Lungarno n.90 - dicembre 2020

Page 12

Il gran corpo diplomatico toscano

I sommelier e le storie in bottiglia di Tommaso Ciuffoletti

Illustrazione di Costanza Ciattini

C

redo che l’Italia potrebbe con minor danno rinunciare al proprio corpo diplomatico, piuttosto che ai sommelier toscani. Ed è una cosa di cui sono assolutamente convinto. Perché forse non ve ne siete mai accorti, non c’avete mai pensato e magari non ve ne frega neanche niente, ma in Toscana e a Firenze in particolare, si costruisce ogni giorno un pezzettino di quella grande impalcatura che regge ancora, nel mondo, il mito della Bella Italia, della bella Toscana e della bella Firenze. E ci potrà far ridere, magari un po’ indispettire, la rappresentazione cartolinesca che a volte viene data di casa nostra, ma è ciò che più di ogni altra cosa tiene in piedi tanta parte del nostro paese, della nostra regione e della nostra città. Dà lavoro, crea ricchezza, produce valore. E purtroppo questi giorni di nuovi lockdown, non sono giorni facili. Di recente Alessandro Tomberli, direttore di sala all’Enoteca Pinchiorri, è stato premiato come sommelier dell’anno da una rivista online, ma è solo uno dei nomi che si potrebbero fare di coloro che, parlando di vini a clienti di varia provenien-

12

za, raccontano storie e territori e contribuiscono ad arricchirli di sogno. Che poi è la parte decisiva di tutta quella vicenda che si chiama vino. Perché se il vino fosse solo quello che c’è dentro la bottiglia sarebbe solo gioia, ebbrezza (che comunque non è poco e che Dio benedica Bacco), sbornia o alcolismo. E questo vale sia per il vino del contadino, che per quello promosso dalla più raffinata strategia di marketing. Perché anche per mio nonno il suo vino era il migliore di tutti, perché lo faceva lui. E magari dentro la bottiglia c’era pure qualcosa che a un certo punto diventava simile all’aceto. Ma quello che c’era dentro non conta. E la stessa cosa, per motivi diversi, si può dire di quei vini che costano migliaia di euro. Quel prezzo non è dentro la bottiglia, in forma di 75cl di succo d’uva fermentato e invecchiato. Certo il vino è succo d’uva fermentato e (più o meno) invecchiato e fa la sua differenza che sia ben fatto o meno, ça va sans dire. Ma se quel vino lo si mette in una bottiglia e su quella bottiglia si mette un’etichetta. E se su quell’etichetta si

scrive un nome, forse anche il nome di un luogo e magari ci si accompagna anche un disegno, allora si sta iniziando a raccontare una storia. E se quella storia è una bella storia e magari anche una storia antica che tira in ballo re, regine, pirati, santi, poeti e navigatori, allora in quella bottiglia non c’è più solo succo d’uva fermentato. Se c’è una bella storia, serve però anche qualcuno che la conosca e che la sappia raccontare. E non è così semplice. Perché ci sono tantissime belle storie, tante quante sono le diverse etichette di cantine che, a volte, ne tengono a centinaia. E se ancora non vi sembra complesso, tenete presente che ci sono le diverse annate e che ogni annata è diversa a seconda dei diversi luoghi. Fatto bene, non è un mestiere facile. Ecco perché credo davvero che l’Italia potrebbe con minor danno rinunciare al proprio corpo diplomatico, piuttosto che ai sommelier toscani. E comunque, anche per me, il vino del mi’ nonno era il migliore di tutti.

Raccontano storie e territori e contribuiscono ad arricchirli


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.