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Numero 31 - febbraio 2020
ALEX CASTELLI non mi piace stare fermo ROBERTO SARNO LAMINE CHIARABLUE
ANTHONY CINZIA GARGANO 373°K
sommario 4 Alex Castelli 8 Roberto Sarno 12 Lamine 18 Mido 22 Cinzia Gargano 26 Emanuele Montesano 30 ChiaraBlue 34 Anthony 38 373°K 42 Matteo Muntoni
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ALEX CASTELLI non mi piace stare fermo
“Caduti liberi” è il disco d’esordio di un cantautore che è alla ricerca degli assassini della musica ma che non disdegna ascoltare anche generi contemporanei e di nicchia
Ci vuoi raccontare chi è Alex Castelli? Sono un amante della musica, un divoratore di musica da quando ero bambino. Ho sempre ascoltato musica, ho assorbito e studiato svariati generi musicali, artisti internazionali e italiani, senza di-
stinzione. La curiosità è parte di me, cerco di ascoltare più artisti e più generi possibili perché sono molto curioso e alla ricerca di stimoli nuovi. Suono musica dall’età di 14 anni, ho iniziato a comporre all’eta di 18 anni. Ho suonato con svariate band, in contesti e generi
vita. Come dei bambini che imparano a camminare: si cade ci si fa male, ma si impara a rialzarsi, spesso con qualche ammaccatura, si piange e si soffre, ma poi ci si rialza più determinati e si impara a camminare da soli. Camminare da soli è il primo passo verso la libertà. Si cade ma poi si diventa liberi. Per quanto riguarda la tecnica musicale... Sì mi interessa, ma è funzionale alle canzoni. Io suono, gli stili delle canzoni mi vengono in base all’umore del momento. Molto è improvvisato, le canzoni specialmente sul palco non sono mai uguali. Mi piace molto fare nuove forme alle canzoni, mi diverte. Chi sta uccidendo la musica e perché? Faccio sempre questo esempio per spiegare il titolo di questa canzone: MTV aveva lanciato i concerti totalmente acustici negli anni 90: gli unplugged. Eric Clapton per primo, poi i Nirvana, i Pearl Jam, gli Alice in Chains... Questi live erano ascoltati dai ragazzini di allora... Mi chiedo se nell’MTV di oggi ci sia spazio per musica simi-
più disparati. Da queste esperienze nasce il mio primo album Caduti Liberi. Ci parli anche della lavorazione del tuo nuovo disco, “Caduti liberi”? L’album nasce appunto dalle esperienze vissute: esperienze musicali per quanto riguarda le influenze artistiche, esperienze di vita in generale per i contenuti dei testi. In Caduti liberi c’è un filo conduttore che unisce tutte le canzoni: la paura del cambiamento. Paura che ho vissuto in prima persona. Tutti abbiamo almeno una volta vissuto questa paura, che spesso ci ha bloccato in una fase evolutiva del nostro percorso di vita. Tante volte si evita il cambiamento ma è proprio quest’ultimo il fattore che ci fa evolvere. Il cambiamento ci porta a uno stato di libertà, perché scegliamo di cambiare attraverso il libero arbitrio. Il libero arbitrio è il dono più grande che riceviamo alla nascita, dono che però la maggior parte delle persone perde nel corso della vita. La libertà è un obiettivo da raggiungere per migliorare la qualità della nostra 5
reggaeton... canzoni facili, che durano due minuti, che si ascoltano per 15 giorni, per poi essere dimenticate. Young Signorino è un artista paragonato per ‘rottura di schemi’ al punk dei Sex Pistols... può anche essere. Basta che non ci chiudiamo a riccio. I più giovani oggi hanno molti più stimoli e i media principali (TV e radio) non li aiutano a scegliere in base alla qualità della musica. Ecco, ‘stanno uccidendo la musica’ non è una protesta, ma una constatazione che nasce dall’osservazione di come la musica viene trattata dai media. È un prodotto commerciale, di largo consumo. La musica viene uccisa perché non c’è più spazio per i tantissimi artisti che puntano alla qualità. La musica muore quando il pubblico non è più in grado di ascoltare musica che impegni il cervello, che stimoli a capire ciò che sta ascoltando, che non si limiti ad ascoltare ma che si impegni a ‘sentire’ la musica. Eppure oggi c’è tanta musica di qualità, ma bisogna vincere la pigrizia e cercarla per conto proprio, online sui digital store. Su
le. I ragazzini negli anni ‘70 ascoltavano canzoni dei Genesis, dei Pink Floyd, degli Yes... il progressive rock era basato su modalità di composizione che mescolavano musica classica al rock. Le canzoni erano ancora più complesse, duravano 15 o 20 minuti, ma i dischi erano venduti in milioni di copie. Non c’è piu tempo per la musica: non si ascoltano gli album, ma i singoli... pillole di musica. Oggi c’è la trap, si ascolta il 6
spotify la musica è diventata ‘liquida’... ci sono tante playlist di qualità che consentono di scoprire nuovi artisti affini ai nostri gusti. Ma poi la musica stanno cercando di ucciderla anche a livello di eventi live. Oggi si fa sempre più fatica a proporre musica dal vivo a causa dei costi da sostenere. Più ancora, la gente esce sempre meno di casa... e la musica se la ascolta sullo smartphone piuttosto che dal vivo. Ma la musica c’è, è viva e trova sempre il modo di tornare ancora più forte. Leggendo dei tuoi punti di riferimento musicali si incontrano tantissimi nomi del passato. E del presente? Da grande curioso ascolto veramente di tutto e non mi pongo limiti, se non altro perché penso che si possa imparare qualcosa da qualunque artista. I miei punti di riferimento sono quegli artisti ‘più vecchi di me’, quelli che sono alla base della mia formazione musicale. Mi capita di ascoltare musica di ragazzi molto giovani magari nell’ambito trap o hop hop (non mi spiace per contenuti e musi-
calità per esempio Mahmood) ma poi riascolto i Soundgarden, riprendo ad ascoltare del buon blues e torno a Daniele Silvestri o agli Afterhours, poi mi reimmergo nei Wilco o nei Black Keys per poi riascoltare musica barocca o fingerstyle... Lou Reed, Bowie, i Beatles insomma nuovo o vecchio penso che ogni album contenga almeno una canzone che valga la pena di ascoltare. Che cosa prevede il tuo futuro? Sto lavorando per organizzare i live per il lancio dell’album, quindi sui miei canali social conto a breve di segnalare i primi live. Entro fine marzo dovrà uscire il terzo singolo, con un nuovo videoclip. Contemporaneamente sto avviando i lavori per un nuovo album, sempre legato a un unico filo conduttore. Un nuovo argomento, nuove tematiche e stili che non ho mai esplorato finora. Nuove canzoni che stanno già prendendo forma, un progetto in fase di sviluppo che dovrà essere pronto nel giro di massimo 12 mesi. Non mi piace stare fermo... decisamente no! 7
ROBERTO SARNO “Prova zero” riepiloga dieci anni di canzoni di un cantautore dalla sensibilità sicuramente “alternativa”, attento alle vibrazioni che arrivano sia dalla memoria sia dal presente
Mi pare di capire che “Prova zero� sia una sorta di compendio e riepilogazione degli anni precedenti. Come hai capito che era necessario tirare una riga in fondo al foglio? Ho avuto paura di perdermi, sentivo che quello che avevo fatto per quelle canzoni non era stato
abbastanza. Ho avuto bisogno di viverle ancora, di sentirle vibrare con un mood più viscerale e istintivo. Ho sentito l’esigenza di approfondire le cose fatte, prima di proseguire. Il processo naturale della memoria è quello di setacciare i ricordi, lasciando leggibili solo quelli che ci hanno segnato di più. I gesti, le immagini, i colori di queste canzoni per me sono indelebili e ho dovuto dare loro una veste più congrua alla loro indole per appagare la mia coscienza.
Altra impressione che ho avuto è che il dolore sia forse l’ingrediente più condiviso dalle canzoni del disco. E’ una fotografia realistica del periodo? Il dolore è una componente esistenziale dell’uomo, lo osserviamo manifestarsi in molteplici modi e in varie entità. A partire dal malessere interiore di un bambino che si sente incompreso, fino al crepacuore di un innamorato, dalla sofferenza della depressione di una persona cara, fino alla morte 10
di un malato e al vuoto che lascia nei vivi. Ho avuto occasione di osservare e vivere queste emozioni, di sentirle vibrare nel profondo tanto da trasformarle in musica e parole. Perché la cover di Motta? Quali altri cantautori di oggi ti colpiscono? Motta e il suo primo disco mi avevano colpito e quel pezzo mi era vicino in particolare per le parole. L’adattamento musicale è venuto piuttosto istintivamente, come se l’avessi scritto davvero io; per l’arrangiamento ho adottato lo stesso metodo di svuotamento e rimodellamento come per gli altri pezzi che ho inserito nel disco. Forse oggi proverei a fare qualcosa di simile con Giorgio Poi, mi piace molto come gioca con le parole. A ogni modo il songwriter che più ha sconvolto il mio immaginario cantautorale viene da oltre oceano e si chiama Justin Vernon. Visto che “Prova zero” ha messo un punto, che cosa ti aspetta da ora in poi? Vorrei che tutte le sperimentazioni sonore dell’ultimo periodo fos-
sero la base di un nuovo lavoro, sul quale peraltro sono già impegnato sul fronte compositivo. Mi piacerebbe che la maturità stilistica che ho ricercato fosse il presupposto di un nuovo e originale capitolo della mia vita artistica. Vorrei suonare di più dal vivo, essere maggiormente a contatto con la gente per cogliere più direttamente il feedback emotivo delle persone che ascoltano la mia musica. Infine vorrei sorprendere perfino me stesso…
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LAMINE
Di Chiara Orsetti La vittoria al Premio De Andrè, un’esperienza sanremese ad Attico Monina, un ep in arrivo: Viviana Strambelli racconta la sua anima eterogenea
pubblicato e che abbiamo ascoltato in anteprima. Nonostante siano brani singoli ben definiti, l’anima che ci hai messo funziona come un filo conduttore importante. Il legame tra le canzoni che compongono l’ep c’è, e mi fa piacere che tu l’abbia trovato. I primi feedback sono sempre i più interessanti: sono i primi riscontri, esci dal buio e inizi a vederti attraverso gli occhi degli altri, a scoprire parti di te che ancora non conoscevi. Nelle tue canzoni ci sono molte sfaccettature di colori e di interpretazione. Sembra difficile incasellarti in una categoria… Sei un’anima complessa? Eterogenea. E’ un po’ come quando mi chiedono, parlando di musica, “che genere fai”? Non lo so! Se mi piace una melodia che sembra metal, perché non possiamo usarla? Possiamo fare quello che vogliamo. Siamo in un periodo storico in cui è permesso dire la propria anche nel modo più bislacco. Vale per la moda, per la letteratura, per la politica. Perché
Con il tuo brano Non è Tardi ha vinto il premio De Andrè. Una bella soddisfazione, che ha attirato anche l’attenzione di Dori Ghezzi. Com’è andata e che effetto ti ha fatto? È stato sicuramente il momento più bello di questa esperienza. Dori Ghezzi ha fatto, ha visto con i suoi occhi la storia della musica crescere, svilupparsi, evolvere accanto a De Andrè e agli altri cantautori. Quando mi ha detto che voleva ascoltare anche le altre mie canzoni è stato emozionante. Subito dopo la premiazione abbiamo fatto ascoltare Penna Bic anziché il pezzo vincitore. Quello che mi ha stupito è che avesse percepito e compreso il pezzo nella sua interezza, nonostante le parole non arrivassero chiaramente, vista anche la velocità del brano. Eppure la canzone le è arrivata. Ho provato come un senso di “giusto”: il contenuto che per me era chiaro è arrivato anche a lei, e dimostra che se il contenuto c’è, arriva anche se non ti sforzi per farlo capire. C’è un ep che aspetta di essere 13
non utilizzare questa libertà e far sì che una canzone possa essere tridimensionale, che puoi girarla e ha una faccia diversa secondo chi la guarda, chi la ascolta. Stiamo approfittando dell’assenza di punti di riferimento, che è sicuramente drammatica sotto alcuni aspetti, ma difficilmente sarebbe potuto venir fuori un progetto monolitico, uniforme. O forse sono io che non sono in grado di farlo! Una ragazza che ha ascoltato Penna Bic era convinta che il brano parlasse
di bullismo. E mi ha stupito che la canzone abbia aperto porte che neanche io immaginavo nel momento in cui l’ho scritta. Diventa pretenzioso andare in una sola direzione, si rischia di diventare pedagogici: io non voglio insegnare niente a nessuno. Si può partire da una storia personale, da un fatto di cronaca, quando si scrive una canzone: ma poi si deve passare attraverso il filtro dell’autocritica, farsi mediatori tra ciò che hai vissuto e quello che diventerà 14
ni ti piacerebbe aver scritto tra quelle che sono state presentate sul Palco dell’Ariston? Sicuramente Almeno tu nell’Universo, è la prima che mi viene in mente. Anche se trovo straordinaria Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco. Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare è quel tipo di verità e di semplicità che raggiungi solo col tempo. È riuscito a essere spietatamente sincero, non ambasciatore della verità pornografica morbosa di conosce i fatti e i dettagli di cui non te ne frega niente. Piccole verità imbarazzanti che appartengono a tutti e di cui ci vergogniamo. Dai, come si fa a iniziare una canzone abbassandosi così le mutande… non avevo niente da fare. Il bisogno di comunicare di quel periodo cantautorale per i nostri tempi è difficile. È come se ci fossimo arresi, come se fosse impossibile cambiare le cose e quindi perché sprecare tempo per descriverle. Ci sono sprazzi di speranza, qualcuno prova a tirare fuori le unghie e a smettere di lamentarsi. È un momento drammaticamen-
una volta che ti è passato attraverso mescolandosi agli accordi, alle melodie, ai suoni. Anima complessa, dicevamo, ma anche giramondo: sei siciliana ma hai vissuto in Puglia, a Genova, a Roma, a Napoli. Dove è nata la tua ispirazione musicale? Ero a Genova quando ho scritto le mie prime canzoni. È nata lì l’ispirazione. Penso sia una delle città più tristi ma nello stesso tempo più ricche in termini di input sensoriali. È piena odori: abitavo nei vicoli, nella foresteria del teatro in cui lavoravo, e appena ci arrivi Genova si aggancia immediatamente con il tuo io malinconico. C’è tutta la parte metallica, i container, il porto, e poi i vicoletti. È una città che ti “splitta”. L’ha detto Bindi, l’ha detto Tenco… Penso che non sia un caso. Ho partecipato al concorso Genova per voi quasi per caso, tramite il teatro. Mi sono approcciata ingenuamente alla composizione dei tre brani in italiano necessari a partecipare. Ho seguito un flusso emotivo continuo. Siamo a Sanremo. Quali canzo15
te figo, in fondo. Ma sconfinando, altri brani che avrei voluto scrivere sono Il mio mondo di Bindi, e Khorakhanè di De Andrè. Sul palco dell’Ariston si è molto parlato delle esibizioni di Achille Lauro. Anche lui tenta di comunicare qualcosa a modo suo? In questo momento ci sembra figa una cosa già vista negli anni ‘70, ma perché ci siamo appiattiti. Il momento di “sveglia” non è giusto o sbagliato, dopo 40 minuti più o meno piatti se arriva qualcuno che ti lancia qualcosa in faccia spezza la noia e ti piace comunque. Al di là del giudizio personale, sulla voce o sulle musiche, lo trovo simpatico perché rompe qualcosa. Va bene perché ci ha provato, il suo è un pacchetto completo che va analizzato come tale e non fermandosi solo a un lato del suo personaggio. Visto che siamo insieme ad Andrea Cicorelli, bassista e autore dei disegni del progetto, parliamo del ruolo del fumetto all’interno del progetto del tuo ep? (Andrea) L’artwork definitivo verrà presentato quando uscirà l’ep. Il
nostro rapporto è iniziato grazie alla musica, sono il bassista della band. Dopo poco aver scoperto che sono appassionato di disegno, Viviana ha iniziato ad appassionarsi e abbiamo iniziato a lavorarci. A mano a mano che il progetto andava avanti avevo nuovi spunti e il personaggio Lamine si trasformava piano piano. Col tempo, ogni membro della band ha avuto il suo avatar, ma non superpoteri. (Vivivana): Andrea si è occupato anche della lavorazione del video: il make up geometrico è stato scelto vista la dimensione onirica delle immagini girate. I fumetti, insieme alla musica, regalano una suggestione visiva. La musica ti conduce in un luogo creando la giusta atmosfera, ma una volta che hai la possibilità di guardare delle immagini sei trasportato in modo quasi cinematografico. Disegni, arrangiamenti, suoni di veri e propri oggetti… il suono diventa materico, evoca e materializza le immagini. Ringrazio le persone che stanno dando qualsiasi tipo di contributo per questo progetto, a partire dai gesti più piccoli. (C.O.) 17
MIDO Si chiama “Blu” il nuovo disco del cantautore (vero nome Domenico Russo), che anche in questo caso ha lavorato in totale autoproduzione
Ci vuoi raccontare chi è Mido? Fin da bambino ho suonato la chitarra, la batteria e ho cantato, ma la mia arte principale è la registrazione sonora. E’ da questo background che nasce la mia connotazione di musicista “indipendente”: quello che produco e pubblico, lo suono davvero tutto
io; microfono, registro, arrangio, fino ad arrivare alla mia fase preferita del missaggio finale. E’ così che mi riassumo in questo nome, Mido: “M-usicista I-ndipendente DO-menico” (il mio nome di battesimo). Per i più nerd ci sarebbe anche da dire che MI-DO sono due note con un rapporto inter-
vallare corrispondente a una terza minore discendente, indice di una sottile linea di amarezza nascosta e che va controcorrente… Meduse in copertina e un titolo “colorato”, benché i tuoi suoni siano rock: quali sono state le premesse del tuo disco, Blu? La copertina rappresenta una sorta di iperuranio, dove le idee, come meduse, nuotano libere ed eleganti nel profondo blu. Questa immagine va contro gli stereotipi della musica rock, perché la mia voce non è rock, non vuole esserlo e, se ci intendiamo, non ho mai avuto voglia di strapparmi i pantaloni per doverlo essere a tutti i costi… Chi ti piace dei tuoi colleghi italiani di oggi? Sovraincidere tante chitarre era un’usanza tipica della musica rock e alternativa degli anni ’90. La mia adolescenza è stata proprio in quegli anni che furono, a mio avviso, quelli della genuinità creativa. L’album elogia un ritorno a quell’epoca. Mi piacciono gli Ex-Otago, ho sentito una bellissima canzone di Brunori ma non ho
voglia di sbilanciarmi troppo in merito al mainstream attuale perché quello che sento oggi per me non è bello come lo era prima. Hai collaborato con personaggi importanti della scena italiana. Quali le migliori esperienze? L’esperienza più intensa è stata presso lo studio Metropolis di Milano di Lucio Fabbri. Ho avuto l’opportunità di lavorare come assistente fonico durante le registrazioni audio per il dvd del live in Tokyo del 2002 della PFM. Nello stesso studio ho conosciuto Dolcenera, con la quale ho avuto successivamente l’opportunità di fare qualche live. Quali i tuoi prossimi progetti? La musica è prima di tutto suonata dal vivo. Sto preparando una band per presentare il mio album Blu suonando dal vivo, sia in elettrico che in acustico. Suono la batteria in una cover band blues che si chiama “The Ramblers”. E giusto per non farmi mancare nulla, ho anche iniziato a curare con dedizione delle playlist di Spotify, tra cui la mia “Emergenti Italia 2020” che consiglio a tutti di ascoltare! 21
CINZIA GARGANO
Di Chiara Orsetti Pop, ironia e molti sogni (qualcuno realizzato): la cantautrice palermitana presenta il nuovo singolo “Stupiscimi�, in attesa del primo lp
Hai iniziato il tuo percorso artistico come ballerina, proseguendo poi con il canto… Diciamo che ho avuto varie vite artistiche. Una mia canzone incomincia proprio dicendo “ho cambiato tante vite e tante vite mi han cambiata” perché in effetti ho iniziato all’età di quattro anni con la danza. Da piccola cantavo e ballavo davanti allo specchio, e ho iniziato a camminare e a ballare contemporaneamente. Ricordo che mia madre, per farmi mangiare, doveva rincorrermi in giro per casa a tempo di musica con il piatto in mano. Povera mamma! Ho portato poi mio padre in una scuola di danza, costringendo mio padre a iscrivermi. Ho iniziato il percorso che poi è durato per 23 anni, diventando una professionista. Mi sono diplomata in un’accademia di musical, iniziando a portare in scena anche questo tipo di ballo. Ho poi avuto un brutto incidente in macchina, e la mia carriera si è dovuta interrompere. Lo posso raccontare, quindi va bene, e poi credo che tutto abbia un senso. Mi sono ritrovata nella
veste di cantautrice e, passata la rabbia, ho capito che tutte le cose accadono per una ragione, anche quelle brutte, soprattutto quelle brutte. Ho ricevuto la chiamata per entrare a far parte di un trio vocale femminile, e da lì è iniziata la nuova avventura. Inizialmente è stata tosta: era tutto un altro mondo rispetto alla danza. Abbiamo girato molto insieme alle altre ragazze del gruppo, andando anche in televisione. Poi ci siamo sciolte. Ho pensato allora di iniziare a comporre inediti, all’età di 30 anni. Ho scritto poesie fin da piccola, e sembrava un buon momento per iniziare. Ho pubblicato così il mio primo singolo, intitolato AAA Cercasi, proprio nell’anno di Occidentali’s Karma. Ho letto il testo della canzone su TV Sorrisi e Canzoni ho pensato “Mannaggia, ci ha pensato prima lui”! Grazie a questo brano sono arrivata in finale a Fiat Music con Red Ronnie, un’esperienza incredibile in diretta su Roxy Bar. Da lì ho ricevuto la chiamata del mio produttore che mi ha proposto di creare insieme un progetto. Edoardo Musumeci 23
ha dato un vestito vero e proprio alle mie canzoni, che fino a quel momento erano più vintage: parto da Gaber, Buscaglione, Jannacci e lui ha dato una veste più moderna e ha inserito parti elettroniche. Ascoltando i tuoi brani si percepisce un’aria fresca, frizzante. La musica per me è un mezzo per lasciare sorrisi. Nel disco ci sono canzoni più malinconiche e più autobiografiche, ma mi hanno detto che l’ironico è un malinconico mancato, in fondo. L’altra
faccia della medaglia l’ho voluta mettere nel primo album che si intitola Seria-mente, un gioco di parole evidente. Il primo singolo estratto è Ti amo il meno possibile, semifinalista al contest del Concertone del Primo Maggio Next. Parliamo di Tragifavola, il secondo singolo. Il principe azzurro arriva e salva la fanciulla indifesa o anche in questo caso c’è dell’ironia di fondo? Io odio le canzoni “sole cuore e amore”, che sono lontane dal mio 24
modo di essere. Se parlo d’amore devo farlo in maniera ironica, non riesco a buttarmi sul passionale straziante. Mi piace ironizzare perché, se non si può ridere di tutto, cosa resta nella vita? Ho preso in giro il principe azzurro perché fin da piccole, nelle favole, le storie di eroi in calzamaglia ci hanno creato un sacco di aspettative. Che palle! Ho creato questa canzone per demolire il principe azzurro, che nella vita reale non esiste… e meno male! Quando uscirà il tuo album? In realtà il disco è pronto da un anno. Sto aspettando a pubblicarlo perché vorrei l’occasione giusta. È un progetto a cui tengo moltissimo e vorrei che venisse pubblicato nel momento migliore possibile. Contiene tutte le sfaccettature del il mio essere cantautrice e del mio essere persona. Il disco si compone di 8 tracce, di cui una cover riarrangiata e 7 inediti, alcuni ironici e altri autobiografici a cui tengo molto. Uno di questi affronta un tematica che mi sta molto a cuore e che mi piacerebbe avesse un suo spazio importante in mezzo alle
altre. La perfezione non esiste, ma vorrei dare il massimo a questo primo album, che mi rappresenta al 100%. Le canzoni sono come mettersi a nudo, più che togliersi gli abiti di dosso. Nel momento in cui canti un tuo brano, le persone che ascoltano sanno che tutto parte direttamente da te e dal tuo vissuto. Ci vuole fegato! Quale canzone di Sanremo avresti voluto scrivere tu? Non necessariamente canzoni che hanno vinto, eh! Le due canzoni che avrei voluto scrivere, perché le metto a pari merito, sono Ti regalerò una rosa e Abbi cura di me di Simone Cristicchi. Per me è il punto di riferimento dal punto di vista autorale delle musica italiana. Ho avuto un colpo di fulmine per lui fin dal primo istante, perché è un autore pazzesco e per me geniale: riesce a essere ironico e contemporaneamente e ad avere una profondità fuori dal normale. Lui spazia dalla musica al teatro, è carisma allo stato puro, e tutto quello che sforna, per me, è poesia, che sia ironica o emotiva. (Chiara Orsetti) 25
EMANUELE MONTESANO “Mettiamoci d’accordo” è il nuovo album di un cantautore che ama spaziare tra i generi, sempre con vista sulla speranza di cambiare
“Origine” era il tuo esordio da solista. Quali lezioni utili hai tratto per arrivare a questo nuovo disco, “Mettiamoci d’accordo”? Be’, essendo stato il primo album da solista c’era curiosità mista ad
ansia, su ciò che sarebbe, poi, stato il risultato. Ho imparato ad esser meno grezzo, quello di sicuro. E ho imparato anche a dare più contenuti, a livello testuale, e non solo semplicemente a utilizzare i testi per scaricare la rabbia. Da che cosa hai tratto ispirazione per questo nuovo album? Lo sperare in un cambiamento delle cose, la rabbia che non manca mai: c’è chi si sfoga con la palestra o, alla peggiore, scaricando la
propria frustrazione sugli altri. Io, invece, scelgo di usare una penna, un foglio e una chitarra. In tempi come questi, “Mettiamoci d’accordo” è una dichiarazione forte. Su che cosa ritieni sia più necessario trovare un accordo? Sulle tematiche ambientali in primis. Nel senso, “muoviamoci”, il tempo è poco, i danni che abbiamo causato sono molteplici e abbiamo iniziato già a pagarne le 28
conseguenze. Ma anche sulla giustizia, lo Stato assente e il popolo che continua a pagare senza mai alzare la testa: dove ci porterà tutto questo? Nel mio album ho voluto dare il mio punto di vista su questa e altre tematiche. Salti tranquillamente da un genere all’altro, ma in quale ti senti più “a casa”? Amo sperimentare e in questo ultimo lavoro ho dato molto sfogo al mio estro: ho spaziato dal rock all’elettronica, dal pop ai ritmi in levare, fino al rap. Non ho un genere preferito, ma sul rock in generale mi sento più vivo rispetto ad altri stili musicali, quello sì. Quali saranno i tuoi passi futuri? Appena sistemato alcune cose, inizierò con i live di promozione di entrambi gli album, in trio acustico. Nel frattempo, mi sono state proposte delle collaborazioni che dovrò valutare. Ci prendiamo i momenti che vengono, belli e brutti che siano, con la consapevolezza che sono tasselli
di vita, quindi, già solo per questo, importantissimi.
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CHIARABLUE
Di Chiara Orsetti “Dinosauri” è il nuovo singolo della cantautrice reatina, “folgorata” da Carmen Consoli e con molta voglia di suonare dal vivo Parliamo degli artisti che hanno influenzato il tuo percorso e che ti hanno ispirata al punto da voler intraprendere questa strada? Sicuramente tanti artisti. Nella ricerca del sound giusto per il progetto sicuramente a un certo punto ho capito che avrei dovuto farlo
somigliare il più possibile a me stessa. Seguendo questa idea ho messo insieme tutto quello che in qualche modo riusciva a smuovere la mia anima. L’ho messo insieme e mi sono resa conto che mondi diversi, anche molto distanti, possono stare bene insieme. Sicura-
appassiona. Ultimamente, per esempio, mi sono legata molto alla musica folk latina: mi piace tutto ciò che riguarda la bossanova, il flamenco, la musica messicana, il bolero cubano, e non posso non citare Silvia Perez Cruz, che si è esibita sul palco dell’Ariston insieme a Tosca. Posso definirla la mia cantante preferita in assoluto, il suo modo di approcciarsi alla musica è pazzesco. Anche lei è una sperimentatrice, una grande donna in evoluzione. Spero vi capiti di ascoltarla. Anche tu hai una gran voglia di sperimentare: si intuisce dal tuo singolo Dinosauri, pubblicato da poco. C’è un bel mix di suoni e di idee, e si parla anche di persone in evoluzione. Fa un po’ ridere, ma quando mi chiedono “Che genere fai?” io lo definisco “un fritto misto”, perché davvero è l’unione di tante cose tutte insieme che hanno in comune soltanto l’essere le mie passioni, l’essere qualcosa che a me… sposta. Dentro Dinosauri ci sono molti elementi diversi tra loro: c’è il violino che segue melodie fla-
mente i grandi cantautori italiani sono stati le mie influenze più importanti: sono cresciuta con una mamma che ascoltava moltissima musica italiana, e sono diventata grande con le loro parole. Ricordo in particolare il momento in cui ho visto la prima esibizione di Carmen Consoli a Sanremo. Lì ho capito che esisteva una dimensione di cantautrice, di donna che si approcciava alla musica che mi ispirava. Trovo che sia la cantante più rivoluzionaria di sempre: per le sonorità, per la capacità di utilizzare le parole, per la sperimentazione e per la capacità di mettersi in gioco, sempre. In un’intervista, Carmen ha dichiarato di non aver mai avuto paura di cambiare generi e influenze, che l’evoluzione e l’essere sempre capace di seguire ciò che ti appassiona in un momento determinato alla lunga ti premia. Puoi essere te stessa, ma in tutte le sue versioni. Si rischia di rimanere intrappolati altrimenti. Mi sento vicina a lei per la voglia di sperimentare, di cambiare, di seguire ciò che in quel momento mi ispira e mi 31
menche, la chitarra segue un’idea di Bossanova, delle percussioni che strizzano l’occhio all’Africa… mettiamo dentro tante cose senza dimenticare le nostre radici, il nostro essere italiani. La melodia della nostra musica popolare. Avremo modo di vederti suonare dal vivo? Cosa bolle in pentola? Assolutamente si! È tanto che siamo chiusi in studio a sperimentare e abbiamo un grandissimo 32
desiderio di live, non vediamo l’ora di condividere. Ho proprio voglia di guardare negli occhi le persone, non solo di immaginare che ci ascoltano attraverso un telefonino o alla radio. Voglio stabilire un contatto con le persone, fare in modo che la musica fluisca diretta alle loro orecchie. Condividere è la parola chiave della nostra società, inteso come stare insieme. Fare gruppo e spalleggiarsi è l’unica strada percorribile per tutti gli artisti e soprattutto per noi donne che, storicamente, siamo sempre state un po’ conflittuali tra noi. Negli ultimi anni ci sono realtà meravigliose, anche di scrittura, dove le donne si mettono insieme e fanno cose straordinarie. Mi viene in mente la Murgia con I suoi podcast, le scrittrici come Antonella Lattanzi, hanno fatto cose stupende… Penso sia la strada da percorrere. Io vorrei percorrerla. Il primo appuntamento sarà a Milano il 17 marzo, per la rassegna Because the Night. Cosa puoi raccontarci? La serata fa parte di una rassegna di Marian Trapassi, dedicata al
cantautorato femminile, e ci esibiremo con altre cantautrici. Ho assistito a una delle serate e devo dire che è stata un’esperienza stupenda, un grande momento di musica, di condivisione di “sorellanza”. Cominceremo a far sentire il nostro progetto dove porteremo Dinosauri e alcuni brani inediti che faranno parte dell’album. Che cosa ha rappresentato per te essere arrivata in finale al Premio Bianca D’Aponte? Per me ha segnato l’inizio del viaggio. Speravo moltissimo di arrivare in semifinale, soprattutto quest’anno in cui c’era Tosca come madrina. Sono molto legata al suo percorso, mi piace molto come artista, e per me era importante poter esserci con lei. Quando Gaetano mi ha comunicato di essere tra le 10 finaliste è stato un sogno che si è realizzato. Quando sono arrivata là il sogno si è triplicato. Credo sia impossibile comprendere la bellezza del Bianca D’Aponte finché tu non sei lì. Prima di tutto perché è l’unico premio dedicato alle donne in Italia, ma è un premio completamente diverso
da tutti gli altri perché è davvero un atto d’amore. La capacità di trasformare una cosa così brutta, come la perdita di una figlia, in una possibilità per le altre cantautrici per me è una cosa davvero eccezionale. Sono grata a Gaetano, a Giovanna e a Gennaro e tutte le cantautrici che hanno partecipato al premio con me. Abbiamo una chat su Whatsapp da ottobre e non abbiamo intenzione di chiuderla per nessuna ragione! Possiamo continuare a fare cose insieme: con due di loro stiamo vivendo l’esperienza sanremese. Consiglio a tutte le cantautrici di passare dal Bianca D’Aponte. Quale canzone di Sanremo avresti voluto scrivere? Anche una che non è arrivata in vetta alla classifica… La canzone che avrei voluto scrivere… be’, Amore di Plastica di Carmen Consoli. Credo sia la donna più rivoluzionaria, è capace di mescolare dolcezza ed eleganza con parole così forti e violente con una dirompenza ammirevole. Non credo ci sia nessuno equiparabile. (Chiara Orsetti) 33
ANTHONY “Walking On Tomorrow”, esordio da solista, contiene vita, esperienze, emozioni e sogni, in un album dalle sonorità metal di cui è songwriter, autore, compositore, arrangiatore, chitarrista e produttore
Primo disco da solista: perché ora? Che esperienza è stata? Credo che ci sia sempre un momento nella vita che consideriamo giusto per fare determinate cose e tutto dipende da ciò che si sente e si vuole esprimere secondo me. Dopo tanti anni di musica all’interno di gruppi, progetti di collaborazioni artistiche e piccole produzione, sentivo che era arrivato il momento giusto per scrivere, comporre e produrre qualcosa che fosse soltanto mio, senza influenze esterne, che parlasse di me
e di ciò che avevo dentro. Questa urgenza comunicativa mi ha messo nelle condizione di prendermi una pausa dai gruppi che avevo in quel momento per dedicarmi a questo mio primo album solista. La cosa importante per me era quella di fare un lungo viaggio introspettivo nel quale raccontarmi senza filtri e con la massima libertà sia a livello di contenuti e temi, sia a livello musicale. Walking On Tomorrow è un album di stampo Hard Rock, ma sono molte le influenze e le atmosfere e, anche in
questo, cercavo la massima libertà di espressione che è un qualcosa che si può trovare nella concezione di album solista. L’esperienza è stata intensa perché è stato un lungo viaggio dentro di me in cui racconto alcune mie esperienze, stati d’animo. Parlo di amore, amicizia, passione, sogni, paure, gioie e tormenti. Ho tirato fuori molto di me in questo disco. Come sono andate le lavorazioni del disco? Decisamente impegnative un po’ su tutti i fronti ma ne ero assolutamente consapevole. Fare un album in generale è sempre impe36
gnativo e farne uno solista in cui sai che tutto dipende da te a livello di gestione è decisamente molto intenso. Una volta scritti i brani la cosa piu’ complessa è stata trovare i turnisti giusti che suonassero in studio le mie composizioni e devo dire che la ricerca è stata lunga. Cercavo musicisti che “sentissero” ciò che avevo scritto e che potessero quindi eseguire al meglio le parti in sessione. Io sono l’autore, compositore, arrangiatore, chitarrista e produttore, ho scritto tutto in quest’album comprese le linee vocali dei brani, mi serviva però stringere collaborazioni in studio per gli altri strumenti che io non suono, inclusa la voce. Devo dire che è stata una delle parti più lunghe e complesse. Anche l’aspetto economico ha avuto decisamente un peso per la produzione dell’album e questo ha portato a qualche fase di rallentamento. Tutto fa parte del gioco. La forza c’è sempre stata, anche nei momenti più complessi, proprio perchè sapevo che stavo facendo un qualcosa di molto importante per me. Ci sono stati momenti di grande emozione
dovuti al vedere come ciò che avevo nella testa e nel cuore si stava man mano concretizzando e momenti molto divertenti nelle sessioni di registrazione con il mio fonico di fiducia (Massari) e nella fase mix e master (Castelli). Un esperienza importante, formativa, intensa. Qual è la canzone del disco alla quale sei più legato? Essendo un album solista è veramente difficile pensare di essere legato maggiormente a un brano piuttosto che ad un altro. Ogni canzone ha un significato, uno stato d’animo e tema differente. Posso però dire che il brano che mi ha divertito di più registrare è stato Get Off. Un Hard Rock molto diretto, veloce. Le parti soliste di questo brano sono state completamente improvvisate dall’inizo alla fine in studio di registrazione. In generale ho improvvisato altre parti soliste nell’album, ma Get Off nella sua totalità. Mi sembra che i tuoi gusti puntino dritto verso l’epoca d’oro del metal. Quali sono i tuoi punti di riferimento?
Arrivo da una scuola Hard Rock e Heavy Metal che si rifà alle sonorità classiche degli anni settanta e soprattutto ottanta e novanta. Oltre ai grandi gruppi che hanno caratterizzato quell’epoca straordinaria per il genere, sono molto influenzato anche dal Punk, Epic Metal, Folk Italiano, Spanish e, ovviamente Blues e Rock N’ Roll. Quali i tuoi prossimi passi? In questo momento penso a promuovere Walking On Tomorrow e a proporlo dal vivo il più possibile, poi sono tante le cose che vorrei fare. Continuare a collaborare con artisti sia in studio che live, che è qualcosa che faccio da diversi anni. Mi piacerebbe fare un album con il mio attuale gruppo, che è la band che mi accompagna live in Walking On Tomorrow. Sicuramente continuare a scrivere e produrre anche come solista. L’aspetto di scrittura e composizione è molto importante per me. Di idee ce ne sono tante cosi come di voglia e determinazione. Certamente la musica, il Rock N’ Roll, avranno sempre un ruolo fondamentale nella mia vita. 37
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“Capovalle” è il titolo del nuovo disco della band ma è anche il luogo (“dell’anima”) in cui le canzoni nuove hanno preso forma
Per spiegare questo disco mi pare di capire si debba partire dalla geografia. Ci spiegate cos’è “Capovalle”? Ciao a tutti! Allora: Capovalle è una piccola contrada in montagna nel paese di Roncobello, in provincia di Bergamo, mio paese
natale (Tia, cantante e autore della band). Sono tornato a viverci dopo il rientro da Bologna, una volta terminata l’università, e lì un po’ in solitudine e in mezzo alle montagne ho scritto i dieci pezzi dell’album. A Capovalle abbiamo poi arrangiato i brani, suonando
per interi weekend e buttando giù idee per ore e ore. Alcuni brani sono nati a notte fonda, perché non essendo un posto molto abitato, avevamo la libertà di suonare a tutte le ore (ride nda). Per cui ci sembrava il titolo giusto per questo album nato lì, a Capovalle... Inoltre va aggiunto che queste canzoni sono nate in un periodo di fermo della band e risentono molto del carattere intimo e personale tipico di una composizione che risponde a una necessità di scrittura di indagine su di sé. Per cui, al di là del mero dato geografico, che indubbiamente c’è, Capovalle rappresenta metaforicamente un luogo dell’anima da cui poter guardarsi dentro e indagare sulla nostra persona, che è il carattere del disco. Dodici anni e qualche disco alle spalle: come avete affrontato il lavoro su questo disco? Come dicevo, il lavoro su questo album è stato molto particolare. Una volta selezionati i dieci brani su cui lavorare dal materiale a disposizione (cioè quattro anni di composizione), abbiamo cercato 40
di trovare i giusti arrangiamenti che potessero incastrarsi alla perfezione con l’animo delicato delle dieci canzoni. Per questo abbiamo deciso di isolarci in montagna per trovare l’animo del disco. Poi, una volta fatte le prime registrazioni demo, siamo andati in studio a registrare a Ospedaletto Lodigiano alla Tanzan, iniziando i lavori a ottobre 2018 e terminando con il mastering al PriStudio di Bologna nell’Aprile 2019. E adesso finalmente l’album vede la “luce”. Vorrei sapere come nasce “Pura forma” Pura forma è nata in un modo piuttosto fortuito. Ero a cena con mia moglie in un locale della zona di Roncobello e al tavolino di fianco a noi sedeva una coppia di persone che conosco; e so con quale verve sottolineano la loro relazione d’amore sui social network. Tuttavia, passarono l’intera serata ognuno con gli occhi fissi sullo schermo del proprio smartphone. Io non amo molto i social né tanto meno i telefonini, per cui tornato a casa quella sera ho cominciato a riflettere su quanto in realtà
il mondo dei social nasconda molto la sostanza delle cose. Non è una scoperta mirabolante, ok; però volevo in un certo senso cantare questa cosa, cioè: più della forma è importante la sostanza. E da qui la canzone Pura forma. Che cosa vi piace oggi della musica italiana? Personalmente sono molto affezionato a vecchi autori o nomi della musica italiana, dal cantautorato (De André, Dalla, Fossati...) al rock (Litfiba, Timoria, Ritmo Tribale, ecc.); di nuovo italiano conosco poco. Per cui non saprei dirti. Ecco potrei citarti Max Gaz-
zè, lui mi piace molto. Quali sono i progetti futuri della band? Be’ vista l’imminente uscita, promuovere il disco il più possibile con i live: il prossimo 28 febbraio saremo a Lodi al KM298 per la serata di presentazione ufficiale. Poi in futuro vedremo. Magari qualche altro weekend a Capovalle per trovare nuove idee. 41
MATTEO MUNTONI “Radio Luxembourg” è il nuovo disco del musicista, sospeso tra ispirazioni “lennoniane”, spirito rock e una curiosità nei confronti di Beck
Il tuo percorso artistico è molto vario e articolato. Quali sono le tappe fondamentali che “ti spiegano” meglio? Be’ diciamo che ho studiato dalla classica al jazz alla musica elettronica e non mi sono risparmiato in nulla! ho tenuto sempre, pur spaziando tra generi, un approccio vicino alla musica che mi ha
forgiato soprattuto da adolescente, ovvero il rock nelle sue varie sfaccettature. “Radio Luxembourg”: già il titolo merita un approfondimento. Ci vuoi spiegare anche che cosa ti ha ispirato nell’avventura di questa radio pre-bellica?
Il tutto è partito quando dopo aver visto il film Nowhere boy dedicato alla vita pre Beatles di John Lennon, dove era chiaro quanto fosse importante per tutti i musicisti europei e non solo inglesi l’ascolto della musica oltre oceano e di come tutti questi se ne nutris44
tenzione iniziale? Come ho detto prima, ho scritto musica molto diversa che arriva da mondi anche in contrasto tra loro, ma ho mantenuto proprio questo filo conduttore, forse anche un po’ in maniera inconsapevole. Il tutto è avvenuto in maniera naturale, non organizzata: pensavo solo a scrivere musica che mi sarebbe piaciuto ascoltare. E mi sono messo alla prova sopratutto dal punto di vista organizzativo, dato che ho seguito tutto il progetto completamente, dalla stesura dei pezzi, alla registrazione, sino alla pubblicazione. Un nome “possibile” e uno “impossibile” con cui desidereresti collaborare Domanda difficilissima a cui rispondere! Sono troppi, la lista sarebbe infinita! Al momento vi dico che mi piacerebbe, tra le cose impossibili, vedere come lavora Beck in studio! Quali saranno i tuoi prossimi passi? Sto organizzando un po’ di concerti per promuovere il disco e spero di suonare il più possibile!
sero golosamente per formare poi i propri gusti e scelte musicali: il fatto che poi si trattasse di una radio libera che trasmettesse da una nave pirata dalle coste del Belgio ha fatto il resto. A seguito di questo, poi, ho conosciuto molte persone, sopratutto musicisti italiani, che mi hanno raccontato quanto fosse stata importante per loro. Tutta questa storia mi ha davvero colpito e non potevo che omaggiarla scri-
vendo musica! Nel disco si avvertono numerose influenze e anche un discreto sprezzo dei limiti di genere. Però ci avverto un certo spirito “rock” sottostante che forse è uno dei principali fil rouge del lavoro. Mi sbaglio? Era questa la tua in-
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