l'Unità Laburista - Che sia l'anno buono - Numero 27 del 30 dicembre 2019

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Numero 27 del 30 dicembre 2019

Che sia l’anno buono


Sommario 

L’Editoriale del Direttore/Un editoriale di fine anno pag. 3 di Aldo AVALLONE L’Editoriale dell’Editore/Consuntivando e dintorni pag. 7 di Fabio CHIAVOLINI Imitatori e falsari nella storia dell’arte. Parte terza pag. 11 di Giovan Giuseppe MENNELLA

Io l’ho capita così 2 - pag. 20 di Antonella GOLINELLI

L’anno bellissimo - pag. 23 di Antonella BUCCINI

Un Cristoforo Colombo dello spazio interplanetario pag. 25 di Giovan Giuseppe MENNELLA Auguri per un 2020 di lotta - pag. 33 di Aldo AVALLONE

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l’Editoriale del Direttore

Un editoriale di fine anno Aldo AVALLONE

Abbiamo cominciato questa esperienza appena cinque mesi fa con tanto entusiasmo e una certa dose d’incoscienza. Non avevamo ben chiare le difficoltà cui saremmo andati incontro, ma era chiaro cosa volevamo realizzare: una testata online che si richiamasse alle idee socialiste e laburiste e potesse rappresentare un luogo di approfondimento politico e culturale per tutti coloro che si riconoscessero in quelle idee. Il numero zero è stato pubblicato il 14 luglio, data scelta non a caso, per richiamare i valori di libertà, eguaglianza e fraternità della rivoluzione francese. Forse non ci credevamo nemmeno noi, ma il progetto dell’Unità laburista è stato un successo oltre ogni aspettativa. Questo che state leggendo è il ventottesimo numero della testata; ebbene a oggi sono state lette complessivamente circa 3


522mila copie del nostro giornale con una media di 19.300 lettori unici per numero. E l’Unità laburista è seguita anche fuori dal nostro Paese, infatti le cifre ci dicono che l’84% dei lettori è in Italia, il 13% in Irlanda, l’1% nel Regno Unito, il 2% nel resto del mondo. A livello politico nel nostro Paese, in questi brevi-lunghi cinque mesi, è accaduto un terremoto. Proviamo a stilare un bilancio e a ipotizzare quello che potrà avvenire nel prossimo futuro. A luglio governavano Cinque Stelle e Lega, l’allora ministro dell’Interno chiudeva i porti all’accoglienza, approvava i decreti sicurezza e prospettava per il nostro Paese un allontanamento dall’Europa per entrare in “orbita Putin”. Il Pd si crogiolava in un’opposizione senza energia e Renzi era ancora dentro il Partito. In un agosto scoppiettante, il governo è caduto sotto la spinta delle ambizioni leghiste, è nato il secondo governo Conte a maggioranza Cinque Stelle, Pd e Leu con una squadra diversa e un programma, almeno sulla carta, condivisibile, il senatore rignanese finalmente ha fondato il suo partitino, affrancando il Partito Democratico dalla sua presenza. Poi, in una sera di novembre, a Bologna, è avvenuto l’evento politico dell’anno. Un flash mob, convocato sui social da quattro ragazzi per protestare contro un contemporaneo raduno di Salvini, ha visto piazza Maggiore riempirsi di oltre diecimila persone che, strette come sardine, in maniera pacifica e ordinata hanno manifestato il loro desiderio di una nuova politica, decisamente antifascista, che ripudi l’odio e la violenza per fermare la deriva di destra nel Paese. Ebbene, in un mese, le piazze si sono moltiplicate, in Italia e anche all’estero, fino ad arrivare alla grande manifestazione del 14 dicembre a piazza San Giovanni a Roma che ha visto la partecipazione di oltre centomila cittadini. Il clima nel Paese è cambiato, le Sardine con la loro azione hanno ridato speranza a un popolo della sinistra deluso e disperso. È germogliata la consapevolezza che Salvini non è affatto invincibile, si può battere e le elezioni in Emilia Romagna del 4


prossimo 26 gennaio ne daranno la conferma. È ancora presto per capire appieno dove approderà il neonato movimento, certo non gli si può chiedere di avere un programma politico, anche se le parole d’ordine sono chiare. Si può, però, essere felici delle energie sopite che è riuscito a rimettere in moto e si può, anzi si deve, chiedere alle forze politiche che in quelle parole d’ordine si riconoscono di farsi interpreti delle istanze che giungono da quelle piazze. Nessuna incertezza, perché sprecare questa occasione sarebbe un errore imperdonabile. Il Pd in maniera ancora titubante e Leu in maniera più decisa sembrano disposti a confrontarsi con il Movimento. Il dialogo necessario arricchirà entrambe le parti: da un lato potrà ridare slancio ai partiti progressisti, dall’altro impedirà al Movimento di scivolare in posizioni populiste sempre in agguato. Non sarà un percorso agevole, la diffidenza reciproca è ancora elevata, eppure occorrerà trovare un punto di incontro. Dall’esito di questo confronto e dagli sviluppi che ne potranno scaturire, dipenderà molto della vita politica del nostro Paese nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Il governo non naviga certo in acque tranquille, l’evidente spaccatura all’interno dei Cinque Stelle in caduta libera nei consensi è una canna di pistola puntata alla tempia del premier. E, d’altro canto, le recenti aperture di Renzi a Salvini e a ipotesi di un esecutivo di unità nazionale non permettono sonni sereni a Conte che ha già posto in agenda una verifica di governo a gennaio, dopo l'approvazione della manovra economica. L’obiettivo è stilare un cronoprogramma da realizzare fino al 2023, scadenza naturale della legislatura. Dopo questo passaggio, probabilmente potremo capire qualcosa in più riguardo al futuro dell’esecutivo. Personalmente ritengo che nessuno dei componenti dell’attuale maggioranza abbia interesse ad andare a elezioni in tempi brevi. Alla fine il governo potrebbe tirare avanti, tra alti e bassi, almeno fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Ma come la recente storia ci ha insegnato, i 5


colpi di scena sono all’ordine del giorno. E allora, nel caso di elezioni anticipate, la grande vivacità del Movimento delle Sardine sarebbe determinante per provare a fermare la destra. Ci attende un futuro gravido di incertezze ma ricco di una speranza ritrovata. Noi continueremo a seguire le vicende politiche con attenzione per raccontarne gli sviluppi. Ci ritroveremo nel prossimo anno e con l’augurio che cominci come sta finendo quello in corso. Con ancora tante piazze affollate di giovani, perché come disse Berlinguer “se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e l’ingiustizia”.

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l’Editoriale dell’Editore

Consuntivando e dintorni Fabio CHIAVOLINI

Che dire? Chiudiamo l’anno con una sensazione d’incompiuto e d’attesa. L’incompiuto è il Governo. Ci sono cose buone, in questo Governo: Speranza alla Salute sta lavorando particolarmente bene, così come qualche altro Ministro (inutile stare a far la lista), il calo sostanzioso delle tariffe dell’energia elettrica è importante, l’aver evitato 23 miliardi d’aumento dell’IVA non è stato intervento così banale come taluni vogliono far credere e via dicendo - ed il solo mitigare il clima d’odio che il Ciaparatt spandeva a piene mani dalla sua sede ministeriale varrebbe un plauso. 7


Il punto è che si ha la sensazione che non ci sia quello “scatto” di cui necessiterebbe il Paese, quella convinta azione di politica economica espansiva e quel coraggio politico che potrebbero cambiare il corso della Storia: ma è una condizione naturale per un Governo nato da un’alleanza fatta per limitare i danni sovranisti, che non ha - o, perlomeno, non ancora - una reale visione comune del futuro ed all’interno del quale quasi ogni tensione pare concludersi fatalmente con la creazione di nuovi gruppi parlamentari autonomi. Insomma: bene ma non benissimo e - soprattutto - tanta incertezza per il futuro. L’attesa è quella di tutto il Paese. Il 48% degli italiani attende l’”uomo forte”, il dictator (nel senso latino del termine, più che in quello moderno) che governi “senza le pastoie dei partiti e del Parlamento”. Il restante 52% attende una proposta politica in grado di contrastare ed allontanare definitivamente il possibile incubo dell’”uomo forte”. Tutti attendono una ripresa economica che non arriva mai - e tutti sono terrorizzati dai cambiamenti climatici. Di buono, in questa fine anno, le 6000 Sardine che sono lì e dicono: “noi ci siamo, dateci una battaglia GIUSTA da combattere”. Come tutti, non ho la bacchetta magica. 8


Ma due proposte semplici semplici per il Governo ce l’avrei. 1. Rendere obbligatoria l’indipendenza energetica delle famiglie, finanziando integralmente impianto fotovoltaico, gruppo d’accumulo e pompa di calore per tutte le famiglie con reddito inferiore a € 50.000 lordi: la liberazione delle risorse economiche che ora finiscono nelle voraci casse delle energy companies e rappresentano dal 25% al 30% del budget delle famiglie italiane porterebbe ad un clamoroso aumento del consumo interno, causa maggior potere d’acquisto, con una conseguente ricaduta importante per l’Erario dovuta al positivo differenziale di valore IVA e tassazione tra le energy companies e le altre imprese. Il vantaggio in termini eco-climatici sarebbe talmente intuitivo che è inutile parlarne. Certo: significherebbe inimicarsi “un pochetto” tutte le energy companies - ma chi non risica non rosica. Chiamiamola pure “Energia di Cittadinanza”, se volete. 2. Istituire immediatamente il Lavoro di Cittadinanza: nelle strutture pubbliche e para-pubbliche mancano ormai competenze e professionalità di ogni genere, le aziende private licenziano, la tecnologia distrugge posti di lavoro - per ora ad un ritmo superiore rispetto a quello della generazione di nuove professioni - il consumo interno è sotto zero e noi ci permettiamo di tenere a casa gente che potrebbe dare un apporto importante mentre paghiamo redditi di cittadinanza per darsi disponibili a lavorare (forse) entro 18 mesi. Il RdC è una misura di civiltà che va applicata a chi NON PUÒ lavorare. Per gli altri: sei un impiegato, un infermiere, un manovale, un dirigente, un operaio, un giardiniere, un contadino che ha perso il posto di lavoro oppure è inoccupa9


to? Subito un compenso pari al RdC massimo, senza riduzioni e tassazione - ed utilizzo immediato dove manca personale nel pubblico, fino a successiva copertura organico per bando (in cui il LdC deve fare punteggio) e con forte impegno delle Agenzie per l’Impiego nel trovarti, nel frattempo, un nuovo lavoro, previa anche riqualificazione. Non possiamo permetterci ulteriore disoccupazione, non possiamo permetterci ulteriori carenze d’organico nel Pubblico, non possiamo permetterci ulteriori riduzioni di consumo interno. Il Reddito di Cittadinanza è una misura di civiltà. Ma il Lavoro di Cittadinanza nobilita chi lo fa - e toglie transitoriamente (non solo, forse) molte castagne dal fuoco della Cosa Pubblica. Due cose, semplici ed immediate, con un fortissimo impatto economico, sociale ed ambientale. State bene.

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Arte e Storia

Imitatori e falsari nella storia dell’arte. Parte terza Giovan Giuseppe MENNELLA

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In alcune culture del passato copiare non costituì un reato. Solo quando l’opera d’arte diventò un manufatto individuale, copiarla divenne un pericolo per la società. Le opere d’arte acquistarono quella che Walter Benjamin definì l’aura. Le opere d’arte più importanti tesero a essere banalizzate, a essere considerate da tutti uniche e irripetibili e acquistarono l’aura. Solo la modernità ha concepito l’ossessione per l’originalità delle opere. Nel dicembre del 1913 terminò il più clamoroso furto d’arte del XX secolo; dopo molti mesi di infruttuose ricerche, costellate di sorprese e avvenimenti clamorosi tra cui l’arresto di Picasso e Apollinaire, fu ritrovata a Firenze la Gioconda di Leonardo Da Vinci. Il ladro, l’operaio italiano Vincenzo Peruggia, affermò di averlo rubato per riportarlo finalmente in Italia dopo tanti secoli, visto che era stato rubato da Napoleone. Peruggia per molti italiani diventò un eroe nazionale, peccato che il dipinto non era stato rubato da Napoleone ma acquisito legalmente da Francesco I alla morte dell’artista. Subito dopo il ritrovamento, si affacciò negli inquirenti il sospetto che il dipinto ritrovato potesse essere una copia, prodotta apposta per fuorviare le indagini. Il direttore delle Belle Arti italiane, Corrado Ricci, e il direttore della Galleria degli Uffizi, Giovanni Poggi, interpellarono l’esperto d’arte e restauratore Luigi Cavenaghi che, per fortuna degli inquirenti e del pubblico ansioso, ne confermò l’autenticità. Del quadro della Gioconda esposto al Louvre esistono altre versioni: la Monna Lisa tra le colonne di San Pietroburgo, la Gioconda giovane che è in Svizzera, la Gioconda di Oslo, la Gioconda del Prado a Madrid. Lo stesso Leonardo aveva l’abitudine di dipingere varie versioni di uno stesso soggetto. La Gioconda del Prado ricalca perfettamente quella del Louvre e forse fu dipinta nello stesso periodo da un allievo di Leonardo o addirittura con la supervisione dello stesso maestro. Il filosofo statunitense Nelson Goodman (1906-1998), in un suo saggio contenuto 12


nell’ampia opera “La filosofia dell’arte”, distingue due tipi di forme d’arte, quelle autografiche, come la pittura, e quelle allografiche, come la letteratura e la musica. Nel secondo caso, per fruire e godere dell’opera letteraria o musicale, non è necessario avere a disposizione il manoscritto, è sufficiente una copia. L’opera pittorica è irriproducibile perché è composta, oltre che dall’ispirazione dell’artista, anche da pigmenti colorati e da supporti tipici del periodo in cui, magari secoli addietro, sono stati utilizzati dalle mani dell’artista. La distinzione tra copia e originale è importante e determinante o meno a seconda dei periodi storici e culturali in cui un’opera d’arte è prodotta e anche di quelli in cui è ammirata. Nell’antichità la distinzione era meno importante e sensibile. Il console romano Lucio Mummio Acaico nel 146 Avanti Cristo conquistò Corinto e ne saccheggiò moltissime opere d’arte per portarsele a Roma. Le fonti ci hanno tramandato le parole che rivolse a un suo servo incaricato di imballarle: se anche uno solo di quegli oggetti fosse andato infranto o, comunque, perduto, avrebbe dovuto farne una copia con le sue mani. Per gli antichi romani la copia o l’originale erano uguali, purché i manufatti fossero appropriati all’ambiente in cui dovevano essere situati. Nel 1781 fu rinvenuta a Roma la statua che sarebbe stato conosciuto come discobolo Lancellotti. Giovanni Battista Visconti (1722-1784), succeduto a Winckelmann come commissario alle antichità di Roma, affermò che era una copia in marmo del discobolo in bronzo di Mirone, ritenendola comunque un’opera importante e preziosa. Tuttavia, altri appassionati e studiosi d’arte ne contestarono il giudizio, proprio perché, essendo una copia, non era degna di stare al pari dell’originale. Le statue greche che sono state ritrovate nella modernità sono quasi tutte copie romane. Le cariatidi della villa di Adriano a Tivoli furono scolpite ispirandosi alle Cariatidi del Partenone, allora ancora esistenti e visibili. Tuttavia, la maggior parte 13


delle copie pervenute alla modernità non sono più paragonabili agli originali, ormai andati perduti per sempre. L’arte classica non fu caratterizzata dall’originalità, dall’unicità, ma dalla ripetizione. Lo ha ricordato la mostra “Serial Classic”, svoltasi a Milano alla Fondazione Prada dal 9 maggio al 24 agosto del 2015, curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, dedicata alla scultura classica e al rapporto ambivalente tra originalità e imitazione nella cultura romana e il suo insistere nella diffusione di multipli come omaggio all’arte greca. Anche i bronzi di Riace furono assemblati utilizzando matrici prodotte da artistiartigiani, specializzati ognuno nel produrre una parte specifica del corpo. Si trattò di un’arte seriale. Oggi questo modo di procedere non sarebbe più accettabile. La questione odierna è se si possa parlare o meno di un’ossessione solo europea, e occidentale in genere, sulla distinzione del vero dal falso. In Cina e Giappone si ricostruiscono tranquillamente interi templi del passato. Nel 2007 si tenne ad Amburgo una mostra di esemplari dell’esercito di terracotta dell’imperatore cinese Qi Yang. Un visitatore sospettò che i guerrieri fossero in realtà delle copie e protestò vibratamente. In seguito alla protesta, le autorità tedesche interpellarono quelle cinesi, le quali confermarono che si trattava di copie. Niente di strano per la Cina e in genere per le nazioni dell’Oriente, per la cui cultura e sensibilità le copie sono valide quasi quanto gli originali. Anche in Italia, a Pietrasanta, si fanno copie di statue famose. Si fanno copie delle copie del David di Michelangelo e si esportano in tutto il mondo. In Oriente anche i musei, come quello di Taiwan, le acquisiscono senza problemi e la più richiesta è la statua della Pietà di Michelangelo. In Giappone, un sindaco prese l’iniziativa, per moralismo, di mettere perfino le mutande a un David e solo la protesta unanime e fermissima di alcuni critici d’arte riuscì a farlo recedere dal bizzarro proposi14


to. Le gipsoteche, raccolte di copie di statue assemblate nelle accademie d’arte, sorsero in passato per scopi didattici in periodi in cui le foto degli originali erano rare e potevano circolare con difficoltà. La prima nazione che inaugurò l’uso delle gipsoteche fu la Germania, dove l’archeologia era praticata da tempo con rigore scientifico. In Italia la prima gipsoteca fu introdotta a Roma, non a caso per iniziativa proprio di uno studioso tedesco, quell’Emmanuel Lowe che ebbe l’incarico di direttore delle Belle Arti appena dopo l’Unità d’Italia. Al Museo di Bassano del Grappa sono presenti molti bozzetti preparatori di Antonio Canova (1757-1822) che sono materialmente accessibili ai visitatori. Ma nel Gabinetto delle stampe e anche nei magazzini del Museo sono presenti oltre duemila disegni di mano di Canova non accessibili al pubblico. Da qualche tempo quei disegni originali sono stati scansionati ad altissima definizione, per tramandarne la memoria, nel caso dovessero iniziare a deteriorarsi nonostante tutti gli sforzi di corretta conservazione. Ne sono stati realizzati due album in fac-simile, del tutto uguali agli originali, anche disponibili alla visione e consultazione del pubblico. La carta è stata ricostruita da un artigiano inglese con il medesimo spessore e le medesime imperfezioni degli originali. Si può dire che con le nuove tecniche si possono creare copie che non si distinguono dall’originale. Le medesime tecniche possono consentire di rivedere opere ormai perdute, perché certamente distrutte o rubate e mai più ritrovate. Un altro fenomeno interessante è quello di opere che avrebbero una loro dignità e bellezza, ma hanno finito per essere totalmente trascurate e diventate quasi invisibili per la loro contiguità con opere famosissime e mitiche. Un esempio curioso che può aiutare a capire di cosa si tratta è quello di una figurina dei calciatori dell’editore Panini in cui sono effigiati due calciatori del Padova nel campionato di 15


serie B dell’annata sportiva 1991/92. I due calciatori, allora sconosciuti, sono Gaetano Fontana e Alessandro Del Piero. Gaetano Fontana sarebbe diventato presto invisibile in quella figurina perché il suo vicino sarebbe assurto a una statura calcistica tale da poter essere considerato una Monna Lisa del calcio italiano. Un destino analogo è toccato alla Crocifissione del pittore milanese Donato Montorfano (1460-1502), situata nella parete del refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, opposta a quella in cui si trova l’Ultima cena di Leonardo Da Vinci. Il dipinto di Montorfano nessuno lo guarda più, ormai da secoli, a parte qualcuno che nella nostra epoca dei telefoni cellulari si scatta un selfie girando la schiena al Cenacolo per pura necessità fotografica. Al Museo del Louvre di Parigi, la Gioconda di Leonardo da Vinci è situata di fronte alle Nozze di Cana di Paolo Veronese (1528-1588). La sorte della tela del pittore veneto si è rivelata abbastanza simile a quella della Crocifissione di Donato Montorfano. La collocazione originaria del dipinto del Veronese era nel refettorio del Convento dei Padri Benedettini nell’isola di San Giorgio a Venezia. Un dipinto di 70 metri quadri sulla parete di fondo del refettorio costruito da Andrea Palladio. Quando Napoleone Bonaparte entrò da conquistatore a Venezia nel 1797, ordinò di trasportarla a Parigi, una delle tante opere d’arte che sottrasse all’Italia. I soldati francesi lo strapparono dal muro e, per trasportarlo più agevolmente, lo tagliarono in tre fasce orizzontali, alterandone le proporzioni. L’opera era stata concepita per essere osservata senza fretta, per ore e ore, quelle trascorse nei giorni, nei mesi e negli anni dai frati benedettini mentre consumavano tranquillamente i loro pasti. La calma e la lentezza nell’osservazione erano necessarie anche per cogliere tutte le centinaia di minuti particolari presenti in quel dipinto enorme. Nel 2007 la Fondazione Cini ha affidato all’artista inglese Adam Lowe il compito di riprodurre perfettamente “Le Nozze di Cana”. La Società Factum Arte fondata 16


dall’inglese utilizza tecnologie d’avanguardia per digitalizzare e poi riprodurre, a fini di studio, capolavori del passato. Per quanto riguarda “Le Nozze di Cana” del Veronese, il Museo del Louvre pretese che la squadra di tecnici riproduttori fotografici di Lowe lavorasse all’interno dell’edificio solo di notte, senza montare impalcature e rimuovendo ogni volta gli attrezzi per non lasciarli nella stanza. Lowe e i suoi lavorarono ogni notte per cinque settimane, utilizzando riprese a elevata risoluzione, a luce radente, con tecnologie d’avanguardia per quel 2007, ma meno perfezionate di quelle dei nostri giorni. Il lavoro per finire completamente l’esatta riproduzione ha richiesto sei mesi, lo stesso tempo impiegato dal Veronese e dalla sua squadra per portare a termine l’originale. La tela è stata intessuta in Irlanda per essere uguale a quella del Veronese. Lowe ha riprodotto anche i tagli fatti dai soldati napoleonici, quindi è una copia dello stato in cui il capolavoro si trova oggi, non di quando uscì dalle mani del Veronese e dei suoi aiutanti. L’opera è stata clonata, ma allora che differenza c’è tra l’originale al Louvre che è in un contesto diverso da quello per cui fu dipinto e il fac-simile che però è nel luogo originale per cui era stato concepito? L’importante è sapere a che cosa si è di fronte. Il dipinto originale è situato al Louvre a un’altezza sbagliata, entro una cornice dorata che non ha alcun senso, tra due porte e con la folla, che si assiepa davanti alla Gioconda, che impedisce di vederlo bene. Anche in questo caso, come per la Crocifissione di Montorfano, i visitatori vi gettano uno sguardo solo nel momento in cui si fanno un selfie dando le spalle all’opera di Leonardo. La fruizione deve essere in linea con quello che si ha di fronte e accedere all’originale spesso è molto difficile, se non impossibile. In Cina moltissimi pittori copiano su scala industriale capolavori occidentali. Se ne può comprare, per una cifra da 15 a 150 dollari, una copia fatta a mano. In Italia la situazione è diversa. Non esiste un albo professionale dei pittori, abolito nel 1948. 17


Inoltre, il concetto di copia è stato assimilato a quello di falso. Quando a Palermo, in una notte tra il 12 e il 17 0ttobre del 1969, fu trafugata dall’oratorio di San Lorenzo la Natività di Caravaggio, sorse l’esigenza di comporre almeno una copia da sistemare al posto del quadro originale. Ma il lavoro dei pittori che volevano cimentarsi con l’impresa fu compromesso fin dal principio dalla normativa italiana per la quale le copie fatte a mano devono essere ridotte di un terzo. Pertanto si ripiegò su un fac-simile, che ancora oggi consente almeno di riempire in modo abbastanza degno l’orribile vuoto che c’era prima nella chiesa e dare un’idea del capolavoro ai palermitani e ai visitatori. Il grande critico d’arte italiano Cesare Brandi, che nell’anteguerra aveva fondato, insieme con Giulio Carlo Argan, l’Istituto Centrale del Restauro, nel 1963 propose le linee teoriche che avrebbero dovuto guidare i restauratori delle opere d’arte. Il restauro non dovrebbe stravolgere l’opera, magari per aumentarne il valore di mercato; infatti, spesso i restauratori possono essere, e lo sono stati qualche volta in passato, i migliori falsari, perché conoscono tutte le tecniche degli artisti. Brandi impose che soggetti che facessero di professione i pittori non dovessero mai partecipare ai restauri essendo portati fatalmente ad alterare le opere. Tra le linee guida più importanti introdotte da Brandi, ci sono quella della reversibilità dell’intervento, quella del divieto di ricostruzione di parti mancanti e del divieto di dipingere sull’originale. Giovanni Urbani, il più importante direttore dell’Istituto Centrale del restauro, nei concorsi non assumeva mai i pittori. Oggetti autentici in partenza possono essere mistificati anche da un restauro fatto male. Ma alla fine torniamo da dove eravamo partiti, cioè alle varie versioni della Gioconda e ai capolavori ormai mitici e paradigmatici dell’arte occidentale. Nel 2010 il Museo del Prado ha restaurato la versione della Gioconda in suo possesso. Si sono svelati dei colori vivissimi, tanto che il pubblico ha pronunciato esclamazioni di 18


meraviglia, come se fosse davanti a un’opera pop. Ha colpito soprattutto il cielo di un azzurro vivissimo. Invece la Gioconda del Louvre è grigia, il cielo dietro Monna Lisa è verde cupo e non certo blu. La ragione di questo grigiore è che la Gioconda del Louvre ormai non si può più restaurare, ormai è un meta-oggetto. Vincenzo Peruggia è stato il vero autore della popolarità mondiale della Monna Lisa del Louvre, che prima del furto non era conosciuta se non da pochi estimatori di Leonardo pittore. Peruggia, rubandola, l’ha trasformata in un’icona del nostro tempo, la prima icona del mondo occidentale, facendola diventare intoccabile, cioè non restaurabile. Anche Sigmund Freud, dopo essere riuscito finalmente ad andare ad Atene per vedere il mitico Partenone di cui aveva sempre sentito parlare, davanti ai resti, peraltro assai diroccati, ma intoccabili del tempio classico, pare abbia esclamato: “ma allora esiste veramente?”.

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Politica

Io l'ho capita cosi 2 Antonella GOLINELLI

A bocce ferme, o quasi, durante la pausa natalizia (a proposito auguri a tutti) continuo a riflettere sulle sardine. O meglio: continuo a riflettere su tutto il fatto. Sono andata a Imola in una serata di un freddo becco, infatti il giorno dopo è nevicato, per vedere dal vivo il flash mob. Ho seguito nel tempo le varie iniziative, le evoluzioni, le partecipazioni, le vicende di contorno, ma mi baserò sul mio territorio per le riflessioni semplicemente perchè conosco la gente. Chi è chi, cosa ha fatto e cosa fa. Cosa volete che vi dica? Continuo ad avere l'impressione di vivere in un esperi20


mento sociale e sociologico. L'obiettivo dichiarato di tirar fuori la gente di casa è riuscito, almeno in gran parte. Stanare le persone dai loro tinelli e portarli in piazza a guardarsi in faccia, a far due chiacchiere, magari ci scappa pure un aperitivo o una pizza, è un bel fatto. Incontrarsi e riconoscersi per via di una sagoma di carta a forma di pesce, identificarsi con dei principi basilari del vivere sociale, non social sociali, mi pare buona cosa. Si va in piazza e si incontra di tutto. Amici, conoscenti, parenti, ceto politico. Ecco, di quello ce n'è parecchio. Mischiato alla folla, intrufolato nelle organizzazioni, itinerante da un posto all'altro. Conoscere le storie e le carriere e vederli li...ehi mi lascia perplessa. Per alcuni si tratta forse dell'ennesimo giro in giostra? Vedete, lo storico dichiarato non si cancella, rimane tutto. Anche solo nella memoria di alcuni. Se hai preso certe posizioni in passato a deterimento della popolazione tutta, con espressioni di una crudeltà inaudita, si fa fatica a pensare tu sia li. Si fa proprio fatica ad accostare la cattiveria espressa ai punti del manifesto, alla necessità di smetterla con le dichiarazioni terribili, a cercare di ricostruire un tessuto sociale che anche tu hai contribuito a distruggere. O forse certa gente era li per caso, per curiosità. (n.b. Il tu è generico non indirizzato ad una persona in particolare. Ci tengo). Oh! i punti del manifesto usciti a S. Giovanni. Sono pre politici, questo è chiaro a quasi tutti. Alcuni insistono ancora ad interrogazioni politiche specifiche ma ci arriveranno. Forse. Detto questo, non sono d'accordo su un punto. Non si può togliere i social ai politi21


ci e ai ministri. Non scherziamo. Da un lato hanno le prerogative dei cittadini tutti e ci mancherebbe, dall'altro come avremmo potuto noi conoscerli nella loro intima essenza? Certo lo so che è tutto costruito dai social media manager, ma anche quello è indicativo delle operazioni in atto. Caspita se lo è! Guardate solo come mettono al pubblico ludibrio ogni donna che osi parlare, esprimere opinioni contrarie alle loro. Si scatenano orde di disgraziati offensivi e intimidatori, aggressivi e violenti. Sempre dietro una tastiera e oltre la metà sono falsi. Si creano ondate di odio contro l'obiettivo di turno, meglio se donna. È più facile cercare di intimidire qualcuno minacciandolo di stupro collettivo. Mi sono sempre chiesta come mai la polizia postale non intervenga d'ufficio. Come in tutte le vicende di questo tipo basterebbero un paio azioni esemplari e il problema sfumerebbe. Torniamo a noi. A metà gennaio è prevista una nuova manifestazione a Bologna. Da noi si vota il 26. Per la realizzazione di questo evento ho capito si siano costituiti in associazione con tanto di statuto (che vorrei leggere) e una raccolta fondi. Quindi siamo ad un passo avanti. A questo punto vediamo come evolve e buon anno a tutti.

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Mafie

L’anno bellissimo Antonella BUCCINI

“Rinascita-Scott”, l’operazione dei carabinieri contro la cosca Mancuso, che ha comportato 334 arresti e tra questi politici e professionisti oltre agli affiliati, avrebbe dovuto riempire giornali, occupare le televisioni, determinare dibattiti, sollecitare approfondimenti. L’eco, invece, è stata fiacca e marginale come sottolineato dallo stesso Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri che ha coordinato le indagini. Le dimissioni del ministro Fioramonti dovrebbero indurre ad una seria riflessione governo e paese sulla priorità assoluta dell’istruzione per l’emancipazione e la crescita di una nazione in luogo dell’onanistica serie di valutazioni della stessa maggioranza e dell’opposizione sulle ragioni strategiche e personali che hanno determinato la scelta. 23


Richiamano, dunque, la nostra attenzione le nocciole turche nella nutella, le dichiarazioni di Di Maio del lunedì e le precisazioni del martedì, le repliche afone di Zingaretti, il destino del capitano per il sequestro della nave Gregoretti, le percentuali dei rimpatri del governo in carica e di quello precedente (per chi tifi?), anche il tizio che a Taranto simula un’aggressione da parte di inesistenti immigrati. La sensazione che il nostro sguardo sia volutamente orientato mentre c’è un altrove dove le cose sono manipolate, distrutte o accadono, è forte. I più avveduti devono procedere a vista, cercando di evitare inciampi o le insidie della rete e cogliere le occasioni di avvicinamento ad una verità sotterranea che potrebbe anche non emergere mai. Si pensi alle stragi, alla morte di Falcone e Borsellino, ad Ustica. Non a caso Borsellino sosteneva che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. L’evidenza che un paese nella morsa della criminalità organizzata e contiguo al precipizio di una scuola morente non ha futuro non ha posto nell’agenda dei politici. Del resto siamo i più ignoranti d’Europa e i dodicesimi del mondo. Forse non è un caso che siamo anche i più corrotti del continente. Non ci resta che confidare nei rigurgiti di consapevolezza confluiti nelle sardine e nelle migliaia di calabresi che a Vibo Valentia hanno partecipato al corteo organizzato da Libera per esprimere vicinanza e gratitudine ai carabinieri per l’operazione “Rinascita Scott”. Intanto si sta concludendo l’anno bellissimo profetizzato dal premier al quale il grande Totò avrebbe potuto replicare: ma mi faccia il piacere! Auguri a tutti e in bocca al lupo!

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Spazio e Politica

Un Cristoforo Colombo dello spazio interplanetario Giovan Giuseppe MENNELLA

Il personaggio del titolo, che è morto l’11 ottobre scorso, non era un cantante famoso che aveva venduto milioni di dischi, non era un grandissimo calciatore che aveva segnato centinaia di reti in tutti i maggiori campionati d’Europa, ma era veramente un Cristoforo Colombo, il primo astronauta, anzi cosmonauta perché cittadino dell’allora Unione Sovietica, che il 18 marzo del 1965 uscì dalla navicella Soyuz e camminò a corpo libero nello spazio interplanetario, in un periodo in cui, come si scoprì più tardi, si conosceva davvero pochissimo sulle tecniche e sui pericoli connessi alle passeggiate spaziali nel vuoto cosmico. 25


Stiamo parlando di Aleksej Archipovic Leonov, che fu veramente un Cristoforo Colombo dello spazio. Quel giorno del 1965, Leonov schivò la morte miracolosamente, per pochissimo, come avrebbe fatto altre volte nella vita, per poi incontrarla ineluttabilmente, come tutti gli esseri viventi, in un giorno di ottobre da poco trascorso, anche se alla rispettabile età di ottantacinque anni. Leonov nacque nel 1934 nella Siberia occidentale per poi trasferirsi nel 1948 con la famiglia a Kaliningrad. Iniziò l’addestramento da pilota nel 1953 a Kremencuk in Ucraina e fino al 1957 si perfezionò come pilota da caccia. Fece parte del primo gruppo di venti piloti che sarebbero diventati cosmonauti, nominati ufficialmente il 7 marzo 1960. Nella primavera del 1964 fu deciso dai responsabili dei progetti spaziali sovietici che le missioni future sarebbero state eseguite con capsule spaziali del tipo precedente Vostok, che avevano già volato nello spazio, ma modificate opportunamente e che erano capaci di portare fino a tre uomini di equipaggio, ufficialmente denominate Voskod. Il secondo volo di questa capsula fu programmato per un impiego che previde per la prima volta l’uscita di un cosmonauta per attività esterna nello spazio. Per la passeggiata spaziale fu designato proprio Leonov, insieme a Pavel Ivanovic Beljaev come comandante. La corda di sicurezza che doveva tenere legato Leonov alla capsula era lunga quattro metri e mezzo e la passeggiata sarebbe durata dodici minuti. La tuta spaziale era una speciale tuta Berkut. Ci furono difficoltà già per compensare l’atmosfera interna con il vuoto esistente all’esterno, utilizzando un sistema in uso sui sottomarini sovietici. Il comandante Beljaev testimoniò che quando il suo compagno d’avventura stava 26


per uscire vide che i suoi occhi erano assolutamente calmi e tranquilli, cosa inusuale perché di solito aveva un carattere estroverso e nervoso. Una volta nello spazio, accadde un fenomeno non previsto. La tuta, in assenza di pressione esterna, cominciò a gonfiarsi così che Leonov rischiò seriamente di non riuscire più a rientrare. Ci riuscì solo allentando la valvola di pressurizzazione della tuta e riuscendo a rientrare in extremis prima di soffocare per l’esaurirsi della provvista di aria, giacché aveva già perso troppo tempo a guardare estasiato le stelle e i pianeti, quasi colto da ebbrezza di profondità. Un altro imprevisto e un’altra avventura pericolosa attendevano Leonov e il suo compagno di viaggio al ritorno sulla terra. Per la prima volta era stata cambiata la modalità di atterraggio delle navicelle spaziali sovietiche. I cosmonauti non si sarebbero stati più paracadutati da circa mille metri, ma la capsula sarebbe atterrata direttamente, con i suoi occupanti comodamente all’interno. Ma, a causa della mancata accensione manuale dei razzi frenanti, la capsula finì notevolmente fuori settore, in una zona boscosa e selvaggia a oriente dei monti Urali. Prima che le forze di soccorso riuscissero a localizzarli fortunosamente, Leonov e Beljaev passarono due giorni chiusi nella capsula, con un freddo “siberiano” e circondati da lupi e orsi in amore e quindi pericolosissimi. Prima del salvataggio vero e proprio avvenne anche un episodio tragicomico, con un aereo di soccorso che lanciò dall’alto verso il luogo dove si trovavano i piloti, una bottiglia di liquore, che naturalmente andò in mille pezzi quando arrivò al suolo. Comunque, il nostro Leonov se la cavò anche questa volta, ma quello si sarebbe rivelato solo uno dei suoi mancati appuntamenti con la morte. Durante una delle cerimonie ufficiali di festeggiamento dei cosmonauti, Leonov e i suoi colleghi incapparono incredibilmente sulla traiettoria dei proiettili di un clamoroso attentato contro la vita del Segretario del PCUS Leonid Breznev. 27


L’attentatore scambiò l’auto dove avevano preso posto Leonov e gli altri cosmonauti per quella dove era Breznev. L’autista fu ucciso e alcuni cosmonauti, tra cui Valentina Tereskova, rimasero lievemente feriti, ma il nostro eroe uscì ancora una volta illeso. Dopo questa avventura, Leonov fu messo provvisoriamente da parte per le successive missioni, perché non convinsero le autorità sovietiche il suo stile di vita esagerato e sopra le righe, alcune dichiarazioni incaute e soprattutto tre incidenti stradali in cui incappò in breve tempo per la sua guida spericolata. Soprattutto uno degli incidenti fu terrificante perché piombò con l’automobile in un lago ghiacciato dopo due o tre capitomboli da brivido. Inutile dire che anche questa volta ne uscì miracolosamente vivo. Il suo salvataggio più fatale e romanzesco avvenne nel 1971. In quell’anno fu nominato comandante della Sojuz 11. Le Sojuz erano stazioni spaziali sperimentali a lunga permanenza nello spazio verso le quali si era ormai orientato il progetto spaziale sovietico dopo la rinuncia a mandare un uomo sulla luna, visto che gli americani c’erano arrivati per primi. Ma a soli due giorni dall’inizio della missione, poiché uno dei membri originari si era ammalato, tutto l’equipaggio, quindi anche Leonov, fu sostituito, come usavano fare i sovietici in questi casi. Il nuovo equipaggio migliorò il record di permanenza nel cosmo, ma al rientro nell’atmosfera tutti i suoi componenti morirono soffocati per il cattivo funzionamento di una valvola che provocò una rapida depressurizzazione. E così anche stavolta il nostro Leonov si salvò, davvero per uno scherzo del fato. La carriera di cosmonauta continuò onorevolmente fino al fatidico 15 luglio 1975 quando ebbe anche la soddisfazione, al comando della Sojuz 19, di effettuare il primo aggancio nello spazio con una stazione orbitante statunitense. Passò all’interno del corridoio di aggancio a visitare i suoi colleghi americani. La cosa non era faci28


le, perché le atmosfere nelle due stazioni erano diverse. Sembra che Leonov, una volta nella cabina di comando americana, abbia notato entusiasta che in quella c’erano molte più finestre per ammirare le stelle e il cielo. Sulle passeggiate nello spazio abbiamo anche le testimonianze degli astronauti americani. Eugene Cernan, l’ultimo uomo a essere stato sulla luna e l’unico ad aver compiuto due volte la discesa sulla Luna col LEM, disse che durante l’epoca spaziale l’attività più pericolosa e incognita era proprio uscire dalla capsula. Comunque il primo statunitense a uscire nel vuoto cosmico non era stato Cernan, ma Ed White, che lo aveva fatto tre mesi dopo Leonov e quindi non è stato particolarmente ricordato negli annali. Anche oggi gli astronauti fanno lunghi esercizi di addestramento per prepararsi alle passeggiate spaziali. Le tute sono di misura standard e si possono adattare pochissimo alle corporature degli astronauti, tanto che non hanno potuto partecipare ai progetti sia un’astronauta russa perché troppo bassa sia un astronauta americano perché esageratamente alto. Su queste particolarità delle tute spaziali abbiamo anche le testimonianze degli italiani Parmitano, Cristofoletti. Nespoli, Guidoni e altri. L’addestramento si esegue in acqua e non nel vuoto cosmico che sarebbe difficilissimo e comunque costosissimo da riprodurre in laboratorio. La cosa interessante è che il sistema di allenamento in acqua fu inventato da un italiano negli anni ’50 e ’60, il professore di chimica e fisiologia applicata allo spazio Rodolfo Margaria, oggi immeritatamente dimenticato. Queste notizie, e molto altro, sono contenute nel recente libro di Massimo Capaccioli “Luna rossa, la conquista sovietica dello spazio”, edito da Carocci. Anche Leonov, oltre che dedicarsi alla pittura nei suoi ultimi anni, ha scritto due libri: “Passeggiate nello spazio” del 1971 e “Le due facce della Luna” nel 2004 insieme allo statunitense David Scott. 29


E così l’11 ottobre scorso la vita ha presentato il conto anche all’indistruttibile Leonov, già scampato alla morte tante di quelle volte che un suo collega disse che aveva una fortuna davvero “cosmica”.

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Politica

Auguri per un 2020 di lotta Aldo AVALLONE

Per l’anno che verrà, tradizionalmente si augura la serenità, la felicità e la pace nel mondo. Programma ambizioso, verrebbe da dire. Ebbene, io andrò contro corrente. Per il 2020 auguro a tutti un anno di lotta. Di quella dura e senza prigionieri, di quella che costa fatica e sudore, che crea ansia e apprensione. Una guerra di lunga durata affinché tutti gli uomini di buona volontà si battano, e vincano, per la giustizia, la libertà e il socialismo. In quest’ultimo mese e mezzo, milioni di cittadini, giovani e meno giovani, sono ritornati nelle piazze per riaffermare i valori della Costituzione, tra i quali spicca l’antifascismo. Nel magma indistinto della comunicazione dei tempi recenti, sembrava quasi che fosse un valore obsoleto, che chi osasse riaffermarlo fosse considerato fuori dal tempo, che chi provasse a praticarlo si mettesse automaticamente in una sorta di limbo antistorico. Il fascismo non è morto, come qualcuno vuol far credere. Anzi, è più forte e vivo che mai. Proprio 31


perché si è abbassata la guardia. Si commemora Mussolini a Predappio e nelle manifestazioni della destra c’è chi saluta a braccio teso. Si praticano gesti di intolleranza e di razzismo. Ci si oppone anche violentemente a ogni manifestazione di accoglienza. Si è arrivati a criticare una mamma non italiana che piange troppo intensamente la sua bambina morta. Non si tratta di atti senza valore. Si asserisce un diritto a mostrare simboli e rituali fascisti che la nostra Costituzione non prevede. Ebbene, siamo con il fiato sul collo a chi per dovere istituzionale deve vigilare sull’applicazione delle leggi: sui corpi di polizia, sull’autorità giudiziaria, sulle forze politiche affinché questo rigurgito di totalitarismo sia fermato al più presto. Continuiamo, anche il prossimo anno, a riempire le piazze, perché le piazze sono partecipazione, perché la democrazia trova il suo momento elettivo nelle urne ma si regge facendo sentire la presenza fisica, attraverso il confronto reale con uomini e donne in carne e ossa che si mettono in gioco in prima persona e che dimenticano, almeno per un po’, il mondo virtuale degli schermi e delle tastiere. Le piazze sono energia popolare che si traduce in progetto politico. Il mio augurio è che il 2020 sia l’anno della ripresa degli ideali di eguaglianza e di giustizia sociale, in disuso ormai da troppo tempo nella nostra Italia. E che si torni a lottare con fermezza, in ogni luogo del Paese, per riaffermarli contro ogni tentativo di restaurazione.

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