Marzo 2022

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Sostenibilità

SLOW FLOWERS, FIORI A KM ZERO

Nate negli Stati Uniti, le aziende agricole che si occupano della coltivazione locale di fiori di stagione si stanno facendo conoscere anche in Italia, lavorando in armonia con la natura di Manola Irroia

L’

impatto ambientale delle filiere agroalimentari è ormai un tema diffuso, ma negli ultimi anni si è cominciato a parlare anche dell’industria globalizzata dei fiori e di quello che comporta in termini di pratiche inquinanti e condizioni di lavoro non eque. La prima ad occuparsene, nel 2007, è stata la scrittrice americana Amy Stewart, che nel suo libro, Flower confidential: the good, the bad and the beautiful, mette in evidenza i lati oscuri del settore. Da allora si è aperta una riflessione che nel 2013 ha dato vita al movimento “Slow flowers”, promotore della sostenibilità dei fiori a chilometro zero, coltivati seguendo il ritmo delle stagioni nel

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rispetto del territorio. L’ideatrice del progetto è stata l’americana Debra Prinzing, che comincia a lavorare per mettere in contatto coltivatori, fioristi e clienti con l’obiettivo di cambiare le pratiche di approvvigionamento dei fiori da parte di consumatori e professionisti, attraverso azioni di sensibilizzazione ed educazione. Negli Stati Uniti la filosofia “Slow flowers” è ormai affermata, ma anche in Italia cominciano a essere presenti realtà che si ispirano agli stessi principi. Nel Nord-Ovest, fra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, è nato un collettivo di sei diverse realtà, tutte ideate e gestite da donne, che producono fiori da taglio nel rispetto dell’ambiente e della biodiversità. E

anche se il mercato nazionale è ancora nuovo, l’attenzione da parte dei consumatori è in crescita. «Avevo uno studio di architettura e il lavoro mi piaceva molto, anche se nell’ultimo periodo sentivo il bisogno di un’attività che rispettasse i tempi della natura, oltre che i miei - racconta Alessandra Milici (nella pagina successiva, in basso a destra), titolare di Victoria’s Urban Flower Garden, in provincia di Varese -. Poi, durante un viaggio a New York, ho scoperto le flower farms che producono intorno a Manhattan e ho capito che quel modello si poteva esportare anche qui». Come ha cominciato? Era il 2016 e, appena tornata in Italia, ho iniziato a sperimentare la coltivazione dei fiori, a studiarne le tecniche, a ricercarne nuove varietà. Due anni dopo ho messo in piedi la farm in un piccolo terreno ereditato dalla nonna. Inizialmente eravamo sei realtà diverse, qui al Nord; poi ci siamo unite in un collettivo, poiché condividiamo la stessa filosofia produttiva, e abbiamo deciso di aprirci anche ad altre realtà. Quanto è importante comunicare questo nuovo modo di coltivare? Molti di noi, come successo in passato con il cibo, non hanno coscienza

www.spazio50.org | marzo 2022

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17/02/22 15:31


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