Lungarno n. 87 - settembre 2020

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Riflessioni di una (passata) quarantena

di Jacopo Storni

foto di Martina Simonatti

S

ono a casa, come tutti. Guardo fuori. C’è il sole, è primavera. Osservo quell’albero davanti alla finestra. Sta mettendo le foglie, riesco a percepirne il cambiamento, riesco a vedere il lento maturare dei fiori. Sembra una magia. A volte m’incanto. Prima no, non succedeva. Adesso ascolto, con sensi diversi. E sento mia moglie al telefono nella stanza accanto. Sento la sua presenza rassicurante. Di solito non c’è: è in ufficio e ci sentiamo al telefono una volta al giorno, velocemente, per non togliere spazio al ritmo. Invece adesso no, lei è qui. La mattina comincia così, facciamo colazione insieme. Prima no, non succedeva. Prima andavo al bar: cocci e tazzine ingolfavano l’udito. Clienti assiepati davanti al bancone. C’era fretta, prima. Adesso no. Non c’è traffico, né auto che corrono, né persone che imprecano. Non c’è ansia, quella da prestazione. Cammino lento, non vedo spasimi, non vedo fregole. Vedo tregua. Leggo silenzio. Alle 13 c’è il pranzo in casa. Un rito antico, dimenticato, travolto dalla modernità. A pranzo parliamo. Poi ricomincio a lavorare. Guardo fuori e vedo il vicino che torna con le buste della spesa. Ci salutiamo, e parliamo. Prima no, non succedeva. Prima avevamo fretta. O forse era una scusa. Adesso è diverso, tutto è diverso. Certo, l’economia è al collasso, uomini e donne rischiano il lavoro. E forse era meglio prima, era meglio la smania. O forse no, esistono le vie di mezzo. Esi-

ste qualcosa che, nel dramma, possiamo imparare. Protendo lo sguardo all’orizzonte. Attimi di ripetuto silenzio, mi ci tuffo dentro. Arriva la sera. Vedo il nero che entra nel bianco, il cielo che muta espressione. Osservo l’impercettibile. Prima no, non succedeva. Sento pace attorno a me, non sento sirene rapaci. È come un armistizio. Sento la natura, sento l’affetto, sento un abbraccio, una carezza. Prima no, non succedeva. Sento tutto diversamente, adesso. E però sto male. Non vedo mia madre da un mese, non vedo mio padre da un mese. Mi mancano. Erano scontate, quelle cene con loro. Erano scontati, quei bicchieri di vino. E poi i miei amici, mi mancano. Qualcuno sta perdendo il lavoro. Spero che il virus muoia presto. Spero che nessuno soffra più, che nessuna muoia più. Spero che tutti possano riprendere il lavoro. Ma quando torneremo normali, o quando penseremo di essere tornati normali, ricordiamoci di quando non lo eravamo più, ricordiamoci di adesso. Ripartiamo sì, progrediamo sì, ma non ciecamente. Ricordiamoci dei medici in trincea negli ospedali, certo. Ricordiamoci dei morti, certo. Ricordiamoci di chi è rimasto senza lavoro, certo. Ma ricordiamoci anche delle cose piccole, che sono le più grandi. Ricordiamoci della lentezza, ricordiamoci dell’ozio, ricordiamoci che senza gli altri non siamo niente. Rivediamo le nostre priorità. Riordiniamo le nostre necessità. Ricordiamoci degli affetti, dei bicchieri di vino, del pranzo a casa. Ricordiamoci di diventare padroni del nostro tempo, non schiavi. Ricordiamoci che siamo fatti per vivere la vita, non per esserne travolti. E magari chissà, forse soltanto così potremo evitare un’altra catastrofe.

FIRENZE E CITTÀ GEMELLE Il filo rosso che unisce i paesi nel mondo di Virginia Landi

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egami simbolici, patti di amicizia, fratellanze: Firenze è ufficialmente gemellata con altre 21 città straniere, con cui sono state stabilite strette relazioni politiche, economiche e culturali. Ma come se la passano le nostre città gemelle a seguito dell’emergenza sanitaria? Dalle più vicine come Budapest, Dresda, Edimburgo, Fes, Kassel, Kiev, Reims, Riga, Tirana, Turku e Valladolid a Oriente con Betlemme, Esfahan, Kuwait City, Kyoto, Nazareth, Nanchino fino ad arrivare oltreoceano a Puebla, Salvador de Bahia, Filadelfia e Sidney, l’attesa di una Fase 3 è diventata la quotidianità, nonostante si fronteggino situazioni ancora complesse. Accomunate da quarantena e da chiusure più o meno totali della Fase 1, ogni città ha poi trovato un compromesso di libertà tra limitazioni e riaperture graduali, che hanno accompagnato fino all’intermedia Fase 2 di convivenza col virus. Gli spiragli di normalità delle prime giornate di giugno hanno allentato la tensione ma rischi e nuovi lock-down temporanei continuano la loro corsa. Mentre in Giappone già dalla fine di maggio si parla di turismo e comportamenti da tenere sulle montagne russe, in estate Stati Uniti, Brasile e Messico sono tra gli Stati più colpiti, Iran, Israele e Cisgiordania incontrano una seconda ondata di infezioni e in Australia si chiudono alcuni confini. In Cina, prima tra tutte a dichiarare l’emergenza, i contagi sembrano invece contenuti; da Nanchino, gemellata a Firenze dal 1980, sono arrivate alla fine di aprile 150mila mascherine. Una donazione a dimostrazione di solidarietà del popolo cinese che ha coinvolto - insieme ad altri Paesi - anche Albania, Brasile, Francia, Germania, Kuwait e Stati Uniti.

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