet), con una rete al fondo che contiene pani di polistirolo per assicurare il galleggiamento, coperti da uno strato di argilla e rifinito con ghiaietto e ramaglia. A complemento una rampetta per facilitare l’accesso all’acqua dei pulcini, sponde di assi per proteggere la nidiata nelle giornate ventose, tegole come ripari antipredazione (le cornacchie e i gabbiani).

Isolotto artificiale per la nidificazione delle sterne, particolari e collocazione nel bacino di Le Chiesuole

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Scarpate verticali per la nidificazione

Le pareti nude, di sabbie e ciottoli, costituiscono importanti habitat per la nidificazione di specie ornitiche fossorie solitarie (martin pescatore) o coloniali (gruccione e topino).

Poiché ormai tali tipologie sono scarsamente rappresentate lungo le sponde fluviali, occorre prevedere la creazione di pareti verticali stabili, non disturbate da attività antropiche e prive di vegetazione, in substrati consistenti ma non troppo duri. Sono necessari tratti di scarpata di lunghezza di circa a 50-100 m e di altezza intorno ai 3 m, con un’esposizione soleggiata.

Siepi e filari

La progressiva scomparsa delle siepi e dei filari, tradizionalmente posti lungo strada, lungo canale e spesso ai confini dei lotti, riduce di molto la permeabilità ecosistemica del territorio rurale, oltre a banalizzare e impoverire il senso del paesaggio agrario.

Perciò i progetti di recupero dei siti alterati devono tenere conto il più possibile delle connessioni aperte con il territorio, partecipando alla ricostituzione di filari arborei e di un sistema di siepi utili per la piccola fauna.

Le essenze tradizionali dei filari erano spesso connesse a funzioni utilitaristiche complementari all’agricoltura alimentare: il gelso per la seta e la paleria, il salice per i vimini, l’acero per l’oggettistica; le siepi svolgevano ruolo di frangivento e di protezione. I filari lungo strada o all’ingresso delle cascine o dei paesi sono di specie decorative per il portamento, le fioriture, l’ombra (il tiglio, l’ippocastano, il platano), ma anche per le siepi a bordo di giardini e orti ha avuto importanza la componente estetica, dei fiori e dei frutti. Le specie più diffuse sono: Biancospino (Crataegus monogyna), Crespino (Berberis vulgaris), Spincervino (Rhamnus catharticus), Prugnolo (Prunus spinosa), Ligustro (Ligustrum vulgare), Nocciolo (Corylus avellana), Rosa selvatica (Rosa canina).

Le siepi contribuiscono al controllo delle popolazioni di organismi dannosi alle colture agrarie attraverso una maggiore diffusione di uccelli

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Schema e immagine di pareti verticali per specie ornitiche fossorie

insettivori e riducono l’eutrofizzazione delle acque svolgendo la funzione di filtro biologico dei fertilizzanti utilizzati nel campo.

Per questi motivi almeno la fascia di confine tra aree sistemate naturalisticamente ed aree agricole circostanti devono essere messi a dimora siepi e possibilmente filari arborei. Dove è documentato l’assetto storico dei filari nel territorio circostante (ad esempio con riferimento alle carte IGM di 100 anni fa) è opportuno prevedere l’estensione dei filari nella campagna, sin dove possibile, in ragione delle proprietà e delle disponibilità degli operatori.

Nei filari le piante si pongono con sesto di impianto di circa 5 metri, con un eventuale diradamento alla loro maturità: nei filari decorativi il sesto è di 8/10 metri, per piante che raggiungono i 20 m di altezza.

Le siepi e gli arbusti sono posti su due file parallele ma sfalsate (quinconce), con un sesto di impianto di circa 50 cm; vengono quindi poste a dimora 4 piante arbustive per metro quadro, permettendo la totale chiusura della siepe nell’arco di pochi anni.

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Ricostituzione di un sistema di siepe-filare

Interventi per la fruizione

Il recupero delle aree estrattive, è stato indirizzato prevalentemente agli obiettivi tipici della gestione delle aree protette: qualificare le risorse ambientali e migliorarne la fruibilità. In particolare, nel Piano d’area del Parco del Po, la fruizione è orientata e promossa in modo abbastanza dettagliato, con indicazioni che in molti casi sono state inserite nei progetti in corso di attuazione. In tutti i casi si pongono attenzioni per evitare che l’apertura al pubblico interferisca o danneggi gli obiettivi ecologici del progetto di recupero. Ma oggi il tema della fruizione non è riducibile ad una semplice attività di servizio complementare e non necessaria alla qualità dei recuperi delle aree estrattive, vista la difficoltà degli enti a gestire, manutenere e assicurare il presidio delle aree ripristinate e cedute.

Infatti la pressione dei contesti antropizzati e degli utilizzi impattanti sul territorio (strade, agricoltura intensiva, discariche,..) non consente di guardare con tranquillità all’evoluzione spontanea di aree naturalizzate, che, in una situazione ideale, dovrebbero “autogestirsi”: il rischio di vandalismi e inquinamenti è molto forte, soprattutto se le aree sistemate si presentano come una terra di nessuno, abbandonata.

Per evitare queste dinamiche degradanti è importante consolidare un’immagine di funzionalità e di valore patrimo-

niale delle aree, che siano apprezzate come bene utile per utenti di diverso tipo: da un pubblico generico, alla didattica scolastica, alle attività associative naturalistiche o sportive. D’altra parte, in ragione delle peculiarità dei siti recuperati, è necessario graduare gli usi in considerazione dell’”impronta” che determinano sul contesto, in un ventaglio che va dalla pura fruizione esplorativa della natura, per piccoli numeri e su percorsi guidati, all’utilizzo dei bacini di cava per attività sportive con attrezzature.

Ciascun progetto di recupero deve quindi tener conto, sin dall’inizio, della più opportuna distribuzione degli utilizzi e delle pressioni nella gestione del sito, riservando zone alla riserva di naturalità, altre ad una fruizione “leggera”. Quindi, salvo casi specifici che richiedono una gestione particolarmente attenta, per ogni sito dovrebbe essere messa a punto una strategia gestionale sostenibile (anche economicamente), che tenga conto:

delle peculiarità delle risorse di • ciascun sito (o della progettualità dei gestori) che possono diventare motivo di attrattività turistica (fauna particolare, panoramicità, attività specifiche, etc.),

dei necessari effetti di sistema da

ottenere, inserendo i progetti di ciascun lago in programmi che integrino in itinerari di qualità paesistica diversi siti di interesse naturalistico o culturale.

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Criteri per interventi a favore dell’uso didattico e ricreativo Dall’analisi di diversi casi esaminati, per l’area golenale emergono orientamenti che possono essere articolati in tre linee di interventi.

Valorizzazione turistico - ricreativa, con riferimento ad un bacino di utenza 1. costituito dai paesi limitrofi, in cui è già attivo un turismo domenicale, che potrebbe essere attuabile attraverso interventi di modesto impatto ambientale come piste ciclabili, percorsi vita, aree pic-nic e sport acquatici (canottaggio, canoa, ecc.).

Valorizzazione ai fini della didattica ambientale, nei casi in cui l’area presen- 2. ti aspetti appropriati, quali la coesistenza di un ambiente relitto (lanche di Po) e di un ambiente artificiale che nasce nell’ambito di interventi rivolti alla mitigazione delle attività estrattive in golena. Le aree recuperate possono essere inserite nel circuito delle Aree protette regionali, dei Siti Natura 2000, delle Aree di riequilibrio ecologico, dei Musei di storia naturale e della civiltà contadina del Po, delle zone d’interesse storico architettonico. Sui laghi di cava possono anche essere resi disponibili piccoli centri attrezzati da utilizzare per la didattica sul campo delle scienze naturali, ad uso delle scuole o del pubblico più in generale.

Organizzazione a poli attrezzati per ricerche ecologiche ed idrobiologiche ad 3. indirizzo applicativo-gestionale. Il quadro di riferimento è quello dell’ecologia delle aree perifluviali, delle zone umide, delle “buffer strips”, ecc. In questo senso possono essere coinvolte scuole medie superiori ed Università. Attualmente sono realizzate, in diversi bacini di ex cava, alcune linee di ricerca applicata, come ad esempio:

a) studi sulla capacità di autodepurazione e sulla resistenza di questi ambienti alle perturbazioni legate all’inquinamento di origine diffusa proveniente dalle aree agricole circostanti e/o recapitato da corsi d’acqua inquinati;

b) sperimentazione dell’allevamento di pesce planctofago obbligato che si configura per un basso impatto sulla qualità dell’acqua (non si usa mangime);

c) recupero di aree poco profonde da utilizzare per la riproduzione ed il ripopolamento con fauna ittica indigena; quest’ultima linea di ricerca ha avuto un importante sviluppo con una sperimentazione di reintroduzione assistita dello storione (Acipenser naccarii) svolta in Provincia di Piacenza.

[Da MUZZI E., ROSSI G. (acura di ), 2003, Manuale teorico-pratico “Il recupero e la riqualificazione ambientale delle cave in Emilia Romagna”, Regione Emilia Romagna].

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Accessibilità e percorsi

L’offerta di fruizione dei siti recuperati dovrebbe fare riferimento a due tipologie di utenza:

i locali (gli abitanti nei comuni del • contesto), che costituiscono la domanda più consolidata: le visite scolastiche, gli usi del tempo libero (la pesca, la passione ambientale e per gli animali...);

i visitatori, che si prefigurano come • una domanda potenziale per i fine settimana, per lo più proveniente dalle città nel raggio di 50/100 chilometri.

Nei progetti sino ad ora attuati il potenziale dei visitatori “cittadini” è stato trascurato anche perchè in Italia il turismo di prossimità è molto meno diffuso che in altri paesi. In ogni caso è evidente che gli obiettivi e i comportamenti del turista sono completamente diversi da quelli del residente. Quindi, se da una parte è un motore di sviluppo locale, perchè è disposto a pagare per le visite, dall’altra richiede prestazioni e attrezzature diverse da quelle sinora pensate nei progetti di recupero.

Dalle esperienze francesi e tedesche, molto diffuse, emerge che il turismo di prossimità richiede mete in collana, itinerari di greenways (percorsi senza motore nel paesaggio non urbanizzato) o di strade quiete (vicinali o comunali percorrribili a bassa velocità, in contesti di buona qualità paesistica),

attrezzature ricettive anche piccole ma qualificate paesisticamente e “di charme”.

Questi requisiti superano il singolo progetto e richiedono pianificazione (vedi i primi esperimenti sul “Po dei laghi”) e investimenti a scala territoriale, per offrire percorsi completi, sistemi intermodali (ferrovia-bici, auto-bici etc.), coordinamento nella gestione dei beni (orari, servizi etc...).

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mete della fruizione musei ed ecomusei

traghetto

cascine didattiche

punti di vendita diretta prodotti agricoli percorsi di connessione

attrezzature di interscambio

porta del fiume

nodo intermarca

loisir naturalistico sport/attività en plein air

sport/attività attrezzate

Sistema degli itinerari di greenways o strade quiete per la fruizione dei beni e delle mete

Sopra e a fianco, un esempio di pianificazione della fruizione attraverso reti di itinerari, mete e punti di interscambio a scala d’area vasta (dal Masterplan del Po dei Laghi per il Parco del Po Torinese, a cura Castelnovi e Paicon, 2011)

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Per agevolare la fruizione occorre comunicazione orientata: da una parte la presentazione didattica, con una cartellonistica (o video, o presentazioni) accattivante e facilmente comprensibile, che illustri gli aspetti naturalistici del luogo ma anche la storia degli interventi; dall’altra una documentazione più approfondita, che tratti di risorse e problematiche generali, pur presenti nel caso specifico, e si possa portare a casa.

E’ importante anche la rete infrastrutturale interna, che comunque deve assicurare: una buona accessibilità complessiva

• (per i bambini, gli anziani, i portatori di handicap), i parcheggi, posizionati il più • possibile all’esterno, defilati e filtrati rispetto a luoghi d’interesse naturalistico,

i percorsi, studiati in modo da • contenere le esigenze di “esplorazione” dei visitatori, facendole corrispondere agli itinerari di visita e collegando in sequenza le attrezzature e le mete interne.

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Passerella in legno (Ris. Nat. Valle Canal Novo, Ud) Segnaletica nel parco (Gran Parc Miribel Jonage, Lyon)

Fruizione dei laghi di cava

Gli specchi d’acqua costituiscono il fulcro attrattivo di tutti i tipi di fruitori, dai pescatori agli amanti del paesaggio, e le loro sistemazioni presentano molte potenzialità d’uso per il tempo libero, da gestire ottenendo un equilibrio con le esigenze ambientali.

Quindi, ferme restando le risorse naturalistiche ottenute qualificando le fasce spondali, per i laghi abbastanza grandi sono possibili diversi tipi di attività in acqua, con le relative sistemazioni spondali (arenili, pontili, alberature da ombra etc..) e attrezzature (approdi, rimesse per imbarcazioni, sistemi di sicurezza). E’ importante che già nel progetto complessivo di attuazione del bacino siano previste le diverse possibilità, in modo da profilare le sponde e definire le profondità più opportune sin dall’inizio.

Per una buona gestione vanno dunque attivate specifiche attenzioni: per assicurare una certa separatezza • paesistica e ambientale tra le parti a più alta pressione antropica (per affluenza e per intensità degli usi) e quelle più riservate alla fruizione naturalistica e di piccoli numeri, per evitare l’intrusione e la diffusio-

ne di specie ittiche esotiche, che destabilizzano gli equilibri ecosistemici complessivi, per garantire la sicurezza di nuotato-

ri e natanti, tenendo conto della pericolosità implicita nelle importanti profondità dei bacini estrattivi.

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Sopra, schema (Muzzi, 2003) e immagini sull’utilizzo del lago per pesca (Cava Tuna, Gazzola, Pc), sport acquatici e piccole imbarcazioni (Le Bandie, Treviso)

Birdwatching: gli osservatori

Gli osservatori per l’osservazione dell’avifauna (bird watching) costituiscono una delle mete principali dei percorsi naturalistici nelle fasce spondali. Sono disposti in luoghi strategici per osservare l’avifauna in acqua, talvolta con pontili e camminamenti sulla palude, o con torrette panoramiche per consentire la vista al di sopra della vegetazione. La casistica di questo tipo di attrezzature è molto varia, come dimostra il campionario seguente, e in qualche caso diventa occasione per segnare paesaggi monotoni con elementi di spicco, con ruolo di landmark architettonici.

Oasi Naturalistica La Madonnina

Sant’Albano Stura - Cn

L’Oasi Naturalistica, ottenuta da un sito di cava e gestita da un’associazione privata, dispone di tre punti di osservazione, predisposti su rilevati con pareti e capanni in legno e mascheramento dei percorsi di accesso.

Racconigi - Cn

L’“Osservatorio sulla Palude” è una struttura in legno, allestita con pannelli illustrativi, con piano rialzato, studiato appositamente a corredo della nuova zona umida. Dal livello inferiore si osserva la porzione di bacino in primo piano, mentre dal piano superiore si gode di una visione panoramica della zona umida.

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Centro Cicogne e Anatidi

Area naturalistica Le Chiesuole

Parco del Taro - Pr

La sistemazione dell’ex cava è indirizzata ad una utenza scolastica e per gruppi. Un ampio camminamento pedonale conduce ad aule didattiche all’aperto, alla torre osservatorio che può ospitare fino a 10 persone, e ai capanni per l’osservazione che costituiscono un punto di sosta attrezzata fruibile anche dai disabili motori.

Osservatorio a due piani del Parco Adda Nord costruito su pontili nell’area umida, costituisce un punto di riferimento visivo per il visitatore e un punto panoramico importante dell’intera radura paludosa.

Osservatorio a due piani dell’oasi naturalistica (ex cava di argilla), riconosciuta come importante stepping stone della rete ecologica lombarda, punto di riferimento internazionale per il birdwatching (oltre 250 specie).

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Parco le Folaghe Casei Gerola - Pv Palude di Brivio Brivio, Parco Adda Nord - Lc

Strutture per la didattica e la fruizione

Le attrezzature per la fruizione (aule didattiche, case del parco, sedi espositive, blocchi di servizi) sono oggetto molto diversificato delle convenzioni delle attività estrattive e delle relative sistemazioni ex-post, che vengono realizzate dagli operatori industriali e cedute in uso ad associazioni o al Parco.

In qualche caso (felice) attrezzature importanti, accompagnate talvolta anche da attività ricettive, vengono inserite in cascine. Si tratta di complessi edificati che residuano dalle tenute acquistate in blocco dagli operatori industriali per le attività estrattive e che alla fine si trovano inserite in un nuovo contesto paesistico e ambientale, d’acqua invece che di terra, prive della funzionalità originaria e quindi disponibili per nuove attività. In altri casi si tratta di edifici nuovi, realizzati appositamente per le nuove funzioni o connessi all’attività estrattiva, o ancora di strutture precarie, predisposte per funzionare come punto di servizio per la fruizione naturalistica durante l’attività produttiva.

Parco del Po Cuneese (Faule - Cn)

Vicino alla Cava Fontane, è stato recentemente allestito con fondi regionali ed europei (che hanno permesso anche la realizzazione di questo volume) il Centro Didattico del Parco del Po Cuneese dedicato alle geologia. Grazie a laboratori didattici specifici, le scuole si avvicinano alla geologia del luogo e del Parco, partendo dal presupposto che tutto è collegato al suolo.

Carignano -To

Edificio, posto all’ingresso del percorso naturalistico della Lanca di S.Michele e dei laghi di cava, predisposto in parte per gli uffici dell’attività produttiva, in parte come attrezzatura per il parco, con sala e portico per didattica e punto sosta. Alla fine dell’attività estrattiva l’intero edificio viene ceduto e diviene interamente in disponibilità del Parco.

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Germaire e Lanca di S.Michele

Parco dei Laghetti (Martellago - Ve)

In un’area di circa 60 ettari, ex cava di argilla recuperata a parco con numerose attività di fruizione, sono inserite due nuove strutture: un punto ristoro e una sala polivalente. Le due strutture, in acciaio e legno, presentano forme differenti, suggerite dalla diversità dei luoghi. Un parallelepipedo appoggiato sul prato per il punto ristoro-bar; una struttura a palafitta per la sala polivalente, accessibile attraverso una passerella, scelta per mettere in risalto il dislivello dal piano di campagna.

Cascina del Rotto (La Loggia - To)

Il progetto di riassetto definitivo prevede il recupero e il riuso a fini ricettivi e di servizio al Parco della Cascina del Rotto, che oggi si affaccia sui laghi di cava. Si prevede la separazione del bacino principale in due, realizzando un itsmo, sul quale viene ripristinato il viale di accesso alla cascina, documentato dai catasti storici, con filari di pioppo cipressino.

Oasi del Ceretto (Carignano - To)

L'Oasi Botanico Ricreativa è inserita da oltre 10 anni nel contesto di una cava attiva, e dispone di attrezzature lungo un percorso paesistico naturalistico con centro visite attrezzato per proiezioni e esercitazioni pratiche. La costruzione polifunzionale richiama, nella struttura, l’architettura tipica della cascina piemontese.

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Il paesaggio delle attività produttive

Ormai da tempo i reperti delle attività produttive dismesse sono entrati nel novero delle testimonianze storiche che rendono interessante il paesaggio culturale. L’attenzione per l’archeologia industriale dagli edifici si è estesa ad interi ambiti territoriali interessati storicamente da insediamenti produttivi complessi, ad iniziare dal comprensorio della Ruhr, in Germania.

I siti di cava, paesisticamente connotati dai laghi, dal fiume ma anche dalle attrezzature per l’estrazione e la lavorazione degli inerti, sono adatti a diventare mete di visita di un paesaggio “culturale” interessante, utilizzando come landmark le attrezzature dismesse, o rendendo visitabili alcune parti degli impianti ancora in attività. L’attrattiva aumenta di fronte ai macchinari innovativi, come ad esempio le attrezzature di nuova generazione per la produzione di inerti o gli esperimenti di fotovoltaico flottante.

In ogni caso, superati i temi complessi della sicurezza dei visitatori e della separazione tra attività produttiva e fruizione, si può individuare nei progetti e nei programmi gestionali di questi siti una prospettiva di interesse turistico per i segni dell’attività industriale e delle sue attrezzature, costituendo in questo modo una meta particolare negli itinerari variati del turismo di prossimità.

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Riuso artistico e per la fruizione di strutture produttive dismesse (Oasi del Garettino, Carignano - To) Emscher Park, parco archeologico industriale della Ruhr (Oberhausen - Duisburg)

Esempi di utilizzo di tecnologia fotovoltaica sulla superficie di laghi di cava.

Sopra, La Pommeraie-sur-Sèvre. A destra, cantina Petra, Suvereto

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Parco delle cave nella valle del fiume MarecchiaMuseo all’aperto a tema geologico (Poggio Berni - Rn)

La gestione delle aree recuperate

Nelle esperienze di recupero compiute si dimostra l’importanza di una gestione attenta, che si prolunga oltre la cessazione dell’attività produttiva. Dove le aree vengono cedute al patrimonio pubblico (quasi 1000 ettari cedute al 2020, solo lungo il Po sino a Torino), si verifica un punto critico al momento della chiusura dell’attività: cessano i versamenti degli oneri convenzionari dei cavatori e contemporaneamente i costi gestionali delle parti recuperate cominciano a gravare sulle casse pubbliche. Perciò la spending review degli enti pubblici spinge a cercare soluzioni strategiche alternative da perseguire nei recuperi e e nella loro gestione, sempre tenendo conto delle risorse ambientali da valorizzare e non consumare.

Si aprono, quindi, due prospettive: inserire i siti estrattivi recuperati • come mete di reti fruitive dedicate, sostenibili economicamente soprattutto se si collegano beni culturali e ambientali nell’hinterland di città importanti. I siti recuperati devono offrire un ventaglio di opportunità, dall’esplorazione naturalistica agli sport e alle manifestazioni all’aperto con livelli diversi di attrezzature; organizzare gli interventi in modo • da consentire la continuità delle attività produttive (estrattive o alternative, ad esempio il fotovoltaico) insieme ad una piena funzionalità ambientale e fruitiva delle parti recuperate, da gestire con convenzioni a carico degli operatori industriali.

Cava e recupero: un caso di integrazione

La cava di Settepolesini si attiva nel 1984, in una golena del Po a Bondeno (Ferrara), accompagnata immediatamente con interventi di rinaturazione e di valorizzazione storico-ambientale, arrivando a formare un’oasi naturalistica (la più ricca di fauna della provincia, con reintroduzioni ittiche sperimentali, come gli storioni) e un paesaggio agrario tradizionale in una significativa fascia di contesto (con vigneti, filari, recupero degli edifici).

Importanti ritrovamenti fossili (mammut, rinoceronte, bisonte,..) sono stati studiati dall’Università e dalla competente Soprintendenza e oggi il sito è meta frequentata di visite, con un museo dedicato agli animali preistorici locali. Con il recupero del fienile della cascina padronale si è ottenuto un Centro attrezzato per ricevimenti e meeting. Il progetto è esteso alle connessioni viarie: è stata realizzata, a cura dell’azienda, una pista ciclabile lungo il canale di Burana, che collega il sito con Ferrara. In queste condizioni l’attività produttiva è equilibrata con le attività di servizio per la fruizione e la valorizzazione ambientale e culturale, e viene mantenuta dagli operatori privati convenzionati con i soggetti pubblici, senza scadenze.

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Esempio di Cava in parte ancora attiva e in parte recuperata e utilizzata a fini ricreativi e naturalistici con centro visite, centro didattico, area congressi e eventi, vigneti (Settepolesini di Bondeno, Fe)

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Torre Pellice

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Revello Cavour

Pancalieri

4. le attIvItà estrattIve nella PIana dI saluzzo:

I ProgettI, la storIa

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Casalgrasso Faule
Villafranca Piemonte
Cardè Ruffia Villanova Solaro
Savigliano Saluzzo Falè Fontane
Bastie laurentia
CasCina BisCaretto Fontanile
Ponte Varaita

cava BastIe

F.lli Piumatti snC Operatore

reVello, saluzzo Comuni

15,8 Superficie totale (ha)

2,5 Superficie finale lago (ha)

13,3 Superficie recupero ambientale (ha)

5 anni Periodo di attuazione del recupero ambientale

266.000 Quantità autorizzate (mc)

2004 Anno di autorizzazione

Cava di modeste dimensioni, avviata nel 1991 e continuata con un progetto quinquennale di ampliamento, realizzato tra il 2004 e il 2012 (l’interruzione della strada di accesso dovuta all’erosione della sponda ha fermato la cava dal 2008 al 2010), che aumenta significativamente i contenuti di valorizzazione ambientale del recupero, da ultimare nel 2014, con lo smontaggio degli impianti e la cessione delle aree.

Il progetto di recupero è stato indirizzato alla tutela attiva di specifici endemismi, il cui ruolo è stato particolarmente evidenziato nella Valutazione di Incidenza, la relazione che accompagna ogni progetto trasformativo dell’assetto ambientale nei SIC (o in loro prossimità): nel caso l’area “Confluenza Po-Bronda”.

Infatti, per tutelare l’habitat riproduttivo di una specie protetta (il tritone crestato italiano – triturus carnifex) che aveva colonizzato la parte sud del lago, il progetto estrattivo si è limitato ad un modesto ampliamento nella parte nord e alla realizzazione di un setto di separazione dalla parte protetta.

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Il laghetto mantenuto separato dal lago maggiore per proteggere la colonia di tritoni insediatasi La sponda del lago a recupero ambientale avvenuto

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