I.I.S. LUNARDI - BS
Anno 30 Numero 1
Natalia Goncharova, Donne contadine (1910)
Dal diciottesimo al ventesimo secolo, dall'arte sacra all'avanguardismo: la mostra "Divine e avanguardie. Le donne nell’arte russa", a cui abbiamo assistito virtualmente in diretta dal Palazzo Reale di Milano il 15 Settembre, svolge perfettamente il compito di guidarci attraverso le epoche dalla Russia antica alla prima metà del Novecento. Le oper e esposte, suddivise in sezioni tematiche, incarnano gli ideali del tempo e ci mostrano la trasformazione della donna e del suo ruolo nella società. Quadri come "La famiglia" o "La vedovella" hanno il potere di raccontarci, a distanza di decenni, temi attuali come l'emancipazione femminile e la libertà di scelta. Questa mostra ci porta infatti a vedere la donna come protagonista, ma soprattutto a riflettere sulle sue condizioni di vita nei secoli scorsi; si tratta di con-
dizioni disagiate che, purtroppo, tante donne sono costrette a sopportare anche al giorno d'oggi. Parte importante della vita di tutti noi, la donna viene qui celebrata come madre e come amante, ma anche come persona indipendente e lavoratrice, in forte opposizione all'immagine della donna "debole" e oppressa dipinta dalla società fino alla prima metà del 1900. Ma qual è stato il percorso di evoluzione sociale che ha portato le donne a diventare quello che abbiamo la fortuna di essere noi, ai nostri giorni nel nostro Paese? Una domanda a cui la mostra delle “Divine e Avanguardie” ha saputo rispondere attraverso le opere di artisti russi, ma soprattutto ARTISTE russe, nella speranza che presto l’emancipazione riesca a raggiungere tutte le donne del mondo.
Ottobre-Novembre 2021
La nostra visita virtuale è iniziata nella prima sala intitolata "Il Cielo" che ha come protagoniste Sante e Madonne. All' inter no della sala sono esposte le icone, ovvero l'arte sacra. L'opera più rappresentativa che abbiamo potuto osservare è "La Madonna della Tenerezza”, un’icona risalente alla prima metà del XV secolo, dipinta su tavola ritraente una Madonna con il bambino. L'immagine è molto simbolica ed il soggetto è particolarmente toccante: risveglia un momento di tenerezza in chi la osserva per il gesto molto dolce del bambino che accarezza la guancia della madre. Abbiamo poi osservato la figura della donna evolvere e cambiare passando alla seconda sala dedicata alle donne al potere, soprattutto le Zarine. Colei che indiscutibilmente spiccava tra tutte era Caterina la Grande ritratta da
IN QUESTO NUMERO: Viva la vita! pag. 5 Che cosa vuol dire bellezza pag. 6 Anoressia pag. 7 Debate a scuola pag. 9 Mosca e San Pietroburgo pag.10 Notre-Dame de Paris pag.14 La Monaca di Monza pag.15 Anime & Manga pag.16 Movies—Cineforum pag.17 Studenti arcieri pag.18 Giocare a rugby pag.19 L’esperienza covid-19 pag.20
2 molti artisti, tra cui Dmitrij Levickij e Ivan Kramoskoj. Nel quadro di Levickij , “Ritratto di Caterina II”, il pittore raffigura Caterina, di origini tedesche, in tutto il suo splendore e la sua potenza. In veste più intimista e già in uno stile più romantico la ritrae invece Ivan Kramskoj nella sua opera " Ritratto in abiti da viaggio".
Anonimo, L’vovna (immagine allegorica), metà XVIII secolo.
Nella terza sezione abbiamo visto, invece, la donna sotto una luce di-
REDAZIONE ANTONELLI SERENA, 3°A AFM ARICI EDOARDO, 4°DL BIANCHETTI AURORA, 5°DL BOLDRINI ALICE, 4°DL CORINI CECILIA, 5°DL DE MARCO GIORGIA, 3°D RIM FACCHINI GIULIA, 4°DL GAYE AWA, 4°D RIM FESTA SILVIA; 5°DL LA ROSA ANTONELLA, 5°DL LUSENTI NICOLE, 5°DL MANOIL TATIANA, 5°DL PAGLIARI MIRIAM, 5°DL PUOTI LUCIA, 5°DL REBOLDI IRENE, 4°DL; REDONDI FLAVIA, 5°AL RICHIEDEI SARA, 5°DL SCHIVARDI JENNIFER, 4°CL
LUNARFOLLIE versa: quella del mondo contadino, una classe sociale che tor na alla ribalta nella storia russa dell’Ottocento perché viene abolita la servitù della gleba nel 1861. Il quadro, intitolato “L’vovna”, ne è un esempio: al centro si trova una contadina che indossa un abito ricoperto da monete ad indicare che il dovere dei contadini, all'epoca, era di portare ricchezza al feudatario. In ognuno dei quattro lati dell’opera è collocata una scritta che dice: L’vovna dacci l'estate, L’vovna dacci l'inverno, L’vovna dacci il cibo e L’vovna dacci i soldi, per sottolineare come la vita dei contadini fosse volta a soddisfare i bisogni e le riKuz’ma Petrov-Vodkin, chieste dei ceti più alti. Ritratto di Anna Achmatova (1922) Abbandonato il mondo contadino, la mostra si muove verso il tema Il retroscena del quadro di Achdell’indipendenza intellettuale e fisi- matova sposta l’attenzione del ca. Il tema della quarta sezione è in- visitatore verso un'altra realtà fatti dedicato alle donne autonome e che viveva la donna russa agli forti appartenenti alla nobiltà e inizi del Novecento: la fatica leborghesia o al mondo intellettuale. gata al lavoro nelle industrie tesCeleberrimo è il ritratto della poetes- sili dopo la Rivoluzione d’Ottosa Anna Achmatova, che guar da bre del 1917. Un esempio è il dritto verso lo spettatore con il suo quadro di Deneika "Operaie tessguardo fiero, un tratto caratteriale sili" nel quale sono r affigur ate che ha mostrato sin dalla giovinezza donne in una fabbrica. quando sfidò il padre pubblicando Dall'immagine traspare la frenepoesie da lui proibite. Sullo sfondo sia dell’attività produttiva e le del ritratto possiamo riconoscere il dure condizioni di lavoro della suo amato marito, Lev Gumilev, uc- classe operaia. Il frutto di queste ciso l'anno prima durante le repres- industrie erano spesso prodotti sioni di Stalin. tessili nuovi per l'epoca, tra cui
SENES ELISA, 3°CR VERZELETTI VALERIA, 4°A AFM
prof.ssa Rita Pilia prof.ssa Elena Bignetti prof. Antonello Ratta Composizione e stampa a cura di Lino Martinazzoli Lunarfollie viene pensato, prodotto, stampato e distribuito presso il CIMP dell’ IIS “A. LUNARDI” via Riccobelli, 47 Tel. 030/2009508/9/0 Email: lunarfollie@lunardi.bs.it
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Aleksandr Dejneka, Operaie tessili (1927)
Zuralev Firs, Prima del matrimonio (1874)
altri quadri, come "L'umiliazione della promessa sposa" dove una giovane donna è costretta a mettersi letteralmente a nudo davanti ai parenti del futuro marito per mostrare di essere in salute, oppure “Prima del matrimonio” che mostra una giovane piangente perché costretta a sposare un uomo più anziano del quale non è innamorata.
Ekaterina Chilkova, V eduta interna della sezione femminile della scuola pietroburghese di disegno per allieve uditrici (1855)
la maglietta a strisce bianche e nere indossata nel dipinto di Samochvalov, "Ragazza in maglietta". Molto più tradizionale è invece il tema della sesta sezione: "la Famiglia" . Il pr imo quadr o che la guida ci ha mostrato si chiama la "Vedovella" ed è in realtà un quadro di denuncia sociale, infatti descrive una donna che, avendo perso il marito, è costretta a vendere tutti i suoi averi per poter sopravvivere in un'epoca in cui la donna era alle dipendenze del marito e non poteva lavorare. La condizione femminile è denunciata anche in
Grigorij Mjasoedov, La presentazione della promessa sposa (seconda metà del XIX secolo)
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Nell’ultima sezione della mostra abbiamo potuto osservare oltre ai quadri anche la bozza in bronzo della scultura “L'operaio e la kolchoziana” di Vera Muchina, eseguita per l’Expo di Parigi del 1937. La statua, realizzata in acciaio inossidabile, rappresenta un operaio e una contadina del kolchoz (così si chiamavano le cooperative agricole in Unione Sovietica) tenenti una falce ed un martello, simboli della classe contadina e della classe operaia (cioè i settori portanti dell’economia russa). Oggi la statua, alta ben 24 metri, si trova a Mosca all’ingresso del Parco VDNCha.
È proprio nel momento in cui ci troviamo davanti ad una statua come quella che abbiamo appena descritto o davanti a quella che potrebbe sembrare solo una banale tavola imbrattata di colori con soggetti sconosciuti, che possiamo renderci conto, osservandole meglio, che in fondo quelle tavole e quelle statue così tanto statiche, hanno in realtà tutte una storia da raccontarci che è ben più movimentata di
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quanto sembri. È questo il potere dell’arte: riportare alla memoria un periodo storico ormai lontano nel tempo, attraverso una speciale pennellata o attraverso l’uso dei colori e delle loro diverse tonalità, riuscendo così a darci la percezione di poter sentire sulla nostra pelle tutte le emozioni, tanto positive quanto negative, che sono state provate dagli artisti stessi all’epoca. Possiamo provare a
percepire tutto questo facendo una sola cosa: osservare e immaginare. Antonella La Rosa, Aurora Bianchetti, Nicole, Lusenti Miriam Pagliari, Sara Richiedei, Silvia Festa, Cecilia Corini, Lucia Puoti, Tatiana Manoil 5DL
Zinaida Serebrjakova, Camerino. Fiocchi di neve (Balletto Schiaccianoci), 1923. Dietro le quinte del teatro Mariinskij. Particolare.
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Viva la vita! Un’esperienza di Volontariato sotto le stelle Palmarusso, 10-11 luglio 2021 Questa estate ho trascorso due giorni al rifugio Palmarusso, gestito dai volontari che collaborano con l’organizzazione Mato Grosso in Perù, in vista di un futuro viaggio in Africa. L’obiettivo primo della bivaccata era quello di preparare e far conoscere un’esperienza in missione a me e alle altre ragazze che partiranno la prossima estate. Abbiamo ascoltato le testimonianze di Lorena e Gaia in Uganda, poi quella di Alessia in Kenya, poi ancora, la sera, quella di Giancarlo e durante la giornata le riflessioni di Ivano. Tornata a casa sento di aver imparato molto: ho visto sotto nuova luce cose che mi ero abituata a dare per scontate, mi sono sentita crescere e trasformare. Ho rivalutato, o meglio, rivissuto l’importanza dello stare insieme: quando i pregiudizi crollano e si è pronti all’accoglienza, infatti, tutto è migliore, perché si cammina per una meta comune, perché ogni emozione è condivisa ed allora si vivono esperienze di vita, di vita vera, convinta. Su al rifugio lo abbiamo imparato bene, dopo le lunghe camminate, dopo aver cucinato, pulito, servito, insomma, dopo esserci tirate su le maniche e aver assaggiato un briciolo di quella fatica che la solidarietà, la determinazione, l’ottimismo hanno reso, paradossalmente, piacevole. Ciò che in noi era fiacco, durante il bivacco si è riacceso come un falò: abbiamo dialogato, riso, conversato, ci siamo scambiati storie fatte di gioie e dolori, impregnate di sentimento, storie maestre, doni preziosi. “Sono stata chiamata a testimoniare la mia storia e questo mi ha fatto onore. È sempre bello condivide-
re i propri vissuti perché permette a me di "riviverli", di riscoprire parti della mia esperienza che sul campo avevo tralasciato, e di tornare un po' agli inizi. […] È stato
un continuo intreccio di storie più o meno intense che ti fanno crescere e accendere una lampadina dentro” dice Gaia, ed io non posso che darle ragione. Lassù, sotto le stelle della notte, stretti sotto alle coperte e rischiarati dal lume delle candele, mi è parso che noi, estranei fino a qualche ora prima, ci trovassimo là, incredibilmente uniti a sfidare la vita che scorre inarrestabile. Questo, chiaramente non è possibile, eppure, riuniti a ripercorrere passi vissuti, assaporando la fantasia di sogni futuri, condividendo le nostre storie, le nostre domande, io mi sono sentita
eterna. Quella splendida compagnia, che mi ha fatta crescere di mille anni in poche ore, ha rinnovato la consapevolezza che la migliore benedizione che possiamo avere è questa splendida natura che ci spinge a stare insieme, a creare connessioni, a tessere una rete tanto intricata di emozioni e speranze da non lasciare altro in me che un sentimento di fiducia. Per quanto tutto ciò sia di una meraviglia indicibile, una cosa sono certa di averla compresa: questo bagaglio tanto grande di esperienza umana non è altro che la nostra ombra, siamo noi, perché ci accompagna sempre e in ogni luogo. E qui ci stanno bene le parole di Claudio: “Mi piacerebbe offrire anche ad altri giovani una “bivaccata”, una “svolta” nella loro vita, un’occasione per riprogrammare il loro futuro, il senso delle giornate, un nuovo inizio che genera col tempo altro. Altre scelte, altri passi. Attorno a noi ci sono tante persone che possiamo far felici in modo molto semplice. Queste persone, gli altri, talvolta siamo noi!” Irene Reboldi, 4°DL
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Sono bello? Forse è la domanda che ci poniamo di più noi adolescenti, quando ci guardiamo allo specchio prima di uscire di casa o mentre proviamo dei vestiti. Ma cosa vuol dire Bellezza? Se facciamo una ricerca in Internet viene definita come la qualità di ciò che appare o è ritenuto bello ai sensi e all'anima, la qualità capace di appagare l'animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione. Tuttavia nel tempo questo termine ha subito una grande variazione nel suo significato e adesso viene considerata come il punto debole di molti adolescenti. Purtroppo la società in cui viviamo non aiuta, in quanto siamo circondati da modelli estetici molto elevati, che aumentano solamente i nostri problemi di autostima. La nostra quotidianità è basata sui social dove ogni giorno vediamo foto di ragazzi e ragazze con un fisico magro e scolpito, vestiti firmati e capelli perfetti mentre noi, fissandoci allo specchio, vediamo le differenze e le nostre imperfezioni: pancetta, gambe grosse, brufoli, nessun addominale e dei comunissimi jeans e magliette. Viviamo con la costante paura di non piacere agli altri e preferiamo nasconderci dietro a tanto trucco, felpe di tre taglie più grosse e foto ritoccate. Per riuscire a perdere qualche chilo smettiamo di mangiare, eliminiamo zuccheri e calorie ed esageriamo con l'esercizio fisico. Durante l'estate, nonostante il caldo,
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indossiamo i pantaloni lunghi e in spiaggia non riusciamo a stare in costume perché ci vergogniamo del nostro aspetto, troppo lontano dagli stereotipi moderni. Però non ci sentiamo all'altezza neppure quando il nostro fisico è magro tanto quanto quello delle modelle
grassi, biondi, mori o rossi, con gli occhi chiari o con gli occhi scuri, se abbiamo dei vestiti costosi o di seconda mano, la pelle chiara o scura. L'importante è la bellezza che abbiamo dentro di noi. Ciò che ci caratterizza è la nostra gentilezza, il nostro al-
Fotografia: Rita Pilia, Progetto “Dolls”
truismo, la nostra fede, le nostre passioni, il nostro carattere, non come appaiamo esternamente. Ci sarà sempre qualcuno pronto a giudicarci per il nostro aspetto, ma noi dovremmo imparare a non farci condizionare dai pensieri altrui e vivere come vogliamo, senza preoccuparci di nessun canone estetico. Ricordiamoci, inoltre, che la bellezza esteriore è legata anche alla nostra personalità: se siamo positivi e felici, riusciamo ad accettare perfino i nostri piccoli “difetti”, senza considerarci dei brutti anatroccoli, solo perché non siamo ragazzi da copertina. Siamo tutti belli a nostro modo, non dimenticatevelo. Jennifer Schivardi, 4°CL
che vediamo sulle riviste. Infatti le persone ci chiedono: “Ma mangi? Sembri uno stecchino”. In entrambi i casi tutto ciò diventa un accumulo di emozioni negative che non sempre riusciamo a gestire e ci portano alla depressione ed all'infelicità o a compiere azioni orribili, come l'autolesionismo o addirittura il suicidio. Ma è davvero così importante essere “belli” anche mettendo a rischio la nostra salute fisica e mentale? Ovviamente no. Il nostro primo pensiero non dovrebbe essere quello di piacere agli altri esteriormente, ma aver cura di noi stessi. Non dovr ebbe inter essarci solo se siamo magri o
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I problemi non nascono mai dal nulla, c’è sempre qualcosa che li scatena e quella ragione spesso, per molte persone, è l’inizio di una caduta in un burrone senza fine. So solo questo: se si supera il limite c’è solo una cosa che ci aspetta. Io stavo iniziando a precipitare finché Lei mi ha aperto una porta e mi ha offerto una via d’uscita, ero sola e quando si è soli si accetta di tutto… peccato che ora si sia impossessata anche dei miei pensieri. È diventata come una compagna, l’Anoressia è diventata una parte di me. “Non penserai davvero di mangiare quel piatto, sai quante calorie contiene?” “No, non puoi andare al cinema con gli amici, pensa se comprassi i popcorn o bevessi un sorso di coca-cola”; “Aperitivo fuori? Non se ne parla se dovessi assaggiare qualcosa di alcolico assumeresti troppe calorie”. Era questo quello che continuava a dire la voce che era dentro di me, una voce che non mi lasciava mai in pace e che mi ha tormentata per molto tempo. L’Anoressia non è un semplice rifiuto di cibo, è illudersi e credere che essere un calcolatore umano di calorie possa essere la normalità anche se ormai io non mi ricordo più cosa significhi questa parola. Mi dicono che una volta ero sempre allegra, amavo uscire con gli amici e fare festa, ma ora non riesco ad immaginarmi una vita senza avere tutto sotto controllo. Quando stavo bene non passavo le giornate a pensare al cibo o a vederlo come un problema, ero anco-
in grado di vivere mentre ora sono in trappola. Mi sento imprigionata in una gabbia dalla quale nessuno mi può far uscire perché non c’è né il lucchetto né la chiave; posso liberarmi solo io, ma il problema è che non so come fare da sola. Ho sempre voluto sentirmi bella, leggera e riuscir ad amare il mio corpo, ma per esserlo ho perso peso e questo ora sta diventando un problema troppo grande, non mangiare nonostante la fame è difficile e ne ho molta. Quando dico di avere fame però non mi riferisco sempre al cibo: io ho fame di amore, di affetto o di qualunque cosa possa aiutarmi a non sentire i miei pensieri e soprattutto quella dannata voce. Io volevo sparire, essere trasparente, ma la gente continuava a dirmi che stavo diventando sempre più magra; questo
mi ricordava ogni volta che ero ancora evidente e venivo notata allora mi punivo e non mangiavo. Non si diventa anoressici per assomigliare ai modelli o alle modelle sulle riviste, non si aspira ad avere un corpo come il loro, l’anoressia vuole farti annullare. Un giorno la voce mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere “Ti si vedono le ossa, hai perso molto peso, stai restando senza forze. Brava. Sei sulla buona strada”, ma quale strada? Non voglio andare da nessuna parte ma non so più cosa fare. Ricomincio a precipitare e cerco l’amore, voglio provare quell’emozione, la bella sensazione di cui tutti parlano. Ma come posso amare qualcuno se non amo me stessa? Oppure, come posso pensare che qualcuno mi ami, alla
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LUNARFOLLIE parole così da coprire sempre di più quella voce che mi provocava senso di colpa ogni volta che provavo a mangiare. All’inizio erano delle semplici domande un “Come stai?” o “hai mangiato oggi?”, poi sono diventate qualcosa di più grande, qualcosa di bello davvero quasi magico. A volte sono proprio alcune persone che ti lasciano qualcosa, ora credo in me stessa so che posso farcela io sono più forte di Lei, non posso farla vincere, io non sono il mio corpo. Resto sempre io, sarò sempre la stessa persona indipendentemente dal fatto che sia alta, bassa, con i capelli neri biondi o rossi, gli occhi verdi azzurri o marroni, con qualche imperfezione sulla pelle, le smagliature o qualunque cosa riguardi il mio corpo. Io non sono il mio corpo, nessuno è il proprio corpo. Oggi per la prima volta dopo tanto mi sono guardata allo specchio e ho pensato “Al diavolo quella dannata voce, io sono bella.” Serena Antonelli, 3°A AFM
fine sono solo un mucchio di ossa e preoccupazione; ognuno già ha i suoi problemi figuriamoci trovare qualcuno che voglia occuparsi pure dei miei, non voglio essere un peso per nessuno. L’amore non esiste per chi non sa amarsi. Odio il mio corpo, vorrei solo vivere ed essere spensierata, ma non riesco a smettere di pensare al cibo, forse ora non ho più tutto sotto controllo ma voglio uscirne da sola come ne sono entrata, alla fine Lei mi ha solo aperto una porta e quando voglio io posso uscire, la parte difficile sta nel lasciarla andare.
Ho sempre pensato di non poter mai essere felice ma mi sono ricreduta, a volte sono i piccoli gesti che ti cambiano la giornata, delle sciocchezze, che però per me hanno un valore immenso. Uno sguardo incrociato per caso, un messaggio nel momento giusto, un sorriso sincero… sono queste le cose belle davvero. Ho capito di dover credere in me stessa, io posso farcela, posso uscire Lei non mi comanda ma resta sempre quella vocina che mi continua a dire di non mangiare, beh allora è tutto inutile. No, ho iniziato a uscirne davvero quando hanno iniziato a rimbombarmi nella testa altre
Gruppo di lettura studenti 25 ottobre
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DEBATE A SCUOLA LE RAGIONI DI UNA SCELTA
Il Dibattito è una pratica usata nella vita di tutti i giorni in modo spontaneo: per difendere un’idea, un ideale, un amico o una qualsiasi mozione esprimibile da due parti opposte, in dialogo serrato tra loro. Quest’estate il Lunardi ha organizzato una breve, ma esplicativa serie di incontri per chi ha la curiosità di sperimentare il dibattito a livello agonistico. Si tr atta di una nuova modalità di confronto, un po’ diversa da ciò che si immagina; al pari di un gioco prevede regole, giudici, punti, vincitori e vinti. Con quali aspettativa vi siete iscritti al corso? Sollecitati dalla professoressa Laura Vavassori, coordinatrice della squadra di dibattito del nostro Istituto insieme al professor Luca Guerra, ragazzi e ragazze di età diverse, dalla prima alla quinta, hanno risposto che la motivazione principale per cui seguivano il corso era riuscire a difendere anche nella quo-
tidianità le proprie opinioni, argomentare meglio e affinare le proprie capacità oratorie. Tutte considerazioni perfettamente in linea con gli obiettivi di questa pratica dialettica.
Il Debate prevede due squadre: una a favore della mozione in discussione e una contro. Ciascuna è formata da tre componenti con compiti e ruoli diversi. La capacità oratoria è fonda-
mentale in un confronto che prevede argomentazioni e confutazioni, in quanto lo scopo di questo “gioco” è quello di convincere i giudici, che l’opinione migliore sia quella della propria squadra. Per i debaters non esiste una ragione assoluta e non importa davvero ciò che credono o pensano, ma ciò che sono in grado di spiegare e sostenere in modo convincente per chi li ascolta. Il dibattito, infatti, è prima di tutto un gioco di squadra: si impara sul campo a collaborare, a ricercare insieme dati e a stendere un discorso convincente. Vincere è secondario. Imparare, divertirsi e scoprire un nuovo modo di sfidarsi e confrontarsi: questo è ciò che propone questa attività che speriamo di poter condividere con più persone possibili. Elisa Senes, classe 3°C RIM, membro della squadra Debate di Istituto
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Mosca e San Pietroburgo: le due anime della Russia Mosca e San Pietroburgo sono un vero e proprio scrigno della cultura russa. Da sempre rivali e distanti non solo sulla carta, la prima incanta i viaggiatori per i suoi colori accesi e le sue geometrie orientali, la seconda è stata appositamente pensata per essere la più elegante ed europea del paese. Mosca, essendo la capitale della Federazione russa, è il centro economico, politico, scientifico e culturale del paese. Qui si trovano ministeri, buone università, banche straniere e russe, teatri, cinema, musei, redazioni di riviste e sedi diplomatiche. Si tratta di una vera e propria città cosmopolita che attrae non solo tanti turisti, ma anche i russi stessi che preferiscono andare a vivere nella capitale piuttosto che in provincia. Non a caso, il famoso drammaturgo, Anton Čechov, nella sua opera teatrale “Le tre sorelle” fa spesso ripetere alle protagoniste “A Mosca! A Mosca!”, proprio per enfatizzare questo desiderio di risiedere nella grande città, un desiderio che
già ai primi del Novecento era presente in molti russi, poiché ha tanto da offrire sia ai turisti che ai residenti, tante sono le cose da vedere. Se si decide di visitare la città è d’obbligo una visita al Cremlino, la cittadella fortificata e sede istituzionale del presidente russo, edificata già nel XII secolo. Inizialmente il Cremlino era la residenza dei principi di Mosca, poi è stato ampliato, ricostruito e fortificato svariate volte nel corso della storia. Aperto al pubblico come museo nel 1995, è riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, insieme alla Piazza Rossa. Un particolare che pochi sanno è che il nome della Piazza Rossa non è dovuto né al colore predominante (il rosso appunto), né al passato comunista della Russia, bensì è legato al significato dall'aggettivo russo “krasnaja”, che significa non solo “rosso”, ma
anche “bella”, quindi Piazza Rossa in realtà vuol dire Piazza Bella. Intorno a questa piazza, che è la più famosa di tutta la Russia, sono situati vari monumenti: il Museo di Storia, riconoscibile per la sua architettura in mattoni rossi; il Mausoleo di Lenin, capo della Rivoluzione d’Ottobre del 1917; il centro commerciale GUM, dove si trovano non solo i negozi più lussuosi della città, ma anche fast food che cucinano cibi tipici della cucina russa, supermercati, farmacie, negozi di souvenir o bancomat. È consigliato provare il mitico gelato del GUM. Tra tutte queste attrattive turistiche, senza dubbio però, il monumento più conosciuto all’estero resta la Cattedrale di San Basilio: quell’edificio dalle guglie strane e colorate che spesso si vede cercando Mosca su internet. Costruita nel XVI secolo, la cattedrale fu voluta dallo zar Ivan il Terribile per celebrare la vittoria contro i tartari e ancora oggi, malgrado i secoli, resta
LUNARFOLLIE uno dei monumenti più affascinanti che si affacciano sulla Piazza Rossa. Allontanandoci dal Cremlino e dalla sua piazza, ci imbattiamo in un’altra chiesa, quella di San Nicola, costruita nel XVII secolo, composta da cinque cupole dorate, pareti bianche e le statue dei quattro evangelisti ai lati. La chiesa è situata in via Lev Tolstova, dove uno dei più famosi scrittori russi, Lev Tolstoj, era solito girare a cavallo e in bicicletta. Nel 1882 Tolstoj comprò casa nella strada che poi gli sarà dedicata e oggi quella casa è diventata un museo visitabile. Il turista, appassionato dei suoi romanzi, può vedere con i propri occhi la stanza in cui il maestro diede vita ad Anna Karenina, l’eroina di uno dei suoi romanzi più belli e famosi. Chi, invece, fosse più appassionato di danza che di letteratura, deve andare almeno una volta a vedere uno spettacolo al Teatro Bol’šoj (Grande Teatro), celeberrimo nell’ambito del balletto classico, sebbene metta in scena anche famose opere e spettacoli. Il teatro è situato non lontano dal Cremlino, nello stesso luogo dove prima sorgeva il Teatro Petrovskij. Inaugurato nel 1825, ha subito varie ristrutturazioni, in seguito ad incendi avvenuti in epoche diverse, ma oggi è stato riportato al suo originario splendore neoclassico del periodo zarista. Altra tappa assolutamente imperdibile è la MGU (Università Statale di Mosca). Situata nel centro della città, a 200 metri dal Cremlino e vicina al fiume, è uno
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dei grattacieli più alti della capitale, costruito in epoca staliniana. Circondata da un enorme parco, è il luogo ideale per passeggiare dopo una lezione stancante o per riposarsi prima di riprendere il tour di questa affascinante città tutta da scoprire e se durante il cammino viene fame, si può fare un salto all’elegante negozio di alimentari Eliseev, situato sulla Tverskaya e aperto dal 1890. Questo negozio attira orde di turisti non solo per il vasto assortimento di cibo raffinato, ma anche per i meravigliosi decori barocchi che ospita al suo interno. I prezzi sono molto alti, non per niente si tratta del negozio preferito dei facoltosi moscoviti. Chi fosse, invece, amante di opere d’arte, soprattutto di quadri, deve assolutamente visitare la Galleria Tret’jakov, la cui collezione spazia dalle antiche icone russe ai quadri di epoca moderna. La Galleria prende il nome dal suo fondatore, il ricco mercante Elisej Tret’ajkov, di cui si può ammirare il busto all’entrata del museo. Fu lui nel XIX secolo ad
iniziare a collezionare dipinti di autori esclusivamente russi, andando contro la tendenza generale che invece prediligeva l’acquisto di opere realizzate dai maestri dell’Europa occidentale. Dopo la morte del suo fondatore, il museo ha continuato ad ampliare il numero di opere d’arte tanto da dedicare una sezione all’arte russa più contemporanea visitabile nell’altra sede che si chiama Nuova Galleria Tret’jakov. In tempi di covid, è possibile visitare il sito della galleria e intraprendere un tour virtuale. Prima di terminare questa panoramica su Mosca ed i suoi monumenti si deve menzionare la metropolitana, che è non solo un mezzo di trasporto per milioni di moscoviti, ma anche un vero e proprio museo sotterraneo. Inaugurata nel 1935, la metropolitana di Mosca è il trasporto più usato per attraversare la città. Efficientissima e puntuale, trasporta giornalmente circa 9 milioni di moscoviti e turisti. Delle sue quasi 200 stazioni, 44 sono considerate patrimonio culturale dello Stato perché, costruite nello stile del Realismo Socialista, sono una vera opera d’arte (si pensi che ogni fermata della metro è decorata a tema, ad esempio lo stile Impero, la forza operaia, il cosmo, ecc…) Oggi alle stazioni della metropolitana sono dedicati dei veri e propri tour da fare da soli o in compagnia, il tutto al costo di un biglietto urbano. Alice Boldrini e Giulia Facchini 4DGL
12 Destinazione di letterati e scrittori. Finestra sull’Europa per la Russia degli zar. Polo d’attrazione per le avanguardie artistiche, ma anche teatro di due rivoluzioni e protagonista di un lungo assedio. San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo dal 1712 al 1918, è una città leggendaria, che oscilla tra modernità e tradizione in un vortice affascinante di scenari fortemente contraddittori. L’ex capitale russa nasce lungo le rive della Neva e del golfo di Finlandia come coronamento del sogno di Pietro I il Grande di creare una città su stampo occidentale. Laddove non esisteva nulla, nella taiga paludosa e selvaggia, ecco che sorse la “Venezia del Nord”, divenuta poi elegante città imperiale, oggi capitale artistica, culturale e letteraria della Russia. Per quanto giovane, porta con sé una storia travagliata e sofferta. Dalla sua fondazione, avvenuta il 27 maggio 1703, per oltre due secoli fu scenario di aspri combattimenti: dalla rivolta decabrista ai conflitti delle forze schierate con i bolscevichi e quelle controrivoluzionarie fino alla fucilazione della famiglia Romanov. Ultimo duro colpo fu il grande assedio tedesco che si concluse nel 1944. Da allora rimase per la Russia una porta aperta verso occidente e un significativo simbolo di confronto culturale. Oggi San Pietroburgo ci appare come una città colta e raffinata con le sue collezioni d’arte e i teatri prestigiosi, accattivante nella sua ampia
LUNARFOLLIE e varia offerta di attrattive, ma anche romantica, soprattutto d’estate quando il fascino delle notti bianche contribuisce ad aumentare quella sensazione di fantastico, di innaturale che si percepisce nei confronti di Pietroburgo. Non a caso fu meta indiscussa dei grandi della letteratura rus-
sa. Artisti del calibro di Puškin, che quivi visse il momento più prolifico della sua esistenza di scrittore; Gogol’, con i suoi racconti denominati appunto “pietroburghesi” e, infine, anima letteraria della città, Dostoevskij, che la scelse come ambientazione per il suo capolavoro “Delitto e Castigo”. Proprio in onore al grande scrittore il 7 luglio San Pietroburgo festeggia “Il giorno di Dostoevskij”. In quest’occasione la città si anima di spettacoli, mostre, seminari, proiezioni cinematografiche e visite tematiche all’ appartamento pietroburghese del grande scrittore, oggi casa museo. San Pietroburgo nasconde in sé un crogiolo di stili di vita e correnti culturali diverse, che danno origine ad un’atmosfera suggestiva. Alla sua costruzione vi lavorarono, accanto ai maestri russi, architetti italiani, francesi, tedeschi e inglesi. Le forme architettoniche europee confluiscono quindi nell’arte russa, dando vita ad uno stile
architettonico mai visto prima. Opere classiche, costruzioni complesse, strade grandiose, palazzi sontuosi e cattedrali dalle cupole a bulbo coesistono felicemente. Tutto si risolve in una struttura armonica, incantevole simbiosi tra il gusto tipicamente russo e i modelli occidentali. Il nucleo più antico della città è rappresentato dalla Fortezza di Pietro e Paolo sull’isola cosiddetta delle lepri. Il centro storico – dichiarato Patrimonio dell’Umanità nel 1990 – racchiude invece, i monumenti e gli edifici più famosi. Ma il vero cuore pulsante della vita cittadina si trova sulla Prospettiva Nevskij, il lungo stradone che collega il Monastero di Aleksandr Nevskij all’Ammiragliato, attraversando la città da ovest ad est. Dal punto di vista commerciale e del divertimento, su questa strada si può trovare di tutto: locali e negozi si alternano a cinema, internet point, uffici di cambio, grandi esercizi commerciali di souvenir e molto ancora. Un monumento speciale in onore al fondatore della città è la statua equestre che domina la piazza del Senato puntando il dito verso il fiume Neva. Leggenda vuole che questa statua protegga la città, città che non sarà mai presa dai nemici fin tanto che ci sarà Pietro il Grande a difenderla. Fuori San Pietroburgo è possibile visitare Peterhof, la splendida reggia sulle rive del Golfo finlandese progettata dallo stesso Pietro, come sontuoso complesso architettonico sul modello della reggia di Versailles.
LUNARFOLLIE Tra le istituzioni museali spicca l’Ermitage, che attualmente dispone di oltre 3.000.000 di opere tra dipinti e sculture, oggetti d’arte provenienti da tutto il mondo. Nato come residenza invernale degli zar sulle rive del fiume Neva, oggi vanta il titolo di secondo museo più grande al mondo. I lavori per la sua costruzione furono guidati dall’architetto italiano Francesco Bartolomeo Rastrelli nel 1754. Da allora il palazzo rimase la residenza reale degli imperatori russi per quasi due secoli, anche se oggi solo le facciate esterne dell’edificio hanno mantenuto il loro aspetto originale. La storia dell’Ermitage iniziò con le collezioni private dell’imperatrice russa Ekaterina II. Tra le numerose opere presenti all’interno del museo troviamo alcuni capolavori dei grandi maestri, quali Caravaggio, Tiziano, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Degas, Gauguin, Monet, Picasso, Renoir, Rembrandt, Van Gogh, Velázquez e molti altri. Il Palazzo d'Inverno è una delle visite imprescindibili di San Pietroburgo, trattandosi dell'edificio più importante del Museo dell'Ermitage. Si presenta come un'imponente costruzione in stile barocco che riflette il potere e la grandezza della Russia Imperiale. Fu protagonista di eventi che avrebbero cambiato per sempre la storia del paese. Dal massacro della cosiddetta "Domenica di Sangue" all’assedio dell'Esercito Rosso, che segnò l’inizio di una nuova era per la Russia.
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Altro grande progetto di Rastrelli è la Cattedrale della Resurrezione, conosciuta anche come Cattedrale di Smol'nyj, una delle più importanti chiese rococò di San Pietroburgo. Voluta dalla granduchessa Elisabetta di Russia come luogo in cui poter trascorrere l'ultima parte della sua vita, oggi è uno dei simboli più riconoscibili di San Pietroburgo. Tra le chiese troviamo anche la Cattedrale di Sant’Isacco, opera gigantesca dall’interno suntuoso di oro, marmi, bronzi e lapislazzuli, tutt’oggi classificata come museo. Seguono la Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, nota per la meravigliosa ed unica collezione di mosaici, che insieme alla Cattedrale di Kazan, è un luogo simbolo di San Pietroburgo ed è stata costruita sul luogo di un importante omicidio, quello dello zar Alessandro II, ucciso in un attentato terroristico nel 1881. Famosissima anche la Cattedrale dei SS. Pietro e Paolo, all’interno dell’omonima fortezza, celebre luogo di sepoltura degli zar. Immancabile per gli amanti del teatro e della bellezza, la tappa al Mariinskij, il teatro principale di San Pietroburgo, inau-
gurato nel 1860. Nell'arco della sua storia, il teatro ha visto nascere e crescere gran parte dei più famosi artisti russi, in particolare ballerini e cantanti d'opera. Dall’aspetto austero, dietro la sua facciata color verde e poco interessante, cela esuberanti interni riccamente decorati con marmo e pietre semi-preziose, il tutto illuminato da eleganti lampade di cristallo. Conclusosi questo viaggio cartaceo che racconta l'immenso Paese attraverso le sue città simbolo, non resta altro che fare i bagagli e decidere di visitare questi gioielli della Russia. Mosca e San Pietroburgo, due facce della stessa medaglia, sono ben spiegate in uno dei motti della tradizione popolare: “Питер - голова, Москва - сердце” (San Pietroburgo è la testa, Mosca è il cuore). Ecco come ci appaiono i due organi vitali di questo immenso paese. La prima tutela e promuove la cultura nazionale, la seconda rappresenta il centro vero e proprio della vita economica e politica della Russia, il suo cuore pulsante appunto. Così entrambe si svelano al visitatore occidentale, splendidamente contrarie e allo stesso tempo così affini, da sempre e per sempre rivali nella lotta secolare per la conquista del titolo di capitale di tutte le Russie, ma come diceva il grande poeta nazionale, Aleksandr Puškin, “Due capitali non possono fiorire ugualmente nello stesso stato, così come non esistono due cuori nel corpo umano”. Edoardo Arici, Irene Reboldi 4°DGL
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Notre-Dame de Paris È la Cattedrale la vera protagonista del romanzo di Victor Hugo
Uno dei romanzi più celebri della letteratura francese dell’Ottocento è Notre Dame de Paris di Victor Hugo. Colei che dà il titolo all’opera è proprio la cattedrale gotica parigina, che non si limita solamente a fare da scenario alla storia, ma assume un ruolo rilevante come se fosse essa stessa un personaggio. Partendo dalla figura di Quasimodo, si può notare come la cattedrale sia stata per lui una casa: essa lo aveva accolto quando era un povero bimbo deforme, abbandonato dai genitori e lo aveva cresciuto. Il gobbo, fin da piccolo, aveva iniziato a memorizzare tutte le stanze e i corridoi dell'edificio, imparando poi a suonare le campane, a cui dava addirittura dei nomi e, nonostante fosse sordo, riusciva a sentirle… riusciva a percepire le loro vibrazioni attraverso le mura (lui scuotendole le animava, le rendeva vive). Tra Quasimodo e Notre-Dame si instaurò, dunque, un vero e proprio rapporto, dove ognuno dava e riceveva: era come se il campanaro fungesse da “occhio”, poiché la cattedrale era in grado di vedere grazie a lui. Essa divenne partecipe di molte vicende dal momento che il gobbo era lì con lei. Un esempio lampante è la morte di Esmeralda: questo evento, infatti, venne osservato dal gobbo mentre si ergeva sulla cima del-
la cattedrale. In cambio di questo “sguardo”, però, Notre-Dame proteggeva Quasimodo da tutti gli scherni dei cittadini; egli si sentiva al sicuro al suo interno e poteva essere se stesso. Così come poteva essere se stesso anche Claude Frollo, l'arcidiacono della cattedrale. Egli era un uomo religioso, di fede, ma allo stesso tempo affamato di conoscenza, in particolar modo era appassionato di alchimia. In una stanza di NotreDame, egli studiava questa materia, creando filtri e pozioni, senza il rischio di venir accusato di stregoneria: Frollo poteva dedicarsi a ciò che più gli piaceva senza pregiudizi. Dunque, anche tra lui e la cattedrale si instaurò un particolare rapporto: l’arcidiacono, durante i suoi momenti di riflessione, ogni tanto trascriveva sui muri delle formule matematiche, dei suoi pensieri o anche delle conclusioni di esperimenti, ed è come se cercasse un tentativo di interazione con Notre-Dame. Così facendo, l’arcidiacono poteva liberarsi di ciò che dagli altri veniva considerato “sbagliato”, “impuro” e poteva invece esternarlo con qualcuno che sapesse davvero ascoltarlo: la Cattedrale. Mentre i cittadini lo ritenevano un eretico, lei, silenziosamente, accettava le sue idee senza giudicarlo. Notre-Dame divenne così per Claude un luogo sicuro, che gli permise addirittura di superare i limiti imposti dalla ragione, nel momento in cui arrivò ad aggredire Esmeralda. Infine, un altro motivo per cui la cattedrale può essere considerata alla stregua degli altri personaggi, è legato proprio alla storia della
giovane zingara: Esmeralda era stata ingiustamente accusata dell'omicidio del comandante Febo, ma quando stava per essere impiccata al patibolo, Quasimodo la salvò, portandola a Notre-Dame. In passato nelle cattedrali (e nei luoghi sacri in generale) vigeva il diritto di asilo: un colpevole, di un qualsiasi reato, poteva cercare protezione all'interno di questi edifici. NotreDame consentì perciò ad Esmeralda di continuare a vivere e di godersi la giovinezza, assieme alla sua fedele compagna e unica vera amica Djali, la capretta. Oltre a donarle la vita, la cattedrale permise alla ragazza di conoscere Quasimodo e di entrare a contatto con la sua storia: nonostante lo facesse per pietà, Esmeralda iniziò ad ascoltare le parole del povero campanaro e, pur rimanendo inorridita dal suo aspetto, riuscì gradualmente a smentire i brutti giudizi che il popolo gli affibbiava. È come se la cattedrale avesse dato alla giovane anche l'opportunità di comprendere Quasimodo, ma Esmeralda non la colse fino in fondo. In conclusione, la cattedrale può essere considerata un vero e proprio personaggio dal momento che partecipa e, a volte anche influenza, le azioni degli altri protagonisti. Valeria Verzeletti, 4°A AFM
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La Monaca di Monza storia di un’anima prigioniera
Nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni si racconta della monaca di Monza, una nobildonna che si fece monaca, ma non di sua spontanea volontà. In primo luogo, ancora prima che Gertrude nascesse, i suoi genitori le avevano già programmato la vita: sin dal grembo materno, le venne scelto un nome che richiamasse la religione, Gertrude; una volta nata, le vennero regalate delle bambole vestite da suora in modo tale che, ancora bambina, si ispirasse a loro. Gertrude non sapeva che questa fosse una sorta di manipolazione destinata a continuare incessantemente nel corso degli anni. In seguito, infatti, quando venne mandata in monastero per raggiungere un’educazione adeguata, lei riceveva più attenzioni di tutte le altre bambine, veniva trattata meglio in modo che si affezionasse all’ambiente. Una volta concluso il suo percorso scolastico, avrebbe apparentemente avuto due possibilità: diventare monaca o sposarsi, ma si trattava di una falsa libertà di scelta. I genitori non avevano nessuna intenzione di pagare per lei la costosa dote necessaria per le nozze; volevano mantenere intatto il loro patrimonio solo per il
principino, il fratello maggiore di Gertrude. In secondo luogo Gertrude non divenne monaca di sua spontanea volontà perché fu vittima di una manipolazione anche da parte delle monache e della servitù. In monastero, infatti, oltre all’affetto, le altre monache le parlarono di potere, le dissero che quando sarebbe diventata Madre Badessa avrebbe potuto fare tutto ciò che avesse voluto e dire agli altri cosa avrebbero dovuto fare; questo era un modo per dirle che lei era una persona importante più di tutti gli altri. Durante il suo periodo nel monastero, tuttavia, Gertrude iniziò un po' a dubitare di quello che sarebbe stato il duo destino perché iniziò a confrontarsi anche con altre ragazze che, una volta finita la scuola, si sarebbero sposate; questo la spinse a fantasticare a sua volta sulle nozze. Ogni volta che Gertrude aveva questi ripensamenti le monache erano sempre pronte a parlarle del potere che avrebbe avuto, senza mai menzionare gli obblighi spirituali e gli aspetti più puri della religiosità. Anche una volta tornata a casa, le si parlava solo di potere, potere di cui in realtà la fanciulla era priva perché veniva continuamente controllata. Si cercava di non mostrarle come fosse veramente la vita fuori perché i familiari volevano farle rimpiangere il monastero. Un giorno Gertrude decise di scrivere al paggio di casa: era un ragazzo che faceva parte della servitù ed era, dunque, di ceto sociale basso; in quella lettera scrisse che provava qualcosa per lui (era l’unico a trattarla come un essere umano), ma la missiva non arrivò mai al destinatario. Venne intercettata da una donna che lavorava in casa e che la consegnò al padre. Gertrude era talmente controllata da tutti che non poteva neanche scrivere una lette-
ra, esprimendo i suoi sentimenti. Infine Gertrude non divenne monaca di sua spontanea volontà perché venne manipolata da una figura per lei fondamentale: il padre. Lui per lei era tutto: un dio le cui parole la influenzavano più di ogni altra persona. La sua volontà era assoluta: tutte le persone che l’avevano manipolata, del resto, lo avevano fatto perché era stato lui a volerlo. Ogni suo desiderio era un ordine. Timorosa di deludere le aspettative paterne, dopo tanto soffrire, Gertrude stremata pronunciò un sì fatale per il suo destino. Il padre lo interpretò come un sì verso la vocazione e chiamò subito il resto della famiglia come testimone. Non restava che recarsi al monastero o il giorno stesso o il giorno dopo. Gertrude “scelse” quello dopo. Una volta preparata, partì per Monza; durante il tragitto fu il padre a insegnarle cosa avrebbe dovuto ripetere alle monache e le fece imparare il discorso a memoria. Il tempo trascorse veloce: dieci giorni dopo, Gertrude prese il velo e pochi anni dopo incontrò un bravo, Egidio, con cui iniziò una storia d’amore proibita. A causa sua divenne complice dell’orribile delitto di una monaca, uccisa da Egidio perché aveva scoperto il loro segreto e minacciava di rivelarlo; a causa sua tradì anche la fiducia di Lucia che, in fuga da don Rodrigo, le aveva chiesto protezione. In conclusione la monaca di Monza fu manipolata per tutta la sua vita, prima dalla famiglia e poi dall’amante. Non sarebbe mai stata capace di liberare la propria anima dalla prigionia. Giorgia De Marco, 3°D RIM
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Tokyo Revengers (2021), regia di Koichi Hatsumi. Il protagonista, Takemichi, è un disoccupato di 26 anni la cui unica ragazza, avuta alle scuole medie, è recentemente morta. In seguito ad un incidente, lo stesso Takemichi si ritrova all'improvviso ai tempi delle scuole medie; il ragazzo si ripromette così di cambiare il futuro e di salvare la ragazza dalla toma (una gang cambiata nel tempo a causa di sfortunati eventi e lo zampino di qualcuno). Questa decisione più avanti si trasformerà nella promessa di salvare l’intero futuro a qualunque costo. Fena Pirate Princess (2021), regia di Kazuto Nazakawa. Fena Houtman è una giovane ragazza orfana, cresciuta su un'isola, la cui unica prospettiva sembrerebbe quella di diventare una schiava per i soldati dell'Impero Bri-
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GLI ANIME DA NON PERDERE
una parola ricorrente sull'isola: "Eden". La tomba delle lucciole (1988); Si alza il vento (2013); La ricompensa del gatto (2002); I sospiri del cuore (1995), regia: Studio Ghibli. Tutti meno noti rispetto ai classici di Miyazaki, ma assolutamente imperdibili.
Infine CHI SOGNA DI SCRIVERE UN MANGA, ma è titubante sulle sue capacità nel disegno si segni questa data: 22 Settembre. Da quel giorno in tutti gli App Store verrà rilasciata la versione beta di Worlds Maker, un’app che disegnerà al posto vostro lo scritto dei propri sogni in perfetto stile giapponese, dando vita a sfondi e personaggi in base alle informazioni date. Grazie per aver letto il mio articolo e vi auguro buon divertimento. Elisa Senes, classe 3°C RIM.
tannico. Fena, tuttavia, è molto più di una semplice orfana e quando il suo misterioso passato busserà alla porta, avrà l’occasione di spezzare le catene dei suoi oppressori. Il suo obiettivo sarà quello di liberarsi dalla schiavitù e cercare un posto in cui possa vivere serenamente nonché scoprire il mistero dietro
I MANGA DEL MESE Witch Hat Atelier (2016), di Kamome Shirahama. 9 volumi (in corso). Genere: seinen. Kemono Jihen (2020), di Sho Aimoto. 6 volumi (in corso). Genere: shonen Arte (2017) di Kei Ōkubo. 13 volumi (in corso). Genere: seinen
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Il Cineforum in lingua russa Quest’a. s. 202122 vedrà il battesimo di un’iniziativa molto speciale: per la prima volta all’IIS A. Lunardi verrà inaugurato il cineforum in lingua russa. Si tratta di 6 incontri settimanali di un’ora e mezza ciascuno a cui tutti gli studenti di russo che lo desiderano potranno scegliere di partecipare in assoluta libertà. Attraverso la visione di proiezioni cinematografiche della durata di 25/40 minuti (un cartone animato tratto da una popolare serie di dell'epoca sovietica e 2 film selezionati ad hoc) si vuole offrire a tutti gli studenti di russo che lo desiderano l’opportunità di vivere insieme un’esperienza cinematografica piacevole ed interessante, ma anche di creare uno spazio libero di discussione sui contenuti dei filmati, sulle emozioni e sentimenti suscitati da questi (in lingua russa e/o italiana) per un arricchimento interiore oltre che linguistico-culturale. I vantaggi sono quindi molteplici: da una parte abituare l’orecchio degli studenti alla lingua autentica in quello che si definisce “bagno linguistico”, sviluppando la loro naturale capacità di acquisizione della lingua (come se ci si trovasse proprio in Russia), dall'altra far conoscere aspetti interessanti della cultura russa stimolando possibili confronti. Prima di ogni proiezione si terrà una breve (5/10 minuti) presen-
tazione/attività propedeutica alla visione e all’ascolto, mentre, subito dopo la visione, gli studenti avranno l’opportunità di commentare quanto hanno visto e sentito, confrontarsi sui temi di cultura e tradizione russa presentati di volta in volta (in modo libero o guidato, in lingua russa e italiana). La programmazione include un classico dell’epoca sovietica, divenuto ormai un rituale delle fe-
ste di Natale e Capodanno in Russia: L'ironia del destino, oppure Buona sauna! (in russo: Ирония судьбы, или С лёгким паром!). Contemporaneamente una commedia degli equivoci e una storia d'amore velata di tristezza. La chiave della trama è la relativa uniformità dell'architettura pubblica durante l'era di Brežnev. Del film sono rimaste celebri melodie e canzoni poetiche davvero meravigliose.
Gruppo di lettura studenti 25 ottobre
Sarà poi la volta di un episodio tratto dalla leggendaria trilogia di cartoni animati sovietici I tre di Prostakvashino (in russo: Трое из Простаквашина) del villaggio di Prostakvashino, inventato da Edoardo Uspienskii e trasformata nel 1975 in una serie TV a puntate. Questa risultò così popolare che il nome nella realtà venne poi utilizzato per i nomi di giocattoli, prodotti alimentari, feste e spettacoli e addirittura per denominare i quartieri di città realmente esistenti. Il terzo appuntamento cinematografico sarà invece Piter FM (Питер FM), un film del 2006 diretto da Oksana Byčkova. Una divertente e romantica commedia ambientata nella moderna San Pietroburgo (Piter), con due giovani protagonisti alle prese con il loro presente e...futuro prossimo. Prof.ssa Laura Angelini
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STUDENTI ARCIERI: UN PRIMO PASSO Metti un giorno di fine estate, di quelli in cui non vorresti che le vacanze siano quasi finite e che presto si torni a scuola. Metti che per caso, tra le proposte del “Piano Estate” proprio della scuola, ti cada l’occhio su un’attività sportiva alternativa e che tu decida di provare. È quello che un gruppo di studenti del Lunardi di età assortite, dalla prima alla quinta, ha fatto in settembre: ha provato a tirare con l’arco. Un’arte, quella dell’arcieria, dal sapore antico, che ci riporta a epoche ormai lontane, ma che mantiene il suo fascino anche nei tempi moderni e che da anni ottiene riconoscimenti in Italia con medaglie mondiali e olimpiche in tutte le manifestazioni ufficiali sia in campo maschile che femminile. Quindi perché non provare, visto che ce ne viene data l’opportunità? Certo va fatto nel modo corretto perché sembra tutto facile, ma nulla lo è, a partire dalla conoscenza dell’attrezzatura necessaria per passare al suo montaggio e al suo utilizzo. Ci vuole pratica per gestire tutto prima di poter tirare e soprattutto per farlo in sicurezza: dopotutto, anche se diverso, l’arco è pur sempre un’arma e non un giocattolo e come tale va trattata. Per questo motivo il Prof. Rizzotto ha scelto di chiedere la collaborazione del Sig. Franco, che è stata l’altra figura di riferimento per questa esperienza.
Si è iniziato imparando come montare l’arco. Nel nostro caso abbiamo usato l’arco scuola, specifico per chi sta iniziando ad approcciarsi a questa attività e che differisce dall’arco olimpico principalmente per l’assenza del mirino. Il peso dei flettenti e la
Fotografie: prof. Enrico Rizzotto tensione sviluppata attraverso la corda sono infatti adatte per l’utilizzo da parte di un principiante. Ci è stato comunque spiegato che esistono altre tipologie di arco come ad esempio l’arco olimpico, l’arco compound e l’arco tradizionale di cui il “longbow” è un esempio. Oltre all’arco, nella dotazione dell’arciere non possono mancare un guantino che viene utilizzato per tirare e un parabraccio per proteggere il braccio di tiro dal ritorno della corda, oltre ovviamente una faretra dove riporre le frecce. Si è poi trattato di capire se, a seconda della nostra inclinazione, fosse più appropriato che ognuno di noi utilizzasse un arco destro o mancino. Per farlo ci è stato chiesto di verificare quale fosse il nostro occhio dominante; per alcuni il risultato non è stato quello supposto. Alla fine, con una stragrande maggioranza di destri e solo qualche mancino, è giunto il tempo di tirare. Il percorso si è snodato dai primi tentativi, in cui risultava difficile anche solo colpire il padiglione con le frecce, fino all’ultima lezione tenuta a scuola in cui le sfide a squadre finivano con un irrisorio svantaggio per chi veniva sconfitto.
Oltre ai tiri al paglione gli allievi si sono esercitati anche tirando a sagome statiche di animali collocate appositamente nel campo di tiro. Questa attività è stata propedeutica al pomeriggio dedicato alla gara conclusiva tenuta sul Monte Maddalena al campo di tiro nel bosco. Qui ogni allievo ha potuto mettere in pratica tutte le tecniche apprese, tirando a bersagli fermi o in movimento e a distanze variabili, dando così prova delle sue abilità. Questa attività è stata interessante e ha contribuito a creare un clima di collaborazione tra i partecipanti, sempre pronti allo scherzo e a una risata quando una freccia infelice finiva nel posto sbagliato. Progetto consigliatissimo in caso venga riproposto in futuro. Flavia Redondi, 5°AL
Gruppo di lettura docenti 21 ottobre.
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Giocare a Rugby. Un invito Molti, soprattutto in Italia, considerano il rugby uno sport pericoloso, violento e assolutamente vietato ai bambini piccoli. Questi sono solo alcuni dei tanti pregiudizi che provengono dalle persone che non conoscono affatto questo sport. Il rugby, invece, incarna benissimo il concetto di disciplina sportiva: lealtà, condivisione, rispetto e tanto altro. Si tratta, inoltre, di uno sport versatile: adatto a tutti i tipi di genere, fisico ed età. Quindi, perché avvicinare il proprio figlio o figlia a questo sport? In primo luogo, il rugby è uno sport educativo, insegna a rispettare le regole e a non ingannare gli altri. Una delle regole federali, infatti, stabilisce che tutti i ragazzi entrino in campo a giocare, perché è inutile lasciare un ragazzo meno bravo in panchina, al contrario, entrare in campo gli permetterebbe di migliorare e, soprattutto, di sentirsi motivato a farlo. Il rispetto, in particolare verso l’arbitro, è importante: nessuno al di fuori del capitano può parlargli; se qualcuno lo fa ne patirà tutta la squadra. Come diceva Franco Ascantini (ex giocatore di rugby): “Essere rugbisti dovrebbe essere un modo per diventare cittadini della Repubblica Italiana; se non si educa la base, cosa ci fa distinguere dagli altri sport? Il rugby è l’attività di base per la formazione prima di tutto del cittadino, quello che bisogna insegnare ai bambini è il rispetto e l’educazione”. Pochi sport come il rugby sembrano avere a cuore la formazione umana, in quanto è uno sport che mette insieme il gioco di squadra, il contatto fisico, la velocità e la forza. Sempre a livello educativo, insegna a giocare bene, e non a focalizzarsi soltanto sulla vittoria. Quello che insegna ai bambini è giocare per divertirsi prima di tutto; il rugby permette di impa-
rare che vincere vuol dire assegnare un compito a ciascun ragazzo e alla squadra e, portarlo a compimento, non arrivare primi ad un torneo. Un altro motivo per il quale avvicinare la propria figlia o figlio alla palla ovale è il fantastico “terzo tempo”. Questo è un fenomeno unico nel panorama sportivo; esso è il momento conviviale del dopo partita, e nel minirugby è ancora più importante: i bambini fraternizzano con gli altri e i genitori fanno nuove amicizie. Durante questo momento si mangia tutti insieme e si fa una vera festa. A livello di club questo fenomeno si svolge nella club house della squadra ospitante, come un pub vicino al campo; spesso nelle club house viene offerto un piatto di pasta e una bibita. Invece, a livello nazionale si svolge in sale dello stadio create apposta per questo evento. L’aspetto straordinario è che anche i tifosi possono partecipare: un’occasione per avvicinare gli atleti fare foto con loro o chiedere autografi. Con il “terzo tempo” il rugby insegna che le partite sono un gioco: ci si impegna, ma, soprattutto, ci si diverte nel rispetto degli altri. Questa usanza è stata resa nel tempo come un vero momento di incontro e amicizia tra gli avversari che, dopo una battaglia in campo stabiliscono, a volte, amicizie forti e stabili; di conseguenza, questo, aiuta il ragazzo a socializzare rispettosamente e ad aprirsi se è timido.
In terzo luogo, è giusto mandare i propri figli a rugby perché non è uno sport pericoloso, anzi, insegna a cadere senza ferirsi. Ovviamente, dato che è uno sport di contatto ci si può fare male, ma l’incidenza degli infortuni è statisticamente più bassa di altre discipline come il calcio. Soprattutto, a differenza del calcio, nel rugby si lavora molto sulla prevenzione. Lo sport della palla ovale è uno dei pochissimi dove, a scontrarsi, sono due linee ben distinte di giocatori e, quindi, per segnare un punto si deve per forza “rompere” una di queste linee con la fisicità. Secondo una ricerca di Forbes del 2006, a livello di infortuni sportivi, il rugby precede attività come l’hockey sul ghiaccio, il basket, il baseball, il football americano, la ginnastica artistica, l’equitazione e gli sport di combattimento. Ovvio che tutto si ricollega: solo se si rispettano le regole alla perfezione il rischio di subire traumi è pari a zero. È inoltre da considerare il fatto che il rugby che si vede in televisione è diverso da quello che si insegna ai bambini; gli allenatori insegnano loro i movimenti per compiere le manovre più “rischiose”, ma senza applicarle. È importante, per giunta, insegnare loro a cadere, in quanto si tratta di un insegnamento fondamentale per lo sviluppo psicomotorio. Si potrebbe dire che il rugby sia uno stile di vita: a volte prendiamo una spinta e cadiamo a terra, a volte la meta sembra irraggiungibile, ma se lo vogliamo e abbiamo amici sicuri, insieme possiamo rialzarci e realizzare i nostri sogni. Awa Gaye, 4°D RIM
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L'esperienza covid-19. La riscoperta della relazione educativa nella scuola La Commissione Cultura del nostro istituto e l’Assessorato alle Politiche Giovanili e alle Pari Opportunità del Comune di Brescia, facendo seguito sia al successo di partecipazione sia al rilievo educativo del concorso “L’esperienza Covid-19. La riscoperta della relazione educativa nella scuola”, organizzano le seguenti iniziative: 1. un convegno sul tema del concorso, presso l'Auditorium San Barnaba, che si ter r à sabato 23 ottobre dalle ore 8:45 alle ore 13.00; 2. la proiezione, presso il Cinema Nuovo Eden, di alcuni video e la lettura di una selezione dei testi che hanno partecipato al concorso. 3. una mostra, presso la Piccola Galleria U.C.A.I in via San Zenone 4, degli elaborati della sezione “artistica” del concorso. Prenotazione convegno: https://bit.ly/3iqxzuf Prenotazione Cinema Nuovo Eden: https://bit.ly/3iwwYaf Mostra: accesso libero