Numero 10 del 18 settembre 2019
Tanti saluti!
Sommario
EDITORIALE/L’”opportunità Renzi” e la costruzione di una casa comune - pag. 3 di Aldo AVALLONE Basta con la solidarietà maschile - pag. 9 di Antonella GOLINELLI
Travolti da un insolito destino - pag. 14 di Antonella BUCCINI
Se nel 2020 un socialista ebreo entrasse alla Casa Bianca - pag. 20 di Antonella BUCCINI La Fabian Society, sorella maggiore della socialdemocrazia - pag. 26 di Giovan Giuseppe MENNELLA
Era ora! - pag. 33 di Aldo AVALLONE
Andanti con la perifrastica passiva - pag. 35 nella GOLINELLI
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di Anto-
L’Editoriale del Direttore
L’”opportunità Renzi” e la costruzione di una casa comune Aldo AVALLONE
Tanto tuonò che uscì il sole. E’ quanto mi viene da pensare rispetto alla situazione attuale della sinistra nel nostro Paese, ribaltando il significato della frase originale che la tradizione attribuisce a Socrate. 3
Il senatore fiorentino, dopo un lungo tira e molla, ha compiuto il passo decisivo. La scissione (l’ennesima) è fatta e “Italia Viva” è pronta ad accogliere a braccia aperte i circa quaranta fuggitivi dalla casa comune. Appare utile ricordare che quando Bersani e compagni, non condividendo la linea politica dell’allora segretario del Pd, decisero di andare via furono bollati con i peggiori epiteti avendo minato l’unità del Partito. La sprezzante definizione di “scappati di casa” di Roberto Giachetti si ritorce ora contro chi l’ha detta in passato. Ma, si sa, le opinioni sono punti di vista e mutano a secondo dell’utilità di chi le esprime.
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Ritengo che l’uscita del rignanese dal Partito Democratico rappresenti un’opportunità importante per tutte le forze che si richiamano ai valori progressisti e riformisti. L’equivoco di un Partito dalle forti tradizioni di sinistra guidato da un democristiano è finalmente chiarito. Naturalmente è presto per prevedere il seguito che la nuova formazione centrista potrà avere nel Paese. Solo il tempo potrà chiarirlo. Però è certo che milioni di elettori di sinistra che avevano scelto la strada dell’astensionismo o, in alternativa, erano stati attratti dalle vaghe promesse di cambiamento del Movimento 5Stelle, avranno l’opportunità di tornare a casa. Una casa che dovrà essere necessariamente nuova per offrire attrattiva e ospitalità.
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Ieri, in un’intervista al Manifesto, Arturo Scotto, ex capogruppo di Sel e oggi coordinatore di Articolo 1, ha avanzato una proposta importante. «Il modello del Pd renziano, quello dell’equidistanza tra imprese e lavoratori, è fallito - ha detto Scotto – oggi tutti chiedono di finirla con la sinistra frantumata, con le competizioni fratricide e con le scelte suicide. I nostri elettori chiedono il cambiamento e l’unità delle forze progressiste». Il progetto di Articolo 1 è «una costituente per un nuovo soggetto della sinistra. Una forza unitaria socialista e laburista».
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Nella presentazione della nostra testata il 14 luglio scorso scrivevamo «abbiamo scelto di chiamarla “l’Unità laburista” per porre l’accento su due punti fondamentali della nostra linea editoriale. “Unità” perché la nostra sarà una testata che intende unire le diverse anime della sinistra ora presenti nel panorama politico italiano in un’ottica inclusiva. “Laburista” perché è espressione diretta di quei valori di solidarietà, giustizia sociale, difesa dei diritti dei lavoratori peculiari del movimento laburista europeo». Il progetto illustrato da Arturo Scotto è il nostro progetto da sempre e, quindi, siamo felici che alcuni politici nazionali si accorgano del fatto che “laburista” non è una bestemmia, in italiano. Grazie alla scissione renziana, adesso tutto è cambiato. Quello che fino a ieri sembrava impossibile oggi appare una sfida difficile ma realizzabile. Finalmente si potrà lavorare per costruire una sinistra di governo con un’identità comune e chiunque ritenga di appartenere all’area progressista, pur nelle comprensibili differenze, non potrà sottrarsi dal farne parte. Occorrerà impegno, tempo e tanto coraggio. Ma ne varrà la pena. L’obiettivo è decisivo: cambiare l’Italia. Noi dell’Unità laburista saremo sempre in prima linea per fare, come di consueto, la nostra parte.
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Femminicidio
Basta con la solidarietĂ maschile Antonella GOLINELLI
I fatti. Lui stalkerizza lei dopo la fine della relazione. Una bella sera lui si assenta dal servizio, le aspetta, la prende, la uccide e brucia macchina e cadavere.
Lo prendono (e meno male), in primo grado ergastolo, in appello trenta anni. 9
La Cassazione rimanda all'appello per rifare il processo. Si rifà il processo. Ergastolo. È riconosciuto il reato di stalking a parte e non compreso nell'omicidio. Circa la vicenda è questa.
Nei giorni in cui i giganti buoni compiono sciocchezze in tribunale si sancisce il principio che lo stalking è un reato. 10
Dicono questa sia una sentenza che fa legislazione. Era ora. Persecuzione e morte. Il principio del possesso. Il principio del controllo. L'annullamento della vita degli altri. Anzi no. Delle altre. Per questi elementi, chi scelgono non ha scelta. Non ci si può rifiutare. Ci si deve sottomettere.
Finora lo stalking, pur essendo legge promulgata da Angelino Jolie, non è mai stato preso sul serio. 11
Dopo questa storica sentenza la raccomandazione è ascoltare le donne. Speriamo. Ora speriamo, ferventemente, che le vicende in ballo evolvano in maniera, diciamo cosi, positiva. L'omicidio di una donna non è mai un fatto improvviso. È il culmine di una serie lunga di abusi e violenze. Fermarli prima non sarebbe una brutta idea. E cominciare a far mancare la pietà agli omicidi, smetterla con la comprensione e il compatimento dei poverini. Quelli che amano troppo. Basta con la solidarietà maschile. Se siete solidali con’sta roba qui non siete esattamente delle brave persone.
Magari, in contemporanea, possiamo anche terminare il ciclo delle giustificazioni agli stupratori. Potremmo fare un blocco. 12
ChissĂ ? Potrebbe essere che per una volta ci sia una svolta verso la sicurezza e la protezione delle vittime. Sarebbe un fatto rivoluzionario. Forse il piĂš rivoluzionario degli ultimi due secoli.
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Politica
Travolti da un insolito destino Antonella Buccini
Ho fatto un breve ripasso. Vocabolario Treccani, radical chic: chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche o tendenze politiche radicali. Buonista: chi ostenta buoni sentimenti di tolleranza e benevolenza verso gli avversari. Elite: l’insieme delle persone considerate le piÚ colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale e dotate quindi di maggiore prestigio. Si tratta di lemmi di recente introduzione nel linguaggio comune sui quali una volta, per essere inseriti nei vocabolari, tutti gli esperti del ramo si sarebbero diffusi in analisi minuziose. Sono quotidianamente riferiti da una parte politica come stiletti rudimentali per de14
nigrare, provocare o etichettare l’interlocutore di turno, liquidando con faccette e/o bacioni ogni credito di argomentazione che pure non si dovrebbe negare a nessuno. Bene.
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Si può discutere a lungo, com’è accaduto sulle pagine di Repubblica per settimane, sull’ambito e la natura dell’elite o sull’imbecillità di una definizione come buonista, ma esistono dei concetti fondamentali che poco si prestano a interpretazioni o accezioni originali. Anche in quest’occasione sono ricorsa al ripasso. Dignità: condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso. Ho ascoltato, nel corso del dibattito sulla fiducia al nascente governo, e poi in tutte le apparizioni televisive, il loro Capitano in congedo forzato, evocare e ripetere ossessivamente la dignità, la sua.
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La stessa sera ho assistito sempre al nostro capitano che indicava senza perifrasi che Putin, Orban, sono per lui modelli di buona amministrazione. Così di seguito, senza un ordine preciso, mi sono venuti in mente i precari spossati, “la pacchia è finita” e gli uomini e le donne mortificati dai decreti sicurezza, l’offerta a Di Maio della Presidenza del Consiglio, i 5 milioni di poveri e l’“abolizione della povertà”.
Il pezzo “forte” doveva ancora arrivare. Qualche giorno dopo: l’orzaiolo. Forse vi è sfuggito. Il loro capitano ha l’orzaiolo, lo ha esibito a Del Debbio durante la sua trasmissione e sui social. Ha anche precisato che la nonna, la sua, gli consigliava in tali frangenti, per una ra17
pida guarigione, di guardare l’olio nella bottiglia. Le nonne, tutte le altre, gli credono anche se sanno che la storia della bottiglia è una cazzata, lo sentono come un nipote, quello un po’ fanfarone ma buono d’animo e lo votano. Un rimedio competitivo per gli altri, ahimè, non mi viene in mente. Magari, che so, Prodi che usa il miele per i calli o Zingaretti che unge i brufoli uno a uno? Intanto Renzi ogni tanto dà un colpetto al tamburo di guerra giusto perché nessuno si rilassi più di tanto.
Sono stremata. Siamo un po’ come il Carunchio di Giancarlo Giannini, rosso comunista di una volta, reduci dalla traversata agostana, travolti dal destino giallo–rosso, ancora speranzosi di schivare lo tsunami. 18
Di “poltronista” “poltronaro” “pol… non so che” ne parliamo la prossima volta. Faccio prima il mio passaggio su Treccani.
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Esteri
Se nel 2020 un socialista ebreo entrasse alla Casa Bianca Umberto DE GIOVANNANGELI
Siamo nel 2020. Un presidente ebreo (e socialista) s’insedia alla Casa Bianca. E mette in crisi la politica filo-israeliana che aveva caratterizzato i suoi predecessori, ultimo in ordine di tempo ma primo in materia Donald Trump. Non è fantapolitica o la trama di un romanzo d’azione (con tanto di trame di palazzo, Mossad, etc). Ma è una possibilità che ha preso corpo con la decisione di Bernie Sanders di correre per le presidenziali del 2020. Un primo risultato, l’annuncio della sua candidatura l’ha subito avuto: rompere quel “patto” trasversale, non scritto ma praticato senza soluzione di continuità, tra democratici e repubblicani. Il cosiddetto “bipartisan 20
consensus“. Un “patto” che non era stato incrinato neanche dalla presidenza di Barack Obama, che pure l’ala più estrema della destra israeliana ha sempre considerato un “nemico”, ricordando sempre, come un marchio d’infamia, che il secondo nome del presidente era Hussein… Ora, però, qualcosa sta cambiando, soprattutto in campo democratico. Non nella sua leadership congressuale, non ancora almeno, ma sicuramente tra i votanti democratici. Il “merito” di ciò non viene dall’interno, ma da Gerusalemme: dalla deriva ultranazionalista presa dal primo ministro Benjamin Netanyahu, ultima “sparata” l’annessione della Valle del Giordano, che ha finito per incrinare anche il rapporto con le organizzazioni dell’ebraismo americano, perfino quella più conservatrice quale l’Aipac. Il senatore del Vermont non ha atteso questa deriva per assumere una posizione critica verso le politiche portate avanti dai passati e presenti governi a guida Likud, governi di cui Benjamin Netanyahu è stato alla guida più e più volte. Ciò è avvenuto anche durante le primarie democratiche del 2016. La forza di questa posizione sta in un principio sostanziale che Sanders ha sempre rispettato: si critica Israele per quel che fa, per le politiche colonizzatrici che i governanti portano avanti, ma mai per ciò che è, il focolare nazionale ebraico fattosi stato nel 1948. Praticare questa linea non è semplice, tutt’altro, e comunque chi lo fa deve mettere in conto che i suoi avversari proveranno comunque a usare l’accusa più infamante: essere antisemita. È accaduto di recente anche a Rashida Tlaib, parlamentare democratica del Michigan, che per aver affermato la potenza economica esercitata dalla lobby americana pro Israele, è stata accusata, non solo dall’Aipac e da Trump ma anche dai capigruppo democratici alla Camera dei rappresentanti, di aver utilizzato argomentazioni proprie dell’antisemitismo (oltre ad essere considerata persona “non gradita” dalle autorità israeliane in occasione di un recente viaggio, poi annullato, nei Territori palestinesi) Tlaib, però, pur correggendo alcune delle argomentazioni che aveva portato alla sua tesi, non si è 21
arresa, anzi ha rilanciato, dicendosi pronta a organizzare un tour per i suoi colleghi congressisti nella West Bank per vedere con i loro occhi gli effetti dell’occupazione israeliana. La combattiva deputata deve fare i conti con un establishment democratico che ha fatto del filo-israelismo un credo politico inattaccabile. Come rimarcato da Peter Beinart in un recente, articolo , l’Israeli-American Council annovera tra le sue fila, personalità di primo piano quali l’House Speaker (democratica) Nancy Pelosi, il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer, e Haim Saban. Saban è il maggior finanziatore del Partito democratico (oltre che il patron del think tank Washington Foreign Policy), tra i più accaniti sostenitori della necessità, poi realizzata da Trump, di chiamarsi fuori dall’accordo del 2015 sul nucleare con l’Iran, accordo che pure era stato fortemente voluto dall’allora presidente (democratico) Barack Obama. Il muro pro-Israele ha già subito alcune incrinature, che ora però possono trasformarsi in falle con la decisione di Sanders di correre per la Casa Bianca nelle elezioni del 2020. Nelle sue prese di posizioni sul Medio Oriente e su Israele non c’è niente di rivoluzionario, né di antisionista. C’è solo coerenza tra parole e atti conseguenti. Quasi tutti negli Usa, perfino i più filoisraeliani alla Casa Bianca, come il consigliere-genero di The Donald, Jared Kushner, si dicono favorevoli a una soluzione “a due Stati”. Sanders però pone l’asticella un po’ più in alto e mette in luce una questione che è ben conosciuta dai diplomatici americani: come è possibile realizzare questo assunto se chi governa Israele fa di tutto, sul campo, per rendere irrealizzabile questa soluzione? Perché uno Stato per essere davvero tale, e non una sorta di bantustan sudafricano in salsa mediorientale, deve avere un controllo totale e una effettiva sovranità su tutto il suo territorio nazionale. Perché uno Stato indipendente deve poter contare su confini sicuri, sul controllo delle risorse idriche (l’oro bianco in Medio Oriente) presenti sul proprio territorio. Cose che, con la sua politica del fatto compiuto, Israele nega. 22
Di questo ne erano consapevoli sia Barack Obama sia Bill Clinton: consapevoli ma, nei fatti, inermi. Perché nonostante la condanna a parole, né l’uno né l’altro hanno mai esercitato pressioni vere nei confronti d’Israele, portando così acqua (cioè consensi) ai mulini di quanti, in campo israeliano come in quello arabo, hanno sempre lavorato per sabotare ogni compromesso, minare il dialogo e trasformare il negoziato in uno stanco rituale. Sanders prova a rompere questo approccio, e nel farlo si dimostra un vero amico d’Israele, se per amico s’intende qualcuno che non avalla e copre ogni tua scelta, ma se la ritiene sbagliata e foriera di gravi conseguenza, prova a dirtelo e a convincerti che esiste un’altra strada, più sicura, per garantire la sicurezza dello Stato ebraico e il suo pieno inserimento nel contesto mediorientale. Una posizione costruttivamente critica che, e questo è un elemento di importante novità, sta facendo presa tra le organizzazioni liberal dell’ebraismo americano, sempre più frustrate dalle scelte compiute da Netanyahu, dalla deriva sovranista della sua politica. Se in politica un leader si manifesta come tale perché ha una visione di cui si fa portatore, Sanders questa visione, anche in politica estera, ha dimostrato di averla. Su Israele, come sulla Russia di Putin (il sovranista del Cremlino) e anche sul principe ereditario al Regno saudita, quel Mohammed bin Salman impelagato fino al collo nell’affaire-Khashoggi. Non usa le parole di Rashida Tlaib, Sanders, tuttavia in un intervento svolto in ottobre al Center for Strategic and International Studies, ha affermato che “molti di questi leaders sono in qualche modo connessi a network di oligarchi miliardari che vedono il mondo con le lenti dei loro interessi economici”. Lo “vedono” e cercano di indirizzarlo. Parole chiare, come quelle che lo stesso senatore democratico ha utilizzato, nel dicembre scorso, per criticare l’alleanza imbastita da Netanyahu col neo presidente di estrema-destra brasiliano Jair Bolsonaro. Tacciare un ebreo di antisemitismo è una impresa improba anche per i più ardimentosi falchi israeliani. Sanders non è solo un 23
ebreo ma per un lungo periodo del 1963 è stato anche un “kibbutzim” – vivendo e lavorando in un kibbutz in Israele – ma nel suo passato vi sono prese di posizioni vicine a Israele quando Israele si è trovato a dover fare i conti con l’aggressività militare araba e con un’impressionante ondata di attacchi terroristici. Altra cosa, però, è sostenere posizioni politiche e ideologiche che rimandano al disegno del “Grande Israele” o chiudere gli occhi di fronte al regime di apartheid che, nei fatti, si sta realizzando nella West Bank, o considerare chiusa la questione, cruciale, relativa allo status di Gerusalemme, o sdoganare, per calcoli elettorali, partiti apertamente razzisti che si rifanno alla dottrina “khahanista”. Le critiche mosse da Sanders al “sovranismo” di Netanyahu, che ha portato il premier d’Israele a fare del suo omologo ungherese Viktor Orbán uno dei principali referenti in Europa, è l’altra faccia della critiche che il senatore democratico rivolge alla politica estera dell’amministrazione Trump caratterizzata, per restare al Medio Oriente, con relazioni strettissime (potenza degli affari, soprattutto in armamenti) con i più brutali dittatori del Golfo, quelli che hanno fatto scempio dei diritti umani, riempiendo le carceri di oppositori o facendoli fuori brutalmente come è avvenuto per il dissidente e giornalista saudita Jamal Khashoggi. Nel sostenere, con coerenza, la soluzione a “due Stati”, Bernie Sanders dimostra di essere un “sionista”, nell’accezione originaria del termine, quella della quale si erano fatti portatori i padri fondatori dello Stato d’Israele. Riflette in proposito Zeev Sternhell, il più autorevole storico israeliano: “Il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l’esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. Purtroppo, la realtà dei fatti, ultimo in ordine temporale il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, conferma quanto da me sostenuto in diversi saggi e articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la linea verde rappresentano la più grande catastrofe 24
nella storia del sionismo, e questo perchÊ hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare�. Considerazioni che Sanders ha fatto sue.
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Politica e Storia
La Fabian Society, sorella maggiore della socialdemocrazia. Giovan Giuseppe MENNELLA
Il Fabianismo, o Fabianesimo, nasce a Londra nel 1884 come movimento politicosociale britannico avendo come obiettivo primario il miglioramento progressivo della classe lavoratrice, sia per le condizioni di lavoro e di salute, quindi con impostazione sostanzialmente sindacale, sia per l’acquisizione della possibilità di assumere, in un futuro non lontano, il controllo dei mezzi di produzione, obiettivo questo piÚ propriamente politico.
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La differenza con la più antica teoria marxista classica è che il Movimento punta al raggiungimento di una società socialista attraverso cambiamenti graduali e non con una repentina azione rivoluzionaria. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che il Fabianesimo sia il progenitore della socialdemocrazia e, sotto certi aspetti, del contrasto che si sarebbe palesato nei decenni a venire, tra l’approccio riformista e quello massimalista nella lotta alle storture e ingiustizie del capitalismo. Nel 1889 sono pubblicati Saggi fabiani comprendenti il programma del Movimento. Fin quasi dall’inizio sono impegnati con la Società importanti intellettuali britannici, come il famoso commediografo George Bernard Shaw, gli scrittori Herbert George Wells, Virginia Woolf e il marito Leonard Woolf, l’anarchica Charlotte Wilson, l’importante femminista Emmeline Pankhurst e molti altri personaggi di vaglia. Per la verità, all’inizio parteciparono anche due importantissimi intellettuali come Bertrand Russell e John Maynard Keynes che però ne uscirono ben presto, probabilmente per contrasti ideologici, o magari caratteriali, sempre all’ordine del giorno tra personaggi di così forte carattere. Anche il rifiuto delle idee utopiche, così in voga tra i pensatori progressisti alla metà del XIX Secolo, e l’accettazione delle istituzioni esistenti per volgerle a favore degli interessi delle classi lavoratrici e meno abbienti è un tipico cavallo di battaglia del Movimento fin dai suoi esordi.
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E’ lanciata con forza l’alternativa sindacale e politica al disordine economico e alle ingiustizie provocati dal capitalismo. Soprattutto per ottenere l’estensione delle cure sanitarie e dell’istruzione gratuita a tutti i cittadini, una normativa approfondita riguardante le condizioni di lavoro, per evitare finalmente lo sfruttamento dei bambini e gli incidenti. Nel Congresso internazionale degli operai socialisti del 1896, tenutosi con il sostegno dei Sindacati, le Trade Unions, i fabiani presentano una lista di rivendicazioni ben concrete, davvero innovative per l’epoca, come le otto ore di lavoro giornaliero, la limitazione a mezza giornata del lavoro dei ragazzi, nei limiti di età, l’uguale salario tra uomini e donne, l’azione di pace in politica estera, il riconoscimento dei diritti civili alle donne.
Non stupisce che la Società Fabiana abbia costituito uno snodo essenziale per la nascita del Partito Laburista britannico, fondato nel 1906 e di cui il Movimento diviene ben presto una sorta di Centro Studi, che già nel 1922 diviene per consensi il 28
secondo partito britannico, dopo i Conservatori, soppiantando il Partito Liberale. Il legame ideologico tra Società Fabiana e Partito Laburista doveva caratterizzare la vita politica e sociale britannica per buona parte della prima metà del XX Secolo, tanto è vero che molti Ministri del Lavoro del periodo sono tratti dalle fila del Movimento.
Dalla metà degli anni ’30 del XX Secolo si assiste a un suo certo declino, dovuto alla difficile posizione da assumere di fronte all’Unione Sovietica e ad alcune in29
credibili adesioni al Movimento come quella del capo fascista Oswald Mosley. In effetti, è come se sulle spalle della Società si siano scaricate le tensioni che sempre hanno attraversato i Partiti di Sinistra, a cominciare dal contrasto tra socialisti riformisti e massimalisti o comunisti, che tanta parte ebbe nel naufragio della Sinistra italiana di fronte al Fascismo, come ammesso da Umberto Terracini quando, poco prima della morte, a Muro di Berlino ormai caduto, affermò testualmente che “Turati aveva ragione”. In effetti, è ormai appurato dalla storiografia esistente sulla sconfitta dei partiti democratici e sull’avvento del fascismo che, se in quel periodo in Italia non c’erano per nulla le condizioni per la rivoluzione, viceversa, c’erano eccome le condizioni per un cambiamento democratico che rifondasse la società con modi più favorevoli ai lavoratori con un’Assemblea costituente che si valesse dell’apporto delle frange più liberali ed evolute della piccola e media borghesia. Tuttavia, nella pratica, la Società raggiunge, soprattutto in Gran Bretagna, molti obiettivi significativi. Infatti, molte sue proposte sono trasfuse in programmi di governo, anche realizzati dopo la Grande Depressione e soprattutto dopo l’assunzione del potere da parte dei Laburisti con le elezioni del 1945 che diedero la possibilità di formare il Governo Attlee.
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Non si può tacere che il Piano Beveridge per l’introduzione del Welfare State e la legge del Ministro del Lavoro Aneurin Bevan per le case e l’assistenza sanitaria ai lavoratori, molto devono alle idee e alle elaborazioni intellettuali della Società. Inoltre, la Società può essere senz’altro considerata come l’ispiratrice e l’incunabolo della socialdemocrazia del continente europeo; infatti, molte idee si ritrovano nel Socialismo liberale di Carlo e Nello Rosselli e nel successivo Partito d’Azione, ancorché quest’ultimo non dovesse avere nessuna fortuna politica, e soprattutto elettorale, nel dopoguerra italiano. Oppure nel Liberalsocialismo di Guido Calogero e Aldo Capitini, perfino nei velleitari progetti di socializzazione dell’economia dell’ultimo Fascismo di Salò. Nel dopoguerra il principale tributario, ormai epigonale, del Movimento può essere considerato il Movimento di Comunità di Adriano Olivetti che, pure, non ebbe fortuna elettorale, essendo forse troppo lontano dai giochi della politica, fino alla sua definitiva liquidazione con la morte prematura, forse misteriosa, del fondatore e con la divisione e smobilitazione dell’azienda nel momento in cui elaborava con anni di anticipo il primo personal computer della storia. Ancora più recentemente, c’è stata una sorta di rinascita, incarnata dalla promozione da parte di Tony Blair del restauro della cosiddetta “finestra fabiana”, ideata da George Bernard Shaw, in cui è vista come un lupo travestito da agnello, per simboleggiare l’obiettivo socialista travestito da politica accettabile per la classe borghese.
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Non va trascurato di sottolineare alcune critiche formulate contro il Movimento, come quelle di Trotsky che diceva che il Fabianismo era un subdolo trucco per salvare il capitalismo dalla classe operaia. Oppure quelle che prendevano di mira Bernard Shaw e altri fabiani per il sostegno all’eugenetica o per il sostegno di altri esponenti al regime dittatoriale dell’Unione Sovietica. In conclusione, la Società Fabiana ha dato davvero un impulso importante alla costruzione di un Mondo più giusto, almeno in Occidente, quale quello che abbiamo conosciuto finora. Se è vero che molte di quelle condizioni sono oggi mutate con la globalizzazione, tuttavia può essere tuttora fonte d’ispirazione per nuove battaglie sociali e nuovi miglioramenti della società.
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Politica
Era ora! Aldo AVALLONE
Era nell’aria. E, aggiungerei, era ora! Finalmente il prode senatore fiorentino rende pubblica la sua uscita dal Partito Democratico. Un tira e molla che cominciava a stancare la pubblica opinione in fremente attesa. Dentro o fuori, fuori o dentro? Questo è stato per lunghi mesi il dilemma che ha attanagliato tanti compagni impedendo loro un sonno tranquillo. Prima del voto del referendum costituzionale aveva annunciato che in caso di sconfitta avrebbe abbandonato la politica. Ma poi, perché glielo hanno chiesto in tanti, è rimasto per il bene del Paese. Dopo l’elezione plebiscitaria di Zingaretti a nuovo segretario disse che avrebbe accettato con umiltà di essere un senatore qualunque. Che avrebbe dato il suo contributo al partito da una posizione di minoranza. Mai vista una tale generosità politica da par33
te di un leader di così alto spessore! Ma poi, recentemente, è successo qualcosa di sconvolgente: alla festa dell’Unità qualcuno, nemmeno tanti, ha cantato “Bandiera rossa”. Bandiera rossa? Sì, proprio l’inno dismesso che inizia con i versi: «avanti popolo alla riscossa». E questo è stato troppo. Il leader umile non poteva più rimanere nel partito dove si ricordava in maniera nostalgica il comunismo. Quell’ideologia atroce che predicava l’eguaglianza nella libertà. Qualche voce malevola ha sussurrato che il senatore si sia offeso perché nel nuovo governo non c’è nessun sottosegretario toscano. Ipotesi, pure illazioni di chi gliel’ha pregiudizialmente con lui, di chi non ha mai compreso la sua grandezza. Come altri che sostengono che sia tutta una manovra politica da prima repubblica, un gioco di potere per contare di più sullo scenario politico. Personalmente auguro le migliori fortune al senatore non più umile e al suo novello partito: che quando si voterà raggiunga trionfalmente il 3 per cento! È quello che merita. Nel contempo milioni di elettori di sinistra che vagavano nell’incerto limbo dell’astensionismo stanno provando a percorrere il sentiero, arduo ma convincente, della partecipazione. E’ necessario che alla fine del cammino trovino una casa accogliente, dove chi la abita sia disponibile, ma davvero, ad ascoltare le proposte di tutti per poi tradurle in un programma politico chiaro e di sinistra. È questa la vera sfida che attende il Pd e tutte le forze progressiste del nostro Paese. 34
Politica
Andanti con la perifrastica passiva Antonella GOLINELLI
Quindi Richetti è uscito. È andato con la perifrastica passiva. Dice che non si discute più nel partito. Dice che si decide al vertice e basta. Ohi. Parliamone. Sentite le varie esternazioni dei giorni scorsi fino ad arrivare a oggi (12 settembre) il giovane modenese comincia lamentando la mancanza di democrazia interna, che detto da un renziano di ferro fa anche un po' ridere e tradotto significa “non mi ba35
da più nessuno”, dice che non ha mai votato in dissenso dal partito (e qui, perdonatemi, ma non gli credo nemmeno morta. Non è uno dei 101? Non ci credo), che anche stavolta si è astenuto e non ha votato contro (una di quelle posizioni ambigue e inutili che si esercitano per avere visibilità). Oggi lamentava il cambio delle linee del partito senza discussione. Come senza discussione? Non c'è stato un congresso e ha vinto Zingaretti? Mi pareva cosi. Che poi voglio dire, se durante i congressi non si discute, non è che puoi incolpare agli altri. Noi, parte consistente interna ed esterna al partito, lo diciamo da sempre che non va bene. Quindi mi faccia capire il modenese: quando lo dicevamo noi, erano sciocchezze e #adesso invece son problemi seri? Di natura politica e formale? Di coscienza? Siamo sicuri? Perché è una posizione un po' bislacca. Ma andiamo avanti. “dove sono finite tutte le posizioni della Leopolda, la legge elettorale del sindaco d'Italia,... ecc. ecc.” Lo saprà il buon Richetti che la Leopolda non era un congresso ma una riunione correntizia, oltre a tutto non si sa ancora oggi chi la finanziasse? Si sarà reso conto che la linea tardo blairiana è finita nel dimenticatoio? Direi di no. Ce l'hanno in mente ancora lui, Veltroni e Prodi. Pensa te! Insomma, alla fine va nel gruppo misto a rappresentare più Europa. Per ora da solo. Il che fa un po' ridere, considerato il governo più europeista io abbia mai visto. Negli uomini e nei termini. Considerato Gentiloni commissario europeo all'economia. Confesso di avere difficoltà a capire. Voi? E oggi salta fuori la chicca! La federazione di Modena chiede il rientro delle quote. Il signorino si difende asserendo che Zanda (tesoriere del partito) dice che per lui è tutto a posto. Non lo metto in dubbio. Solo che non c'è solo il livello nazionale 36
(25,000€ in cinque anni). Ci sono anche i livelli inferiori, il regionale, il provinciale. Gli eletti finanziano il partito in quota parte. È sempre stato cosi per gli iscritti. Solo che salta fuori che il baldo non versava da tempo, nemmeno le quote da consigliere regionale. Insomma, salta fuori una cifretta consistente. Una di quelle cifre che salvano il bilancio di una federazione. O almeno lo sostengono. Mi viene in mente quando Bonifazi (allora tesoriere) chiese le quote a Grasso, non iscritto. Gli strali delle anime belle, dei puristi. Pagine e pagine di inchiostro. Invece per lui no. Tutti versavano le quote lui no. Il più bello. C'è una scrittura privata per queste vicende (fidatevi. Lo so), solo i consiglieri dei comuni più piccoli sono esentati dal contributo, dati gli importi veramente irrisori. Chissà come finisce sta storia. Mah. Cosi il signorino, sempre a camicia aperta sul villoso petto, segue Calenda e va nel gruppo misto a rappresentanza di un gruppo liberal liberistico. Se queste sono le premesse e le promesse... A questo punto però avrei una domanda per Bonifazi: Calenda le quote le ha versate? A partire da quando faceva la feluca europea, dico, finendo da ministro. Non che fosse iscritto, ma dignità vuole che se si chiede il contributo ai non iscritti lo si chieda a tutti gli incaricati. O no?
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Testata online aperiodica Proprietà: Comitato per l’Unità Laburista, Strada Sesia 39 14100 Asti (AT) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore: www.issuu.com web: www.issuu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - Tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA), 18 settembre 2019 38