REDAZIONE Francesca Alba
3AS
Mattia Sarcuni
3BM
Marylea Albanese
4CS
Matteo Scarati
3AM
Rebecca Alessandria
3AS
Giuseppe Simone
4BM
Emanuele Ambrosecchia
4BM
Annamaria Soldo
4AC
Piero Baldassarra
4BM
Deniza Stankova
4BS
Gaia Bradascio
3AS
Nicole Tedesco
5AS
Monica Braia
5BS
Nicola Tragni
4AC
Leonardo Busto
3DI
Valerio Tubito
4CM
Samuele Columpsi
3AC
Luca Venezia
3BM
Paolo Costantino
3CI
Fabio Vizziello
4AS
Federica Dambrosio
4AC
Nicola D'Ambrosio
4AC
Anna D'amico
4BS
DOCENTI COLLABORATORI
Francesca Degiacomo
4AI
Mariella Cosola
Maria Antonietta Deperte
4AC
Camilla De Ruggieri
Carmine Mattia Di Taranto 3BM
Anna De Ruggiero
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4AC
Maria Teresa Lostrangio
Ilaria Donvito
4AS
Carla Moramarco
Piera Fiore
3CM
Maria Caterina Palazzo
Margherita Giampetruzzi
3AI
Silvia Pentasuglia
Davide Giannulli
3AI
Roberto Pietracito
Bruna Grieco
3AS
Anna Giovanna Serini
Pietro Inglese
3DI
Antonio Soranno
Sonia Lamacchia
4BS
Giuseppe Tataranni
Carmen Lorusso
3AC
Gian Domenico Manfredi
3AC
Debora Martino
3BI
Antonio Matera
3DI
Ettore Morgese
4BM
Renato Pavia
4AC
Angelica Pellegrino
4AC
Federica Pellegrino
3AC
Caterina Porsia
3AC
Arianna Radogna
3AC
Roberta Radogna
3AS
Carlo Raguso
4AC
Brunella Ranaldo
3AC
Giulia Raucci
3AS
Francesco Sala
3BM
Si ringrazia per la gentile collaborazione il prof. Francesco Ripullone e il prof. Luigi Todaro dell'Università degli studi di Basilicata Facoltà di Scienze Agrarie Dipartimento Scienze Forestali ed Ambientali
SOMMARIO EDITORIALE SCIENZA GREEN: UN'ALLEATA PER L'AMBIENTE
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SEMINARIO UNIBAS
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SCIENZE GLI ALBERI: PICCOLE MEMORIE CLIMATICHE LUCANIA, LA TERRA DEI BOSCHI… IN PERICOLO
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MATEMATICA IL CLIMA IN UN’EQUAZIONE LA PANDEMIA NON AIUTA L’UOMO, MA AIUTA IL PIANETA!
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CHIMICA LA PLASTICA E I CAMBIAMENTI DEL CLIMA NUOVE STRATEGIE PER LO SMALTIMENTO DELLA PLASTICA
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FISICA L’ERA DELL’IDROGENO: UN MONDO A ZERO EMISSIONI NEL “PAESE DEL SOLE” UNA VALIDA ALTERNATIVA ENERGETICA
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INGLESE A BREAK FOR MAN, A REBIRTH FOR NATURE MATERA, GREEN EXPECTATIONS
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FONTI
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Pentascienze - La rivista scientifica dell’IIS “G. B. Pentasuglia”
SCIENZA GREEN: UN'ALLEATA PER L'AMBIENTE Quante volte, parlando con amici, parenti, docenti, abbiamo sentito apostrofare, spesso anche con termini aspri e duri, le nuove tecnologie? Indipendentemente dal fatto che si trattasse di un cellulare, oggetto spesso preso di mira dagli appartenenti alla Generazione X, o dell’ultimo impianto per l’estrazione del petrolio, le nuove tecnologie destano sempre molto sospetto. Spesso, inoltre, vengono additate di essere la causa dell’inquinamento, o, più generalmente, di tutti i danni arrecati alla Terra e non solo. Secondo questa visione le nuove tecnologie non possono in alcun modo essere un bene e la soluzione a tutti i problemi correlati all’inquinamento può essere solo il “ritorno al passato”. Ciò implicherebbe una diminuzione della distribuzione delle plastiche e un minor utilizzo degli apparecchi tecnologici. Purtroppo questa soluzione drastica non è attuabile, stando al rapporto quasi simbiotico che abbiamo con la tecnologia e con i materiali plastici. È senz’altro vero che queste nuove tecnologie hanno creato dei disordini all’interno dell’ecosistema, ma è anche indiscutibile l’effetto benefico che hanno avuto sulla nostra vita. Se pensassimo ad un mondo senza auto, ci sembrerebbe impossibile viverci. Oggi riusciamo a raggiungere luoghi lontani in breve tempo, cosa che di certo era impossibile con i cavalli! Allo stesso modo, senza plastica non avremmo avuto apparecchi tecnologici, protesi mediche, recipienti per il trasporto di sostanze ben più resistenti e leggeri di quelli in vetro. Se le nuove tecnologie e i nuovi materiali hanno rivoluzionato le scienze, il nostro modo di vivere e il modo in cui ci relazioniamo al mondo che ci circonda, è possibile che possano fare lo stesso in un futuro più o meno prossimo e in senso più “green”? La risposta è: “Sì, certo!”. La rivista si è appunto occupata di capire come si stanno adoperando gli scienziati, con l’aiuto di tecnologie sempre più all’avanguardia, per cambiare le carte in tavola e far fronte all’inquinamento e ai danni correlati, senza rinunciare alle conquiste della modernità. Come? Studiando il clima con modelli matematici e prevedendo come si evolverà il surriscaldamento globale, studiando materiali alternativi alle plastiche o metodi per eliminarle in maniera più green, e tanto altro... In questo nostro viaggio ci siamo avvalsi della collaborazione di docenti e ricercatori universitari, che ci hanno aperto nuove e incoraggianti prospettive. La nostra redazione, composta da giovani “aspiranti scienziati”, ha voluto portare a galla i diversi problemi che affliggono il pianeta e le diverse strade per poterli risolvere e rendere il nostro futuro sempre più green.
Gian Domenico Manfredi 3AC
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Pentascienze - La rivista scientifica dell’IIS “G. B. Pentasuglia”
Seminario UniBas: “I cambiamenti climatici e le foreste” Prof. Francesco Ripullone - Prof. Luigi Todaro
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GLI ALBERI: PICCOLE MEMORIE CLIMATICHE
La vita di ogni essere vivente è influenzata dal clima; è quindi necessario monitorare i cambiamenti climatici utilizzando metodi diversi. Uno dei meno noti si avvale degli alberi: si tratta della dendrocronologia, la scienza che “studia il tempo mediante gli anelli di accrescimento degli alberi”. Tutti abbiamo provato a misurare l’età di un albero contando gli anelli annuali visibili sulla superficie del suo ceppo. È uno dei pochi segreti della foresta che conosciamo fin da piccoli. Eppure, vari scienziati si occupano ancora oggi degli anelli di accrescimento degli alberi, nella convinzione che essi siano in grado di darci molte preziose informazioni.
La crescita degli alberi è influenzata da numerosi fattori ambientali. Se la pianta attraversa un anno “difficile” si formerà un anello molto sottile. Al contrario, condizioni favorevoli (come temperature miti e piogge abbondanti) determineranno anelli molto ampi. Quindi, in aree con evidenti variazioni di temperatura e piovosità ridotta, l’effetto si traduce in ridotta crescita delle foreste e ridotta produzione di biomassa. Grazie alle nuove tecnologie, la dendrocronologia, dopo più di un secolo di esistenza, continua ad essere uno straordinario strumento per la scienza, permettendo agli scienziati di elaborare strategie necessarie ad affrontare problematiche moderne come la conservazione dello stato di salute delle foreste.
La dendrocronologia, infatti, aiuta a ricostruire le variazioni climatiche nel corso del tempo, in quanto in relazione ad esse, gli alberi crescono in modo diverso.
Anna D’Amico 4BS Sonia Lamacchia 4BS Debora Martino 3BI Giuseppe Simone 4BM Deniza Stankova 4BS
In Italia i primi studi dendrocronologici cercarono di individuare una frequenza nelle variazioni degli spessori anulari degli alberi (potenzialmente riconducibili al ripetersi di alcuni fenomeni naturali), i quali si comportano come delle vere e proprie banche dati, accumulando dati leggibili: nelle zone temperate lo spessore di ogni singolo anello di crescita può variare significativamente da un anno all’altro.
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LUCANIA, LA TERRA DEI BOSCHI… IN PERICOLO
Che cosa sono le foreste? Perché sono di fondamentale importanza?
combustione dei combustibili fossili come il petrolio, il carbone e il gas naturale, l’uso di fonti di energia che emettono gas a effetto serra nell'atmosfera, o con l’allevamento intensivo del bestiame e l’agricoltura intensiva. Solo poche volte, nella storia evolutiva del pianeta, una specie è stata in grado di condizionare tanto repentinamente fenomeni così globali.
Con il termine “foresta” si intende un'ampia estensione di terreno incolto, dove gli alberi crescono spontaneamente e costituiscono la vegetazione dominante. Negli ultimi decenni è stata evidenziata l’elevata vulnerabilità delle foreste causata dall’aumento delle temperature, dall’alterazione delle precipitazioni e lo stress idrico, da eventi meteorologici più estremi e frequenti.
Il deperimento delle foreste fa sì che gli alberi si indeboliscano, producano di meno, fino a morire apparentemente senza motivo.
Il cambiamento climatico del nostro pianeta sta già colpendo la salute delle nostre foreste, ma, in seguito al protocollo di Kyoto (UNFCCC) dell’11 dicembre 1997, l’attenzione nei confronti di questo problema è cresciuta ed ha assunto rilevanza, sia nell’opinione pubblica che nelle comunità scientifiche internazionali.
Questo preoccupante fenomeno interessa l’Italia e soprattutto la macchia mediterranea, uno dei più preziosi sistemi ecologici della Terra, ricchissimo in termini di biodiversità, ma anche con molti elementi di fragilità e quindi altamente suscettibile, sensibile ad eventuali brusche variazioni, quali gli innalzamenti di temperatura. La macchia mediterranea si può diversificare per composizione floristica e sviluppo strutturale; essa si divide in: Macchia alta, prevalentemente composta da specie arboree, con chiome che raggiungono i 4 metri d'altezza; Macchia bassa, prevalentemente composta da specie a portamento arbustivo, con chiome che raggiungono al massimo i 2-3 metri d'altezza.
Il cambiamento climatico è dovuto alla grande influenza che l’uomo esercita sul clima con le sue attività; per fare alcuni esempi: la 4
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Cosa succede in quella che, secondo una diffusa etimologia del nome Lucania, era conosciuta come terra dei boschi?
con scarsa fertilità; la percentuale delle specie coinvolte è aumentata in modo considerevole; oltre al 50% degli alberi di cerro mostra maggiore sensibilità verso i cambiamenti climatici, in particolare la riduzione delle precipitazioni in periodi dell’anno critici. La comunità scientifica è impegnata per salvaguardare il nostro importante patrimonio boschivo. Le foreste, senza alcun dubbio, costituiscono ecosistemi indispensabili. È importante salvaguardarle in quanto contribuiscono a proteggere il suolo dall’erosione, sono parte integrante del ciclo dell’acqua, forniscono habitat a molte specie viventi e regolano mitigandolo il clima locale. Assorbendo l’anidride carbonica dall’atmosfera, con la fotosintesi rendono a tutti disponibile l’energia del Sole e accumulano sotto forma di materia organica il carbonio, proprio per questo le foreste sono nostre fondamentali alleate nella lotta al cambiamento climatico globale.
Studi multidisciplinari sono stati finanziati da alcuni comuni della Basilicata con l’obiettivo principale di indagare sul fenomeno del deperimento, che sta interessando i boschi di querce caratteristici della macchia alta. Dal 2003, infatti, sono stati ripetutamente registrati segnali di sofferenza di questi importanti polmoni verdi del nostro territorio. Sono state effettuate analisi di tipo dendrocronologico, per delineare le differenze nei tratti anatomici tra piante sane e deperienti, ed ecofisiologico, tramite l’utilizzo degli isotopi stabili del carbonio e dell’azoto.
Marylea Albanese 4CS Emanuele Ambrosecchia 4BM Piero Baldassarra 4BM Roberta Radogna 3AS Giulia Raucci 3AS
Gli effetti negativi riscontrati riguardano le aree con terreno più superficiale, poco evoluto e
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IL CLIMA IN UN’EQUAZIONE Il cambiamento climatico con l’aiuto della matematica: l’equazione dei disastri del prof. Antonello Pasini Da qualche anno le giornate sono sempre più calde ma il mondo non si chiede il perché; assaporiamo il gusto delle passeggiate all’aperto anche in pieno inverno, delle gite a mare ad ottobre inoltrato ma non ci chiediamo mai se tutto ciò sia normale. Lasciamo correre quello che pensiamo di non poter cambiare, limitandoci a lamentarci, non vogliamo mai soffermarci a riflettere su piccoli ma grandi comportamenti che possono migliorare la vita presente e futura. Basterebbe ascoltare il parere di esperti, per capire cosa si nasconde dietro quel calduccio insperato, ma assolutamente innaturale, di cui godiamo anche in pieno inverno.
buendo in maniera sostanziale a danneggiare il clima dei paesi del terzo mondo. Questi ultimi, paradossalmente, non sono responsabili delle emissioni ma sicuramente sono vittime del riscaldamento globale: una vera e propria disparità internazionale. Pasini con il linguaggio della matematica, potente e universale anche al cospetto di eventi funesti, ha costruito una vera e propria “equazione dei disastri”. È un’equazione molto semplice già in uso per calcolare il rischio R da eventi naturali: R = P × V × E, dove R è ovviamente il rischio; P è “la probabilità che un fenomeno climatico di una certa intensità si verifichi in un certo periodo di tempo, in una data area”; V la vulnerabilità del territorio cioè “la propensione a subire danneggiamenti”, a causa di eventi esterni di una certa rilevanza; E il valore o la quantità di elementi a rischio presenti in una certa area. I termini che compaiono nell’equazione, vengono considerati tutti indici di valore compreso fra 0 ed 1. Poiché il rischio è dato dal prodotto di tre fattori compresi fra 0 ed 1, anch’esso varierà nel medesimo intervallo, dove un rischio prossimo a 0 viene considerato basso, mentre un valore tendente ad 1 è sinonimo di rischio elevato. Le tre variabili P, V ed E non rimangono sempre le stesse: nel recente passato i valori in gioco stanno spostandosi tutti verso quota 1, accrescendo notevolmente il rischio. A causa delle attività umane, il rischio tende ad esasperarsi in tutte le sue componenti: il riscaldamento globale di origine antropica intensifica la probabilità (P) che si verifichino eventi meteo-climatici violenti; azioni umane come il disboscamento o la cementificazione del suolo aumentano la vulnerabilità (V) a ondate di calore o alluvioni; mentre l’urbanizzazione aumenta l’esposizione (E) di un numero crescente di persone, edifici, infrastrut-
Antonello Pasini, climatologo e docente di Fisica del Clima presso l’Università di Roma 3, si è, a lungo, occupato del tema del cambiamento climatico, in particolare dell’aumento della temperatura. Secondo l’esperto, a partire dagli anni ’60, del secolo scorso c’è stato un forte aumento della temperatura media globale, con una rapidità che non ha uguali nel passato. La causa fondamentale di questo aumento è la maggiore quantità dei cosiddetti “gas serra” (come l’anidride carbonica, il metano, il protossido di azoto) presenti in atmosfera, dovuta alle combustioni fossili di carbone, petrolio, gas naturale, alla deforestazione e ad un’agricoltura spesso non sostenibile. E se, storicamente, la responsabilità maggiore delle emissioni di questi gas in atmosfera era dei paesi industrializzati, ora anche alcuni paesi emergenti, come quelli dell’Est del mondo, stanno contri6
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ture e attività produttive insediate in zone a rischio. Questi sono i termini dell’equazione che conduce direttamente al disastro. È evidente la presenza di una stretta correlazione fra i tre termini dell’equazione e le azioni umane. Se da un lato la situazione attuale risulta decisamente preoccupante, dall’altro, sapere che siamo vittime delle nostre stesse scelte, ci offre l’opportunità di cambiare. Gli studi di Pasini possono essere sostenuti con l’analisi di grafici e dati riguardanti l’aumento della temperatura e delle emissioni di CO2.
Lo studio del 2013 del glaciologo Renato Colucci, conferma, attraverso il seguente grafico, come negli ultimi 150 anni, in particolare negli ultimi 30, la temperatura sia aumentata.
Lo studio della variazione della temperatura avviene, attraverso l’analisi dei pollini antichi, il decadimento radioattivo degli isotopi nei sedimenti dei fondali marini, o la concentrazione di gas serra all'interno delle carote di ghiaccio. Ed è proprio grazie a queste ultime, che è stato possibile analizzare l’andamento dei gas contenuti nell’atmosfera terrestre. Secondo le previsioni dell’Ipcc (organismo dell’ONU che si occupa del cambiamento climatico), entro la fine del secolo, il Pianeta potrebbe essere “interamente tropicale” con mari più alti di circa 20 metri e temperatura di 4/5 gradi °C in più. Si tratta di una situazione davvero delicata, che potrebbe scatenare eventi dannosi per l’uomo e il pianeta stesso
In questo grafico, possiamo osservare come, rispetto all’età pre-industriale, la temperatura sia in constante aumento (si parla di 0,2 gradi °C per decennio) e si viaggia su una traiettoria di aumento della temperatura di 2,7 gradi °C, entro la fine del secolo. Come detto prima i maggiori responsabili sono i gas serra, in particolare possiamo osservare l’impatto preponderante delle emissioni di CO2. Negli ultimi trent’anni infatti sono state immesse 871 giga tonnellate di CO2, con una media di 29 giga tonnellate all’anno.
Ma abbiamo un prezioso alleato: la scienza. Essa ci offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente che possiamo utilizzare per evitare il repentino e inarrestabile cambiamento climatico. È evidente, quindi che serve un cambiamento culturale forte. Non tutti sanno quanto sia pericolosa la situazione attuale del riscaldamento globale, mentre sarebbe molto importante che tutti ne venissero a conoscenza. Ciò ci permetterebbe di continuare ad aver vita nel nostro prezioso pianeta e, allo stesso tempo, a garantire un futuro alle generazioni a venire. Leonardo Busto 3DI Francesca Degiacomo 4AI Pietro Inglese 3DI Antonio Matera 3DI Matteo Scarati 3AM
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LA PANDEMIA NON AIUTA L’UOMO, MA AIUTA IL PIANETA! Come la pandemia ha migliorato la salute della Terra! Da febbraio 2020 l’umanità ha focalizzato la sua attenzione sulla pandemia globale dovuta al Covid-19, un nemico invisibile che ha colto tutti di soppiatto costringendoli a rimanere a casa. I lavoratori sono stati obbligati ad esercitare le loro professioni in smartworking, le scuole sono state chiuse, cosi come ogni luogo della socialità. Si sono interrotte vacanze e viaggi, le persone hanno imparato a vivere esclusivamente con i servizi essenziali. Con una mobilità così limitata è stato inevitabile che quasi nessuno, per un lungo periodo di tempo, ha utilizzato la propria automobile, così come altri mezzi di trasporto. Se ciò può aver causato problemi economici, come la perdita di posti di lavoro e sociali, come l’alienazione e le difficoltà interpersonali, è anche vero che l’ambiente non si è di certo fatto sfuggire questa occasione; infatti se da un lato troviamo un aumento esponenziale della disoccupazione, dall’altro possiamo osservare un netto miglioramento delle emissioni dei combustibili fossili.
resto del mondo. Al contrario negli States il calo è stato di oltre mezza tonnellata, ciò è segno di una forte unità nazionale di cui beneficerà il mondo intero. Vi è stato un lieve miglioramento anche in Unione Europea ed India. Nel vecchio continente, moltissimi magnati del petrolio e del gas, ostacolano l’avanzamento del fenomeno green, creano sempre più scandali all’interno dell’economia mondiale e rallentano la vera rivoluzione green.
Secondo il Global Carbon Project le emissioni di CO2 nel 2020 ammontano a 34 miliardi di tonnellate, con un abbassamento di 2,4 miliardi di tonnellate rispetto al 2019. Questa diminuzione è il più grande calo annuale delle emissioni mai registrato nella storia; le stime affermano che le maggiori riduzioni si trovano nei più grandi “inquinatori” del mondo: Stati Uniti (-12%), Unione Europea (-11%), India (-9%) e Cina (-1,7%).
I vari blocchi imposti durante il lockdown hanno portato una riduzione di CO2 nei vari settori produttivi.
Gli scienziati, grazie ad un’attenta analisi dei dati ed un costante lavoro di ricerca, hanno stilato grafici che rappresentano la situazione a livello ambientale. Come si evince da questo istogramma durante il 2020 la Cina, primo paese al mondo per emissione di combustibili fossili è stata quella che ha ridotto di pochissimo il consumo delle fonti non rinnovabili. Ciò evidenzia che la nazione consuma ampiamente queste risorse e il cammino verso la “rivoluzione green” è più lento rispetto al
Osservando la serie temporale possiamo affermare che il trasporto, sia pubblico che privato, e le industrie, in particolare quelle di mediegrandi dimensioni, sono i reparti in cui la “ricadu8
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ta green” è stata più evidente. Infatti constatiamo che il calo di emissione di CO2 è diminuito nettamente rispetto ai mesi Aprile - Maggio in cui, al contrario, aveva raggiunto il picco massimo. Sommando i valori dei vari settori, la riduzione totale ammonta al 9,8%.
ad esempio Lombardia e Veneto, il cambiamento non è stato così radicale; nelle zone dove invece il traffico non era troppo intenso anche prima della chiusura generale, come Valle d’Aosta, Molise e Basilicata, si è verificato una frenata pari al 70%. Oggi che per nostra fortuna, siamo tornati ad una vita quasi normale, molti studi hanno verificato che i livelli di inquinamento e il consumo, per meglio dire lo spreco, delle fonti non rinnovabili sono tornati ai livelli pre-pandemia e, addirittura, lo scioglimento di ghiacciai e l’innalzamento della temperatura stanno procedendo molto più spediti del normale. Quando analizziamo questi dati le domande sorgono spontanee: “Serve davvero una pandemia mondiale per far sì che le emissioni diminuiscano?”; “o forse è sufficiente qualche piccolo gesto per evitare il disastro naturale?” “Forse non è più conveniente, anche per la nostra salute, che ognuno di noi, nel suo piccolo, faccia qualche azione per salvare il pianeta?” Non crediamo che ci possa essere una risposta ai nostri interrogativi se non cambiamo tutti le nostre cattive “abitudini inquinanti”.
È necessario per questo operare una strategia a lungo termine basata su una riduzione della mobilità, che promuova politiche di smartworking e digitalizzazione nazionale. Se guardiamo in particolare, la nostra nazione, quest’ultimo grafico ci mostra la diminuzione del traffico che si è registrata in ogni singola regione.
È palese, infatti che esiste una lenta ma pur preziosa evoluzione, però, non è sufficiente. Alla superficialità dei nostri comportamenti si uniscono i politici di tutto il globo che sottovalutano la pericolosità delle loro azioni, segnate solo dall’interesse economico poco conciliabile con la salvaguardia del pianeta. Forse, solo noi giovani abbiamo un quadro chiaro del disastro ambientale che stiamo vivendo e vogliamo gridare a gran voce la necessità di un’urgente inversione di rotta.
Possiamo notare che in tutte le regioni si è registrato una diminuzione del traffico superiore del 60% (più dei 2/3). Anche in questo caso è opportuno fare però alcune osservazioni: per prima cosa questo calo non risulta del tutto uniforme, ma presenta differenze importanti: nelle regioni dove “di norma” avveniva un flusso più intenso,
Samuele Columpsi 3AC Margherita Giampetruzzi 3AI Davide Giannulli 3AI Caterina Porsia 3AC Arianna Radogna 3AC
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LA PLASTICA E I CAMBIAMENTI DEL CLIMA Il premio Nobel Giulio Natta affermava:
teriale leggero, modellabile e la sua nascita ha segnato una svolta nella vita di tutti e nei più disparati campi delle scienze e non solo. Dobbiamo infatti dire grazie alla plastica per tantissime cose: protesi mediche, macchinari all’avanguardia, contenitori per il trasporto di sostanze e viveri.
“Il futuro appartiene ai tecnopolimeri e polimeri speciali che saranno prodotti forse in quantità più ridotte, ma saranno essenziali per il progresso dell'umanità"
Si sbagliava…
Isola di plastica Foto di Brunella Ranaldo
Purtroppo, però, come tutte le cose, anche la plastica ha i suoi lati negativi, che sono stati messi in evidenza quando l’uomo ha iniziato ad abusarne, come una droga. Infatti, a causa dei rifiuti plastici smaltiti in maniera errata stanno morendo moltissimi animali, sulla terraferma tanto quanto nei mari. Inoltre, le correnti marine “raccolgono” la plastica e ciò determina la formazione di vere e proprie “isole di plastica”. La più grande è 8 volte l’Italia ed è più estesa del Messico. Si tratta della South Pacific Garbage Patch, con una superficie che si aggira intorno ai 2,6 milioni di chilometri quadrati. Purtroppo, non è l’unica e le dimensioni di queste isole di spazzatura sono ormai sempre più preoccupanti.
La plastica è un materiale che si trova ovunque attorno a noi. Da un punto di vista chimico si tratta di polimeri, cioè lunghe molecole lineari composte principalmente da carbonio e idrogeno, ai quali possono essere aggiunte altre sostanze chimiche che fungono da “additivi”. Questi additivi permettono alla plastica di avere caratteristiche particolari, come il colore, l’elasticità o la resistenza. Il primo antenato della plastica nacque nel 1863, quando l’inventore americano John Wesley Hayatt inventò la celluloide. Questo materiale, per quanto rivoluzionario, aveva un problema: era estremamente infiammabile e quindi la sua produzione era molto rischiosa. Nel 1907 venne quindi inventata la bakelite, un nuovo tipo di plastica che era molto meno infiammabile e divenne quindi molto popolare. In seguito, vennero il nylon, il vinile, il poliestere e tantissime altre tipologie di materiali che ancora oggi sono ampiamente utilizzati. Queste semplici, lunghe e bellissime molecole hanno segnato la nostra epoca come poche altre sostanze. La plastica, infatti, è un ma-
La sovrapproduzione di plastica comporta anche l’elevata emissione di gas serra nell’atmosfera. Infatti, la maggior parte delle materie prime impiegate nella produzione dei polimeri deriva dal petrolio, che va estratto, trasportato e distillato; segue la lavorazione, e i prodotti finali vanno trasportati e distribuiti. Ognuna di queste fasi comporta l’impiego di mezzi di trasporto che utilizzano combustibili, con le conse10
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guenti emissioni di grandi quantità di gas serra… e siamo solo a metà strada: alla fine della sua vita utile, la plastica va impilata, trasportata ai siti di riciclaggio, smaltita, talvolta in inceneritori dai quali si liberano fumi non proprio benefici. Nel 2015, le emissioni di CO2 dovute alla plastica sono state di 1,8 miliardi di tonnellate, un numero destinato a salire, vista la costante e crescente domanda di plastica. Inoltre, per aumentare la disponibilità di materie prime, negli anni si sono messe a punto tecniche sperimentali che si sono dimostrate anche molto dannose per l’ambiente, come il “fracking”. Questo metodo, utilizzato soprattutto negli Stati Uniti, sfrutta la pressione di particolari fluidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, in modo da aumentare le rese di estrazione degli idrocarburi dal sottosuolo.
Un salto nel futuro: le bioplastiche Quando si parla di bioplastica si intende un materiale prodotto, in parte o totalmente, a partire da materie prime di origine biologica, come zuccheri, scarti di legno (truciolato), fecola di patate, cellulosa, emicellulosa e lignina (polimeri presenti nei vegetali). In base al tipo di smaltimento esistono tre tipi di bioplastica: Bioplastica biodegradabile: si decompone in maniera naturale per azione degli agenti atmosferici, batteri e funghi; Bioplastica compostabile: deve essere separata dai rifiuti comuni per poter essere poi compostata in un apposito impianto industriale, così da trasformarla in compost per mezzo di batteri, enzimi e funghi “selezionati” per svolgere tale lavoro.
Durante il fracking, per permettere al gas di fuoriuscire, vengono pompati nel terreno fino a 16.000 litri di liquidi sotto pressione al minuto, addizionati ad agenti chimici e sabbia. Tra i principali: naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formaldeide, acido solforico, tiourea, cloruro di benzile. Ma non mancano le sostanze radioattive come i vari isotopi di antimonio, cromo, cobalto, iodio, zirconio, potassio e tanto altro. Tutti agenti cancerogeni e altamente tossici. Durante tale processo si liberano nell’atmosfera grandi quantità di idrocarburi leggeri, pericolosissimi gas serra. Potete trarre le facili conclusioni…
Bioplastica non biodegradabile: si ottiene a partire da materie prime biologiche, mescolate a polimeri plastici tradizionali. Un esempio è l’acido polilattico, PLA. Si comprende, dunque, che quando parliamo di bioplastica non ci riferiamo ad un materiale a impatto ambientale nullo (un’utopia). Il prefisso “BIO” potrebbe identificare anche solo sostanze prodotte da materie prime di origine biologica, mentre la loro biodegradabilità e l’impatto sull’ambiente variano a seconda della tipologia di materiale costituente. Tuttavia, le bioplastiche rappresentano l’alternativa green alle plastiche tradizionali, perché ne condividono le stesse caratteristiche fisiche, quali robustezza ed elasticità, mentre risultano meno inquinanti per diversi motivi: innanzitutto la loro biodegradabilità, la provenienza da materie prime rinnovabili e, cosa non meno importante, l’assenza di sostanze quali ftalati e bisfenolo, comunemente presenti nelle plastiche tradizionale.
Le domande che ci poniamo e che si pone il Parlamento Europeo sono: Esistono dei materiali più “green” che possano sostituire la plastica? È possibile smaltire in modo efficace la plastica prodotta?
Dunque, le bioplastiche potrebbero essere la tanto attesa svolta ambientale, sebbene la “malattia della plastica tradizionale” alloggi ancora nei cuori di molti. Questo anche perché la ricerca e la produzione di questi nuovi materiali è nettamente più costosa rispetto alla lavorazione
Locandina NO-fracking
All’interno di questo dossier, proviamo a fornire alcune risposte… 11
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degli idrocarburi per la produzione delle plastiche tradizionali e questo incide molto sul prezzo finale; inoltre, anche le proprietà tecnologiche dei nuovi materiali non hanno ancora raggiunto i livelli delle vecchie materie plastiche.
alla diminuzione del consumo di plastiche. Entriamo un po’ nello specifico… È stato prodotto in laboratorio un nuovo materiale ad opera di un batterio, l’Escherichia Coli, che, grazie a modifiche genetiche, è in grado di sintetizzare proteine simili a quelle che compongono la seta dei ragni, le spidroine. Le proteine così ottenute sono molto più piccole di quelle prodotte dai ragni ed è per questo che vengono chiamate minispidroine. Al contrario della seta naturale, questa nuova seta artificiale è più spessa ed elastica e, quindi, deformabile. Come quella naturale, invece, è biocompatibile e 100% ecofriendly.
Nonostante tutto, però, gran parte della ricerca è rivolta alla messa a punto di questi nuovi materiali e le esperienze al riguardo sono numerosissime e originali. Particolarmente interessante è l’impiego di rifiuti o scarti di alcune lavorazioni che vengono convertiti in sostanze plastiche: un metodo vantaggioso per tutti! Un esempio è quello della S.E.C.I., holding del Gruppo Industriale Meccaferri, che, con Bioon hanno annunciato la firma di un accordo che prevede l’acquisto di una licenza per la produzione di bioplastiche a base PHA da glicerolo, che si ottiene come sottoprodotto della produzione di biodiesel.
Grazie a queste e altre caratteristiche, la minispidroina è un materiale perfetto per prodotti biomedicali, ma non si esclude che possa essere utilizzata anche per la realizzazione di tute Latrodectus tredecimguttatus sportive e altri capi di Foto di Gian Domenico Manfredi abbigliamento, in sostituzione di molti materiali plastici comunemente usati. Il costo, al contrario di quello che si potrebbe pensare non è affatto elevato, anzi... grazie all’elevata resa del processo di produzione che vede coinvolti essenzialmente Escherichia coli in una soluzione di acqua e nutrienti, e che avviene in un bioreattore che simula le condizioni dell’opistosoma (parte del corpo dell’aracnide in cui avviene la produzione di seta), la seta prodotta risulta essere relativamente economica.
Un’altra esperienza interessante ci è stata riferita dal Dr. Gabriele Greco, ricercatore dell’Università di Trento, che, nel corso di un incontro con la nostra redazione, ci ha parlato del lavoro di ricerca che diverse industrie e università in America e in Svezia stanno svolgendo sulla produzione di “seta di ragno artificiale”. Quando si parla di seta solitamente si fa riferimento alla costosa, abbastanza pregiata e sempre meno comune seta prodotta dal baco appartenente alla specie Bombyx mori. È, invece, abbastanza difficile credere che anche i ragni, acerrimi nemici di molti esseri umani, e considerati da tanti utili solo per cacciare mosche e zanzare, possano venirci incontro nella lotta al cambiamento climatico e
Paolo Costantino 3CI Carmen Lorusso 3AC Gian Domenico Manfredi 3AC Brunella Ranaldo 3AC
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NUOVE STRATEGIE PER LO SMALTIMENTO DELLA PLASTICA La differenza sostanziale tra le sostanze naturali e la plastica (che non lo è) sta nel loro ciclo di vita: mentre per le prime esso è limitato nel tempo, le materie plastiche non sono biodegradabili; a causa della loro persistenza nell’ambiente, se da un lato si accumulano creando le enormi isole di plastica, dall’altro si riducono di dimensioni talmente tanto da diventare pervasive ed entrare nel ciclo alimentare che, partendo dalla fauna marina, arriva fino all’uomo, sotto forma di microplastiche. La gestione del rifiuto “plastica” è davvero la sfida delle sfide in campo ambientale… ma l’uomo è destinata a perderla?
neare”, fondato invece sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”, che dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso costo. Il modello virtuoso dell’economia circolare si sta diffondendo a tutti i livelli e in molti ambiti e anche la ricerca scientifica si muove in questa direzione. In un nostro recente incontro con i docenti dell’Unibas, prof. Francesco Ripullone e prof. Luigi Todaro, abbiamo appreso che, ad esempio, anziché bruciare gli scarti della lavorazione del legno, con conseguente aumento della CO2 in atmosfera, i loro gruppi di ricerca stanno lavorando alla produzione di tavole di compensato che possano sostituire i normali materiali edili.
Alcune soluzioni si intravedono e sono fornite dalla ricerca che, grazie alle nuove biotecnologie e a quel modello di sviluppo che è l’economia circolare, sembrano prospettare soluzioni a una problematica tuttora ritenuta insormontabile.
Economia circolare L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. Ritornando alla plastica, l'università statunitense di Stanford ha sviluppato un tessuto prodotto con la plastica riciclata che è più fresco del cotone. Le sue fibre, infatti, consentono al sudore di abbandonare rapidamente il corpo regalando una sensazione di freschezza. Questo tessuto è costituito da un materiale che rappresenta una nuova forma di polietilene (la più comune tra le materie plastiche) e che, grazie alle nanotecnologie, ha una struttura tale da poter essere utilizzata nella confezione di indumenti. Questa scoperta, nel lungo periodo, potrà avere riscontri positivi non solo nel campo dell’abbigliamento, ma anche nel campo energetico: garantendo un miglior raffreddamento della pelle nella stagione estiva, si potranno abbattere i consumi legati agli impianti di condizionamento degli edifici.
In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. I principi dell’economia “circolare” contrastano con il tradizionale modello economico “li13
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di un’evoluzione che, grazie a ulteriori ricerche, porterà a batteri insaziabili in grado di smaltire rapidamente le plastiche.
Batteri e funghi mangia plastica Un’altra risposta all’inquinamento da plastiche è costituita dalla scoperta di alcuni microrganismi in grado di mangiare la plastica. Più promettente appare uno studio americano che ha recentemente riportato le proprietà del fungo endofita (che vive all’interno di altri organismi) Aspergillus tubingensis: esso secerne enzimi in grado di degradare i polimeri che costituiscono la plastica nel giro di poche settimane. Questa specie è stata isolata nella spazzatura di una discarica di Islamabad, in Pakistan, e poi studiata in laboratorio. Da questi studi, ancora in via di definizione, è emerso che il micelio del fungo, cioè il suo apparato vegetativo formato da un intreccio di filamenti, è in grado di colonizzare un foglio di materiale plastico in poliuretano o poliestere, causando la degradazione della sua superficie.
Ideonella sakaiensis: è questo il nome del batterio affamato di plastica isolato dall'équipe di scienziati del Kyoto Institute of Technology. Il suo ruolo l’avrete già intuito, ma lo chiariremo meglio in questo articolo. Il batterio dapprima secerne enzimi che innescano la reazione di demolizione della plastica, e, successivamente, digerisce parte dei prodotti. La reazione che porta alla demolizione della plastica è detta di idrolisi, perché la rottura dei legami avviene tramite l’effetto dell’acqua; la reazione avviene in due stadi: il primo stadio consiste nell’attacco da parte del batterio di una superficie plastica con conseguente formazione dell’enzima PETase, che provoca la rottura dei legami presenti nel PET, il polietilentereftalato, una delle plastiche più diffuse al mondo, formando molecole più piccole, il BHET e il MHET; queste ultime vengono scisse nel secondo stadio in molecole di base i cui atomi di carbonio possono essere digeriti dal batterio e assimilati come nutrienti. Il processo, purtroppo, è abbastanza lento; questo però potrebbe essere l’inizio
Abbiamo dunque visto che la ricerca può offrire ampie prospettive per ovviare al problema dell’inquinamento e che un migliore sfruttamento dei rifiuti, oltre a ridurre l’impatto ambientale, limita lo spreco di risorse e materie prime. La chimica e le tecnologie in genere, dopo essere state additate per molto tempo come la causa principale dei problemi ambientali, ora sono in prima linea nell’adoperarsi per porne rimedio. Nicola D’Ambrosio 4AC Federica Dambrosio 4AC Valeria Di Tinco 4AC Renato Pavia 4AC Federica Pellegrino 3AC Carlo Raguso 4AC
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L’ERA DELL’IDROGENO: UN MONDO A ZERO EMISSIONI Come uscire dalla crisi energetica Nell’ultimo decennio la richiesta di energia sta vistosamente aumentando e probabilmente, continuerà a crescere. È risaputo che la sua produzione, purtroppo, è strettamente legata all’utilizzo dei combustibili fossili, molto dannosi per l’ambiente. Si è cercato, così, di sviluppare nuove centrali energetiche sostenibili recuperando altre fonti naturali, e poco inquinanti. Osservando la natura notiamo che tutto parte dall’acqua e, precisamente, da ciò che la compone: idrogeno e ossigeno. Se, come è noto, l’acqua è costituita da due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno (H20), perché non ripartire e ricavare energia, quindi, proprio dall’idrogeno? Ma come fare? Ecco che gli scienziati, i fisici e gli ingegneri si sono adoperati alla progettazione di impianti per la produzione e l’utilizzo di idrogeno.
sta sperimentando con le celle a combustibile, in modo da generare energia elettrica. È una risorsa, talmente diffusa che possiamo ritrovarla, anche se in quantità ancora esigue, all’interno delle nostre case: combinata con il gas naturale della rete o, negli impianti più recenti, usata integralmente per il riscaldamento domestico. È evidente, quindi, che l’idrogeno ha uno spettro di funzionalità molto ampio ed essendo molto abbondante può rappresentare, davvero una risorsa fondamentale. È una sostanza non tossica ed è persino in grado di produrre, come scarto, acqua potabile. Certo non è accessibile a tutti: infatti, i processi di estrazione dell’idrogeno sono molto costosi e difficilmente potranno essere sostenuti da tutti i paesi del mondo, specie i più poveri. Inoltre non va dimenticato il problema dello stoccaggio: infatti, per comprimerlo allo stato liquido sono
Tra i metodi per la produzione di idrogeno quello maggiormente utilizzato è l’elettrolisi. Questo processo richiede l’impiego di grandi quantità di energia elettrica utilizzata per dividere i suoi componenti. Una volta ottenuto, l’idrogeno puro viene stoccato in speciali bombole per essere, successivamente, utilizzato come fonte energetica. Attualmente il suo utilizzo è ancora molto poco sviluppato a causa del suo basso rendimento e difficoltà di elaborazione. Gli ultimi avanzati studi ingegneristici stanno sperimentando la maniera per valorizzare al massimo questa risorsa apparentemente illimitata. I brevetti sviluppati, inoltre, hanno come obiettivo comune l’abbandono graduale dei combustibili fossili favorendo, quindi, la salvaguardia ambientale. Fino ad oggi, questa risorsa è stata utilizzata in alcuni processi industriali che, altrimenti, produrrebbero l’emissione di enormi quantità di CO2 come, ad esempio, alcune lavorazioni dei metalli, produzione dell’acciaio o la fusione del vetro. Ma le applicazioni più innovative riguardano il campo automobilistico: ad esempio, attraverso uno speciale trattamento chimico, l’idrogeno permette di produrre una sostanza simile al petrolio greggio (E-fuel). C’è anche chi lo
necessarie temperature molto basse. Nonostante questi svantaggi, tutti ormai propendono per un uso efficace dell’idrogeno. Persino Il Parlamento Europeo si è mosso in questo senso lanciando II progetto Europa 2050 con lo scopo di decarbonizzare il continente e incentivare l’uso delle energie rinnovabili. Quindi, è lecito chiedersi: se l’idrogeno presente nel vecchio continente può arrivare a rappresentare il 24% della domanda energetica, perché non partire proprio da lui? Gaia Bradascio 3AS Carmine Mattia Di Taranto 3BM Francesco Sala 3BM Annamaria Soldo 4AC Valerio Tubito 4CM 15
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NEL “PAESE DEL SOLE” UNA VALIDA ALTERNATIVA ENERGETICA Gli impianti fotovoltaici scelta vincente per l’energia green La penisola italiana da sempre è considerata il paese del sole. Bagnata da tre mari, al centro del Mediterraneo, il nostro paese gode di un clima invidiabile. Purtroppo però, come in qualsiasi parte del mondo, anche in Italia l’atmosfera è oscurata dai fumi e gas; l’aria non è più pulita e, lo splendido sole che illuminava le nostre città e le nostre campagne emana una luce fioca e debole. Il cambiamento climatico sta galoppando verso il baratro e, dopo secoli di sperpero energetico, il nostro pianeta ci sta chiedendo il “conto”. Non potrà più provvedere al nostro benessere, non potrà più rifornirci l’energia necessaria: dobbiamo pensarci noi. Per questo la crescente attenzione verso le tematiche ambientali sta portando in misura maggiore al ricorso di fonti di energia pulita.
del sole, induce la «stimolazione» degli elettroni presenti nel silicio di cui è composta ogni cella solare. Questi elettroni vengono «eccitati» e iniziano a fluire nel circuito producendo corrente elettrica. Ogni sistema fotovoltaico, per essere efficiente, deve avere almeno due componenti di base: i moduli fotovoltaici, composti da celle fotovoltaiche che trasformano la luce del sole in elettricità; uno o più inverter, apparecchi che convertono la corrente continua in corrente alternata. Purtroppo, l’efficienza di conversione di ogni impianto fotovoltaico non è del 100%; anche i migliori moduli hanno un’efficienza di conversione intorno al 20-22%. Ciò significa che solo un quinto dell’energia solare che colpisce i pannelli viene effettivamente convertita in elettricità.
Sono diverse le alternative disponibili. Una di quelle che ha raggiunto uno sviluppo enorme, specialmente nel nostro paese, è quella degli impianti fotovoltaici.
Oltre a questo fattore «fisiologico», molti altri determinano l’effettivo rendimento di ogni impianto. Ad esempio la temperatura perché il surriscaldamento delle celle ha un impatto negativo sull’efficienza dei moduli e sul rendimento dell’intero impianto, oppure la sporcizia cioè i materiali che si possono accumulare sulla superficie dei pannelli e che ostacolano il rendimento dell’impianto, e, infine, gli ombreggiamenti, cioè edifici, camini e anche le stesse nuvole che possono ombreggiare la resa energetica. Per ottenere il massimo rendimento energetico da un impianto fotovoltaico è fondamentale, in fase di progettazione, scegliere bene dove e come posizionarlo. Il primo fattore da considerare è la possibilità di collegarlo alla rete elettrica locale, oltre che ovviamente a quella domestica. Poi bisogna valutare l’assenza di ombreggiamenti e l’esposizione, cioè, escludere la presenza nelle vicinanze di elementi che in alcune ore del giorno potrebbero proiettare la loro ombra sui moduli, come alberi, edifici, antenne e parabole. Importante è anche il posizionamento dell’inverter cioè la parte dell’impianto destinata
I pannelli fotovoltaici, costituiti dall’unione di più celle fotovoltaiche, convertono l’energia dei fotoni in elettricità. Il processo che crea questa «energia» viene chiamato effetto fotovoltaico, ovvero meccanismo che, partendo dalla luce 16
Pentascienze - La rivista scientifica dell’IIS “G. B. Pentasuglia” alla trasformazione della corrente continua generata in corrente alternata utilizzabile.
energetica: esistono, infatti, dei parametri abbastanza rigidi relativi ai valori numerici di pendenza media che può avere un impianto fotovoltaico supportato da tracker, cioè quel dispositivo meccanico che consente di massimizzare l’efficienza con una rotazione automatica legata all’esposizione solare; l’esposizione più favorevole per il fotovoltaico, quindi, è quella dei terreni pianeggianti o collinari con esposizione a sud.
È chiaro, inoltre che per avere la migliore resa dai pannelli bisogna trovare il punto in cui i raggi solari incidono in misura maggiore e perpendicolarmente sui pannelli stessi. Ad esempio i moderni impianti sono dotati di particolari strutture che permettono di variare, sia l’inclinazione sia l’orientamento dei pannelli, permettendo, cosi, di sfruttare al massimo la luce proveniente dal sole. Queste strutture prendono il nome di inseguitori solari.
Infine, prima di installare un fotovoltaico, non bisogna dimenticare di calcolare con precisione la distanza dalla cabina di allaccio alla rete elettrica nazionale.
Per tanti motivi e altrettanti scopi, quindi, installare un impianto fotovoltaico è una scelta vincente: è un comportamento ecologico che porta alla produzione di energia da una fonte rinnovabile. Un‘ultima osservazione, da non sottovalutare: la legge italiana consente di produrre energia elettrica per il consumo della propria abitazione e vendere quella in eccesso. Inoltre si possono detrarre le spese per l'installazione, e, grazie al sistema dell'accumulo, è possibile immagazzinare energia prodotta ma non utilizzata, in modo da avere una scorta utile per i periodi di buio. E allora ci chiediamo: impianti fotovoltaici? Perché no!?
Oltre all’uso domestico, è frequente l'installazione di impianti fotovoltaici nei terreni agricoli. La morfologia più semplice per il fotovoltaico è sicuramente quella dei terreni ad uso seminativo. Anche i terreni ad uso pascolo, con del cespugliato sparso, si prestano particolarmente per questo tipo di installazione. Terreni ad uso frutteto, vigneto, mandorleto o uliveto, invece, devono essere sottoposti necessariamente a delle opere di espianto, al fine di essere idonei per del fotovoltaico a terra; anche la pendenza del terreno è fondamentale per una buona resa
Monica Braia 5Bs Maria Antonietta Deperte 4Ac Angelica Pellegrino 4Ac Mattia Sarcuni 3Bm Luca Venezia 3Bm
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A BREAK FOR MAN, A REBIRTH FOR NATURE According to some researches, scientists have warned that some recent events will change climatology.
Thanks to climate models, scientists can demonstrate that the behaviours we choose to adopt today will determinate climate change in the future.
Climatology is the scientific study of Earth's climate, typically defined as weather conditions averaged over a period of at least 30 years. It studies the climate of a region in certain time intervals (months, years, seasons), the reciprocal relationships of meteorological phenomena, their modifications in relation to the geographical conditions of the Earth’s surface, and their effects on physical and biological phenomena.
The more the years pass, the more the temperature rises and it isn't a favorable condition for the climate. One example? The global mean temperature has risen by 1.2 °C and since 2015, we have been living the hottest years that human’s era have ever lived. With the Paris Agreement it was established that the temperature must be reduced by two degrees. Many states and nations are doing their best to make this happen.
The historical climate studies are based on reading documents and on the visual analysis of paintings, draws and rock arts.
Some recent events have demonstrated that the climatic situation has also improved during the pandemic: during the lockdown the maximum level of CO2 reduction has been recorded.
In addition there are also scientific methods for the study of the climate in the past, based on studies on the increase of the population levels, or on the evolution of plants and animals and the climate in different countries.
Despite the reduction in CO2 emissions, the following graph shows that in Basilicata there was an increase in temperature during 2021.
Today, thanks to new technologies, studies are carried out by computer programs that use mathematical equations to simulate how the climate will change in the future and the impact that human actions will have on nature over a long period of time, based on well-documented physical models of the Earth, such as the energy conservation. To verify these aspects, scientists add processes of the Earth’s system, as mathematical equations, so that the climate model can solve them.
What might happen in a warmer world? Scientists think that we should act immediately to slow down the Earth’s warming. The lockdown and pandemic made us understand that there is an alternative way to live, but a few months are not enough to see the long-term effects.
The program will create a threedimensional image so they can see how the theories and solutions for climate change would have effect on the planet. The values that the scientists will enter on the program are based on the theories and data they have elaborated.
Francesca Alba 3AS Rebecca Alessandria 3AS Bruna Grieco 3AS Ettore Morgese 4BM
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MATERA, GREEN EXPECTATIONS We are a group of students of IIS G.B. PENTASUGLIA in Matera. We interviewed some tourists in order to find out their opinions about our city, as we were curious to know their thoughts and impressions.
Ferenc: We have been here for two days, and I think Matera is a green city; my expectations have been totally satisfied. Interviewer: Which aspects of your country would you like to find in Matera? Would you prefer to see more green areas and parks?
Is there a better way than asking foreign people for advice on how to improve our city?
Margit: Yes, we saw a lot of green areas in Matera, like parks, gardens, squares that have an important recreational aim, since people can spend their time in outdoor activities and make their lives healthier.
Here are some interviews that we have also filmed: has Matera satisfied tourists’ expectation or were they disappointed by our city?
Furthermore, I wish I had found a better organization of public transports.
Tourist of the 2nd interview: Vanida (Thailand) Interviewer: Do you consider Matera a city interested in the environment? Vanida: Comparing with the most modern towns, I think it is a clean and modern place where to live. Interviewer: Compared with Thailand, have you found more green areas? Vanida: I think Matera is improving in managing its environmental impact.
Tourist of the 3rd interview: Piotr (Poland) Interviewer: What were your expectations on Matera?
Tourists of the 1st interview: Ferenc and Margit (Hungary)
Piotr: I’m really surprised about Matera; it is the most beautiful place I’ve ever seen. I had no expectations but I think it has stunning views.
Interviewer: Have you expected more green areas in this town, famous for its history and cultural heritage?
Interviewer: As regards green areas, what are the differences between Matera and Krakow?
Ferenc: No, I guess the landscape is green enough and it is very beautiful, I like it.
Piotr: My city is very old too; but I think Matera is a clean city whose inhabitants take care of the environment and the green areas. Parks are wellkept places where children can play, adults can go running or walking.
Interviewer: What were your expectations on the landscape?
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Pentascienze - La rivista scientifica dell’IIS “G. B. Pentasuglia” Interviewer: Making a comparison with Finland, do you consider Matera a green city? Kristiina: I have just arrived, and I was pleasantly surprised by the very nice downtown; moreover, Matera seems to be as green as Finland: everything here is clean, and people take very care of nature. In conclusion, we found really interesting foreign tourists’ opinions because they let us see and judge Matera, UNESCO heritage since 1993, by new, different eyes; we have discovered our city as it was the first time. Matera is the Italian urban centre with the highest amount of green per capita, around 59 million square of historical green areas, which improves the landscape and makes the city more liveable. Have we persuaded you? Is Matera on the same level of the other cities of all over the world?
Tourist of the 4th interview:
Would you like to visit our city now?
Kristiina (Finland)
Ilaria Donvito 4AS Piera Fiore 3CM Nicole Tedesco 5AS Nicola Tragni 4AC Fabio Vizziello 4AS
Interviewer: Have you expected more green areas? Were your expectations satisfied? Kristiina: This is my first time here in Matera and I didn’t know what to expect but I think Matera is quite amazing.
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FONTI BIBLIOGRAFIA M. V. LOVISI (2020). Tesi di Laurea Magistrale: Analisi dendrocronologica su esemplari di Quercus robur siti nel bosco Pantano di Policoro. Università degli Studi della Basilicata. T. GENTILESCA, I. CAMELE, M. COLANGELO, M. LAUTERI, A. LAPOLLA, F. RIPULLONE (2014). Il declino dei soprassuoli di querce nel sud Italia. Proceedings of the second International Congress of Silviculture T. GENTILESCA, J. J. CAMARERO, M. COLANGELO, A. NOLÈ, F. RIPULLONE (2017). Drought-induced oak decline in the western Mediterranean region: an overview on current evidences, mechanisms and management options to improve forest resilience. iForest 10: 796-806. - doi: 10.3832/ifor2317-010 F. RIPULLONE, J. J. CAMARERO, M. COLANGELO, J. VOLTAS (2020). Variation in the access to deep soil water pools explains tree-to-tree differences in drought-triggered dieback of Mediterranean oaks, Tree Physiology 40(5): 591–604, B. SCHMUCK, G. GRECO, A. BARTH,, N. M. PUGNO, J. JOHANSSON, A. RISING (2021). High-yield production of a supersoluble miniature spidroin for biomimetic high-performance materials, Elsevier, Materials Today, Volume 50
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