L'Industria delle Carni e dei Salumi - 10/21

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sostenibilità di Giovanni Pallavicini

Farm to fork: è davvero la strada giusta per la futura PAC? Le filiere evidenziano le criticità del rapporto tra i due strumenti UE Lo scorso 8 novembre si è tenuto a Roma e online un evento dedicato a condividere riflessioni tra istituzioni e operatori circa la strategia Farm to Fork e la futura nuova PAC, la Politica Agricola Comunitaria. L’evento promosso dall’Ufficio in Italia del Parlamento europeo in collaborazione con la Rappresentanza della Commissione europea ha toccato numerosi importanti aspetti tanto della strategia di fondo dell’UE quanto della politica attuativa e di investimento agricolo dell’Unione, evidenziando punti di vista interessanti e a volte profondamente differenti. Come dichiarato dal Responsabile del Parlamento europeo in Italia, Carlo Corazza, e dal Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Antonio Parenti, è la prima volta che l’Unione Europea progetta una politica alimentare che proponga misure e obiettivi che coinvolgono l’intera filiera alimentare, dalla produzione al consumo, passando naturalmente per la distribuzione. Tra gli attori chiamati a dire la propria opinione sulla strategia europea e sulla principale politica di spesa comunitaria, Oscar Farinetti che ha anzitutto voluto ricordare come “Noi italiani possiamo offrire il miglior cibo del mondo, abbiamo inventato noi l’agricoltura ed è nostro compito, politici compresi, occuparci dell’intera filiera. Con Eataly portiamo la storia dell’agricoltura italiana nel mondo attraverso il cibo, i prodotti, la cultura e soprattutto la narrazione”. Secondo il patron di Eataly, “il modo migliore per tutelare i nostri prodotti enogastronomici è saperli raccontare, combattendo il sovranismo alimentare”. Secondo Farinetti, per il Bel Paese che ha conquistato con il gusto, la bellezza e il saper fare le tavole di tutto il mondo e su quelle tavole vuole e in un certo senso deve continuare ad approdare, parlare di autosufficienza, autoconsumo, consumo locale e interno è un clamoroso autogol. Come potremo convincere gli altri ad apprezzare tutti i sapori dell’Italia se noi per primi dichiariamo di volerli tenere per noi e finanche di volerci chiudere negli illusori confini gastronomici della nostra regione? L’apertura e il rispetto per le capacità di altre nazioni è alla base della capacità di suscitare interesse e attrattiva all’estero. Farinetti ha poi chiuso il suo intervento con una provocazione: “sarebbe bello se l’Italia si dichiarasse Paese Bio! È un gesto forte, ma il futuro lo prevede. Sarebbe un modo per raddoppiare le esportazioni delle nostre eccellenze”. Silvia Michelini, direttrice sviluppo rurale, DG Agri, Commissione Europea, ha evidenziato i successi che sta ottenendo l’UE sulla sostenibilità negli ultimi anni, come la diminuzione del 7% delle vendite di insetticidi dal 2011 al 2019; l’aumento del 6% della produzione Bio e un valore aggiunto lordo della produzione agricola europea del 20% dal 2010. Dati incoraggianti ma che non devono far pensare che le sfide da affrontare siano facili o banali. Innanzitutto, ricorda Michelini, “rendere il settore agricolo competitivo mirando alla sostenibilità economica, ambientale e sociale” è un obiettivo ambizioso e sfidante. Inoltre: promuovere la coltivazione biologica stabilendo una percentuale obbligatoria minima di acri di terreno coltivati a biologico per ogni

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Paese entro il 2030; offrire indicazioni precise per un’alimentazione sana, con dati scientifici; raccomandare agli Stati membri di ridurre ulteriormente l’uso di pesticidi, rimettendo in discussione anche la procedura che porta alla loro approvazione; ridurre il più possibile le emissioni di CO2 del comparto agricolo e armonizzare le norme sul benessere degli animali. Se per la direttrice Michelini la Farm to Fork sembra dunque essere la strada giusta senza dubbi, di diverso avviso si è dimostrato Herbert Dorfmann, del Parlamento Europeo, che ha denunciato una strategia sbilanciata e con diversi deficit su cui occorre lavorare. Non è una legge ma sono indicazioni e non si possono imporre agli Stati Membri. Secondo Dorfmann “vanno forniti agli agricoltori strumenti nuovi per poter raggiungere gli obiettivi sostenibili”. Si chiede anche che tipo di supporto possano dare le nuove tecnologie. “La strategia, per gli Stati membri, può essere un percorso su cui operare” prosegue il relatore, “ma hanno bisogno di punti di partenza e obiettivi chiari”. Critico anche il parere di Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura, la PAC ha meno risorse finanziarie di altre iniziative politiche e in Italia questa carenza peserà particolarmente. “Nasce come politica economica e rischia di diventare una politica sociale” afferma. Confagricoltura è critica sulla strategia che “rischia di depotenziare l’agricoltura europea”. Anche sul NutriScore Giansanti non risparmia obiezioni: “una iniziativa privata come questa non può avere finalità eque e non va nell’interesse finale del consumatore europeo. Il NutriScore omologa le diete alimentari a livello locale. Il cibo è business, quei Paesi che hanno multinazionali forti avranno maggior interesse a questo tipo di soluzione. No al NutriScore ma sì nell’individuare un modello di etichettatura giusto per il consumatore, per gli agricoltori e per le imprese della filiera”. Anche Luigi Scordamaglia - Filiera Italia - esprime considerazioni che mettono in discussione l’approccio “piatto e uniforme” della strategia Farm to Fork e perplessità sul suo eventuale recepimento

tal quale all’interno delle scelte di investimento della PAC. Partendo dall’indispensabile maggior confronto che le istituzioni nazionali ed europee dovranno avere con gli operatori e le imprese per mettere a punto strategie così delicate che apparentemente riguardano solo l’immissione di inquinanti o l’uso delle risorse, ma che di fatto impattano su sostenibilità ambientale complessiva, sociale ed economica delle realtà agroalimentari, Scordamaglia evidenzia che sebbene la strategia di sostenibilità europea sia unica, ben diverse sono le condizioni di partenza di ciascun Paese. L’Italia, ad esempio, ha già fatto enormi sforzi e passi avanti rispetto a tanti altri Paesi Europei e non le si può chiedere il medesimo sforzo di chi non ha mai messo al centro l’uso sostenibile delle risorse. In ragione anche di un territorio geologicamente non omogeneo e non sempre favorevole alle colture e all’attività agricola, l’Italia ha sperimentato e implementato con successo prima di altre soluzioni e tecniche all’avanguardia nell’utilizzo efficace delle risorse e nella preservazione degli ecosistemi in cui le attività agricole si inseriscono. Sempre per questa logica, la scelta di operare come filiere di produzione, integrando il più possibile le relazioni tra operatori ai diversi livelli è da sempre una scelta obbligata. Sono elementi questi da valorizzare non solo nella definizione politica degli obiettivi nazionali della Farm to Fork, ma anche nello storytelling con cui accompagniamo l’immagine dell’Italia e del food made in Italy nel mondo. Da ultimo Scordamaglia ha anche richiamato l’attenzione sull’impostazione di fondo della strategia Farm to Fork: l’obiettivo è inquinare di meno e utilizzare meno risorse, ma la strategia per raggiungere l’obiettivo sembra andare spesso nella direzione di produrre di meno. Questo è un rischio che non solo l’Europa non può permettersi di correre, ma nemmeno il mondo intero, tanto che oltreoceano guardano con estrema preoccupazione le scelte di implementazione per la sostenibilità proprio con il timore che la produzione agroalimentare europea si possa contrarre.

Novembre-Dicembre 2021


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