Numero 7 del 4 settembre 2019
UN MONDO DISEGUALE NON AVRA’ PACE
Sommario
Un mondo diseguale non avrà pace - pag. 3 di Umberto DE GIOVANNANGELI
Joe Hill, il sindacalista cantautore - pag. 15
di Giovan
Giuseppe MENNELLA
I libri so’ piezze e core - pag. 27 di Antobellla BUCCINI
Pensieri scorretti - pag. 31 di Antonella GOLINELLI
La manovra economica prossima ventura e l’Europa - pag. 36 di Aldo AVALLONE Gaetano Scirea. Il Campione Buono - pag. 39 di Antonio CARTAGINE
La Democrazia (etero?)diretta - pag. 42 di Fabio CHIAVOLINI
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Lavoro e Geopolitica
Un mondo diseguale non avrà pace di Umberto DE GIOVANNANGELI
Per i popoli giovani, “affamati” di futuro, la pace non può essere una condizione immateriale, che non interviene e incide nel vissuto materiale quotidiano, che non dà risposte concrete a bisogni vitali che non possono essere “ridotti” ai pur fondamentali diritti umani. Ciò che un mondo vicino a noi – il Sud del Mediterraneo, il Medio Oriente, l’Africa – racconta è che, oggi più che mai, i diritti sociali sono parte essenziale, fondante, di una visione più ampia dei “diritti umani”. 3
Pace è lavoro, è una distribuzione più equa di ricchezze e risorse, è uno sviluppo sostenibile, è lotta contro le crescenti diseguaglianze tra i Nord e i Sud del pianeta, è pari opportunità di genere, è istruzione. Pace è tutto questo o, semplicemente, non è.
I diritti si mangiano. Un Paese non si stabilizza, non cresce, non si consolida, se non riesce a dare un tetto, un lavoro, un futuro a popoli giovani. “Le disuguaglianze e il mancato rispetto di tutti i diritti umani hanno il potere di erodere tutti e tre i pilastri dell’Onu: pace e sicurezza, sviluppo e diritti umani”, così Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, 4
presentando alla 40ª sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu a Ginevra la relazione sul lavoro svolto nel 2018. “Le disuguaglianze – ha osservato l’ex presidente del Cile – minacciano la nostra opportunità di realizzare uno sviluppo sostenibile e inclusivo". Le disuguaglianze suscitano rimostranze e disordini; alimentano odio, violenza e minacce alla pace; e costringono le persone a lasciare le loro case e i loro Paesi. Le disuguaglianze minano il progresso sociale e la stabilità economica e politica”. “Ma i diritti umani costruiscono la speranza”, ha ammonito Bachelet: “Legano l’umanità, insieme con principi condivisi e un futuro migliore, in netto contrasto con le forze divisive e distruttive della repressione, dello sfruttamento, del capro espiatorio, della discriminazione e delle disuguaglianze”. Secondo l’Alto Commissario, “alcuni paesi – non sempre i più ricchi, per reddito o risorse – scelgono di adottare politiche basate su principi più efficaci, fondati sull’intera gamma dei diritti umani. Prendendo provvedimenti per far avanzare i diritti civili, culturali, economici, politici e sociali come rafforzamento reciproco, possono contare sulla costruzione di una solida base per lo sviluppo sostenibile e l’armonia sociale”.
La pace è giustizia sociale. 5
“Dico una cosa che sembra offendere ma è la verità: nell’incosciente collettivo c’è un pensiero brutto. L’Africa va sfruttata. Sono considerati schiavi e questo deve cambiare con piani d’investimenti, di educazione, per far crescere, perché il popolo africano ha tante ricchezze culturali ed ha un’intelligenza grande. Sono bambini intelligentissimi che possono con una buona educazione andare oltre. Questa sarà la strada a mezzo termine. Ma devono mettersi d’accordo i governi e andare avanti con questa emergenza” - così Papa Francesco, sprone continuo nel cercare di costruire non solo una cultura alta della solidarietà ma portatore di una visione lungimirante, propositiva, dell’assunto: “aiutiamoli a casa loro”.
Una “casa” che brucia. E che è abbandonata perché invivibile. Sono numeri impressionanti quelli contenuti nel rapporto annuale dell’Unhcr, pubblicato alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato, il 21 giugno 2018: sono 68,5 milioni le persone che alla fine del 2017 si trovavano lontane dalle proprie ca6
se, perché costrette ad abbandonarle. Di loro, 25,4 milioni sono scappate a conflitti e persecuzioni: 2,9 milioni in più del 2016, “l’aumento più grande che l’Unhcr abbia mai registrato in un solo anno”. Di questi, poco più di un quinto sono palestinesi affidati all’Unrwa. E, stando a quanto anticipato a L’Unità laburista da fonti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati impegnate nell’elaborazione del rapporto 2019, la situazione è ulteriormente peggiorata e l’esercito dei fuggitivi da guerre, persecuzioni etniche, disastri ambientali, povertà assoluta, sta raggiungendo i settanta milioni, e forse li supererà entro l’anno in corso. Altro dato indicativo: lo stravolgimento dell’eco sistema – con effetto-carestia, squilibri climatici etc. – e il nuovo peggioramento delle condizioni di vita in diverse aree del pianeta, diventano le cause prime, più ancora dei conflitti armati, dell’incremento dei “fuggitivi”.
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Dalla “guerra giusta” alla “pace giusta”. La pace non è assenza di guerra, né può ridursi, come spesso e su vari quadranti mondiali è stato, alla ratifica dei rapporti di forza imposti sul campo di battaglia. La pace non è, o non dovrebbe essere, sinonimo di resa. Pace non significa soltanto assenza di conflitto evidente: soltanto una pace giusta, che si basi su diritti e dignità di ogni individuo, è una pace veramente duratura. Io credo che la pace sia instabile laddove agli esseri umani sia proibito esprimersi, sia negato il diritto di parlare liberamente o venerare il Dio prescelto, sia impedito di scegliersi i propri governanti o di riunirsi senza timori per le conseguenze.
Promuovere i diritti umani non significa soltanto esortare e sostenere. Ogni tanto a ciò si deve aggiungere un’azione diplomatica diligente e precisa. So che impegnarsi a trattare con regimi repressivi significa privarsi della purezza appagante dell’indignazione. 8
Ma so anche che le sanzioni, che non hanno seguito, le condanne senza discussione, possono implicare un paralizzante status quo. Nessun regime repressivo può imboccare una strada nuova, a meno di avere la scelta di una via di uscita, una porta aperta…”. E’ una parte del discorso che l’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, pronunciò a Oslo, il 10 dicembre 2009, in occasione del ritiro del Premio Nobel per la Pace. Non è questa l’occasione per valutare quanto, nei suoi due mandati presidenziali, Obama sia stato fedele a questa importante riflessione. Fatto è che quelli che sono stati percepiti come i due grandi leader globali dei tempi attuali, Obama e papa Francesco, si siano cimentati con il tema storico della pace giusta. Che per essere tale deve intervenire e incidere sulle cause che sono alla base del proliferare di crisi, conflitti regionali, disastri ambientali, crescita delle diseguaglianze tra i pochi che possiedono ricchezza e i Sud del mondo che ne sono espropriati.
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Dire immigrazione significa, infatti, accendere un faro sulla disuguale distribuzione della ricchezza. In effetti, ben il 95% delle strutture produttive è posseduto da un sesto della popolazione mondiale. Con un reddito pro capite di circa venti volte inferiore a quello dell’Ue, l’Africa subsahariana dispone solo del 2,1% della ricchezza mondiale. Resta ignorata, peraltro, la crisi alimentare gravissima che sta colpendo diversi paesi Africani, in particolare il Sud Sudan, il bacino del Lago Ciad e il Corno d’Africa, tra le maggiori zone di provenienza di profughi e rifugiati nel nostro paese. Qui, a causa degli effetti combinati di una grave siccità e dei conflitti che insanguinano alcuni paesi (Sud Sudan e Somalia in particolare), quasi trenta milioni di persone sono sull’orlo della fame. Hanno perso le loro fonti di sostentamento principali (bestiame e agricoltura) perché non c’erano più acqua e cibo sufficienti, hanno attraversato a piedi intere regioni aride sfuggendo da Boko Haram o Al Shebaab o semplicemente cercando acqua per le proprie mandrie. Sono affamati, disidratati e senza prospettive, i bambini muoiono di diarrea; sono due milioni quelli colpiti dalla fame, che rischiano di morire se non s’interviene immediatamente. Ed è impressionante notare come vi sia una stretta correlazione tra diversi dei Paesi “saccheggiati” e quelli da cui provengono la maggioranza dei migranti sbarcati in questi giorni in Italia: Congo, Nigeria, Ghana, Mali, Gambia, Niger, Guinea, Su10
dan, Senegal, Bangladesh, Camerun. Dal Corno d’Africa fuggono eritrei, etiopi, somali e sudanesi.
L’Africa come opportunità e non come minaccia. Continente nel quale l’Italia è il primo Paese europeo per investimenti, con un totale di venti progetti per complessivi quattro miliardi di dollari nel solo 2016, e a livello mondiale si colloca al quarto posto dopo Cina, Emirati Arabi Uniti e Marocco. Investire in Africa, nel Mediterraneo, è anche un modo incisivo, il più incisivo in prospettiva, per frenare esodi di massa e garantire la nostra sicurezza. Perché, a Sud, le nostre frontiere esterne sono composte di Paesi che non sono solo più di transito, per migranti e rifugiati, ma di origine. E’ il caso della Tunisia. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri (secondo il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, tra il 2011 e il 2016 il 74,6% delle persone che hanno lasciato il Parse sono cittadini tunisini). 11
Sebbene negli ultimi mesi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), a oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di un’economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna. La grande maggioranza del popolo tunisino – dice a l’Unità laburista Abdessatar Ben Moussa, avvocato, presidente della Lega per i diritti umani, uno dei membri del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, insignito, nel 2015, del Premio Nobel per la Pace – sostiene il processo democratico. Si tratta di un patrimonio di credibilità che non va disperso. Ma i rischi sono tanti, legati soprattutto alla situazione socio-economica.
La difesa dei diritti umani è importante ma lo è altrettanto il rafforzamento dei diritti sociali. 12
La democrazia si rafforza se si coniuga alla crescita economica, alla giustizia sociale, a realizzare prospettive di lavoro per i giovani. Non è un caso che i terroristi dell’Isis abbiano puntato a colpire il turismo, una delle fonti di entrata più importanti per la Tunisia. Oggi i terroristi reclutano giovani emarginati, non offrendo loro il miraggio del “Califfato, ma un salario per combattere per la guerra santa. Per questo è fondamentale che l’Europa investa nella cooperazione con la Tunisia e, più in generale, con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Per l’Europa non sarebbe un atto di generosità ma un investimento, redditizio sul piano della stabilità e della sicurezza. Un investimento sul futuro”. Sicurezza è sviluppo, investimenti che diano speranza, cioè lavoro, a popoli giovani. Vanno in questa direzione i finanziamenti per 5,5 miliardi di euro che saranno assegnati alla Tunisia da otto fondi internazionali. Le istituzioni coinvolte nell’iniziativa sono l’Agenzia francese per lo sviluppo, la Banca africana per lo sviluppo, la Banca europea per gli investimenti, la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca tedesca per lo sviluppo, la Società finanziaria internazionale. I fondi, ha spiegato il commissario europeo per la Politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento Johannes Hahn, serviranno a sostenere il Paese nel corso del processo di costruzione democratica, e risponde, in termini concreti e vincolanti, 13
all’appello del presidente tunisino Beji Caid Essebsi ai partner della Tunisia affinché appoggiassero la giovane democrazia tunisina in un passaggio di estrema delicatezza. Un discorso che investe l’insieme del nord dell’Africa. Sviluppo, benessere, lavoro sono le “armi” più incisive per contrastare il proselitismo jihadista tra i giovani attratti dalle organizzazioni dell’islam radicale armato anche, e per certi versi soprattutto, dal “salario”. Vale per la Tunisia, come per il Marocco, come per la Somalia, la Nigeria. Uno sviluppo che rispetta e amplia i diritti sociali, che crea lavoro, è un investimento sul futuro. Un futuro di pace. Quella vera.
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Musica e Sindacato
Joe Hill, il sindacalista cantautore di Giovan Giuseppe MENNELLA
“Ho sognato di vedere Joe Hill stanotte, vivo come me e te. Gli dissi, ma Joe, sei morto da anni; e lui: non sono morto mai. Dovunque i lavoratori lottano per i loro diritti, lì troverai Joe Hill”. (Canzone del 1938 di Alfred Hays ed Earl Robinson)
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Joel Emmanuel Hagglund nacque a Gavle in Svezia il 17 Ottobre 1879. Era di condizione economica assai modesta, come del resto lo era la situazione economica dei paesi scandinavi in quella fine dell’ottocento.
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Come tantissimi altri europei sfavoriti dalla sorte, emigrò negli Stati Uniti nel 1902, insieme al fratello. Appena sbarcato nel nuovo mondo, dovette fare i lavori più umili, come minatore, spaccalegna, muratore. Ben presto si rese conto che i suoi ideali non corrispondevano alle durissime condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti nella società statunitense i lavoratori, soprattutto gli immigrati. Per spostarsi da un lavoro all’altro, da una regione all’altra dell’immenso paese senza pagare, divenne un hobo, cioè uno che viaggiava sui treni merci senza pagare il biglietto e campando dove e come lo portava il lavoro. Probabilmente per sfuggire all’identificazione delle autorità poliziesche, cambiò il nome in Joe Hillmann, poi abbreviato in Joe Hill. Nel 1910 partecipò alla Rivoluzione in Messico e nel 1912 a un grande sciopero dei ferrovieri in Canada, come sindacalista e organizzatore. In quello stesso 1910 si iscrisse agli IWW, gli Industrial Workers of the World, un movimento operaio che doveva diventare leggendario, anche se dopo il 1917 fu duramente represso dalle autorità americane, e sostanzialmente distrutto, divenendo però leggenda; non a caso, le varie frange della sinistra operaia internazionale, dagli anarchici agli stalinisti, avrebbero tentato di appropriarsene, dandogli l’interpretazione più consona alla loro ideologia. Gli IWW erano nati in USA all’inizio del ‘900 in un’epoca di espansione economica e di acuto scontro di classe nelle città industriali in cui uno Stato sociale era di là da venire e anzi sarebbe stato considerato in quel periodo poco più di un sogno. 17
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I Wooblies, come si chiamavano i membri dell’organizzazione per via della storpiatura in cinese del nome del Sindacato, sostenevano l’auto-organizzazione e l’azione diretta dei lavoratori contro gli orari massacranti e lo sfruttamento, per conquistarsi una vita più dignitosa. Gli IWW, e Joe Hill, espressero forme di organizzazione e un modello di resistenza che avrebbe molto da proporre anche nella situazione attuale, dove prevalgono nel mondo del lavoro i servizi all’industria e l’esternalizzazione. La caratteristica importante del movimento è stata quella di aver costruito un’esperienza nuova, mescolando la tradizione radicale degli USA e i suoi ideali democratici con le lotte degli immigrati che s’ispiravano più ai socialismi europei. Insomma, un movimento di base che potrebbe avere un senso anche nella situazione dei lavoratori del XXI Secolo, laddove il vecchio sindacalismo categoriale è in affanno. Un tipo di sindacalismo che potrebbe esprimere oggi quei sogni che vanno oltre la costrizione del lavoro e costruire organizzazioni rispondenti alle forme strutturali del lavoro così come lo configura il capitalismo globalizzato. Infatti, non a caso, anche allora ci fu un forte contrasto tra i programmi e le azioni degli International Workers che voleva i lavoratori tutti uniti in un sindacalismo di “industria” e il Sindacato AFL che propugnava un sindacato di “mestiere” diviso per categorie. In quest’ambiente Joe Hill divenne un organizzatore del movimento operaio e un autore di canzoni popolari e rivoluzionarie, ispirate alle esperienze dei lavoratori del suo tempo. Le canzoni finivano pubblicate nell’IWW Little Red Songbook e divennero famosissime nel mondo intero. Alcuni titoli come “Rebel girl”, The preacher and the slave”, “Casey Jones” furono cantate nei raduni sindacali e negli scioperi. 19
Secondo Tom Morello, un musicista ribelle di oggi, senza Joe Hill non ci sarebbero stati Woody Guthrie, Bob Dylan, Bruce Springsteen, i Clash etc. Joe Hill diceva che un opuscolo si legge una sola volta, mentre una canzone s’impara a memoria e si canta; se si prendono un po’ di fatti, rivestendoli con umorismo per renderli meno aridi e si mettono in una canzone, si possono raggiungere moltissimi lavoratori poco istruiti o troppo indifferenti per leggere un editoriale.
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Secondo Alessandro Portelli, studioso dei movimenti operai e del folklore americano, Joe Hill si rivelò un genio della parodia; prendeva canzoni di successo, canti popolari, brani gospel e ne rovesciava il senso, mantenendone il suono. Utilizzava per esempio una canzone popolare, quella dell’eroico ferroviere Casey Jones , per trasformarlo nel crumiro che si ammazza per far correre i treni durante uno sciopero. Dalle canzoni di chiesa riprendeva la capacità di creare comunità, di cantare e improvvisare tutti insieme e le trasformava in inni all’unità operaia. Dalle bande dell’Esercito della Salvezza che annunciavano la beatitudine del Regno dei cieli, s’inventava la famosa frase “mangia e prega, campa di niente e avrai la tua torta in cielo”.
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Le sue canzoni hanno avuto un impatto fortissimo e duraturo, sono nate da dentro il proletariato ribelle, ispirate al linguaggio dei lavoratori che Joe aveva assorbito sui moli dei porti, fra i boscaioli, nelle miniere di rame, in tutti i posti dove aveva lavorato. La pubblicistica degli IWW e i canti proletari di Joe Hill furono la voce della collera e delle speranze dei lavoratori, che davano forza alle loro lotte e alla critica alla vita materiale che si conduceva. La propaganda era fatta di volantini e di forme di oralità con comizi tenuti davanti alle fabbriche e nei campi. Ma, come per molti ribelli e visionari e per molti movimenti di lotta dal basso, la sua storia non finì bene, come doveva finire anni dopo quella dell’ IWW. Nel 1913 Joe si era trasferito nello Stato dello Utah, nelle miniere di Park City presso la città di Murray, dove c’era una numerosa comunità svedese.
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Nel 1914 fu accusato dell’omicidio di un negoziante di Salt Lake City. Dopo un rapidissimo processo, fu condannato a morte. Ci fu un grande impegno del movimento operaio internazionale per evitare la condanna. Si disse che erano stati boss del rame a montare il processo, per fargli pagare il suo impegno sindacale a favore dei minatori. In realtà il caso non fu mai chiarito del tutto. In pratica fu un caso Sacco e Vanzetti ante litteram. In effetti, il clima politico e le opinioni nello Stato dello Utah non erano favorevoli al movimento operaio e agli Industrial Workers of the World.
Il Presidente Wilson riuscì ad evitare l’esecuzione per due volte, ma alla fine non ci fu niente da fare, Joe Hill fu fucilato il 19 Novembre del 1915. Pare che prima dell’esecuzione pronunciasse le parole “Don’t mourne for me: organize”, cioè non piangetemi, ma organizzatevi. 24
Ai suoi funerali marciarono trentamila lavoratori. Moriva cosÏ il sindacalista, il lottatore per i lavoratori e il fantasioso cantautore e nasceva il mito di Joe Hill. Una leggenda talmente leggendaria che qualcuno ha finito per dubitare dell’esistenza stessa dell’uomo, considerandolo un archetipo, un simbolo della tradizione radicale statunitense e della lotta per la giustizia economica e sociale per le classi svantaggiate.
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Da allora, fiorirono su di lui biografie, racconti, romanzi, film, spettacoli teatrali e canzoni. Tra i film si ricorda quello di Bo Widerberg del 1971, intitolato appunto “Joe Hill”. Quelle che furono più famose, furono le canzoni, soprattutto “I dreamed I saw Joe Hill last night”. Fu composta nel 1938 da Alfred Hays ed Earl Robinson e subito resa classica da Paul Robeson e più recentemente da Pete Seeger. I versi recitano “Ho sognato di vedere Joe Hill stanotte, vivo come me e te. Gli dissi, ma Joe, sei morto da anni; e lui: non sono morto mai. Dovunque i lavoratori lottano per i loro diritti, lì troverai Joe Hill” Una traccia di questa canzone c’è in “Furore” di John Steinbeck, e nel film di John Ford tratto dal romanzo, quando il protagonista dice “Dove si lotta per dar da mangiare a chi a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì”. Poi arrivarono anche Woody Guthrie e Bruce Springsteen che pure loro cantano ”Dove c’è un poliziotto che picchia qualcuno, io sarò lì”. Insomma, una storia appassionante e poco conosciuta, che affonda le sue radici in un’epoca di vita durissima per i lavoratori; anche dei lavoratori del mondo occidentale, che siamo portati a immaginare come sempre benedetto dalla prosperità e dalla giustizia sociale, una storia che ha qualcosa in comune con certe sofferenze e certe lotte del nostro mondo moderno e globalizzato.
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Cultura e Politica
I libri so’ piezze e core di Antonella BUCCINI
Sono stata vittima anch’io della diretta televisiva sulle consultazioni del nuovo governo. Mi sono appiccicata al televisore con l’atteggiamento della vittima incredula. Vi ricorderete del celebre sketch di Totò “voglio vedere questo stupido, dove vuole arrivare”.
Dunque, a un certo punto, nel corso delle comunicazioni dopo l’incontro con Mattarella, al richiamo di Conte a un nuovo umanesimo, il giornalista in studio lo iscri27
ve subito fra i radical chic, il popolo non avrebbe capito sostiene con sufficienza. Io sì. Avevo inteso il senso della frase del primo ministro in pectore. Quindi, secondo il noto sillogismo di Aristotele, non per niente ho fatto il classico, anch’io sono una radical chic, appartengo all’elite, ho fatto bingo! Dovevo fare i conti, però, con il sarcasmo del giornalista che tacciava il ricorso colto dell’avvocato del popolo come atto non solo politicamente svantaggioso ma spocchioso e incomprensibile. Facendo appello al medesimo sillogismo chi comprende un concetto più articolato non è popolo ma si annovera tra i raffinati e i privilegiati, l’elite insomma. Lo sono quindi gli insegnanti, vituperati da studenti, genitori, dallo stesso Stato, con stipendi indecorosi. Lo sono i medici stritolati dal precariato e da un sistema sanitario allo stremo. Lo sono i giovani che intendono fare impresa senza poter fruire di percorsi agevolati.
Che l’ignoranza fosse assurta a riferimento vincente lo avevamo capito da qualche tempo. 28
L’ottimo Tremonti, infatti, a una platea di leghisti, allora secessionisti, affermò che con la cultura non si mangia. Fu un’efficace sintesi di un processo già avviato e che sarebbe esploso con Salvini fino ad approdare al rutto libero.
Secondo l’organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico l’Italia è seconda solo alla Turchia per analfabetismo funzionale che si traduce nel non sapere elaborare e utilizzare le informazioni. Esiste in pratica un divario sensibile tra la realtà e quanto di essa percepiamo. Fenomeni complessi come l’immigrazione o la disoccupazione sfuggono a una comprensione che presupponga un’elaborazione. Tra tredici paesi analizzati l’Italia è la più ignorante. Ne consegue che anche sulla rete non siamo in grado di distinguere il vero dal falso. Ecco, un popolo così fa comodo. Anzi bisogna esaltarne i tratti beceri, alimentarli confinando ogni complessità a quelli che blaterano discussioni inutili e altezzose. 29
Ora mi chiedo: quei tre ragazzi che a Napoli hanno recuperato dai rifiuti della carta una montagna di libri di cui si è liberata, probabilmente, una libreria della zona, in quale categoria vogliamo collocarli? Hanno sistemato i libri nei cartoni e offerti ai passanti interessati. Hanno esortato il responsabile a non continuare perché loro sono disponibili a farsene carico. I libri so’ piezze e core mi viene da dire, parafrasando Filomena Marturano. Ecco questi tre ragazzi dovrebbero essere inclusi nei radical chic. Conoscono il valore della letteratura. Comprendono ciò che leggono e magari anche il significato di nuovo umanesimo che, in verità, sono andata a verificare, (per sicurezza!) su wikipedia, così magari sono un po’ popolo anch’io.
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Politica
Pensieri scorretti di Antonella GOLINELLI
Da quando sono tornata, la settimana scorsa, ho ripreso ad assistere alle trasmissioni di “approfondimento politico”. Senza rimarcare più di tanto la drammatizzazione delle #maratonamentana che comunque incidono nell'immaginario collettivo di una popolazione esausta, è mai possibile che nel volgere di un attimo, il tempo di un sospiro, si finisca inevitabilmente, qualsiasi sia l'argomento sul tavolo, a parlare di migranti? Ora, sono ben consapevole sia un problema MA NON SONO IL PROBLEMA!!!! (sì, con tanti punti esclamativi alla grillini, via).
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Siamo una nazione arretrata, livelli da terzo mondo e sempre e comunque dobbiamo parlare di qualche disgraziato? Il problema sono quei poveretti che sono mandati su gommoni che affondano alla ventura dopo essere stati internati nei lager libici. Ecco, partiamo da qui. Fior di rapporti e testimonianze indicano al mondo il fatto che in Libia ci sono i lager. Ascoltavo poco fa una psicologa che indicava i “disagi” di quei poveri deportati, compreso il senso di colpa dei sopravvissuti. Funziona cosi da anni. Nessuno ha mosso foglia per andare a demolirli. Nella mia maligna acidità mi viene il dubbio che, non essendo collocati nella civile Europa, non siano poi cosi importanti. Tanto meno gli internati. Mi volete spiegare, voi che capite, perché mai non si è costituita una forza internazionale sotto le insegne dell'ONU per intervenire in maniera drastica e definitiva su questa porcheria sull'uscio dell'Europa? Non mi tirate in ballo l'interesse delle attività economiche. Chi lavora in quelle attività ha delle condizioni di vita terrificanti. Ricordo colleghi che la notte erano rinchiusi, per evitare fossero rapiti, dentro container.
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Con tutte le comoditĂ , ma container. Con le guardie armate fuori. Sto parlando di tecnici. SarĂ poi ora di farla la finita (scusate l'espressione di derivazione dialettale)
Credo di non essere in beata solitudine se affermo che m’interesserebbe conoscere le posizioni che intendono esprimere, se mai arriveranno a farlo, rispetto alle politiche del lavoro, per esempio. Intendono reintrodurre l'art. 18? Intendono ridurre e disboscare la selva di contratti ancora esistenti? Intendono portare la settimana lavorativa a 35 ore? Intendono portare i salari nella media europea? 33
Intendono risolvere i tavoli di crisi (mi allargo: anche attraverso la nazionalizzazione, perchÊ non è vietato fare un po' di cassa non attraverso le tasse)? Intendono assumere negli apparati dello stato e degli enti e agenzie (chiamarlo parastato pare essere diventato peccato) attraverso concorsi massivi e ben indetti? A seguire: intendono risolvere tutti i problemi derivanti dalla legge Fornero? Con particolare attenzione alle vicende delle pensioni femminili soggette a quasi inevitabile discontinuità contributiva? Intendono riconoscere il lavoro di cura familiare?
Intendono dare il via a un programma abitativo pubblico (accantonando per un po' almeno l'utile privato)? 34
Intendono dare il via a un piano di manutenzione del territorio? Intendono avviare un piano d’investimenti pubblici sulle più varie materie che spaziano dai trasporti alle comunicazioni, dall'educazione alla sanità? Potrei andare avanti per ore con questi punti. C'è tanto di quel da fare e come farlo che non resterebbe il tempo per dormire la notte. E invece no! Migranti. Sempre solo migranti. E ONG.
Certo è un bel terreno di scontro propagandistico ma è utile a chi? A nessuno in pratica. Quindi, per favore, anche voi che sbraitate e sproloquiate dai teleschermi provate a essere un po' meno monomaniacali. Perché anche voi lucrate sulla pelle di questa povera gente. Voi e i vostri sponsor. Badate un po' a noi, grazie.
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Politica ed Economia
La manovra economica prossima ventura e l’Europa di Aldo AVALLONE
Un sondaggio del 30 agosto scorso, realizzato dalla società Demopolis, ha rivelato che i primi tre provvedimenti che gli italiani vorrebbero fossero attuati dal nuovo governo sono il blocco dell’aumento dell’IVA, la riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro e l’attuazione di misure di sostegno alle famiglie. Tutte assolutamente in linea con i programmi sia del Partito Democratico che del Movimento 5 Stelle. Da una stima effettuata da Il Sole 24Ore emerge che per scongiurare l’aumento dell’IVA occorrono all’incirca 23 miliardi e per attuare le altre due misure in maniera significativa ne occorrono almeno altri 10/12. 36
Si arriva pertanto a un totale di circa 35 miliardi di euro che il governo che nascerà dovrà necessariamente reperire per la manovra di fine anno. Si tratta evidentemente di una cifra importante che, per ragioni di consenso, non dovrà giungere da nuove tasse o da aumenti di quelle esistenti. Sembra davvero una sfida impossibile che il probabile Conte bis dovrà affrontare come primo passo decisivo per far sì che il cammino del nuovo esecutivo inizi in discesa. Ci aspettiamo le solite misure sul risparmio della spesa (e l’eventuale presenza di Cottarelli nella compagine di governo farebbe ben sperare) e la consueta, antica lotta all’evasione che, se dovesse davvero essere attuata seriamente, potrebbe produrre risorse inaspettate da investire per lo sviluppo. Si tratta ovviamente di provvedimenti che necessitano di una forte motivazione politica che auspichiamo possa manifestarsi ma di cui, la storia insegna, non si può essere per niente sicuri. Risorse aggiuntive potrebbero essere reperite rimodulando alcuni provvedimenti adottati dal vecchio governo, ad esempio “quota 100” che, avendo coinvolto una platea di aventi diritto minore delle aspettative, consentirà un risparmio di oltre 7 miliardi per i prossimi 3 anni. Anche il minor numero di richiedenti il reddito di cittadinanza, che non appare in discussione, potrebbe portare nelle casse dello Stato un extra gettito di circa 2 miliardi. Eppure l’aiuto più rilevante potrebbe giungere, in maniera inaspettata, dall’Europa. Nonostante le rituali smentite è in corso in sede Ue un dibattito sull’allentamento dei vincoli di riduzione del debito dei paesi membri. Una revisione delle regole sul rapporto deficit – pil sarà utile all’economia tedesca 37
da mesi in una fase di stagnazione ma a beneficiarne, oltre alla Germania, saranno a cascata tutti gli altri paesi dell’Unione. Appare evidente che un governo Pd-M5s, che metta all’angolo i sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia, sia gradito all’Europa e ai mercati. Il calo dello spread, che è ai minimi storici, ne è la conferma più evidente. Voci autorevoli raccolte a Bruxelles, riportate dal Sole 24Ore, parlano di una concessione all’Italia di uno sforamento del rapporto deficit-pil di un punto percentuale che, tradotto in soldoni, è pari a circa 15 miliardi di euro. Un aiuto considerevole alle finanze del nostro Paese ma, soprattutto, al governo che verrà per scongiurare l’aumento dell’IVA che avrebbe conseguenze drammatiche sui consumi e per attuare quelle misure di sostegno allo sviluppo che, mai come in questo momento, paiono assolutamente ineludibili.
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Sport e Storia
Gaetano Scirea, il Campione Buono di Antonio CARTAGINE
Era una domenica quella del 3 settembre 1989. Il campionato era iniziato da una settimana, perché dal giugno 1990 sarebbero iniziati nel nostro Paese i mondiali di calcio.
Ero a casa ed in quella maledetta domenica si disputava la seconda giornata di campionato. La Juventus era una squadra operaia, ma giocava un bel calcio ed era guidata da Dino Zoff che aveva voluto come suo collaboratore più fidato, proprio quel Gaetano Scirea suo compagno di squadra e soprattutto suo amico. Allora non c’erano le pay-tv e la giornata domenicale aveva come schema quello del pranzo, le radioline accese, 90°Minuto, Domenica Sprint ed infine la Domenica Sportiva. 39
Trascinata da Totò Schillaci, la Juve s’impose nettamente a Verona, con un perentorio 1-4. Quella squadra, nettamente inferiore al Milan degli olandesi, all’Inter dei tedeschi ed al Napoli di Maradona e Careca che avrebbe vinto lo scudetto, in quella stagione riuscì ad arrivare al terzo posto a pari merito dell’Inter e a vincere la Coppa Italia e la Coppa UEFA. Ma in quella domenica Gaetano Scirea non seguì la squadra bianconera a Verona.
Era andato in Polonia per seguire il Gornik Zabrze, la prima avversaria della Juve in Coppa Uefa. Quella trasferta gli fu fatale. Durante un trasferimento rimase coinvolto in un incidente autostradale e all’epoca la benzina in Polonia era merce rara e la si teneva nelle macchine per evitare che queste potessero rimanere senza carburante. L’impatto determinò lo scoppio del veicolo e Scirea abbandonò troppo presto sua moglie Mariella, suo figlio Riccardo e tutti noi. La notizia del suo decesso 40
si seppe durante la messa in onda della Domenica Sportiva. Fu Sandro Ciotti a darla. Ricordo ancora oggi, come fosse stato ieri, il volto di Marco Tardelli che non riuscì a trattenere la commozione. Scoppiò a piangere a dirotto e dopo abbandonò lo studio RAI di Milano. In quella maledetta sera, capì cos’era il dolore. Avevo 11 anni, piansi tutta la notte e ricordo ancora gli abbracci ed il conforto di mia madre e mio padre. Gaetano Scirea era per me non solo un semplice beniamino, ma un punto di riferimento sportivo ed umano. Oggi a trent’anni dalla sua morte, lo voglio ricordare con le parole di chi quella sera, come me ha pianto e si è commosso alla notizia della sua scomparsa: Marco Tardelli. “Gaetano Scirea era uno dei giocatori più forti del mondo, ma era troppo umile per dirlo o anche solo per pensarlo. Il suo essere silenzioso e riservato forse gli toglieva qualcosa in termini di visibilità, ma certamente gli faceva guadagnare la stima, il rispetto e l’amicizia di tutti, juventini e non. Questo non significa che fosse un debole o che non avesse niente da dire: al contrario, era dotato di una grande forza interiore e sapeva parlare anche con i suoi silenzi. Io e lui avevamo caratteri completamente opposti, ma stavamo bene insieme. Una volta venne a trovarmi al mare e giocammo insieme a nascondino. Una cosa strana per dei professionisti in Serie A, invece faceva parte del nostro modo di stare insieme e di divertirci in maniera semplice. Nel calcio d’oggi credo che si sarebbe trovato un pò spaesato, ma solo a livello personale. Calcisticamente era uno molto competente e avrebbe saputo rendersi anche autorevole. Diciamo che personaggi con il suo carattere, al giorno d’oggi, nel mondo del calcio non ce ne sono più".
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Politica
La democrazia (etero?)diretta di Fabio CHIAVOLINI
Allora. Rousseau ha votato - e ha detto sì al governo giallorosé, con quasi l’ottanta per cento dei consensi. Bene, si dirà: la consegna del Paese alle orde nazional-sovraniste è scongiurata, almeno per ora. Tutta
la
vicenda,
però,
necessita
di
42
qualche
ragionamento
in
più.
Non c’è bisogno di ribadire che ogni partito politico ha il diritto di darsi le regole interne e le formule di consultazione degli iscritti che meglio gli aggradano: dalla consultazione delle viscere degli uccelli alle piattaforme digitali, ogni mezzo è lecito. Ciò che non è lecito, invece, è che tali consultazioni si svolgano secondo modalità che consentano la facile manipolazione dei risultati. Rousseau ne è l’esempio tipico: per quanto possiamo dare aperture di credito all’etica ed alla morale di Casaleggio, resta il fatto che, secondo il Garante della Privacy, è nella capacità di manipolarne o falsarne i risultati a suo piacimento - e che nella medesima condizione sono i suoi collaboratori che gestiscono operativamente la piattaforma. Bisognerebbe confidare nell’assoluta etica sua e dei collaboratori, appunto: ma hanno l’”occasione” di farlo e siamo in Italia - Paese dove sappiamo cosa comporta, alla lunga, l’occasione. Come Laburista, non ho timore della Democrazia diretta: il movimento laburista ha inventato le prime formule di “consultazione istantanea” della Base - ed ogni Partito laburista è strutturato statutariamente in maniera tale da dare ampio rilievo agli “stakeholders” politici, con vincoli che ne rendono la vita una consultazione permanente della Base (altro che votare ogni tanto su quesiti decisi da non si sa bene chi).
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Personalmente, accetto la sfida della Democrazia diretta del M5S, quindi: ma mi pongo il problema delle regole. Di seguito, vi offro una serie di proposte per rendere la Democrazia diretta un patrimonio comune del Paese e di ogni sua forza politica, nel rispetto della Costituzione Repubblicana. Non mi sembra eccessivo, nĂŠ avventato, proporre una legge che:
1) istituisca la consultazione degli iscritti di tutti i partiti italiani in merito alla stipula di alleanze politiche per il governo del Paese, delle Regioni, delle Province e dei Comuni;
2) preveda medesima consultazione per l’approvazione del programma politico e 44
di governo, nonchĂŠ delle loro eventuali novazioni;
3) vieti la consultazione degli iscritti dei partiti in relazione ad atti parlamentari (vedi caso Salvini/Diciotti) perchĂŠ, a differenza di quella sulla stipula di alleanze politiche e sui macro-programmi politici, lede con certezza il divieto di mandato imperativo per i parlamentari - principio irrinunciabile sul quale si basa una democrazia (appunto) parlamentare;
4) deleghi lo svolgimento di dette consultazione a strutture terze e pubbliche, che 45
garantiscano la correttezza e segretezza del voto (al momento attuale, su Rousseau, i gestori della piattaforma possono avere contezza del voto di ogni iscritto al M5S, per ogni singola consultazione);
5) vieti la gestione delle piattaforme di consultazione ai privati;
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6) preveda l’istituzione di Albi degli Elettori, depositati presso adeguate e riservate strutture pubbliche, in maniera tale che sia possibile evitare che elettori di un partito possano inquinare le consultazioni interne di un altro (il cosiddetto “cammellamento”);
7) preveda come “già espresso” al partito politico d’appartenenza il voto degli iscritti negli Albi degli Elettori, nelle competizioni politiche ed amministrative nazionali, sino a richiesta di cancellazione da detti Albi da parte dell’elettore (sul modello USA); 47
8) crei l’istituto del referendum propositivo;
9) istituisca la figura giuridica della “petizione vincolante” che, al raggiungimento delle 100.000 firme adeguatamente certificate, vincoli l’Esecutivo ed il Parlamento alla discussione parlamentare dell’oggetto della petizione (una sorta di “mozione 48
parlamentare popolare”, sul modello britannico);
10) abolisca i Consigli Comunali nei Comuni sotto i 10.000 abitanti, prevedendo l’elezione della sola Giunta comunale e sostituendo il Consiglio Comunale con un’Assemblea dei Cittadini convocata mensilmente cui possano partecipare tutti gli elettori attivi del Comune, con diritto di presentazione di emendamenti da parte di una percentuale qualificata di almeno l’1% degli elettori, sul modello svizzero (si noti che i Comuni sotto i 10.000 abitanti, in Italia, sono 6.886 su un totale di 7.914 e vi risiede il 30,13% della popolazione del Paese ed oltre il 35% dell’elettorato attivo);
11) preveda lo svolgimento abituale delle consultazioni per via telematica - se non diversamente disposto - ma, tenendo in considerazione il problema del “digital di49
vide” (particolarmente sensibile per le componenti più anziane, più povere e meno digitalizzate della popolazione), preveda altresì l’approntamento di “centri per il voto telematico assistito” presso ogni Municipio, in modo da rendere le consultazioni comprensibili ed accessibili anche ai Cittadini che sarebbero, altrimenti, impossibilitati
a
parteciparvi.
Questa è una prima proposta, naturalmente emendabile ed ampliabile. Serve solo a dire che almeno un Laburista non ha nessun timore della democrazia diretta: semplicemente, voglio che l’espressione di tale modalità di consultazione dei cittadini diventi patrimonio condiviso, normato, regolato, rispettoso dell’impianto costituzionale del nostro Paese e viatico di maggiore democrazia e non di “dittature della maggioranza”. Alla Sinistra mi sento di dire: non temiamo la sfida su questo terreno - anzi, abbiamo il coraggio di rilanciare. La Sinistra non può aver paura del nuovo: facciamo nostre ed amplifichiamo - aiutandole a migliorare - le istanze di maggior ascolto e partecipazione che vengono 50
dalle classi popolari.
A Beppe Grillo, che ha chiamato tutti alla “sfida epocale” di “un’occasione unica” - ed al quale va dato atto di essere stato determinante nella nascita del Governo giallorosé – diciamo che raccogliamo la sfida politica, caro Beppe: apriremo la Democrazia diretta come una scatoletta di tonno. Senza “Elevati” e senza gestioni private degli strumenti di partecipazione e consultazione, però.
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