SportdiPiù magazine Veneto 70_2021

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Bar Toletti light

di Marino Bartoletti instagram marinobartoletti Facebook-Square Marino Bartoletti

L’ultimo degli italiani

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ra buono Michele Alboreto. Buono e gentile. Ma in pista non faceva sconti: lo sapeva anche Ayrton che in un paio di occasioni dovette sperimentare la sua grinta. Lui che, di certo, non era un agnello. È stato l’ultimo pilota italiano (per giunta sulla Ferrari) a sfiorare il titolo mondiale. Ma, in quel maledetto 1985, la fortuna non girò davvero dalla sua parte: cinque ritiri nelle ultime cinque gare, quando sembrava che avesse già la vittoria in pugno, avendo tenuto a bada Alain Prost fino a Monza. Enzo Ferrari, un uomo che non faceva sconti a nessuno, men che meno ai suoi piloti mi disse (e non eravamo soli): “A quel ragazzo io debbo un Mondiale”. E lui sapeva perché. Si erano conosciuti per lettera, lui e Michele. Una lettera che il giovane pilota aveva scritto a mano, di getto. Il Vecchio aveva giurato che nessun italiano avrebbe più guidato una sua vettura (troppo dolore, troppa ingratitudine). Ma le parole di quel ragazzo che candidamente gli svelava

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i suoi sogni lo intenerirono. E appena si presentò l’occasione lo chiamò con sé. Alboreto, una volta a Maranello (dove arrivò avendo già comunque vinto due Gran Premi con la Tyrrell), scoprì che non erano tutte rose e fiori. Il momento più bello, quello della fine degli anni ’70 e degli inizi degli ’80, se n’era andato con Gilles. Eppure ci credette: strinse i denti. Era un collaudatore straordinario: proprio come piaceva a Ferrari, che in lui vedeva un altro Alberto Ascari (e non solo per la milanesità). Ed era anche un ragazzo leale, al punto da respingere il corteggiamento di un team che poi si sarebbe rivelato vincente. Purtroppo il Grande Vecchio – suo protettore – stava cominciando a ripiegare pian piano le ali: e non aveva più la percezione perfetta di quello che accadeva nella sua Scuderia. Se ne andò prima del Gran Premio di Monza dell’88. Michele sognava di ringraziarlo con una vittoria: ma arrivò secondo dietro a Berger in un giorno in cui, quasi miracolosamente, sulle Rosse arrivò l’inatteso raggio di sole della fortuna. A fine stagione le strade di Michele e di

Maranello si separarono. Cercò di vivere con dignità la sua delusione: continuò a correre in Formula Uno, ma la stagione dei grandi sogni ormai era alle spalle. Nella sua maturità di pilota si regalò una bellissima vittoria nella 24 ore di Le Mans. E fu proprio collaudando una vettura (un’Audi) per quella corsa affascinante che perse la vita, in circostanze mai ben chiarite, il 25 aprile di vent’anni fa nel maledettissimo autodromo tedesco di Lausitzring: lo stesso dove cinque mesi dopo si sarebbe schiantato Alex Zanardi. Aveva 45 anni. L’ho conosciuto bene (abbiamo persino disputato una gara in coppia a Monza, dove ebbi ancora una volta la prova della sua gentilezza e della sua modestia). Era innamorato della sua Nadia (conosciuta adolescente), delle sue bambine (anche se diceva che “un pilota forse non dovrebbe mai fare figli”), della sua mai tradita normalità. Lo chiamavi al telefono: ti rispondeva. Provate adesso! È stato l’ultimo pilota italiano ad aver vinto su una Ferrari: sono passati 36 anni…


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