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33 NOVEMBRE 2022 LO SPAZIO DA TUTTE LE LATITUDINI ROBERTO BATTISTON PIANETI ORFANI IL CIELO DEL MESE DART: MISSIONE COMPIUTA

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Artemis: continua l’attesa.

Intanto…

Al momento di andare in stampa siamo ancora in attesa della partenza della missione lunare Artemis I, che dopo altri rinvii dovrebbe avvenire questo mese, ma nel frattempo la sonda americana Dart ha centrato il suo bersaglio, colpendo la piccola luna Dimorphos che orbita attorno all’asteroide Didymos Come ci racconta Cesare Guaita, gli esiti dell’impatto sono positivi, anche se saranno necessarie le misure di precisione che effettuerà la missione europea Hera, programmata per il lancio a fine 2024. Per il momento godiamoci le immagini arrivate dal minisatellite italiano LiciaCube, partito insieme a Dart e che dimostrano ancora una volta le capacità della scienza e della tecnologia made in Italy.

A proposito di spazio europeo, questo mese è in programma la conferenza ministeriale dell’Esa, che farà il punto sui molti programmi spaziali e di esplorazione scientifica del Sistema solare e che dovrà decidere sulla richiesta di nuovi finanziamenti.

Ne abbiamo parlato con Roberto Battiston, intervistato dal nostro Antonio Lo Campo, che ci racconta della recente evoluzione del ruolo delle agenzie spaziali nazionali, non più attori unici del panorama ma abilitatori dello sviluppo economico del settore spaziale che vede una partecipazione sempre crescente dei privati. Anche Cosmo continua a cambiare e a perseguire un lento ma costante processo di rinnovamento. In questo numero abbiamo inserito una piccola indagine sui luoghi, in particolare le edicole, dove viene acquistata. Le vostre risposte ci aiuteranno molto a ottimizzarne la distribuzione; contiamo di riceverne molte, sia tramite il modulo online che con il tradizionale sistema postale.

È benvenuta anche una nuova rubrica, dedicata ai “luoghi comuni” da sfatare nel campo dell’astronomia, che debutta proprio in questo numero. E annunciamo che a dicembre ci sarà una sorpresa che affiancherà la rivista, dedicata al cinquantesimo anniversario della missione Apollo 17, l’ultima ad aver portato degli astronauti sulla Luna… fine dello spoiler.

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EDITORIAL 1

ANNO 4 - NUMERO 33 mensile registrato presso il Tribunale di Milano al n° 137 del 6 giugno 2019

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CONTENTS

SPAZIO

CIELO

FENOMENO DEL MESE

DI URANO

MESE

GRANDE COSTELLAZIONE

DI ASTRONOMIA

RAGGIO DI SCHWARZSCHILD

UNIVERSO

DEL MESE

ORFANI

PIOGGE DEGLI ALTRI PIANETI

SOMERVILLE:

DONNA PIÙ STRAORDINARIA

SUO TEMPO

EXPERIENCES

CITIZEN SCIENCE

SPAZIALI

CIELO DI GIORNO

VOSTRE STELLE

COMUNI

STELLE HANNO LE PUNTE?

PLANETARIO CON DANTE

INFORMA

CACCIA DI STELLE

SOTTO

PIANETI

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32 TEMA
PIANETI
38 ESOPIANETI LE
44 PERSONAGGI MARY
LA
DEL
Inquadra
del
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L’OPPOSIZIONE
52 CIELO DEL
60 OSSERVAZIONI UNA
AUTUNNALE 64 L’ORA
IL
68
PHOTOBOMBER
72 ASTROFOTOGRAFIA IL
78 LE
86 LUOGHI
LE
88 PLANETARI AL
90 UAI
A
E
92 EVENTI
IL CIELO 94 RECENSIONI LO SPAZIO NELLE NOSTRE MANI CON SOLAR WALK 2 96 RECENSIONI
4 SPACE NEWS 12 COVER STORY LO SPAZIO DA TUTTE LE LATITUDINI 20 LA LUNA E OLTRE DART: MISSIONE COMPIUTA 26 SPAZIO INTERNAZIONALE 30 I FUTURI DRONI MARZIANI NASCONO IN ITALIA 38 72 20 78
LE FUTURE MISSIONI LUNARI CINESISPACE 4 NEWS SUMMARY IL MONDO PIÙ VENTOSO DEL SISTEMA SOLARE 1 6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE POSSIBILE MANUTENZIONE PRIVATA PER HUBBLE 4 POSSIBILI NEVICATE MICROBICHE SU ENCELADO 3 BOLLE DI GAS CALDO INTORNO A SGR A* LE NUVOLE DI GIOVE IN 3D 2 5 SUSIE, LA NAVICELLA EUROPEA DI ARIANEGROUP 7

NELLE PROFONDITÀ DELLA TARANTOLA

A partire dalle famose “prime luci” pubblicate lo scorso mese di luglio, che hanno stupito tutto il mondo (vedi Cosmo n. 31 e 32), il James Webb Space Telescope continua a riprendere gli oggetti più famosi del cielo, quelli con cui si possono fare dei confronti tra le tecnologie del passato e quelle del presente. E lo fa rendendo i dati e le immagini immediatamente disponibili per la comunità scientifica tramite l’Early Science Program.

Una di questa, realizzata a mosaico, è pubblicata qui a doppia pagina e riguarda la Nebulosa Tarantola, una delle più grandi regioni di formazione stellare conosciute. Situata nella Grande Nube di Magellano a 161mila anni luce da noi, la Tarantola è una culla di stelle in cui gli strumenti ad alta risoluzione del Webb rivelano sorprendenti e inediti dettagli. La NirCam mostra nel vicino infrarosso decine di migliaia di giovani stelle mai osservate. Nell’immagine, le stelle più massicce appaiono di colore blu pallido e si concentrano nella cavità della nebulosa, la cui struttura è scolpita da venti stellari e radiazioni ultraviolette prodotte dalle giovani massicce, risultando così composta da una densa e intricata rete biancastra di polvere e gas

In alto è presente una bolla, che è stata indagata dello spettrografo NirSpec del Webb, rivelando un importante fenomeno di formazione stellare: l’idrogeno molecolare e gli idrocarburi complessi individuati al suo interno suggeriscono che la bolla sia una nube di polvere che circonda una protostella. Il giovane astro sta emergendo dal suo bozzolo, anch’esso bersaglio delle radiazioni del grande ammasso stellare al centro della Nebulosa.

Molto diversa appare la nebulosa allo strumento Miri (foto sopra), che nel medio infrarosso mostra cosa accade nelle profondità delle nubi.

In questa radiazione, le giovani stelle dell’ammasso perdono brillantezza e sono più evidenti gas e polveri. Compaiono così numerose protostelle, ancora incorporate nei loro bozzoli polverosi, mentre si stanno accrescendo.

Da queste immagini è evidente come gli strumenti del Webb possano riscrivere la storia della formazione stellare. Inquadra il QR per un suggestivo zoom verso la Nebulosa Tarantola.

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IL MONDO PIÙ VENTOSO DEL SISTEMA SOLARE

Il telescopio spaziale James Webb ha catturato le sue prime immagini del pianeta più remoto del Sistema solare, mostrando gli anelli polverosi del gigante di ghiaccio con una nitidezza senza precedenti e permettendo di scorgerne alcuni mai osservati prima d’ora.

Le immagini mostrano anche caratteristiche interessanti della spessa atmosfera di Nettuno e sette delle quattordici lune del pianeta. Non avevamo una vista così chiara del pianeta dai tempi della sonda Voyager 2 della Nasa, il primo e unico veicolo spaziale a sorvolare il gigante di ghiaccio nel 1989.

Le immagini di Webb, catturate dalla NirCam, mostrano le nubi di ghiaccio di metano ad alta quota come prominenti strisce e macchie luminose, che riflettono la luce solare prima che venga assorbita dal metano. Più tenue ma comunque visibile nell’immagine è una sottile linea luminosa che circonda l’equatore del pianeta, probabilmente la firma della circolazione atmosferica globale che alimenta i venti e le tempeste di Nettuno. Il pianeta è infatti il mondo più ventoso del Sistema solare.

Questi venti sferzano nuvole di metano ghiacciato in tutto il pianeta a velocità di oltre 2000 chilometri orari. Questa sottile fascia debolmente luminosa è dovuta al movimento di masse di aria fredde discendenti che si riscaldano all’equatore, brillando alle lunghezze d’onda dell’infrarosso più dei gas circostanti.

LE NUVOLE DI GIOVE IN 3D

I primi rendering 3D basati sulle immagini riprese dalla la fotocamera a luce visibile JunoCam della sonda Juno della Nasa rivelano le forme tridimensionali delle nubi di Giove. I risultati dello studio sono stati presentati dal citizen scientist Gerald Eichstädt al congresso Europlanet Science svolto a Granada, in Spagna.

“La missione Juno offre l’opportunità di osservare Giove in un modo inaccessibile alle osservazioni telescopiche terrestri. Possiamo osservare le stesse caratteristiche delle nubi da angolazioni molto diverse in pochi minuti – ha affermato Eichstätd – e questa modalità ha permesso di realizzare modelli di elevazione 3D delle cime delle nuvole di Giove. Le immagini delle tempeste sul pianeta sembrano prendere vita, mostrando nubi che si innalzano a diverse altitudini”. Utilizzando i diversi modi in cui la luce solare viene riflessa e diffusa dalle nuvole, il team è riuscito a individuare l’elevazione delle cime osservate, nell’ipotesi che l’illuminazione solare sia più intensa per quelle che si trovano negli strati più elevati dell’atmosfera. Comprendere le altezze relative delle cime appuntite delle nuvole all’interno dei vortici, aiuterà gli studiosi a individuare le abbondanze delle sostanze, presenti, le principali delle quali sono ammoniaca, idrosolfuro di ammonio e ghiaccio d’acqua. Una volta calibrati i dati grazie ad altre misurazioni, le previsioni teoriche verranno testate per poter avere un quadro più definito della composizione chimica.

6 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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BOLLE DI GAS CALDO INTORNO A SGR A*

I buchi neri super massicci presenti al centro delle galassie sono in genere estremamente attivi, divorando grandi quantità di materia. Invece il grande buco nero presente nel cuore della Via Lattea, il Sagittarius A* (Sgr A*), è piuttosto quiescente. Sembra che l’ultima intensa attività sia stata prodotta alcuni milioni di anni fa, lasciando due enormi bolle di plasma che si dipartono dal centro galattico. Ma ogni tanto, Sgr A* mostra dei brevi segnali di attività. Quando l’Event Horizon Telescope ha puntato Sgr A* per ottenere i dati per comporre la sua prima immagine (vedi Cosmo n. 30), anche altri strumenti hanno eseguito osservazioni in altre lunghezze d’onda, tra cui l’osservatorio a raggi X Chandra della Nasa, che ha catturato una potente esplosione di raggi X, probabilmente dovuta all’interazione tra il disco di accrescimento e il campo magnetico di Sgr A*.

In seguito a tali interazioni, si generano delle bolle di plasma caldissimo che emettono principalmente alle alte energie. Nella regione ottica non sono visibili, perché sono oscurate dalle coltri di gas e polveri del piano galattico. Questi oggetti hanno una durata brevissima: quello osservato sfrecciava attorno al buco nero a circa il 30% della velocità della luce ed è stato smembrato nel giro di circa 35 minuti.

Vedi la notizia completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/3SJlujp e inquadra il QR per un video di Media-Inaf su questa scoperta.

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4POSSIBILI NEVICATE MICROBICHE SU ENCELADO

I geyser di Encelado, satellite di Saturno, sono possibili fonti per la sintesi di molecole organiche, come è avvenuto sulla Terra nelle sorgenti idrotermali. Inoltre, contribuiscono al mantenimento di una atmosfera relativamente costante attorno al satellite che verrebbe altrimenti dispersa a causa della debole gravità. E la presenza di una atmosfera è un altro ingrediente importante per lo sviluppo della vita.

Christopher Glein del Carnegie Institution of Washington ha misurato il pH delle sorgenti idrotermali di Encelado, trovando un valore compreso fra 11 e 12, che indica un’acqua altamente alcalina, ricca di cloruro di sodio e soda, come quella di alcuni laghi terrestri, dove si trovano colonie di batteri alofili, in grado di resistere a pH molto elevati. In un esperimento condotto da Simon Rittman sono state ricreate in laboratorio le condizioni dell’oceano di Encelado e al suo interno sono state introdotte colture di batteri estremofili che sono riuscite a proliferare. Se c’è vita su Encelado, gli organismi potrebbero essere risucchiati dall’innalzamento delle acque dell’oceano e diffusi in atmosfera dai geyser. A una certa altezza, l’acqua si raffredda e potrebbero quindi verificarsi nevicate di microbi sulla sua superficie. Per avere delle conferme, compresa la probabile presenza di fosforo, elemento fondamentale per la vita, non resta che andare su Encelado e toccare con mano (robotica) la verità. Vedi la news completa su Bfcspace alla pagina bit.ly/3E35pkF M.S.E.

SUSIE, LA NAVICELLA EUROPEA DI ARIANEGROUP

All’International Astronautical Congress di Parigi la joint venture francese ArianeGroup ha presentato un nuovo stadio che andrà a sostituire l’attuale ultimo stadio del razzo Ariane 64, la configurazione di Ariane 6 in cui quatro razzi Vega C dell’azienda italiana Avio vengono utilizzati come booster. Si chiama Susie (Smart Upper Stage for Innovative Exploration) ed è uno stadio riutilizzabile per il trasporto dit cargo e, in futuro, di astronauti. Le dimensioni di Susie, 12 metri in altezza e 5 in diametro, permettono una grande baia di carico da 40 metri cubi, che si può adattare al lancio di costellazioni, rideshare e grossi satelliti.

Con una massa totale di 25 tonnellate, Susie potrà portare fino a 7 tonnellate di carico in orbita bassa e ritornare a terra grazie a un comparto motori con una precisa retro-propulsione. Un po’ l’evoluzione dello spazio-plano robotico Space Rider, il cui lancio inaugurale è previsto per fine 2023 a bordo di un Vega C. Susie debutterà come cargo trasportatore e dovrà aspettare le modifiche al razzo e alla rampa di lancio per poter portare in orbita astronauti europei.

8 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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POSSIBILE MANUTENZIONE PRIVATA PER HUBBLE

La prossima missione di manutenzione del telescopio spaziale Hubble potrebbe essere privata. La Nasa e SpaceX hanno firmato un accordo per valutare l’ipotesi di utilizzare la navicella Dragon per portare Hubble su un’orbita più alta. Lanciato nel 1990, Hubble gode tuttora di ottima salute - nonostante che non sia più visitato da una missione di manutenzione dal 2009 - e continua a produrre immagini e risultati scientifici eccellenti. Tuttavia, soffre di un problema non indifferente: orbita attorno alla Terra con una quota oggi inferiore di 60 km rispetto alla sua quota iniziale, a causa della residua

resistenza atmosferica, presente anche a oltre 500 km dal suolo. Bisogna quindi intervenire con un rialzo orbitale, oppure con una manovra di deorbiting pilotato, così da “smaltirlo” in modo sicuro. Ora è in corso uno studio di fattibilità che raccoglierà dati tecnici sia da Hubble che da Dragon, per determinare la possibilità di realizzare un rendez-vous in orbita, per riposizionare il telescopio spaziale su un’orbita più alta e sicura. Un’operazione che – in caso di successo - potrebbe essere applicata successivamente ad altri veicoli spaziali, in particolare quelli situati in “orbite basse” attorno alla Terra come Hubble

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LE FUTURE MISSIONI LUNARI CINESI

A partire dal 2004, la Cina ha realizzato una serie di missioni lunari di successo, nell’ambito del programma Deep Space Exploration: prima una coppia di orbiter, poi un lander e un rover, il primo sbarco sulla faccia nascosta della Luna, compreso un ritorno a Terra di campioni lunari, completato dalla missione Chang’e 5 nel 2020. Dalle dichiarazioni di Liu Jizhong, direttore del Lunar Exploration and Space Program Center della Cnsa, l’agenzia spaziale cinese, l’obiettivo generale di queste missioni è gettare le basi per la fondazione di una stazione di ricerca lunare. Visto il successo delle missioni precedenti, è adesso in progetto Chang’e 6, prevista per il 2024, il cui obiettivo sarà quello di riportare a Terra campioni del lato nascosto della Luna. Successivamente, Chang’e 7 punterà al Polo sud lunare: questa missione consisterà in un orbiter, un lander, un rover, un satellite relè e un piccolo rivelatore che si occuperà di cercare il ghiaccio d’acqua nei crateri polari. Chang’e 8 verrà lanciato successivamente, con lo scopo di testare le tecnologie per la stampa 3D di strutture lunari permanenti con l’utilizzo delle risorse locali. Infine, è confermato il progetto International Lunar Research Station (Ilrs), che prevede una collaborazione con la Russia per la realizzazione di una base lunare a partire dal 2030 (vedi l’articolo a pag. 26).

10 SPACE NEWS A CURA DELLA REDAZIONE
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DOVE TROVO COSMO IN EDICOLA?

Spesso riceviamo lamentele dai lettori che non trovano COSMO in edicola e chiedono dove poterla acquistare. Non è facile rispondere a queste domande ed esaudire le richieste, perché la distribuzione della rivista segue un percorso automatizzato sul quale non è facile intervenire. Un problema è che il numero delle copie stampate di COSMO è inferiore a quello delle edicole italiane e quindi è inevitabile che la rivista sia presente solo nelle edicole principali. Il primo consiglio è quello di sottoscrivere un abbonamento (bit.ly/3R7AcQe) per avere la certezza di ricevere la rivista con continuità, risparmiando sul prezzo di copertina e con la disponibilità della versione digitale che non è soggetta ai ritardi postali. Il secondo consiglio è quello di acquistare la rivista sempre nella stessa edicola e senza interruzioni: COSMO è come una serie TV, di cui occorre seguire tutte le puntate!

Per saperne di più e per cercare di venire incontro alle esigenze dei lettori, abbiamo pensato di svolgere un’indagine rivolta a coloro che acquistano COSMO in edicola, per cercare di far avvicinare di più la rivista a chi la desidera acquistare in formato cartaceo.

Per partecipare all’indagine, basta compilare il modulo che si trova all’indirizzo: bit.ly/3SGvk68 (inquadra il QR code per accedere direttamente al modulo).

Oppure si può fotocopiare il modulo riportato qui sotto, compilarlo e spedirlo in busta chiusa a: Redazione di COSMO, c/o BFC, via Melchiorre Gioia 55, 20124 Milano

Grazie per la collaborazione!

DOVE ACQUISTO LA MIA COPIA DIi

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È: REGOLARE SALTUARIO
12 COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO* A COLLOQUIO CON ROBERTO BATTISTON IN ATTESA DELLA CONFERENZA MINISTERIALE DELL’ESA, PROSPETTIVE E PROBLEMI DEL SETTORE SPAZIALE DA TUTTE LE LATITUDINI LO SPAZIO » L’Alfa magnetic spectrometer (Ams-02) è un rivelatore progettato per la ricerca di nuovi tipi di particelle (antimateria, materia oscura): è composto da un complesso di strumenti che si occupano di misure ad alta precisione della composizione dei raggi cosmici, della loro velocità e provenienza.

Nel corso di questo mese di novembre, verranno prese molte decisioni importanti per il prossimo futuro dell’Europa e dell’Italia nell’ambito dell’esplorazione spaziale e più in generale per il settore spazio. La Conferenza Ministeriale dell’Esa (Agenzia spaziale europea), che si terrà a Parigi, farà il punto su molti programmi spaziali, compresi quelli di missioni scientifiche e di esplorazione di rilievo, a cominciare dalla sospesa missione ExoMars 2022 e del suo rover Rosalind Franklin. Che ne sarà di questa missione a forte connotazione italiana? Qual è il futuro dell’Italia spaziale, della scienza spaziale, e quali prospettive vi sono con il Programma Artemis? Ne abbiamo parlato con Roberto Battiston, fisico e ricercatore di fama internazionale: dal 2014 al 2018 ha guidato (e rilanciato) l’Agenzia spaziale italiana (Asi), ed è tra i responsabili scientifici dell’apparato Ams-02, ancorato su un traliccio della Stazione spaziale internazionale (Iss), per scrutare e carpire i segreti sulla materia oscura e l’antimateria. Ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Trento, dove si occupa di ricerche in fisica spaziale e astro particellare, ricerca di materia oscura e antimateria primordiale, Battiston ha ottenuto molte onorificenze, tra cui il premio Space Economy (2017), la Hall of Fame (2019) e il China National Science and Technology Award (2019). Nel 2017 gli è stato assegnato l’asteroide (21256) Robertobattiston

Professor Battiston, lei è stato uno dei saggi che hanno contribuito alla definizione delle strategie di lungo termine dell’Esa. Come vede la situazione attuale?

Il ruolo delle agenzie spaziali sta evolvendo dal ruolo di attori unici sulla scena dello spazio ad abilitatori dello sviluppo economico che coinvolge sempre più i privati. Questo vale anche per l’Esa, prezioso serbatoio delle competenze e conoscenze europee nel settore spaziale. Il suggerimento che il gruppo dei saggi ha dato all’Esa riguarda lo sviluppo sui temi della resilienza e della sicurezza, temi per loro natura fortemente connessi allo sviluppo della società, oltre alla raccomandazione di puntare a una scienza spaziale di eccellenza basata su grandi progetti di lungo respiro. Sarà molto interessante vedere come tutto questo sarà declinato nelle decisioni della prossima Ministeriale, considerato anche il fatto che la richiesta di finanziamento dell’Esa è aumentata di quasi il 25 per cento.

Questa Ministeriale si svolgerà a ridosso del cambiamento di governo in Italia, motivo in più per seguire con attenzione le decisioni che riguardano il ruolo del nostro Paese all’interno dei programmi Esa.

Come vede il futuro di ExoMars 2022, fiore all’occhiello della tecnologia e della scienza italiana?

La sospensione di ExoMars 2022, a causa delle sanzioni contro la Russia, è stato un durissimo colpo per l’esplorazione spaziale europea e, in particolare, per l’Italia, principale contributore del progetto nel corso di quasi dieci anni.

L’invasione dell’Ucraina è un evento terribile con conseguenze di enorme portata. Ma la cancellazione di un programma pacifico di esplorazione spaziale deve fare riflettere. Non ci può sfuggire il fatto che un programma politicamente estremamente visibile come quello della Stazione spaziale internazionale non si

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sia interrotto e che la collaborazione sia continuata non solo nello spazio, ma anche con il trasporto da e verso terra di astronauti americani sulle capsule Sojuz russe.

E le polemiche con i vertici dell’agenzia spaziale russa? Sono state durissime tra Ragozin, amministratore di Roscosmos poi rimosso da Putin, e il personale Nasa di alto livello, ma non si è andati oltre le minacce: gli accordi in atto sono stati rispettati, anche se oggi non sappiamo che cosa accadrà dopo il 2024. Nel caso di ExoMars, invece, si è provveduto in poche settimane alla sua cancellazione, nonostante lo stato molto avanzato della missione, il cui lancio era previsto per questo autunno con un vettore russo, con accordi vigenti tra i paesi partecipanti.

Si sono usati due pesi e due misure. Come mai la Iss, progetto scientifico in cui gli Stati Uniti sono leader, non è stata coinvolta nella crisi dei rapporti con la Russia, mentre ExoMars, un progetto scientifico a leadership europea e con un ruolo determinante italiano, è stato invece immediatamente sacrificato? La guerra è qualcosa di terribile, ma dopo la guerra non può che esserci la pace e occorre essere capaci di guardare all’orizzonte della pace e agire di conseguenza, preparando gli strumenti giusti.

Non certo un buon capitolo in ambito cooperazione…

I progetti spaziali di carattere scientifico sono sempre stati un ponte tra i diversi paesi, anche quando, su questo pianeta, la politica andava nella direzione dello scontro.

Più di sei mesi di guerra hanno portato a sofferenze e distruzioni inaudite, ma con la cancellazione di Exomars l’Europa - e l’Italia in particolare - hanno perso probabilmente molto di più di quello che ha perso la Russia: in questo modo, quando questa guerra finirà, l’Europa avrà perso una occasione importante di politica internazionale per riallacciare i rapporti con un paese che nell’esplorazione spaziale ha avuto un ruolo fondamentale.

E quindi cosa ne sarà di ExoMars?

Il futuro è estremamente incerto: spero che si trovi un modo di lanciarlo con la Nasa, ma anche a essere ottimisti, vi saranno grandi ritardi e costi addizionali di cui qualcuno, in Europa, dovrà farsi carico. Purtroppo, in Italia non se ne è parlato e non se ne parla, cosa che trovo sorprendente, visto l’investimento fatto dal nostro Paese nel corso di molti anni e il coinvolgimento dell’industria nazionale. La diplomazia spaziale bisogna saperla fare e non solo raccontare.

Artemis è un progetto grande, costoso, ma che vede un’importante cooperazione internazionale. Qual è la sua visione sul ritorno alla Luna con astronauti?

Il ritorno sulla Luna con una base umana permanente rappresenta un progetto molto importante che rilancia con forza l’esplorazione spaziale. Sarei più cauto sulla questione della collaborazione internazionale. Con il programma dell’esplorazione lunare abbiamo

assistito nel giro di pochi anni e ben prima della guerra in Ucraina, al frantumarsi della collaborazione Usa-Russia, fondamentale per la Stazione spaziale, e alla cancellazione dei programmi lunari tra Esa e Russia come esito della crisi ucraina. Nel frattempo, la Cina è atterrata più volte sulla Luna con strumenti robotici, ed è perfino atterrata su Marte. E anche India ed Emirati arabi hanno raggiunto indipendentemente il Pianeta rosso, per orbitarci attorno.

Però gli accordi internazionali perlomeno in ambito Artemis procedono e anche bene… Sì, ma la collaborazione internazionale spaziale con l’esplorazione lunare è diminuita rispetto all’esperienza straordinaria della Iss. Del resto, gli Artemis Accords prevedono una collaborazione tra like minded countries, “paesi che la pensano allo stesso modo”, e quindi si basano su elementi di politica internazionale chiaramente definiti. Nell’esplorazione spaziale si assiste oggi alla formazione di blocchi simili a quelli che sono in competizione per il dominio del pianeta.

Probabilmente, questo sarà allo stesso tempo causa ed effetto di una escalation nell’attività spaziale che però avrà sempre meno un focus scientifico-collaborativo e sempre più un focus di competizione economica, strategica e in ultima analisi militare. Si potrebbe dire “nulla di nuovo sotto il Sole”, ma secondo me si tratta di una occasione che rischia di essere sprecata per contribuire allo sviluppo di relazioni internazionali meno conflittuali, di cui l’umanità ha grande bisogno, per affrontare

14 COVER STORY DI ANTONIO LO CAMPO

» Roberto Battiston, fisico e ricercatore di fama internazionale, dal 2014 al 2018 ha guidato (e rilanciato) l’Agenzia spaziale italiana (Asi).

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sfide globali come quella climatica e ambientale.

L’Italia è grande protagonista nel settore della scienza spaziale, con una tradizione che parte da lontano. Quali sono attualmente i programmi più innovativi?

Ci sono molte cose interessanti nel panorama spaziale italiano. Alcuni che derivano direttamente dalla tradizione dei grandi moduli abitativi della Iss sviluppati dall’allora Alenia, oggi Thales Alenia Space

Italia: dobbiamo ricordarci come l’investimento fatto dall’Asi su Torino durante la presidenza di Sergio De Julio, in condizioni economiche difficilissime, abbia permesso lo sviluppo di tecnologie che ancora oggi rendono Thales Alenia un riferimento a livello internazionale.

La realizzazione dei moduli dei cargo Cygnus, i contratti per i moduli per Axiom e lo sviluppo del prossimo modulo lunare per le missioni Artemis sono la dimostrazione dell’importanza degli investimenti fatti più di venti anni fa. Lo sviluppo dell’industria

spaziale prende tempo e richiede investimenti mirati e una strategia coerente negli anni, ma poi paga.

E poi c’è il Vega: è un programma che ci vede leader anche nel settore lanciatori? Vega è il più piccolo tra i vettori dell’Esa, sviluppato grazie all’azione competente e coraggiosa di un ingegnere dell’Esa, Antonio Fabrizi, sostenuto dai direttori generali Rodotà e Dordain. Oggi il Vega, grazie alle decisioni prese

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» Il rover Rosalind Franklin che sarebbe dovuto partire per il Pianeta rosso in questo autunno con la missione ExoMars 2022

nella Ministeriale Esa del 2014, è diventato il più potente Vega C, ed è in corso di sviluppo il motore liquido per il Vega E, versione ancora più potente del razzo sviluppato dall’Avio di Colleferro Ma passando dai programmi più grandi a quelli più piccoli, ma sempre molto innovativi, mi piace ricordare come l’Italia sia ai primi posti anche nello sviluppo di nanosatelliti di assoluta avanguardia come LiciaCube, inviato verso Didymos (vedi a pag. 22) e ArgoMoon, sviluppato per Artemis I, entrambi sviluppati dalla giovane ditta piemontese Argotec. Infine, ricordo come in Italia si sia dimostrata attrattiva per ditte di altri paesi, come Tyvak, specializzata in costellazioni

satellitari di piccoli satelliti ad alta tecnologia e Nanoracks, ditta pioniere nella space economy dell’orbita bassa, che ha installato sulla Iss un boccaporto realizzato da Thales Alenia Space Italia, destinato ad attività commerciali.

Lei è tra gli scienziati alla guida di Ams-02, il grande apparato installato all’esterno della Iss. A che punto sono le ricerche su antimateria e materia oscura?

Lo sviluppo e la messa in orbita dell’Alpha Magnetic Spectrometer (Ams-02), che opera sulla Iss da più di dieci anni, è stata una grande avventura scientifica durata quasi trent’anni e ha aperto la strada alla

fisica di precisione con i raggi cosmici nello spazio. I risultati di questi anni di osservazioni hanno messo in evidenza nuove proprietà del flusso di raggi cosmici di energia fino alle decine di TeV.

Un risultato particolarmente interessante è stata l’osservazione di un eccesso di positroni, l’antiparticella dell’elettrone, a partire da 10 GeV di energia fino a circa 350 GeV, dove l’eccesso raggiunge un massimo prima di cominciare a scendere rapidamente. Questo picco non era stato previsto e la sua interpretazione rimane aperta: potrebbe trattarsi di un effetto dovuto alla materia oscura, oppure il contributo di una o più pulsar non lontane dalla Terra. Solo con l’aumentare del numero di positroni raccolti ad alta energia sarà possibile risolvere questa ambiguità. Per quanto riguarda l’antimateria, abbiamo osservato dei candidati di anti-elio3 e di anti-elio4, che sono attualmente sottoposti a un’analisi molto approfondita, in attesa di accumulare più statistica e giungere quindi a una evidenza indiscutibile.

Ci può aggiornare su un programma che lei avviò, quando era presidente dell’Asi, di cooperazione con la Cina per satelliti sullo studio dei fenomeni sismici dallo spazio? Il programma italo-cinese Limadou sul primo satellite Cses-01 opera regolarmente da quattro anni, raccogliendo dati di alta precisione che ci permettono di mettere in pratica per la prima volta le tecniche osservative con cui un fenomeno sismico o uno tsunami può essere

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» L’installazione dell’Ams-02 all’esterno della Stazione spaziale internazionale.

osservato dallo spazio. I risultati sono molto incoraggianti e aprono la strada a un nuovo tipo di remote sensing, che non punta all’immagine, ma all’osservazione, nello spazio, di quantità fisiche che sono collegate al fenomeno geofisico che si svolge a terra. Il secondo satellite di questo programma, Cses-02, sarà lanciato nei primi mesi del 2023, andando a formare la prima costellazione che osserva la Terra in questo modo. Nell’ambito del Pnrr stiamo studiando come estendere questa tecnica a una costellazione di nano-satelliti opportunamente equipaggiati.

L’Esa sta nominando un nuovo gruppo di astronauti, tra cui vi sono anche dei diversamente abili. È un’iniziativa nuova, tutta europea… È un’iniziativa molto interessante e sono curioso di vederne l’esito. Mi risulta che sia la prima a volta al mondo e aggiunge una dimensione doverosa di accesso allo spazio anche per coloro che per un motivo o per un altro hanno una disabilità che però non li rende inadatti a operare nello spazio. Se davvero pensiamo a un’evoluzione dello spazio che sia sempre più aperta a una molteplicità di attori, è giusto guardare anche in questa direzione.

La space economy è lanciata e le cifre di oggi lo dimostrano. Il futuro dello spazio, dunque è roseo, in termini di indotto e ricadute tecnologiche?

Il mondo dell’economia sta guardando allo spazio con un

» Sopra: quando il nostro pianeta trema a causa di un terremoto, emette onde gravito-acustiche che si propagano e generano perturbazioni atmosferiche misurabili dallo spazio, grazie al programma italo-cinese Limadou.

A destra: Roberto Battiston è tra i responsabili scientifici dell’apparato Ams-02 per misure di fisica fondamentale e cosmologia.

interesse crescente, anche in Italia. Quando nel 2018 ho lanciato il New Space Economy Expo Forum, grazie all’accordo tra la Fondazione Amaldi e Fiera di Roma, in pochi pensavano a una crescita così rapida del settore. È stata una decisione tempestiva che contribuisce alla visibilità italiana sulla scena della space economy mondiale. Non dimentichiamo poi che nel 2024 l’Italia ospiterà il prestigioso Congresso Internazionale

di Astronautica a Milano: un appuntamento importante per il nostro Paese, al quale dobbiamo arrivare preparati. Veramente uno spazio da tutte le latitudini: grazie professor Battiston.

*ANTONIO LO CAMPO GIORNALISTA AEROSPAZIALE, SCRIVE PER QUOTIDIANI NAZIONALI E PERIODICI, E PER “COSMO” CURA LA SEZIONE SPAZIO.

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20 LA LUNA E OLTRE DI CESARE GUAITA* DART MISSIONE COMPIUTA PER LA PRIMA VOLTA UNA SONDA HA COLPITO UN ASTEROIDE PER CERCARE DI DEVIARLO » La progressione dell’avvicinamento a Dimorphos ripresa dalla Dart negli ultimi secondi prima dell’impatto. Inquadra il QR per \ un video spettacolare di Media-Inaf dedicato all’evento.

L’

asteroide 65803

Didymos è stato scoperto l’11 aprile 1996 nell’ambito del progetto Spacewatch, un telescopio da 90 cm adibito dall’Università dell’Arizona alla ricerca di asteroidi pericolosi. Didymos è un Neo (Near Earth Object) di tipo Apollo, con un’orbita retrograda eccentrica, quasi complanare con l’eclittica, che sfiora al perielio (151,6 milioni di km) l’orbita della Terra e interseca all’afelio (340,4 milioni di km) quella di Marte. Ha un diametro di 780 metri, ruota in poco più di due ore e orbita attorno al Sole in 2,11 anni, con periodici avvicinamenti alla Terra tra 12 e 7 milioni di km.

Il 20 novembre 2003 le osservazioni condotte dall’Osservatorio cecoslovacco di Ondrejov hanno portato alla scoperta di un piccolo satellite (170 m) di Didymos, in orbita sincrona percorsa in 11h 55m alla distanza di 1,2 km dal baricentro comune. Quando questa mini-luna è stata individuata come target per tentare di modificarne l’orbita con una missione spaziale, l’Unione astronomica internazionale le ha attribuito il nome Dimorphos, che in greco significa “oggetto dalla natura doppia” (prima e dopo l’impatto con la sonda).

UNA MISSIONE SUICIDA

La missione Dart (Double Asteroid Redirection Test) della Nasa è stata lanciata il 23 novembre 2021 con un missile di SpaceX dalla base militare di Vandenberg in California. Era un cubo di poco più di un metro di lato, dotato di due pannelli solari da 8,5 metri che alimentavano il motore a ioni di xeno, con un peso iniziale di

610 kg, ridotto a 570 kg al momento dell’impatto con Dimorphos, nel quale sono stati coinvolti anche i residui di idrazina e di xeno contenuti nei suoi serbatoi.

L’unico strumento a bordo della Dart era la camera Draco (Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical navigation), simile alla camera Lorri che ha fotografato Plutone a bordo della sonda New Horizons: si tratta di un obiettivo da 20 cm f/12,60 con un campo visuale di 0,29°, dotato di un sensore Cmos da 2560x2160 pixel, sensibile da 0,4 a 1 micron. Draco ha anche pilotato la Dart verso Dimorphos, grazie a uno Star Tracker automatizzato.

L’impatto è avvenuto alle 1:14 del 27 settembre alla velocità di quasi 24mila km/h, in un punto della superficie di Dimorphos situato a soli 14 metri dai calcoli teorici.

Data l’alta velocità, l’energia in gioco era notevole, nonostante che la massa dell’impattatore fosse circa lo 0,02% della massa della mini-luna. Le immagini in avvicinamento (che arrivavano con 38 secondi di ritardo, data la distanza di 11,2 milioni di km dalla Terra) hanno costituito un evento davvero unico.

Fino a 1,5 ore prima, il Neo binario appariva solo come un puntino al centro del campo della Draco. Poi, quando si è evidenziato il piccolo satellite, la Dart lo ha inquadrato fino alla fine. Le immagini di Dimorphos, riprese fino a 1 secondo prima dell’impatto (da circa 6,5 km di distanza, con risoluzione di 20 cm) dimostrano che Dimorphos è solo un “mucchio di sassi”, con la superficie disseminata da massi di ogni dimensione, senza tracce di polvere e senza crateri da impatto.

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Caratteristiche trovate anche in altri asteroidi simili, come Ryugu, avvicinato dalla sonda giapponese Hayabusa 2. Probabilmente, la bassissima gravità locale è incapace di trattenere la polvere che si forma quando impattano oggetti dall’esterno.

Più difficili le considerazioni relative a Didymos, entrato nel campo della

Draco a partire da 24mila km di distanza e uscito a circa 900 km di distanza, quando mancavano 2,5 minuti all’impatto e la risoluzione era di circa 30 metri. Anche in questo caso si tratta di un “mucchio di sassi”, dove però la gravità ha una certa influenza: nella zona del terminatore sono presenti alcuni crateri da impatto.

La superficie disseminata di massi è dilatata verso l’equatore, un fenomeno tipico della mobilità conferita dalla struttura conglomerata, riscontrata anche sugli asteroidi Ryugu (da Hayabusa 2) e Bennu (da Osiris-Rex). Sembra che ci sia molta polvere in superficie e questa polvere fa da tracciante a fessurazioni e creste parallele,

LA LUNA E OLTRE DI CESARE GUAITA 22
» Dall’alto in senso orario: una rappresentazione artistica della sonda Dart in rotta di collisione con l’asteroide Dimorphos. Un confronto tra Dimorphos (a sinistra), Didymos e la torre Eiffel. La geometria dell’impatto tra la sonda Dart della Nasa e l’asteroide Dimorphos.

conseguenze degli impatti che hanno prodotto i crateri o dell’impatto che forse estirpò il materiale destinato a dare origine a Dimorphos.

IL FOTOGRAFO ITALIANO

Gli effetti dell’impatto hanno cominciato a evidenziarsi alle 4:23 del 27 settembre, quando sono arrivate le prime delle 620 immagini che il minisatellite LiciaCube ha scattato automaticamente al momento dell’impatto. Le immagini sono state raccolte dalla control room di Argotec a Torino, che ha realizzato il minisatellite, con finanziamento Asi e

coordinamento scientifico di Elisabetta Dotto dell’Università di Roma.

LiciaCube era partito assieme alla Dart e si era staccato dalla sonda 15 giorni prima dell’impatto per farsi trovare nel momento fatidico alla distanza giusta per documentare

gli eventi. La parte scientifica della missione di LiciaCube, che si muoveva a 7 km/s, è iniziata 240 secondi prima del closest approach, a circa 50 km di distanza dal Neo binario. A partire da 4 secondi prima dell’impatto, l’algoritmo di bordo di LiciaCube ha tenuto puntata la scena dell’impatto per circa 10 minuti, anche in fase di allontanamento, per riprendere anche la parte di Dimorphos opposta all’impatto, così da poter definire forma e dimensione dell’oggetto.

L’elaborazione delle immagini è avvenuta in modo autonomo da parte del satellite, che è dotato di due camere: Leia (LiciaCube Explorer Imaging for Asteroid), che può catturare immagini monocromatiche ad alta risoluzione, e Luke (LiciaCube Unit Key Explorer), che riprende immagini a colori con un campo di vista maggiore e una risoluzione minore.

Da 1020 km di distanza, Leia ha evidenziato un grande aumento di luminosità di Dimorphos tra prima e dopo l’impatto. Da 79,5 km di distanza ha poi ripreso una suggestiva immagine di Dimorphos immerso nella nebbia sollevata dall’impatto e dell’emisfero di Didymos opposto al satellite butterato da crateri e di forma grossolanamente circolare.

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LA LUNA E OLTRE
*CESARE GUAITA
LAUREATO IN CHIMICA E SPECIALIZZATO IN CHIMICA ORGANICA, HA LAVORATO COME RICERCATORE PRESSO I LABORATORI DI UNA GRANDE INDUSTRIA. È PRESIDENTE DEL GRUPPO ASTRONOMICO TRADATESE E DA OLTRE 25 ANNI CONFERENZIERE DEL PLANETARIO DI MILANO.
» L’impatto ripreso da LiciaCube mostra getti che si estendono per migliaia di chilometri. » Nel 2026 la missione Hera dell’Esa indagherà da vicino gli effetti dell’impatto di Dart.

Luke ha ripreso da 56,7 km di distanza una sequenza nella quale Dimorphos, appena dopo l’impatto, appare circondato da decine di lunghi pennacchi di materiale in allontanamento dalla superficie. Lo studio dell’estensione e della forma di questi pennacchi sarà molto utile per capire la compattezza e la composizione della superficie della piccola luna.

ARRIVANO I GIGANTI

L’effetto dell’impatto è stato percepito da molti telescopi terrestri e spaziali, tra i quali un telescopio da 1 metro dell’osservatorio sudafricano Saao e uno dei due telescopi hawaiani Atlas da 50 cm per sorveglianza satellitare: entrambi hanno visto sollevarsi da Dimorphos (situato nella costellazione australe della Fornace) un alone semicircolare di materiale luminoso, andato via via dilatandosi

e attenuandosi col passare del tempo. E non potevano mancare il telescopio spaziale Hubble (Hst) e il super-telescopio James Webb (Jwst). Nell’ambito di un progetto dedicato ai Neo da Cristina Thomas (Università dell’Arizona), la NirCam di Jwst è stata puntata con un filtro nel vicinissimo infrarosso verso Dimorphos nelle ore dell’impatto, realizzando dieci immagini, con pose di cinque minuti ciascuna.

La mini-luna, prima quasi invisibile, si è a poco a poco accesa, raggiungendo una luminosità tale da saturare la camera a partire da una decina di minuti dopo l’impatto.

In quel momento, ai normali sei raggi di diffrazione di Jwst, si sono sovrapposti decine di filamenti luminosi emergenti da tutta la zona dell’impatto. Un riscontro simile a quello acquisito da LiciaCube, con la differenza che questo si trovava a

50 km dall’impatto, mentre Jwst era a oltre 11 milioni di km di distanza.

Hubble ha ripreso 45 immagini durante varie ore, riscontrando un triplo aumento di luminosità di Dimorphos ancora persistente 8 ore dopo l’impatto.

Le ragioni di una fenomenologia così impressionante sono tutte da scoprire: di certo sono legate alla composizione e dalla compattezza della superficie di Dimorphos, ma si deve tenere conto la Dart ha colpito la mini-luna con a bordo ancora una notevole quantità di carburante.

Toccherà alla missione Hera dell’Esa scrutare da vicino quanto è avvenuto su Dimorphos, in particolare la dimensione del cratere scavato da Dart (10-20 m) e la struttura interna della mini-luna. Hera partirà nell’ottobre 2024 e si inserirà due anni dopo in una speciale orbita attorno al Neo binario, con a bordo due CubeSat che scruteranno Dimorphos in ogni dettaglio sia compositivo (Milani) che radarstrutturale (Juventas).

Quello che però conta di più in questo esperimento spaziale è la misura delle variazioni dei parametri orbitali di Dimorphos. Per questo sono state allertate decine di telescopi a terra, che stanno eseguendo apposite misure fotometriche: dai primi risultati, si stima una diminuzione del periodo di 32 minuti, che corrisponde a una diminuzione del raggio orbitale di 30 metri. Praticamente invariata rimarrà invece l’orbita solare della coppia: nel 2062, quando il Neo binario sarà alla minima distanza dalla Terra di soli 7 milioni di km, la variazione indotta dalla Dart sarà inferiore a 100 km.

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LA LUNA
E
» L’impatto ripreso dai telescopi spaziali Webb (a sinistra) e Hubble (a destra). Inquadra il QR per una brevissima sequenza delle immagini di Webb
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SPAZIO

INTERNAZIONALE

ROVER EMIRATINO, LANDER GIAPPONESE E RAZZO AMERICANO PER LA PRIMA MISSIONE LUNARE DI UN PAESE ARABO

In un periodo in cui entrano in crisi le storiche collaborazioni internazionali per lo spazio, se ne generano altre: è previsto in novembre il lancio che vede una collaborazione fra America, Medio Oriente ed Estremo Oriente. Il rover Rashid dell’agenzia spaziale degli Emirati Arabi, il Mohammed bin Rashid Space Centre (Mbrsc), verrà lanciato verso la Luna nella prima missione selenica di un paese arabo. Chiamato così in onore del precedente emiro Rashid bin Saeed Al Maktoum, il rover studierà il suolo lunare dalla morfologia alle caratteristiche fisiche. Con i suoi 10 chilogrammi, Rashid sarà il più piccolo rover mai arrivato sulla Luna, ma a bordo trovano posto diversi payload, fra cui due camere ad alta risoluzione, una camera per catturare piccoli dettagli e una camera termica. Inoltre, il rover è equipaggiato con una sonda di Langmuir, uno strumento che rileva il moto degli elettroni e che servirà

per analizzare il plasma lunare e capire come e perché il suolo lunare è così elettrostaticamente appiccicoso. Il mission manager Hamad Al Marzooqi ha dichiarato al quotidiano emiratino The National che Rashid verrà lanciato dal Kennedy Space Center in Florida fra il 9 e il 15 novembre. “Abbiamo terminato i test del rover e siamo contenti dei risultati”, ha affermato Al Marzooqi. “Il rover è stato integrato con il lander ed è pronto per il lancio“.

TUTTI A BORDO

Il lander che porterà Rashid sulla Luna è Hakuto R, in sviluppo da più di dieci anni, nato dalla mente del team Hakuto, uno dei partecipanti alla Google Lunar X Prize che, dal 2007 al 2018, ha visto diversi team privati gareggiare per far muovere il primo rover commerciale sulla Luna.

La competizione si è conclusa senza un vero e proprio vincitore, ma la compagnia giapponese ispace ha inglobato il team Hakuto e gli ha

permesso di continuare a sviluppare il suo lander. Oggi Hakuto-R si appresta a trasportare sulla Luna 30 kg di payload, un’operazione che per risparmiare carburante richiederà un viaggio molto lungo: più di 4 mesi. Durante i quali il lander dovrà proteggere sé stesso e il carico dai pericoli dello spazio. Hakuto-R è progettato per sopportare una spinta di 14 G, temperature fra i -170°C e i 110°C, e una radiazione di 57 microsievert (µSv) l’ora, molto più elevata degli 0,35 µSv l’ora dell’ambiente terrestre. Inoltre, il lander fornirà alimentazione al rover Rashid durante il viaggio e fungerà da ponte di comunicazione fra centro di controllo e rover anche dopo che quest’ultimo sarà rilasciato. Oltre a Rashid, a bordo del lander trovano spazio altri carichi, tra i quali un piccolo transformer dell’agenzia spaziale giapponese Jaxa. Chiamato Transformable Lunar Robot, si tratta di una piccola palla di 8 cm di diametro che sulla superficie lunare cambierà forma per assumere un

26 LA LUNA E OLTRE DI DAVIDE LIZZANI*

assetto “da corsa”. Il robot esplorerà la superficie lunare e raccoglierà dati per il Lunar Cruiser, un rover pressurizzato in produzione da parte di Jaxa e Toyota, che sarà in grado di trasportare astronauti per un totale di 10mila km. Su Hakuto-R trova spazio anche un altro strumento made in Japan da testare sulla Luna: un accumulatore allo stato solido, un tipo di batteria ad alta densità di

energia progettato dalla NGK Spark Plug, partner commerciale di ispace.

A bordo ci sarà anche un po’ di Canada: ispace ha stretto una collaborazione nell’ambito della transazione di dati con tre aziende canadesi sovvenzionate dal Lunar Exploration Accelerator Program (Leap) dell’agenzia spaziale canadese. Canadensys Aerospace ha installato sul lander diverse camere

a 360° per riprendere gli eventi clou dell’allunaggio. NGC Aerospace ha stretto un accordo per utilizzare le immagini riprese dalle camere del lander per il suo software di analisi del terreno lunare. Anche Mission Control ha un software per il riconoscimento degli ostacoli sulla Luna: l’intelligenza artificiale da loro sviluppata aiuterà Rashid a muoversi in sicurezza.

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LA LUNA E OLTRE » Il lander giapponese Hakuto R sulla superficie selenica insieme al piccolo rover Rashid degli Emirati Arabi. Inquadra il QR per un video del team Hakuto dedicato alla missione.

VERSO IL LAGO DEI SOGNI

Il corpo del lander è ricoperto di pannelli solari su tutte le direzioni, sensori di navigazione che, con l’aiuto di otto piccoli propulsori a gas, orientano il lander usando il Sole e le stelle, camere a 4k, un motore principale e sei motori secondari riforniti da serbatoi di monometilidrazina e tetrossido di azoto, più un serbatoio di elio pressurizzato per spingere carburante e ossidante verso i motori.

Tutto questo si trova all’interno di un corpo che, con le quattro gambe completamente estese, misura 261 cm di lato per 226,7 cm di altezza Ma l’altezza diminuirà una volta sulla superficie lunare, perché le gambe del lander sono telescopiche, per ammortizzare l’impatto col suolo, come facevano i Lem delle missioni Apollo. La data di arrivo può variare in base a diversi fattori fra marzo e aprile 2023, ma il luogo dell’allunaggio è già stato deciso: si tratta del Lacus

Somniorum (“Lago dei Sogni”), battezzato così dall’astronomo italiano Giovanni Riccioli nel 1651. Una regione molto lontana dal Polo sud lunare dove si stanno concentrando gli interessi internazionali.

SECONDA CORSA

ALLO SPAZIO

Se la Luna fosse fatta di puro oro, non sarebbe così interessante. Le decine di missioni l’anno che stanno interessando il nostro

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» Il quadrato giallo evidenzia la posizione sulla Luna del Lago dei Sogni, la regione in cui è destinato ad allunare il rover Rashid degli Emirati Arabi.

satellite rispecchiano tanto il nostro interesse, quanto la nostra ignoranza. Stiamo cercando di scoprire non solo le caratteristiche della Luna, ma soprattutto come faremo a conquistarla. Una serie di missioni che non si limiteranno a piantare bandiere, ma che puntano a stabilire una presenza prolungata e stabile. La tecnologia odierna non ha paragone con quella di 50 anni fa, ma i continui rinvii subiti da Artemis I ci ricordano che la Luna non è proprio a portata

di mano. E una volta arrivati, ci aspetta un ambiente più ostile dello spazio aperto. La regolite lunare, la finissima polvere che ricopre il nostro satellite, ha la spiacevole abitudine di caricarsi elettrostaticamente e attaccarsi a tutto ciò che trova, dalle tute spaziali alle strumentazioni tecniche e scientifiche. E la gravità lunare, anche se più debole di quella terrestre, attira tutti quei micrometeoriti che l’atmosfera terrestre disintegrerebbe in pochi secondi. Infine, la rotazione

lunare rende le due settimane di luce estremamente calde e le due settimane di notte estremamente fredde. Tuttavia, l’incontro fra l’ingegno umano e un nuovo ambiente produce sempre un modo per sfruttarlo. Gli studi sulle possibili applicazioni della regolite spaziano dalla costruzione di strutture per proteggere l’ambiente pressurizzato dai micrometeoriti alla reazione chimica per produrre ossigeno. Inoltre, la debole gravità e l’assenza di un’atmosfera frenante possono rendere il nostro satellite una stazione di rifornimento per viaggi umani verso Marte. Infine, ricordiamo che ai poli, alcuni crateri sono perennemente in ombra e custodiscono importanti depositi di ghiaccio d’acqua. In particolare, al Polo sud si stanno concentrando gli interessi di due blocchi. Da una parte il programma Artemis che vede venti Paesi, fra cui Italia, Giappone ed Emirati Arabi Uniti, cooperare sotto la guida degli Usa. Dall’altra l’International Lunar Research Station di Cina e Russia, anch’essa aperta a partnership internazionali. E gli Emirati Arabi Uniti hanno appena dichiarato che il loro prossimo rover verrà portato sulla Luna da una missione cinese. La competizione del dopoguerra ha permesso all’umanità di raggiungere il nostro satellite, mentre la collaborazione internazionale ha permesso di creare un avamposto stabile nello spazio. Forse sarà proprio l’unione fra competizione e collaborazione a creare un avamposto stabile sulla Luna.

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LA LUNA E OLTRE
*DAVIDE LIZZANI È UN GIORNALISTA SCIENTIFICO, ASTROFILO E PLANETARISTA, ATTUALMENTE DI STANZA A TOKYO.
» Un rendering della base lunare International Lunar Research Station (Ilrs) progettata da Russia e Cina, la cui realizzazione è prevista a partire dal 2030. » Il robot transformer giapponese, a sinistra nella versione da viaggio, e a destra nell’assetto “da corsa”.

I FUTURI

DRONI MARZIANI

NASCONO IN ITALIA

“L’apripista è stato Ingenuity, il drone-elicottero della più recente missione di un rover della Nasa, ma noi stiamo progettando quelli del prossimo futuro, e verranno realizzati a Torino”.

Giuseppe Santangelo, di origini siciliane, è un ingegnere che ha iniziato la sua carriera a Torino, presso la Thales Alenia Space.

Da alcuni anni si è trasferito a Detroit, negli Stati Uniti, dove ha fondato una società, la Skypersonic, che oggi lavora per la Nasa nell’ambito di progetti innovativi sulle imprese spaziali: “Volevo fare un’esperienza nuova, quando abbiamo iniziato a lavorare per la

Nasa, ma non abbiamo dimenticato l’Italia” – dice.

Santangelo è tornato di recente in Italia, e trascorre metà dell’anno negli Usa e metà a Torino, dove ha aperto una filiale di ricerca e sviluppo all’interno degli stabilimenti di Leonardo, usata anche per la progettazione dei futuri droni della Nasa che voleranno in preparazione alle missioni su Marte: “Ingenuity ha già percorso diversi chilometri in una trentina di brevi voli nel cielo marziano” - dice – “Noi progettiamo quelli che avranno un’autonomia più ampia e maggiori funzioni”.

Abbiamo incontrato Giuseppe

Santangelo in Thales Alenia Space, negli uffici degli stabilimenti di Corso Marche, un luogo dove

assieme al centro di Altec le missioni di esplorazione marziana sono già di casa. E subito dopo la trasferta sulle pendici dell’Etna, dove rover e drone sono stati testati con successo in un ambiente dove sembra realmente di essere su un “altro pianeta”.

QUANDO È NATO

IL SETTORE DRONI MARZIANI A TORINO? QUALI SONO I SUOI PROGRAMMI?

Nel 2021 abbiamo portato a Torino il nostro centro di ricerca e sviluppo, oltre che di addestramento per il pilotaggio transoceanico remoto in tempo reale, grazie al progetto Reshoring del Comune di Torino ideato dal prof. Pironti.

La Skypersonic, che oggi è parte

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A COLLOQUIO CON GIUSEPPE SANTANGELO ALLA GUIDA DI SKYPERSONIC DI ANTONIO LO CAMPO

del gruppo Red Cat, ha cominciato con il produrre droni speciali che effettuassero le ispezioni industriali nei luoghi in cui l’uomo non può o non dovrebbe andare, e poi ci siamo spinti ancora oltre fino a quando la Nasa si è interessata alla nostra tecnologia e ci ha chiesto di supportare il loro lavoro di preparazione per le missioni su Marte.

QUALI IMPIEGHI AVRANNO

I DRONI MARZIANI CHE STATE PROGETTANDO E REALIZZANDO?

I droni verranno per ora utilizzati sulla Terra, in luoghi remoti che richiamano la geologia del Pianeta rosso. La caratteristica speciale è che

il personale della Nasa potrà pilotarli direttamente da Houston, tramite la nostra piattaforma di pilotaggio, dove è stato allestito un habitat marziano che simulerà le condizioni di vita di una squadra di astronauti su Marte. In parallelo stiamo già sviluppando un drone stratosferico, che qui sulla Terra sarà in grado di volare a una quota di 30 km e quindi anche su Marte, con autonomia e performance maggiori di quelle di Ingenuity

Il drone potrà essere pilotato da un veicolo orbitante attorno al pianeta, oppure da astronauti sulla superficie. Nel corso del 2023 prevediamo di effettuare il primo prototipo dimostratore.

IN QUALI MISSIONI SARANNO IMPIEGATI I DRONI?

In attesa di una missione spaziale vera e propria, collaboriamo con il progetto Chapea della Nasa, le cui iniziali in inglese stanno per “Analoghi di prestazioni di equipaggio in campo sanitario”.

Si tratta di una serie di missioni che includono tre simulazioni della superficie di Marte della durata di un anno, con base presso il Johnson Space Center della Nasa a Houston, proprio il centro da cui vengono anche seguite e gestite le missioni con astronauti.

Le missioni sono chiamate Analog,

perché sono simulazioni il più realistiche possibili delle missioni spaziali, e serviranno allo sviluppo di metodi e tecnologie per prevenire e risolvere problemi di future missioni umane sulla Luna e su Marte. La vera rivoluzione sarà l’impiego dei droni a supporto delle missioni umane sul Pianeta rosso che sono previste fra una quindicina d’anni, se non prima. I droni saranno vitali per le attività di scouting e ricerca di presenza di vita biologica passata, piuttosto che per i materiali necessari all’avvio della colonizzazione di Marte.

AVETE ESEGUITO SIMULAZIONI SULL’ETNA: È UN’AREA CON CARATTERISTICHE MARZIANE?

Abbiamo testato con successo le prime missioni sull’Etna nell’estate del 2022. Abbiamo ottenuto dati molto interessanti, che ci avvicinano al processo di certificazione marziana dei nostri droni e dei rover. Abbiamo documentato tutta l’attività svolta con dei video che ci saranno molto utili. Il vulcano italiano non è nuovo a test spaziali, in quanto le caratteristiche del suolo e dell’ambiente, a una certa quota, sono simili a quelle del suolo marziano o lunare.

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» A sinistra un rover “marziano” di Skypersonic a spasso sulle pendici dell’Etna. Sopra: Giuliano Golfisti del team di Santangelo insegna all’astronauta dell’Esa Roberto Vittori la guida dei droni di Skypersonic. » Un drone di Skypersonic pronto al volo.
32 SONO STATI TROVATI ESOPIANETI CHE VAGANO NELLO SPAZIO SENZA ORBITARE INTORNO A NESSUNA STELLA TEMA DEL MESE DI PATRIZIA CARAVEO* ORFANI » Rendering di un “pianeta orfano” (Free Floating Planet).

Le splendide immagini della Nebulosa della Carena prodotte dal telescopio spaziale Webb (e dalla sapiente rielaborazione grafica che le ha colorate) mostrano centinaia di stelle appena nate, ancora avvolte dal guscio di gas e polvere dal quale si sono formate. Se potessimo osservare con ancora più chiarezza (e certamente presto lo faremo), si potrebbe individuare intorno a queste baby-stelle la presenza di dischi di materia, dai quali si stanno formando (o forse si sono già formati) i pianeti.

LA RICERCA DEGLI ESOPIANETI

I dati raccolti negli ultimi anni ci hanno convinto che la formazione di pianeti intorno alle stelle è la regola e non l’eccezione e che la maggior parte delle stelle abbia un sistema planetario formato da uno o più pianeti. Che però sono difficilissimi da vedere, essendo nascosti dall’emissione abbagliante della loro stella. Per scoprire i pianeti in orbita intorno a un’altra stella, occorre rivelare i piccoli disturbi che la loro presenza causa al proprio sole. Si è iniziato studiando lo spettro delle stelle, selezionate sulla base delle loro caratteristiche di tipo solare, alla ricerca dei piccoli spostamenti ritmici indotti dalla presenza di un pianeta, Così, nel 1995, è stato scoperto il pianeta di tipo gioviano intorno alla stella 51 Pegasi. Uno strano parente di Giove, dato che è vicinissimo alla stella e percorre la sua orbita in circa 4 giorni. Un pianeta massivo e vicino disturba di più la sua stella ed è quindi più facile da rivelare.

Un effetto osservativo che privilegia i pianeti grandi, ma che è stato in parte

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risolto con il metodo dei transiti, che sfrutta la piccola diminuzione della luminosità di una stella che avviene quando un suo pianeta le transita davanti. Una piccola ombra, come quella di Venere o di Mercurio sul Sole, che – quando si presenta periodicamente - ci informa della presenza di un pianeta. I telescopi spaziali, che operano in condizioni di grande stabilità, sono particolarmente adatti per sfruttare le potenzialità offerte dal metodo dei transiti, come dimostrano i risultati della missione Kepler della Nasa. Proprio grazie a questa missione, e più recentemente a Tess, abbiamo assistito a una esplosione nel numero dei pianeti extrasolari. Degli oltre 5000 esopianeti rivelati finora sappiamo il periodo orbitale, la massa e in molti casi anche le dimensioni e quindi la densità.

Questi numeri testimoniano che il processo di formazione planetaria si è ripetuto innumerevoli volte, intorno a quasi tutte le stelle che abbiamo studiato, e si stima che una stella su cinque abbia pianeti con massa simile a quella terrestre. Sono stati scoperti anche molti “mini-Nettuni”, pianeti con massa intermedia tra la Terra e Nettuno, che nel Sistema solare non esistono, e questo significa che il nostro sistema planetario è solo uno dei tanti, non certo il prototipo esemplare.

I VANTAGGI

DEL MICROLENSING

Risultati interessanti nella ricerca degli esopianeti sono stati ottenuti sfruttando l’effetto del microlensing gravitazionale. Vengono cercati oggetti che non emettono luce, come i buchi neri, oppure debolissimi,

perché molto piccoli, come le stelle di neutroni, oppure freddi, come le nane brune. In queste campagne osservative, si tiene sotto controllo una certa area di cielo che viene osservata a intervalli regolari, alla ricerca di un improvviso aumento del flusso di uno dei milioni di stelle che vengono monitorate. La curva dell’aumento del flusso rivela se stiamo osservando una variazione intrinseca della stella oppure un effetto di lente gravitazionale prodotto da un oggetto che sta passando davanti alla stella, intercettando e amplificando il suo flusso. La ricerca di pianeti in orbita intorno a stelle non era uno degli scopi di questi lavori, ma le osservazioni casuali di questi fenomeni hanno aperto un nuovo campo di indagine.

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TEMA
DEL MESE DI PATRIZIA CARAVEO
» Dettaglio di una delle first light del telescopio spaziale Webb dedicata alle regioni di formazione stellare nella Nebulosa della Carena.

Questo metodo permette di vedere sistemi planetari anche lontani, che contengono pianeti relativamente piccoli, come Ogle-2005-BLG390Lb, un pianeta di circa 5 masse terrestri che orbita attorno a una stella situata a 20mila anni luce da noi. Era il terzo pianeta scoperto per caso grazie al microlensing gravitazionale dal programma Ogle (Optical

Gravitational Lensing Experiment), ma si è rivelato il più distante e il più piccolo, visto che il gruppo dei circa 200 pianeti noti all’epoca era dominato da giganti di taglia gioviana. Va notato che la massa dell’oggetto responsabile dell’effetto di amplificazione gravitazionale determina la durata dell’evento: più stretta è la curva, meno massivo è il pianeta.

Il microlensing ha riservato un’altra sorpresa, rivelando la presenza di oggetti celesti con masse superiori a quella di Giove, che non apparivano legati a una stella. Ipotizzando che fossero stati espulsi dal sistema planetario dove si erano formati, si è cominciato a parlare di “pianeti orfani”, tecnicamente definiti Free floating planets (Ffp), ovvero “pianeti liberamente fluttuanti” nello spazio.

MA QUANTI SONO

I PIANETI ORFANI?

Se una stella rende difficile “vedere” l’emissione di un pianeta perché lo annega nella sua luce, l’assenza di una stella è un problema ancora maggiore, perché i “pianeti orfani” non vengono illuminati da niente. È anche difficile decidere se gli oggetti svelati dal microlensing siano pianeti di grande taglia, oppure piccole nane brune. La prima ricerca sistematica è stata pubblicata nel 2011, prendendo in considerazione 50 milioni di stelle, con 474 eventi riconducibili al microlensing, dieci dei quali abbastanza brevi da fare pensare a pianeti orfani. Un numero piccolo ma sufficiente per una valutazione statistica dei pianeti che vanno in giro per conto loro nella Galassia, basandosi sulla probabilità di coglierli per caso, quando il loro moto li fa allineare con una stella. Le stime vanno da 0,25 a 2 pianeti gioviani per ogni stella: non sono pochi e questo ha fatto nascere la domanda su come si possano formare.

TEMA DEL MESE
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*PATRIZIA CARAVEO È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO.
» Due immagini infrarosse in falsi colori di pianeti orfani: sopra Cfbdsir 2149-0403, ripreso nel 2012 dal telescopio Ntt dell’Eso; sotto, Pso J318.5−22 ripreso nel 2013 dal telescopio Pan-Starrs1. Inquadra il QR per un video dell’Eso dedicato a Cfbdsir 2149-0403.

TEMA DEL MESE

L’idea che si tratti di pianeti espulsi dal sistema planetario dove si sono formati è una possibilità, ma le simulazioni mostrano che non si tratta di un evento semplicissimo. Forse la causa potrebbe essere uno strappo violento, dovuto all’incontro ravvicinato del sistema planetario con una stella. Ma un evento del genere sarebbe più probabile nel caso di un pianeta terrestre, cosa che ha fatto nascere il dubbio che tra i pianeti orfani ci siano molte terre, ancora più difficili da rivelare a causa delle loro limitate dimensioni, che causerebbero microlensing molto brevi. In effetti, il primo pianeta orfano di tipo terrestre è stato scoperto nel 2020 grazie a un evento di microlensing durato solo qualche ora. Se l’espulsione a seguito di interazione gravitazionale non è sufficiente per spiegare i pianeti orfani, occorre pensare a meccanismi di formazione diretta, partendo da piccole nubi di materia interstellare: poco materiale si concentra per formare un pianeta piuttosto che una stella. Ancora meno di quello necessario per formare una nana bruna; tanto che l’Unione astronomica internazionale ha proposto di chiamare “sub nane brune” i pianeti orfani. La popolazione degli Ffp ha iniziato a crescere, man mano che sono diventate disponibili le survey in infrarosso, la banda di radiazioni che permette di cogliere l’emissione di oggetti come Cfbdsir 2149-0403, situato nella costellazione del Dorado a 130 anni luce da noi, che ha una massa di 4-7 pianeti come Giove e una temperatura di circa 400 °C, oppure Pso J318.5−22, situato nella costellazione del Pittore a 80 anni luce, con 6 masse gioviane e una

temperatura di 1000 °C. Pianeti ancora relativamente giovani e quindi con temperature generate da sorgenti interne, dato che nessuna stella è in grado di riscaldarli.

Nel dicembre 2021 c’è stato un balzo nel numero degli Ffp, con la pubblicazione dei risultati di una ricerca dedicata allo studio della formazione stellare nella costellazione di Ofiuco e dello Scorpione.

Mettendo insieme le enormi banche dati disponibili, i ricercatori volevano studiare oggetti giovani appena formati, per definire la massa minima di una stella. Per questo il loro lavoro dedicava molta attenzione a oggetti

leggeri, come le nane brune e, per esteso, agli Ffp, il cui moto proprio faceva presupporre che fossero parte dei giovani gruppi stellari sotto osservazione. Con sorpresa dei ricercatori, lo studio ha rivelato la presenza di almeno 70 Ffp, ma potrebbero essere anche 170. Un simile bottino rende più urgente rispondere alla domanda circa il meccanismo di formazione, ma induce anche a chiederci quale sia la linea di demarcazione tra una nana bruna e un pianeta. C’è anche chi si è chiesto se i pianeti fluttuanti possono ospitare forme di vita, ma questa è un’altra storia.

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» La regione della costellazione di Ofiuco e della parte superiore dello Scorpione. I cerchietti rossi identificano i candidati Ffp.

LE PIOGGE DEGLI ALTRI PIANETI

La pioggia sulla Terra è una benedizione, ma anche una maledizione. Quando non arriva, o ne arriva troppa, oppure nel posto e nel momento sbagliato. E poi non cade solo acqua, ma anche neve o grandine, con tutte le conseguenze che sappiamo. Occasionalmente, piove qualcosa di ancora più pericoloso, come meteoriti o detriti spaziali. Ma questa è un’altra storia. E sugli altri pianeti che cosa succede?

Andiamo dunque a spasso per l’Universo sotto la pioggia. Ma attenzione: occorre un ombrello rinforzato!

PIOGGE DI PIETRE

PREZIOSE

Secondo gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, su alcuni pianeti potrebbero piovere addirittura diamanti. E non occorre andare nemmeno tanto lontano per scoprirlo. Si stima che su Saturno cadano mille tonnellate di diamanti ogni anno. Sul pianeta si verificano intense tempeste di fulmini che possono spezzare le molecole di metano presente

in atmosfera, permettendo agli atomi di carbonio di cadere dopo essere stati pressurizzati in piccoli diamanti. Anche su Giove, Nettuno e Urano potrebbe avvenire lo stesso processo. L’altissima pressione atmosferica di questi pianeti è ideale per la conversione del carbonio in diamante. Le condizioni di pressione estrema al centro di questi pianeti lasciano poi immaginare che anche i loro nuclei siano ricchi di diamanti. Non solo i diamanti, ma anche altre pietre preziose potrebbero piovere dal cielo. Sul pianeta Hat-P-7b si ipotizza la presenza di venti che trasportano rubini e zaffiri. Questo esopianeta è del 40% più grande di Giove e orbita attorno a una stella con una massa pari a una volta e mezza il nostro Sole. Secondo i ricercatori, le nubi del pianeta sono fatte di corindone vaporizzato (il minerale che forma rubini e zaffiri). Ha un lato sempre in ombra e uno sempre rivolto verso la sua stella, con una temperatura di circa 2500 °C: questo comporta una vaporizzazione di rocce e minerali che vengono trasportati dalle correnti in transito da un lato all’altro del pianeta e condensano sul lato più

fresco per convertirsi in rubini e zaffiri.

GRANDINE CON L’ANTIGELO

Gli astronomi hanno notato una distribuzione irregolare di ammoniaca fra le dense nubi di Giove e deboli lampi e fulmini nelle regioni in cui le temperature scendono al di sotto di -66°C.

La scoperta è dovuta alla sonda Juno della Nasa che ha ripreso violenti temporali sul pianeta gigante.

Dato che i lampi richiedono la presenza di un liquido per innescarsi e l’acqua a quella temperatura è solida, è però necessario un liquido che faccia da antigelo. Tristan Guillot, della Università della Costa Azzurra, ha proposto che questo ruolo sia giocato dalla ammoniaca, che mescolata con l’acqua, può creare una poltiglia quasi liquida anche a temperature molto basse, che consentirebbe la formazione di fulmini, mentre la poltiglia cadrebbe come grandine. Questi chicchi di grandine con l’antigelo possono raggiungere la massa di un chilogrammo o più prima che evaporino, spostando l’ammoniaca

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PASSEGGIANDO PER L’UNIVERSO CON L’OMBRELLO APERTO PER SCOPRIRE PRECIPITAZIONI DAVVERO STRANE
ESOPIANETI DI MARCO SERGIO ERCULIANI*
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ESOPIANETI » Illustrazione artistica di Wasp 76b, il pianeta dove piove ferro (Esa/Frederik Peeters).

negli strati bassi dell’atmosfera di Giove. Recenti osservazioni infrarosse e radio hanno dimostrato che l’ammoniaca è relativamente rara su Urano e Nettuno rispetto ad altre piccole molecole che si pensa fossero presenti nel Sistema solare primordiale. La poltiglia ghiacciata potrebbe spiegare questo fenomeno anche su questi pianeti, dove le temperature più fredde favoriscono l’effetto antigelo dell’ammoniaca, facendo apparire scarsa la preziosa molecola. Sebbene non ci siano ancora prove di questa teoria, per ora non esistono alternative alle “palle di poltiglia” (mushball) per spiegare la distribuzione dell’ammoniaca su Giove, mentre nel caso di Urano e Nettuno potrebbero esserci altre spiegazioni, che solo missioni spaziali dedicate alle atmosfere dei “giganti ghiacciati” potranno dimostrare (vedi Cosmo n. 17).

DOVE PIOVE CREMA SOLARE

L’esopianeta Kepler-13Ab si trova a circa 1730 anni luce dalla Terra e orbita estremamente vicino alla sua stella. Le osservazioni del telescopio Hubble hanno rivelato che le temperature sul lato diurno raggiungono i 2760°C e dalle nuvole piove ossido di titanio, il composto utilizzato nelle creme solari.

PERFINO SUL SOLE

Il pianeta ha una gravità superficiale sei volte maggiore di quella di Giove e le precipitazioni di ossido di titanio avvengono solo sul lato diurno del pianeta, sempre rivolto verso la sua stella. Sorprendentemente, l’atmosfera del pianeta gigante è più fresca ad altitudini più elevate, il che fa sì che i forti venti portino il gas di ossido di titanio intorno al lato notturno più freddo, dove forma nuvole e precipita sotto forma di neve.

ESOPIANETI DI FUOCO

Sul pianeta Ogle-TR-56b, la temperatura della superficie è così alta, 2000 °C, che è possibile un effetto molto particolare. Il pianeta non ruota attorno a nessuna stella ed è ricoperto da nuvole di silicati e ferro vaporizzati. Quando piove, si possono formare acquazzoni di ferro liquido. Poi, il ferro evapora e il ciclo continua. Ma come fa un pianeta senza stella a essere così caldo?

Le stelle non sono l’unica fonte di calore: questo pianeta viene riscaldato dall’altissima temperatura emessa dal suo nucleo ricco di elementi radioattivi. Un altro esopianeta di fuoco è Wasp-76b, un “gioviano caldo” (hot Jupiter) che orbita molto vicino alla sua stella. È massiccio quanto Giove, ma quasi due volte

più largo, probabilmente perché l’intensa radiazione che riceve dalla sua stella gonfia l’atmosfera del pianeta, che contiene ferro. Il metallo viene vaporizzato, si condensa sul lato notturno e poi cade come pioggia.

Anche sul nostro Sole “piove”. Ovviamente, non piove come sui pianeti: si tratta di precipitazioni di plasma, cioè gas ionizzato. I brillamenti solari sono accompagnati da un campo magnetico che guida le particelle e forma anelli aggraziati che sembrano formare delle cascate. Quando il plasma caldo si muove nella parte più fredda della corona, si condensa e cade verso la superficie solare. Proprio come il vapore d’acqua che nella nostra atmosfera si condensa in nuvole, dove poi si formano le goccioline che piovono sulla superficie terrestre.

L’atmosfera ha una temperatura di circa 2400 °C e nella parte superiore è percorsa da venti che raggiungono velocità di 18mila km orari. Wasp76b, scoperto nel 2016, si trova a circa 640 anni luce dalla Terra ed è così vicino alla sua stella, leggermente più calda del Sole, che completa un’orbita ogni 1,8 giorni terrestri. Essendo in risonanza mareale con la stella, le mostra sempre la stessa faccia. Così, la parte in ombra del pianeta ha una temperatura più bassa (1500 °C), ma pur sempre inospitale. Il pianeta HD 189733b, distante quasi 63 anni luce, appare di colore bluastro, ma la sua tonalità non proviene da oceani che ricoprono la sua superficie, bensì dalla sua atmosfera nebulosa e turbolenta, ricca di particelle di silicati, i materiali di cui è fatto il vetro. Così, le sue precipitazioni porterebbero ad acquazzoni di vetro fuso. I suoi venti, che spirano fino a 7000 km orari, causerebbero poi curiose piogge praticamente orizzontali. Anche K2-141b è un esopianeta particolare. Ha le dimensioni simili a quelle della Terra ma con una superficie, un oceano e un’atmosfera tutti costituiti dagli stessi ingredienti: le rocce. Circa due terzi di K2141b sono cotti da una luce diurna

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*MARCO SERGIO ERCULIANI GIORNALISTA SCIENTIFICO FREELANCE, SI OCCUPA DI DIVULGAZIONE E COLLABORA CON L’INAF.

perpetua, perché lo stesso lato del pianeta si affaccia sempre sulla stessa parte di stella. Così, il lato notturno sperimenta temperature inferiori ai -200 °C, mentre quello illuminato è a circa 3000 °C. Questa temperatura è tale non solo da fondere le rocce, ma addirittura da vaporizzarle, creando una sottile atmosfera di polvere di roccia. Nelle sue nubi si formano quindi precipitazioni composte da gocce di roccia fusa. In particolare, si

condensano il sodio, il monossido di silicio e il biossido di silicio. Il vapore minerale viene spazzato verso il freddissimo lato notturno dai venti supersonici che vi spirano e si condensa di nuovo in un oceano magmatico, ricadendo sulla superficie. Le correnti risultanti rifluiscono nel lato caldo dell’esopianeta, dove la roccia evapora ancora una volta. Tuttavia, questo secondo processo è più lento

del primo, sbilanciando il ciclo e modificando la superficie stessa e l’atmosfera di K2-141b. Tutti i pianeti rocciosi, compresa la Terra, sono partiti come mondi fusi, ma poi si sono rapidamente raffreddati e solidificati. I pianeti lavici ci consentono di dare uno sguardo a questa fase dell’evoluzione planetaria, che sarà certamente approfondito grazie alle osservazioni del telescopio spaziale James Webb.

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» Saturno ripreso dalla sonda Cassini (Nasa/Esa/Asi). Si stima che mille tonnellate di diamanti si formino ogni anno nella sua atmosfera.

PIOGGE DI ACIDO SOLFORICO E METANO

Su Venere, il pianeta più caldo del Sistema solare, non c’è un clima propriamente gradevole. Il pianeta è sempre coperto da una fitta atmosfera che contiene acido solforico, concentrato fra 50 e 70 km di quota. Le goccioline di questo composto letale condensano e cadono, ma le precipitazioni si verificano solo nell’atmosfera superiore: la pioggia acida evapora a circa 25 km di quota, così non raggiunge la superficie del pianeta. Magra consolazione Titano, la luna più grande di Saturno, che è l’unico corpo del nostro sistema planetario, insieme alla Terra, su cui piove una sostanza liquida sulla superficie solida. Tuttavia, non piove acqua, ma metano!

Questo composto ha eroso le rocce della luna, modellandone la superficie. Su Titano si realizza dunque un ciclo del metano: le piogge riempiono i suoi laghi e mari, che poi evaporano, formando le nuvole da cui il metano si riversa di nuovo sulla superficie. Questo mondo ci rimanda a una situazione che può essersi verificata sulla Terra primordiale ed è in progetto una missione che porterà un sommergibile automatico a immergersi nei mari di Titano, compiendo così un viaggio lunghissimo non solo nello spazio, ma anche nel tempo (vedi Cosmo n. 17).

PIOGGE QUASI NORMALI

In conclusione, ci avviciniamo e ci portiamo su Marte: le sue calotte polari sono stagionali e sono costituite di “ghiaccio secco”, anidride

carbonica solidificata. Quando il Sole splende su di esse, sublimano, trasformandosi dallo stato solido a quello gassoso. Quando il pianeta si raffredda, subisce precipitazioni sotto forma di brina, come sperimentò la sonda Phoenix della Nasa, atterrata nel maggio 2008 nella zona polare settentrionale del Pianeta rosso. Ma proprio su tutti i pianeti piove strano? Su Gliese 581d, un pianeta roccioso a “soli” 20,4 anni luce nella costellazione della Bilancia, sembra che piova come sulla Terra. Questo pianeta orbita attorno a una nana rossa e presenta un’atmosfera simile a quella terrestre. Sebbene faccia troppo freddo per sostenere l’acqua liquida, l’effetto serra atmosferico potrebbe aumentare significativamente la sua temperatura. Insomma, ce n’è proprio per tutti i gusti! Come è ridotto il vostro ombrello?

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ESOPIANETI DI MARCO SERGIO ERCULIANI » Illustrazione artistica del pianeta Hat-P-7b, spazzato da venti che trasportano rubini e zaffiri (University of Warwick & Mark Garlick).

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MARY

SOMERVILLE

LA DONNA PIÙ STRAORDINARIA DEL SUO TEMPO

RICORDIAMO LA MATEMATICA E ASTRONOMA SCOZZESE, GRANDE DIVULGATRICE SCIENTIFICA

Il parco di Santa Maria La Fede nel quartiere Vicarìa di Napoli, ex Cimitero degli Inglesi, ospita la statua di una donna seduta con le mani in grembo e lo sguardo rivolto verso l’orizzonte.

Stabilirne l’identità è impresa quasi impossibile, perché sul basamento restano leggibili il nome di battesimo Mary e la sola lettera S all’inizio del cognome. A mala pena, poi, si riesce a decifrare l’anno 1872 che ci ricorda il 150° anniversario della sua scomparsa. In occasione di questa ricorrenza vogliamo sottrarla un attimo all’oblio del tempo.

GRAZIE ALLO ZIO THOMAS

Il nome completo del personaggio la cui statua si erge ancora nel centro storico di Napoli, è Mary Fairfax Somerville. Una vita davvero eccezionale la sua, che possiamo iniziare a raccontare da quando, pochi mesi prima della nascita, la madre si trovò ad affrontare un lungo viaggio. Dopo aver accompagnato a Londra il marito, l’ufficiale della marina militare William George Fairfax, che si era imbarcato su un vascello da guerra, Margaret Charters prese la via del ritorno a casa in Scozia. Lungo la strada andò a visitare la sorella Martha che insieme al marito, il reverendo Thomas Somerville, la invitò a restare presso di loro per assisterla nella gravidanza. Fu così che nella canonica di Jedburg, cittadina situata nel sud della Scozia, il 26 dicembre 1780 vide la luce Mary Fairfax: la quinta di sette figli che una volta adulta sarà descritta

» Ritratto giovanile di Mary Somerville, eseguito da John Jackson (Università di Oxford, Somerville College).

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PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO*
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PERSONAGGI » Monumento dedicato a Mary Somerville nell'ex Cimitero degli Inglesi a Napoli (foto Federico Quagliuolo).

dai contemporanei come “la donna più straordinaria del suo tempo” per le grandi capacità espresse come matematica, astronoma e divulgatrice scientifica.

Risultati resi ancora più notevoli dal fatto che l’educazione di Mary fu piuttosto lacunosa, come spesso accadeva alle ragazze di quel tempo, ma il suo desiderio di apprendere trovò un alleato nello zio Thomas, che fu il primo a riconoscere le doti intellettuali della nipote e a comprendere la sua sete di conoscenza.

Mary si istruì leggendo tutti i libri che riusciva a trovare nella casa paterna a Burntisland, ma i parenti la criticavano per tutto quel tempo dedicato a una occupazione così poco femminile. Nella scuola locale poteva apprendere quanto in quel periodo si riteneva appropriato per una giovane donna, come ricamare, suonare il pianoforte e dipingere.

Solo lo zio Thomas incoraggiò le ambizioni intellettuali della giovane e quando Mary gli confessò di avere intrapreso da sola lo studio del latino, la aiutò ogni volta che l’ospitava nella sua casa.

LA SCOPERTA DELLA MATEMATICA

Le lezioni di pittura ricevute dall’artista Alexander Nasmyth la avvicinarono alla matematica quando lo sentì spiegare che gli Elementi di Euclide costituivano la base della prospettiva nella pittura, ma soprattutto erano essenziali per comprendere l’astronomia e le altre scienze.

La giovane iniziò così a studiare il trattato del matematico greco e fu talmente assorbita dalla matematica,

spesso anche durante la notte, da allarmare i genitori che temevano per la sua salute.

Il padre disapprovava la dedizione agli studi della figlia, ritenendo che “la tensione del pensiero astratto potesse danneggiare la tenera struttura femminile”, mentre incoraggiava la sua partecipazione alla vita sociale di Edimburgo fatta di feste, balli, concerti e innocenti flirt. Nel 1804 Mary sposò l’ufficiale della marina militare russa Samuel Greig, lontano parente da parte della madre, trasferendosi a Londra. Avrà dal marito ben poca comprensione per il suo desiderio di imparare e di lui, in seguito, scrisse che “aveva un’opinione molto bassa delle capacità del mio sesso e non aveva né conoscenza né interesse per la scienza di alcun tipo”.

Dopo solo tre anni di matrimonio rimase vedova, con due figli da crescere, e decise di ritornare in Scozia.

Sebbene tragica, la situazione le offrì un’opportunità rara per le donne del suo tempo: entrata in possesso di una dignitosa rendita, poteva finalmente dedicarsi interamente agli amati studi. La cerchia di amici, nel frattempo cresciuta attorno a lei, incoraggiava questa sua inclinazione, anche con lo scambio di una fitta corrispondenza.

Nel 1811 vinse la medaglia d’argento messa in palio dalla rivista Mathematical Repository, per l’eleganza e la chiarezza della soluzione data a un problema diofanteo a tre variabili che richiedeva una buona conoscenza dell’algebra superiore.

L’anno seguente sposò il cugino William Somerville, chirurgo della

Marina militare britannica, che aveva come lei forti interessi scientifici, ma soprattutto perché sosteneva l’apprendimento femminile. Nel 1816 la coppia si trasferì a Londra, partecipando alla vita culturale di quella città: Mary continuava nel frattempo a leggere i più aggiornati testi di matematica e meccanica celeste.

LA TERZA DONNA

Nel 1827 Lord Brougham, per conto della Society for the Diffusion of Useful Knowledge, iniziò una corrispondenza con Mary tramite suo marito, come dettato dalle convenzioni di quel tempo, per convincerla a scrivere una versione popolare del Traité de Mécanique Céleste di PierreSimon Laplace e dei Principia di Isaac Newton. Mary affrontò con determinazione l’ambizioso progetto e nel 1831 pubblicò The Mechanism of the Heaven, un’opera che le diede celebrità internazionale e divenne un bestseller, ristampato numerose volte. I contemporanei rimasero affascinati da tanto talento e Laplace aveva in così alta considerazione l’autrice da affermare: “Solo tre donne mi hanno capito: lei, signora Somerville, Caroline Herschel e Mrs Greig, della quale non so nulla di più”. La terza donna citata dal matematico francese era sempre Mary con il cognome del primo marito!

Tanto apprezzamento derivava dall’ottima traduzione in inglese della sua opera, ma soprattutto dall’innata capacità della donna nel divulgare, con un linguaggio accessibile al grande pubblico, complessi argomenti scientifici.

Durante i molti mesi trascorsi insieme al marito, girovagando per il

46 PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO

continente europeo, Mary completò il suo secondo lavoro, pubblicato nel 1834 con il titolo The Connection of the Physical Sciences: uno dei primi saggi di scienza popolare e uno dei più venduti nel XIX secolo, tradotto anche in italiano con il titolo Sulla connessione delle leggi fisiche. Con qualche diagramma e pochissima matematica, l’opera aggiornava il lettore sullo stato di avanzamento di varie scienze, come fisica, astronomia, chimica, geografia e meteorologia. Un importante riconoscimento arrivò l’anno seguente con l’ammissione alla Royal Astronomical Society: Mary diventava così la prima donna, insieme a Caroline Herschel, accolta nella prestigiosa società che raccoglieva i maggiori astronomi dell’epoca. Oltre a questo onore, le fu assegnato dalla Corona un vitalizio di 200 sterline l’anno.

Nella sesta edizione del suo secondo lavoro, Mary si espresse a favore dell’esistenza di un ipotetico nuovo pianeta: “Se con il trascorrere degli anni, le tavole formate da una combinazione di numerose osservazioni dovessero essere ancora inadeguate a rappresentare i moti di Urano, le discrepanze potrebbero rivelare l’esistenza, anzi, anche la massa e l’orbita, di un corpo posto per sempre oltre le sfere della visione”.

La lettura del libro ispirò il matematico John Couch Adams, che calcolò quale posizione dovesse

PERSONAGGI 47
*GIANFRANCO BENEGIAMO LAUREATO IN CHIMICA, NUTRE DA SEMPRE UN PROFONDO INTERESSE PER I MOLTEPLICI ASPETTI TECNICI E STORICI DELL’ASTRONOMIA.
» Mary Sommerville ritratta nel 1834 da Thomas Phillips.

» Sopra: Mary Somerville è raffigurata sulla banconota da 10 sterline della Royal Bank of Scotland.

A destra: Pagina autografa di un quaderno di Mary Somerville. Nelle prime righe si legge:

The ultimate object of all science is to improve the character and condition of the human race (“L’obiettivo ultimo di tutta la scienza è di migliorare il carattere e la condizione della razza umana”).

avere tale oggetto, per spiegare le perturbazioni gravitazionali di Urano. Le previsioni dell’inglese rimasero sulla carta, mentre quelle analoghe del francese Urbain Le Verrier portarono l’Osservatorio di Berlino a individuare, nel 1846, il pianeta che fu poi battezzato Nettuno.

L’AMORE PER NAPOLI, REGINA DELLE SCIENZE

Motivi di salute costrinsero il marito William a ritirarsi dall’incarico di medico e a causa di ingenti perdite finanziarie nel 1840 i coniugi Somerville decisero di lasciare l’Inghilterra per il clima più mite e il costo della vita più economico dell’Italia.

Soggiornando da principio soprattutto a Roma e Firenze, Mary si dedicò alla stesura di Physical Geography, pubblicato nel 1848: uno dei primi libri di testo che sarà ampiamente utilizzato nelle scuole e nelle università per i successivi

cinquant’anni. La famiglia Somerville si stabilì quindi a Napoli, dove William morì nel 1860. Nella città partenopea Mary frequentò l’Osservatorio astronomico di Capodimonte e l’Accademia Pontaniana, una delle prime fondate in Europa, che prende il nome da Giovanni Pontano chiamato nel 1471 a presiederla. L’amore per Napoli la portò a definire questa città “la madre di tutte le scienze”. La curiosità animò anche i suoi ultimi anni come dimostra la spedizione a San Giuseppe Vesuviano per osservare da vicino una eruzione del Vesuvio.

“La vecchiaia di mia madre fu davvero felice” – scriverà la figlia Martha nelle sue memorie – “Lei diceva spesso che nemmeno nella gioiosa primavera della vita era stata più felice. Serena e allegra, piena di vita e di attività, per quanto la sua forza fisica lo permettesse, non aveva nessuna delle infermità dell’età, tranne la difficoltà di ascolto,

che le impediva di partecipare alla conversazione generale. Era sempre stata miope, ma poteva leggere i caratteri piccoli con la massima facilità senza occhiali, anche alla luce di una lampada. Fino all’ultimo il suo intelletto rimase perfettamente limpido”.

L’ultimo suo libro, dedicato a Molecular and Microspic Science, fu pubblicato quando aveva raggiunto l’età di 89 anni. Il 29 novembre 1872 Mary morì e fu sepolta accanto al secondo marito William nel Cimitero degli Inglesi, realizzato pochi decenni prima dal console inglese di Napoli, Sir Henry Lushington. Gli eredi affidarono al giovanissimo scultore calabrese Francesco Jerace la realizzazione di un monumento funebre, e l’artista decise di raffigurare Mary, così come molti napoletani ricordavano quella anziana signora, seduta su una seggiola lungo la Riviera di Chiaia, con lo sguardo rivolto verso il mare.

48 PERSONAGGI DI GIANFRANCO BENEGIAMO

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L’OPPOSIZIONE DI URANO

Prima di occuparci dell’opposizione di Urano, è doveroso ricordare un fenomeno più rilevante, l’eclisse di Luna dell’8 novembre, che però è del tutto invisibile dall’Italia. È un’eclisse totale, con una magnitudine di 1,36, cioè con la Luna che si immerge profondamente nell’ombra terrestre. Ma i tempi di questo evento sono sfavorevoli per il nostro Paese: inizia alle 9.02 e termina alle 14.56, ma la Luna sorge in Italia alle 16.46, quando è già uscita dall’ombra. Questa eclisse ha la massima visibilità nella parte del mondo diametralmente opposta all’Italia: il continente privilegiato all’osservazione è l’Oceania. In più, alle 13.33 la Luna passa 0,1 gradi a sud di Urano; per molte località, si ha anche l’occultazione del pianeta. Ma anche questa congiunzione (nel suo momento più ravvicinato) non è visibile dall’Italia. Dedichiamoci quindi al grande pianeta ghiacciato, che negli stessi giorni è in

APPUNTAMENTO

NELL’ARIETE

Urano orbita a circa 19 Unità Astronomiche dal Sole, una distanza tale che una differenza di qualche mese dalla data dell’opposizione per un osservatore situato sulla Terra non cambia granché le cose. Il prossimo mese mostrerà un diametro di 3,7” contro i 3,8” del giorno dell’opposizione, e la sua luminosità continuerà a essere di magnitudine 5,7. Ma in questo mese il pianeta sorge al tramontare del Sole e raggiunge il punto più alto sull’orizzonte verso la mezzanotte locale, rendendo più agevole la sua osservazione. Nell’opposizione di quest’anno (il giorno esatto è il 9 novembre), Urano viene a trovarsi a 2796 milioni di km dalla Terra, alle coordinate AR 2h58m e Declinazione +16°32’, che lo proiettano nella costellazione dell’Ariete. A ovest di Urano possiamo osservare Giove

(nei Pesci) e Marte a est (nel Toro), a una distanza per entrambi di circa tre ore in Ascensione Retta. In tabella sono riportati alcuni dati di questa opposizione. L’enorme distanza del pianeta fa sì che l’angolo di fase, cioè la distanza angolare che per un osservatore su Urano separa la Terra dal Sole, sia sempre molto piccolo. Al massimo si approssima ai 3°. Grazie alla sua magnitudine, in condizioni ottimali si può scorgere Urano anche a occhio nudo. Va ricordato che, tramite osservazioni senza strumenti, Urano venne registrato inconsapevolmente come stella più di una decina di volte prima della sua scoperta ufficiale. Un comune binocolo come un 8x30 lo mostra bene, anche da siti con inquinamento luminoso. Con questo strumento, il diametro ridotto non consente, in assenza di una mappa di riscontro, di distinguerlo da una stella, anche se questo riconoscimento sarebbe in teoria possibile, notando la sua minore scintillazione rispetto a stelle di luminosità simile.

UNA BUONA OCCASIONE PER OSSERVARE IL GIGANTE GHIACCIATO, MENTRE MANCHEREMO UNA BELLA ECLISSE DI LUNA
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FENOMENO DEL MESE DI WALTER FERRERI*
opposizione al Sole, e quindi visibile nelle migliori condizioni.

Un buon binocolo evidenzia anche la tonalità di colore di Urano: giallo-verdastra secondo alcuni e blu-verdastra secondo altri. Il moto molto lento del pianeta ne facilita il riconoscimento nelle mappe stellari; per dare un’idea di questa lentezza, basti pensare che l’opposizione passata, nel 2021, si è verificata il 5 novembre, con un anticipo di soli 4 giorni rispetto a quella attuale. Per distinguere il disco del pianeta, è indispensabile disporre di un ingrandimento telescopico. A 100x lo vediamo come un minutissimo dischetto, con un diametro cinque volte minore di quello lunare visto

a occhio nudo, se il seeing non è sfavorevole e l’immagine è nitida. Ma per apprezzarlo in modo evidente, occorrono almeno 150x.

VEDERE I DETTAGLI

Riuscire a vedere Urano è già una soddisfazione, ma con un telescopio adeguato si può tentare anche di cogliere eventuali dettagli sul disco. Vediamo se e come è possibile. Come hanno evidenziato le immagini inviate dalla sonda Voyager 2, che ha raggiunto Urano nel gennaio 1986, il pianeta non presenta dettagli vistosi, e il telescopio spaziale Hubble lo ha confermato negli anni successivi;

pertanto, molti dettagli riportati da osservatori del passato si sono rivelati inesistenti.

Non era questo il caso di Stephen J. O’Meara, che aveva osservato Urano il 15 settembre 1981 con il rifrattore da 23 cm dell’Harvard College Observatory. Con l’aiuto di un filtro blu, O’Meara aveva individuato una grande nube, in base alla quale aveva stabilito un periodo di rotazione del pianeta di 16,4 ore. Il Voyager 2 ha determinato poi un periodo di rotazione di 17,23 ore, di poco superiore! Questo dimostra che qualche debole segno possa essere percepito quando le condizioni sono particolarmente buone, con uno strumento da almeno 20 o 25 cm di apertura.

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FENOMENO DEL MESE
*WALTER FERRERI SI È OCCUPATO DI RICERCA SCIENTIFICA, DI TELESCOPI E DI ASTROFOTOGRAFIA PRESSO L’OSSERVATORIO ASTROFISICO DI TORINO. NEL 1977 HA FONDATO LA RIVISTA ORIONE
Data AR Dec. Distanza da Terra 1 novembre 2h 59m +16°37’ 2797 milioni km 9 novembre 2h 58m +16°32’ 2796 milioni km 18 novembre 2h 57m +16°26’ 2797 milioni km 27 novembre 2h 55m +16°20’ 2803 milioni km 6 dicembre 2h 54m +16°14’ 2812 milioni km 15 dicembre 2h 53m +16°09’ 2825 milioni km 24 dicembre 2h 52m +16°05’ 2840 milioni km 31 dicembre 2h 51m +16°02’ 2854 milioni km OPPOSIZIONE DI URANO » Sopra: Urano tra le stelle dell’Ariete il giorno dell’opposizione (Stellarium). A destra: Urano con alcuni suoi satelliti e gli anelli, ripreso dal telescopio spaziale Hubble. Inquadra il QR per un podcast di Salvatore Albano sulle pre-scoperte di Urano.

INIZIO MESE

NOVEMBRE

MESE

FENOMENO
METÀ
FINE MESE Inizio crepuscolo 05h 07m 05h 22m 05h 37m Sorge 06h 42m 06h 59m 07h 17m Culmina 11h 53m 11h 54m 11h 58m Tramonta 17h 04m 16h 49m 16h 39m Fine crepuscolo 18h 38m 18h 25m 18h 19m Durata della notte astronomica 10h 29m 10h 57m 11h 19m 52 IL PLANISFERO CELESTE /
» Il cielo visibile da Roma alle ore 00.00 TC a metà mese. La mappa è valida in tutta Italia il SOLE CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI*

la LUNA

Il pallino rosso sulla circonferenza lunare mostra il punto di massima librazione alle 0h di Tempo Civile del giorno considerato: le sue dimensioni sono proporzionali all’entità della librazione il cui valore massimo è di circa 10°

fenomeni LUNARI

il 1° alle 7h 37m

l'8 alle 12h 02m

il 16 alle 14h 27m

il 23 alle 23h 57m

il 30 alle 15h 36m

l'8 dicembre alle 5h 08m

Massime librazioni in latitudine

il 1° alle 15h - visibile il Polo nord

il 15 alle 16h - visibile il Polo sud il 28 alle 20h - visibile il Polo nord

Massime librazioni in longitudine

il 6 alle 13h - visibile

il lembo occidentale

il 20 alle 11h - visibile

il lembo orientale

il 3 dicembre alle 0hvisibile il lembo occidentale

Apogeo 404.921 km il 14 alle 7h 39m

Perigeo 362.826 km il 26 alle 2h 31m

53
CIELO DEL MESE

SOLE e PIANETI

SOLE

La discesa lungo l’eclittica australe lo porta ad allontanarsi sempre più dall’equatore celeste: ne deriva una costante diminuzione della massima altezza sull’orizzonte dell’arco diurno tracciato dall’astro e la conseguente perdita di un’ora nella durata del giorno. Il 23 si sposta dalla Bilancia nello Scorpione, il 30 entra nell’Ofiuco.

MERCURIO

È invisibile per gran parte del mese, perché troppo vicino al Sole: è in congiunzione superiore con il Sole il giorno 8 e tra le 8:32 e le 4:16 TC del 9 il pianeta viene occultato dal disco solare; il 19 si trova all'afelio. Solo negli ultimi giorni del mese torna a mostrarsi tra le luci del tramonto per l’ultima apparizione dell’anno, accompagnato a poco meno di 3° di distanza da Venere.

VENERE

È inosservabile sin dall’inizio del mese, a causa della vicinanza angolare al Sole; il 29 riappare tra le intense luci del tramonto in prossimità dell’orizzonte occidentale in compagnia di Mercurio: entrambi si trovano nell’Ofiuco.

Posizioni eclittiche geocentriche del Sole e dei pianeti tra le costellazioni zodiacali: i dischetti si riferiscono alle posizioni a metà mese, le frecce colorate illustrano il movimento nell’arco del mese.

La mappa, in proiezione cilindrica, è centrata sul Sole: i pianeti alla destra dell’astro del giorno sono visibili nelle ore che precedono l’alba, quelli a sinistra nelle ore che seguono il tramonto; la zona celeste che si trova in opposizione al Sole non è rappresentata. Le posizioni della Luna sono riferite alle ore serali delle date indicate per la Luna crescente e alle prime ore del mattino per quella calante.

54
CIELO DEL MESE DI TIZIANO MAGNI

MARTE

È visibile per quasi tutta la notte nel Toro: alla fine del mese sorge poco dopo il tramonto del Sole e culmina prima della 1:00 TC; il diametro apparente, superiore a 15 secondi d’arco, e l’elevata declinazione celeste consentono l’osservazione telescopica dei dettagli della superficie planetaria. Il giorno 19 è in congiunzione con El Nath (Beta Tauri), 3°,9 a sud.

GIOVE È osservabile nei Pesci nelle ore serali, quando transita al meridiano preceduto di una ventina di minuti dal debole Nettuno, e poi per buona parte della notte. Il 24 è stazionario in Ascensione Retta: il moto del pianeta si inverte e torna a essere diretto. A fine mese tramonta un’ora e mezza circa dopo la mezzanotte locale.

Effemeridi geocentriche di Sole e pianeti alle 00h 00m di Tempo Civile delle date indicate.

i pianeti sono riportati fase e asse di rotazione (nord in alto, est a sinistra).

Levate e tramonti sono riferiti a 12°,5 E e 42° N: un asterisco dopo l’orario indica l’Ora Estiva. Nella riga Visibilità sono indicati gli strumenti di osservazione consigliati: l’icona di “divieto” indica che il pianeta non è osservabile.

stelline (da 1 a 5) misurano l’interesse dell'osservazione.

Visibilità dei pianeti. Ogni striscia rappresenta, per ognuno dei cinque pianeti più luminosi, le ore notturne dal tramonto alla levata del Sole, crepuscoli compresi; quando il pianeta è visibile la banda è più chiara.

Le iniziali dei punti cardinali indicano la posizione sull'orizzonte nel corso della notte.

CIELO DEL MESE

SATURNO

visibile nella prima parte della notte sul “dorso” della figura zodiacale del Capricorno, dove si muove animato da lento moto diretto tra le stelle Iota e Gamma Capricorni. Il giorno 11 è in quadratura con il Sole e a fine mese tramonta intorno alle 22 di Tempo Civile.

URANO

in opposizione al Sole il giorno 9 e risulta osservabile dal

55
Per
Le
È
È
tramonto all’alba quasi per l’intero mese. Si trova nella costellazione dell’Ariete, appena a est dell’ampia coppia di stelle di 5a magnitudine Pi e Sigma Arietis, di luminosità confrontabile a quella del pianeta. NETTUNO È visibile per buona parte della notte nell’Acquario: culmina nelle prime ore serali e a fine mese tramonta poco meno di un’ora dopo la mezzanotte locale. Il pianeta, il cui moto retrogrado va rallentando sempre più, è rintracciabile 6° a ovest di Giove e 5° a est della stella di 4a magnitudine Phi Aquarii

FENOMENI del mese

1LUNA E SATURNO DI SERA

Nelle ore che seguono il tramonto è possibile seguire il lento avvicinamento del Primo Quarto di Luna a Saturno tra le stelle della costellazione zodiacale del Capricorno. Inizialmente in prossimità del meridiano, i due vanno progressivamente abbassandosi sull’orizzonte sud-occidentale e poco prima di scendere sotto la linea dell’orizzonte vengono a trovarsi in congiunzione in Ascensione Retta, con il nostro satellite naturale 4°,7 a sud del pianeta inanellato. Il disegno raffigura la bella configurazione osservabile alle 22:30 TC, 50 minuti prima dell’istante della congiunzione.

4-5

NOTTE DI LUNA CON GIOVE

La notte tra il 4 e il 5 novembre, Giove, che oltre un mese dopo l’opposizione è visibile dal tramonto del Sole fino alle prime ore del mattino, viene affiancato dalla Luna gibbosa crescente, con la quale è in congiunzione in Ascensione Retta il giorno 4 alle 21:30, 3°,1 a nord del nostro satellite.

Nelle ore seguenti, la distanza che separa la Luna dal pianeta diminuisce ulteriormente fino a raggiungere il valore minimo di 2°,4 poco dopo la 1:00 TC del 5, producendo la bella configurazione celeste rappresentata nel disegno.

Circa 6°,5 a occidente della coppia è presente anche il debole Nettuno, osservabile solo con l’ausilio di uno strumento.

7LA LUNA OCCULTA DUE STELLE NEI PESCI

La mattina del 7 novembre, poco più di un giorno prima del Plenilunio, la Luna gibbosa crescente quasi completamente (98%) illuminata dal Sole occulta due stelle della costellazione dei Pesci.

Il primo evento vede coinvolta SAO 110046, di magnitudine +6,3, la cui la scomparsa dietro il lembo lunare oscuro è osservabile a partire dalla 1:10 (CA) mentre la riapparizione dell’astro da dietro il bordo illuminato, ben più difficile da seguire, si verifica tra la 1:58 (CA) e le 2:09 (LE). L’evento non è visibile dalle regioni settentrionali e risulta essere radente per una stretta fascia che attraversa Toscana ed Emilia Romagna passando appena a nord di Firenze e Rimini.

Alle 3:43 (AO) inizia poi il transito del nostro satellite naturale davanti a Omicron Piscium, di magnitudine +4,3; il fenomeno termina con la ricomparsa della stella sul lembo illuminato del disco lunare tra le 4:42 (AO) e le 4:49 (CT), con la Luna molto bassa sull’orizzonte per le regioni sud-orientali.

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OCCHIO NUDO CON BINOCOLO CON TELESCOPIO PERICOLO SOLE NON VISIBILE
CIELO DEL MESE DI

8ECLISSI TOTALE DI LUNA

Nel corso della giornata il nostro satellite naturale si trova a transitare nella frazione settentrionale del cono d’ombra della Terra, venendo completamente eclissato per ben 85 minuti tra le 11:16 e le 12:41 TC. L’eclissi, di tipo Totale, non è visibile dall’Italia, ma risulta osservabile dall’oceano Pacifico, Australia, Asia centrale e orientale, Americhe.

9-11

LUNA E MARTE NEL TORO

Ogni mese il passaggio della Luna tra le stelle della costellazione del Toro genera diverse configurazioni celesti meritevoli d’attenzione. Tra la prima e la seconda decade di novembre la Luna quasi completamente illuminata dal Sole supera prima le Pleiadi, poi Aldebaran e infine Marte. La prima congiunzione vede il nostro satellite naturale transitare 3°,6 a sud di M45 il 9 novembre.

Il giorno seguente è invece Alfa Tauri a essere superata, 7°,2 a nord, dalla Luna, mentre l’11 il disco lunare in fase gibbosa calante è protagonista di una congiunzione ravvicinata con Marte, 1°,6 a nord del Pianeta rosso. Nessuna delle congiunzioni è direttamente osservabile, poiché tutte si verificano nelle ore diurne. Nel disegno sono raffigurate le configurazioni visibili alle 20:00 TC delle date indicate, con la figura del Toro sopra l’orizzonte orientale.

9

OCCULTAZIONE DI 37 E 39 TAURI

La sera del 9 novembre, poco più di un giorno dopo il Plenilunio, la Luna gibbosa calante illuminata per il 98% occulta due stelle della costellazione del Toro. Il primo evento vede coinvolta 37 Tauri, di magnitudine +4,4, la cui la scomparsa dietro il lembo lunare illuminato dal Sole

è osservabile dall’intero Paese a partire dalle 20:16 (CA); tra le 21:21 (CA e CT) e le 21:36 (TS) è invece possibile assistere alla riapparizione dell’astro da dietro il lembo lunare oscuro. Spostata di circa 15 minuti rispetto al primo evento è l’occultazione di 39 Tauri, di magnitudine +5,9, che inizia

alle 20:33 (CA), ma la cui immersione sul bordo illuminato dal Sole sarà osservabile con difficoltà, a causa della non elevata luminosità della stella; il fenomeno terminerà con la ricomparsa sul bordo oscuro del disco lunare tra le 21:26 (CT) e le 21:47 (TS).

57
CIELO DEL MESE

9-12

URANO E (27) EUTERPE IN OPPOSIZIONE

Alcuni gradi a sud della stella di 4a magnitudine Delta Arietis, il 9 e il 12 novembre sono in opposizione al Sole il pianeta Urano e l’asteroide (27) Euterpe. Il pianeta, di magnitudine +5,6, è al limite della visibilità a occhio nudo sotto cieli limpidi e bui e si trova in una zona del cielo povera di stelle brillanti (vedi altri dettagli nell’articolo di W. Ferreri a pag. 50). (27) Euterpe è di magnitudine +8,8 e risulta osservabile solo con l’ausilio di un binocolo; inizialmente in prossimità del confine tra l’Ariete e il Toro, quasi a metà tra le stelle Delta Arietis e 5 Tauri, il pianetino si muove in direzione retrograda verso Urano, 1°,5 a sud del quale transita negli ultimi giorni di novembre, e della stella Sigma Arietis, di magnitudine +5,5, con cui è in congiunzione, 27’ a sud, la notte tra il 5 e il 6 dicembre. La mappa è completa fino alla magnitudine +11.

13-14

NOTTE DI LUNA NEI GEMELLI

La sera del 13, nel cielo già completamente buio da almeno un paio d’ore, sull’orizzonte nord-orientale va levando il luminoso disco della Luna in fase gibbosa calante; nelle sue vicinanze si può cogliere la presenza dell’ampia coppia costituita da Castore e Polluce, i due gemelli Dioscuri che danno il nome alla costellazione.

Posizionato inizialmente poco meno di 3° a sud-ovest di Beta Geminorum, nelle ore seguenti il nostro satellite naturale si avvicina

17-27

(115) THYRA NEL PERSEO

Un altro pianetino facilmente rintracciabile con l’aiuto di uno strumento è (115) Thyra, in opposizione al Sole il giorno 18 quando raggiunge la magnitudine +9,7.

Gli eventi più interessanti di cui (115) Thyra risulta essere protagonista nella seconda metà di novembre sono due incontri ravvicinati: il primo, la notte tra il 16 e 17, vede l’asteroide avvicinarsi progressivamente ad Algol (Beta Persei), per transitare meno di 1’ a

sempre più alla stella fino a trovarsi in congiunzione, 2°,1 a sud, poco dopo la mezzanotte. La configurazione celeste più appariscente si concretizza solo tre ore più tardi, quando la Luna risulta visivamente allineata con Polluce e Castore.

Le osservazioni dell’evoluzione del fenomeno verranno interrotte dall’approssimarsi dell’alba, le cui luci risultano sempre più evidenti ben prima delle 6:00 TC.

sud della stella, poco prima dell’inizio del crepuscolo astronomico. Il secondo vede coinvolta Pi Persei, di magnitudine +4,7, facilmente individuabile 2°,2 a sud-ovest di Algol: la minima distanza di 35” tra la stella e (115) Thyra viene raggiunta il giorno 26 nelle ore diurne; lo stesso giorno il pianetino è comunque osservabile nelle immediate vicinanze di Pi Persei la mattina prima dell’alba e la sera dopo il tramonto.

CIELO
DEL MESE DI
MAGNI 58

18-19

POSSIBILE DOPPIO MASSIMO DELLE LEONIDI

Nei due decenni trascorsi dall’ultimo passaggio della cometa 55P/ Tempel-Tuttle, dalla quale hanno origine, gli studi teorici e i modelli numerici delle orbite seguite dalle particelle che costituiscono le Leonidi hanno fatto registrare notevoli progressi, con previsioni sempre più dettagliate, confermate poi dalle osservazioni. Quest’anno, oltre alla normale attività, con valori dello Zhr compresi tra 10 e 20 meteore orarie e massimo nelle prime ore del giorno 18, la Terra incontrerà diversi “filamenti” di particelle, il più interessante dei quali, rilasciato nel passaggio del 1733, potrebbe dare luogo a un’attività particolarmente accentuata (Zhr tra 50 e 200) la mattina del 19. Il radiante dello sciame è osservabile dalla mezzanotte locale fino alle prime luci dell’alba ma le osservazioni, comunque raccomandate, verranno disturbate dalla presenza nella vicina costellazione della Vergine della falce calante della Luna. Nel disegno, il cielo sopra l’orizzonte orientale alle 5:00 TC del giorno 19, mezz’ora circa prima dell’inizio dell’alba.

20OCCULTAZIONE DI GAMMA VIRGINIS

Un’occultazione non facile da osservare ma di sicuro interesse è quella che si verifica all’alba del giorno 20: la falce calante della Luna, illuminata per il 17%, occulta Gamma Virginis, una stella doppia con componenti di magnitudini +3,5 e separate da 2”,5. La scomparsa della coppia sul bordo illuminato dal Sole avviene a partire dalle 5:28 (Cagliari), mentre la riapparizione da dietro il lembo lunare oscuro si verifica tra le 5:55 (Roma) e le 6:17 (Catania).

Il fenomeno, visibile solamente da una frazione delle regioni sud-occidentali, risulta essere radente per una lunga fascia di territorio che attraversa Toscana, Lazio, Campania e Basilicata, passando per le città di Roma e Potenza e termina nel chiarore dell'alba, che risulta essere molto forte nelle regioni meridionali.

ALGOL IN ECLISSE

La notte tra il 22 e il 23 novembre è possibile ammirare la stella Beta Persei - prototipo dell’omonima categoria di variabili a eclissiaffievolirsi fino a raggiungere la magnitudine +3,2 e tornare poi lentamente alla magnitudine +2,1; la durata complessiva di un’eclisse è di circa 8 ore. Secondo le effemeridi più aggiornate, il minimo si verifica alle 0:40 TC del giorno 23, quindi lo splendore di Algol tornerà ad aumentare, fino a riottenere la massima luminosità prima dell’inizio dell’alba.

22-23 59 CIELO DEL MESE *TIZIANO MAGNI ESPERTO DI MECCANICA CELESTE, ELABORA LE PREVISIONI DI FENOMENI ASTRONOMICI CON SOFTWARE APPOSITAMENTE REALIZZATI (WWW.TIZIANOMAGNI.IT). • 1 DICEMBRE: (349) DEMBOWSKA IN OPPOSIZIONE AL SOLE NEL TORO • 1/2 DICEMBRE: CONGIUNZIONE LUNA-GIOVE • 5 DICEMBRE: LA LUNA OCCULTA URANO NELLA PRIMA DECADE DI DICEMBRE CI ATTENDONO • 7 DICEMBRE: OCCULTAZIONE DI 37 TAURI • 7-8 DICEMBRE: LUNA, ALDEBARAN E MARTE DI SERA • 8 DICEMBRE: MARTE IN OPPOSIZIONE I testi completi dei fenomeni sul prossimo numero di Cosmo e sul sito bfcspace.com
60 OSSERVAZIONI DI PIERO MAZZA* NEBULOSE E AMMASSI NEL CIGNO, CON UNA PICCOLA SORPRESA UNA GRANDE COSTELLAZIONE AUTUNNALE

Nel numero di ottobre (vedi Cosmo n. 32) abbiamo dedicato questa rubrica alla costellazione del Cigno, soffermandoci sulle sue stelle principali e presentando qualche oggetto diffuso, fra cui imperava la nebulosa Nord America. Vediamo di ora penetrare un po’ meglio questa bella costellazione che è considerata “estiva”, ma resta ancora ampiamente visibile durante il mese di novembre. Basti pensare che attorno al 15 del mese, in prima serata, Deneb culmina nei pressi dello zenit.

L’AMMASSO APERTO M39

Nella quindicina di oggetti Messier ritenuti osservabili a occhio nudo, solitamente non appare l’ammasso aperto M39; eppure, lo si può scorgere anche da cieli non particolarmente bui, a patto di sapere dove guardare. È un buon esercizio che ogni osservatore del cielo dovrebbe fare all’inizio di ogni nottata osservativa, anche per sondare la bontà del sito. Per trovare M39, occorre considerare la congiungente Gamma-Alfa (Sadr-Deneb, se utilizziamo i

nomi originali), distanti 6 gradi; prolungando questa distanza verso nord-est per circa 8 gradi e poi ripiegando ad angolo retto verso sud-est (in direzione del Quadrato di Pegaso) per metà di questa distanza, si arriva sul bersaglio. Attenzione però: un grado a nordovest c’è SAO 50867, una stella di mag. 5,3 che potrebbe confondere. Si tratta di un astro generalmente considerato debole, anche se non è al limite della visibilità a occhio nudo (molto dipende dall’acutezza visiva dell’osservatore), essendo 40

» Nella pagina a fianco: la Cocoon Nebula ripresa con un Primalucelab Airy Apo 104T (Fabio Semeraro). A sinistra: la regione settentrionale della costellazione del Cigno (Perseus). Sopra: l’ammasso aperto M39 ripreso con un Celestron 8 (Angelo Molinari, Gaggiano).

61 OSSERVAZIONI

volte meno luminosa di un astro brillante come Deneb. Per confronto, ricordiamo che le stelle Delta, Epsilon e Zeta dell’Orsa Minore, a mala pena visibili dai cieli suburbani, sono di quarta magnitudine e che la Eta è di quinta. Con una vista buona, sotto cieli con uno SQM (Sky quality meter), pari o superiore a 21,5 mag. per secondo d’arco quadrato (ancora presenti nel nostro Paese da alcune località montane), si riesce a intravedere la Lambda UMi di magnitudine 6,3. Pertanto, è realistico il limite di visibilità di 6,5, riportato su alcuni atlanti celesti, come quello liberamente scaricabile dal sito di Filippo Riccio (bit. ly/3dscboW). Una stellina singola molto debole può talvolta creare l’impressione di un piccolo oggetto diffuso, per questioni fisiologiche. Allora, una volta localizzata la SAO 50867, basta fissarla per qualche istante in visione diretta, e M39 dovrebbe saltar fuori facilmente. Dopo tutto, come sosteneva John Ellard Gore, un astrofilo irlandese della seconda metà dell’Ottocento, lo stesso Aristotele sarebbe riuscito a vedere M39, descrivendolo come “una stella con una coda”...

Al binocolo M39 si distingue bene: un 10x50 è in grado di mostrare 15-20 componenti, disposte su una superficie triangolare, mentre con un 15x45 stabilizzato se ne possono contare anche 25 fino alla magnitudine 10,5, molte delle quali relativamente brillanti. Al telescopio, l’ammasso può arrivare a occupare tutto il campo, avendo un diametro di mezzo grado; ma a forti ingrandimenti si rischia di perdere parte del suo fascino. L’Atlas Coeli

Catalog di A. Bečvar gli attribuiva 25 stelle, praticamente tutte della Sequenza Principale e di spettro non precedente il tipo A, il che conferirebbe all’ammasso un’età di 300 o 400 milioni di anni. In strumenti da 25 o 30 centimetri è possibile contare sino a un centinaio di componenti, ma un’elevata percentuale di queste sono stelle di fondo che si sovrappongono prospetticamente, senza un legame fisico. Un esercizio interessante è

Oggetto AR (2000)

(2000)

Tipologia M39 (NGC 7092) 21h 32,2m +48°27’

Amm. aperto h1657 21h 32,7m +48°29’

Stella doppia PK 93-2.1 (Minkowski 1-79) 21h 37,0m +48°56’

Cocoon Nebula (IC 5146) 21h 53,5m +47°16’

Neb.

Neb.

Nebulosa oscura Barnard 362 21h 24,0m +50°10’

Barnard 168 21h 47,8m +47°31’

Nebulosa oscura NGC 7086 21h 30,5m +51°36’

Amm. aperto Patchick 6 21h 29,8m +50°14’

Asterismo

62 OSSERVAZIONI DI PIERO MAZZA
Dec.
Dim. Mag.
31’ 4,6
9,0+12,1
60”×40” 13,2
planetaria
11’×10’ 9
emissione
1,7°×0,2°
12’×8’
9’ 8,4
1,6’ 10,5
STELLE E PROFONDO CIELO NEL CIGNO » La nebulosa planetaria Minkowski 1-79 (Astrobin).

quello di discernere i colori delle stelle di M39: per esempio, sia verso ovest che a NE si notano due stelline ambrate di 9a grandezza, mentre la maggior parte delle componenti sono bianco-azzurre.

NEI DINTORNI DI M39

Un’interessante stella doppia di 9a grandezza, denominata h1657, si trova subito a est del centro di M39: la componente principale è accompagnata da una stellina di 12a, situata 23” verso NNE: si può agevolmente individuare in un piccolo telescopio a bassi ingrandimenti.

Un grado a NE di M39 si trova una debole nebulosa planetaria, riportata sull’Uranometria come PK 93-2.1, ma nota anche come Minkowski 1-79. L’oggetto richiede uno strumento da 40 cm, ma è osservabile, sia pur molto debolmente, anche in uno da 25 cm. Esteso circa 40”×30”, è situato nei pressi di un piccolo triangolo rettangolo isoscele di stelline; una di queste si trova a ridosso verso ovest, mentre un’altra appena percettibile ne lambisce il margine orientale. Con strumenti modesti è meglio impiegare un filtro OIII per smorzare il fondo cielo della Via Lattea. Circa 4 gradi a ESE di M39 si trova una nebulosa famosa e bizzarra: la Cocoon Nebula. La sua bizzarria consiste nel fatto che pur essendo visibile anche in telescopi da 15 cm, spesso ci si “passa sopra” senza vederla. Si trova al termine di Barnard 168, uno stretto e debole

corridoio scuro, visibile con un binocolo 20x80, preferibilmente grandangolare. La nebulosa non sfugge neanche alla prima occhiata se si dispone di un filtro H-beta: allora appare come una chiazza lattescente, rotonda, di 7’-8’ di diametro, con una stellina nel centro e un’altra al bordo meridionale; anche un filtro OIII aiuta, ma molto meno.

Una volta localizzata, si può rimuovere il filtro: la nebulosa si sbiadisce, ma appaiono tutte le stelline nella quale è incastonata.

Non sono stelle di campo, ma costituiscono l’ammasso aperto Collinder 470, molto disperso, le cui componenti sono giovani astri nascenti dalla nebulosa stessa.

La visione senza filtro permette inoltre di aumentare gli ingrandimenti, cosa non consigliabile quando si utilizzano filtri come OIII e H-beta, che abbattono oltre il 90% della luminosità. In uno strumento da 25 cm a un centinaio di ingrandimenti l’oggetto appare di forma irregolare; in visione distolta, sembra addirittura di vedere come delle grosse ditate lasciate dalla mano di un gigante.

Un’altra nebulosa scura, molto più piccola, è Barnard 362, che si trova un paio di primi a NW di M39; in un piccolo telescopio a circa 50 ingrandimenti appare come una formazione oblunga orientata da NE a SW; una coppia di stelle giallognole di magnitudini 7,2 e 7,7, distanti 2,5’, si trova a 16’ verso nord ed è utile per localizzare la nebulosa.

Circa 3 gradi a nord di M39 c’è un

altro ammasso aperto, NGC 7086, scoperto da William Herschel nel 1788 e distante 4230 anni luce. Non è un oggetto eccezionale, ma è grazioso in piccoli telescopi: sembra una fine polvere di diamante che fa da sfondo a una dozzina di gemme abbastanza brillanti. Con strumenti da 10-15 cm si contano circa 30 componenti, che diventano facilmente 50 in telescopi da 25 cm. Una condensazione estesa 3’ si trova poco a nord del centro e questa comprende una stella di 10a che è anche il membro più brillante dell’ammasso.

PICCOLE SORPRESE

Se ci si sposta di 1 grado a est di B362, si giunge al piccolo asterismo Patchick 6, che porta il nome dell’astrofilo californiano che l’ha scoperto con un telescopio da 33 cm. È formato da 8-9 stelline di magnitudini comprese tra la 11 e la 13, che formano una “V” curvilinea; costituisce uno dei tanti raggruppamenti di stelle che appaiono vistosi visualmente, ma che magari sfuggono nelle riprese fotografiche. Scoperte di questo tipo sono più frequenti di quanto si immagini: chi scrive, ne ha annotate almeno una ventina; ma si tratta di gruppi casuali che “invadono” il campo oculare magari predisposto per la ricerca di una debole galassia; ognuno di questi è stato controllato, ma nessuno è riportato sulle mappe.

OSSERVAZIONI
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*PIERO MAZZA MUSICISTA DI PROFESSIONE, È UN APPASSIONATO VISUALISTA, CON MIGLIAIA DI OSSERVAZIONI DEEP SKY CONSULTABILI DAL SITO WWW.GALASSIERE.IT.
» L’ammasso aperto NGC 7086 in un’immagine pubblicata da Wikipedia (Roberto Mura).

SCHWARZSCHILD IL RAGGIO DI

DI QUANTO SI DEVE RESTRINGERE UNA STELLA PER DIVENTARE UN BUCO NERO?

Nell’ultimo ventennio del XVIII secolo John Michell e Pierre Simon de Laplace, considerando la teoria corpuscolare della luce proposta da Isaac Newton, studiarono le possibili conseguenze dell’interazione di un fotone con un campo gravitazionale prodotto da un corpo celeste. In maniera

indipendente, arrivarono a ipotizzare che nell’Universo potessero esistere oggetti celesti con massa e densità tali da intrappolare i raggi luminosi per via della loro enorme attrazione gravitazionale. Tali oggetti presero il nome di “stelle oscure” in quanto sarebbero stati invisibili a un osservatore. Tra le implicazioni della legge di gravitazione universale di

Newton c’è il concetto di velocità di fuga. Immaginiamo di lanciare in alto un sasso; questo, a causa della gravità terrestre, rallenterà sempre più fino a raggiungere un’altezza massima e poi ricadrà al suolo. Questa altezza sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la velocità iniziale con cui lanciamo il nostro sasso. Esiste una velocità “limite”, detta velocità di fuga:

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L’ORA DI ASTRONOMIA
A
CURA DI ANDREA SIMONCELLI*

se il sasso è lanciato con una velocità pari o superiore a questa, nonostante continui a rallentare, non invertirà più il suo moto e si allontanerà definitivamente dalla Terra. La velocità di fuga è la velocità che consente all’oggetto di giungere a una distanza teoricamente infinita, quindi con energia potenziale pari a zero, e con velocità nulla, e quindi con energia cinetica nulla. Dunque, le “stelle oscure”, secondo i due scienziati che le ipotizzarono, avrebbero avuto una velocità di fuga superiore a quella della luce!

CALCOLIAMO

LA VELOCITÀ DI FUGA

Consideriamo un oggetto di massa m posto sulla superficie di un corpo celeste di massa M e raggio R, che è vincolato a rimanere sul corpo celeste dalla gravità. L’energia potenziale gravitazionale U del sistema costituito dall’oggetto e dal corpo celeste separati dalla distanza R è: U = G M m / R.

Dove G è la costante di gravitazione universale, pari a 6,67 x 10−11 N·m2/kg2. Se lanciamo l’oggetto con una velocità iniziale v, esso avrà un’energia cinetica pari a ½ m v2.

La velocità di fuga vf può essere calcolata uguagliando l’energia cinetica dell’oggetto con la sua energia potenziale gravitazionale. Così, si ottiene: G M m / R = 1/2 m vf2

Da questa si ricava: vf = (2 G M / R)1/2 (ricordiamo che elevare a ½ equivale a estrare la radice quadrata).

È da notare che la velocità di fuga non dipende dalla massa dell’oggetto lanciato, ma solo dalla massa e dal raggio del corpo celeste dal quale si prova a sfuggire.

Per esempio, calcoliamo la velocità di fuga della Terra, ricordando che in questo caso M = 6 · 1024 kg e R = 6370 km = 6.370.000 m = 6,37 x 106 m.

Applicando la formula, abbiamo:

Il buco nero si trova al centro della regione oscura (detta ’“ombra”), circondata da un anello brillante di radiazione emessa dalla materia in rapida rotazione attorno al mostro celeste (Eht Collaboration).

vf = 11.200 m/s, ovvero 11,2 km/s.

Va tenuto presente che, quando parliamo di velocità di fuga, ci riferiamo a una situazione che non preveda ulteriore spinta rispetto al lancio iniziale. Una navicella spaziale non ha bisogno di raggiungere la velocità di fuga per allontanarsi dal nostro pianeta; può partire anche a velocità molto inferiori, purché sia dotata di un sistema di propulsione.

I BUCHI NERI

Ipotizziamo di prendere un oggetto celeste e di comprimerlo, facendo diminuire man mano il suo raggio.

La velocità di fuga dalla sua superficie aumenterà al diminuire del raggio finché diventerà uguale a quella della luce. A questo punto, nemmeno la luce potrà sfuggire indefinitamente dall’oggetto celeste: avremo così un “buco nero”. Il raggio associato a ogni massa M in cui si verifica questo fenomeno prende il nome di raggio di Schwarzschild (Rs). Il suo valore si ottiene sostituendo la velocità della

luce nella formula della velocità di fuga. Risolvendo la formula rispetto a R s, si ottiene: R s = 2 G M / c2. Dove c è la velocità della luce nel vuoto, pari a 3 x 108 m/s. L’ipotesi avanzata da Michell e de Laplace non ebbe successo e fu abbandonata con la scoperta che la luce era una radiazione priva di massa e pertanto non soggetta all’influenza della gravitazione. Solo nel secolo scorso, grazie alla formulazione della Relatività generale di Albert Einstein, si è compreso come il campo gravitazionale possa influenzare anche la luce. Poco tempo dopo la pubblicazione della teoria di Einstein, l’astrofisico tedesco Karl Schwarzschild trovò una soluzione alle equazioni della Relatività generale per il campo gravitazionale di una stella con una distribuzione sferica di massa, priva di momento angolare (cioè non in rotazione) e con carica elettrica nulla. Solo sul finire degli anni 60 del secolo scorso l’oggetto celeste in grado di non far sfuggire

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L’ORA DI ASTRONOMIA » L’astrofisico tedesco Karl Schwarzschild (1873-1916) (AIP archive). Nella pagina a sinistra: l’immagine di Sgr A*, il buco nero supermassiccio nel cuore della Via Lattea, realizzata dall’Event Horizon Telescope (Eht).

L’ORA DI ASTRONOMIA A CURA DI ANDREA SIMONCELLI

» Quando

Sole

dopo aver espulso

strati esterni,

poco maggiori di quelle terrestri: una “nana bianca”.

L’ORA DI ASTRONOMIA

Questa rubrica vuole avere una connotazione didattica, per stimolare i lettori ad approfondire l’indagine del cielo anche con gli strumenti della matematica e della fisica. Chi si ferma su queste pagine scopre che può arrivare a comprendere come funziona l’Universo, con l’aiuto di una semplice calcolatrice Domande, risposte e proposte riguardanti i problemi di calcolo astronomico possono essere inviate in redazione, all’indirizzo stroppa@bfcmedia.com

LE NOSTRE SOLUZIONI

Ecco le soluzioni dei problemi proposti nella puntata precedente (“Quanto sono grandi le stelle?”) pubblicata su Cosmo n. 30 (luglio 2022).

La luminosità di Antares è 1,57 x 1029 W, equivalente a 405 volte la luminosità del Sole (nei testi è riportato un valore di 500 volte, la differenza è dovuta alla mancata correzione bolometrica nei calcoli proposti in rubrica).

Il raggio di Rigel è 5,49 x 1010 m, pari a circa 78 raggi solari.

nemmeno la luce fu definito “buco nero” dall’astrofisico John A. Wheeler. La dimensione caratteristica di un buco nero è proprio il raggio di Schwarzschild, mentre la superficie della sfera individuata da questo raggio è definita “orizzonte degli eventi”, il confine di un buco nero oltre il quale niente può sfuggire, nemmeno la luce.

CALCOLIAMO IL RAGGIO DI SCHWARZSCHILD

Applichiamo il calcolo del raggio di Schwarzschild al caso di una stella con una massa pari a quella del Sole (M = 2 x 1030 kg):

R s = 2960 m ovvero 2,96 km.

Allora, se potessimo comprimere il Sole fino dal suo raggio di 700mila

km fino a circa 3 km, diventerebbe un buco nero! Si tratta però di un calcolo solo teorico, perché non è questo il destino dell’evoluzione del Sole, ma quello di diventare una nana bianca. Infatti, non è abbastanza massiccio perché la sua gravità possa comprimerlo fino a questo punto, quando avrà esaurito la sua produzione di energia.

Ripetiamo, sempre come esercizio, il calcolo precedente per la Terra (M = 6 x 1024 kg):

Rs = 0,0089 m, ovvero 8,9 mm. Dunque, dovremmo contrarre la Terra al punto tale da avere tutta la massa concentrata in una sfera con un raggio inferiore a 1 cm per farla diventare un buco nero!

PER LA PROSSIMA PUNTATA

Una nana bianca è una stella che ha una massa confrontabile con quella solare, ma è compressa all’interno di un raggio simile a quello terrestre. Qual è la velocità di fuga da questa stella?

Abbiamo visto che, per il nostro pianeta, il raggio di Schwarzschild è poco meno di 1 cm. E per la Luna, che ha una massa di 7,3 x 1022 kg? Infine, qual è il raggio di Schwarzschild per Sgr A*, il buco nero situato al centro della Via Lattea (vedi Cosmo n. 30), che ha una massa pari a circa quattro milioni di masse solari?

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*ANDREA SIMONCELLI LAUREATO IN ASTRONOMIA A BOLOGNA, È UN RICERCATORE, DOCENTE E DIVULGATORE SCIENTIFICO.
il
avrà esaurito il suo combustibile nucleare, non si ridurrà a un buco nero:
gli
il nucleo della stella si compatterà fino a dimensioni
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68 CITIZEN SCIENCE DI CESARE GUAITA PHOTOBOMBER SPAZIALI HUBBLE ASTEROID HUNTER A CACCIA DI ASTEROIDI CON INTERESSANTI EFFETTI COLLATERALI Sandor Kruk è un ricercatore rumeno che ha studiato analisi statistica dei dati a Oxford e ha applicato questa competenza all’analisi della morfologia dei sistemi galattici; prima all’Esa-Estec in Olanda e attualmente al Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Garching (Monaco). In questo ambito, ha coordinato un progetto di calcolo partecipato sulla classificazione delle galassie, il Galaxy Zoo, iniziato nel 2007 e proseguito con numerose estensioni, basate anche su immagini del Telescopio Spaziale (Galaxy Zoo Hubble). » La traccia dell’asteroide 2001 SE101, sovrapposta a un’immagine della Crab Nebula ripresa da Hubble il 5 dicembre 2005.

Esaminando le immagini di Hubble, Kruk si è reso conto che spesso celavano tracce di asteroidi. I quali si comportano inconsapevolmente come i photobomber che disturbano le foto scattate tra amici. Queste tracce venivano però trascurate, dato che lo studio degli asteroidi non era il loro scopo primario. Da qui l’idea di coinvolgere il pubblico di citizen scientist, inserendo sulla piattaforma Zooniverse il progetto Hubble Asteroid Hunter. Lanciato il 21 giugno 2019, è terminato un anno dopo nella sua prima versione, con la partecipazione di 11.482 volontari e quasi 2 milioni di classificazioni.

CITIZEN

SCAVANDO

NEGLI ARCHIVI DI HUBBLE

La ricerca è stata condotta sulle immagini dell’Hubble Science archive, accessibile dal portale EsaSky (sky. esa.int), realizzato dal Science Data Center dell’Esa, che permette di esplorare le osservazioni realizzate da numerosi satelliti attraverso un’interfaccia grafica alla portata di tutti. Sono state quindi esaminate 37mila immagini riprese tra il 30 giugno 2002 e il 14 marzo 2021 dalle camere Acs e (dal 24 giugno 2009) Wfc3 di Hubble. Per rendere più agevole l’individuazione dei tracciati asteroidali più brevi, ogni immagine

SCIENCE 69
» La traccia dell’asteroide 2002 LX55 individuato dall’algoritmo AutoML su due esposizioni della galassia NGC 5468 riprese da Hubble il 29 dicembre 2017.

CITIZEN SCIENCE

è stata divisa in quattro quadranti da 1050 pixel di lato. Dopo un breve esercizio preparativo su immagini di riferimento, ai volontari si chiedeva di scrutare a occhio le immagini di archivio, alla ricerca di possibili tracce asteroidali. Il team di controllo accettava come reali le individuazioni simili da parte di una decina volontari diversi.

Si stima che la Fascia degli asteroidi contenga 1-2 milioni di oggetti con diametro maggiore di un chilometro e molti milioni di oggetti minori. A questi si aggiungono i Neo (vedi il box). Circa la metà dei Neo conosciuti ha il diametro maggiore di 150 metri; nel caso che la loro orbita disti da quella terrestre meno di 7,5 milioni di chilometri, vengono considerati “potenzialmente pericolosi” (Pha, Potentially Hazardous Asteroids).

Asteroidi troppo piccoli o troppo scuri sono difficili da individuare da Terra, dove i sistemi automatici non superano, anche a causa della turbolenza atmosferica, la magnitudine 22. È curioso notare che le tracce asteroidali sono curve, a causa del moto orbitale di Hubble. Le caratteristiche orbitali di un certo oggetto sono calcolabili meglio se la sua traccia appare in immagini riprese in epoche differenti. Magari scoprendo che si tratta di un nuovo asteroide, mai catalogato. In alcuni casi, i tempi cumulativi di osservazione sono stati sufficientemente lunghi da poter ricavare le curve di luce e quindi le velocità di rotazione degli asteroidi.

EFFETTI COLLATERALI

Una tipologia di tracce curve che nulla hanno a che fare con gli

asteroidi è quella legata alla presenza di lenti gravitazionali (sorgenti astronomiche distanti, la cui luce viene distorta e amplificata da un corpo massiccio come una galassia, che si trova lungo la linea di vista).

Si tratta di un effetto collaterale di questa ricerca (che è già un effetto collaterale di altre ricerche), che ha permesso di scoprirne ben 200 mai individuate prima!

Possibili interferenze sono legate anche al transito di satelliti artificiali (presenti in circa il 5% delle immagini) o alla presenza di raggi cosmici (410 tracce): in entrambi

i casi, le tracce non hanno però la luminosità costante che gli asteroidi mantengono nelle pose di poche decine di minuti, come quelle di Hubble. In questo campo, l’ispezione umana è ideale e molto migliore dei programmi automatici.

Però, gli algoritmi di intelligenza artificiale possono essere affinati se si dispone di un numero sufficientemente alto di casi reali.

E il progetto Hubble Asteroid Hunter si è rivelato ideale per realizzare un algoritmo di deep learning basato su Google Cloud per esplorare ulteriormente l’archivio di Hubble.

70
» Una ventina di tracce asteroidali, attribuibili a sette oggetti differenti, in una immagine dell’ammasso di galassie Abell 370, uno dei sei ripresi da Hubble con pose molto lunghe nell’ambito del programma Frontier Fields

EYES ON ASTEROIDS

Ogni anno vengono scoperti migliaia di asteroidi e dozzine di comete. Alcuni di questi oggetti, chiamati Neo (Near Earth Objects), seguono orbite che attraversano il Sistema solare interno. Sono circa 28mila, ma il loro numero è in continuo aumento. I Neo vengono monitorati dagli astronomi, nell’eventualità che possano minacciare il nostro pianeta. Grazie a un nuovo strumento di visualizzazione 3D, sviluppato dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa, è possibile esplorare quasi in tempo reale i Neo con un semplice click Si chiama Eyes on Asteroids e funziona su qualsiasi smartphone, tablet o computer connesso a Internet. Non è necessario eseguire il download: si accede direttamente dal sito go.nasa.gov/39OsjPD Questa App descrive le orbite di

ogni Neo conosciuto e fornisce informazioni su questi oggetti. Grazie al cursore posto in basso, si può viaggiare avanti e indietro nel tempo per vedere il loro moto orbitale. I dati vengono aggiornati due volte al giorno.

È anche possibile esplorare le missioni spaziali dedicate ai Neo, come la Dart della Nasa, che ha impattato con l’asteroide Dimorphos (vedi l’articolo a pag. 20). Si trovano anche molti approfondimenti sulla scienza dei Neo e sull’importanza di tracciare oggetti potenzialmente pericolosi: con la funzione Asteroid Watch si possono vedere i prossimi cinque incontri ravvicinati con asteroidi, che generano molto interesse (e spesso ansie ingiustificate).

La redazione

Questo algoritmo, chiamato AutoML (Auto Machine Learning), è riuscito a rifare in poche ore tutto il lavoro che i volontari hanno realizzato in un anno e ha anche permesso di migliorarlo, recuperando nelle immagini altre 900 tracce, per un totale di 2487 tracce.

IN ATTESA CHE

IL PROGRAMMA RIPRENDA

I risultati di Hubble Asteroid Hunter sono stati pubblicati nel maggio 2022. In sintesi, nell’1% delle immagini di Hubble erano presenti tracce di tipo asteroidale fino alla magnitudine 24,5. Confrontando le posizioni misurate con quelle degli asteroidi registrati nel database del Minor Planet Center, il gruppo di ricerca ha scoperto che il 39% di esse corrisponde a 454 oggetti noti, mentre il 61% corrisponde ad asteroidi sconosciuti (a meno che si tratti di misurazioni errate). La maggior parte degli asteroidi è distribuita lungo il piano dell’eclittica, dove si misura una densità di circa 80 asteroidi per grado quadrato. Studiare gli asteroidi aiuta gli scienziati a comprendere l’evoluzione del Sistema solare e dei sistemi planetari in generale. Negli ultimi anni c’è stato un forte incremento di scoperte di asteroidi, grazie ai nuovi telescopi robotici e a potenti algoritmi di rilevamento, ma questo nuovo studio mostra come la citizen science e il machine learning siano tecniche utili per la ricerca di questi oggetti anche negli archivi già esistenti. Nell’attesa che questo interessante progetto venga prolungato anche per le immagini di Hubble più recenti, non appena saranno rese pubbliche.

CITIZEN
SCIENCE 71

IL

GIORNO

SPETTACOLARI FENOMENI CELESTI ATTENDONO DI ESSERE OSSERVATI

Molti pensano che solo il cielo notturno sia degno di attenzione per gli astrofili. Ma se rivolgiamo lo sguardo in alto anche di giorno, possiamo rimanere affascinati dalla vasta gamma delle sfumature del cielo e da fenomeni come un arcobaleno, un alone, i raggi crepuscolari, che impreziosiscono e rendono sempre mutevole la volta celeste a qualsiasi ora. Stiamo parlando delle fotometeore: con il termine “meteora”, in astronomia si intende la manifestazione luminosa che deriva dall’attraversamento della atmosfera da parte di frammenti di roccia o di ghiaccio extraterrestri.

In meteorologia, invece, alla meteora si associa un evento osservato nella bassa

72 ASTROFOTOGRAFIA DI MARCO MENIERO*
CIELO DI
E RIPRESI ANCHE MENTRE SPLENDE IL SOLE

» Nella pagina a sinistra: dettaglio di un arcobaleno ripreso con un obiettivo Canon EF 300 mm f/4L su Canon Eos 1DxMk2; posa di 1/2500 s con esposizione spot sull’arcobaleno. In questa pagina: Arcobaleno bianco che si forma nella nebbia. La mancanza dei colori è dovuta al diametro delle gocce di acqua che è insufficiente per generare l’iride. Ripresa effettuata con Canon Eos 5DMk3, obiettivo Sigma 14 mm f/1,8 chiuso a f/3,5, posa di 1/4000 s (tutte le foto sono dell’autore).

ASTROFOTOGRAFIA 73

atmosfera. Questi eventi vengono classificati in idrometeore (nebbie, neve, pioggia), litometeore (fumo, tempeste di polvere), elettrometeore (lampi, tuoni) e in fotometeore (aloni, pareli, arcobaleni).

Con quest’ultimo termine s’intende un fenomeno luminoso prodotto dalla interferenza della luce solare, lunare o astrale con le particelle presenti nella troposfera.

L’ARCOBALENO

L’arcobaleno è probabilmente la fotometeora più conosciuta e osservata dai tempi più remoti, ma è stata studiata scientificamente per la prima volta solo nel 1637, da Cartesio. Si forma per la dispersione della luce solare (o lunare) nelle gocce d’acqua: quando il fascio di luce passa dentro una goccia viene rifratto, riflesso e quindi nuovamente rifratto,

» In alto: Alone solare incastonato tra le statue di Ponte Sant’Angelo a Roma. Ripreso con Canon Eos 5DMk2 e obiettivo EF 24-70 mm f/2,8, chiuso a f/22, posa di 1/1600 s con esposizione spot sull’alone.

In basso: alba sui Monti Cimini (Viterbo). Al centro, una colonna solare creata dalla riflessione della luce solare da parte dei cristalli di ghiaccio. La macchia in alto è un accenno di arco tangente superiore.

Fotocamera Canon Eos 1DxMk2 con obiettivo Sigma 20 mm f/1,8 Art.

come accade in un prisma. Se nella goccia avvengono due riflessioni, invece di una sola, si forma un secondo arco (secondario) con i colori simmetrici rispetto al primo. In tal caso, il secondo arco ha uno spessore pari al doppio del primo, ma una luminosità ridotta del 43%. Si possono formare anche arcobaleni di ordine superiore al secondo, fino al settimo ordine (ipotizzato per

74 ASTROFOTOGRAFIA DI MARCO MENIERO

OPTIC PICTURE OF THE DAY

Incoraggiato dal successo ottenuto a livello internazionale dall’Apod Nasa (Astronomic Picture of the Day, go.nasa.gov/3K29LJK), il Gruppo Astrofili “Galileo Galilei” (GrAG Aps) si è lanciato nella creazione della rubrica Optic Picture of day (Opod) finalizzata alla divulgazione delle fotometeore. La rubrica è settimanale ed è curata da Marco Meniero e prevede che le foto vengano corredate da spiegazioni scientifiche dell’evento ripreso.

Il GrAG Aps è una associazione di astrofili frequentata prevalentemente da appassionati provenienti dalle provincie di Roma, Viterbo, Terni, Grosseto con un Osservatorio Astronomico di proprietà e un sito per le osservazioni attrezzato con elettricità e recintato nel comune di MonteRomano (Viterbo). Per informazioni, vedi il sito grag.org/opod Vedi in figura una ripresa di raggi crepuscolari eseguita da Murizo Eltri, Opod dell’8 agosto 2022.

a 56°, allora l’ottica deve avere un campo di ben 112°. Gli obiettivi con queste caratteristiche sono gli ultragrandangolari come il 18 mm e il 20 mm per il primo caso e i fisheye per il secondo caso.

ALONI E PARELI

Il fenomeno degli aloni, fin dai tempi antichi, ha stimolato la fantasia dell’uomo, tanto che lo ritroviamo nella mitologia greca di Issione, re del popolo dei Lapiti. Gli aloni possono apparire con diametri e forme diverse. Si differenziano fra di loro a causa della elevazione della fonte luminosa, della forma e dal movimento dei cristalli di ghiaccio che li producono. Appaiono sui cirri sottili come vaste corone di luce intorno al Sole, alla Luna, ai pianeti principali o alle stelle più luminose.

via teorica) il cui numero d’ordine è determinato dal numero di riflessioni.

L’intensità cromatica dipende dal diametro delle gocce d’acqua: quelle di grandi dimensioni (1,5 mm o più) creano colorazioni molto contrastanti, mentre quelle di diametro inferiore (fino a 0,1 mm) rendono l’arcobaleno pallido ed evanescente; se invece le gocce hanno

misure minori di 0,05 mm, l’arco appare biancastro e assume il nome di “arco bianco” da nebbia (fogbow).

Considerando che l’arco primario ha un raggio esterno di circa 42°, per fotografarlo completamente nella sua estensione è necessario usare un’ottica che abbia un campo apparente maggiore di 84°.

Se si vuole fotografare anche l’arco secondario, con il raggio che arriva

L’estensione dell’alone dipende da come viene rifratta la luce e da come sono orientati i cristalli di ghiaccio. La direzione di rifrazione non è casuale: per esempio, i ghiacci esagonali orientati orizzontalmente hanno un angolo di rifrazione di 22° tra la direzione di ingresso della luce e di uscita. Gli aloni si possono formare più frequentemente degli arcobaleni e rimanere in cielo con maggiore persistenza, ma si ritengono più rari, perché sono più difficili da osservare, a causa della vicinanza al Sole.

Il parelio (sun dog) si manifesta con due macchie con i colori dell’iride, poste alla stessa elevazione del Sole (o della Luna, ma in questo caso si chiama paraselenio), con

*MARCO MENIERO

ASTROFOTOGRAFIA 75
CONTROLLORE DEL TRAFFICO AEREO E ASTROFILO, È APPASSIONATO DI FOTOMETEORE FIN DAL 1990.

ASTROFOTOGRAFIA

UN’ASTROFOTOGRAFA NELLO SPAZIO

Forse sarebbe meglio dire “Terrafotografa”? Si tratta comunque di Samantha Cristoforetti, che dalla Stazione spaziale internazionale ha spiegato come riprendere fotografie dell’astro più luminoso e vicino visibile da lassù, ovvero la Terra. E lo ha fatto in modo spiritoso, con un tutorial registrato su Tiktok e ripreso anche da Twitter (bit.ly/3uX229n). Ricordandoci che per puntare la superficie terrestre con una fotocamera, occorre recarsi nella Space Cupola della Iss e… aprire il finestrino. Ovviamente, non quello che comunica con lo spazio esterno, ma un doppio vetro che serve da protezione ai finestrini veri e propri.

Lo spettacolo è assicurato e c’è solo l’imbarazzo della scelta, come testimoniano le numerose immagini che proprio AstroSamantha ha pubblicato in seguito a queste sue sessioni fotografiche sulla stazione spaziale.

Sessioni che sono facilitate dalla microgravità, grazie alla quale si possono maneggiare agevolmente anche massici teleobiettivi, ma sono rese difficoltose dal veloce movimento della Iss: la velocità orbitale di quasi 8 chilometri al secondo rischia di produrre un effetto mosso sulle immagini, soprattutto quando si utilizzano lunghe focali.

l’arco circumorizzontale e l’arco circumzenitale.

COLONNE DI LUCE

distanze angolari pari a 22°; tuttavia, in condizioni rare, è possibile la formazione di una coppia anche a 46° o 120° dal Sole.

Raramente si può assistere alla formazione di un cerchio parelico, ovvero una tenue stringa bianca che unisce i pareli con il Sole e che può arrivare a estendersi per 360°.

Esiste una vasta casistica di fenomeni alonari che prende il nome di archi e dipende dalla forma e dalla disposizione dei ghiacci; possono presentarsi a distanze angolari molto lontane fra loro e possono avere il centro della loro curva nel Sole, in posizioni antisolari o zenitali. Alcuni fenomeni tra i più comuni sono

Per la cultura Sami, una colonna di luce solare era un segno divino. Quando appariva in cielo era proibito lasciare la propria terra almeno finché non sarebbe riapparso il disco solare libero dalla formazione fotometeorica. In sua presenza era vietato fischiare e strillare, in quanto gli veniva attribuita una funzione sacra. La colonna solare (sun pillar) è una colonna luminosa che si estende dal disco solare verso il basso o verso l’alto, con il Sole in prossimità dell’orizzonte. La causa è la riflessione della luce solare da parte dei cristalli di ghiaccio orizzontali e paralleli fra di loro. Questi tipi di cristalli appartengono ai cirri e possono avere la forma di dischetti oppure di parallelepipedi. I ghiacci si muovono lentamente nell’aria come le foglie che cadono mantenendosi parallelamente fra loro. Tuttavia, solo quei pochi che sono in posizione orizzontale riflettono verso l’osservatore la luce solare e quindi illuminano il cielo in maniera più intensa, sopra o sotto il Sole. Analogamente al sun pillar, si possono formare i light pillar: la causa fisica è la medesima, ma la fonte luminosa varia: può trattarsi della Luna o di pianeti luminosi, ma anche di fonti terrestri, come lampioni o fari delle auto.

Per fotografare questi fenomeni, conviene usare come ottica un obiettivo da 50 mm sul fullframe La sensibilità di ripresa deve essere di 100-200 Iso e la misurazione esposimetrica deve essere eseguita in modalità spot sul pillar

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DI MARCO MENIERO La Redazione

DEDICATA

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La ricerca amatoriale delle supernovae Giancarlo Cortini, Stefano Moretti

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I pianeti e la vita Cesare Guaita

I giganti con gli anelli Cesare Guaita

Alla ricerca della vita nel Sistema Solare Cesare Guaita

Oltre Messier Enrico Moltisanti

I grandi astrofili Gabriele Vanin

La Luna Walter Ferreri

In viaggio nel Sistema Solare Francesco Biafore

Come funziona l'Universo Heather Couper, Nigel Henbest

Come fotografare il cielo Walter Ferreri

L'osservazione dei pianeti Walter Ferreri

Cento meraviglie celesti Gabriele Vanin

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LE VOSTRE STELLE
SUPER LUNA DELLO “STORIONE” Ripresa da Marza – Ispica (RG) il 12/08/2022 Fotocamera Canon Eos R Mirrorless con obiettivo Canon EF 300 mm f/4 e Tele Extender Canon EF 2x su cavalletto Manfrotto Pose a f/8, 1600 ISO; Luna: 1/10 s, primo piano: 9 s, elaborate con Photoshop Autore: Gianni Tumino, Ragusa.

NEL CENTRO DELLA NEBULOSA CUORE (MELOTTE 15)

Ripreso da Ferrara l’1/08/2022 Telescopio Konus 200/1000 su montatura EQ6r Pro Camera QHY 168c con filtri Optolong L_eXtreme e SvBony UV/IR-cut Guida: cercatore 50/180 mm con Barlow 2x e ASI 224 Pose: L_eXtreme 105x300 s, UV/IR-cut 120x30 s, elaborate con App, Pixinsight, Photoshop. Melotte 15 è una nebulosa a emissione con ammasso stellare al centro della Nebulosa Cuore (IC 1805) situata nella costellazione di Cassiopea a circa 7500 anni luce dalla Terra. La forma a cuore della regione nebulare è prodotta dai venti stellari e dalle radiazioni delle giovani stelle calde di Melotte 15. Autore: Massimo Di Fusco, Ferrara.

LE VOSTRE STELLE 80

NEBULOSA GIRINI (IC 410)

Ripresa da San Romualdo – Ravenna tra marzo 2021 e aprile 2022

Telescopio TecnoSky Apo 130/900 mm su montatura Avalon M1

Camera QSI 520 WSI con filtri Astrodon RGB GenII I-series

Guida Celestron OAG – QHY 5III 174MM

Pose: H-alfa 38x10 m, OIII 33x10 m, R 30x5 m, G 26x5 m, B 30x5 m, elaborate con MaximDL5, Astroart8, StarTools1.8, Paint Shop Pro, plug-in Topaz, Nik, StarSpikePro3.

Autore: Cristina Cellini, Ravenna - San Romualdo.

LE
VOSTRE STELLE 81
82 LE VOSTRE STELLE UN PUNTO INTERROGATIVO IN CEFEO Le nebulose NGC 7822, Ced 214 e Sh2-170 sembrano disegnare un grande “Punto Interrogativo” ai confini tra Cefeo e Cassiopea. Riprese da Bosco Scuro – Ragalna (CT) il 28/08/2022. Fotocamera Canon Eos RA con obiettivo Sigma DG 135 mm f/1,8 a f/2,8 su Sky-Watcher Star Adventurer 2i Pose 85x25 s a 12.800 Iso con filtro Optolong L-eNhance, elaborate con Pixinsight, Photoshop Autore: Gianni Tumino, Ragusa. Inquadra il QR per il time-lapse di Gianni Tumino “Notti d’estate 2022”.

LA REGIONE DI RHO OPHIUCHI

Ripresa da Perth (Australia) il 01/07/2022

Telescopio Sharpstar 150 f/2,8 su montatura Sky-Watcher Heq5 Camera Zwo 2600 MC con filtro Optolong L-pro Guida con Evoguide e camera Zwo 290 MC, software di guida Phd2 Pose 600x30 s, elaborate con PixInsight

Autore: Davide Mancini, Perth (Australia).

LE VOSTRE STELLE
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LE VOSTRE STELLE 84 NEBULOSA “TESCHIO FIAMMEGGIANTE” Nebulosa NGC 7822 nella costellazione di Cefeo ripresa da Ferrara il 5/07/2022 Telescopio SW 80ED su montatura EQ6r Pro Camera Qhy168c con filtri Optolong L_eXtreme e SvBony UV/IR-cut Guida con cercatore 50/180 mm, lente di Barlow 2x e camera Asi 224 Pose: 12x300 s, 63x600 s (L_eXtreme), 74x60 s (UV/IR-cut) Elaborazione: Pixinsight, Photoshop Autore: Massimo Di Fusco, Ferrara.
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LE STELLE HANNO LE PUNTE?

FACCIAMO CHIAREZZA SULLE CONVINZIONI ASTRONOMICHE ERRATE CHE POPOLANO L’IMMAGINARIO COMUNE

Spesso chi si occupa di astronomia viene visto come un esperto di astrologia o un misterioso depositario dei segreti dell’Universo. E magari si sente rivolgere domande del tipo: “Esistono gli alieni? Siamo mai stati sulla Luna? Cosa sai di Nibiru? Sai fare gli oroscopi?”.

Nell’imbarazzo, in genere si reagisce con un sorriso di circostanza, ma qualche volta si può cercare di rispondere seriamente. Iniziamo allora un viaggio attraverso i luoghi comuni dell’astronomia, per cercare di dare qualche spiegazione. E iniziamo dalle punte delle stelle.

PERCHÉ VEDIAMO

LE STELLE CON LE PUNTE

Le punte che ci appaiono mentre guardiamo una stella al telescopio

sono un effetto dei nostri strumenti di osservazione. Ma anche il disco delle stelle che osserviamo o fotografiamo non è l’immagine della stella, bensì un prodotto dello strumento e prima ancora dell’atmosfera terrestre.

Le stelle sono sfere di gas che diffondono radiazione in tutte le direzioni. Ma sono così lontane che con qualsiasi strumento le osserviamo dovrebbero risultare perfettamente puntiformi.

I fotoni che emettono, a meno che non trovino nulla lungo la strada, una volta raggiunto il nostro pianeta, incontrano un filtro molto spesso. Come un vetro; anzi, come una serie di vetri, che sono i vari strati dell’atmosfera. Ogni strato ha parti più fredde e parti più calde e si muove rispetto agli altri strati.

Un ambiente quindi molto strutturato, complesso e rapidamente variabile, in cui i fotoni sono strattonati in tutte le direzioni. Così, il loro viaggio non è più rettilineo e non li porta a incidere sull’oculare o sul rivelatore tutti nello stesso punto: a seconda di quanta turbolenza c’è in atmosfera, i fotoni si spalmeranno su un disco più o meno esteso. A volte, osservando una stella al telescopio, sembra che stia danzando. Proprio l’informazione che deriva da questo fenomeno indica quanto è buona la qualità del cielo che si sta osservando. Peggiore sarà la qualità, più la stella si muoverà, come quando si osservano i fari di un’automobile lontana attraverso l’aria caldissima che sovrasta l’asfalto di una strada d’estate. La scala più utilizzata per

86 LUOGHI COMUNI DI MARCO SERGIO ERCULIANI

misurare queste turbolenze è quella stabilita dai fratelli Pickering, utilizzando un rifrattore da 13 cm di diametro. L’apertura dello strumento è importante, perché anche in assenza di turbolenze, l’immagine della stella non sarebbe puntiforme, ma costituita da un dischetto, detto figura di diffrazione. Il diametro di questo dischetto dipende dall’apertura dello strumento: maggiore è il suo diametro e più piccole saranno le figure di diffrazione. E quindi soffrirà di più gli effetti della turbolenza. Una cosa diversa sono i picchi di diffrazione, cioè le linee che si irradiano dalle sorgenti luminose, causando il cosiddetto effetto starburst nelle fotografie e, talvolta, anche nella visione diretta. Questi sono artefatti causati dalla diffrazione

della luce attorno ai supporti dello specchio secondario nei telescopi a riflessione, o dovute ai bordi delle aperture non circolari delle fotocamere e perfino intorno alle ciglia e alle palpebre dell’occhio.

Il fenomeno viene chiamato anche spider diffraction e dipende dalla struttura dello strumento con cui si sta osservando.

Gli astronomi sfruttano questo effetto a loro favore, grazie alla scoperta dell’astrofilo russo Pavel Bahtinov, che si era accorto della dipendenza di queste punte da quanto l’immagine fosse a fuoco.

Ha creato quindi la maschera traforata che porta il suo nome, da posizionare davanti all’obiettivo del telescopio per ottenere una messa a fuoco quasi perfetta delle immagini astronomiche.

» A sinistra dall’alto: effetti della spider diffraction nelle immagini stellari riprese dal telescopio spaziale Hubble (Nasa/Esa/H. Richer).

La scala di Pickering delle turbolenze atmosferiche, da 1 (pessima) a 10 (perfetta). Anche nelle condizioni migliori, l’immagine stellare è data comunque da un dischetto Gli effetti generati sulle immagini stellari dai differenti specchi e differenti sistemi di sostegno dello specchio secondario dei telescopi spaziali Hubble e Webb Sopra: una maschera di Bahtinov.

Sfatiamo i luoghi comuni sull’astronomia. Convinzioni errate, leggende, teorie pseudo-scientifiche, confusioni tra astrologia, fantascienza e astronomia, post verità, che si diffondono nella vita quotidiana in tutti gli ambienti e sono molto difficili da contrastare ed estirpare. Chi sostiene le parti della scienza viene talvolta visto perfino con sospetto, e allora la partita è persa. Ma su alcune questioni sensate è possibile dare una risposta e fare chiarezza, almeno per chi ha voglia di capire e non si limita al pregiudizio.

LUOGHI COMUNI
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LUOGHI COMUNI

AL PLANETARIO CON

DANTE

LA DIVINA COMMEDIA OFFRE UN SUPPORTO IMPORTANTE ALLO STUDIO DELLA ASTRONOMIA SFERICA

Una delle questioni più ricorrenti nell’astronomia sferica che viene trattata nei Planetari riguarda che cosa sia l’equatore celeste, cioè quel cerchio prodotto dall’intersezione del piano dell’equatore terrestre con la sfera celeste. Così è definito fin dall’antichità e tale è per Dante. Vediamo come il Poeta descrive i diversi punti di vista dai due emisferi sud e nord (Purgatorio, IV, 79-84): ‘l mezzo cerchio del moto superno, che si chiama Equatore in alcun’arte, e che sempre riman tra ‘l sole e ‘l verno, per la ragion che di’, quinci si parte verso settentrïon, quanto li Ebrei vedevan lui verso la calda parte. L’equatore celeste, proiezione in cielo dell’equatore terrestre, si colloca sempre tra le due posizioni estreme del Sole, estiva (l’ sole), e invernale (‘l verno). Poiché siamo al Purgatorio, agli antipodi di Gerusalemme (per la ragion che di’), lo vediamo voltati a settentrione, a nord, mentre da Gerusalemme osserviamo l’equatore celeste guardando verso sud (quanto

li Ebrei / vedevan lui verso la calda parte).

Un’altra questione fondamentale riguarda l’eclittica, cioè il cerchio generato dall’intersezione del piano dell’orbita terrestre con la sfera celeste. Questa è la definizione moderna, basata sul sistema eliocentrico. Nell’antichità era il cerchio generato dal moto del Sole nel cielo, lungo la fascia dello Zodiaco. Proviamo a spiegare questo concetto con le parole di Dante (Paradiso, X, 13-18):

Vedi come da indi si dirama l’oblico cerchio che i pianeti porta, per sodisfare al mondo che li chiama, che se la lor strada non fosse torta molta virtù del ciel sarebbe invano e quasi ogne potenza quaggiù morta Parafrasando, potremmo attualizzare questi versi in “Vedi, o lettore, il cerchio obliquo che porta i pianeti (l’eclittica), in modo tale da soddisfare il mondo che li chiama, perché se il percorso dei pianeti e del Sole non fosse obliquo, non avremmo l’alternarsi delle stagioni

e quaggiù sarebbe un disastro per la natura e l’ambiente naturale” (quasi ogne potenza quaggiù morta).

UNA FORTE FINALITÀ DIDATTICA

Il Poeta propone anche una vera e propria lezione di astronomia sferica, spiegando come due punti del pianeta Terra che si trovano agli antipodi uno rispetto all’altro, condividono lo stesso orizzonte astronomico (Purgatorio, IV, 67-75):

Come ciò sia, se ‘l vuoi poter pensare, dentro raccolto, imagina Sïòn con questo monte in su la terra stare sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn e diversi emisperi; onde la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn, vedrai come a costui convien che vada da l’un, quando a colui da l’altro fianco, se lo ‘ntelletto tuo ben chiaro bada.

Dice Virgilio: se vuoi capire come ciò accada, concentrandoti bene (dentro raccolto), immagina che Gerusalemme (Sïòn) e il Purgatorio (questo monte), stanno sulla Terra in una posizione

88 PLANETARI DI GIAN NICOLA CABIZZA*

» Il monte del Purgatorio alle spalle di Dante nel celebre affresco di Domenico di Michelino.

» Sopra: l’equatore celeste visto da Gerusalemme, guardando verso sud. Sotto: l’equatore celeste dal Purgatorio, agli antipodi di Gerusalemme, guardando verso nord (simulazioni eseguite con un software di planetario).

tale (sono reciprocamente agli antipodi) che condividono lo stesso orizzonte (un solo orizzòn) e diversi emisferi, per cui l’eclittica (la strada che mal non seppe carreggiar Fetòn) per due osservatori rivolti a est, uno qui la vede a sinistra, mentre l’altro, Gerusalemme, a destra. Un concetto che viene ben focalizzato da Virgilio in questi altri versi (siamo sempre all’emisfero sud, Purgatorio, IV, 119-120)):

«Hai ben veduto come ‘l sole da l’omero sinistro il carro mena?». Cioè: hai osservato come il Sole (mentre siamo rivolti verso est) si muova alla nostra sinistra? Come si può notare da questi brevi estratti, c’è nei versi danteschi una forte finalità didattica, supportata da una grande competenza e capacità di sintesi. Che si possono efficacemente associare alla potenza rappresentativa dei fenomeni celesti di un planetario, lo strumento che per sua natura permette di visualizzare da diversi punti di vista i moti degli astri, Terra compresa.

Questa applicazione aiuta notevolmente a dipanare il velo di astrattezza che gli studenti avvertono sull’astronomia sferica. Permette di unire in un’unica lezione interdisciplinare letteratura e scienze naturali. E rende ancora più ragione della maestria del sommo Poeta.

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PLANETARI
*GIAN NICOLA CABIZZA IMPEGNATO NELLA DIDATTICA DELLA FISICA E DELL’ASTRONOMIA, HA REALIZZATO IL PLANETARIO DI SILIGO (SS), FA PARTE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO DI PLANIT ED È RESPONSABILE DELLA SEZIONE AIF DI SASSARI.

A CACCIA DI STELLE E PIANETI

Il Gruppo astrofili dopolavoro ferroviario di Rimini (Gadlf), delegazione territoriale dell’Unione Astrofili Italiani, apre al pubblico le porte dell’Osservatorio astronomico “Monte San Lorenzo” a Monte Grimano Terme (PU) per offrire - anche nel mese di novembre - tantissime occasioni per scoprire e osservare le meraviglie del cielo. Durante gli eventi divulgativi, in programma tutti i venerdì sera, adulti e bambini potranno esplorare il cosmo sotto la guida di esperti e ammirare all’oculare dei telescopi tanti oggetti celesti che si mostrano in tutto il loro splendore. La fascinosa Luna, il Pianeta rosso, il gigante gassoso Giove e lo sciame meteorico delle Leonidi saranno i principali protagonisti degli appuntamenti scientifici di novembre. È prevista anche un’apertura straordinaria martedì 1° novembre, dedicata alla Luna al Primo quarto. All’attività di divulgazione

astronomica – principale missione del Gadlf – si aggiungono altri progetti nell’ambito della formazione scientifica, della didattica e della ricerca amatoriale, portati avanti dai soci del gruppo con professionalità e passione. Andiamo alla scoperta di questa importante realtà scientifica, al servizio della collettività, con il Responsabile del Gadlf Liviano Betti

QUANDO SI COSTITUISCE IL GRUPPO ASTROFILI DOPOLAVORO FERROVIARIO?

Il Gruppo è stato fondato nel 1984 da alcuni ferrovieri appassionati di astronomia nell’ambito dell’Associazione dopolavoro ferroviario (Dlf) di Rimini.

I soci del Gruppo promuovono,

con impegno volontario e senza scopo di lucro, attività a carattere divulgativo per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza astronomica, in particolare attraverso la contemplazione e la descrizione del cielo notturno e l’osservazione al telescopio. La nostra sede operativa è l’Osservatorio astronomico “Monte San Lorenzo” di proprietà dell’Associazione Dlf. Fin dall’inaugurazione dell’Osservatorio, avvenuta nel 2000, l’Associazione ha affidato la gestione della struttura al nostro gruppo che porta avanti tutte le attività in regime di indipendenza economica. L’Osservatorio è situato a 540 metri sul livello del mare, in territorio marchigiano, nel Comune di Monte Grimano Terme (PU), affacciato su valli con moderato inquinamento luminoso e pertanto in una zona adatta all’osservazione del cielo notturno.

Sotto la cupola di 5 metri autocostruita è alloggiato il

90 UAI INFORMA A CURA DI AZZURRA GIORDANI*
*AZZURRA GIORDANI GIORNALISTA, È MEMBRO DELLO STAFF DI COMUNICAZIONE DELL’UNIONE ASTROFILI ITALIANI.
ALLA SCOPERTA DEL GRUPPO ASTROFILI DLF DI RIMINI CON IL RESPONSABILE LIVIANO BETTI

» Da sinistra in senso orario: l’osservatorio astronomico

“Monte San Lorenzo” a Monte Grimano Terme (PU).

Il telescopio principale dell’osservatorio, un Ritchey-Chrétien.

L’ambiente in cui è immerso l’osservatorio del Gruppo astrofili dopolavoro ferroviario di Rimini.

telescopio principale RitcheyChrétien da 530 mm f/9, affiancato da un rifrattore apocromatico Zen da 150 mm f/10 con dotazione completa di oculari e filtri. La struttura dispone inoltre di strumenti osservativi portatili utilizzabili all’occorrenza e di una sala multimediale in grado di accogliere oltre 30 persone. All’esterno vi sono piazzole dotate di alimentazione elettrica per dare ai soci la possibilità di posizionare i propri strumenti.

QUAL È IL VOSTRO

PROGRAMMA DI ATTIVITÀ PER IL PUBBLICO?

Apriamo l’osservatorio al pubblico tutti i venerdì sera e intratteniamo i visitatori con argomenti vari delle scienze astronomiche. Spesso parliamo dei fenomeni celesti del periodo, suscitando interesse per ciò che ci circonda. Non mancano le osservazioni al telescopio che destano sempre meraviglia. Particolare

interesse suscita anche la descrizione degli effetti degli impatti meteorici in occasione della visita all’importante collezione di meteoriti ospitata nell’osservatorio e appartenente al nostro socio Thomas Bianchi.

Corsi base di astronomia, anche pratici sull’uso degli strumenti per l’osservazione del cielo, sono organizzati periodicamente, ogni qual volta il pubblico ne fa richiesta.

Dal 2017 vengono inoltre proposti corsi di avviamento all’astrofotografia.

In particolare, si effettuano focus sulle principali tecniche di acquisizione delle immagini, sul funzionamento dei dispositivi di ripresa e sui software di elaborazione, abbinati a sessioni pratiche presso l’osservatorio.

Tutte le nostre iniziative di divulgazione e formazione scientifica sono regolarmente pubblicate sulle pagine Facebook “Osservatorio Astronomico Monte San Lorenzo” e

“Gruppo Astrofili DLF Rimini”.

Ci rivolgiamo anche alle scuole di ogni ordine e grado, a cui offriamo una ricca offerta didattica, che riscuote sempre grande successo.

Siamo disponibili a organizzare da ottobre a giugno laboratori didattici, sessioni osservative e divulgative presso l’osservatorio, concordando i temi con i docenti.

QUALI ATTIVITÀ DI RICERCA ASTRONOMICA PORTATE AVANTI?

Siamo attivi nello studio degli sciami meteorici, con due stazioni per la rilevazione ottica delle meteore (sistema Metrec) e una stazione radiometeore (meteorscatter) con antenna puntata sul radar francese Graves. Collaboriamo inoltre con la Sezione di Ricerca “Luna” dell’Unione Astrofili Italiani, programma “Librazioni”, di cui il nostro socio Thomas Bianchi è un coordinatore.

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UAI INFORMA

SOTTO

CIELO DI NOVEMBRE

eventi,

stroppa@bfcmedia.com

NUS (AO)

AL PLANETARIO

I SABATI, ORE 16:00 E 18:00

Planetario di Lignan offre al pubblico spettacoli multimediali dedicati alla scoperta del cielo del periodo e all’esplorazione di affascinanti e attuali temi astronomici. bit.ly/3R5BhrD

VARESE

LA FANTASIA:

SCIENZA DI INTERSTELLAR

NOVEMBRE, ORE 21:00

alla Sala Montanari del Comune a cura di Paolo Galli e Luca Ghirotto, divulgatori scientifici della Società Astronomica Schiaparelli. bit.ly/3ByDcPS

(TN)

CIELO IN UNA STANZA TUTTE LE DOMENICHE, ORE 15:00 Spettacolo nel planetario del museo di scienze e archeologia, a cura degli esperti della Fondazione Museo Civico di Rovereto, per immergersi nell’affascinante mondo dell’astronomia. bit.ly/3C2dLHW

CASTELLO TESINO (TN) VISITA ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO 5 NOVEMBRE, ORE 21:00 Gli esperti dell’Osservatorio del Celado offrono una conferenza divulgativa su un tema astronomico, l’osservazione del cielo al telescopio e la visita guidata alla struttura. bit.ly/3Uoc5j3

VERONA

L’UNIVERSO UDIBILE: L’UTILIZZO DEL SUONO IN ASTRONOMIA 18 NOVEMBRE, ORE 21:00 Conferenza presso la sede del Circolo astrofili veronesi (via Brunelleschi 12) a cura di Anita Zanella, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica. bit.ly/3K8fOwk

EVENTI
IL
Segnalate
mostre, star party a
92 EVENTI A CURA DI AZZURRA GIORDANI ATTENZIONE: SI CONSIGLIA DI VERIFICARE LA CONFERMA DEGLI EVENTI SUI SITI INDICATI
SPETTACOLI
TUTTI
Il
OLTRE
LA
26
Conferenza
ROVERETO
IL

SOVICILLE (SI) VISITE GUIDATE ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO 11 E 25 NOVEMBRE, ORE 21:30

L’Osservatorio astronomico di Montarrenti, gestito dall’Unione astrofili senesi, apre le porte al pubblico per offrire ai visitatori osservazioni guidate del cielo con i telescopi. bit.ly/3BsCgMM

ROMA

FESTIVAL DELLE SCIENZE

DAL 21 AL 27 NOVEMBRE

All’Auditorium Parco della Musica, dedicato a ogni forma di esplorazione, nello spazio, nella società, nella mente, nella vita, nel futuro. bit.ly/2XQ8lhn

NAPOLI

MOSTRE E SPETTACOLI NEL PLANETARIO DA MARTEDÌ A DOMENICA

Città della Scienza propone ai visitatori spettacoli e filmati di astronomia nel planetario con diametro di 20 metri, la visita alle sale espositive e attività laboratoriali per imparare facendo. bit.ly/3CmkUmY

ROCCA DI PAPA (RM)

STELLE AL PLANETARIO: IL CIELO DEL MESE 4 NOVEMBRE, ORE 20:45

Spettacolo multimediale nel planetario del Parco astronomico “Livio Gratton”, visita guidata del parco e osservazione del cielo a occhio nudo e ai telescopi, a cura dell’Associazione tuscolana di astronomia. bit.ly/3qXPkVB

BARI

SPETTACOLI

AL PLANETARIO DI BARI OGNI SETTIMANA

Il planetario di Bari, con cupola di 15 metri di diametro e tecnologia tra le più sofisticate d’Europa, offre spettacoli ricchi di suggestioni ed effetti speciali per viaggiare alla scoperta del cosmo. bit.ly/3pv1AvZ

EVENTI 93

LO SPAZIO NELLE NOSTRE MANI CON

SOLAR WALK 2

LA POTENZA DEI NOSTRI DISPOSITIVI MOBILI CI PERMETTE DI VIAGGIARE FINO AI CONFINI DEL SISTEMA SOLARE

Le applicazioni a tema spaziale su dispositivi mobili si dividono in simulative e educative. Se le prime possono essere più o meno sofisticate, anche in base al budget e alla qualità della programmazione, le seconde sono in genere orientate a un pubblico più “appassionato” e quindi sicuro di ciò che vuole, definendo

quindi questo mercato parecchio competitivo.

UN’ENCICLOPEDIA

DEL SISTEMA SOLARE

Solar Walk 2 è probabilmente una delle migliori applicazioni educative mai create. Si propone come un’enciclopedia del Sistema solare, promessa che mantiene,

dato che per ogni corpo celeste del nostro sistema planetario (e non solo) espone in maniera chiara ed efficace una serie di informazioni molto utili e interessanti, iniziando da una descrizione del pianeta, come la sua distanza dalla Terra, la sua massa, densità, gravità, età e composizione atmosferica. A questo si aggiunge l’elenco di tutte le missioni spaziali che lo hanno riguardato, mostrandone in maniera chiara e particolareggiata i dettagli per ciascuna. Inoltre, l’applicazione fornisce per ogni pianeta dei validissimi modelli tridimensionali che possono essere osservati e indagati semplicemente ruotandoli con le dita sullo schermo del proprio dispositivo. Modelli che possono anche diventare interessanti strumenti di studio e didattici, perché l’App permette di aprirli esponendo le sezioni interne dei pianeti e mostrandoci quindi la loro struttura e la composizione interna. Il punto forte di questa applicazione è la vastità di ambiti in cui può essere sfruttata; infatti, la semplicità e chiarezza dell’interfaccia la rende un validissimo strumento, sia per un giovane che per curiosità vuole vedere quanto vicino si era avvicinata

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DI ROBERT GALASSI*
» Una infografica di Solar Walk 2 su Giove; nella pagina a fianco, la rappresentazione del pianeta in un modello 3D.

la sonda Voyager 2 a Giove, sia per un docente che intende mostrare la composizione interna della Terra durante una lezione di Scienze, riuscendo quindi a rendere la lezione più interessante e coinvolgente e attirando maggiormente l’attenzione degli studenti. L’applicazione è disponibile all’acquisto su diversi piani, partendo da una base completamente gratuita con le funzioni più semplici e sviluppandosi su piani successivi che offrono differenti contenuti, come approfondimenti dedicati alle eclissi o ai cicli terrestri, oppure a missioni spaziali particolarmente complesse

(come la Apollo 11 o la CassiniHuygens). Questa modalità di servizio permette di rendere l’applicazione particolarmente vantaggiosa per chi conosce in anticipo gli ambiti che andrà a coprire quando la utilizzerà.

UNA CURA MANIACALE

Una delle caratteristiche che rendono così speciale Solar Walk 2 è la cura maniacale che gli sviluppatori hanno dedicato a ogni modello tridimensionale dei pianeti, aggiungendo le formazioni superficiali o atmosferiche che caratterizzano i diversi corpi celesti. Hanno anche creato modelli

COME OTTENERE SOLAR WALK 2

L’applicazione Solar Walk 2 è sviluppata da Vito Technology Inc. È disponibile sia per dispositivi Android che iOS sui rispettivi store digitali, gratuitamente con annunci o senza al prezzo di 2,99 €. Ogni contenuto aggiuntivo viene venduto singolarmente a un prezzo aggiuntivo di 0,99 € o incluso in un pacchetto per l’acquisto di tutti i contenuti disponibili al prezzo di 8,99 €. Inquadra il QR per un trailer di Solar Walk 2 elaborato dagli sviluppatori.

tridimensionali di altissima qualità di tutte le sonde spedite nello spazio, allegando a ogni modello informazioni chiave come la massa, l’anno di costruzione e di lancio, gli obiettivi scientifici, e mostrando in maniera chiara e precisa la sua traiettoria orbitale. Grazie a una linea del tempo, si può osservare e seguire nello spazio il modello della sonda dal lancio fino alla posizione attuale e vederne anche la futura traiettoria di missione. Altro punto forte dell’applicazione è il suo calendario interno, utile non solo per poter essere avvisati per esempio dell’arrivo di un’eclisse e potersi quindi preparare, nel caso si sia interessati a osservarla; ma attraverso la ricostruzione tridimensionale dell’intero Sistema solare, l’applicazione permette di visualizzare con precisione la posizione dei corpi celesti in un dato momento e magari osservare quali aree del pianeta verranno oscurate da un’eclisse e per quanto tempo. Solar Walk 2 viene rinnovata con regolarità, per correggere i rari errori di programmazione e per aggiornare le informazioni offerte dall’applicazione, aggiungendo con costanza missioni, sonde o corpi celesti. In definitiva, la semplicità d’utilizzo, la qualità dei contenuti offerti e l’impostazione di un acquisto diviso in pacchetti tra loro indipendenti partendo da una base gratuita rende sicuramente questa App molto interessante per una cerchia molto ampia di utenti.

95 RECENSIONI
*ROBERT GALASSI È UN GIOVANE APPASSIONATO ALLO SPAZIO, IN PARTICOLARE ALLE MISSIONI SPAZIALI E ALL’ASTRODINAMICA.

LE DONNE I CIELI LE CULTURE

ANNA CURIR

PERUGIA, BERTONI EDITORE, 2022 PAGINE 121

FORMATO 20,5 X 14,5 CM PREZZO € 15,00

In questo agile volumetto, l’astronoma e psicologa Anna Curir analizza il rapporto e le potenzialità dell’astronomia come terza cultura e il contributo femminile a questa scienza. Nel primo capitolo, spiega come si ebbe la divisione tra le due culture, quella scientifica e quella umanistica; fa poi piacere apprendere, nel secondo capitolo, come l’astronomia sia da considerarsi la più antica fra le terze culture, contemplando da un lato la narrazione mitologica e dall’altro la sperimentazione. Con il terzo capitolo, la Curir ci presenta, a iniziare dall’Iliade, molti riferimenti astronomici contenuti nelle opere letterarie, chiarendo anche il motivo dell’ostacolo della Chiesa alla visione eliocentrica: “

Dio deve inviare il Salvatore dell’uomo sulla terra. Dunque, la Terra deve essere il centro dell’Universo. Che succede se questa Terra diventa una banale piccola componente di un sistema eliocentrico? È questo l’aspetto blasfemo: non è tanto nel fatto che la Terra si muova, ma nell’immaginare che Dio abbia inviato suo figlio su un luogo così secondario.”

Nel quarto capitolo l’autrice irrompe nell’astronomia con le sue conoscenze psicologiche, facendoci conoscere molti atteggiamenti filosofici dei ricercatori, ai quali alle volte si associa erroneamente una certa aridità d’animo.

Negli ultimi quattro capitoli, la Curir ci ricorda come molte figure femminili non siano state appropriatamente valutate, spesso per la fama delle figure maschili con le quali lavoravano. E mette in evidenza come la scarsità di donne nella scienza sia dovuto al pregiudizio che questa sia più adatta al genere maschile: “Degli oltre 520 premi Nobel scientifici assegnati, solamente 23 sono stati attribuiti a donne”.

Fortunatamente, le donne oggi si trovano con più carte vincenti a disposizione e pronte a fare il proprio ingresso finalmente paritario nelle scienze. Per approfondimenti, oltre alle innumerevoli indicazioni disseminate lungo il testo, al termine di questo pregevole lavoro è presente un’ampia bibliografia.

QUANDO LA TERRA MORIRÀ

CARLO DI LEO, ANTONIO LO CAMPO

ROMA, IBN EDITORE, 2022

PAGINE 267 ILLUSTRATE + 20 TAVOLE FUORI TESTO

FORMATO 16 X 23,5 CM - PREZZO 24,00 €

La Terra è la culla dell’uomo, ma l’uomo non è fatto per rimanere per sempre nella culla… L’umanità non rimarrà eternamente sulla Terra”. La famosa citazione del pioniere dell’astronautica russa Konstantin Ciolkovskij, posta in testa a questo lavoro dell’ingegnere Carlo Di Leo e del giornalista scientifico Antonio Lo Campo, indica lo spirito che ha animato i due autori nell’affrontare un argomento vasto e difficile. Non ci si lasci fuorviare dal titolo, provocatoriamente apocalittico, perché il libro tratta problemi molto attuali o relativi a un futuro molto più prossimo di quello che si possa credere. Il sottotitolo chiarisce meglio il progetto dell’opera: I primi passi verso l’esodo interstellare e il futuro dell’umanità nel Cosmo. Preceduto da una Prefazione di Giancarlo Genta, docente emerito del Politecnico di Torino, il libro si sviluppa in cinque lunghi e dettagliatissimi capitoli, dove ogni aspetto dei viaggi spaziali e della colonizzazione di altri mondi viene analizzato in tutte le prospettive reali o futuribili, compresi

i problemi, le difficoltà, le contraddizioni di progetti che possono affascinare o sembrare insensati. Si parte dall’attualità delle stazioni spaziali orbitali e dai progetti di basi permanenti sulla Luna e su Marte, che già presentano gravi problemi di difficile soluzione; si passa poi ai progetti di nuovi sistemi propulsivi per spostarsi più velocemente e più lontano, fino ai pianeti di altre stelle, e ai progetti di “terraformazione” di altri mondi e alle colonie spaziali, entrando in domini che sono ancora fantascientifici. Tutto questo non riguarda solo un futuro lontanissimo. La Terra potrebbe diventare invivibile molto prima che il Sole si trasformi in una gigante rossa: la causa potrebbe essere una pandemia, una crisi climatica, una guerra nucleare. Queste considerazioni ci fanno ricadere nell’attualità e nella necessità di pensare seriamente allo spazio come a una “nuova frontiera”. Se non per tutta l’umanità, almeno per qualcosa che ne possa conservare la memoria.

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