Anno 31 Numero 8
CONOSCERE SE STESSI ATTRAVERSO L’ARTE
“Il ritratto. Le emozioni in un volto – Parlo di me. L’autoritratto”, questo il titolo dell’esperienza laboratoriale a cura di Brescia Musei, che ha coinvolto un gruppo di alunne ed alunni del Lunardi con i rispettivi partner tedeschi di Oberstdorf presso la Pinacoteca “Tosio Martinengo” nella prima fase dello scambio culturale nel mese di marzo.
Gli autoritratti prodotti, attraverso tecniche diversificate e svariati materiali, rivelano sensazioni, visioni e fantasie nascoste nell’intimo dei rispettivi protagonisti
Il desiderio di lasciare la propria immagine esiste praticamente sin da quando l’uomo ha avuto coscienza di sé. Innumerevoli artisti hanno praticato questo genere, che nel corso dei secoli è continuamente cambiato. Attenzione…Il ritratto o l’autoritratto non costituiscono una semplice riproduzione della realtà, poiché l’immagine prodotta è condizionata dalla sensibilità e dal gusto dell’artista, nonché dal periodo storico-sociale.
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I.I.S. LUNARDI - BS Aprile 2023
ALLA SCOPERTA
VALENCIA VOGLIO VIVERE
CREATIVITA
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IN QUESTO NUMERO: DANZA A VERZIANO
DI
D’ARTE CASUALITA’ &
’ AMICI A 4 ZAMPE E MOLTO ALTRO ANCORA! Pag.
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Docente referente: Prof.ssa Rosella Grugni. Studenti: Barone Asia, Gnali Arianna, Gentili Sofia (Classe 4CL), Filini Gloria (Classe 4B AFM), Harka Elidjon, Mazzilli Ismaele (Classe 4C Rim), Alberti Laura (Classe 4B Tur), Benedetti Rachele, Fusaro Serena, Rossi Elisa (Classe 5A AFM)
DANZA A VERZIANO
Lunedì 20 marzo ho svolto un’attività diversa dal solito, per la quale avevo un po’ paura, ma alla fine si è rivelata una delle esperienze più belle fatte con la scuola e che resterà per sempre impressa nella mia mente: ho ballato con alcuni detenuti del carcere Verziano.
Ma lasciate che vi spieghi tutto dal principio.
L’anno scorso, grazie alla professoressa Vavassori, io e la mia classe abbiamo avuto l’opportunità di conoscere alcuni componenti della compagnia Lyria, un gruppo fondato nel 1995 a Brescia per volontà di Giulia Gussago, attuale direttore artistico, e Monica Cinini, attuale presidente, che promuove la cultura della danza e dell’arte contemporanea attraverso la creazione di spettacoli. Durante l’incontro ci hanno presentato alcune delle loro attività, in particolare quella svolta dal 2011 alla Casa di Reclusione Verziano, in cui lavorano sull’integrazione tra realtà carceraria e società civile.
Quest’anno la nostra professoressa ci ha proposto di svolgere un’altra attività con la compagnia Lyria: saremmo dovuti entrare in carcere con i volontari dell’associazione e ballare con i detenuti. L’idea ci ha colto un po’ alla sprovvista, ma alla fine abbiamo accettato. Naturalmente non potevamo presentarci senza preparazione, così il 3 marzo tre volontarie sono venute nella nostra classe e, durante l’incontro, ci hanno spiegato alcune regole che avremmo dovuto rispettare quando saremmo stati insieme ai carcerati. Abbiamo iniziato a svolgere il percorso che avremmo continuato in carcere: ci hanno fatto scrivere 5 parole che ci venivano in mente guardando un video e poi di esse dovevamo sceglierne una e associarle ad un movimento da fare unicamente con le braccia e le mani. Ci siamo poi uniti in gruppi di due e abbiamo tentato di combinare i due movimenti, ma con scarsi risultati, principalmente a causa dell’imbarazzo che c’era tra noi ragazzi.
nostra visita, ci stavano aspettando. Percorrendo i corridoi del carcere ero un po’ in ansia per via del luogo in cui mi trovavo e delle persone sconosciute che avrei incontrato, ma ogni pensiero e sentimento negativo è scomparso quando i detenuti hanno iniziato a danzare, lasciando spazio ad un’emozione indescrivibile a parole. Successivamente ci siamo messi in cerchio e abbiamo iniziato a svolgere delle attività tutti insieme: abbiamo corso da una sedia all’altra ascoltando i comandi, ci siamo affidati gli uni agli altri e, mentre avevamo gli occhi chiusi, abbiamo lasciato che qualcun altro muovesse i nostri arti e ci guidasse nello spazio, e, infine, abbiamo ballato insieme, tutto in perfetta armonia. Ciò che ha portato ad una connessione così forte è stata la bravura di Giulia Gussago che ha introdotto tutti gli esercizi gradualmente e senza imporci l’obbligo di eseguirli: eravamo infatti noi a scegliere se alzarci e unirci agli altri o restare seduti a guardare o aspettare che qualcuno venisse da noi e ci invitasse. Il momento che mi è piaciuto di più, oltre alla danza, è stata la parte finale, quando abbiamo commentato le parole che avevamo scritto su uno striscione bianco che avevamo disteso per terra, perché ho potuto ascoltare quello che pensavano gli altri del pomeriggio passato insieme e mi ha rassicurato sentire che i loro pensieri non erano distanti dai miei, che anche loro inizialmente erano in ansia e in imbarazzo, svaniti poco dopo che abbiamo iniziato a divertirci affiatati.
Completamente diverso è stato, invece, il pomeriggio a Verziano: ci siamo ritrovati all’entrata alle 15:30 e, dopo aver superato tutti i controlli e depositato i nostri oggetti personali, ci siamo recati in palestra dove i detenuti, informati della
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Spiragli
Sono molto contenta di aver fatto questa esperienza, perché mi ha permesso di relazionarmi con persone con cui non avrei mai immaginato di interagire e di capire che a volte basta veramente poco per far sorridere qualcuno, anche in circostanze difficili come quelle che stanno vivendo i carcerati: bisogna solo avere la volontà di provarci!
Jennifer Schivardi 5^CL
UN TRENO PER AUSCHWITZ: VIAGGIO NELLA MEMORIA DELLA STORIA
In molte occasioni ci si domanda come l’umanità sia potuta arrivare a bramare lo sterminio di un intero popolo e di altre persone, in quanto ritenute appartenenti “a una razza inferiore rispetto a quella ariana”. Alcuni studenti delle classi quarte e quinte del nostro Istituto hanno deciso di intraprendere un lungo viaggio per vedere con i propri occhi gli orrori dei campi di concentra-
mento nazisti. L'11 febbraio, questi studenti e le professoresse Gaggia, Pilia e Bambini sono partiti da Brescia in pullman per arrivare alla stazione di Treviso e prendere il treno, che li ha portati a Vienna. Durante il viaggio, gli studenti si sono cimentati in diverse attività per passare il tempo più velocemente. Per esempio, alcuni si sono improvvisati cantanti per un’ora, mentre altri hanno ammirato i paesaggi di montagna mozzafiato e spettacolari. Arrivati alla stazione di Vienna, hanno preso un pullman per giungere a Auschwitz attraversando anche la Repubblica Ceca. Sono arrivati a destinazione in tarda serata, quindi si sono messi a dormire per essere pronti ad affrontare un nuovo giorno più impegnativo da sopportare mentalmente, perché il programma prevedeva la visita del campo di Auschwitz.
Il giorno dopo, il 12 febbraio, gli studenti si sono divisi in gruppi per visitare il campo di concentramento più noto per aver sterminato un numero ingente di persone, tra cui ebrei, omosessuali, di-
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PRENDERE IL VOLO (di Sara Faustini 5CL)
sabili e nemici politici. Ogni gruppo aveva una guida, che spiegava loro il modo di vivere dei prigionieri, gli esperimenti condotti su bambini e donne dai nazisti, il trattamento dato a queste persone e i diversi modi impiegati dai nazisti per ucciderli. I ragazzi sono rimasti colpiti da diversi aspetti della spiegazione esaustiva: le dimensioni ridotte delle camere a gas rispetto al numero di persone, che venivano costrette a “fare la doccia”; i capelli e gli oggetti sequestrati ai prigionieri e un libro, che conteneva i nomi di tutte le vittime deportate e uccise in diversi campi di concentramento. Dopo la visita al campo, gli studenti hanno avuto del tempo libero per pranzare presso il Centum Dialogu, dove nel tardo pomeriggio gli alunni di diverse scuole bresciane, aderenti al progetto, hanno presentato il loro lavoro per sensibilizzare i giovani sugli avvenimenti disumani condotti dai nazisti. I lavori presentati spaziano in diversi ambiti: alcuni istituti hanno realizzato disegni, altri presentazioni in digitale, fumetti ed esibizioni musicali. Prima del meeting, gli studenti hanno visitato il campo di Birkenau. Esso è
molto più esteso di Auschwitz e la sua particolarità è che i treni, che trasportavano i prigionieri avevano accesso diretto al campo, perché i binari erano stati costruiti a ridosso dell’ingresso.
Il giorno dopo, il 13 febbraio, gli studenti si sono recati al campo di Plaszow, costruito su un cimitero ebraico e distrutto dai nazisti per celare le prove del loro sterminio agli alleati. Nelle vicinanze del campo è situata la città di Cracovia, che gli Istituti hanno deciso di visitare con una guida. Quest’ultima ha fornito loro interessanti informazioni sulla storia della città e ha mostrato loro i luoghi di maggior interesse, come il castello, la cattedrale e il centro storico. A seguito di un pranzo libero, gli studenti sono accorsi a una sinagoga e a un quartiere ebraico per cenare e poter imparare nuove nozioni sulla cultura di questo popolo.
Il 14 febbraio, l'esperienza è giunta al termine, quindi gli studenti hanno intrapreso il viaggio di ritorno a Brescia con la consapevolezza di aver fatto un’esperienza, che si porteranno sempre nel cuore, e ciò lo dimostrano le opinioni di questi studenti:
“Viaggio indimenticabile e forte dal punto di vista emotivo”
“È stata un'esperienza, che mi ha permesso di conoscere fantastiche persone”
“Paragonerei il viaggio a una montagna russa di miste emozioni”
“Questo viaggio mi ha dato molto per la crescita personale ed emotiva”
Giulia Massarotto, 5EL.
CASA RONALD BRESCIA: UN’ESPERIENZA DI VOLONTARIATO
Casa Ronald Brescia è una delle 4 Case Ronald presenti in Italia. La struttura, nata nel 2008, offre ospitalità ed assistenza ai bambini e alle loro famiglie durante il percorso di cura o di terapia ospedaliera. Casa Ronald Brescia può accogliere fino a 7 famiglie. Qui, ognuna trova lo spazio e il calore per rigenerarsi, ritemprarsi e condividere momenti di vita quotidiana con le altre famiglie. La storia della fondazione
È il 1974 quando a Philadelphia Fred Hill, famoso giocatore di football americano, scopre che la sua bambina ha la leucemia. Insieme a sua moglie, Fred deve affrontare giornate davvero lunghe tra le corsie degli ospedali e le sale di attesa,
mangiando dai distributori automatici, ma soprattutto cercando di nascondere a Kim la tristezza e la stanchezza di quei giorni. Ad un certo punto, guardandosi attorno, si accorge che lui e sua moglie non erano soli. C’erano molte famiglie che oltre al dolore per la malattia del loro bambino avevano ulteriori preoccupazioni: i lunghi viaggi per le cure ospedaliere e i costi di una forzata permanenza lontano da casa. È durante la malattia della sua bambina che Fred si rende conto della necessità di pensare a un posto dove i genitori dei bambini malati possono ritrovarsi per sostenersi a vicenda. Ray Kroc, fondatore di McDonald’s, che in quel momento aveva sotto
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scia, dopo un colloquio conoscitivo con lo staff di Casa Ronald si seguono alcune ore di formazione per poi poter svolgere attività di volontariato. Queste sono svariate: dallo svolgere attività ricreative con gli ospiti fino ad organizzare la dispensa o montare gli appartamenti delle famiglie. Insomma, un aiuto serve sempre! Per ulteriori informazioni recatevi sul sito della Casa Ronald Brescia, dove troverete tutti i contatti.
contratto Fred Hill, viene così colpito da questa idea tanto da decidere di appoggiarla in pieno, con la promessa di raddoppiare ogni dollaro raccolto. Grazie a questo lavoro di squadra la dottoressa Audrey Evans, responsabile dell’unità oncologica dell’ospedale pediatrico di Philadelphia, realizza una casa come residenza temporanea per le famiglie dei bambini in cura presso l’ospedale. Così nel 1974, con l’inaugurazione della prima Casa Ronald, nasce ufficialmente la Ronald McDonald House Charities (RMHC®).
L’esperienza del volontariato
Per tutte le persone maggiorenni è possibile svolgere attività di volontariato presso la sede di Bre-
(SIC)COME DANTE
La 4°AAFM coinvolta nella celebrazione del Dantedì
Dante Alighieri: padre della letteratura italiana, poeta studiato ancora oggi in tutte le scuole italiane. Ma cosa lo rende davvero così famoso? La sua opera più importante: la Divina Commedia, divisa in tre Cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Numerosi studenti trascorrono almeno tre anni della loro vita sui libri a studiarla, ma è davvero questo l’unico modo per avvicinarsi alla conoscenza del testo e del suo autore? La risposta è assolutamente no e ora noi di 4°AAFM vi spiegheremo il perché.
Tutto ebbe inizio con un compito un po’ particolare che ci venne assegnato durante le vacanze estive dalla nostra professoressa di italiano, Rita Pilia: girare un video tutti insieme per rappresentare gli episodi più significativi dell’Inferno studiati in classe nel corso dell’anno. Creando il video, che poi si è rivelato un vero e proprio cortometraggio, abbiamo avuto l’occasione di analizzare il testo di Dante da un altro punto di vista.
Il video è piaciuto molto: non solo è stato ap-
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Martina Franzoni 5EL
Knuffel preparati da noi
prezzato da noi, che ci siamo sentiti fieri del nostro lavoro, ma anche dalla nostra professoressa e da altri suoi colleghi. La prof.ssa Valentina Belleri, in particolare, ci ha permesso di entrare in contatto con gli organizzatori del progetto "Fronteggiar Bresciani e Bergamaschi - SicCome Dante”, promosso dalla “Società Dante di Bergamo”; il nostro video è stato selezionato e così, in occasione del Dantedì, sabato 25 marzo, la nostra classe è stata invitata a presentarlo pubblicamente presso l’Auditorium di Santa Giulia a Brescia alla presenza di studenti e docenti provenienti da numerose altre scuole. Ci hanno accompagnato i professori Giuseppe Ungari e Carlo Battaglia.
Noi pensiamo che il cortometraggio sia stato selezionato anche perché come ambientazione avevamo scelto il Castello di Brescia e questo ci ha permesso di valorizzare non solo Dante, ma anche la nostra città che quest’anno, insieme a Bergamo, è Capitale della Cultura 2023.
Il compito di presentare il video è stato affidato a tre di noi: noi due che stiamo scrivendo l’articolo (Greta Bosio e Sofia Lonati) e al nostro compagno Davide Saiani. Il fatto di salire sul palco in tre è stato un ulteriore omaggio all’opera dantesca.
L’incontro era strutturato seguendo la storia della Divina Commedia, un viaggio attraverso le tre cantiche: prima vennero esposti i lavori riguardanti l’Inferno, poi quelli sul Purgatorio e infine il Paradiso. Insomma, una sorta di scalata proprio come quella affrontata dal poeta.
Dopo circa dieci lavori presentati da altre scuole, siamo saliti sul palco per presentare il lavoro che avevamo intitolato “L’Inferno della 4A”. Abbia-
mo raccontato com'era nata l'idea del progetto, com’è strutturato, il motivo della scelta dell’ambientazione (il nostro bellissimo Castello), che emozioni ci ha regalato, che ricordi ci ha lasciato. Dopo averci ringraziati, i responsabili del progetto hanno mostrato due brevi momenti del nostro lavoro: La porta dell’Inferno con la celebre frase “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” e la figura di Lucifero.
Nonostante a ogni lavoro sia stato dedicato uno spazio molto ridotto (per motivi di tempo), è stato bello vedere come la Divina Commedia potesse essere rappresentata in mille sfumature diverse. Infine, gli organizzatori della giornata ci hanno ringraziati per l'attenzione, ma soprattutto per l'impegno e per la realizzazione di bellissimi lavori, che tra video, poesie e recitazioni espressiva ci hanno permesso di scoprire i luoghi di Brescia e Bergamo che Dante ha probabile visitato.
Vi salutiamo con la speranza di continuare a conoscere quest'opera in modo "fantasioso" e con l’augurio di avervi incuriosito almeno un pochino.
TRE MESI IN INGHILTERRA
Eccomi di nuovo dopo… 12 settimane nel Regno Unito! Dopo il mio ultimo aggiornamento all’inizio di febbraio, sono stati pochi i momenti liberi per scrivervi, e purtroppo nessun articolo è stato pubblicato nel mese di marzo; più giorni trascorrono, più il tempo sembra passare velocemente. Ma invece di contare i mesi rimasti sul calendario, meglio vivere a pieno ogni singolo attimo! Come riassumere due interi mesi in un Paese straniero? Inizierò riprendendo una delle attività già menzionate in precedenza, e che è stata indubbiamente al centro dei miei impegni: Houselights, il club di teatro. Una volta ripresa la scuola il 20 febbraio, quasi ogni pomeriggio dalle 15.30 alle 17.00 si svolgevano le prove per Foremothers, la play messa in scena giovedì 9 e venerdì 10 marzo: “In 1621, 149 women were ship-
ped from England to Jamestown, West Virginia, to become brides for the male settlers. These women were volunteers and set off to a world of starvation, war and disease to help save a crumbling colony. In this original 1-hour play, we ask what would compel a person to leave a world they know to start a new life fraught with uncertainty and danger?” Non si tratta dell’opera per cui avevo svolto le audizioni e, dal momento che era stata scritta e progettata direttamente dagli studenti della scuola prima che arrivassi, mentirei se dicessi di avere interpretato un vero e proprio ruolo. Ciononostante, ho avuto la possibilità di essere ugualmente coinvolta: uno dei miei compiti era, ad esempio, quello di aiutare nella preparazione dello spettacolo, assicurandomi che ogni cosa si trovasse nel posto giusto, e sono comparsa
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Greta Bosio e Sofia Lonati, 4AAFM
anche in diversi atti per transizioni e cambi di scena. Sono talmente numerosi i dettagli a cui prestare attenzione e le correzioni necessarie che alla fine terminavamo sempre alle 17.30. Insomma, tempo di prendere il treno per tornare a casa e qui nel Regno Unito era già ora di cena. Molti membri del cast studiano teatro da anni, sognando di proseguire seriamente in questo settore: di conseguenza, si è trattato di un ambiente veramente stimolante, e sono felice di essermi sentita subito parte del gruppo. Non avendo lezione sabato, le prove si svolgevano a partire della mattina, dalle 10.00 alle 16.00; in aggiunta, un’attrice amica dell’insegnante di teatro, è venuta appositamente da Londra per giudicare la nostra esibizione, che fortunatamente è stata apprezzata. Sebbene l’esperienza sia già giunta a termine, è solo l’inizio: a partire da aprile, dopo le vacanze di Pasqua, avrà inizio la preparazione della play di maggio, per cui ho partecipato alle audizioni e ottenuto una parte. Non si tratta stavolta di un lavoro scritto da noi studenti, bensì di uno spettacolo teatrale già composto: sto parlando di Woyzeck, opera di Georg Büchner, per la quale, sempre che siate interessati, dovrete aspettare il mese successivo!
Diverse sono le esperienze che costituiscono un exchange year, ma una grande porzione è sicuramente occupata dai viaggi. Fortunatamente, in Inghilterra è molto facile viaggiare utilizzando i mezzi pubblici, e grazie ad una speciale Rail Card gli adolescenti tra i 16 e 17 anni di età ricevono il 50% di sconto per tutti gli spostamenti via treno. Ormai Londra sembra diventata la mia seconda città: vi ho trascorso tre intere giornate dal mio arrivo (spendendo solamente £7), e malgrado cominci finalmente ad orientarmi, è così immensa che non basterebbero anni per visitarla veramente. Ogni quartiere è unico nel suo genere (personalmente ho adorato Covent Garden), e i suoi musei conservano alcuni dei capolavori artistici più conosciuti di sempre: dal busto di Ramses II al British Museum ai Girasoli di Van Gogh alla National Gallery; e non importa quante volte visiterete questa città, ci sarà sempre qualcosa di nuovo da scoprire!
Avendo però un po’ nostalgia di casa, mi sono avvicinata anche all’Europa esplorando le White Cliffs di Dover, il punto più stretto del Canale
della Manica. Dalle sue meravigliose bianche scogliere, sono riuscita a scorgere in lontananza la Francia. Ci sono voluti 40 mila passi, ma ne è valsa la pena! Un’altra città che ho avuto occasione di visitare è Oxford: la mia associazione, EF, ha organizzato alla fine di marzo un weekend aperto a tutti gli exchange students attualmente in UK, e ho avuto così la possibilità di trascorrere due magnifici giorni in compagnia di nuovi ragazzi provenienti da ogni parte del mondo; Germania, Svizzera, Danimarca… persino Giappone! E non importa dove si posi lo sguardo, sarà sempre possibile scorgere un edificio parte della Oxford University! Oscar Wilde, Einstein, J.K. Rowling, C.S. Lewis anche nell’angolo più nascosto si respira il clima universitario; centro vivace e accogliente, è stato fonte di ispirazione per numerosi personaggi i cui nomi hanno lasciato un segno nella storia! E, come si dice, non c’è Oxford senza Cambridge! Durante le vacanze di Pasqua, io e la mia coinquilina Kathi abbiamo trascorso qui un’altra giornata. Leggermente più piccola e tranquilla di Oxford, si tratta di una cittadina altrettanto stimolante: se nella prima mi sono trovata nella sezione proibita di Harry Potter, qui ero quasi sotto l’albero dove Newton fu “colpito” dalla caduta di una mela. Piccola curiosità: in entrambe le città si trova un ponte denominato “Bridge of Sights”, nome ispirato proprio dal Ponte dei Sospiri di Venezia.
Sempre durante le vacanze, mi sono spostata per la prima volta nel nord dell’Inghilterra con la mia famiglia ospitante. Tre destinazioni, Chester, Manchester e Liverpool, e tre città completamente differenti. Il suffisso -chester deriva dal latino castrum, termine utilizzato per indicare l’accampamento militare dal quale poi si sono evolute le città! Proprio a Chester si trova il più grande anfiteatro romano conosciuto nel Regno Unito. Non essendo una grande fan di calcio, non vorrei deludere dicendo che a Manchester non sono andata in nessuno stadium in compenso, in quanto una delle prime città protagoniste della rivoluzione industriale, ho visitato il Science and Industry Museum, così come la sua Art Gallery. Tutt’altro genere è Liverpool, la città dei Beatles! Molto spesso, soprattutto se non si ha molto tempo a disposizione, il modo migliore per esplorare
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una nuova città è lasciarsi guidare dal proprio istinto, seguendo le strade e le persone che la animano. E non dimentichiamo: è stata anche l’occasione di sentire un accento inglese del tutto diversa da quella a cui sono abituata a Margate. Con tutte queste visite si rischia quasi un calo di energie. Niente panico: in Inghilterra il cibo per ricaricarsi non manca di certo, anzi! Sfido chiunque a negare di avere bisogno di camminare dopo un Full English Breakfast di prima mattina. Pur essendo l’opposto delle mie abitudini alimentari, non potevo di certo tornare in Italia senza averlo provato almeno una volta: bacon, sausages, eggs, black pudding, backed beans, tomatoes, mushrooms, toast… enough! Un’altra specialità che gli inglesi adorano sono sicuramente le Pies: Chicken Pie, Fish Pie, Cottage Pie, Sheperd’s Pie… una per ogni giorno della settimana. Adattarsi al cibo è molto difficile per me, e malgrado sia comunque riuscita ad aprirmi per il salato, di dolci non ne mangio molti nemmeno in Italia. Per il momento, gli unici ad aver provato sono stati Apple Crumble e Bread and Butter (che corrisponde alla vera e propria traduzione). Visti gli indimenticabili momenti e le meravigliose persone che sto conoscendo qui, la cucina italiana mi manca a volte di più della mia stessa famiglia. Una sera ho deciso di preparare per tutti un tradizionale risotto allo zafferano, ma sono rimasta abbastanza delusa quando, vista l’espressione del mio host dad, ho intuito che il risotto della mia host mum (condito con bacon, pollo, piselli, zucca e formaggio) era più di suo gradimento!!!
Dal momento che scrivo durante le vacanze di Pasqua, la risposta è sì, anche qui si mangiano le uova di cioccolato; tuttavia, a differenza dell’Italia, i bambini non le ricevono semplicemente come regalo: tipica è invece la Easter Hunt, una caccia al tesoro il cui scopo è proprio trovare le uova che sono state nascoste. Per quanto riguarda altre tradizioni, personalmente non posso testimoniare nient’altro; dal momento che mi trovavo a Manchester, la nostra è stata più una Pasqua da turisti che una vera e propria giornata di festa, ma anche chiedendo alla famiglia e agli amici particolari ricorrenze, non ho avuto l’impressione di una festività particolarmente celebrata.
Spero che a Brescia si inizi a percepire un clima primaverile. Qui descrivere il tempo sarebbe come cercare l’ago nel pagliaio: esco di casa la mattina con un sole che promette una giornata favolosa, e torno la sera minacciata da vento e pioggia; mi alzo infreddolita alle 6.00 del mattino, alle 21.00 sono in maniche corte! Dico solo, però, che indosso ancora lo stesso cappotto che portavo a gennaio!
A scuola va tutto bene per il momento, non ho
particolari novità da raccontare, solamente il fatto che, vedendo tutti i miei compagni impegnati nella scelta dell’università, ho l’impressione di essere in ritardo nella tabella di marcia, e a volte la mia mente invece di essere concentrata sui libri del Sixth Form è proiettata verso quelli che la attendono tra due anni! Sicuramente so la prima cosa da iniziare a fare una volta tornata in Italia. Sfortunatamente, non sono molte le foto che posso mostrarvi: un piccolo “incidente” è accaduto a
Londra, non molto tempo fa, e che sto ancora cercando di risolvere. Evidentemente cominciavo a prendere troppa confidenza con la città, quindi vi darò un consiglio scontato: se doveste mai trovarvi a Borough Market, insieme a centinaia di altre persone, ricordatevi di non lasciare il telefono nella tasca del cappotto, a meno che non desideriate recarvi dalla polizia per denunciare un caso di pickpocketing! Niente paura però, nulla di grave è successo, e ora sono anche molto più serena: se sono sopravvissuta un giorno a Londra senza alcuna possibilità di comunicare, cosa potrebbe mai succedermi ora?
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Camilla Comincioli, 4^AL
UN ANNO IN CALIFORNIA
Ciao di nuovo. Questo è uno degli ultimi articoli e inizio a rendermi conto che la mia esperienza americana sta volgendo al termine. Sono seriamente felice di essere vicina alla data del rientro in Italia perché inizio a sentire la mancanza dei miei amici e di tutta la mia famiglia, ma allo stesso tempo non ho per niente voglia di lasciare questo posto. Partire per un anno di scambio è da pazzi e se ci si trova proprio bene e ci si riesce ad ambientare, il dover tornare a casa diventa sempre più difficile: è come se si avessero due vite meravigliose e si dovesse scegliere una delle due, ma poi chissà che fine farà l’altra Qualche giorno fa una mia amica mi ha detto che certe volte lei si dimentica che non ci conosciamo da una vita, ma solo da un anno. Questo mi ha riempito il cuore di gioia e sinceramente inizio quasi a dimenticarmi che i miei ricordi della scuola elementare non sono di qui, ma vengono dall’altra parte del mondo. In quest’ultimo mese ho vissuto moltissime esperienze e credo di aver iniziato a passare più tempo fuori casa; questo, credo significhi che mi sono ambientata veramente bene.
Oggi innanzitutto voglio parlare di una tendenza americana che nella mia scuola viene accentuata ancora di più ovvero il fatto di fare tutto in grande, sempre. Per esempio per il giorno del P Greco, nella mia scuola, abbiamo seguito le lezioni solo per metà giornata e abbiamo passato l’altra metà a mangiare crostate. Questo perché le crostate e il P Greco hanno lo stesso nome in inglese.
Nella scuola che frequento ci sono due settimane molto importanti: una, la STEAM week, è alla fine di marzo; l’altra, la Mock week, è all’inizio di aprile. STEAM è una sigla che sta per Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Arte, Matematica; durante questa settimana tutti gli studenti dell’ultimo anno devono organizzare, in gruppi di due o tre persone, delle attività legate alle materie che ho appena elencato e poi, durante le giornate, studenti più giovani, di altre scuole, hanno la possibilità di partecipare a queste attività e allo stesso tempo sperimentare la giornata nella scuola superiore. Io, quindi, definirei questa settimana come un Open Day, ma con attività alternative. Durante la settimana Mock, invece, si tengono le simulazioni degli esami: tutti gli studenti del terzo e dell’ultimo anno hanno la possibilità di provare a sostenere dei vecchi esami, presi da altri anni, nelle condizioni in cui andranno a tenere gli esami reali per il programma internazionale (International Baccalaureat). Io mi sono messa
alla prova con tutti gli esami, anche se non andrò a sostenere quelli reali che avverranno a maggio. Credo che il fatto che si possa sperimentare la vera atmosfera sia meraviglioso. In questo periodo, quindi, vedo molte persone che studiano durante il tempo libero. Io personalmente ho terminato tutti i miei esami e, quindi, sono praticamente libera da ogni pensiero; è per questo motivo che ho iniziato a stressare una mia compagna di classe (della classe italiana) per farmi mandare tutti gli appunti che avesse per poter studiare quello che devo recuperare. Se volete trascorrere un anno di scambio, tenete in conto che quando il rientro si avvicina significa che si deve iniziare a studiare. :)
Sin da quando sono qui, mi sono accorta che la qualità del cibo non è delle migliori e per poter mantenere una buona forma fisica bisogna fare sport; per questo motivo ho deciso di entrare nella squadra di atletica, anche se non avevo mai seguito corsi prima. So di non essere brava a correre quindi ho eliminato tutta la parte di corsa; so di non avere chissà che forza, quindi ho eliminato tutta la parte dei lanci; a questo punto mi rimanevano solo due scelte: il salto in alto e quello in lungo. Non ho la tecnica e non potevo impararla abbastanza in fretta da poter competere nel salto in alto, quindi ho deciso di gareggiare nel salto in lungo. Ho scoperto di essere bravina in questo sport e sono riuscita a saltare 4 metri (credo) nella prima gara ufficiale e sto migliorando di volta in volta. Atletica è uno sport divertente, ma come ho già detto preferisco sport in cui si deve contare sui compagni e atletica è letteralmente lo sport individuale per eccellenza, dove non si ha una squadra, se non per la staffetta. Oltre ad atletica gioco anche a pallavolo. Finalmente sono maggiorenne, quindi ho la possibilità di andare a gio-
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care e allenarmi con gli studenti universitari. Sono molto contenta perché è da molto tempo che non gioco a pallavolo e il fatto di averne finalmente la possibilità mi rende molto felice. Per di più il 16 avrò un torneo quindi fatemi gli auguri. Non so se sia il fatto che sto per andarmene a rendere tutti più disponibili a passare il tempo libero
insieme o se le persone sono solamente molto gentili con me, ma ultimamente sto iniziando ad uscire con più persone, anche di gruppi di amicizia diversi. Qui dove sono, il punto di ritrovo più tipico è la spiaggia. Si prepara la borsa ma non per prendere il sole, no, perché qui c’è il vento più forte che abbia mai incontrato in vita mia. Ci si veste pesanti e prima di arrivare in spiaggia si studia come accendere un falò in condizioni ventose e poi finalmente ci si godono i marshmallow. Altre mete per uscire tra amici sono le foreste: vivendo in Humboldt, posto circondato da foreste, queste sono una bellissima possibilità per uscire e stare all’aria aperta. Se vi parlassi di cosa ho fatto con i miei amici potrebbe essere un intrattenimento bello lungo, ma personalmente preferisco tenermi questi ricordi privati e custodirli gelosamente dentro di me.
Detto questo vi saluto e ci vediamo nel prossimo articolo.
ALLA SCOPERTA DI VALENCIA
Il 22 febbraio noi ragazzi di 5CL siamo partiti per Valencia insieme alle professoresse Deligia e Cejudo che, grazie alle sue origini valenciane e all’aiuto dei suoi fratelli che ci hanno accompagnato per tutta la nostra permanenza, ci ha fatto innamorare della città.
Siamo partiti alle 7:00 dall’aeroporto di Bergamo e, dopo due ore di volo, che la maggior parte di noi ha trascorso dormendo, visto che il ritrovo era alle 3:45, siamo atterrati a Valencia. Dopo aver recuperato i bagagli, ci siamo diretti verso la stazione della metro che ci ha portato all’hotel in avremmo alloggiato per lasciare le valigie e successivamente siamo andati nel centro storico della città, dove abbiamo visto la Lonja e il Mercado Central, in cui alcuni di noi si sono fermati a mangiare durante la pausa pranzo. Alle 15:30 siamo andati al Bioparc dove abbiamo visto tantissimi animali: elefanti, giraffe, ippopotami, zebre, leonesse, serpenti, scimmie… e, tornando in hotel, abbiamo conosciuto Enrique e Alfonso, i fratelli della professo-
ressa Cejudo.
Il secondo giorno, molto più riposati e pieni di energia rispetto al giorno prima, abbiamo fatto il giro del centro della città con Guido, la nostra guida. Per prima cosa ci ha spiegato un po’ la storia di Valencia e poi abbiamo visto il panorama della città dal Miguelete, il campanile della cattedrale, che abbiamo visitato subito dopo. Successivamente abbiamo visto Plaza de la Virgen e siamo entrati nella basilica e alle 12:00 abbiamo assistito al Tribunal de las Aguas, un incontro che si svolge ogni giovedì alla stessa ora davanti alla porta della cattedrale in cui i giudici, ovvero dei contadini, riportano, se ci sono, i problemi dovuti all’irrigazione. Nel pomeriggio abbiamo visto il municipio, la stazione, al cui interno c’erano decorazioni particolari che raffiguravano le arance, uno dei simboli della città, Plaza de Toros, il Museo delle ceramiche e il Museo delle Belle Arti, del quale però abbiamo visto solo l’esposizione dei quadri.
Il terzo giorno, dopo una sostanziosa colazione
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Sara Chiarini, 4°AAFM
all’hotel, abbiamo preso il pullman per dirigerci alla Ciudad de las Artes y de las Ciencias, la zona di Valencia che mi è piaciuta di più. Inizialmente abbiamo visto un documentario e visitato il Museo de las Fallas, in cui abbiamo visto tutti i Ninots che sono stati salvati durante i festeggiamenti.
Las Fallas sono infatti delle feste tradizionali che si svolgono ogni anno a Valencia e in diversi paesi della Comunità Valenciana dall’ultima domenica di febbraio al 19 marzo, in cui ogni giorno si può assistere ad uno spettacolo di petardi. Questa celebrazione prende il nome dalle costruzioni artistiche fatte di materiali combustibili, come cartapesta e legno, che rappresentano figure e composizioni enormi che artisti e scultori locali realizzano durante tutto il corso dell'anno di elementi ispirandosi prevalentemente all’attualità. Ogni anno vengono premiate quelle che riescono a emergere per la spettacolarità, per le dimensioni o per i temi trattati. Ogni falla è tenuta a costruire due opere, la falla major e la falla infantil, ed entrambe partecipano ad un concorso. Inoltre, una parte della falla viene inviata alla “Esposiciò del Ninot”, in cui i visitatori, al termine della visita, possono votare l'opera che preferiscono.
La notte del 19 tutte le fallas costruite vengono bruciate, tranne il Ninot preferito dai visitatori
della esposizione, che viene infatti conservato nel Museo de las Fallas.
Nel pomeriggio abbiamo visto il Museo oceanografico e il delfinario, in cui abbiamo assistito a uno spettacolo con i delfini, l’esposizione dei Ninots di quest’anno, dove, al termine della mostra, abbiamo votato i nostri preferiti, e il Museo delle scienze, anche se purtroppo siamo entrati poco prima della chiusura e non siamo riusciti a visitarlo completamente.
L’ultimo giorno abbiamo fatto un’escursione a Sagunto ed Enrique e Alfonso ci hanno fatto da guida, mostrandoci il castello romano e quartiere ebraico. Abbiamo poi ripreso il pullman per dirigerci verso il parco naturale dell’Albufera, in cui avremmo svolto le attività del pomeriggio, ma prima siamo andati a mangiare tutti insieme la paella valenciana in un ristorante tradizionale. Dopo pranzo abbiamo fatto un giro in barca passando per i canali del parco e infine abbiamo visitato un alloggio tipico dei pescatori locali. Abbiamo trascorso l’ultima sera in centro dove abbiamo assaggiato el Agua de Valencia, il cocktail tipico della città, e abbiamo salutato e ringraziato Enrique e Alfonso per i bellissimi giorni passati insieme.
La mattina dopo ci siamo diretti in aeroporto tutti molto tristi, perché quei quattro giorni erano passati troppo velocemente e non volevamo tornare alla nostra routine, ma allo stesso tempo eravamo felici perché questo viaggio ci aveva permesso di approfondire ancora di più la nostra conoscenza e ci aveva regalato ricordi indimenticabili.
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Schivardi Jennifer 5CL
LA SFARZOSA VILLA D’ESTE E L’IMMENSA VILLA ADRIANA
A fine febbraio, io e la mia classe siamo andati in gita a Roma. Oltre ad avere visitato i principali monumenti, come l’imponente Fontana di Trevi, il Colosseo, il Foro Romano, la maestosa Piazza San Pietro, i meravigliosi Musei Vaticani e avere assistito alla rassegna stampa di Giuseppe Conte dopo una seduta parlamentare, abbiamo anche avuto l’opportunità di trascorrere una giornata a Tivoli, un comune di Roma, situato ai piedi dei Monti Lucretili. Tivoli è una città ricca di punti d’interesse. Ci sono infatti numerose ville tra cui Villa Adriana, l’antica dimora dell’imperatore Adriano; Villa D’Este e Villa Gregoriana, che vanta di un incantevole spazio verde ricco di cascate, boschi, grotte, sentieri e che lasciano a bocca aperta tutti i visitatori. A differenza di Roma, Tivoli è una cittadina molto meno frenetica, caotica, è infatti molto accogliente e pulita. Mi sono piaciute molto le sue viuzze artistiche e colorate che mi ricordavano molto Venezia, e il mercato contadino ospitato nella piazzetta principale. Il particolare abbiamo avuto l’occasione di vistare sia Villa D’Este alla mattina, che Villa Adriana nel pomeriggio.
VILLA
D’ESTE
Villa d’Este è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità UNESCO nel 2001. È simbolo del Rinascimento italiano. La Villa prende il nome dal suo proprietario, Ippolito d’Este, un cardinale e
arcivescovo cattolico italiano. Passò alla storia come il protettore di Ludovico Ariosto, il quale gli dedicò il poema cavalleresco “L’Orlando furioso”. Il cardinale iniziò la sua carriera ecclesiastica quando era ancora solo un bambino grazie alle numerose parentele e conoscenze della famiglia, egli era infatti figlio del duca di ModenaFerrara e della principessa Eleonora d’Aragona. Ebbe l’occasione di intraprendere numerosi viaggi in un’epoca in cui viaggiare non era così semplice; questi ultimi gli permisero di ricevere un’educazione raffinata e religiosa. Ippolito d’Este aveva nel cuore il grande sogno di diventare pontefice e durante la vita fu candidato più volte al soglio pontificio, ma il suo desiderio non fu mai appagato ed ebbe anche degli scontri burrascosi con i pontefici al potere. Fu nominato governatore di Tivoli nel 1550 e divenne una sorta di mecenate, invitando numerosi artisti, letterati nella propria corte e vivendo una vita proprio da principe. Il cardinale, una volta stabilitosi a Roma, dopo le numerose delusioni, decise di commissionare Villa d’Este, con l’obiettivo di trasformare l’antico monastero annesso alla chiesa di S. Maria Maggiore in una immensa, straordinaria Villa che potesse competere con la grandiosità della Villa Adriana, la dimora dell’imperatore Adriano. Ippolito d’Este commissionò gli artisti di maggiore rilievo dell’epoca e creò una Villa innovativa con un sistema idraulico sorprendente. Quello che colpisce di più della Villa sono sicuramente le numerose fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche. Il cardinale fece costruire la Villa proprio con l’obiettivo di impressionare i suoi ospiti e mostrare le proprie ricchezze. Villa d’Este è uno dei posti più “instagrammabili” di Tivoli. Quindi consiglio vivamente a tutti coloro che desiderano scattare delle foto con uno sfondo paesaggistico unico e memorabile, di visitare questo capolavoro del giardino italiano, considerato una delle opere simbolo del rinascimento italiano. Personalmente mi hanno impressionato molto i piccoli dettagli, curanti con massima attenzione, e come la natura cambi con il tempo; per esempio abbiamo visto come un piccolo corso d’acqua con il tempo abbia creato una piccola grotta nascosta tra le piante e ancora come la vegetazione sia cresciuta a tal punto da nascondere una parte della vista della Villa dall’entrata principale.
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VILLA ADRIANA
Dopo un delizioso pranzo in un locale tradizionale di Tivoli, durante il pomeriggio, leggermente appesantiti, siamo andati a visitare Villa Adriana. Appena entrati ci siamo trovati davanti ad un’immensa estensione naturale. Abbiamo camminato lungo il sentiero principale per una decina di minuti e siamo arrivati in un piccolo edificio che ospitava al centro una meravigliosa e molto dettagliata miniatura di tutta la sfarzosa struttura di Villa Adriana. Villa Adriana è stata dichiarata nel 1999 Patrimonio dell'Umanità.
Fu costruita tra il 117 e il 138 dall’imperatore Adriano, si estende per circa 1.000.000 m^2 ed è simbolo della grandezza dell’Impero Romano. L’imperatore si ritirava spesso in questa dimora per avere momenti più tranquilli e sicuri rispetto alla vita mondana nella capitale romana. Tutta la struttura della Villa è stata studiata in modo tale da assicurare massima sicurezza all’imperatore e anche da rendere facile il mantenimento del controllo. Anche qui il sistema di canalizzazione e delle fognature è impressionante: ci sono infatti molti luoghi d’acqua stratosferici da fotografare. Mi è piaciuta molto la scenografia, le luci naturali rendevano il paesaggio magico e quasi fiabesco. La visita immerge i visitatori proprio nella vita quotidiana delle persone che hanno vissuto durante l’impero romano. Si capiscono gli usi e i costumi dell’epoca. Per esempio, la guida ci ha mostrato lo spazio dedicato ai banchetti, in cui le persone mangiavano con le mani e da sdraiati; le stanze dedicate ai servi che mostrano come le persone fossero molto più basse della media di oggi; le strutture in cui facevano i loro bisogni, i bagni e le terme. Per concludere consiglio a tutti gli interessati a conoscere maggiormente lo stile di vita delle persone del passato, oppure a chi vuole immergersi nella natura, sentire lo scoscio dell’acqua e fare foto mentre si viene accarezzati da soffici folate di vento, di prendersi una giornata e visitare queste due meravigliose Ville, molto diverse e simbolo di due epoche lontane.
Ivana Lin, 5°AAFM
SERENITÀ E CONFIDENCE: UN OSSIMORO
In un mondo in cui viene costantemente predicato che essere sicuri di sé nonostante tutto è fondamentale, l’importanza della fragilità è stata dimenticata. Specialmente nella sfera dei social, in cui tutto è incentrato sull’apparire, viene perpetrato un modello a cui ambisce chi non ammette momenti di debolezza.
La retorica del “Be Confident” (sii sicuro di te) viene venduta come merce all’ingrosso e gioca sulla volontà delle persone di cancellare le proprie insicurezze per apparire invincibili ai propri occhi e a quelli degli altri. Tuttavia, questo genere di fiducia in se stessi non nasce da un processo psicologico di confronto e di accettazione delle proprie fragilità, bensì dalla loro capitalizzazione: viene proposto un susseguirsi di prodotti, diete e lezioni con il fine di cambiare il proprio
“mind-set”. Tale modalità conduce, però, a un circolo vizioso in cui vengono presentati metodi per eliminare insicurezze che non si pensava nemmeno di avere, finendo inevitabilmente per dubitare di se stessi ancora di più.
Ed ecco che i messaggi promozionali vengono accostati a slogan di amore incondizionato che non fanno altro che creare sensi di colpa sulla non accettazione di sé, mentre promuovono l’omologazione totale dell’Io.
“
Non cambiare per nessuno: ecco come aumentare la tua autostima”, “Scopri come vestirti in base alla tua siluette per valorizzare le tue curve”, “Amati così come sei!”, “Come risultare una persona più interessante agli occhi degli altri” e via dicendo… Sono titoli che generano confusione a livello esistenziale, poiché sottintendono un mo-
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dello da emulare a cui bisogna ambire, e non propongono alcun tipo di soluzione che vada nella direzione dell’accettazione e della serenità. Anzi, il risultato di questa forma di terrorismo psicologico conduce a uno stato di convivenza conflittuale con l’Io e una tendenza a evitare i problemi. Eppure, vivere e conoscere le proprie fragilità è essenziale non solo per il raggiungimento di uno stato di pace interiore, ma anche per creare un rapporto sincero con gli altri. L’uomo moderno, attraverso l’eco dei social, vive con l’impressione di essere sempre sotto scrutinio da parte di qualcuno e teme il giudizio altrui, ma non riesce a comprendere che il critico più severo e spietato è proprio lui stesso. Ed è così che la forza più autentica della natura umana si basa in realtà sulla capacità di creare rapporti sulla com-
prensione dei bisogni e della sensibilità altrui: quanto più in una relazione si condividono e si accettano le proprie fragilità, tanto più il legame che si è formato è forte, sincero e fonte di serenità.
Proprio per questo sono le persone più vicine a noi, come genitori e amici veri, ad essere fonte della nostra felicità, poiché è attraverso la loro accettazione e il loro amore che iniziamo a considerare le nostre insicurezze come punto di forza. In conclusione, solo attraverso l’accettazione della propria essenza in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, si può raggiungere un livello di fiducia in se stessi tale da permetterci di affrontare la vita con serenità.
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Giovedì 2 febbraio 2023, ore 14:30. Io e una mia compagna di classe ci troviamo in un'aula universitaria, una della Facoltà di Economia a Brescia. Siamo tra le prime arrivate, le prime tra moltissimi studenti che vogliono certezze e vengono per ottenerle. Siamo venute lì in occasione dell'Open Afternoon, una delle tante opportunità offerte da UniBs per poter conoscere meglio l'ambiente, in particolare i corsi e i vari sbocchi professionali, con tanto di testimonianze. I professori hanno dato il meglio di sé per spiegare anche a chi era meno preparato in ambito economico (come me e la mia compagna che frequentiamo la quinta liceo
linguistico) come funzionano i corsi e il loro contesto, per esempio all’interno del Corso di Laurea in Banca e Finanza, vengono approfondite le dinamiche evolutive del sistema economicofinanziario, con particolare riferimento ai meccanismi di funzionamento dei mercati, intermediari e strumenti finanziari. Potete immaginare lo sguardo confuso che una studentessa del linguistico avrebbe potuto avere di fronte a tale mondo così sconosciuto, un mondo al quale non era abituata, un mondo pieno di misteri che allo stesso tempo, però, suscitano curiosità, il desiderio di volerne sapere di più, il desiderio di affrontare
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Linnea Valenti,
L'INTRUSA Una liceale alla Facoltà di Economia
una nuova avventura e di venirne a capo. Prima di venire all'Open Afternoon, ero già fortemente decisa di intraprendere un percorso all'interno di questa facoltà. Ero sicura anche del piano di studi che avevo scelto, quello appunto in Banca e Finanza, per gli sbocchi professionali interessanti che presentava. Avevo scelto di venire lo stesso quel pomeriggio in quell'aula per essere ancora più certa del mio obiettivo e del mio futuro, e posso dire a voi lettori: menomale che ho partecipato!
La presentazione dei corsi mi ha permesso di conoscere meglio il Corso di Laurea in Economia e Azienda Digitale, ed è stato amore a prima vista. Tra le mie varie fissazioni segrete si trova, infatti, quella per il mondo digitale, che ho sempre voluto mettere in pratica. Questo corso, insieme all'entusiasmante insegnamento in lingua inglese a partire dal terzo anno, è in grado di offrirmi la conoscenza e gli strumenti per diventarne protagonista. La testimonianza di chi ha frequentato il corso, inoltre, ha contribuito moltissimo a orientarmi ed è stata uno dei fattori che ha fatto sì che
prendessi questa nuova decisione drastica. Questo pomeriggio è crollato un mio possibile futuro, ma è iniziata anche la costruzione di uno nuovo ancora più piacevole. In conclusione, il messaggio che voglio trasmettere è quello di aprire il più possibile il vostro orizzonte, la vostra mente, anche quando pensate di essere nella strada giusta. Queste opportunità possono far sì che troviate una scorciatoia, una strada più efficace ed efficiente a quella che sarà la vostra destinazione finale. Magari sto parlando ancora troppo presto, ma sono consapevole che ho a disposizione tanto tempo e la possibilità di cambiare tutto di punto in bianco. Dunque, per chi non ha ancora la mente chiara e si trova per aria tra le nuvole: prendetevi tutto il tempo che vi serve, non abbiate fretta e cercate di esplorare più percorsi possibili, quelli che vi suscitano maggiore interesse. Non fatevi scoraggiare, ce la potete fare. Buona fortuna!
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Cristina Dogaru 5EL
MAGYAR HÍREKBŐL
I Hungaricum che non avresti mai saputo senza il Lunarfollie! Da gennaio, verranno istituite in Ungheria le suddivisioni regionali in castellati (vármegyék) e non più in contee (megyék)
Sembra una fiaba ma non lo è. L’Ungheria, dopo questo cambiamento a livello nazionale, è diventata l’unica nazione europea ad avere, come suddivisioni regionale NUTS 3, i castellati. Ma che cosa significa castellato? In origine l’Ungheria, agli inizi dell’XI secolo, aveva un vasto territorio che si estendeva dall’Istria fino alla Bucovina (attuale Ucraina e Romania) e lo stato non riusciva a gestire tutti i territori. Allora l’Ungheria al tempo che cosa fece? Ovvio, ha attuato un sistema vassallatico, dove ogni sua porzione di territorio, venne governata da un signore locale chiamato Ispán che venne a seguito accompagnato da un suo vice Alispán. Questi Ispánok ebbero i loro castelli al cui interno si trovavano qualsiasi genere di carica, dal clero fino ai messaggeri del territorio. A differenza del vassallaggio italiano, il vassallaggio ungherese funzionò alla grande e rimase intatto fino a quando finì l’era ottocentesca ed entrò in politica Horthy Miklós e in seguito si diffuse il socialismo ungherese. Infatti, durante il socialismo, venne abolito il castellato e venne introdotta soltanto la contea. I territori rimasero gli stessi ad eccezione degli ex territori che possiamo trovare in Croazia dall’Istria alla Slavonia, in Serbia con la Vojvodina (Vajdaság), in Romania con la Transilvania (Erdély), in Ucraina con la Zakarpatia/Transcarpazia (Kárpátalja) e in Slovacchia con i territori centro-
meridionali, che vanno dalla capitale Bratislava (Pozsony) fino a Košice (Kassa), territorio chiamato dai Magiari Felvidék. Va bene la descrizione territoriale e storica, ma per quale motivo allora l’Ungheria ha preso nuovamente la decisione di ritornare al castellato? Non c’è un vero motivo, si sa soltanto che il partito del FIDESZ, per eliminare le tracce del ex socialismo ungherese, ha deciso di investire nella cultura nazionale non soltanto nella capitale Budapest, ma anche nelle altre 19 regioni ungheresi.
FONTE https://index.hu/belfold/2023/01/02/ varmegye-megye-kozigazgatas/
Sapevate che in Ungheria tutti i libri scolastici sono gratuiti e anche scaricabili online come PDF da usare a scuola o a casa?
Da matematica, letteratura , chimica ed informatica, fino alla grammatica della lingua italiana, russa ed addirittura giapponese? Impressionate direte. Ma sapevate che in Ungheria ogni anno le edizione dei libri cambiano e vengono addirittura pubblicati online gratuitamente per tutte le classi e scuole? La scuola in questo modo non si deve incasinarsi sulla scelta del marchio e dell’edizione del libro e i genitori degli studenti non hanno alcuna tassa da pagare per i libri! Trovate tutti i libri scaricabili su questo link:
https://www.tankonyvkatalogus.hu
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L’Ungheria nel 2024 ospiterà per la primissima volta in UE il campus universitario Fudian, 复旦大学 , il più grande del mondo al di fuori della Cina! Secondo il governo ungherese, la Fudan University creerà un'opportunità unica per gli studenti di nazionalità ungherese, cinese e di altre nazionalità per ottenere diplomi, completare specializzazioni e approfondire le proprie conoscenze. L'istituzione desidera incoraggiare la ricerca congiunta e progetti educativi con università ungheresi ed europee. Secondo i piani, 6-8mila studenti di 500 docenti potranno studiare presso le facoltà di economia, scienze umane - scienze sociali, scienze naturali - ingegneria e medicina. Secondo la prestigiosa classifica internazionale, QS World University Ranking, Fudan è la 34esima migliore università del mondo. Circa 4.500 istruttori dell'Istituto con sede a Shanghai insegnano a più di 30.000 studenti. Fudan è il primo in Ungheria a lanciare la propria formazione all'estero.Citando una proposta ministeriale, il portale investigativo Direct36 ha riferito che la costruzione, stimata dal governo ungherese in 540 miliardi di HUF, sarebbe stata realizzata in gran parte con materie prime cinesi, manodopera cinese e in gran parte con prestiti cinesi, che l'Ungheria avrebbe pagato.
FONTE: https://www.napi.hu/ingatlan/orbankormany-kina-hitel-fudan-egytem-diakvarosepites.727959.html
QUESTO ERA TUTTO, VISZLÁT LUNARDI DIÁKOK!
再见 LUNARDI 的学生!
Nazar Vodopyan, 3°FL
«Voglio vivere d’arte»
Una giovane conversazione di morte speranze
«Ma tu cosa vuoi fare da grande?» mi chiede Francesca, una bimba che frequenta il doposcuola dove presto servizio «La professoressa di filosofia, una maestra dei bimbi grandi come me» «Ma come, tu sei già maestra!». Mi viene da ridere, e capisco sia inutile spiegare la differenza tra il ruolo di un’insegnante come la maestra Laura, e il mio di semplice aiutante. La incito a continuare i compiti, perché la lettura di una filastrocca sull’ utilizzo di “QUA / QUE/ QUI / QUO” mi sembra, al momento, più stimolante di una discussione a senso unico sulla mia irrazionale paura del futuro, e il senso di smarrimento che mi provoca pensare al mondo del lavoro. In 28 ore la mia vita si ribalta, due facce della stessa medaglia, due personalità molto diverse che si respingono e contemporaneamente coesistono, un po’ come Dr
Jekyll e Mr Hyde. Dal soleggiato e speranzoso giardino del “Punto ragazzi”, circondata da margherite e bambini, sono seduta ad un tavolo di plastica con due bottiglie di birra. Una è quasi finita e l’altra vuota è usata come posacenere, un pacchetto di patatine che nessuno sembra aver voglia di finire è aperto al centro e la mia borsa sembra stare per esplodere da quanto è piena di cose inutili. La domanda è sempre la stessa, ma con uno stile ed aspirazione diversa: «Gnari, ma voi cosa fate finite le superiori?». Il temibile confronto con il futuro per me è inevitabile; già bambina, quando a Carnevale tutti inscenavano lavori di ogni tipo poliziotti, dottori, meccanici, pompieri Solitamente opto per la mia semplice, ma efficace mossa: «Sempre che riesca a finire le superiori…» seguita da una risata sar-
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castica. Un po’ ipocrita da parte mia, non disdegno la mia media scolastica, ma questa rapida battuta è abbastanza per cambiare argomento. Questa volta non scappo, sarà la stanchezza o l'odore di fumo che condividiamo, ma siamo sullo stesso “piano spirituale”. Siamo come connessi spiritualmente, è difficile da spiegare.
sognare in grande. Osservo accanto a me la creatività in persona. In un mondo in cui vorrei solo qualche momento di pace e silenzio, sarebbe l’unica persona che inviterei a parlare. Noto lo sguardo di chi lo ascolta, catturato dalla sicurezza che emana. Sembra che sappia sempre cosa fare, cosa dire, quando farlo, quando dirlo.
Vedo il suo desiderio forte di condividere qualcosa, interamente o solo in parte, spudorato o criptico. Una persona che si concede il lusso di sognare per qualche minuto al giorno, scorrendo le storie su Instagram e ascoltando le loro parole indossando un ingombrante paio di cuffie blu.
Se guardo al futuro, ci sono un “PIANO A” e un “PIANO B”. Il “PIANO A” è semplice, comodo, sicuro, anche rassicurante. Non per questo meno affascinante. L’altra parte di me invece combatte sferrando calci e pugni, per tenere in vita il
«Il top sarebbe scegliere di unire passione e lavoro. Ho fatto una ricerca per la scuola, una specie di presentazione tipo curriculum di un mio idolo, un modello di vita a cui aspiro. Ho scelto un uomo giapponese, non ricordo il nome, ha iniziato lavorando come meccanico… e ha trasformato la sua passione in un impero. Modifica auto, praticamente è un’arte, e sceglie personalmente i propri clienti». Il soggetto in questione è Kazuhiko “Smokey” Nagata, fondatore del progetto “Top Secret”. Non ho grandi conoscenze in materia, forse nessuna, ma visto coi suoi occhi sembrava il lavoro più bello del mondo. Dall’alto del mio “egocentrismo liceale” questa surreale convinzione che mi è stata inculcata che uno studente liceale sia più intelligente di uno del tecnico scricchiola, mi sento incredibilmente ignorante. Trovo, però, così affascinante ascoltare le parole di una persona tanto appassionata a ciò che sta raccontando. Nonostante la mia ignoranza, quando lo ascolto parlare davanti a me ho la sensazione di star apprendendo una conoscenza vastissima. Diventa “magicamente” interessante anche un argomento a me tanto estraneo. Dovrebbe farti sentire così parlare del tuo lavoro.
«Voglio vivere di arte. Viaggiare, non tanto per scoprire nuovi posti o vedere il mondo, ma per le persone. Voglio VIVERE le persone. Questo ti fa sentire vivo. Vorrei andarmene e non dover preoccuparmi di trovare un lavoro che mi assicuri un’occupazione o uno stipendio fisso, ma…»
È quel “ma” la maledizione, «Io vorrei fare ma». Siamo abbastanza grandi per capire cosa ci appassiona davvero, ma troppo grandi per
“PIANO B”. Quella minuscola forza di sognare cerca di mettere in discussione la dittatura del “PIANO A”.
Ripenso a quella domanda. Probabilmente quella primordiale forza sognatrice è una piccola Ilaria della stessa età di Francesca, che indossa uno stupido costume da infermiera. Non ho mai voluto essere un’infermiera, ma il costume che volevo io non esisteva. Se fossi ancora in grado di sognare, sarei una scrittrice. È sempre stata la mia risposta. Non la giornalista, la scrittrice. Non scriverei seguendo scadenze o linee guida. Non cercherei l’approvazione di nessuno. Sarei semplicemente una scrittrice. Seduta a quel tavolo non l’ho detto. Lo dico ora.
«Lo vorrei fare… ma»
Ilaria Piceni, 4DL
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LOTTO, ROMANINO, MORETTO, CERUTI
Visitare una mostra d’arte a Brescia
Il 29 marzo la 4°AAFM ha avuto occasione di visitare la grande mostra “Lotto Romanino, Moretto, Ceruti. I campioni della pittura a Brescia e Bergamo” presso il palazzo Tosio Martinengo Di Brescia. Le opere esposte ci hanno permesso di intraprendere un percorso artistico dal Cinquecento al Settecento, passando attraverso il secolo del Barocco, un movimento complesso caratterizzato da estrosità, fantasia, contrapposizione di luce e buio, esagerazione, gusto del bizzarro, riflessioni religiose, pensieri sulla precarietà dell'esistenza e la fugacità del tempo.
Il primo quadro che la guida ci ha mostrato era un dipinto di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto (1498-1554), uno degli artisti più importanti del Cinquecento bresciano: a un primo sguardo le figure ritratte sembravano solo due, una giovanissima Vergine Maria dalla carnagione chiarissima e la cugina Elisabetta, molto più anziana con numerose rughe a solcarle il volto. Il nostro occhio va sempre a cercare punti più luminosi, in questo caso le due figure femminili e la finestra da cui proviene la luce; prestando maggiore attenzione, tuttavia, ci si accorge che in realtà i personaggi sono tre: il terzo, San Giuseppe, viene inizialmente trascurato perché è messo in secondo piano, è avvolto dal buio. Qui l’uomo
Natura dà respiro all’intera scena.
non entra nella scena principale: il suo ruolo è quello di osservare la scena. Protagoniste sono le donne e le loro mani: segnate dalla fatica quelle di Elisabetta, candide e delicate quelle di Maria. Sembrano appartenere a ceti sociali diversi. Fuori dalla finestra si intravedono gli elementi naturali: l’acqua, gli alberi, la montagna La
Tra gli esponenti dell’arte bergamasca, invece, molto importante è il pittore Lorenzo Lotto (1480-1556); egli era veneziano in un’epoca in cui Venezia era dominata dall’arte di Tiziano: tutti i pittori che volevano essere definiti tali, si sentivano in un certo senso obbligati a dipingere come lui. A Lotto tuttavia non piaceva; egli era un uomo molto inquieto: una volta lasciata Venezia, prima arrivò nelle Marche, poi tornò nel nord d’Italia e nel 1512 si trovò a Bergamo. All’epoca Bergamo era una città piccola e c’erano solo dei pittori locali. L’arte di Lotto era di tutt’altro livello: sapeva dipingere in modo elegante, con tonalità e punti di luce potenti. Tutti iniziarono a chiedere le opere di questo artista che sembrava veramente superiore alla media. Fu la fortuna di Bergamo che da quel momento in poi divenne la piccola Venezia dell’Arte. Tutti i pittori del contesto cittadino non riuscirono più a dipingere in modo diverso: si sentivano obbligati a seguire un uomo così influente dal punto di vista artistico. Fu anche la sfortuna di Brescia, che invece non ebbe mai un artista dello stesso calibro. Che cosa raffigura il dipinto di Lorenzo Lotto simbolo della mostra? Una natività. Il Bambino Gesù è estremamente luminoso: sembra proiettare luce verso l’esterno. La Vergine Maria è giovanissima, sembra più una sorella che una madre. Lotto ama molto le donne con i capelli mori e questa è una delle prime tavole in cui la Madonna è ritratta con i capelli scuri. È caratterizzata da una bellezza irreale, tipicamente cinquecentesca: ovale perfetto, occhi grandi, naso sottile, labbra sottili. Nell’opera sono presenti anche uno scoiattolo e una donnaavara; sono entrambi simboli di morte legati al bambino. Nel Medioevo, infatti, c’era la credenza che lo scoiattolo fosse un animale in grado di prevedere il futuro. E il futuro del piccolo Gesù sarà la mote in croce. Gli adulti sono in posa, non effettuano nessun movimento, mentre il bambino sta facendo una torsione: si sta girando verso la madre perché è spaventato dall’animale nervoso.
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Infine un altro artista importante è Giacomo Ceruti (1698-1767). In un suo quadro notiamo un nobile che mostra la sua potenza in termini di ricchezza: indossa infatti un abito di colore scuro. L’uso del nero per l’abbigliamento si diffuse molto nel corso del Barocco, era considerato il colore del lusso.
Il primo dettaglio che notiamo nel quadro è lo sguardo fuori asse. Si tratta di un ritratto molto aggressivo, completamente opposto rispetto all’equilibrio che caratterizza la pittura rinascimentale, dove prevale il senso dell’armonia e perfezione. Il viso frontale è stato voluto dal pittore. La mano è abbandonata mollemente, è una sorta di mano morta, non ci sono energie in quella braccia. Probabilmente si tratta di un braccio non funzionante, questo uomo sembra avere delle difficoltà fisiche. Questa opera non piacque e non venne pagata proprio perché venne percepita come troppo realistica, eccessiva.
Ceruti è famoso per aver ritratto numerosi personaggi poveri. I loro volti sono brutti: il pittore non andava a cercare armonia e eleganza; era interessato a un feroce realismo. Oltre a essere poveri sono sporchi: si nota uno strato di polvere che rimane sulla pelle. I dettagli sono importantissimi nelle sue opere. Il colore dei vestiti è quello che ci permette di riconoscere il ceto sociale. Messi da parte il rosso, il verde e il blu, dominano i toni
dell’ocra e del marrone. Solo la cornice, costosa e di buona fattura, non ha nulla a che fare con la miseria. Per quale motivo un uomo ricco dovrebbe essere interessato all’acquisto di opere di questo tipo? È una questione di contesto: all’epoca più del 70 % della popolazione viveva sotto la soglia della povertà. Era una problematica sociale, che andava risolta. Bisognava intervenire altrimenti la città avrebbe rischiato di crollare e spettava ai più benestanti interessarsi al compito. Commissionare al pittore dipinti di poveri era un chiaro segno di interesse. Significava non essere indifferenti.
Ying Chen, 4°AAFM
THE OTHER WOMAN
Gemma Donati, la moglie di Dante
Dante Alighieri è tra i personaggi più celebri del nostro Paese, è il padre della letteratura italiana. Le sue opere richiamano sempre alla mente la donna angelo, la figura che più permette all'autore di avvicinarsi a Dio. È noto a tutti che la donna angelo di Dante, la sua Musa più grande fu la bellissima Beatrice, la cara fanciulla che non visse a lungo, ma che Dante mai dimenticò. Eppure esisteva un’altra donna, la moglie Gemma Donati, di cui non si è mai saputo abbastanza, tanto che fu considerata come la "donna ombra" di Dante.
È a lei che si ispira la scrittrice Marina Marazza nel romanzo La moglie di Dante, edito da Solferino nel 2021, ricostruendone la storia.
La relazione tra Gemma e Dante non ha mai avuto una crisi vera e propria, ma quanto si amavano
davvero i due? Su Gemma non sorge alcun dubbio: ha lottato da sempre per avere il poeta al suo fianco, amava la sua compagnia più di qualsiasi cosa e fu colei che soffrì maggiormente la sua mancanza, sia per quanto riguarda l'esilio che per quanto riguarda la fine della sua vita. Su Dante, invece, potremmo nutrire qualche incertezza. Il giorno in cui Gemma lo supplicò di sposarla, il poeta era ancora notevolmente addolorato per il decesso della sua dolce amata. Sarà stato coi piedi per terra quando ha preso la decisione di accettare la proposta? Oppure lo fece per pietà e disperazione?..
Dante era un uomo pieno di orgoglio, un orgoglio per sé stesso che superava di gran lunga l'amore che provava per la sua famiglia. In caso
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famiglia, per sua moglie, per i suoi figli, avrebbe esitato a ritornare dalle persone che ama di più?
In sostanza Gemma ha risentito di questa carenza, una carenza di affetto, un vuoto che provava quotidianamente man mano che i giorni passavano e Dante a casa non poteva venire più.
Per concludere, lascio sotto la traduzione di un pezzo della canzone di Lana del Rey, The Other Woman, una sorta di colonna sonora della vita della moglie di Dante:
"… E quando il suo vecchio uomo la chiama Lui la troverà ad aspettarlo come una regina solitaria perché essere al suo fianco è un tale cambiamento dalla vecchia routine! ma l'altra donna piangerà sempre durante il sonno l'altra donna non manterrà mai il suo amore e mentre gli anni passano, l'altra donna trascorrerà da sola la sua vita. "
contrario, risulterebbe inspiegabile il motivo per cui decise istantaneamente di rifiutare la proposta di ritornare dall’esilio, pagando una somma di denaro. Un uomo che dà tutto sé stesso per la sua
UN GIORNO A CINECITTÀ
A tutti gli appassionati di cinema, se vi dovesse capitare di trovarvi nella Capitale non potete assolutamente perdervi i famosi studi di Cinecittà!
Io stessa, a fine febbraio, ho avuto la fortuna di visitarli, mentre ero in gita scolastica a Roma insieme alla mia classe, e, tra tutte le bellezze che siamo riusciti ad ammirare in cinque giorni, Cinecittà occupa sicuramente un posto sul podio. Situati a qualche chilometro dal centro, ma raggiungibili attraverso la metropolitana, gli studi sono aperti ogni giorno. Noi li abbiamo visitati sabato 25 febbraio. Inizialmente il luogo potrebbe non suscitare troppo stupore: si presenta infatti come un grande spazio aperto, ricco di vegetazione, però, addentrandosi sempre più nelle sue vie, si scorgono diversi particolari che, come ci è stato spiegato dalla guida, rappresentano dei veri e propri oggetti di scena utilizzati dai più grandi registi; è impossibile non notare il cavallo a dondolo utilizzato in “Pinocchio” di Roberto Benigni, o la testa della Venusia del film “Il Casanova” diretto da Federico Fellini, così come si resta affascinati nello scoprire la verità su alcune delle sitcom più conosciute, infatti la guida ci ha mostrato la casa di “Un medico in famiglia”, facendoci notare come non si tratti di una casa vera e propria, bensì un ambiente costruito con elementi ben diversi. Facendoci esplorare questi ambienti
così “familiari”, ma che nel contempo ci sono sempre sembrati altrettanto “lontani”, la guida ci ha permesso un primo avvicinamento all’atmosfera di Cinecittà, rendendo la visita sempre più intrigante.
Un altro set interessante è quello di una serie televisiva girata nel 2005, che presenta un curioso particolare: è ambientata nell'antica Roma. Siamo rimasti particolarmente stupiti dall'attenta ricostruzione non solo degli antichi monumenti, presenti in grandezza reale, ma anche delle stesse vie composte di pietra o delle vecchie case, elementi che sembravano talmente reali da permetterci di
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Cristina Dogaru, 5EL
immergerci totalmente nell'atmosfera della Roma antica.
Dopo aver esplorato questi emozionanti set, la guida ci ha condotti alla scoperta dei numerosi teatri che compongono gli studi di Cinecittà; sono in totale ventuno e ci è stato raccontato come ognuno possa ospitare una produzione diversa, così da poter creare più film in contemporanea, e come all’interno di questi spazi siano state girate oltre tremila pellicole non solo italiane, come “La dolce vita” di Federico Fellini, ma anche opere realizzate dai più rinomati registi stranieri, come “Il Gladiatore” di Ridley Scott o “Gangs of New York” di Martin Scorsese.
Insomma, Cinecittà viene presentata come una vera e propria “fabbrica dei sogni”, all’interno della quale sono stati creati i film che più amiamo, da quelli che ci hanno accompagnato nell’infanzia a quelli che tutt’oggi corriamo a guardare al cinema con gli amici, ed è proprio per rendere nota la storia che si cela dietro alla nascita e alla crescita di Cinecittà, che è stata allestita una mostra, proprio all’interno degli studi, e noi abbiamo deciso di visitarla.
Si tratta di un’esposizione divisa in due percorsi, entrambi molto interessanti. La prima parte è denominata “Girando a Cinecittà” e, come si può intuire, contiene informazioni riguardanti la storia della cosiddetta “Hollywood sul Tevere”, chiamata così a partire dagli anni ‘50, quando gli studi di Cinecittà raggiunsero il loro massimo splendore, facendo “concorrenza” alle produzioni Hollywoodiane; la linea del tempo che viene percorsa ha inizio nel 1937, anno della nascita di Cinecittà e delle prime produzioni italiane, fino al 1990, quando gli studi hanno ormai affermato la loro importanza e hanno accolto i registi più rinomati. Spaziando tra temi e generi diversi tra loro, l’esposizione si concentra sui più grandi capolavori cinematografici italiani, purtroppo poco conosciuti dalle nuove generazioni. Ciò che più mi ha affascinato di questa prima parte della mostra è sicuramente la modalità di esposizione delle informazioni, ricca di immagini e, soprattutto, grandi schermi che riproducono clip tratte dai film più famosi, così da rendere la visita intrigante e adatta anche ai gruppi di studenti in gita. Invece, se il percorso iniziale è maggiormente storico, il secondo è più tematico ed interattivo, difatti si tratta di una serie di progetti volti a far conoscere le professionalità che si celano dietro alla produzione e all’elaborazione di un film. Ci si può così addentrare nella sala dedicata al regista dove, oltre ad una breve introduzione sulla sua attività, sono presenti i nomi dei registi più importanti, ognuno abbinato ad una serie di cassetti
che possono essere aperti per scoprire man mano ogni curiosità sulla sua vita, oppure è possibile ammirare diversi esempi di copioni e scritti nell’area della sceneggiatura, per comprendere cosa ci sia dietro alla creazione dei dialoghi nei film, ancora, ci si può divertire a prendere le vesti di un doppiatore, grazie alle piccole cabine insonorizzate che permettono di doppiare una famosissima scena tratta da “La dolce vita” di Federico Fellini, oppure si possono visitare le sale legate ai costumi o alla “finzione”, quindi il trucco, gli effetti speciali e il greenscreen, con la possibilità di creare una vera e propria clip davanti al famoso tabellone verde.
Terminata la visita, tutti abbiamo avuto un pensiero comune, cioè che si fosse trattato di uno dei giorni più belli vissuti in gita, infatti Cinecittà, con le sue particolarità, mette in mostra un mondo che a molte persone è totalmente sconosciuto e, grazie alle esposizioni interattive e alle numerose installazioni, permette di mantenere sempre alto il livello di curiosità.
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Clara Scaglia, 5°AAFM
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Sono nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta. Così Proserpina lieve vede piovere sulle erbe, sui grossi frumenti gentili e piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera.
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Poeta del mese: Alda Merini (1931 –2009)
L’ANGOLO DELLA POESIA
Fiore di brina
Entri dentro di me e mi cogli come orma di sogno, come acqua di rugiada, come stella di montagna.
Ti amo nella semplicità del mattino, nel silenzio del vespro, nel tacere delle notti.
Dai voce alle suppliche di questo mio animo stanco e cogli fiori di bellezza da questo cuore insaziato.
Acqueta la mia sete con le tue mani di pino e i tuoi occhi di cielo, con le tue orme di passero il tuo fiato di vento.
Spirito di gelo, anima di mondo accogli questo cuore sanato, perché non ho altro da offrirti, né altri a cui offrirlo.
Gotas amargas
La luna se derrite la noche cabalga con su ruta de dolor con su ruta de sangre.
La luna se derrite la noche cabalga con sus caricias de hielo, con sus hombros de diosa.
Allá, en la tierra firme, las ranas lloran, las cabras aúllan, las playas gimen.
Allá, el hombre, un codo de piedra, gris espera, mira e ignora. Aquí el cielo, una colmena de estrellas aquí el sueño, un naufragio de hombres.
Yegua la noche cabalga sus olas de metal. Yegua la luna descansa en las calas vacías.
Sigue el hombre apartando su mirada sigue el hombre clavando su ruina. Rumbo de cristal, escama de cielo, mudo perfil de mar, mudo mar.
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Irene Reboldi 5^DL
Irene Reboldi 5^DL
Edera
Sveglia accanto a te mille baci al sapore di limone con un poco di foglie di menta che, come edera, s’arrampicano nella mia gola.
Arrampicati su di me, anche se soffri di vertigini, arrampicati su di me e aggrappati al pensiero di noi due e intrecciati con me come edera su un pilastro d’argento.
Agata
Barucco 5^AL
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il crepuscolo d’uno strato dorato riveste la via.
lento
Hou Yihan 4^DL
Primavera nell’aria
di sopra al glicine uno spicchio di cielopassa una nuvola. *****
piccola goccia di cangiante rugiada s’un filo d’erba. *******
lievi farfalle in ghirlande di voli sul biancospino. *******
fiato di vento zufolo tra le fronde canzone viva.
tiepido sole nell’alba rosata schiude corolle.
freschi sussurri tra verdi cattedrali d’un bosco alpino.
tremola l’acqua nella limpida pollaridono gli alberi.
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Prof.ssa Patrizia Mariottini
IN GOLD”
La recensione del film
La Trama
"Woman in Gold" è un film del 2015 che segue la vera storia di Maria Altmann, una donna ebrea austriaca che cerca di recuperare un dipinto di Gustav Klimt, nello specifico un’opera che ritraeva sua zia Adele: "Ritratto di Adele Bloch-Bauer I", confiscato alla sua famiglia durante l'occupazione nazista dell'Austria. Con l'aiuto di un giovane avvocato di nome Randol, interpretato da Ryan Reynolds, Maria affronta una serie di sfide legali e personali nel tentativo di recuperare ciò che le appartiene. La performance di Helen Mirren nel ruolo di Maria è eccezionale e il film è stato girato con maestria e acclamato dalla critica.
I temi sociali ed etici
"Woman in Gold" affronta importanti temi morali e storici, tra cui l'antisemitismo, l'importanza della giustizia storica e il significato della famiglia e dell'identità culturale. Il periodo storico che fa da sfondo ai fatti è molto significativo, perché ci fa riflettere sulle condizioni di alcune minoranze che ancora oggi, in alcuni contesti sociali, sono vittime di maltrattamenti, abusi di potere e addirittura sterminio. Il contesto europeo del primo Novecento era interessato in particolare dall’odio razziale nei confronti degli ebrei, oltre alle innumerevoli persecuzioni di omosessuali e disabili. È imperativo ricordare tutto ciò che ha caratterizzato la nostra storia e capire i nostri errori in modo da non commetterli nuovamente.
La questione dell’arte confiscata e dell’arte degenerata
La trama del film esplora anche la storia del di-
pinto stesso, che è diventato un simbolo della lotta per la giustizia storica e la restituzione dei beni culturali confiscati durante l'Olocausto. Maria Altmann si mostra indecisa all’inizio del film. Ammirando e pensando al ritratto della zia Adele, Maria si sente triste e debole in quanto tutto ciò evoca in lei i ricordi delle persecuzioni naziste nei confronti della sua famiglia e delle loro ricchezze. La signora Altmann fu costretta, a causa dei nazisti, a fuggire negli Stati Uniti, Paese libero dove riuscì a diventare nuovamente indipendente e a vivere lontana dalle minacce naziste, lasciando però indietro i genitori, fatto che le provocò un dolore immenso.
Le opere d’arte classicheggianti e considerate belle dal Führer venivano confiscate, nascoste in luoghi inimmaginabili e in seguito erano destinate alle collezioni private di Hitler stesso e del suo collaboratore Göring, entrambi amanti dell’arte. Le opere preferite dal Führer vennero raggruppate ed esposte alla Grande Mostra dell’Arte Tedesca, la quale si poneva in contrasto di certo con la mostra dell’arte degenerata, che raccoglieva 650 quadri disprezzati dal regime nazista ed esposti in modo disordinato e con didascalie degradanti per gli artisti stessi, emblema di ciò che andava eliminato per ripulire il paese dalla “degenerazione”.
Alessandro Gamba, 5EL
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WOMAN
A LOVE STORY: STRAPPARE LUNGO I BORDI
Ad Alice, a Elena, a Julia e a tanti altri Questo articolo contiene importanti spoiler della serie “Strappare lungo i bordi”.
Zero nasconde il rossore delle guance dietro uno schermo, diventando amici da lontano. Dietro i messaggi si illude di assumere sicurezza, tale da dargli la forza di parlare con la ragazza di tutto, talvolta anche degli argomenti più difficili.
Alice è una ragazza sicura di sé. Alice ti fa girare la testa e tremare le gambe. Ti fa sudare come un kebab, e arrossire come un’aragosta. Alice ti cattura all’istante con la sua personalità magnetica. Tre secondi e sei subito in-na-mo-ra-to. Zero quella sera d’estate è fulminato dalla giovane; così determinata ed espansiva da pietrificarlo dall’imbarazzo, ha paura… si sente piccolo e stupido davanti a lei, tanto da ammutolirsi alla prima stretta di mano.
Alice è un’ispirazione, la sua tenacia è invidiabile. È una studentessa fuorisede: dalla lontana Biella ha inseguito il suo sogno nella grande e caotica Roma. Talvolta torna a casa, lasciando dietro di sè una scia di entusiasmo. I genitori ne sentono la mancanza e sono preoccupati dalla sua lontananza da casa, ma vedere l’entusiasmo con il quale gesticola animatamente raccontando della sua altra vita è abbastanza per ingoiare quell’amaro in bocca ed essere semplicemente fieri di lei.
Dà ripetizioni ai ragazzi. “Le ripetizioni” sono un lavoro molto in voga tra i giovani, ma Alice è speciale: lo fa con passione e cura, lasciando un ricordo speciale di sé e scaldando il cuore di chiunque faccia la sua conoscenza. Alice ha fiducia nell’umanità. Sceglie sempre di vedere il buono nelle persone. Alcuni potrebbero dire che è troppo buona per questo mondo.
Introdotta da Sara, Alice entra a far parte del gruppo, e Zero si trova costretto a parlarle. Non è scocciato dall’idea di rivolgerle la parola, ma la consapevolezza di non poter essere alla sua altezza gli fa morire le parole in gola. Per quanto possa provare a sembrare brillante e atteggiarsi da persona sicura di sé, con uno sguardo lei l’ha già capito. Alice va oltre.
Alice è incastrata, ingarbugliata, in una relazione scomoda. Una dinamica che capisci all’istante non sia conveniente cercare di comprendere. Zero non riesce, e forse non vuole comprendere cosa sta passando. C’è qualcosa di sbagliato tra i due. Vede solo l’amica soffrire, maledire il fidanzato e promettere di non cercarlo più, per poi ripresentarsi incollata a lui, pronta a difenderlo con tutte le sue forze. Gli amici sono perplessi, a tratti preoccupati, ma capiscono di dover ingoiare quell’amaro in bocca. Lei promette che sia cambiato, loro distolgono lo sguardo e cambiano discorso.
«Purtroppo uno se rompe er cazzo de inseguì le persone pure perché c’ha un sacco de cazzi sua e pensa: “vabbè se lei non se vole fa aiutà, n ’è che uno la può costringe”; che, come principio, è sacrosanto, però è pure un alibi per quando non te va più di stare appresso a qualcuno, e qual è il confine tra le due cose lo sa solo la coscienza tua».
Non è mai bello vedere un’amica soffrire, ma le persone sono un insieme di strati. Alcuni più fragili e sottili, altri più spessi; sta a loro scegliere quanto spogliarsi e lasciarsi scoprire. Talvolta ciò che vediamo è solo una versione della storia ben ordinata, ma se potessimo scavare più a fondo coglieremmo solo un grande caos.
Alice è una persona speciale, o meglio… era una persona speciale.
«Vabbè comunque n ’era questa la domanda, era n ’altra più impegnativa. Ovvero… ma perché l’ha fatto? Ce sarà un principio di causa - effetto, no?! Perché uno magna? Perché c’ha fame. Perché c’ha fame? Perché ha zompato er pranzo. Ce staranno spiegazioni, motivi, ao ma pure colpe che ne so?! Ce sarà un motivo per cui la gente s ’ammazza. Per cui lei s’è ammazzata.»
Alice si è ammazzata. Non ho paura di usare questa parola, non userò termini più rassicuranti come “si è tolta la vita”, “si è uccisa”, “ha terminato la sua esistenza”, “l’ha fatta finita”. Userò “ammazzata” perché non è una figuraccia da rac-
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contare con altre parole per farla sembrare meno imbarazzante, o una tresca amorosa da far sembrare meno scandalosa. Il suicidio è reale, brutale, crudo, estremo, scomodo. Non è un atto impulsivo, può essere una voce che scava tanto nel cervello da lasciarti vuoto e debole, senza forze per continuare a lottare. O forse per Alice non era questo. Forse per Alice era molto di più. Purtroppo, non esiste un telecomando o un pulsante per tornare indietro, cambiare e vedere la storia sotto un punto di vista diverso. Sì, è possibile pensare e ripensare, analizzare ogni azione e ipotizzare conseguenze, ma non c’è una soluzione semplice. Conosciamo solo la nostra visione della storia, la nostra realtà, e questa consapevolezza è una pesantissima condanna. È l’accettazione di essere impotenti, ma allo stesso tempo di avere un peso sulla vita degli altri. La sicurezza che non esista uno strumento, una bilancia… un contagocce… per dosare questa influenza, la certezza che non sempre sarà positiva. Siamo stati tutti in parte colpevoli del dolore nella vita degli altri, è un fardello che dobbiamo trascinare ogni giorno. L’uomo è pensato per sbagliare, potremmo tentare di evitarlo estraniandoci dal mondo… ma in fondo cosa siamo senza relazioni? Non siamo forse un vaso vuoto con nulla per riempirlo? Un terreno arido da cui nulla può germogliare?
Sara a Zero
«A me me dispiace che te lo devo di’ io, ma non è che ce sta una risposta semplice. Te do ‘sta dritta: ogni volta che uno te dice un motivo semplice, pulito, per cui qualcuno s’è ammazzato te sta a di’ una cazzata, o te sta a racconta’ come gli’e fa comodo a lui. Nella vita vera o te stai arroccato dentro una capanna, hai finito i colpi e c’hai quaranta dell’Isis che te stanno a pija allora te fai schioppa’, e lo capisco […] oppure in tutte le altre situazioni io non ho mai visto una persona che si è ammazzata per motivi semplici. Non c’è la CAUSA A che produce l’EFFETTO B; è un groviglio di motivi in cui te perdi, e spesso non ce capisci più un cazzo manco te, figurate l’altri.»
Questa non è solo la storia di Alice. Non è solo l’illustrazione, a tratti scherzosa, di un avvenimento importante nella vita dell’autore della serie.
È una storia che purtroppo conosco.
Elena, hai sedici anni quando io ne ho quindici, siamo entrambe nate alla fine dell’anno, quindi talvolta menti dicendo di aver già compiuto i diciassette come i tuoi amici. Ami leggere e condividere le frasi che ti scaldano il cuore. Non sem-
pre capisco cosa significhino per te, ma ai tuoi occhi sembrano così illuminanti
Ti piace parlare al telefono la sera, e aspettarmi quando non posso farlo, rassicurarmi che non sei arrabbiata e mi continuerai ad aspettare. Ti piace Gazzelle, e su instagram ci tieni a farlo sapere al mondo, so mi saresti stata infinitamente grata se fossi vissuta a lungo per vedere le stories che ho postato del concerto. Ami Frah Quintale, e un po’ odi quando mi vanto di essere come lui bresciana. Cantiamo “8 miliardi di persone”, ma sbagliamo il titolo; quindi, ridiamo raccontando in giro che la nostra canzone preferita è “7 miliardi di persone”. La gente è confusa e noi ridiamo. Al concerto ho pianto mentre la cantavo, ma non ho detto il perché. La distanza ci costringe a stare molto con gli occhi incollati allo schermo, vorrei non fartelo capire, ma tu sei intelligente e non vorresti esserlo. Un giorno qualcuno ha usato il soprannome che mi avevi dato, mi sono arrabbiata, e le ho detto di non farlo più: tu non sei qui per usarlo. So che ti fa incazzare che ci siamo allontanate. So che ci vogliamo ugualmente bene anche se non parliamo più così spesso. Non ti chiederò perché l’hai fatto, perché so che non vorresti dirmelo. O forse non lo voglio sapere. O forse ho paura sia anche un po’ colpa mia.
Zero a Sara
«Ma che vuor di’?! Scusa, ma come fa a non stacce una risposta, un foglietto, una cosa che ce serve a non diventa’ scemi. A me me sembra assurdo che non riusciamo a capi’ i motivi de una cosa così, de una persona che era pure roba nostra. Ao ma te eri amica sua, io pure comunque c ’avevo un discreto livello de intimità mo’ toglie er fatto che io e lei eravamo due matti e se semo sempre inseguiti senza fa’ n cazzo però comunque eravamo stretti…[…]»
Elena sei una persona speciale, o meglio… eri una persona speciale.
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Ilaria Piceni 4DL
Quest’anno, dopo un lungo periodo di pausa dallo sport, causato da impegni scolastici e personali, ho deciso di cimentarmi in una nuova disciplina per tenermi allenata e sfogarmi. Penso che le attività sportive in generale siano un hobby fondamentale nella vita di ciascuno di noi, ma non è sempre facile trovarne una che ci appassioni. Io per prima ho cercato a lungo uno sport in cui sentirmi me stessa al 100%, ma ho sempre fatto molta fatica. Ho spaziato tra attività totalmente diverse tra loro, come il nuoto, la danza e il karate, ma nessuna di queste mi ha mai entusiasmata particolarmente. A gennaio, la mia amica appassionata di ginnastica ritmica, ha deciso di portarmi con sé alla lezione di prova di tessuti aerei, una disciplina di cui si parla ancora poco. Inizialmente non ero convinta di intraprendere questa avventura, perché mi vedevo troppo goffa e poco elastica per uno sport del genere, eppure, appena sono salita sui tessuti, queste insicurezze hanno iniziato a sparire man mano. Nonostante fosse solo la prima lezione, sono riuscita ad eseguire tutti gli esercizi indicati dalle maestre, e questo ha acceso qualcosa di nuovo in me.
Si è accesa una passione inaspettata, scaturita in primo luogo dalla curiosità per questo mondo diverso. Ma oltre a ciò, mi sono resa conto di come, sebbene non avessi la minima esperienza, fossi davvero in grado di imitare i movimenti leggiadri
delle altre ragazze. Quindi ho appreso che non si trattava solo di evoluzioni eseguite correttamente, ma dietro c’era qualcosa di più: a ogni piccolo o grande risultato corrispondeva un’enorme soddisfazione personale, da cui scaturiva, di conseguenza, una vera e propria presa di consapevolezza. Nell’adolescenza è molto diffuso l'atteggiamento di resa e la poca fiducia in sé stessi, dunque credo che uno sport come questo possa essere di grande aiuto alle ragazze come me in cerca di qualcosa di stimolante, e che possa far prendere loro maggiore coscienza delle proprie capacità.
I tessuti aerei, infatti, non sono uno sport di squadra, dunque l’unica persona in cui possiamo confidare siamo proprio noi stesse, nel bene e nel male. Solamente affidandoci al nostro corpo e alle nostre abilità, potremo raggiungere i traguardi stabiliti, senza dimenticarci che non sarà sempre facile. Le evoluzioni, per essere eseguite, richiedono molta forza, e per evitare di cadere o rimanere incastrate tra i tessuti, bisogna solamente resistere alla fatica, perché ne varrà la pena. In conclusione, oltre a essere uno sport affascinante, i tessuti aerei mi hanno insegnato una grande lezione di vita che spero di non scordare mai: non sempre si ottiene successo, ma nonostante ciò non bisogna mai arrendersi e solamente andare avanti.
Sofia Caenaro, 5EL
AMICI A 4 ZAMPE Un mondo tutto da esplorare
Per iniziare a capire e scoprire il mondo animale, ed avere con i propri cuccioli una comunicazione più efficace, è molto importante essere curiosi e cominciare a porsi alcune domande; credo che questo atteggiamento sia il migliore per relazionarsi ed educare il proprio amico a 4
zampe…
Gli animali sono emotivi?
Per emotività degli animali si intende una concezione delle emozioni non riferibile soltanto ad un comportamento irrazionale.
Un parallelismo tra la vita emozionale animale e quella umana veniva già rilevato da Aristotele nel IV secolo a.C.: «Questo genere di cose è più evidente se guardiamo l’età dell’infanzia; nei bambini, benché si possano vedere peculiari disposizioni che avranno sviluppo in seguito, si nota tuttavia come il loro spirito, in questo periodo, non sia praticamente differente da quello degli animali selvatici, da che non è illogico dedurre che alcuni caratteri sono i medesimi in tutti gli animali.»
Questa concezione venne ripresa più volte ne cor-
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TESSUTI AEREI
so della storia e tra coloro che se ne sono occupati troviamo anche Charles Darwin (XIX secolo) che osservava come nella maggior parte degli animali si trovino tracce di stati psicologici comuni all’essere umano: «Se nessun essere organico tranne l’uomo avesse mai posseduto poteri mentali, o se questi poteri fossero stati di natura completamente diversa da quella degli animali inferiori, non avremmo mai potuto convincerci del fatto che le nostre qualità superiori si sono evolute in modo graduale»
Lo psicologo americano Paul Ekman (pioniere nel mondo del riconoscimento delle emozioni tramite le espressioni facciali) ha parzialmente confermato questa concezione dell’emotività degli animali. Egli sostiene che una caratteristica delle emozioni è che queste vengano espresse da tutti in qualsiasi luogo, tempo e cultura attraverso modalità simili. Ma «Darwin era convinto che le emozioni e le espressioni non fossero esclusive degli esseri umani, e cercava di convincere di questo anche i suoi lettori». In realtà, aggiunge Ekman: «Oggi, fra coloro che studiano il comportamento degli animali, non c’è consenso sull’opportunità o meno di considerare le espressioni come segni delle emozioni legate a modificazioni fisiologiche interne.» Si può quindi affermare che si sappia ancora troppo poco delle emozioni umane per poterle attribuire anche agli animali.
Dopo questa infarinatura generale, direi di addentrarci più nello specifico partendo dall’animale più presente nella vita domestica dell’ uomo:
ILCANE
Come fanno i cani ad interpretare i nostri comandi?
Tra le abilità intellettive che i cani hanno ereditato dai loro progenitori, vi sono la comprensione delle strutture sociali e dei loro obblighi, nonché la capacità di leggere il linguaggio del corpo umano e quella di comprendere il tono di voce con cui sono dati i comandi. La capacità di imparare velocemente potrebbe essere presa come un segno di intelligenza, ma tale genere di prova deve essere interpretato con cautela, in quanto la velocità di apprendimento può essere influenzata da vari fat-
tori quali l’efficacia delle ricompense utilizzate nella formazione, o la motivazione.
Ci capiscono quando parliamo con loro?
Diversi studi hanno cercato di valutare l’intelligenza dei cani misurando il numero di parole o segni che essi sono in grado di imparare.
-In un recente esempio, la psicologa animale Juliane Kaminski e i suoi colleghi riferiscono che il Border Collie Rico poteva apprendere più di 200 parole. Rico era inoltre in grado di interpretare anche frasi come “prendi il calzino”.
-Nel 2013, il Dr. John Pilley, professore del Wofford College, pubblicò il suo libro “Chaser: sbloccare il genio del cane che conosce più di mille parole”, nel quale documenta le capacità del suo Border Collie che era capace di associare oltre mille parole tra loro. Chaser era inoltre in grado di imparare i nomi di nuovi oggetti “per esclusione”, ed era capace di collegare i nomi ai verbi. Pilley sostiene che il modo in cui ha allevato il suo cane sia centrale per la comprensione delle sue capacità.
-Nel suo libro del 1996, “Good Natured”, l’etologo Frans de Waal discute di un esperimento sui rimproveri condotto su un husky siberiano. Il cane aveva l’abitudine di fare a brandelli dei giornali e, quando il suo proprietario tornava a casa, lo rimproverava; l’husky reagiva con un’espressione caratteristica, di apparente colpa. Quando il proprietario stesso strappava carte all’insaputa del cane, tuttavia, esso “si atteggiava da colpevole esattamente come quando aveva creato il caos”. De Waal concluse che “il senso di colpa” mostrato dai cani è piuttosto l’anticipazione del comportamento di un superiore arrabbiato.
Ci riconoscono anche dal nostro aspetto?
Uno studio francese conclude che i cani possano riconoscere i loro conspecifici, e distinguerli dagli altri animali. Alcune ricerche psicologiche hanno mostrato che lo sguardo umano passa istintivamente dal lato destro al sinistro del volto degli altri per ottenere più informazioni sulle loro emozioni. Una ricerca del 2008 eseguita presso la University of Lincoln mostra che i cani condividono questo istinto solo quando incontrano un essere umano e sono l’unica specie di nonprimati che manifesta questo comportamento.
I cani sono intelligenti?
Lo psicologo Stanley Coren afferma che l’intelligenza dei cani può essere paragonata a quella dei bambini di tre anni. Essi, infatti, hanno basilari capacità aritmetiche (quelli particolarmente intelligenti sono capaci di contare fino a cinque) e, salvo i casi eccezionali già menzionati, sono normalmente in grado di apprendere oltre 165 parole.
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Continuiamo quindi la nostra ricerca concentrandoci stavolta sul felino più amato:
IL GATTO
Come ragionano i gatti?
L’intelligenza dei gatti è la loro capacità di percepire informazioni e di ricordarle sotto forma di conoscenze da applicare alla risoluzione dei problemi. Secondo ricercatori della Tufts University School of Veterinary Medicine, le strutture fisiche dei cervelli umani e felini presentano cortecce cerebrali con lobi simili. Le analisi dei cervelli felini hanno condotto alla conclusione che essi sono divisi in molte aree dedicate a compiti specializzati. Queste aree sono estremamente interconnesse tra loro e condividono le informazioni sensoriali in una rete comprensiva di un gran numero di nodi specializzati e di molti percorsi alternativi tra di loro.
Si ricordano le cose?
Si può dedurre dagli esperimenti sui gatti domestici, che la loro memoria per la permanenza degli oggetti è di circa 16 ore e che i gatti hanno consapevolezza degli oggetti non direttamente visibili. Si può quindi affermare che in questo caso la loro intelligenza motoria è paragonabile a quella di un bambino di due anni, mente è stato dimostrato che la memoria di un gatto ha la capacità di ritenere e richiamare informazioni fino a 10 anni. Inoltre, i gatti ricordano per tutta la vita ciò che hanno imparato nel loro primo stadio di vita. Ciò si concentra soprattutto sui momenti di gioco, che per loro non è semplicemente un divertimento, ma serve a stabilire gli ordini sociali, affinare le competenze di cattura delle prede e in generale le capacità di sopravvivenza.
I gatti si sono evoluti con noi?
Sono state identificate delle differenze tra la struttura genetica dei gatti domestici e quella dei gatti selvatici. Il gatto domestico ha sviluppato caratteristiche desiderabili per quanto riguarda la condivisione degli insediamenti umani e del loro stile di vita, e si pensa che sia derivato da alcune scelte specifiche di gatti selvatici effettuate negli ambienti urbani del Neolitico. Si crede che l’intelligenza del gatto sia dipendente dalle interazioni con l’uomo, e che si rifletta negli ormoni
dello stress rilasciati dai gatti intenti in comportamenti esplorativi. Infatti, l’esplorazione di un ambiente stimolante, come può essere un luogo urbano, richiede comportamenti adattativi nuovi. Percepiscono le nostre emozioni?
Recenti ricerche sul riconoscimento felino delle emozioni hanno evidenziato che i gatti possono riconoscere il linguaggio del corpo e si comportano in modo diverso rispetto alle diverse emozioni espresse. Uno studio effettuato da Jennifer Vonk e Moriah Galvan (2015), dell’Università di Oakland ha verificato che questo animale è sensibile allo stato emotivo del padrone. I gatti osservati durante la ricerca rimasero vicino al proprietario che manifestava stati d’animo felici, mentre si comportavano in maniera difensiva quando il proprietario mostrava espressioni di rabbia. Secondo alcuni studi il gatto sa cogliere espressioni sottili non solo in individui della sua specie ma anche negli esseri umani. Risulta cioè profondamente connesso ai nostri stati d’animo, in grado di darci attenzione più di quanto pensiamo rivelando capacità sociali delicate. Tuttavia queste risposte, rilevate sullo stato emotivo della persona familiare, non sono replicate nel caso abbia a che fare con uno sconosciuto. Non è quindi solo in grado di interpretare le sfumature espressive, ma di imparare a conoscere con il tempo le persone vicine imparando le abitudini e studiando i dettagli.
Per finire ho scelto di approfondire un animale particolarmente mansueto, che solitamente non sta nelle nostre case, ma che nasconde molte peculiarità trascurate da chi non le conosce bene.
LE MUCCHE
Le mucche mostrano accuratezza nell’affrontare le problematiche, che cercano di risolvere attentamente. L’esperienza passata viene immagazzinata e utilizzata all’occorrenza, grazie all’ottima memoria che possiedono. Infatti, possono ricordare posti, azioni e volti.
Come vivono le emozioni?
Le mucche, i vitelli e i bovini in generale sono animali estremamente intelligenti, amano sentirsi liberi, correre ma, soprattutto, sono in grado di stringere legami sociali molto saldi. Il sole le ral-
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legra, inoltre sono in grado di provare sia sentimenti positivi, che antipatie. È anche ormai assodato che le mucche stringono amicizie durature. Veri e propri legami emotivi che perdurano nel tempo, in cui la vicinanza reciproca ne garantisce il benessere. Condividono anche la vita di mandria dove spesso vi è la presenza di un capo, che “gestisce” l’attività sociale del gruppo. Un aspetto della “società” delle mucche è il legame che si crea tra madre e figlio. La mandria è un sistema matriarcale e, per questo, le mucche sono viste con rispetto e sacralità da alcune culture. Come comunicano fra loro?
Recenti studi hanno rivelato che i bovini hanno un sistema di comunicazione complesso che sfrutta il muggito. Gli scienziati, infatti, hanno notato che i muggiti in un gruppo sociale di bovini sono sottilmente differenti tra di loro, e ognuno di essi esprime richieste precise. Un test ha inoltre mostrato che il muggito varia in base alla distanza fra due esemplari; altri hanno evidenziato che ogni vitello e la rispettiva madre “dialogano” fra loro in modo unico, utilizzando
intonazioni diverse da quelle degli altri individui della mandria. Il classico muggito non è l’unico metodo di comunicazione messo in atto, perché le mucche parlano anche con il corpo, muovendosi oppure assumendo espressioni facciali. L’interazione è estesa ad altri membri del regno animale, ad esempio l’uomo, da cui adorano ricevere carezze e grattini.
Se questo argomento vi intriga e lo volete approfondire, vi consiglierei di guardare due documentari Netflix “Le vite nascoste dei nostri animali” e “Nella mente di un gatto”. Sono entrambi molto carini e ricchi di curiosità inaspettate. Inoltre, se avete un animale e volete imparare qualche trucchetto per facilitare le vostre interazioni potete curiosare su Youtube: ci sono tanti contenuti interessanti su canali come “IAmDogTraining” , “Lui Lei e il cane”, “Animal Advisor” e tanti altri!
Denise Pansini, 4AT
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JENNIFER GUERRA VENERDI’ 28 APRILE ALLE ORE 14:30 IN BIBLIOTECA
PRESENTAZIONE DEL SAGGIO DI
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