What Now? - Numero 2

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What Now?

Turismo di massa? L’antidoto è proprio dietro l’angolo

La transizione digitale può aiutarci a gestire meglio le nostre acque

Milano, Bologna, Roma, Napoli: 4 esempi di restyling climatico

Imparare a gestire il fuoco. E a convivere con lui

Mare: le coste meno battute per evitare la folla

E altri articoli all’interno NUMERO 2 / giugno-agosto 2023
LE SOLUZIONI OLTRE AL PROBLEMA GLI INCENDI STANNO AUMENTANDO? IL NUOVO VOLTO DELLE CITTÀ L’ACQUA: NUOVE SOLUZIONI AD ALLUVIONI E SICCITÀ SPECIALE VACANZE

Sommario

EDITORIALE

Una questione di impatto di Martina Fragale

ACQUA PULITA E SERVIZI IGIENICOSANITARI

La rete idrica italiana perde acqua. Parole d’ordine: ammodernamento e stoccaggio di Giulia Angelon

La transizione digitale può aiutarci a gestire meglio le nostre acque. Anzi, lo sta già facendo di Giulia Angelon

Così i progetti di raccolta e recupero delle acque stanno cambiando il volto delle città europee di Giulia Angelon

Come sta cambiando la gestione dell’acqua nei Paesi in via di sviluppo? di Giulia Angelon

L’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua dolce disponibile. Nuove tecniche per ridurne l’impatto di Giacomo Capodivento

Cos’è il water grabbing, il furto dell’acqua che deve essere impedito su scala globale di Pasquale De Salve

CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

Le soluzioni ai cambiamenti climatici? Passano anche attraverso le misure di adattamento di Giacomo Capodivento

Torino si tinge di verde e fa da battistrada anche alle altre città di Pasquale De Salve

Milano, Bologna, Roma, Napoli: le nuove frontiere del restyling climatico di Pasquale De Salve

6 esempi di città europee che stanno sperimentando modelli di adattamento al climate change di Giacomo Capodivento

Dalla Cina all’America (passando dall’Australia):

5 esempi di città che guardano verso il futuro di Giacomo Capodivento

VITA SOTT'ACQUA

Metà dell’ossigeno che respiriamo, lo producono gli oceani. L’Unesco ci aiuta a tutelarli di Pasquale De Salve

Trattato Globale sugli Oceani e Piano d’Azione Europeo. Una speranza per l’alto mare di Pasquale De Salve

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Cosa può fare l’innovazione per la pulizia dei mari? di Giacomo Capodivento

La chiave di volta dell’economia del mare? Conciliare sviluppo e sostenibilità di Chiara Bastianelli

Viaggio tra i mari più blu d’Italia. Sono 458 le spiagge premiate di Monia Carriero

SPECIALE VACANZE

I numeri del turismo in Italia: dopo la pandemia, il settore si prepara a ripartire col piede giusto di Chiara Bastianelli

Overtourism, il lato oscuro del turismo contemporaneo che richiede soluzioni urgenti di Pasquale De Salve

Gli italiani scelgono il mare: le coste meno battute per evitare la folla di Giacomo Capodivento

Turismo lento: l’Italia dei cammini e dei borghi di Pasquale De Salve

Non solo Dolomiti. Dalla Calabria al Friuli, le montagne italiane fuori dai radar del turismo di massa di Giacomo Capodivento

SPECIALE INCENDI

Gli incendi in Italia, tra cambiamenti climatici e responsabilità umana di Giovanni D'Auria

Imparare a gestire il fuoco. E a convivere con lui di Giovanni D'Auria

MAGAZINE

Che fare per non lasciare soli gli anziani in vacanza? di Monia Carriero

Le vacanze estive per gli anziani, tra sicurezza e relax di Monia Carriero

Viaggiare con i bambini: ecco alcuni consigli utili di Monia Carriero

Dove lasciare i propri animali quando si va in vacanza di Monia Carriero

Ecco dove (e come) andare in vacanza con i propri animali nel 2023 di Monia Carriero

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Una questione di impatto

Proviamo a immaginare la sala di un teatro. La classica, ampia sala con il pubblico in platea – immerso nella penombra – e un palco, illuminato a giorno dai riflettori, su cui si muovono diversi attori. Questa immagine esemplifica in un rapido scatto quelle che sono le principali caratteristiche del giornalismo tradizionale. Il pubblico assiste, seduto in poltrona, mentre sul palco si muovono gli attori, cioè i giornalisti che danno corpo e voce a ciò che si muove sul ben più vasto palcoscenico del mondo. In una parola: alle notizie.

Ora, proviamo a operare un piccolo cambiamento. Attori e pubblico rimangono esattamente dove sono, l’unica cosa che cambia è

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EDITORIALE

l’orientamento delle luci di scena, che in questo caso si spostano, lasciano il palcoscenico nella penombra e vanno a illuminare, invece, proprio il pubblico presente in sala. Cosa succederebbe in questo caso? Probabilmente una mezza rivoluzione o quantomeno un radicale ribaltamento di prospettiva. È questo il cambiamento che il giornalismo costruttivo cerca di portare avanti ed è di questo che parliamo quando poniamo al centro del nostro lavoro il tentativo di ripensare le notizie dal punto di vista dell’impatto che hanno sui lettori. Ripensare alle notizie (prima ancora che scriverle) dal punto di vista del giornalismo costruttivo, significa chiamare in causa il lettore, accendere i riflettori su di lui e portare alla luce le sue esigenze e i suoi problemi utilizzandoli come materia viva e come chiave di lettura per dare forma alle notizie. Un esempio? Le alluvioni. Penso sia a quanto è successo in Emilia-Romagna sia all’alluvione di settembre nelle Marche. Ora, partendo da questi due episodi, una cosa è accendere i riflettori su ciò che è successo, elencando a menadito una lunga sequela di tragedie. Un’altra è parlare comunque di ciò che è accaduto ma chiedersi anche: cosa è necessario cambiare perché la prossima alluvione abbia un impatto minore? Cosa non è stato fatto e perché? Che strategie possono mettere in pratica i cittadini colpiti per agire nell’immediato e quali azioni possono adottare per spingere “chi di dovere” a trovare e attuare le soluzioni necessarie?

Questo approccio presuppone ovviamente una cosa. Torniamo al nostro teatro con i riflettori accesi sulla platea. In questo quadro i lettori non rimarranno seduti in poltrona a guardare ma verranno

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Cosa succederebbe se, in un grande teatro, le luci – anziché accendersi sugli attori presenti sul palco –andassero a illuminare il pubblico seduto in platea? È questo che fa il giornalismo costruttivo

chiamati in causa, trasformandosi automaticamente da agìti ad attori veri e propri. Fuor di metafora, non sto parlando di puro e semplice giornalismo partecipativo, né del giornalismo civico (che fanno comunque parte del DNA del giornalismo costruttivo) ma di qualcosa di diverso, cioè del dopo. Cosa c’è dopo la notizia? Raramente chi fa giornalismo se lo chiede ed è un peccato perché in realtà, in questo dopo, c’è tutto un mondo. Un mondo che possiamo e dobbiamo cambiare. In questo ribaltamento di prospettiva, le notizie partono dai lettori (dal: cosa serve? Di cosa c’è realmente bisogno?) e con i lettori finiscono, confluendo in un’unica grande domanda: cosa si può fare concretamente? Ovvero, come recita il nome del nostro trimestrale: what now?

Coerentemente con questa visione, in questo secondo numero della nostra rivista abbiamo provato a partire proprio dai lettori, portando alla luce quelle che ci sembrano le tematiche più urgenti di questi densissimi mesi estivi. Lo abbiamo fatto, così come nel primo numero, usando come chiavi di lettura a monte i 17 goal dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: un programma d’azione globale sottoscritto otto anni fa da quasi duecento Paesi membri delle Nazioni Unite. In questo caso, come lenti per mettere a fuoco cosa sta cambiando, abbiamo utilizzato il Goal n.6 (che parla di acqua e disponibilità idrica diffusa), il Goal n.11 (dove si guarda a come le città stanno cambiando per rispondere alla sfida climatica in corso) e il Goal n. 14 (dove si affronta il tema della

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Per ricucire lo strappo tra giornalisti e lettori occorre ripensare alle notizie dal punto di vista dell’impatto

Siccità e alluvioni portano alla ribalta il tema della disponibilità idrica. Abbiamo parlato di questo ma anche di soluzioni agli incendi, di tutela dei mari e di vacanze fuori dai radar del turismo di massa

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salute di mari e oceani e della vita sott’acqua). Abbiamo parlato di siccità e alluvioni: i due estremi fra cui oggi, in piena crisi climatica, si gioca il complesso problema della disponibilità idrica. E abbiamo raccontato le diverse soluzioni che attualmente vengono messe in campo, nel nostro Paese e altrove.

Abbiamo parlato del fuoco, prendendoci il lusso di un intero Speciale dedicato agli incendi apposta per poter spaccare il capello in quattro. Perché in realtà, sugli incendi, c’è molto da dire sia per quanto riguarda le cause (quanto incide il clima? E quanto pesa la responsabilità umana?) sia per quanto concerne il doveroso cambiamento di prospettiva che è necessario adottare per trovare risposte migliori. Risposte, peraltro, che già esistono e che più che trovate, necessitano di essere diffuse.

Abbiamo parlato di mari e oceani, dei grandi passi avanti che abbiamo fatto con il Trattato Globale sugli Oceani e di cosa è necessario fare ancora per conciliare l’economia del mare con la tutela ambientale. Dopodiché abbiamo parlato di vacanze dedicando a questo tema un secondo Speciale. E proprio qui, forse più che altrove, alle prese con il trend topic del momento, abbiamo provato a mettere in pratica gli strumenti del giornalismo d’impatto. Lo abbiamo fatto parlando del rischio che questa prima estate post-pandemica mette sul piatto della bilancia (l’overtourism, ovvero il turismo di massa) e suggerendo ai nostri lettori delle soluzioni concrete e percorribili. Abbiamo parlato di viaggi: delle coste italiane meno battute, degli scenari montani fuori dai radar del turismo di massa, abbiamo parlato di borghi, di cammini e di una sana tendenza che ha preso piede proprio durante la pandemia, il cosiddetto slow tourism. O turismo lento, che dir si voglia. Un trend che, dal punto di vista dell’impatto, può davvero portare nuove linfe a località e borghi spopolati contribuendo, contemporaneamente, a sgravare i luoghi più “presi d’assalto” dal peso ambientale (e non solo) del turismo di massa. Tutto questo, caro lettore – con l’aggiunta della consueta rubrica Magazine – lo troverai nelle prossime pagine. Buona lettura!

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ACQUA PULITA E SERVIZI IGIENICO-SANITARI

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La rete idrica italiana perde acqua

Parole d’ordine:

Ammodernamento e Stoccaggio

Acqua e vita scorrono insieme, ad ogni livello: ambientale, sociale ed economico. In Italia lo spreco di questa risorsa è ancora una questione delicata. Il paragone più frequente accosta la rete idrica del nostro Paese a un colabrodo mentre il tema dello stoccaggio, in concomitanza anche a eventi alluvionali estremi come quelli che lo scorso settembre e nel mese di maggio hanno avuto luogo nelle Marche e in Emilia-Romagna, resta marginale.

Secondo il più recente report ISTAT 2022 sugli anni 2019-2021, in Italia si perde più di un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione, ovvero una media nazionale di circa il 36,2% del volume totale. 41 metri cubi di oro blu per chilometro di acquedotto (nei capoluoghi di provincia o città metropolitane) fuoriescono ogni giorno dalle tubature, con grandi differenze tra regioni e città lungo lo Stivale. Per arginare le perdite, il governo ha stanziato quasi 4 miliardi di euro. La copertura maggiore (2,9 miliardi) deriva dal PNRR mentre il miliardo restante proviene direttamente dallo Stato. L’obiettivo è quello di finanziare il potenziamento, completamento e manutenzione straordinaria delle infrastrutture di diramazione, stoccaggio e fornitura idrica in tutto il Paese.

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Aumentano gli investimenti, migliora la rete idrica. Ma l’acqua persa è ancora tanta Nonostante il dato delle perdite della rete sia in calo rispetto al 2018 e gli investimenti annui per abitante nel settore risultino mediamente in crescita posizionandosi sui 56 euro annui per abitante, (+17% dal 2019 e +70% dal 2012, contro una media EU di 82 euro per abitante - Invitalia 2023), il sistema idrico italiano necessita ancora di interventi strutturali ingenti.

La maggior parte dell’acqua prelevata in Italia deriva dalle fonti sotterranee di acqua dolce. Ogni giorno, nelle reti di distribuzione dei capoluoghi di provincia/città metropolitana ne vengono erogati 236 litri per abitante (ISTAT 2022). “L’efficacia del generale incremento degli investimenti osservato negli ultimi anni – si legge nel comunicato di Utilitalia di marzo 2023 - sembra essere confermata dagli indicatori della qualità del servizio idrico e dalla minor frequenza degli sversamenti/allagamenti in fognatura. Tuttavia, si osservano differenti performance tra Nord e Sud”.

Nonostante l’acqua “persa” non scompaia, in quanto assorbita dal terreno, lo spreco di tempo e denaro è comunque ingente. I costanti problemi di dispersione si manifestano principalmente su due fronti: da un lato quello più consistente riguardante la rete idrica, dall’altro gli impianti di stoccaggio, deputati alla raccolta delle acque piovane in primis.

In Italia si perde più di un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione, ovvero una media nazionale di circa il 36,2% del volume totale.

Un territorio che è un puzzle. L’Italia che “fa acqua” tra maglie nere e casi virtuosi

La rete di acquedotti italiani si estende per circa 430 mila chilometri e la sua costruzione è alquanto datata; come riportato anche dal FAI, il 60% della rete è stato posizionato più di 30 anni fa, mentre il 25% supera i 50 anni. L’obsolescenza unita a un’estrema diversificazione nella gestione della rete idrica sono le principali cause

Macerata (9,8%), Pavia (11,8%) e Como (12,2%) sono le province italiane più virtuose rispetto al dato della dispersione idrica reale.

delle attuali perdite e sprechi.

Il dato medio nazionale della dispersione reale (36,2%) cela in realtà un profondo divario a livello territoriale. In alcune aree, soprattutto al centro-sud e isole, si disperde fino all’80% della risorsa idrica. Tra i capoluoghi, la media di perdite è di 131 litri di acqua al giorno per abitante. Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Molise e Sicilia sono maglia nera, con valori superiori al 50%. Tra le province, invece, i valori peggiori sono quelli di Latina (73,8%), Belluno (70,6%) e Siracusa (67,6%). Le più virtuose quelle di Macerata (9,8%), Pavia (11,8%) e Como (12,2%).

Dal punto di vista della gestione della rete, come sottolineato da Utilitalia “permane un profondo divario in termini di capacità di investimento tra le gestioni industriali e quelle comunali in economia, diffuse soprattutto nel

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Meridione, con investimenti medi annui di circa 8 euro per abitante”. Nonostante la carenza di acqua, un esempio virtuoso di organizzazione regionale per la gestione idrica è quello della Sardegna, dove, grazie alla legge regionale n. 19 del 2006 si è passati da una gestione per singoli Consorzi a una centralizzata, retta dall’Ente Regionale tramite l’Autorità di Bacino. Anche la città di Novara è riuscita a ridurre recentemente il 10% degli sprechi, da un lato con l’unificazione della gestione e dall’altro grazie all’implementazione di nuove tecnologie.

A gennaio 2023 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha assegnato la seconda tranche di investimenti per la riduzione delle perdite, finalizzata al restauro, ammodernamento e digitalizzazione della rete idrica italiana. 2 miliardi vanno all’ammodernamento delle infrastrutture primarie di cui l’85% al potenziamento e adeguamento della rete idrica e il 15% all’adeguamento in funzione antisismica. Per quanto riguarda la riduzione specifica delle perdite, sono stati stanziati 900 milioni in più rispetto ai 293 già stanziati e destinati soprattutto alla digitalizzazione delle reti di acqua potabile.

Uno stoccaggio efficiente per rispondere alle situazioni di carenza idrica

Alle criticità derivanti dalle perdite della rete idrica si aggiunge l’inadeguatezza su scala nazionale di molti sistemi di stoccaggio. Come evidenziato da ISPRA, il 15,4% del territorio italiano è classificato “a pericolosità media ed elevata di alluvioni” classificandosi tra le nazioni europee con maggiore apporto pluviometrico (quinta tra i Paesi Ue27 per apporti meteorici - ISTAT 2022).

“In media – scrivono nel report ISTAT - le precipitazioni annuali registrate in Italia nel periodo 1991-2020 sono state di 943 mm, pari ad un afflusso annuale medio di acqua piovana di circa 285 miliardi di metri cubi. Circa il 53% dell’acqua piovana (498 mm) è però tornato in atmosfera per evaporazione, dal terreno e dai corpi idrici, e per traspirazione attraverso gli apparati fogliari delle piante. La restante parte di acqua (47%) è rimasta sul terreno, una parte infiltrandosi nel sottosuolo (21%) e l’altra scorrendo in superficie (26%), andando pertanto ad alimentare gli acquiferi, i fiumi e i laghi naturali e artificiali del Paese”.

Nell’ultimo decennio osservato, il 2020, si presenta come uno degli anni meno piovosi nei Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana. In un periodo di eventi siccitosi da un lato e alluvionali dall’altro, uno stoccaggio efficiente si rivela estremamente utile per rispondere prontamente a situazioni critiche, come avviene - ad esempio - nella città di Rotterdam che si è dotata di vasche di raccolta delle acque piovane che confluiscono in grandi serbatoi sotterranei in grado di aumentare poi le scorte utilizzabili durante i fenomeni siccitosi.

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Lo stoccaggio necessita ancora di efficientamento. Circa il 53% dell’acqua piovana (498 mm) è tornato in atmosfera (ISTAT 2022).

La transizione digitale può aiutarci a gestire meglio le nostre acque

Passi avanti a suon di innovazioni

I dati sulla dispersione idrica in Italia parlano chiaro, dei circa 10 miliardi di metri cubi all’anno immessi negli acquedotti per gli usi potabili, 4 miliardi sono dispersi durante il trasporto nelle reti. L’innovazione tecnologica può aiutare ad affrontare la situazione, accrescendo la conoscenza delle infrastrutture, migliorandone la gestione, creando efficienza operativa e intervenendo efficacemente su mitigazione e adattamento. Ma su questi aspetti, a che punto siamo? A livello nazionale, la digitalizzazione nel settore idrico è in fase di sviluppo e c’è urgenza di creare ecosistemi sempre più strutturati a supporto della diffusione di tali tecnologie.

Digitalizzare una rete idrica significa mettere in atto un processo

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che permette di sistematizzare le informazioni raccolte per renderle funzionali a una gestione ottimizzata.

“La digitalizzazione permette di convertire dati reali in formato digitale allo scopo di creare archivi organizzati facilmente consultabili” ha dichiarato l’ingegner Cristian Cecchetto, Responsabile Rinnovamento ed Estensione Reti di Alto Trevigiano Servizi SpA, Gestore del Servizio Idrico Integrato nell’ambito Veneto Orientale. “Tutti gli operatori di mercato del settore idrico – continua - devono confrontarsi con la necessità di raccogliere e rendicontare una mole importante di dati. Accade spesso però che questi dati, una volta comunicati, vengano semplicemente archiviati e restino di fatto inutilizzati”.

Quando si parla di digitalizzazione dell’infrastruttura idrica, si fa riferimento principalmente a due tecniche: la distrettualizzazione e la modellazione matematica delle reti. La prima permette di identificare e delimitare delle porzioni di rete da monitorare in tempo reale misurando, ad esempio, portata e pressione delle acque; la seconda, consente di sviluppare una fotografia precisa del sistema acquedottistico e grazie

Entro il 31 dicembre

2024 circa 45.500 chilometri di condotte a uso potabile

saranno attrezzate con strumentazioni e sistemi di controllo innovativi per la localizzazione e la riduzione delle perdite.

a speciali software, di simulare il comportamento di una condotta. “La sfida sta però nell’integrazione di tutte queste attività – continua Cecchetto - al fine di generare scenari previsionali a supporto delle decisioni. Le applicazioni poi possono essere molteplici, in funzione delle problematiche che ci troviamo ad affrontare. Ad esempio, la ricerca delle perdite, la razionalizzazione delle pressioni, la gestione delle emergenze (PFAS e siccità sono esempi recenti)”.

Anche i processi interni e i rapporti con gli utenti sono oggetto di innovazione, volta a favorire da un lato un flusso di lavoro più efficace e dall’altro una comunicazione semplificata, più tempestiva e trasparente dove l’utente partecipa sempre di più alla conservazione e tutela della risorsa acqua (app, messaggistica istantanea, sportelli online e aree utenti web personali, bolletta web). Tutto questo si traduce in efficienza, maggior velocità di reazione ma anche e soprattutto nella previsione e quindi pianificazione e programmazione degli investimenti per priorità, con una razionalizzazione delle risorse utilizzate.

In merito a queste ultime, a gennaio 2023, il ministero dei Trasporti, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ha stanziato 293 milioni di euro per gli investimenti in progetti di riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua e relativi interventi di digitalizzazione e di monitoraggio delle infrastrutture. “Si tratta di una seconda tranche di finanziamenti –dichiara il MiT – in totale sono stati assegnati 900 milioni di euro per 33 interventi volti a ridurre le perdite di acqua potabile nella rete degli acquedotti. Entro il 31 dicembre 2024 circa 45.500 chilometri di condotte a

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uso potabile saranno attrezzate con strumentazioni e sistemi di controllo innovativi per la localizzazione e la riduzione delle perdite”. Dei 33 progetti selezionati, 19 interessano le regioni del Nord e del Centro e 14 quelle del Sud. Zone del Paese che viaggiano anche in questo settore a più velocità; al centro e sud Italia, infatti, la dispersione d’acqua è più alta della media – con valori talvolta superiori al 50% – e si tratta pertanto di aree dove è necessario intervenire con urgenza.

Il primo passo prevede la creazione del modello digitale della rete, delle infrastrutture e degli impianti. “La digitalizzazione è un processo, è quindi più corretto parlare di progetti di transizione digitale nella gestione delle reti idriche” sottolinea Cecchetto, occorre partire dal digital twin, cioè la replica virtuale della topologia delle

reti. Il gemello digitale dell’azienda AlmaViva consentirà ad esempio di salvaguardare fino al 20% delle risorse idriche. Entro fine 2023 l’azienda prevede di digitalizzare oltre 14mila chilometri di rete idrica del Paese.

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Il Network diventa intelligente con la modellazione idraulica avanzata, introducendo concetti di machine learning e strategie di ottimizzazione multiobiettivo per l’analisi di reti complesse.

Il Network diventa intelligente con la modellazione idraulica avanzata, introducendo concetti di machine learning e strategie di ottimizzazione multi-obiettivo per l’analisi di reti complesse. Un esempio è la startup, AIAQUA, spinoff di Unibz, che usa algoritmi deep learning per identificare e prevedere perdite e anomalie e per predire consumi e domanda di acqua al fine di ottimizzare il funzionamento degli impianti.

Il progetto

“Sustainable water management” nei sistemi acquedottistici di Padova e Vicenza prevede di diminuire del 35% le perdite idriche nella rete di tutti i territori di riferimento entro il 2026 e quindi di risparmiare, in 5 anni, 13 milioni di metri cubi di acqua.

“La rotta è tracciata, non possiamo scappare da questo approccio moderno in merito alla gestione delle reti idriche, e più in generale di tutti i sistemi a rete” dichiara Cecchetto. Lo stesso PNRR ha recentemente premiato la rete di gestori dell’Ato Bacchiglione (composta da Viacqua, acquevenete, AcegasApsAmga) e il progetto

“Sustainable water management” nei sistemi acquedottistici di Padova e Vicenza. Si tratta di un progetto strategico attraverso il quale si

prevede di diminuire del 35% le perdite idriche nella rete di tutti i territori di riferimento entro il 2026 e quindi di risparmiare, in 5 anni, 13 milioni di metri cubi di acqua; 33 milioni di euro del PNRR finanzieranno un progetto complessivo di 40 milioni, supportando piani di digitalizzazione, modellazione, gestione della pressione e asset management. “L’utenza deve essere sempre più al centro del modello di sistema – conclude Cecchetto – è necessaria una continua sensibilizzazione da parte degli addetti ai lavori all’uso responsabile dell’acqua, ci siamo accorti che è una risorsa preziosa che non deve essere data per scontata”.

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Così i progetti di raccolta e recupero delle acque stanno cambiando il volto delle città europee

Alluvioni, allerte meteo, precipitazioni intense e improvvise, ma anche scarsità di piogge, perdite delle reti acquedottistiche, consumi sregolati e scarsa consapevolezza del valore della risorsa idrica. Agire per un miglior utilizzo dell’acqua disponibile e al contempo sviluppare strategie efficaci di raccolta e recupero delle acque è sempre più urgente. L’obiettivo è quello di uscire dalle logiche emergenziali e ragionare in ottica di prevenzione e pianificazione al fine di salvaguardare sia gli ambienti naturali che le attività antropiche. Secondo quanto riportato da Legambiente nel report realizzato per la Giornata mondiale dell’acqua 2023, tale accelerazione è ancor più necessaria nell’area del Mediterraneo.

“A livello europeo, come evidenziato dal Joint Research Centre della Commissione Europea, sono circa 52 milioni (l’11% della popolazione EU) le persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all’anno ed entro il 2050 è previsto che la richiesta di acqua raddoppierà o triplicherà”.

La raccolta delle acque piovane ha molteplici vantaggi, tra questi la mitigazione degli effetti di piena della rete urbana di drenaggio, la riduzione dell’impatto ambientale degli inquinanti presenti, l’abbattimento dei costi del trattamento depurativo delle acque che finiscono nella rete di raccolta acque nere e, pensando al riutilizzo ad esempio sotto forma di reti duali, la riduzione del consumo idrico potabile. Anche le acque grigie, una volta trattate, sono potenziali fonti alternative di acqua, adatte a diversi utilizzi, quali l’irrigazione, il lavaggio delle strade, le cassette dei WC, le lavatrici, i rubinetti di acqua non potabile. In Europa, 1 miliardo di m3 di acque reflue urbane trattate viene

riutilizzato annualmente, numero che potrebbe però aumentare di 6 volte rispetto ai livelli attuali. La strada da fare è ancora molta, si pensi che, solo in Italia, “il sistema di riutilizzo delle acque reflue è sfruttato per il 5%: solo 475 milioni di metri cubi di acque reflue depurate sono infatti utilizzati per irrigare i campi agricoli, a fronte dei circa 9 miliardi di metri cubi che ogni anno vengono forniti dai depuratori dislocati sul territorio” (fonte: indagine Utilitalia).

L’utilizzo sostenibile dell’acqua coinvolge sia la sensibilità nell’uso responsabile della risorsa, sia aspetti strutturali di water management all’interno delle città. Queste ultime, sempre più densamente popolate, incrementano anno dopo anno le superfici edificate e le aree pavimentate impermeabili (strade, parcheggi…) a discapito di quelle traspiranti. I fenomeni del ruscellamento e deflusso sono pertanto più frequenti poiché il terreno impermeabile non è più in grado di trattenere l’acqua che scorre via rapida in superficie portando con sé anche molti inquinanti e costringendo fiumi e altri corsi d’acqua a rompere gli argini. Molti Paesi europei stanno affrontando da anni il tema del water management prevalentemente in ambiente urbano, implementando pratiche e politiche virtuose nella gestione, raccolta e recupero delle acque.

Già attorno agli anni ‘80 il Regno Unito ha introdotto i SuDS, “Sistemi di Drenaggio urbano Sostenibile” per ridurre le inondazioni delle acque superficiali e allineare i moderni sistemi di drenaggio con i processi idrici naturali. Tra i SuDS ci sono ad esempio le aree di ritenuta, le vasche di prima pioggia e i bacini di ritenzione dell’acqua piovana.

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“A livello europeo sono circa 52 milioni (l’11% della popolazione EU) le persone che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all’anno ed entro il 2050 è previsto che la richiesta di acqua raddoppierà o triplicherà”.

Le NBS, “Soluzioni Basate sulla Natura”, sono un utile strumento per ripristinare la vegetazione nelle aree urbane. Tra queste, le pavimentazioni permeabili, le pareti e i tetti verdi e i giardini pluviali.

Anche le NBS, “Soluzioni Basate sulla Natura”, sono un utile strumento per ripristinare la vegetazione nelle aree urbane. Tra queste, le pavimentazioni permeabili, le pareti e i tetti verdi e i

giardini pluviali. Come riportato da Legambiente, un progetto virtuoso è quello di Copenaghen con la trasformazione dello storico parco cittadino Enghavepark. “Con un bacino idrico di 22.600 m3, il parco rientra in uno dei 300 progetti che la città prevede di completare per proteggerla da future inondazioni e dall’assenza di precipitazioni. Nel perimetro del parco è stato ricavato un mini-argine in grado di trattenere l’acqua piovana, che serve contro gli eventi di piogge estreme, ma anche nei periodi di siccità. L’acqua piovana raccolta dai tetti del quartiere Carlsberg Byen viene condotta verso il parco e raccolta in un serbatoio sotterraneo di 2.000 mc e, successivamente, utilizzata per l’irrigazione degli alberi di Copenaghen e attività ricreative”.

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Rotterdam, nei Paesi Bassi la “Piazza dell’acqua”

è il risultato di un processo partecipato; lo spazio ospita tre grandi bacini di raccolta dell’acqua piovana che, quando non vengono utilizzati a tale scopo, diventano anfiteatri, campi da basket e da pallavolo o piste da skateboard.

Un altro progetto che sta prendendo piede è quello delle Sponge City (città spugna, modello nato in Cina).

A Manchester, lo “Sponge Park” di West Gorton Community ha le dimensioni di tre campi da calcio ed è stato progettato per catturare l’acqua in eccesso dalle strade vicine e rallentare la velocità con cui defluisce negli scarichi. A livello europeo, ha riscosso interesse anche il progetto CWC – City Water Circles nato nel 2019 e conclusosi nel 2022 finanziato dall’UE nell’ambito del programma Interreg Central Europe, per facilitare l’adozione della circular economy e volto a “promuovere e diffondere la cultura del risparmio idrico, pratiche e politiche di raccolta e utilizzo di acque meteoriche, di recupero delle acque grigie e soluzioni naturali per la gestione della risorsa idrica in cinque città europee (Budapest, Torino, Maribor, Bygdoszcz e Spalato)” (fonte: Interreg Central Eu).

A Rotterdam, nei Paesi Bassi la “Piazza dell’acqua” è il risultato di un processo partecipato; lo spazio ospita tre grandi bacini di raccolta dell’acqua piovana che, quando non vengono utilizzati a tale scopo, diventano anfiteatri, campi da basket e da pallavolo o piste da skateboard. Localizzare in superficie i sistemi di accumulo ha anche lo scopo di renderli espliciti agli occhi dei contribuenti, oltre che aumentare la qualità ambientale e di vivibilità dei quartieri.

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A Manchester, lo “Sponge Park” di West Gorton Community ha le dimensioni di tre campi da calcio ed

è stato progettato per catturare l’acqua in eccesso dalle strade vicine e rallentare la velocità con cui defluisce negli scarichi.

Come sta cambiando la gestione dell’acqua nei Paesi in via di Sviluppo?

Sono molti i Paesi in via di sviluppo (PVS) che negli ultimi anni hanno fatto significativi progressi nella gestione dell’acqua anche grazie all’implementazione di politiche e programmi volti a migliorare l’accesso all’acqua potabile e alle infrastrutture idriche, nonostante, ad oggi, secondo l’ONU una media del 10% della popolazione mondiale viva in Paesi che registrano uno stress idrico elevato o grave.

L’utilizzo dell’acqua è aumentato in tutto il mondo di circa l’1% all’anno nel corso degli ultimi quarant’anni (secondo le previsioni il trend continuerà fino al 2050 soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito) e le sfide legate a questa risorsa sono molteplici. A livello umano sono strettamente interconnesse con la qualità dei servizi igienico-sanitari, della salute, dell’istruzione e della produttività

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economica delle popolazioni. Nel 2020, quasi la metà della popolazione mondiale non disponeva ancora di servizi igienico-sanitari gestiti in modo sicuro. Questi e molti altri temi verranno trattati nel 2023 durante la prima grande conferenza delle Nazioni Unite dedicata all’acqua (l’ultima era stata organizzata nel 1977).

Le iniziative di gestione delle risorse idriche comprendono tra le altre cose la costruzione di dighe, sistemi di irrigazione efficienti, reti di approvvigionamento idrico e progetti di conservazione dell’acqua. Queste misure aiutano a garantire un migliore accesso all’acqua per le comunità rurali e urbane, migliorando la qualità della vita e promuovendo lo sviluppo sostenibile. Molte organizzazioni internazionali e ONG stanno lavorando a stretto contatto con i Paesi in via di sviluppo per fornire assistenza tecnica, finanziamenti e formazione nella gestione della risorsa acqua. Ciò contribuisce ad aumentare la capacità dei Paesi di affrontare sfide come la scarsità d’acqua, l’inquinamento e la mancanza di infrastrutture idriche adeguate. Nonostante i progressi, rimangono molte sfide significative da affrontare. Come sottolineato dalle Nazioni Unite, ancora 2,2 miliardi di persone non hanno accesso a servizi di acqua potabile gestiti in modo sicuro. La popolazione in rapida crescita, l’urbanizzazione e i fenomeni climatici estremi pongono ulteriori pressioni sulle risorse idriche.

L’obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) 6 dell’Agenda 2030 dell’ONU è quello di “Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari per tutti”. Molti Paesi stanno cooperando in ottica di sviluppare interventi in rete e partenariati. Tuttavia, come

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Il

Acceleration

(GAF),

• Istruzione e sviluppo di competenze

• Efficientamento raccolta e condivisione di dati e informazioni

• Innovazione (es. citizen science, IA)

• Ottimizzazione dei finanziamenti

• Governance (collaborazione tra Paesi e settori)

riportato nel Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2023 “Partenariati e cooperazione per l’acqua”, “sono stati rilevati progressi verso il conseguimento dei traguardi relativi all’Obiettivo di sviluppo sostenibile n. 6 solamente in relazione all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, con accenni solo preliminari e approssimativi per quanto riguarda i progressi in materia di stress idrico, efficienza nell’utilizzo dell’acqua, cooperazione transfrontaliera e gestione integrata delle risorse idriche. Questo significa che per cinque degli undici indicatori non sono disponibili informazioni quantitative sui progressi compiuti. A questo ritmo, i progressi verso il conseguimento di tutti i traguardi dell’Obiettivo 6 risultano insufficienti”.

Il Global Acceleration Framework (GAF), iniziativa che mira a velocizzare i processi per il raggiungimento del sesto obiettivo di sviluppo sostenibile (dedicato all’acqua, appunto) ha identificato cinque fattori fondamentali di accelerazione:

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Global
Framework
iniziativa che mira a velocizzare i processi per il raggiungimento del sesto obiettivo di sviluppo sostenibile (dedicato all’acqua, appunto) ha identificato cinque fattori fondamentali di accelerazione.

Tra Africa, Asia e Sud America: 5 progetti pionieristici per migliorare la gestione dell’acqua Vari progetti sono stati sviluppati negli anni in quest’ottica, anche antecedentemente alla costituzione del GAF nel 2020. Tra questi:

- “WaterCredit” di Water.org: un programma che fornisce microfinanziamenti alle famiglie nei Paesi in via di sviluppo per l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici. Questo approccio innovativo combina i principi del microcredito con la gestione dell’acqua, consentendo alle persone di costruire strutture per l’approvvigionamento idrico nelle proprie comunità. Una soluzione a lungo termine che ad oggi ha toccato circa 55 milioni di persone, con 12,1 milioni di prestiti per acqua e servizi igienico-sanitari erogati tramite WaterCredit

Secondo l’ONU una media del 10% della popolazione mondiale viva in Paesi che registrano uno stress idrico elevato o grave.

- Programma panafricano dell’AMCOW (Consiglio dei ministri africani sull’acqua per le acque sotterranee): un progetto che mira a valorizzare le acque sotterranee per la sicurezza idrica e la trasformazione socio economica in Africa. Un’iniziativa che ha visto nascere diverse attività congiunte, tra cui “lo sviluppo di uno strumento di supporto per le acque sotterranee in Namibia, un quadro di finanziamento delle acque sotterranee

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in Uganda e lo sviluppo del Programma panafricano per la qualità dell’acqua in collaborazione con l’International Water Management Institute (IWMI)”

- Progetto VicInAqua: iniziativa che ha integrato il trattamento innovativo delle acque reflue, l’acquacoltura e l’irrigazione nel bacino del Lago Victoria coinvolgendo 11 partner provenienti da 7 Paesi europei e africani. Il progetto è stato finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’UE.

- Gestione smart dell’acqua piovana nel Brasile nordorientale: progetto nato già alla fine degli anni ’70 in seguito a un lungo periodo siccitoso. Una rete di partner ha intrapreso la ricerca e la diffusione delle tecnologie di raccolta dell’acqua piovana. Rete che negli anni si è ampliata moltissimo con

il coinvolgimento di ONG, cooperative, sindacati di agricoltori ecc. e con il lancio della campagna “Nessuna famiglia senza acqua potabile” e il programma “Un milione di cisterne (P1MC)”, in capo alla società civile: un progetto partecipativo che mostra l’importanza dei movimenti dal basso verso l’alto.

- Accesso all’acqua potabile in Iraq: un moderno sistema di filtraggio presso l’impianto di trattamento delle acque di Al-Qa’qa’ completato da UNICEF nel 2021 per consentire l’accesso all’acqua potabile per gli sfollati interni che ritornano nelle loro comunità (beneficiari circa 450.000 persone).

L’impianto serve 300 scuole primarie e secondarie, l’ospedale principale e quattro centri di assistenza sanitaria primaria.

L’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua dolce disponibile

Le nuove tecniche che permettono di ridurne l’impatto

L’acqua è fondamentale per la vita organica, tuttavia solo una piccola percentuale è utilizzabile dagli esseri viventi per il proprio sostentamento. Della totalità delle acque sul pianeta solo il 2,5% è dolce, il resto è salata. Di questo 2,5% solo lo 0,75% è concentrato nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera. Il resto è intrappolato nel ghiaccio. Questo vuol dire che solo 4,5 dei 1.400 milioni di miliardi di metri cubi sono a disposizione di uomini e animali.

A rendere particolarmente delicata la questione idrica sono le modalità di utilizzo di questa preziosa risorsa. I dati del 2019 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente indicano che per le attività economiche europee sono utilizzati circa 243 miliardi di metri cubi di acqua.

Più dettagliatamente, secondo una ricerca dello stesso anno della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, l’agricoltura assorbe il 70%

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dell’acqua mondiale, ma se si considera l’intero settore agroalimentare la percentuale sale al 90%. Per esempio, solo mangiare meno carne vorrebbe dire ridurre l’impronta idrica del 35%.

Quando si parla di impronta idrica ci si riferisce al volume di acqua dolce utilizzata per produrre beni o servizi per soddisfare i bisogni di individui o comunità. Si pensi a tutti quei settori che utilizzano questo elemento prezioso per attività come l’irrigazione, il raffreddamento nelle centrali nucleari e a combustibili fossili, la produzione di energia e il turismo, solo per citarne alcuni. Il monitoraggio di questa grandezza fornisce indicazioni utili per valutare la sostenibilità dei consumi.

Il concetto di impronta idrica nasce nel 2002 grazie al professore universitario Arien Y. Hoekstra. L’idea era appunto quella di non fermarsi al mero calcolo dell’acqua utilizzata ma di considerare anche i processi che vi sono dietro,

L’ultimo censimento

Istat riporta che circa il 30% della superficie agricola in Italia adotta le tecniche di irrigazione a goccia, sistemi che somministrano l’acqua direttamente alle piante con una riduzione del consumo di acqua tra il 15% e l’80%

il contesto in cui avvengono e le persone coinvolte, di modo da poter determinare come le risorse idriche vengono effettivamente utilizzate e quale peso hanno sull’ambiente. L’acqua è fondamentale per la vita

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organica, tuttavia solo una piccola percentuale è utilizzabile dagli esseri viventi per il proprio sostentamento. Della totalità delle acque sul pianeta solo il 2,5% è dolce, il resto è salata. Di questo 2,5% solo lo 0,75% è concentrato nei fiumi, nei laghi, nelle falde acquifere e nell’atmosfera. Il resto è intrappolato nel ghiaccio. Questo vuol dire che solo 4,5 dei 1.400 milioni di miliardi di metri cubi sono a disposizione di uomini e animali.

In Italia, l’impatto idrico è stimato in circa 130 miliardi di metri cubi all’anno. Secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), vengono consumati 26 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, di cui il 55% per usi agricoli.

Un’azienda agricola di origini romane, The Circle, nel 2017 ha avviato un modello agricolo totalmente sostenibile per ridurre la pressione idrica in agricoltura senza generare scarti: l’acquaponica. Il principio alla base è che in natura si può riciclare tutto. Questa tecnica combina la coltivazione fuori suolo e l’acquacoltura. Per esempio, riutilizzando l’acqua contenuta all’interno di vasche in cui vengono allevati pesci d’acqua dolce è possibile produrre materie prime sostenibili, ricercate, fresche e di altissima qualità. Attualmente l’impianto acquaponico di The Circle è

il più grande di Europa.

Questa tecnica era già stata introdotta negli Stati Uniti e nei Caraibi prima del 2010 e si è poi diffusa in Europa dove la produzione commerciale è orientata alla coltivazione di vegetali. Per esempio nel 2018, attraverso BlueGrass, un progetto di ricerca finanziato da Interreg Europe - un programma che sostiene iniziative transfrontaliere per lo sviluppo delle regioni europee - sono stati realizzati due impianti acquaponici a Koper, in Slovenia e a Palse di Procia, in provincia di Pordenone (PN).

Anche l’industria 4.0 può rendere sostenibile la produzione agroalimentare. Nel vertical farming, grazie all’utilizzo delle tecnologie informatiche, è possibile ripensare la produzione grazie a sistemi interconnessi e all’analisi dei dati con cui monitorare e controllare la produzione agricola attraverso la regolazione dell’illuminazione e dell’umidità del terreno, l’ottimizzazione dell’energia e la creazione di ambienti controllati, limitando la contaminazione da inquinanti, funghi e parassiti, e rendendo superfluo l’utilizzo di pesticidi e fitofarmaci e quindi anche il lavaggio prima della commercializzazione.

Esempi ne sono Agricola Moderna, una vertical farm che produce insalate e piante aromatiche con sede a Melzo, in provincia di Milano, Sfera Agricola, una serra basata su tecnologia idroponica con sede a Gavorrano, in provincia di Grosseto e Future Farming District, a Capriolo (PN).

Lì dove manca la disponibilità di strumenti all’avanguardia è necessario ricorrere a buone pratiche come il ridimensionamento dell’uso di pesticidi

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L’agricoltura assorbe il 70% dell’acqua mondiale, ma se si considera l’intero settore agroalimentare la percentuale sale al 90%

Il concetto di impronta idrica nasce nel 2002 grazie al professore universitario Arien Y. Hoekstra. L’idea era quella di non fermarsi al mero calcolo dell’acqua utilizzata ma di considerare anche i processi, il contesto in cui avvengono e le persone coinvolte.

e fertilizzanti che riducono la capacità del terreno di trattenere l’acqua, il monitoraggio dell’umidità del suolo e l’irrigazione attraverso l’acqua piovana. Si può anche irrorare il terreno in base alle condizioni meteorologiche,

riutilizzare più volte la stessa acqua attraverso sistemi di filtraggio, effettuare la manutenzione agli impianti per evitare perdite di acqua o ricorrere a sistemi di coltivazione a circuito chiuso in cui acqua e nutrienti vengono recuperati il più possibile.

Di segnali positivi circa la reale possibilità di ridurre l’impatto idrico in agricoltura ce ne sono e alcuni sviluppi interessanti stanno prendendo piede anche da noi. L’ultimo censimento Istat riporta che circa il 30% della superficie agricola in Italia adotta le tecniche di irrigazione a goccia, sistemi che somministrano l’acqua direttamente alle piante, in modo graduale e controllato, con una riduzione del consumo di acqua tra il 15% e l’80%. In alcune regioni (Liguria, Puglia, Sicilia e Basilicata) la micro irrigazione risulta essere addirittura il metodo prevalente.

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Cos’è il water grabbing

Il furto dell’acqua

Il water grabbing, identificato come furto dell’acqua, è la privazione che una popolazione, con i suoi diritti di utilizzo sulle risorse idriche del territorio in cui vive, subisce da multinazionali, aziende o altri Stati, che negano la possibilità di gestire e scegliere come utilizzare le risorse idriche del territorio. Le conseguenze di questo fenomeno possono essere guerre, inquinamento o depauperamento delle risorse idriche oggetto del grabbing.

Controllo dell’acqua: dallo spreco del lago d’Aral, alle guerre contemporanee

Un esempio esaustivo è quello del Lago d’Aral, l’ex quarto lago più grande del mondo, alla frontiera tra Uzbekistan e

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ACQUA
che deve essere impedito su scala globale
Il controllo delle risorse idriche genera conflitti tra gli stati e anche al loro interno.

Kazakistan, ormai prosciugato per le necessità della produzione di cotone e trattato come “errore della natura”. Probabilmente, il caso più eloquente su grande scala per descrivere il fenomeno del water grabbing. Un caso che rivela chiaramente i danni di questa pratica per l’ambiente, l’economia e la salute di un territorio e le possibilità di sviluppo degli Stati che subiscono il furto o la privazione di questa risorsa.

L’acqua è un bene fondamentale, tanto da essere stata protetta e riconosciuta come diritto umano dalle Nazioni Unite. Più questo bene comune diventa scarso, per l’incremento della popolazione o di altri fattori, più il suo

più coinvolte nel water grabbing. Ma non sono le sole…

controllo porta a conflitti tra Stati e negli Stati: tra il 2010 e il 2018 l’Unesco contava ben 263 guerre per il controllo dell’acqua.

Da allora, come ultimi eventi occorsi,

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Per il carbone e per il gas sono spesso le industrie minerarie quelle

la contesa armata tra Afghanistan e Iran, entrambi colpiti da siccità, per il controllo di alcune risorse idriche di confine e la distruzione della diga Nova Kakhovka sul fiume Dnipro, in pieno conflitto ucraino, con le devastanti ripercussioni che questo avrà nel tempo sulle sue popolazioni, sul territorio e sulla sua economia.

Gli interessi delle industrie e degli Stati sull’acqua vanno a colpire le popolazioni

Secondo l’Onu ben 1,8 miliardi di persone si troveranno a dover fronteggiare la carenza idrica e ben due terzi degli esseri umani saranno sottoposti a stress idrico. L’aumento delle temperature globali e quello della popolazione mondiale saranno elemento scatenante di nuove guerre

in futuro, specie dove si avrà a che fare con la siccità. Ad oggi, sono tre le aree considerate più a rischio: il Medio Oriente, l’Africa sub sahariana e l’Asia meridionale, senza dimenticare, però, che il cambiamento climatico porta conseguenze dagli effetti imprevedibili ovunque.

Il settore dell’estrazione mineraria è uno di quelli che più spesso portano a fenomeni di water grabbing. L’estrazione del carbone, o il fracking per la ricerca del gas, di frequente hanno comportato problemi di accaparramento o di danneggiamento delle risorse idriche. Per il carbone, infatti, è necessario usare una quantità di acqua notevole lasciandola inquinata, per quanto riguarda il fracking, il problema sta nei danni che

possono subire le falde acquifere. L’inquinamento delle risorse idriche dovuto all’attività industriale spesso risulta visibile o ne risultano visibili gli effetti indiretti come l’aumento dell’incidenza di gravi malattie. Per impedire l’inquinamento o il danneggiamento di corsi d’acqua e falde si agisce su autorizzazioni e controlli che rappresentano il momento critico in cui si manifestano episodi di corruzione o di pressione lobbistica sulle scelte dei decisori. Governi e amministrazioni si trovano così tra l’incudine e il martello: tra il permettere cioè le necessità industriali o il garantire le comunità locali e le popolazioni fin troppo spesso costrette a subire inermi la privazione di un diritto umano.

C’è del water grabbing anche nell’inquinamento, nella presunzione che delle industrie abbiano il diritto di sversare le proprie acque reflue in fiumi inquinandoli a tal punto da renderne impossibile l’utilizzo alimentare o agricolo. È il caso del fiume più inquinato del mondo, l’indonesiano Citarum, distrutto dagli sversamenti delle aziende dell’indotto tessile più utilizzato al mondo.

Come difendersi in Europa?

Dove il contesto non è tale da generare conflitti armati e spargimenti di sangue, la via della prevenzione e della tutela sta prioritariamente nel diritto e nella strada della democrazia.

L’Assemblea generale ONU riconosce dal 2010 il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici e lo fa definendolo come una sorta di prerequisito alla base dei diritti umani. Già le Nazioni Unite, quindi, aprono una possibilità di difesa almeno dove lo Stato di Diritto esiste.

L’Europa è uno dei continenti dal maggiore utilizzo pro-capite di

acqua e con più alta impronta idrica virtuale, ossia il consumo di acqua generato dalla produzione dei beni acquistati dall’utenza europea (indipendentemente se siano prodotti in loco o in altre parti del mondo). Un contesto in cui la Direttiva Europea 2020/2184 stabilisce gli standard di salubrità e pulizia relativi alle acque destinate al consumo umano, mettendo in primo piano il diritto all’accesso all’acqua per tutti, oltre a fissare delle garanzie di tutela per le fasce di popolazione più emarginate.

In Italia dove i problemi di water grabbing sono per lo più oscurati su larga scala da quello della “dispersione idrica” e dall’inquinamento dettato da più fattori concomitanti, il diritto di accesso all’acqua è normato con il Decreto Legislativo del 23

febbraio 2023, n. 18 che recepisce la direttiva europea e con i Decreti Legislativi 152/1999 e 152/2006 che tutelano i corpi idrici (cioè le acque superficiali come quelle di laghi e fiumi e sotterranee come le falde) dall’inquinamento e regolamentano reti fognarie e sistemi depurativi.

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Per le Nazioni Unite l’acqua è un diritto umano persino più importante di altri diritti… ma solo nelle democrazie i cittadini possono provare a difendersi più efficacemente dal water grabbing.

CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

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Le soluzioni ai cambiamenti climatici? Passano anche attraverso le misure di adattamento

Nel 2009, per la prima volta nella storia, il numero di persone che vivevano nelle città ha superato quello di coloro che vivevano nelle campagne e ad oggi le città sono al centro delle economie locali e nazionali e sono responsabili dell’80% del Pil globale. Tutto ciò concorre ad accrescere l’impronta ecologica (global footprint) delle aree urbane, che consumano tre quarti delle risorse globali pur occupando appena il 3% dell’intera superficie terrestre.

Per migliorare l’impatto ecologico dei centri urbani, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile ha individuato come undicesimo obiettivo - sono 17 gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) - la necessità di rendere le città e gli insediamenti umani più inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili.

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CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

Stando al report del 2021 dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo sostenibile (ASviS) su Città e Comunità Sostenibili e al Rapporto Istat SDGs 2021, le performance dell’Italia sono carenti sotto molti aspetti e al di sotto della media europea. Le maggiori criticità possono essere riassunte in quattro ambiti: dissesto geologico, idrologico e idraulico, gestione delle zone costiere, biodiversità, insediamenti urbani.

I cambiamenti climatici rappresentano, e rappresenteranno in futuro, una delle sfide più rilevanti da affrontare a livello globale, non solo per il territorio italiano che si trova nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area identificata come particolarmente vulnerabile ai mutamenti climatici. Le strade da percorrere possono essere due: intervenire sul macro problema attraverso risposte globali, o ricorrere alle misure di adattamento, con risposte locali più mirate e praticabili: mitigare ciò che è irreversibile e sperimentare soluzioni adattive per correggere il tiro dell’impatto antropico sull’ambiente.

Misure di adattamento: quali e quante sono?

L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) definisce tre tipologie di interventi di adattamento:

• adattamento anticipatorio o proattivo, realizzato prima che gli impatti dei cambiamenti climatici siano stati osservati

• adattamento autonomo o spontaneo, innescato da cambiamenti ecologici nei sistemi naturali e da cambiamenti di mercato o benessere nei sistemi umani

• adattamento pianificato cioè frutto di una decisione politica, basata sulla consapevolezza della necessità di un intervento

Proprio a questo scopo, nel 2021, per stimolare la capacità di adattamento,

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rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, la Commissione europea ha presentato la nuova Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, sostituendo la precedente del 2013.

Nel gennaio 2023 il ministero

dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha recepito tali indicazioni che sono confluite nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). L’obiettivo principale è fornire un quadro di indirizzo nazionale per l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo possibile i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi socio economici e naturali e trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche.

Adattarsi a un clima che cambia: un grande sforzo collettivo che coinvolge attori diversi

Quando si parla di misure di adattamento ci si riferisce a quegli interventi che anticipano gli effetti negativi dei cambiamenti climatici,

Due strade per arginare i cambiamenti climatici: intervenire sul macro problema attraverso risposte globali, o ricorrere alle misure di adattamento, con risposte locali più mirate e praticabili

attraverso l’adozione di misure per prevenire o ridurre al minimo i danni che ne potrebbero derivare. Si possono distinguere misure soft, come policy, interventi giuridici, sociali, gestionali che migliorano i comportamenti individuali e aumentano la consapevolezza, oppure misure verdi che sfruttano gli ecosistemi naturali per migliorare la capacità adattiva. Infine, ci sono le misure infrastrutturali e tecnologiche mirate a rendere resilienti edifici, reti e territori.

Riassumendo, tra le finalità del PNACC ci sono:

• l’attivazione di infrastrutture per lo scambio di dati e analisi sull’adattamento e la realizzazione di attività volte a promuovere la partecipazione e aumentare la consapevolezza di cittadini

• la valutazione dei costi e dei benefici delle misure di adattamento

• lo sviluppo e l’attuazione di strategie e piani di adattamento ai diversi livelli

• l’integrazione di criteri di adattamento in piani e programmi settoriali per contenere le vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici

• il regolare monitoraggio e una valutazione dei progressi compiuti a livello nazionale, settoriale e territoriale

Il piano d’azione prevede 361 azioni di adattamento, classificate secondo criteri quali l’urgenza, la tipologia, l’orizzonte temporale e istituzione competente e l’implementazione di una governance territoriale unitaria.

L’ASviS, commentando il piano, suggerisce di ottimizzare la governance rafforzando la coerenza delle politiche e rendendo il PNACC immediatamente operativo. Inoltre, è necessario prediligere soluzioni nature based, non operare in logica emergenziale

ma preventiva attraverso il ricorso a stress test territoriali che permettano di aggiornare i piani di emergenza. Bisogna, inoltre, definire i finanziamenti e assicurare una dotazione adeguata di risorse umane e, cosa non meno importante, assicurare la partecipazione della società civile alle politiche di adattamento come previsto dalla legge europea per il clima.

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Misure soft, come policy, interventi giuridici, sociali, gestionali che migliorano i comportamenti individuali e aumentano la consapevolezza, oppure misure verdi che sfruttano gli ecosistemi naturali per migliorare la capacità adattiva. Infine, ci sono le misure infrastrutturali e tecnologiche

Torino si tinge di verde e fa da battistrada alle altre città

Le nuove tecniche che permettono di ridurne l’impatto

di Pasquale De Salve

Torino, la città per molti decenni motore dell’industria italiana, con il suo Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde, vuole proporsi come precursore del cambiamento italiano verso la dimensione della sostenibilità. La città piemontese si è dotata per questo di uno strumento per pianificare la transizione verde, integrandola al Piano Regolatore Generale.

Un Piano strategico per

programmare e indirizzare le politiche in maniera sostenibile

Il Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde torinese sarà lo strumento di analisi, programmazione e di indirizzo di investimenti e politiche di gestione del verde urbano per i prossimi decenni, rappresentando anche un importante passo per garantire a Torino di coniugare sviluppo e sostenibilità ambientale, elementi fondamentali per la società del futuro.

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CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

Lo strumento programmatico per il verde torinese si poggia su un approccio all’analisi del territorio comunale e metropolitano che considera da un lato l’impronta verde (cioè dov’è il verde pubblico, com’è, quanta CO2 assorbe e quanto ossigeno produce) generata dal territorio torinese e dall’altro l’analisi quantitativa ed economica dei servizi ecosistemici (i benefici multipli forniti dagli ecosistemi alla popolazione), che potranno essere generati incrementando l’incidenza della greenprint torinese.

pianificazione per massimizzare i loro benefici.

In maniera innovativa, con una evoluzione degli approcci gestionali, il Piano Verde torinese prevede le strategie per rafforzare la biodiversità urbana, un piano forestale aziendale per la gestione dei boschi collinari e la destinazione d’uso di aree libere di patrimonio pubblico a finalità ambientali e sociali. In programma, anche strategie per la diffusione di infrastruttura verde su tutto il territorio comunale per contrastare le vulnerabilità climatiche e l’introduzione di nuove forme di partenariato pubblico-privato per il potenziamento del sistema del verde.

Il piano verde indirizza il PRG torinese

Le indicazioni programmatiche adottate dalla Città di Torino, che compongono il Piano descrivono le strategie di gestione del verde già proprietà della Città o già previsto a verde secondo la destinazione d’uso nel piano regolatore in vigore, indirizzandone di fatto le politiche per lo sviluppo urbano. Quando si pensa al verde urbano oggi, non si sta definendo solo come migliorare la qualità della vita delle persone, ma si cerca anche di

Le innovazioni introdotte dal Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde Ciò che rende innovativo il piano è l’ottica con cui si pone davanti allo studio della greenprint cittadina e del contesto sociale che deve viverla: contesto che viene analizzato indagando chi è l’utenza del verde ricreativo, concentrandosi sulla valutazione qualitativa del verde ricreativo e dei servizi ecosistemici generati dall’infrastruttura verde oltre allo sviluppo di strategie e strumenti di

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Le strategie per rafforzare la biodiversità urbana, con un piano forestale aziendale per la gestione dei boschi collinari e la destinazione d’uso di aree libere di patrimonio pubblico a finalità ambientali e sociali sono il fulcro del Piano Verde torinese
Torino vuole entrare con convinzione in questa nuova visione e la propria candidatura come European Green Capital prova ad esserne una dimostrazione più tangibile

permettere che la sua conformazione sia adatta a garantire la sfida della sostenibilità globale. Ogni città dovrà infatti porsi l’obiettivo di ridisegnare se stessa per garantire il suo stesso futuro in un mondo che svolta verso la carbon zero economy. Quest’input, fondamentale per la tutela del

pianeta, e quindi anche della nostra esistenza, sarà la leva del cambiamento industriale di domani.

La carbon zero economy sarà un rapporto con la vivibilità delle città totalmente diverso.

Tutti i centri urbani dovranno ridisegnarsi per garantire un nuovo futuro a se stessi e al pianeta

Torino green. Un esempio utile anche per altre amministrazioni Torino sembra stia interpretando questa nuova dimensione di pensiero anche con la propria candidatura come European Green Capital, con il Piano di Resilienza Climatica e con la revisione del proprio piano regolatore. Il capoluogo piemontese ha attivato quello che al momento è uno strumento di previsione particolareggiato all’interno del contesto italiano, seguendo la strada del Piano Strategico nazionale dell’infrastruttura verde del 2017. Accanto a questo, le “Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile” proposte da Anci e Comitato per lo Sviluppo del verde pubblico, sono uno strumento orientativo utile per tutte le amministrazioni che prima o poi, volenti o nolenti, si troveranno a doverne stilare uno per le proprie comunità.

CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

Milano, Bologna, Roma, Napoli: 4 esempi di restyling climatico

Più iniziano a sentirsi gli effetti dell’aumento delle temperature anche in Italia, più si pone la necessità di capire come le nostre città si stiano muovendo per gestire le conseguenze derivanti dal cambiamento del clima. Spesso sono proprio gli agglomerati urbani più grandi a risentirne di più, sia per l’isola di calore generata dalla densità della città, sia per la cementificazione, che ha impermeabilizzato il territorio aumentando i rischi durante i fenomeni climatici estremi.

Un report del Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici CMCC ha evidenziato quelli che sono gli strumenti attuali di cui alcune delle maggiori città italiane si stanno dotando per frenare l’aumento delle temperature nell’ordine dei due gradi e rispondere alle emergenze a cui sono sottoposte.

Tre milioni di nuovi alberi per Milano

Milano ha riscontrato un aumento delle

giornate afose del 45% negli ultimi 50 anni con il 46% delle ondate di calore registrato nell’ultimo decennio. Oggi è sottoposta al rischio di eventi o fenomeni acuti che minacciano gravi perdite di vite umane, danni ai beni e alla funzionalità dei servizi di base. Per la metropoli milanese è stato considerato il rischio di alluvioni fluviali e allagamenti urbani e anche il cronicizzarsi di ondate di calore e caldo estremo.

Dopo una serie di valutazioni sugli interventi prioritari, c’è l’intenzione di attuare una serie di misure di mitigazione e adattamento che sono descritte in diversi provvedimenti: Piano Aria Clima, Piano di Governo del Territorio (PGT), Progetto Climami, Progetto Forestami, Progetto Clever Cities.

L’ensemble dei provvedimenti punta a migliorare la capacità di adattamento della città ai cambiamenti climatici seguendo un indice di “riduzione impatto climatico” propedeutico per

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di Pasquale De Salve

la progettazione di opere di drenaggio meteorico in area urbana, l’inserimento di soluzioni nature based nei processi di pianificazione urbana e la riduzione dell’inquinamento. Milano ha anche l’obiettivo di aumentare la tree canopy cover (cioè la superficie ombreggiata dalle chiome degli alberi) del 5%, le aree verdi cittadine e di piantare 3 milioni di nuovi alberi nella Città Metropolitana entro il 2030.

Il capoluogo emiliano punta sul drenaggio sostenibile

Significativo il rischio anche per Bologna, che già oggi deve fare i conti con una gravissima alluvione frutto proprio dei fenomeni estremi derivanti dal cambiamento climatico globale. Qui le temperature medie sono superiori di 3,5°C rispetto alle aree rurali.

Per il capoluogo emiliano è prevista una rete di drenaggio a protezione

dal rischio idraulico indotto dall’aggravarsi degli eventi estremi, come l’aumento in frequenza e intensità di precipitazioni piovose.

Le risposte di resilienza al climate change sono incardinate all’interno del Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, del Piano di Azione per l’Energia Sostenibile ed il Clima (PAESC) che integrano del Piano Urbanistico Generale PUG.

Questi provvedimenti comprendono l’incremento del verde pubblico e delle alberature, la diffusione di sistemi di drenaggio sostenibile, l’adozione di soluzioni naturali e il contenimento dei consumi idrici domestici e non domestici, oltre a prelievi da falda idropotabile con l’intenzione di migliorare la qualità delle acque superficiali.

Napoli mira ad aumentare la propria

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resilienza

Il capoluogo partenopeo, sviluppatosi con un’altissima densità abitativa a ridosso del mare e con una isola di calore urbano molto pronunciata per le caratteristiche della propria urbanizzazione, soffre di problemi di allagamento esacerbati dall’alto grado di impermeabilizzazione del suolo. Una proiezione fino al 2080 prevede

A Milano i giorni afosi sono praticamente raddoppiati negli ultimi 50 anni ed il 46% di queste ondate di calore è stato registrato nell’ultimo decennio

Non solo l’ombra dei grattacieli, oggi Milano prova a camminare e respirare anche all’ombra degli alberi. Questo è l’obiettivo della tree canopy cover e dei 3 milioni di alberi in più entro il 2030

che, senza l’attuazione di politiche di mitigazione climatica, la città potrebbe essere colpita da ondate di calore lunghe fino a 90 giorni consecutivi con il connesso aumento dei rischi di mortalità.

Per prevenire ciò, Napoli potrà beneficiare dei seguenti provvedimenti approvati nel tentativo di aumentare la resilienza del territorio e della popolazione rispetto ai cambiamenti climatici: dal Progetto Clarity, al Piano d’azione per l’Energia Sostenibile (PAES), al Piano Territoriale di Coordinamento Città Metropolitana, oltre alla Preliminare del Piano Urbanistico Comunale. La filosofia di questi provvedimenti è promuovere un uso efficiente e integrato delle risorse idriche, tutelare i paesaggi urbani, culturali e agricoli e i grandi parchi territoriali per favorire l’integrazione delle misure di adattamento nei provvedimenti di riqualificazione urbana.

Roma si attiva per contrastare le ondate di calore

La temperatura media della Capitale è salita nell’ultimo decennio di 3,6 °C rispetto al periodo 1971-2000, con un aumento della mortalità giornaliera

degli over 50 a causa delle ondate di calore estive del 22% rispetto a periodi estivi precedenti.

Roma, che ha subito 42 eventi estremi tra il 2010 e il 2020, di cui più della metà riguardanti allagamenti a seguito di piogge intense, ha un rischio congenito di inondazioni per piogge dovuto al difficile smaltimento delle acque piovane e di inondazioni fluviali generato dalla esondazione dei fiumi e dei corsi d’acqua presenti in città.

Le amministrazioni che si sono via via susseguite in Campidoglio hanno previsto una serie di piani e di progetti come il Piano di Azione per l’Energia Sostenibile ed il Clima (PAESC), Roma Strategia di Resilienza, Progetto SOIL4LIFE e Progetto RU:RBAN, che hanno l’obiettivo di valutare gli effetti del cambiamento climatico e di promuovere una maggiore consapevolezza tra i cittadini. Prevista anche la realizzazione di infrastrutture di colore verde e blu per la mitigazione delle isole di calore urbano e la realizzazione di progetti pilota per mitigare il rischio allagamento.

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Senza l’attuazione di politiche di mitigazione climatica, Napoli potrebbe essere colpita da ondate di calore lunghe fino a 90 giorni consecutivi. 1/4 di anno nella stessa bolla di calore…

6 esempi di città europee che stanno sperimentando modelli di adattamento al climate change

La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) all’Art. 1 definisce il cambiamento climatico come un “cambiamento del clima attribuito direttamente o indirettamente all’attività umana, che altera la composizione dell’atmosfera globale e che si aggiunge alla variabilità naturale del clima osservata in un periodo di tempo confrontabile”.

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C’è, dunque, una componente antropica che non può essere trascurata e che influisce sull’impatto dei mutamenti climatici. La Commissione europea definisce valutazione degli impatti “l’analisi delle conseguenze positive e negative del cambiamento climatico sugli ecosistemi naturali, sui sistemi umani e sulle attività socioeconomiche, con o senza adattamento a tali cambiamenti”. È dunque sull’interazione tra sistemi naturali e sociali che bisogna intervenire.

Per farlo è necessario ricorrere a misure che, da un lato, possano mitigare gli effetti del mutamento climatico agendo sulle cause scatenanti e che dall’altro mirino a ridurre gli impatti negativi agendo sugli effetti. Sono molte le città europee che si stanno muovendo verso questa direzione, impegnandosi per rendere l’ambiente urbano più resiliente. Molti progetti sperimentali puntano alla riqualificazione degli spazi urbani, per affrontare il fenomeno delle isole di calore, cioè l’aumento di temperatura che si verifica all’interno delle stesse città con l’alterazione del microclima suburbano.

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È necessario ricorrere a misure di adattamento che, da un lato, possano mitigare gli effetti del mutamento climatico agendo sulle cause scatenanti e che, dall’altro, mirino a ridurre gli impatti negativi agendo sugli effetti

La Commissione europea definisce valutazione degli impatti “l’analisi delle conseguenze positive e negative del cambiamento climatico sugli ecosistemi naturali, sui sistemi umani e sulle attività socio-economiche, con o senza adattamento a tali cambiamenti”

Ad esempio, nel 2021 il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha firmato un progetto per il restyling degli ChampsÉlysées. L’intervento su un tratto di 1,9 km comporterà la riduzione per metà dello spazio per i veicoli e la trasformazione di questo in zone pedonali e verdi. Il completamento è previsto per il 2030. Un’altra città francese, Bordeaux, presso la Place de la Bourse, ha creato uno specchio d’acqua per rinfrescare l’aria nelle giornate estive, oltre ad aver installato 900 nebulizzatori per refrigerare il luogo. La pavimentazione è fatta di lastroni in granito blu per aumentare la capacità riflettente dell’acqua. Il verde piantato attorno alla struttura in inverno riveste una funzione schermante.

Copenaghen è stata già progettata nel 1949 in maniera tale da fornire un modello di adattamento attraverso la presenza di 5 assi che collegano il centro città. Queste vie alberate, provviste di un sistema ferroviario, sono state pensate per far fronte al prevedibile aumento delle inondazioni. Per migliorare il modello, si sta agendo attraverso 3 misure: allargare il sistema fognario, utilizzare nuovi sistemi di drenaggio e guidare il flusso di acqua delle possibili inondazioni verso luoghi non sensibili all’allagamento, come parcheggi e parchi.

Il processo di industrializzazione che ha investito Lodz, in Polonia, ha alterato il corso dei fiumi della città. In questo modo, sono aumentati il rischio di alluvioni e le temperature medie. Per arginare gli effetti, sono stati ripristinati i fiumi municipali sfruttando i processi naturali e l’urbanistica è stata ripensata a partire dalla strategia rete blu-verde, un tipo di intervento che collega valli

fluviali e spazi verdi per rendere la città e le risorse idriche più integrate. Sempre in materia di riprogettazione idrica, l’isola di Wallasea in Essex, un mosaico di lagune, isole e baie ricavate da 3,5 milioni di tonnellate di terra scavate durante la costruzione delle stazioni e delle gallerie, è stata creata allo scopo di proteggere le nuove aree dall’aumento del livello dell’acqua.

Copenaghen è stata

Nel 1992 Stoccarda ha realizzato invece il suo primo atlante climatico per far fronte all’incidenza che la nuova costruzione ha sul microclima urbano. Nella versione del 2008 sono state inseriti anche dei criteri che tengono conto della ventilazione e delle ondate di calore. L’obiettivo è quello di facilitare la ventilazione della città. Con 5.000 ettari di foreste e boschi, 65.000 alberi nei parchi e spazi aperti e 35.000 alberi lungo le strade, in città sono stati resi verdi 300.000 metri quadrati di tetti e 40 su 250 chilometri di binari del tram sono stati erbati già a partire dal 2007.

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già progettata nel 1949 in maniera tale da fornire un modello di adattamento attraverso la presenza di 5 assi che collegano il centro città

Dalla Cina all’America (passando dall’Australia):

5 esempi di città che guardano verso il futuro

di Giacomo Capodivento
CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILI

Il 20 marzo 2023 è stata pubblicata la sintesi del Sesto Rapporto di Valutazione dei cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). L’ente, creato nel 1988 dall’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), è composto da rappresentanti dei governi membri delle Nazioni.

Già nel 2018, l’IPCC evidenziava la grande sfida che il mondo aveva davanti per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C. Di fronte alla vulnerabilità di molte regioni, la risposta è sviluppare strategie di resilienza agli impatti dei mutamenti climatici. Reagire a questo stato di cose con strategie opportune vuol dire ridurre i rischi per le comunità a basso reddito ed emarginate, che sono le prime a pagare il prezzo della situazione climatica.

Nel mondo, sono state già messe in atto misure politiche e tecnologiche per aumentare la resilienza climatica in una realtà in cui società, clima ed ecosistemi sono ormai interconnessi. Il

valore aggiunto sta nella condivisione delle buone pratiche che piano piano si diffondono tra i diversi Paesi.

Cina

L’urbanizzazione di X’ian e Xianyang, in Cina, ha portato alla trasformazione dell’area fluviale del fiume Wei: le rive naturali sono state sostituite con sponde di cemento e vegetazione decorativa. Il Weiliu Wetland Park è un progetto di ripristino dell’ecosistema, un parco di 125 ettari ultimato nel 2017, progettato per ripristinare la resilienza alla ritenzione delle inondazioni integrando anche le attività antropiche. Le aree più basse fungono da aree umide naturali allagabili, le aree più alte sono destinate alle attività ricreative. Rivestimenti di materassi in salice, gabbie per trattenere le rocce e le pendici erbose sono state utilizzate per la protezione dalle inondazioni, il ripristino della biodiversità e la protezione dell’habitat.

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Sono in atto misure politiche e tecnologiche per aumentare la resilienza climatica in una realtà in cui società, clima ed ecosistemi sono ormai interconnessi.
Il valore aggiunto sta nella condivisione delle buone pratiche tra i diversi Paesi

L’area di Longhua, l’ex aeroporto civile di Shanghai, chiuso nel 2011, è stata trasformata in un parco fluviale. A ridosso del fiume Xuhui il Xuhui Runway Park sorge sulla vecchia pista di decollo, un’area pensata in funzione di eventi climatici estremi che permette di raccogliere l’acqua piovana in eccesso. Il bacino pluviale al suo interno ricicla l’acqua inquinata delle strade che viene poi riutilizzata per i giochi d’acqua e l’irrigazione.

Stati Uniti

Impervious Surface Removal (rimozione di superfici impermeabili) è invece un programma dell’amministrazione comunale di Washington che prevede l’erogazione di rimborsi ai cittadini che decidono di realizzare nelle loro proprietà interventi tesi a migliorare la quantità e la qualità della superficie permeabile di pertinenza per migliorare il deflusso delle acque.

Australia

Anche l’Australia, da parte sua,

punta buona parte delle sue misure di adattamento sul ruolo dell’acqua. Secondo lo studio Cooling Western Sydney, il modo migliore per abbassare le temperature estreme è l’utilizzo combinato di tecnologie basate sull’acqua e l’uso di materiali freddi per

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In Cina, il Weiliu Wetland Park è un progetto di ripristino dell’ecosistema, un parco di 125 ettari ultimato nel 2017, progettato per ripristinare la resilienza alla ritenzione delle inondazioni integrando anche le attività antropiche

la realizzazione di tetti e marciapiedi. Secondo le stime, i decessi legati al caldo potrebbero essere ridotti a soli cinque decessi ogni 100.000 abitanti. L’installazione o la riparazione di fontane per bere e rinfrescarsi, per esempio, può ridurre la temperatura dell’aria circostante di 3°C e il loro effetto di raffreddamento può essere avvertito fino a 35 metri di distanza.

Colombia

Medellin, in Colombia, ha adottato invece una soluzione semplice ed economica per contrastare le ondate di calore: la diffusione del verde pubblico. La città conta 2,5 milioni di abitanti e il maggior numero degli uffici politici della nazione. Il progetto Green

Corridors riesce a garantire benessere umano e biodiversità. In che modo?

Dal 2016, sono stati creati 30 corridoi verdi urbani, principalmente nelle aree in cui mancava il verde, la temperatura

Secondo lo studio

Cooling Western Sydney, il modo migliore per abbassare le temperature estreme è l’utilizzo combinato di tecnologie basate sull’acqua e l’uso di materiali freddi per la realizzazione di tetti e marciapiedi

media è diminuita di oltre 2°C, con relativo decremento dell’utilizzo di condizionatori. Inoltre, l’iniziativa ha creato nuovi posti di lavoro come giardinieri.

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VITA SOTT’ACQUA

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Metà dell’ossigeno che respiriamo, lo producono gli oceani

Gli oceani ricoprono il 71% della superficie terrestre e sono uno degli ambienti più importanti per l’equilibrio dell’ecosistema mondiale, ma anche uno dei più delicati. Le variazioni che avvengono in questo ecosistema generano cambiamenti sostanziali in tutto il globo, incidendo in maniera notevole sulla sua vivibilità. Per questo serve uno sforzo maggiore per trovare delle risposte adeguate prima che sia troppo tardi.

Secondo il più recente report ISTAT 2022 sL’ importanza degli oceani per noi va ben oltre la semplice balneazione: da essi infatti ricaviamo buona parte dei nostri alimenti e tramite il loro influsso riusciamo a beneficiare di un clima vivibile. Si pensi al fatto che producono il 50% dell’ossigeno che respiriamo e che assorbono quote sostanziali della CO2 prodotta dal nostro inquinamento. Per sapere come tutelarli, garantendo all’ecosistema terrestre e anche al genere umano la sostenibilità del vivere, però, bisogna conoscere il loro stato di salute.

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Sfruttamento degli oceani: ne sappiamo ancora troppo poco Le proporzioni dello sfruttamento antropico degli oceani sono enormi rispetto ai piccoli sforzi dedicati per la loro comprensione. Secondo l’Unesco, rispetto alla significatività globale dell’inquinamento degli oceani la loro osservazione resta limitata alla superficie oceanica e alle aree costiere. Già questo ha evidenziato il sostanziale impatto delle attività umane sull’ambiente marino.

Gli oceani, nella loro complessità, subiscono vari fattori di stress che agiscono in isolatamente o in interazione: acidificazione, deossigenazione, surriscaldamento, stagnazione di strati di acqua con variazioni sulla circolazione delle correnti oceaniche. E ancora pesca intensiva, distruzione degli habitat, inquinamento materiale, liquido e gassoso, rumore sottomarino.

Gli

Tutti questi fattori, in gran parte causati dall’attività umana, stanno plasmando l’attuale evoluzione della biodiversità marina creando, secondo l’UNESCO, una serie di sfide che l’umanità dovrà fronteggiare per preservare gli ambienti marini e

quindi anche gli effetti benefici sul clima globale. Il volume oceanico, infatti, assorbe circa un quarto delle emissioni annuali di CO2 prodotte dall’uomo alleviando non poco l’impatto che queste emissioni hanno sui cambiamenti climatici in atto nel pianeta.

Dall’Unesco dieci sfide per la tutela dell’ecosistema marino

Le dieci sfide che possono permettere all’essere umano di mantenere il proprio clima vivibile e sconfiggere l’inquinamento marino passano attraverso la protezione e il ripristino degli ecosistemi e della biodiversità tramite lo sviluppo di un’economia marina equa e genuinamente sostenibile. Sarà necessario sbloccare delle soluzioni per il contrasto al cambiamento climatico fondate sulla tutela degli oceani come ambiente vitale per l’ecosistema terrestre.

Bisognerà, inoltre aumentare la resilienza delle comunità umane ai pericoli derivanti dal cambiamento degli oceani, come innalzamento del livello dei mari, erosione costiera, tzunami, tempeste e uragani più potenti.

Uno strumento utile sarà quello di espandere il Sistema Globale di Osservazione degli Oceani, alias Global Ocean Observing System (GOOS): un sistema globale adatto alle osservazioni prolungate, per creare una dettagliata rappresentazione digitale degli oceani che permetta di valutarne l’evoluzione nel tempo. Con questo sistema sarà possibile identificare i loro cambiamenti e prevedere gli effetti che generano sui cambiamenti climatici.

Sarà necessario facilitare lo sviluppo sostenibile da parte degli utenti e dei gestori degli oceani producendo delle tecnologie, delle competenze e

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oceani sono importanti anche perché tolgono una quota importante del nostro veleno… assorbono circa un quarto delle emissioni annuali di CO2 prodotte dall’uomo

delle abitudini che possano essere usate da tutti per cambiare la relazione che l’umanità ha con gli oceani, ancora troppo legata alla dimensione materialistica del semplice sfruttamento.

Questi punti individuati dall’UNESCO nel suo Rapporto sullo stato degli oceani 2022 sono frutto di un essenziale necessità riscontrabile nell’invito a fare di più per conoscere meglio e poter dare poi opzioni concrete per la salvaguardia di questo ecosistema così fondamentale anche per la nostra esistenza.

Innalzamento del livello dei mari, erosione costiera, tzunami, tempeste e uragani più potenti in futuro… la resilienza delle comunità umane ai pericoli derivanti dal cambiamento degli oceani dovrà necessariamente aumentare

Trattato Globale sugli Oceani e Piano d’Azione Europeo

Buona parte dei problemi riguardanti la tutela degli oceani deriva dalla situazione di deresponsabilizzazione della comunità internazionale su quanto accade in acque internazionali. Finalmente, però, dopo ben 15 anni di trattative e un allarme generale lanciato dal Segretario Generale ONU Guterrez, si è sbloccato qualcosa anche sul fronte di difesa dell’ecosistema terrestre. Il 3 marzo 2023 i delegati del Intergovernmental Conference on Marine Biodiversity of Areas Beyond National Jurisdiction sono riusciti a raggiungere un accordo per un trattato sulla tutela della biodiversità in acque internazionali.

Il concordato raggiunto prevede l’istituzione di una Conferenza Internazionale permanente in cui porre le questioni della tutela dell’Alto Mare e l’istituzione di riserve naturali marine sovranazionali. Il patto raggiunto pone le basi per la tutela di tutte le aree marine non proprietà di uno Stato ad esclusione di alcune Zone Economiche Esclusive, che si estendono

per 370 chilometri dalle coste.

Europa, Usa e Cina insieme per il Trattato Globale sugli Oceani

Il Trattato Globale sugli Oceani è stato raggiunto con il supporto politico della High Ambition Coalition composta da Europa, Stati Uniti e Cina, con una forte presa di posizione dei Small Island States, i Paesi composti da piccole isole. Come fatto notare da Greenpeace, il gruppo del G77 ha sottolineato la necessità che il trattato sia applicato con celerità e in maniera equa.

Osservazione molto importante anche per il fatto che quelli che l’associazione ambientalista definisce “santuari utili

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Una speranza per l’alto mare
Dopo ben 15 anni di trattative finalmente un accordo per un trattato sulla tutela della biodiversità in acque internazionali

a proteggere gli oceani di cui abbiamo bisogno” potranno essere comunque attraversati dalle flotte militari che sono state considerate oggetto di eccezione del trattato.

Elemento da tenere in conto, inoltre, è anche il fatto che le Nazioni Unite abbiano riconosciuto l’importanza del contributo delle ONG, della società civile, delle istituzioni accademiche e della comunità scientifica per lo studio e per l’opera di sensibilizzazione che hanno permesso la formazione di una coscienza internazionale sulla questione della tutela dell’ecosistema degli oceani grazie al loro “supporto critico”.

Greenpeace: “le future riserve naturali marine dovranno essere santuari utili a proteggere gli oceani di cui abbiamo bisogno!”

Trattato Globale e Piano Europeo orientati all’Agenda 2030

In Europa, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha valutato con favore l’accordo

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sull’alto mare affermando che è “un trattato che proteggerà l’oceano oltre la giurisdizione nazionale” e che “l’oceano è cibo, energia, vita. Ha dato così tanto all’umanità: è ora di restituire”.

Proprio l’Unione Europea, in funzione della preservazione dei mari, aveva peraltro già presentato un Piano d’Azione per ridurre i danni agli ecosistemi marini e per promuovere una pesca sostenibile e resiliente orientando il settore a preferire l’uso di fonti energetiche più pulite per diminuire la dipendenza dai combustibili fossili.

Sia il Trattato Globale sugli Oceani che il Piano d’Azione Europeo sono considerati fondamentali per raggiungere gli obiettivi e i traguardi stabiliti dall’Agenda 2030 per lo

sviluppo sostenibile e quelli del quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal. Questi prevedono l’impegno “30 x 30” ossia di proteggere il 30 per cento delle terre del pianeta e delle acque interne, nonché delle zone marine e costiere, entro il 2030, come deciso nella conferenza delle Nazioni Unite di Montreal.

Per Ursula Von der Leyen “l’oceano è cibo, energia, vita. Ha dato così tanto all’umanità: è ora di restituire”

Cosa può fare l’innovazione per la pulizia dei mari?

Le nuove tecniche che permettono di ridurne l’impatto

L’innovazione tecnologica può essere un grande alleato per la salvaguardia degli ambienti marini. Droni, robot, navi mangia plastica, analisi dei dati e intelligenza artificiale trovano già spazio nelle strategie di azione a favore della difesa dei mari. È possibile individuare tre ambiti di applicazione delle nuove tecnologie: il monitoraggio, la prevenzione e l’intervento operativo vero e proprio.

I dispositivi tecnologici hanno rivoluzionato il modo di tenere sotto

controllo gli ecosistemi marini. I dati sulla presenza dei rifiuti in mare sono raccolti attraverso l’impiego di strumenti di ultima generazione. Il monitoraggio dei mari avviene attraverso il ricorso agli AUVs (Autonomous underwater vehicles), che permettono di tracciare i rifiuti marini. Si tratta di robot capaci di compiere azioni in maniera del tutto automatizzata, grazie alla robotica autonoma e all’intelligenza artificiale. Quest’ultima permette di utilizzare sensori che quantificano i dati ambientali, che poi sono condivisi a

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VITA SOTT’ACQUA

livello mondiale. In tal modo è possibile impostare strategie di intervento mirate, evitando lo spreco di risorse.

Per valutare l’impatto portuale su aree marine protette, nel 2017 è stato lanciato il progetto IMPACT. Essendo parte del programma di cooperazione Interregionale ItaliaFrancia Marittimo 2014-2020, questa iniziativa transfrontaliera mirava a tutelare l’ecosistema marittimo delle aree comprese tra Toscana e Liguria e delle regioni costiere francesi della Provenza, delle Alpi e della Costa Azzurra. L’obiettivo era di monitorare l’andamento dell’inquinamento del mare a causa della presenza di sostanze nocive attraverso l’impiego di radar ad alta frequenza e i cosiddetti ecodrifter, sensori per il rilevamento delle microplastiche.

Il connubio tra tecnologie digitali avanzate e sostenibilità ha caratterizzato anche il progetto EU H2020 Marine Ecosystem Restoration in Changing European Seas (MERCES), attivo in Europa dal 2016 al 2020 grazie alla collaborazione di 16 Paesi. L’uso delle tecnologie ha permesso di implementare le conoscenze scientifiche relative alla distribuzione ed estensione degli habitat marini danneggiati grazie alla creazione di un unico database europeo.

La disponibilità di dati raccolti permette di poter mettere a punto nuove strategie di sostenibilità, determinanti per supportare il processo di resilienza dell’ambiente marino. La prevenzione è fondamentale in questo ambito. Nel tempo sono stati creati dispositivi capaci di bloccare i materiali inquinanti prima che si disperdano in mare. L’uso di filtri nelle lavatrici domestiche, o l’utilizzo di composti per accelerare la decomposizione delle microplastiche ne sono un esempio.

Le nuove tecnologie sono largamente impiegate anche in interventi di recupero di spazzatura marina. Il progetto Blue Resolution, nato nel 2018 dalla collaborazione tra l’azienda Arbi e gli Istituti di BioRobotica e di Management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha costruito un robot per operare sott’acqua. Il suo nome è SILVER 2 (Seabed-Interaction Legged Vehicle for Exploration and Research) ed è in grado di esplorare i fondali marini, campionare materiali, raccogliere e smaltire la plastica. Da quando è stato reso operativo, riceve continui aggiornamenti per essere sempre più efficiente.

Tanto semplice quanto efficace è l’idea che sta dietro la costruzione di Inner Harbor Water Wheel, una

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L’uso delle tecnologie ha permesso di implementare le conoscenze scientifiche relative alla distribuzione ed estensione degli habitat marini danneggiati grazie alla creazione di un unico database europeo
Il robot SILVER 2
è in grado di esplorare i fondali marini, campionare materiali, raccogliere e smaltire la plastica. Da quando è stato reso operativo, riceve continui aggiornamenti per essere sempre più efficiente

nave mangia plastica nata nel 2008 e rilanciata nel 2014 nel Maryland. I rifiuti galleggianti sono incanalati tramite degli sbarramenti verso la sua “bocca” e lì vengono raccolti tramite un nastro trasportatore. Una macchina che, a detta del suo stesso inventore John Kellet, non punta tanto a risolvere il problema, ma può aiutare a far crescere la consapevolezza delle persone. Simile al precedente esempio è il dispositivo WasteShark, creato nel 2018 dall’azienda danese RanMarine Tchnology. In questo caso, si parla di un drone acquatico che aspira rifiuti galleggianti. Nei mari italiani, grazie al progetto LifeGate PlasticLess, dal 2018, sono stati installati quasi 100 dispostivi “mangiaplastica”

monitoraggio

attraverso il ricorso agli AUVs che permettono di tracciare i rifiuti marini. Si tratta di robot capaci di compiere azioni in maniera del tutto automatizzata, grazie alla robotica autonoma e all’intelligenza artificiale

Il primo cambiamento è quello delle abitudini, dei modelli di produzione e consumo frutto della consapevolezza dell’importanza del ruolo di ciascuno, che deve crescere e diffondersi in maniera capillare.

in 90 porti, grazie ai quali sono stati raccolti più di 84mila chilogrammi di rifiuti. Bisogna, però, prendere coscienza che la tecnologia da sola non basta.

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Ufficio Stampa Scuola Superiore Sant’Anna.
Il
dei mari avviene

La chiave di volta dell’economia del mare?

Conciliare sviluppo e sostenibilità

VITA SOTT’ACQUA

Le acque dell’oceano e del mare coprono il 70% della superficie del pianeta e oltre il 65% del territorio dell’Europa. Gli ecosistemi marini sani sono essenziali per la vita sulla Terra e svolgono un ruolo chiave nel benessere planetario: sono una delle più grandi fonti di biodiversità e cibo, regolano il clima e costituiscono un importante serbatoio di carbonio. Oltre a questo, la loro importanza è fondamentale anche alla luce dei significativi benefici che apportano alla salute umana e al loro essere una risorsa economica insostituibile per le comunità costiere che hanno plasmato il proprio lavoro sulle attività economiche collegate al mare.

L’importanza dell’ambiente marino e dell’economia del mare nella società

Le risorse marine rivestono un ruolo fondamentale per l’umanità. Secondo un recente rapporto dell’Intergovernmental SciencePolicy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services una persona su cinque nel mondo dipende, sia per il cibo e per il reddito, da attività legate alle specie selvatiche di animali.

La pesca è una di queste pratiche che, tramite il reperimento della fauna marina, genera risorse alimentari e permette lo sviluppo di attività commerciali ed economiche intorno ad esse: basti pensare all’indotto di reddito prodotto dai ristoranti che servono pesce.

Il pesce pescato è un alimento di inestimabile valore: rappresenta una fonte di proteine di alta qualità e vanta un’impronta di carbonio relativamente bassa, annoverandosi fra i cibi più sostenibili a livello ambientale. Per una corretta alimentazione, basata sul modello di dieta mediterranea che è tra gli stili alimentari maggiormente

riconosciuti come benefici dalla comunità scientifica, il pesce è preferibile alla carne e sono tante le sue applicazioni nel settore alimentare: dalla vendita diretta a quella indiretta dei ristoranti, fino a quella attraverso la filiera di trasformazione industriale.

Le azioni dell’UE in risposta alle recenti difficoltà dell’economia del mare L’ambiente marino, i pescatori e il settore della pesca hanno affrontato negli ultimi anni una serie di difficoltà. Oltre alle minacce sistemiche all’ambiente, rappresentate dai cambiamenti climatici e dalla perdita di biodiversità dovuta a molteplici pressioni antropogeniche, il settore della pesca si è dovuto confrontare con una serie di sfide recenti e importanti, dalla Brexit alla pandemia di COVID-19 e, più di recente, alle ripercussioni dell’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina. Questi shock hanno provocato enormi interruzioni di mercato, carenze di materie prime essenziali, un forte aumento dei prezzi di carburante e mangimi per pesci, oltre al pericolo rappresentato dalle

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Il settore della pesca si è dovuto confrontare con una serie di sfide recenti e importanti, dalla Brexit alla pandemia di COVID-19 e, più di recente, alle ripercussioni dell’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina

operazioni militari e dalle mine nel Mar Nero.

La Brexit ha causato problemi nel settore della pesca e all’ecosistema marino a causa della limitazione dell’accesso alle acque britanniche per i pescatori europei. Questo ha creato tensioni e controversie tra i pescatori inglesi ed europei, con conseguenze economiche e occupazionali per entrambe le parti.

La separazione normativa e l’incertezza del contesto politico e giurisdizionale, hanno ostacolato la cooperazione internazionale e la condivisione di informazioni scientifiche necessarie per una gestione sostenibile delle risorse marine. Il Vecchio Continente, per ovviare a queste criticità, ha negoziato un accordo di separazione con il Regno Unito che comprende disposizioni specifiche per la pesca. Questo accordo stabilisce le quote di pesca e l’accesso alle acque tra l’UE e il Regno Unito cercando di garantire la sostenibilità delle risorse ittiche e il mantenimento delle attività economiche delle comunità di pescatori interessate.

Nel caso della pandemia di COVID-19, l’Europa ha adottato misure per mitigare gli impatti sulla pesca, per sostenere i pescatori e le comunità costiere. Sono stati istituiti programmi di sostegno finanziario per compensare le perdite di reddito causate dalla riduzione della domanda di pesce e dalle restrizioni alle attività di pesca. Sono state anche introdotte misure per agevolare la vendita e la commercializzazione del pesce, nonché per garantire la sicurezza dei lavoratori del settore.

Per quanto riguarda invece l’aggressione militare russa contro l’Ucraina le ripercussioni sull’ambito della pesca sono state significative, in particolare nelle aree colpite direttamente dal conflitto. Pescatori e comunità costiere hanno infatti interrotto o limitato le attività in mare per la loro incolumità, andando incontro a gravi situazioni di povertà. A questo si aggiunge l’impatto nocivo per l’ambiente del materiale inquinante ed esplosivo rilasciato durante il conflitto. L’Unione europea ha stanziato dei fondi destinati alle comunità di pescatori e si è fatta promotrice del coordinamento internazionale fra gli Stati al fine di garantire la sicurezza delle operazioni di pesca nelle zone interessate dal conflitto.

Il Piano d’azione europeo per la pesca

La Commissione europea ha presentato a febbraio 2023 un Piano d’azione facente parte di un pacchetto di misure per migliorare la sostenibilità del settore della pesca e dell’acquacoltura. Questo piano si concentra sulla protezione e il ripristino degli ecosistemi marini per promuovere una pesca sostenibile. Tra le azioni concrete per rendere la gestione delle pesca più rispettosa e moderna, l’Europa sta creando nuove aree marine protette in

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Anche le tecnologie innovative possono essere risorse utili nello sviluppo sostenibile dell’economia del mare.
Esempi sono le energie rinnovabili marine come l’energia delle onde, delle maree e delle correnti marine, oppure le biotecnologie marine

cui controlla strettamente le pratiche marittime, arrivando anche a suggerire l’uso di attrezzi da pesca a basso impatto ambientale.

Le aree protette gestite in modo efficace minimizzano le catture incidentali di specie sensibili, proteggono le aree di riproduzione e le aree di allevamento dei pesci e riducono gli impatti antropologici sugli habitat delicati come quello del fondale marino.

Il Regolamento europeo sulle Misure Tecniche contiene infatti un insieme di regole di base per la pesca selettiva in ogni bacino marino. Ad esempio, specifica diverse dimensioni e forme di maglie nelle reti da pesca per catturare solo specifiche dimensioni di pesci, griglie e pannelli di selezione che consentono a certe specie di sfuggire o chiusure specifiche di aree di pesca,

ad esempio durante il periodo di riproduzione dei pesci.

Dal Vecchio Continente sono arrivate anche delle iniziative concrete nell’ambito della riduzione dell’inquinamento, con speciale riguardo all’ambiente marino. Ad esempio, l’Europa ha imposto limiti per i rifiuti marini, il rumore subacqueo, i nutrienti e i contaminanti nell’ambito della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (MSFD. Le norme dell’UE riguardano anche le strutture di ricezione portuali, incentivando la consegna passiva dei rifiuti della pesca nei porti.

Il turismo sostenibile e la cooperazione internazionale come chiavi per proteggere l’ecosistema marino

Oltre alle politiche europee, al fine

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di rendere sostenibile l’economia del mare in Italia, si possono mettere in pratica altre iniziative tra le quali l’incentivazione del turismo sostenibile e la collaborazione internazionale.

Per quanto riguarda la promozione del turismo sostenibile i Comuni e gli enti pubblici possono favorire lo sviluppo di infrastrutture turistiche a basso

impatto ambientale, come ristoranti, lidi e negozi che riescano a coesistere rispettosamente nel contesto costiero. I turisti in visita in queste località devono essere messi a conoscenza dei comportamenti che consentono una fruizione consapevole delle risorse marine e delle aree costiere. Obiettivo delle istituzioni è quindi la formazione e la sensibilizzazione di adulti e bambini sull’importanza della conservazione marina.

Anche le tecnologie innovative possono essere risorse utili nello sviluppo sostenibile dell’economia del mare. Esempi di queste sono le energie rinnovabili marine come l’energia delle onde, delle maree e delle correnti marine, oppure le biotecnologie marine, per le quali si intende l’applicazione di processi biotecnologici volti a sfruttare risorse biologiche come le alghe, i batteri e gli organismi acquatici. Le applicazioni possono essere poi utilizzate per scopi industriali o per la produzione di biocarburanti, materiali biodegradabili, prodotti farmaceutici e cosmetici.

Infine, un ruolo chiave lo gioca la cooperazione internazionale: favorire la collaborazione tra Italia, altri Paesi mediterranei e organismi internazionali per la gestione sostenibile delle risorse marine permette di garantire l’effettiva attuazione delle politiche comuni per la sostenibilità delle comunità costiere. L’economia del mare può diventare un modello di successo per la gestione sostenibile delle risorse naturali, creando un equilibrio tra prosperità economica e conservazione ambientale.

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Un ruolo chiave lo gioca la cooperazione internazionale: favorire la collaborazione tra Italia, altri Paesi mediterranei e organismi internazionali per la gestione sostenibile delle risorse marine

Viaggio tra i mari più blu d’Italia. Sono 458 le spiagge premiate

Sono arrivate buone notizie, sul fronte italiano, riguardo la tutela dei mari. Come da tradizione, ogni anno viene celebrata l’assegnazione delle bandiere blu e il 2023 vede dei risultati eccezionali.

Analizzando i dati, dal 2016 ad oggi ci sono più bandiere. In questi anni è aumentata la consapevolezza di come la tutela delle acque e la salvaguardia del Pianeta siano di primaria importanza e come sia compito della collettività prendersene cura. In questa direzione si collocano le Bandiere Blu: si tratta di un riconoscimento internazionale, creato nel 1987, conferito dalla Foundation for Environmental Education (FEE) alle zone costiere europee che riescono a soddisfare determinati parametri

relativi alle acque di balneazione e ai servizi offerti.

Quest’anno, si è svolta la 37esima edizione delle Bandiere Blu, premiando ben 226 comuni italiani, per un totale di 458 spiagge con 17 new entry, pari a circa un quarto delle spiagge italiane e all’11% delle spiagge premiate a livello mondiale.

Questo riconoscimento non viene assegnato solo per le acque pulite, ma ci sono altri 32 criteri di valutazione che annualmente sono rivisti e perfezionati. Tra questi rientrano la funzionalità degli impianti di depurazione, la gestione dei rifiuti, la percentuale di allacci fognari, l’accessibilità e l’inclusività. Inoltre

Il 2023 incassa risultati eccezionali. Sono state premiate 458 spiagge, le quali hanno ottenuto delle bandiere in merito alla salvaguardia delle acque pulite, alla protezione e gestione degli stabilimenti balneari. Un risultato sorprendente, che sicuramente, incornicia un carattere costruttivo dell’uomo nei confronti della natura.

vengono tenuti in considerazione la sicurezza dei bagnanti, l’arredo urbano, la mobilità sostenibile, l’educazione ambientale dei cittadini, la valorizzazione della natura e le diverse iniziative per una convivenza tra uomo e natura, soprattutto nel periodo estivo.

In questa edizione 2023 il primo posto è stato assegnato alla Liguria con 34 località premiate, seguita dalla Puglia con un totale di 22 riconoscimenti. Con 19 Bandiere troviamo poi la Campania, la Toscana e la Calabria. Le Marche conquistano 18 bandiere, mentre la Sardegna ne conferma 15. L’Abruzzo ne conferma 14, la Sicilia invece 11 e il Lazio e il Trentino 10. L’Emilia Romagna rimane con 9 bandiere e con 5 la Basilicata. La Lombardia e il Piemonte, pur non essendo circondati dai mari, conquistano rispettivamente 5 e 3 bandiere. Infine ne sono state riconosciute 2 per il Friuli Venezia Giulia e il Molise.

Le 458 spiagge che hanno ottenuto il riconoscimento di Bandiera Blu sono visibili nell’elenco completo delle coste italiane e dei lidi interni in tutte le regioni sul sito: www.bandierablu.org

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SPECIALE VACANZE

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I numeri del turismo in Italia:

Dopo la pandemia, il settore si prepara a ripartire col piede giusto

Il settore del turismo in Italia è sempre stato un importante motore dell’economia, grazie alla ricchezza culturale, storica e paesaggistica che il Paese ha da offrire. La pandemia ha avuto un impatto significativo sul settore turistico a causa della chiusura delle frontiere verso l’estero, delle restrizioni ai viaggi e del crollo della domanda. Oggi il mercato sta lentamente riprendendo slancio: il 2023 dovrebbe rappresentare l’anno in cui la crescita del turismo ritornerà ai livelli pre-Covid, grazie anche alla comparsa e allo sviluppo di particolari forme innovative di ferie come il turismo slow, un’alternativa che promuove una visione più sostenibile e autentica delle vacanze.

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SPECIALE VACANZE

La battuta d’arresto del turismo e la nascita di alternative sostenibili

L’arrivo del Covid-19 in Italia ha portato a una drastica riduzione dei flussi turistici nel Paese. Nel 2020, secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, l’Italia ha registrato un calo del 62% degli arrivi internazionali rispetto all’anno precedente. Questo ha avuto un impatto enorme sul mercato italiano delle vacanze, con la chiusura di alberghi, ristoranti e attrazioni turistiche.

Sono molti gli operatori che hanno dovuto affrontare sfide senza precedenti per sopravvivere, cercando nuove strategie per attirare visitatori in un contesto segnato dalle limitazioni della pandemia. In questo scenario, il turismo slow ha dimostrato di essere una scelta interessante per coloro che cercano esperienze più autentiche, sostenibili e a contatto con la natura nei paesi meta delle vacanze. Il concetto di turismo slow è nato come risposta all’omologazione delle esperienze turistiche. Promuovere un approccio più lento e consapevole alle vacanze, incoraggiando i viaggiatori a immergersi nella cultura e nelle tradizioni locali, porta a scoprire destinazioni meno conosciute e a ridurre l’impatto ambientale.

In Italia, il turismo slow ha una lunga tradizione e radici risalenti a ben prima della pandemia: le città d’arte, i borghi storici, i paesaggi rurali e le risorse naturali si prestano spontaneamente a un concetto di vacanza rallentata, autentica e ricca di vita reale. Molte regioni italiane, soprattutto quelle meno conosciute e al di fuori dei circuiti classici più blasonati, si sono impegnate attivamente nel promuovere il turismo slow come un’opportunità per sostenere le comunità locali e preservare il patrimonio culturale e naturale del Bel Paese.

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L’Umbria, un esempio di destinazione slow in Italia

Un esempio di successo di turismo slow in Italia è rappresentato dalla regione Umbria. Nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2023, tenutosi a maggio in Umbria, sono stati presentati diversi esempi di turismo sostenibile praticati nella regione e promulgati dai comuni locali in ottica di perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. I comuni di Otricoli, Narni, Calvi dell’Umbria e Lugnano in Teverina hanno illustrato progetti che promuovono uno stile di viaggio rispettoso dell’ambiente e della comunità locale.

Otricoli si è distinto per i progetti legati alla candidatura al Best Tourism Villages dell’UNWTO, mentre Narni ha presentato il tratto narnese della Ciclovia Assisi-Roma, offrendo un’opportunità di esplorare la regione in bicicletta attraverso un itinerario suggestivo. Calvi dell’Umbria ha valorizzato i suoi sentieri di trekking nei boschi calvesi, facendo parte del progetto Sentieri Umbro-Sabini, che permette ai visitatori di immergersi nella natura incontaminata. Infine, Lugnano in Teverina ha proposto progetti legati a delle specialità del territorio: la Strada del Vino e la Rotta degli Olivi. Entrambe offrono esperienze enogastronomiche uniche e la scoperta dei tesori paesaggistici umbri.

Un altro esempio umbro di slow tourism è rappresentato dal Parco del Lago Trasimeno. I visitatori possono noleggiare biciclette e seguire percorsi appositamente tracciati. L’itinerario potrebbe includere visite a piccole fattorie locali, dove i turisti possono conoscere il processo di produzione del vino o dell’olio d’oliva e partecipare a degustazioni guidate. Vengono poi organizzate soste presso le spiagge del lago Trasimeno, dove grandi e piccini possono rilassarsi, ammirare i paesaggi quasi incontaminati dall’uomo e la fauna locale o praticare sport acquatici eco-friendly come il kayak o la vela.

L’importanza delle infrastrutture e delle politiche turistiche nel rilancio del turismo post Covid

Per sostenere e favorire il turismo slow in Italia, è essenziale investire nelle infrastrutture turistiche e implementare politiche che promuovano uno sviluppo sostenibile.

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L’Italia ha registrato un calo del 62% degli arrivi internazionali rispetto all’anno precedente

Esempi di queste iniziative possono essere la creazione di piste ciclabili, l’ampliamento del trasporto pubblico nelle zone rurali ricche di attrazioni turistiche altrimenti non facilmente raggiungibili e la promozione di prodotti locali a km 0.

Ruolo fondamentale è quello svolto dalle comunità locali, attori principali nell’accoglienza dei turisti, che devono poter beneficiare di politiche attive di sostegno per le attività turistiche più legate alla natura e alla sostenibilità, come ad esempio l’attività di agriturismo, che lega il concetto di vacanza a quello di produzione locale delle aziende agricole, binomio che esalta il Made in Italy e le eccellenze italiane.

Il futuro del turismo in Italia

Il turismo in Italia sta lentamente riprendendo slancio. Le misure di vaccinazione, l’allentamento delle restrizioni ai viaggi e l’adozione di protocolli sanitari rigorosi hanno contribuito a rassicurare i viaggiatori e a ridare fiducia al settore turistico.

Secondo un’analisi realizzata da SRM, Centro Studi collegato a Intesa Sanpaolo, il 2023 sarà l’anno turistico della cultura, della natura e dell’attrattività dei territori del Bel Paese. Si prevede che l’Italia raggiungerà il pieno recupero dei

Il turismo slow ha dimostrato di essere una scelta interessante per coloro che cercano esperienze più autentiche, sostenibili e a contatto con la natura

flussi turistici, con un aumento delle presenze sia nazionali che straniere.

Il Pil generato dalle attività turistiche, secondo le stime, raggiungerà circa €100 miliardi di Euro, di cui il 25% proverrà dal territorio del sud Italia.

Il turismo meridionale è ben posizionato nel contesto europeo: secondo l’analisi di SRM, su 98 regioni dell’area UE4 (Italia, Spagna, Francia e Germania), tre regioni del Sud (Sardegna, Campania e Puglia) si collocano tra le prime 30 per livello di competitività turistica e altre 6 sono sopra la media europea.

Il sud Italia si configura come un bacino dalle altissime potenzialità turistiche ma sono necessari

miglioramenti e ampliamenti delle infrastrutture di connessione e accessibilità con i principali aeroporti e punti di snodo della viabilità Italiana per beneficiare realmente della potenzialità di questi luoghi.

Il Pil generato dalle attività turistiche, secondo le stime, raggiungerà circa
€100 miliardi di Euro, di cui il 25% proverrà dal territorio del sud Italia

SPECIALE

Overtourism, il lato oscuro del turismo contemporaneo che richiede soluzioni urgenti

Passata l’emergenza Covid, per il settore turistico italiano si prospetta una stagione da record che potrebbe essere migliore persino a quelle degli anni pre-pandemia. Un flusso di turisti la cui intensità dovrebbe portare in Italia intorno ai 68 milioni di visitatori e generare quasi 267 milioni

di pernottamenti per l’estate 2023. Per il settore si tratta di una boccata di ossigeno dopo le perdite degli anni dei lockdown. Il carico turistico previsto potrebbe, però, essere tale da creare problemi di overtourism in molte località italiane, specie se piccole e senza adeguate capacità recettive.

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VACANZE

Che cos’è l’overtourism

L’overtourism è il fenomeno tramite cui alcuni luoghi di interesse sono visitati da un numero esorbitante di turisti tale da produrre danni al territorio e all’ambiente, causando anche disagi per gli abitanti e i visitatori stessi.

Con un turismo di massa esacerbato dagli anni di lockdown attraversati, si pone il rischio concreto che l’afflusso massivo possa porre problemi che dalla riduzione del comfort si spostano sulla sicurezza e sul rispetto dell’ambiente. Un rischio che non è da sottovalutare, specie dove il sovraffollamento turistico colpisce luoghi considerati paradisi naturali, che potrebbero subire gli irrimediabili danni dati dall’afflusso di troppa gente. Qualcosa del genere è capitato alla spiaggia del film “The beach”, con Leonardo Di Caprio, il cui accesso è stato vietato ai turisti dal governo tailandese per impedirne la distruzione. Globalmente

Oltre 68 milioni di visitatori attesi in Italia per questa stagione estiva, quasi 267 milioni di pernottamenti

hanno subito danni da impatto turistico anche l’Everest, la grande barriera corallina, Machu Picchu, Teotihuacan, Masai Mara, Angkor Wat, il Taj Mahal e Phi Phi Island, solo per menzionare alcune destinazioni. In Italia danni da overtourism si sono verificati nella Spiaggia Rosa dell’isola di Budelli nell’arcipelago della Maddalena in Sardegna.

Dall’UNWTO un codice per promuovere l’etica globale del turismo e contrastare l’overtourism

Il fenomeno dell’overtourism ha richiamato l’attenzione dell’Onu e soprattutto della UNWTO, acronimo di United Nations World Tourism Organization, che tramite la World Committee on Tourism Ethics (WCTE), la cui missione è promuovere un’etica globale per il turismo, ha stilato un elenco di misure da seguire per tutelare la salute pubblica e i principi etici di rispetto dell’ambiente, degli abitanti, dei turisti e dei lavoratori del settore turistico.

Si tratta del Codice Mondiale di Etica per il Turismo, che prevede come affermazioni di principio la non discriminazione ed equità, l’accessibilità, la protezione del turismo e dei consumatori, la tutela della privacy dei dati, la tutela del

diritto a una decisione informata, oltre a tutela dei diritti dei lavoratori e protezione sociale.

In un suo report, la UNWTO ha inoltre proposto a governanti di Stati e territori 11 strategie da seguire e 68 misure da adottare per contrastare il fenomeno, come incentivare la dispersione dei turisti all’interno della città e nei luoghi limitrofi, suggerendo mete meno note, ma non per questo meno attrattive turisticamente. Tra i suggerimenti, anche la destagionalizzazione del turismo e la sua delocalizzazione, proponendo nuovi itinerari e attrazioni turistiche diverse dalle più frequentate.

Tra le strategie e le misure in previsione, spiccano anche le necessità di una regolamentazione per tutelare le aree più fragili o troppo frequentate, quella di attrarre tipologie di viaggiatori più responsabili e di garantire i benefici del turismo alle comunità locali, coinvolgendo i residenti sia nella creazione di posti di lavoro sia in quella di esperienze turistiche. In programma, anche lo sviluppo e promozione di esperienze in città o nel territorio che generino interazione tra turisti e residenti, senza dimenticare di adeguare e aumentare le infrastrutture, oltre a coinvolgere le comunità locali nelle decisioni sulle politiche turistiche, educando i viaggiatori a essere più responsabili e rispettosi del luogo e, infine, monitorando i cambiamenti in corso.

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La UNWTO suggerisce di visitare mete meno note, ma non per questo meno attrattive turisticamente.
Importante è anche destagionalizzare il turismo e delocalizzare

Gli italiani scelgono il mare: le coste meno battute per evitare la folla

Lasciatisi alle spalle il tempo delle restrizioni, gli italiani tornano a viaggiare. Secondo quanto emerso dal primo Osservatorio di PiratinViaggio relativo all’estate 2023, il mare si conferma la meta preferita da oltre il 50% del campione. Invece, città e montagna hanno ottenuto rispettivamente il 34% e il 13% delle preferenze.

Il Belpaese parte quindi avvantaggiato, con una costa di circa 8.300 km, e con quasi 5mila km di spiaggia balneabile, l’Italia rappresenta il 35,8% di tutte le coste balneabili del vecchio continente. Per questo motivo non è impossibile trovare spiagge e luoghi poco affollati in cui gustarsi il meritato riposo. Dai

SPECIALE VACANZE

litorali sabbiosi a quelli rocciosi, dagli scorci paesaggistici alle zone più adatte alle famiglie, l’Italia offre una vasta gamma di scelta, soprattutto per coloro che non amano la calca e vogliono godersi un po’ di relax.

Calabria

La Spiaggia della Marinella di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, situata nella cosiddetta costa degli dèi, si estende da Pizzo Calabro a Nicotera ed è uno dei punti paesaggistici più belli della Calabria. Conosciuta per la sua posizione suggestiva ai piedi dell’Aspromonte e con i suoi fondali, è particolarmente adatta per chi ama lo snorkeling. Per raggiungere la spiaggetta occorre percorrere un sentiero di accesso non del tutto semplice, per cui si consiglia l’utilizzo di scarpe da ginnastica; al di là delle difficoltà, infatti, ne vale decisamente la pena. Lontana dai percorsi turistici, la spiaggia di ghiaia bianca è raggiungibile dalla statale 18 imboccando l’uscita per Palmi e seguendo le indicazioni.

Sardegna

Per chi preferisce le isole, in Sardegna si trova lo scoglio di Pan di Zucchero. All’interno dell’insenatura di Masua,

piccolo centro minerario della costa iglesiente, lo scoglio è il faraglione più alto d’Europa. Per arrivarci, bisogna prendere la statale 130 e proseguire fino allo svincolo per Buggerru, da dove è possibile seguire le indicazioni per Masua e la sua spiaggia. Tra piscine naturali, sabbia fine dorata e acque verdi, si possono ammirare le grotte marine e godere il panorama della Cala Domestica.

Toscana

Cala del Bove, presso il Monte Argentario in Toscana, è raggiungibile

Il mare si conferma la meta preferita da oltre il 50% degli intervistati. Invece, città e montagna hanno ottenuto rispettivamente il 34% e il 13% delle preferenze. Il Belpaese parte quindi avvantaggiato con quasi 5mila km di spiaggia balneabile

in macchina grazie alla provinciale 65 di Porto Santo Stefano, al Km. 5+900 tra Cala gesso e Cala moresca. Da qui parte un sentiero esclusivamente pedonale che scende fino alla cala. Sulla destra c’è una stradina asfaltata che, dopo una manciata di minuti, porta dritti davanti ad un cancello. Lì bisogna continuare a piedi (verso destra) e in neanche un quarto d’ora si arriva alla scogliera di Cala del Bove. Anche se manca la spiaggia, questa cala merita una visita soprattutto per gli amanti del relax e dei fondali marini. Qui è molto facile trovare coralli, anemoni, polpi e murene.

Puglia

Per chi ama i fondali sassosi e anche la spiaggia, Baia delle Zagare, chiamata anche baia dei Mergoli, è il posto adatto. A 30 km da Vieste, lungo la provinciale che porta a Mattinata (Fg), si può ammirare la bellezza paesaggistica e scegliere tra servizi e spiaggia libera. L’arenile composto da ciottoli separa il mare dalla bianca parete rocciosa che fa da sfondo a questo paesaggio da cartolina. I faraglioni nel mare dominano incontrastati la scena. La baia è un’insenatura all’interno del

Parco Nazionale del Gargano, tra ulivi e pini secolari. Per raggiungere la baia si percorre la strada litoranea SP53 e poi si devia per girare in direzione del mare. Il mare si raggiunge attraverso una scalinata che scende tra le rocce, dopo aver lasciato la macchina in un parcheggio adiacente a pagamento. Negli ultimi anni, in alta stagione, l’accesso alla spiaggia è regolamentato dalle prenotazioni presso l’Info Point di Mattinata. Il modo più comodo è arrivare all’ingresso dell’Hotel Baia delle Zagare e, al cancello, chiedere indicazioni per il parcheggio a pagamento.

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Dai litorali sabbiosi a quelli rocciosi, dagli scorci paesaggistici
alle zone più adatte alle famiglie, l’Italia offre una vasta gamma di scelta, soprattutto per coloro che non amano la calca e vogliono godersi un po’ di relax

L’Italia non manca di luoghi dove poter trascorrere le vacanze lontani dalla folla. Posti come i bagni della Regina Giovanna a Sorrento, o la Martologa Bay, in Liguria o la siciliana spiaggia di Marinello possono essere ulteriori suggerimenti per il turismo estivo

Abruzzo

Per gli amanti dei littoriali sabbiosi, l’Abruzzo è una certezza. Vicino Vasto (Pe) si trova la riserva naturale di Punta Aderci. Nel contesto della cosiddetta Costa dei Trabocchi, Punta penna è una soluzione adatta a famiglie e bambini. La sabbia è fine, il mare pulito e chi preferisce i sassi può spostarsi verso punta Aderci. Per raggiungere la spiaggia di Punta Penna bisogna superare il porto di Vasto, direzione Pescara, e lasciare l’auto al parcheggio che si trova a pochi metri dalla spiaggia.

Queste sono solo alcune delle possibili mete, in quanto l’Italia non manca di luoghi dove poter trascorrere le vacanze lontani dalla folla. Posti come i bagni della Regina Giovanna a Sorrento, o la Martologa Bay, in Liguria o la siciliana spiaggia di Marinello possono essere ulteriori suggerimenti per il turismo estivo.

Turismo lento: l’Italia dei cammini e dei borghi

VACANZE
di Pasquale De Salve
SPECIALE

Nonostante il calo turistico generalizzato degli anni del Covid, un segmento del settore è riuscito a crescere: quello dei cammini, del turismo alternativo e di prossimità. L’esigenza di soluzioni Covid free ha permesso la connessione con i piccoli borghi in una dimensione che unisce natura e cultura, senza l’affollamento del turismo di massa che non garantiva il distanziamento sociale.

Per l’estate 2023 è attesa in Italia un’affluenza turistica da record, con il ritorno di molti alle località più gettonate che al momento sembra siano Ostuni, Matera, Capri, Tropea, Rimini, Positano e Monopoli. Chi non avrà voglia delle grandi località turistiche, anche estere come Creta, Maiorca, Santorini e Ibiza, preferendo invece rimanere in loco e immergersi nella frescura dei cammini montani o conoscere luoghi più affascinanti, potrà beneficiare di una organizzazione ormai più che collaudata.

Per chi avesse tempo e resistenza in Italia c’è il cammino più lungo del mondo, il Sentiero Italia, con un percorso che si districa per tutto il territorio nazionale con oltre 450 tappe, 7200 km e 350000 m di dislivello complessivo. Per gli amanti dell’alta quota c’è un cammino poco noto di 500 km che parte dal Passo del Tonale e giunge in 28 tappe fino alla Marmolada: lo chiamano il Sentiero della Pace perché è un percorso di riflessione sulla tragedia della Grande Guerra. Attraversa infatti tra vette, forti, trincee e strade gran parte dei luoghi teatro delle battaglie tra l’esercito italiano e quello austriaco.

Nel Bel Paese, oltre ai cammini che si snodano sulle montagne, c’è anche spazio per i borghi e il mare: il cammino del Salento, per esempio, con

percorsi nella media di sei ore al giorno collega la città di Lecce al santuario di Finis Terrae a Santa Maria di Leuca con la possibilità di scegliere se passare dalla costa o attraverso i piccoli borghi salentini con tappe di circa 6 ore al giorno di cammino.

Per chi volesse immergersi in una vera esperienza spirituale, “Con le ali ai piedi” permette di ripercorrere i luoghi di ritiro spirituale e di preghiera di San Francesco seguendone i passi per 500 km dalla Valle Reatina al Gargano in un percorso suddiviso in 25 tappe.

Molti dei cammini italiani sono stati rivalutati tramite le politiche ministeriali sin dal 2016, quando l’allora ministro Franceschini impegnò il proprio dicastero in un piano nazionale per la rivalutazione di borghi, centri storici e di tutte le forme di turismo lento che hanno portato alla riqualificazione del patrimonio di edilizia rurale che per molto tempo era rimasto abbandonato. Il MiBACT ha anche prodotto e aggiornato nel tempo un vero e proprio Atlante dei Cammini. Chiunque volesse trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze potrebbe comunque facilmente consultare il sito internet

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Con la pandemia, ha preso piede una forma di slow tourism che anche quest’anno sembra attrarre molti viaggiatori. L’Italia dei cammini e dei piccoli borghi apre nuovi scenari sul Bel Paese

camminiditalia.org, dove è possibile trovare informazioni sia sui tracciati più conosciuti, sia sui percorsi meno battuti e tutti da scoprire lasciando meravigliato qualsiasi turista.

Sentiero della pace, Sentiero Italia, Cammino del Salento, Con le ali ai piedi: a spasso per l’Italia, tra mare e montagne

La Via delle Sorelle: un cammino fra le due Città europee della cultura 2023 Quest’anno, un nuovo cammino si affaccia all’attenzione del mondo del trekking e del turismo di prossimità: la Via delle Sorelle, nel 2023 emette il

suo primo vagito ma l’aspettativa è quella che possa crescere anche con il passaparola. Alessia Marsigalia, infatti, presidente dell’Associazione Slow Ride Italy di Brescia in un’intervista su Grand Tour – a passo libero, il programma dedicato su Radio 24, ha affermato: “abbiamo tanta voglia di fare. Speriamo che il cammino diventi come il buon vino che più invecchia più è buono” come quelli della Franciacorta, della Val Calepio e quelli delle Terre del Vescovado i cui vigneti saranno pienamente attraversabili.

L’idea della Via delle Sorelle è quella di creare una linea verde naturale tra due aree fortemente urbanizzate con la volontà di mostrarne un altro volto. Il suo percorso si snoda tra le colline lombarde collegando le due città più colpite inizialmente dalla pandemia, Bergamo e Brescia. La Via delle Sorelle è anche un lascito, un’eredità sostenibile della candidatura congiunta delle due città lombarde, che insieme

sono Capitale Italiana della Cultura 2023. Il cammino si snoda lungo un percorso di 132 chilometri diviso in sei tappe, tutte da percorrere a piedi e ha come luoghi d’inizio due straordinari patrimoni UNESCO, come il complesso monastico Santa Giulia a Brescia e la Città Alta di Bergamo.

La Via delle Sorelle, nella sua filosofia di evasione dall’urbanizzazione che colpisce il territorio delle due province,

Quest’anno c’è anche un nuovo cammino: la Via delle Sorelle, il filo d’oro che unisce Bergamo e Brescia, Città europee della cultura 2023

attraversa aree naturalistiche e parchi regionali distribuiti sul territorio di ben 34 comuni tra paesaggi collinari, vigneti e aziende vitivinicole, panorami montani, corsi d’acqua e laghi. Un percorso lungo il quale sarà possibile vedere installazioni di arte visiva che trasformano il cammino in una sorta di palcoscenico a cielo aperto come l’opera disseminata di Claudia Losi, le installazioni tessili dell’artista Laura Renna e quelle di Massimo Uberti.

La Via delle Sorelle è stata tracciata secondo regole di sostenibilità da seguire ma che permettono al turista

di mantenere uno stretto rapporto con natura e storia, come se si trattasse di un viaggio in terra straniera con tanto di timbro su un apposito passaporto. In ognuna delle sei tappe di questa arteria verde che punta alla scoperta di luoghi meno conosciuti, i viandanti potranno trovare ristoro e accoglienza in strutture predisposte e ostelli e tramite le proprie credenziali potranno accedere a prezzi calmierati ed anche alla Riserva del Torbiere del Sebino.

Non solo Dolomiti.

Dalla Calabria al Friuli, le montagne italiane fuori dai radar del turismo di massa

Secondo una ricerca di Demoskopika, il mare non sarà l’unico protagonista dell’estate degli italiani. Stando all’indagine condotta, per il 2023 la regione che vedrà un aumento maggiore in ambito turistico è il Trentino-Alto Adige, luogo scelto da tantissimi viaggiatori che vogliono perdersi nella natura incontaminata delle Dolomiti. Per quest’anno, sono previsti 2,6 milioni di presenze (+15,4%) e 12,1 milioni di arrivi (+11,8%).

I motivi principali di questa scelta sono la fuga dallo stress, l’aria pulita, la possibilità di fare sport, la cucina e il contatto con la natura. Chi sceglie la montagna vuole trascorrere delle vacanze all’insegna del benessere e del relax. Tuttavia, l’overtourism, cioè l’eccessivo affollamento di turisti, potrebbe scompaginare i piani di chi vuole trascorrere il periodo estivo lontano dallo stress, alla ricerca di un po’ di tranquillità. Il problema è

reale, tant’è che già nel 2020 è stata organizzata dall’Associazione Italiana Giovani per l’UNESCO (AIGU) una tavola rotonda per cercare alcune soluzioni. Oltre agli accessi controllati, magari attraverso l’introduzione di tariffe, il rimedio più indicato è quello di orientare i flussi di visitatori verso itinerari meno noti. E l’Italia non è priva di alternative.

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Oltre agli accessi controllati, come soluzione all’overtourism per le mete turistiche affollate, il rimedio più indicato
è quello di orientare i flussi di visitatori verso itinerari meno noti
SPECIALE VACANZE

Partendo da Sud, in Calabria, il Parco Nazionale della Sila con i suoi 150.000 ettari di territorio protetto è un luogo da scoprire, ricco di itinerari suggestivi tra montagne, fiumi e paesini. La riserva naturale offre la possibilità di effettuare escursioni immerse nella natura e praticare attività sportive. All’ottava posizione tra i parchi nazionali più belli d’Italia, qui si può godere di aria buona, cibo genuino e grande accoglienza.

Sono tre i principali cammini che costellano il parco: il sentiero della Libertà da Badia Morronese (AQ) a Casoli (CH), il Cammino di Celestino che si affaccia sulle gole dell’Ofanto, da Badia di Sulmona (AQ) a Serramonacesca (PE) e il Sentiero del Parco da Popoli (PE) a Palena (CH)

Spostandosi verso il centro Italia, l’Abruzzo, con i suoi tre parchi nazionali, è una buona alternativa per gli amanti delle altezze. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, ad esempio, sono situati tre borghi caratteristici: Pescocostanzo, Roccaraso e Rivisondoli. Poste tra i 1440 e 1700m, queste località sono collegate da sentieri che è possibile percorrere sia a piedi che in bici. Adatti anche ai bambini, questi luoghi offrono una vasta gamma di servizi per gli amanti

dell’aria aperta.

Adiacente al Parco Nazionale d’Abruzzo, sopra i 2000 metri, si trova il Parco della Majella. I suoi sentieri sono l’ideale per chi ama le escursioni. Sono tre i principali cammini che costellano il parco: il sentiero della Libertà lungo 60 km da Badia Morronese (AQ) a Casoli (CH), il Cammino di Celestino che si affaccia sulle gole dell’Ofanto, detto anche Sentiero dello Spirito, da Badia di Sulmona (AQ) a Serramonacesca (PE) per un totale di 73 km e il Sentiero del Parco da Popoli (PE) a Palena (CH), adatto a escursionisti più esperti ma con paesaggi meravigliosi.

Infine, coi suoi 150.000 ettari di estensione, c’è il Parco Nazionale del Gran Sasso. Il parco comprende il massiccio del Gran Sasso d’Italia e i Monti della Laga, vicini al confine

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L’overtourism, cioè l’eccessivo affollamento di turisti, potrebbe essere un ostacolo per chi vuol trascorrere il periodo estivo lontano dallo stress, alla ricerca di un po’ di tranquillità, all’insegna del benessere e del relax con l’Umbria. I paesaggi modellati dai fenomeni erosivi sono caratterizzati da valli e circhi glaciali, con suggestive cascate come quella delle Volpare o di Selvagrande. Con i suoi 44 comuni e innumerevoli frazioni, immersi nella natura incontaminata, questa riserva naturalistica offre la possibilità di soggiornare per una vacanza rigenerante ad alta quota. Poco al di sotto del complesso delle Dolomiti, in Trentino vicino al lago

di Garda, si trova la Valle del Chiese, attraversata dall’omonimo fiume. Nella valle sorgono tredici antichi borghi che, lontani dal turismo di massa, permettono di godere dei paesaggi tipici della montagna.

Spostandosi in Friuli-Venezia Giulia, quasi al confine con l’Austria e la Slovenia, si trova la località di Tarvisio (UD), in Val Canale. Tra i boschi della vicina Valbruna, il paesino sulla cima del Monte Lussari è circondato da paesaggi caratteristici come i laghi di Fusine, l’Orrido della Sizza, il Lago di Predil e la Foresta Millenaria.

In Piemonte, in fondo alla valle che termina alle pendici del Monte Rosa, si trova il paesino di Alagna Valsesia (VC), erede della cultura dei Walser, un popolo di montagna. Le case tradizionali in legno e pietra caratterizzano questa cittadina tra le vette. Da qui è possibile raggiungere la capanna Regina Margherita, il rifugio alpino più alto d’Europa sito sulla vetta della punta Gnifetti a quota 4554 metri.

Foto richiesta gentilmente fornita dal Sindaco Roberto Veggi, Alagna Valsesia

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Gli incendi in Italia, tra cambiamenti climatici e responsabilità umana

SPECIALE INCENDI

Nel 2022 sono andati a fuoco 58.751 ettari di foreste italiane. Nel 2021 siamo stati i primi in Europa, con una delle annate peggiori di sempre per gli incendi boschivi, con 150.552 ettari di bosco bruciati, seguiti da Grecia, Spagna e Francia. La piaga degli incendi boschivi si ripresenta ogni anno e costituisce una delle maggiori minacce agli ecosistemi mediterranei. Gli incendi sono numerosi, così come sono tante le cause che li scatenano e i danni che provocano. Ma ci sono anche metodi efficaci di prevenzione e lotta al fenomeno degli incendi dolosi, che come vedremo sono una componente fondamentale del problema.

In Italia, le foreste stanno crescendo

Ad oggi sono stati prodotti 3 Inventari Nazionali delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC) che costituiscono la principale risorsa per documentare lo stato del patrimonio forestale italiano, la sua composizione e distribuzione e la sua estensione. I progetti di mappatura delle foreste italiane nascono da “l’esigenza di disporre, parimenti a molti altri Paesi europei, di dati statistici affidabili sulla consistenza delle foreste, tali da consentire di programmare la loro gestione, il loro potenziamento e la loro disponibilità nel tempo”

Per questo, negli anni Ottanta, il Corpo Forestale dello Stato ha coordinato le operazioni di rilevamento del patrimonio boschivo nazionale; i lavori si sono conclusi nell’85, e i dati sono stati elaborati dalla società informatica Finsiel, all’epoca leader europea del settore. Ne risultò che la superficie boschiva in Italia era estesa per 8,6 milioni di ettari.

Dopo il protocollo di Kyoto nel 1997, si avvertì la necessità di aggiornare quelle misurazioni, giungendo nel 2007 alla pubblicazione di INFC2005,

che riportò una superficie boschiva in crescita, pari a 9 milioni di ettari.

L’ultimo rapporto, INFC2015, pubblicato nel 2020, conferma il trend di crescita delle foreste italiane, che attualmente coprono oltre 11 milioni di ettari, pari al 36,6% della superficie nazionale. Tra gli ultimi due rapporti, c’è una crescita di due milioni di ettari della loro estensione.

Il 50% della biomassa è rappresentata da latifoglie e conifere, tra oltre 180 specie classificate. Le aree boschive si trovano distribuite sul 75% delle diverse altitudini presenti sul territorio nazionale.

Si tratta di una notizia positiva. Avere più boschi significa preservare maggiormente la biodiversità, favorendo l’aderenza agli obiettivi prefissati dalle conferenze internazionali sul clima e l’ambiente. Più alberi significa migliore filtraggio dell’aria grazie all’accresciuto assorbimento di C02. Lo stoccaggio di anidride carbonica è aumentato, in dieci anni, del 20%. Tuttavia (ed è qui che sorge il problema) il loro aumento non è dovuto a politiche mirate o azioni volontarie.

Secondo Enrico Pompei, all’epoca responsabile dell’Ufficio Politiche forestali nazionali e internazionali nel Ministero delle Politiche Agricole, la causa principale è l’abbandono progressivo delle aree rurali rispetto a periodi in cui l’agricoltura veniva

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Il 33,2% dei boschi italiani si trova in aree pubbliche, il 66,4% è in proprietà private. Solo il 15% è sottoposto a una gestione mirata

EEFFIS Annual Statistics for Italy

Date range for these statistics: 2006 - 2022

A causa del cambiamento climatico, sono in grande aumento i cosiddetti Grandi Incendi Forestali, così veloci nella loro propagazione da non poter essere gestiti

praticata anche in aree estreme, come durante l’autarchia, o nel boom economico degli anni Sessanta, quando molte persone abbandonarono le

campagne per andare a vivere nelle città. Ciò ha permesso ai boschi in Italia di riprendere a crescere, senza tuttavia un adeguato monitoraggio e tutela delle aree verdi.

La dashboard in tempo reale del sito dell’inventario nazionale mostra infatti come solo il 33,2% dei boschi italiani si trovi in aree pubbliche. Il 66,4% si trova in proprietà private e uno 0,4% risulta non classificato. La percentuale di aree private ha una corrispondenza apprezzabile con quella di aree boschive non sottoposte a tutela (68,9%) contro il 31,1% di aree protette.

Ci sono alcune regioni che fanno

eccezione: Abruzzo, Sicilia e Trentino

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possiedono una percentuale di bosco di proprietà pubblica superiore a quelli di proprietà privata.

Sebbene l’Italia sia tra i primi Stati in Europa per aree naturali sottoposte a tutela, solo il 15% del suolo forestale è sottoposto a pianificazione di dettaglio (con percentuali maggiori nelle regioni del nord) di gestione e assestamento. Avere un patrimonio forestale così ricco, ma soggetto a una crescita incontrollata, fa sorgere alcuni problemi. All’aumentare della popolazione boschiva corrisponde l’aumento della biomassa e della necromassa, vale a dire, tutto il sottobosco formato da foglie morte, rami e alberi spezzati, cespugli

e arbusti secchi, che forniscono moltissimo materiale combustibile. Anche l’aumento di densità dei boschi comporta una difficoltà maggiore nella gestione dei potenziali incendi. Gli incendi, purtroppo, sono una piaga costante nel nostro Paese. Secondo il rapporto Ecomafie 2022, dal 1980 a oggi sono andati in fumo oltre 100000 ettari di bosco in media ogni anno.

Perché i nostri boschi vanno a fuoco? Cause di propagazione e cause di innesco

Il report di Greenpeace e Sisef (Società italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale) del 2020, Un paese che brucia, ci fornisce interessanti spunti per analizzare il problema degli incendi in Italia. Innanzitutto possiamo fare una distinzione tra “cause di innesco”, che scatenano gli incendi, e “cause di propagazione”, che invece appunto ne favoriscono l’espansione.

Secondo Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano, ci sono tre fattori che favoriscono la propagazione di incendi: meteorologia, orografia e caratteristiche della vegetazione. Venti estivi e invernali nel Mediterraneo favoriscono il diffondersi delle fiamme, insieme alle lunghe e secche estati mediterranee. Il cambiamento climatico sta aumentando l’intensità dei fattori meteorologici predisponenti. A livello orografico, sono le pendenze che permettono la diffusione vettoriale delle fiamme.

La vegetazione è considerata secondo fattori di infiammabilità (relativa al rapporto superficie/volume), la composizione chimica (presenza di olii o resine), quantità di biomassa combustibile, tasso di umidità e distribuzione nello spazio verticale e orizzontale.

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Copernicus

“La vegetazione, infine, deve essere considerata sotto quattro aspetti: l’infiammabilità, relativa alla sua struttura fisica (rapporto superficie/ volume) e composizione chimica (presenza di oli o resine); la quantità di biomassa disponibile per la combustione (o carico di combustibile); il tasso di umidità (un basso contenuto d’acqua accelera il preriscaldamento e la combustione); e la distribuzione dello spazio, in particolare per quanto riguarda la continuità orizzontale e verticale della vegetazione, che facilita la convezione del calore e la propagazione della fiamma. Per questi motivi, certi tipi di vegetazione sono più colpiti di altri dagli incendi”

La flora mediterranea, in particolare, è suscettibile alla propagazione degli incendi. Il bacino del Mediterraneo, inoltre, si sta scaldando a una velocità doppia rispetto al resto del pianeta, inasprendo fattori già esistenti.

I cambiamenti climatici c’entrano, ma il grosso delle responsabilità sono umane

Il progetto European Forest Fire Information System (EFFIS) fornisce dal 2006 dati riguardo gli incendi boschivi in Europa mediante rilevazioni satellitari. Da essi non risulta ricavabile uno schema preciso dell’andamento degli incendi nel nostro Paese, ma si possono fare alcune considerazioni.

In 18 anni di monitoraggio, abbiamo superato i 100000 ettari di bosco andati a fuoco in tre occasioni: nel 2007 (con un picco assoluto), nel 2017 e nel 2021, tutti anni ricordati per le estreme condizioni siccitose attraversate dalla penisola. Prendendo in considerazione il rapporto ISPRA 2020 (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è facile associare

i picchi di incendi agli anni in cui le temperature medie italiane si sono discostate di più di 1° dalla temperatura media preindustriale. Tale limite è stato poi regolarmente superato dal 2010 in poi. A partire dal 2020 non siamo mai scesi sotto i 40000 ettari di bosco bruciati; negli anni precedenti, solo il 2009 e il 2012 risultano sopra questa cifra.

A causa del cambiamento climatico, sono in grande aumento quelli che sono definiti Grandi Incendi Forestali: si tratta di incendi che hanno un’estensione e una velocità di propagazione tali da non poter far altro che aspettare che si estinguano da soli. L’avvicinamento temporale dei picchi di incendi e l’innalzamento della media annuale fa supporre che la quantità di incendi in Italia sia tendenzialmente in crescita. Ma cosa causa questi incendi?

Scrive ancora Giorgio Vacchiano:

"In Europa, il 2% degli incendi è responsabile dell’80% dell’area bruciata annualmente. Al di là di chi o cosa accenda le fiamme, dunque, occorre che la prevenzione si concentri sui fattori associati alla loro propagazione potenziale, e affronti il rapido cambiamento del potenziale di propagazione del fuoco che è in atto in Italia e in Europa a causa della crisi climatica e dei cambiamenti di uso del suolo”.

Tuttavia è importante soffermarsi anche sulle cause di innesco, e in particolare su quel “chi” accenda quelle fiamme, perché ne risulta uno scenario interessante.

Il cambiamento climatico può inasprire l’incidenza di quello che è un fenomeno naturale, a volte persino utile per il rinnovo della vegetazione e il

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contenimento della sua estensione. Gli incendi risultano quindi più estesi, più violenti, più difficili da domare, e più soggetti a propagazione incontrollata. L’ISPRA riporta che dal 1998 al 2011 la percentuale di incendi naturali era meno del 5%. Dal 2012 in poi, le cause naturali aumentano, avvicinandosi al 20% nel 2018 e superandolo nel 2012. Questo aumento con tutta probabilità si può correlare al cambiamento climatico. Si stima per il 2050 un allungamento dell’11% della stagione degli incendi e il 46% in più di giornate di pericolosità estrema per la loro propagazione.

Ma il dato sorprendente è un altro.

Dagli stessi grafici infatti risulta che la prima causa scatenante degli incendi è il dolo (sempre ben oltre il 50% degli incendi totali), seguito dalla colpa. Fa seguito una percentuale di incendi di

origine incerta e solo dopo abbiamo come causa scatenante la natura. Questi numeri sembrano in crescita. Abbiamo:

“I dati relativi al 2007, l’annata peggiore degli ultimi 40 anni in Italia per quanto riguarda l’area

Ma la causa principale rimane il dolo

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Secondo l’ISPRA, dal 1998 al 2011 la percentuale di incendi naturali era meno del 5%.
Dal 2012 in poi, le cause naturali aumentano, avvicinandosi al 20%.

bruciata. Lungi dall’essere esclusiva responsabilità di “piromani”, gli incendi del 2007 hanno avuto nel 13% dei casi un’origine colposa (di cui il 43% in seguito attività agricoleforestali, il 25% da mozziconi di sigaretta, il 12% da attività ricreative e turistiche e il 10% per altre cause non definite), e nel 65% dei casi una motivazione dolosa, con motivazioni prevalenti relative alla ricerca di un profitto (31% degli incendi dolosi), cioè legate prevalentemente alla creazione o rinnovazione del pascolo a mezzo del fuoco. Solo il 7% degli incendi dolosi è stato attribuito a turbe comportamentali, e il 5% a dissenso sociale, proteste o risentimenti (fonte: dossier incendi Corpo Forestale dello Stato per l’anno 2007)”

Degli incendi di origine dolosa, solo una parte veramente minimale è riconducibile alla piromania. Il rapporto Ecomafie 2022 redatto da Legambiente illustra questo aspetto. Secondo il rapporto, esiste una maggior concentrazione di incendi nelle regioni a forte presenza mafiosa, come la Sicilia, che risulta non a caso, insieme a Calabria e Sardegna, una delle regioni più colpite dalla piaga degli incendi boschivi. Il rapporto spiega anche come tutti i dati –dal numero di ecoreati alla quantità di superficie andata a fuocosiano in crescita, mentre il numero degli arresti risulta in calo.

Emblematico il caso della Sicilia. Nel 2021, in Italia, 49 incendi hanno interessato una superficie superiore ai 500 ettari. Di questi, 32 sono avvenuti in Sicilia. Di 5385 reati incendiari accertati dalle forze dell’ordine (+27 per cento rispetto al 2020), il 52% era concentrato in Puglia, Campania, Calabria e a trainare la classifica la Sicilia, con 993 reati; solo 7 le persone arrestate. Il dato migliora se si guarda

agli illeciti amministrativi accertati (130) e alle sanzioni comminate (121). A questi reati corrispondono 81500 ettari di terreno boscato e non boscato bruciati.

Come scrive Riccardo Bruno sul Corriere della Sera, gli incendi vengono innescati “per ritorsione, per un presunto torto subito, per rinnovare aree destinate al pascolo, oppure per interessi illegali”; stoccaggio illegale di rifiuti, creazione di nuovi terreni edibili, intimidazione e ricatto alle istituzioni, sono tutti motivi per la mafia di dare fuoco ai boschi.

Non solo le mafie, comunque. È pratica agricola o d’allevamento comune nel sud Italia accendere fuochi per bruciare nelle campagne rifiuti, scarti di potatura, per liberare o rinnovare il terreno, o ancora per ritorsione o vendetta contro allevatori o coltivatori confinanti.

Nella maggior parte dei casi gli incendi sono quindi scatenati dall’uomo, su base volontaria o involontaria.

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Imparare a gestire il fuoco.

E a convivere con lui

Gli strumenti per difenderci da mafie incendiarie e anni siccitosi, limitandone i danni, esistono a livello gestionale e legislativo, così come sono perduranti nel nostro Paese delle criticità relative a entrambi i campi.

Tanto il discorso pubblico quanto l’azione delle Forze dell’Ordine si concentrano in maniera maggiore sul contenimento e l’estinzione degli incendi, invece che sulla loro prevenzione. Secondo Giuseppe Delogu per GreenPeace, si può parlare di “paradosso dell’estinzione”. Le autorità dal Dopoguerra in poi si sono orientate sul proibire preventivamente ogni incendio, anche quello utile alla modellazione del paesaggio, trattandolo in ogni situazione in maniera emergenziale.

Durante anni caratterizzati da assenza di eventi meteorologici estremi (ondate di

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SPECIALE

calore, siccità, tempeste, allagamenti) le autorità non hanno difficoltà a estinguere qualunque tipo di fuoco; gli incendi è meno probabile che diventino Grandi Incendi Forestali. La superficie raggiunta dal fuoco è in diminuzione in anni simili (sempre più rari), ma proprio l’estinzione di incendi che si potrebbero spegnere naturalmente in questi periodi fa sì che si accumuli biomassa pronta a bruciare in maniera incontrollabile in anni in cui il cambiamento climatico fa sentire i suoi effetti. In questo modo, la media si innalza notevolmente grazie ad anni come il 2007, il 2017 o il 2021, in cui eventi meteorologici estremi hanno prodotto stagioni degli incendi devastanti.

Il cosiddetto “fuoco prescritto”, invece, prevede incendi controllati per alleggerire il carico di vegetazione in un’area boschiva, riducendo le probabilità di propagazione. Inoltre, rendere illegali anche i fuochi agricoli, necessari a rifertilizzare i suoli da coltivare o da mettere a pascolo ha avuto come logica conseguenza l’aumento dei fuochi eseguiti illegalmente e incontrollati. L’abbandono delle terre coltivate, l’urbanizzazione in prossimità di aree boschive, non sono elementi causali che vengono tenuti

in considerazione quando si parla di gestione degli incendi, trascurandone, quindi, la prevenzione.

Il contrasto a ogni minimo focolaio ha un impatto anche economico crescente, con una stima di almeno un miliardo di euro spesi in Italia per gli interventi di estinzione degli incendi. Si parla per questo, a livello internazionale, di evitare la strategia di soppressione passando al “fire management”, ovvero la convivenza controllata del fuoco, inteso come fattore ecologico, con la società umana, e al “fire smart territory”, ovvero una pianificazione che renda il territorio meno propenso alla propagazione degli incendi.

In ambito legislativo abbiamo l’articolo 423-bis del codice penale, che prevede una reclusione da 4 a 10 anni per il reato di incendio colposo, tuttavia applicato alle sole aree boschive. Secondo il rapporto Ecomafie, il reato andrebbe esteso anche alle aree che in generale possiedono una vegetazione, in particolare quelle presenti nelle aree Natura 2000, che a livello europeo e italiano risultano tra le più colpite dal fenomeno degli incendi.. È anche raccomandato un aumento delle sanzioni amministrative.

Una parte importante delle proposte di Legambiente riguarda l’utilizzo del suolo sottoposto alle fiamme. Attualmente le norme che proibiscono edilizia, allevamento e attività venatorie riguardano solo i suoli boscati che hanno subito un incendio. Si propone di estendere il divieto di pascolo e caccia di 10 anni anche alle aree con vegetazione, come anche di abolire le norme vigenti sull’edificazione di detti suoli. Attualmente si può riedificare un suolo incendiato se c’erano piani urbanistici preesistenti: si chiede, invece, il divieto

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Dal Dopoguerra in poi, le autorità tendono a proibire preventivamente ogni tipo di incendio, anche quelli utili alla modellazione del paesaggio, trattando ogni situazione in maniera emergenziale

assoluto di edificazione estesa anche alle aree con vegetazione.

Tanto il rapporto GreenPeace che il rapporto Ecomafie concordano nello spostare il focus del problema dall’estinzione alla prevenzione degli incendi. Non va trascurata però la componente soppressiva. Con la riforma di razionalizzazione dei corpi di polizia del 2016 la Guardia Forestale dello Stato è stata assorbita nel Corpo Forestale dell’Arma dei Carabinieri, trasferendo sui Vigili del Fuoco gran parte delle funzioni di presidio degli incendi. Per questo si propone di creare una specializzazione interna di controllo e coordinamento antincendio, e una maggiore dotazione di elicotteri e altri mezzi che si sono dimostrati idonei al

contenimento degli incendi. L’azione dei Vigili del Fuoco riesce infatti a estinguere l’incendio nel 94% dei casi; l’unica difficoltà insormontabile è la gestione dei Grandi Incendi Forestali. Si avanza anche la proposta di creare a livello comunale squadre di Aib (Antiincendio Boschivo) con una focalizzazione assoluta del presidio a livello locale nella regione Sicilia.

Un esempio concreto di applicazione di queste linee guida è quello della Toscana, dove sul fronte della prevenzione degli incendi si sta facendo moltissimo. La regione ha infatti varato a partire dal 2018 i Piani Specifici di prevenzione antincendio, che prevedono interventi mirati alle caratteristiche di specifiche zone

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Fire management, ovvero: convivenza controllata con il fuoco, inteso come fattore ecologico.

Fire smart territory, ossia: pianificazione che renda il territorio meno propenso alla propagazione degli incendi

considerate ad alto rischio incendi. Gli interventi comprendono il diradamento della vegetazione e campagne informative presso i residenti.

Sono state create ad oggi due comunità: FireWise (Vicopisano e Calci), ovvero comuni che adottano strategie di auto protezione dagli incendi, creando barriere difensive tra le abitazioni e il bosco. Contemporaneamente, il centro La Pineta di Tocchi fornisce formazione e addestramento all’avanguardia per il contrasto e la prevenzione degli incendi agli aspiranti volontari. Tutti i piani antincendio della Toscana si avvalgono dell’approvazione della Fondazione senza fini di lucro Pau Costa, nata in Spagna, che, al pari della National Fire Protection Association (NFPA), si occupa di sensibilizzare i cittadini alla convivenza con il fuoco e l’organizzazione del territorio per scongiurare la propagazione degli incendi.

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Che fare per non lasciare soli gli anziani in vacanza?

MAGAZINE
di Monia Carriero

Con l’arrivo dell’estate e l’avvicinarsi delle vacanze è tempo di pianificare un viaggio. Dalla montagna, al mare, alle capitali sono tante le mete incredibili da esplorare per il nostro Pianeta. Quando si programma una partenza, se in famiglia c'è un anziano occorre avere particolari accorgimenti, individuando a monte la migliore soluzione per la sua gestione.

Che si tratti di un anziano autosufficiente o meno, offrirgli compagnia e assistenza durante l’assenza dettata dal nostro viaggio farà solo bene al suo stato psico-fisico. In alcuni casi, per i soggetti che non sono autonomi, è imprescindibile. Per affrontare al meglio queste situazioni vengono in aiuto diversi consigli ad hoc.

In primis si può valutare di chiedere aiuto ad amici o parenti: la conoscenza gioca un ruolo fondamentale, evitando presentazioni e facendo così sentire l’anziano più a suo agio.

Se dovesse mancare la disponibilità di un nostro caro, allora è opportuno valutare una prenotazione temporanea in un centro per anziani o un ricovero di sollievo in una casa residenza per la terza età. Si tratta di strutture ben organizzate per accogliere e assistere anziani autosufficienti o meno, dotate di personale altamente qualificato e molteplici servizi.

Nel caso in cui il nostro familiare non veda di buon grado lo spostamento in una struttura, ci si può avvalere di una badante, figura professionale che monitorerà, durante la nostra assenza e assicurerà cure e assistenza all’anziano a 360 gradi. Valutare questa opzione può essere di conforto sia per noi, sia per il nostro caro che così non dovrà lasciare le mure domestiche che tanto conosce bene.

Tra le soluzioni possibili c’è poi il servizio di Vacanze Serene di PrivatAssistenza. Con 30 anni di esperienza, è un servizio specializzato, presente in 200 punti in Italia, attivo 24h su 24 (tutti i giorni, compresi i festivi), che mette a disposizione operatori qualificati per l'assistenza all’anziano a ore, oppure per qualche giorno o anche, se si vuole, in maniera continuativa. Nella sua offerta sono compresi vari servizi come l’assistenza domiciliare, la badante, l’infermiere a domicilio, il fisioterapista a domicilio e altri professionisti se richiesti dalla famiglia. Un altro consiglio utile per assicurare compagnia e conforto all’anziano è quello di accordarsi con parenti e amici, o con chi dovrà occuparsi di lui in nostra assenza, riguardo ad attività ricreative da svolgere insieme a lui. Momenti di pittura, di disegno e di giardinaggio possono essere di supporto per tenerlo impegnato in modo piacevole.

Chi vive la terza età potrebbe sentirsi emarginato: di fatto la

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Quando la voglia di viaggiare si intensifica con l'avvicinarsi della bella stagione, ma con un parente anziano in casa che non lo si vuole lasciare da solo in casa, come fare? Ecco che alcune soluzioni ad hoc sono studiate per ogni aspettativa. Dalla figura della badante, all'aiuto degli amici, ai centri adeguati per loro, fino agli operatori disponibili sia telefonicamente che fisicamente, il viaggio è assicurato

solitudine per gli anziani è una vera e propria minaccia che può sfociare in depressione e demenza, portando perfino alla morte prematura. Quindi offrire compagnia agli anziani è un gesto d’affetto davvero importante per non lasciarli da soli.

Basti pensare che la sola comunicazione ha un impatto forte, come un’amica pronta a essere d’aiuto. Dunque, sarà fondamentale prima di andare in vacanza rassicurare il nostro caro e passare un po’ di tempo con lui. Quando si partirà, poi, si potrà far sentire la nostra presenza, anche se lontana, parlandogli al telefono.

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Le vacanze estive per gli anziani tra sicurezza e relax

di Monia Carriero

L’Italia è un Paese dalle mille meraviglie, con città d’arte piene di cultura, borghi, paesaggi incantevoli, sia di montagna che marittimi, e buon cibo da nord a sud. Visitare il Bel Paese è sempre un piacere a ogni età: anche le persone della terza età possono scovare lungo lo Stivale le mete giuste da scoprire in sicurezza, rilassandosi immersi nel comfort.

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D’estate, il caldo è protagonista e negli ultimi anni le temperature sono diventate ancora più torride per via dei cambiamenti climatici. Pertanto in fatto di vacanze per gli anziani è importante puntare su mete più fresche, bandendo i luoghi più torridi e non prenotare la partenza nelle settimane più calde.

Per individuare il soggiorno perfetto è consigliabile recarsi in un’agenzia di viaggi che indicherà i pacchetti più convenienti e adatti alle proprie esigenze. Per gli amanti della cultura, una gita fuori porta può essere vissuta nella Capitale o in altre città dello Stivale da scoprire accompagnati da visite guidate. Ideali sono le fresche location di campagna oppure di montagna, non troppo distanti da casa propria, ma anche i luoghi di mare più tranquilli. Per i più avventurosi, si può uscire anche dai confini nazionali, ma in quel caso si dovrà pianificare con ancora più attenzione il viaggio, visto che sarà sicuramente più impegnativo.

Se si vuole optare per l'online un’ottima possibilità è il sito Anni d’Argento dedicato ai soggiorni estivi senior, che offre le migliori soluzioni tra pacchetti e soluzioni personalizzate. Nei soggiorni creati è presente una persona con esperienza pluriennale che offre assistenza ai viaggiatori: creare legami con il personale è il

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valore aggiunto di questa piattaforma che non si occupa solo di far rilassare i vacanzieri, ma anche di farli sentire protetti e a loro agio. Inoltre la piattaforma offre anche escursioni per le persone della terza età.

Guardando all’online altri siti che offrono soggiorni ad hoc per gli anziani sono Vacanze Terza Età, Vacanze per Anziani e Travel Friends.

Scelta la meta, è importante attuare alcuni accorgimenti durante il viaggio. Come per i più piccoli, anche per gli anziani è necessario evitare gli spostamenti nelle ore troppe calde. Inoltre è fondamentale ricordarsi di idratarsi sempre, bevendo almeno 2 litri d’acqua al giorno. Durante il viaggio, di grande aiuto è portare con sé un kit con dei farmaci e una crema solare per proteggersi dal sole.

Con un po’ di attenzione e qualche accorgimento, anche i soggetti della terza età possono regalarsi un viaggio in sicurezza. Viaggiare, si sa, aiuta a tenere alto lo spirito, arricchisce la mente, regala momenti indimenticabili e allontana i cattivi pensieri e le preoccupazioni in qualsiasi fase di vita in cui ci si trova.

Chi ha detto che solo i giovani possono viaggiare? Le persone della terza età possono ancora farlo, seppur un po' limitati. Una serie di consigli utili, suggerimenti di compagnie solide che da anni creano

viaggi sicuri per gli anziani sono di supporto per idealizzare che anche i nostri cari nonni possono ancora ammirare le bellezze del BelPaese con tutti gli accorgimenti necessari

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Viaggiare con i bambini: ecco alcuni consigli utili

Stagione tanto attesa sia dai più grandi che dai più piccoli, con il sole che padroneggia le giornate, l’estate è il momento perfetto per pianificare una vacanza in famiglia. Viaggiare con i bambini, oltre che permettere di vivere momenti indimenticabili con la propria famiglia, stimola la curiosità e le capacità intellettive dei più piccoli.

È importante organizzare nei minimi dettagli questo tipo di soggiorno: quando si viaggia con i bambini è consigliato scegliere mete adatte a loro e mettere in atto alcuni accorgimenti. Dai piccoli ai grandi spostamenti, l'elemento fondamentale è la sicurezza del piccolo che fa assumere alla vacanza una nota diversa rispetto a quella delle coppie o dei gruppi di amici.

Il primo step fondamentale per i genitori è quello di scegliere un alloggio sicuro e che rispetti le normative igienico-sanitarie. Se si viaggia con un neonato è importante avere sempre a portata di mano alcuni accessori quali una provvista di pannolini, giochi per il viaggio, creme solari, eventuali farmaci e vasetti di pappette pronte se il bambino ha superato i sei mesi.

Dopo aver preso tutte le misure protettive per il piccolo, se si è intenzionati a viaggiare in auto non è consigliabile farlo nelle ore notturne, poiché la stanchezza della giornata può inficiare la lucidità. Ma non solo, anche le ore di punta sono da evitare in quanto ci si potrebbe imbattere nel traffico e il bambino potrebbe avvertire stress. Inoltre è utile fare delle pause e durante il viaggio

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Il 2023 è il primo anno con il vostro bebè?

O per chi ha già un figlio, andare in vacanza con i bambini può risultare non stressante se sono scelte delle mete giuste. Da Disneyland Paris, agli spostamenti con il camper per gli amanti dei viaggi on the road, dal treno, all'aereo, una serie di consigli sono utili per godere la meritata vacanza con i propri bambini

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mangiare qualche snack: il viaggiatore passeggero può intrattenere il bimbo con dei giochi da viaggio.

Se il viaggio sarà in treno è opportuno scegliere i posti vicino le uscite, punto favorito per i suoi spazi ampi, ideali per il passeggino. Per chi sceglie di viaggiare in aereo è importante coprire il piccolo in modo adeguato, per proteggerlo dall’aria condizionata.

Un consiglio per gli amanti dei viaggi on the road è il camper, ottimo mezzo di trasporto per vivere una vacanza in famiglia. Il camper può essere adattato, rendendolo uno spazio confortevole per il piccolo. Inoltre è importante puntare sulle aree di sosta attrezzate per i bambini. In Italia ce ne sono molte, dal Lago di Garda alla Puglia. Se si vuole trascorrere una vacanza lontani dall’Italia con il camper sono ben attrezzate la Spagna e la Francia. Rimanendo in tema Francia, una vacanza all’insegna del divertimento per i più piccoli è Disneyland Paris, immenso parco divertimenti a tema che richiama ogni anno molte famiglie permettendo di trascorrere una vacanza nel divertimento più puro, tra attrazioni e spettacoli.

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Dove lasciare i propri animali quando si va in vacanza

I nostri amici a quattro zampe ci riempiono di gioia ogni giorno. Con l’arrivo delle vacanze estive spesso non è possibile portarli in viaggio per motivi logistici, dunque è importante lasciarli in un posto sicuro. Alcune persone possono avvertire questo distacco, seppur momentaneo, come un abbandono. Ecco le soluzioni nel segno della sicurezza per affidare i nostri animali a persone sicure ed esperte.

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A chi rivolgersi?

Amici o parenti non hanno sempre la disponibilità immediata per occuparsi dei nostri animali: in questi casi ci si può aiutare contattando un dog sitter.

Innanzitutto è fondamentale partire da un colloquio conoscitivo con colui o colei che si occuperà del nostro amico fedele. In questa direzione alcuni servizi ad hoc sono di supporto. Il primo è Pawshake.it, dotato di un sistema che ci aiuta a trovare il dog sitter più vicino, con le relative recensioni lasciate da altre persone. Inoltre, questo servizio offre un piano tariffario sui costi in base alla disponibilità di cui si necessita e prevede un’assicurazione gratuita, per eventuali assistenze veterinarie.

Altre soluzioni vantaggiose si possono trovare grazie al sito Trusted House Sitters. Si tratta di un portale online che dà la possibilità di trovare dei pet sitters ovunque nel mondo, ospitandoli nella propria dimora. Questi ultimi gratuitamente si occuperanno di accudire i nostri pet.

Infine, c’è il sito PetSharing.it. Si tratta di un’associazione senza scopo di lucro che nasce nel 2012 dall’esperienza di un gruppo di amici volontari. Questa associazione oggi riscontra un grande successo, basando i suoi servizi su due assi importanti: ospitalità e condivisione.

Estate, sole, mare, montagna, città, ciò si riduce a: concedersi una vacanza. Ma come fare quando si ha in casa un amico a quattro zampe?

Dagli amici, alla dog

Sitter, alle strutture pensionistiche idealizzate per loro, ad altri siti sicuri, ecco che sono di supporto per lasciarli momentaneamente in mani sicure

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Esistono, inoltre, strutture dove lasciare i nostri animali domestici. Si tratta delle pensioni per gli animali gestite da persone esperte. Scegliere la giusta struttura per il proprio cucciolo prevede alcuni step da seguire: in primis assicurarsi che il proprietario della struttura abbia permessi e licenze. Come secondo step è importante recarsi personalmente nella pensione, esplorare gli spazi, sia aperti che chiusi, osservare come il personale interagisce con gli altri animali e se la struttura garantisce un’adeguata pulizia. Una volta scelta la pensione che soddisfa le aspettative, ci si può accordare sull’alimentazione del nostro animale, nel caso abbia bisogno di seguire particolari accorgimenti.

Lasciare il proprio animale domestico a terze persone può essere difficoltoso, soprattutto per le persone sensibili che possono anche percepire sensi di colpa. A tal riguardo è importante ricordare che aver lasciato il cucciolo momentaneamente al dog sitter, nelle apposite strutture o ad amici è per il suo bene.

In estate qualsiasi animale patisce più caldo rispetto all’uomo. Pelo corto o lungo non fa molta differenza, cani e gatti sono predisposti ai colpi di sole. Lasciare l’amico a quattro zampe al fresco e nelle mani di esperti gli darà solo del benessere, facendoci partire per le nostre vacanze a cuor leggero.

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Ecco dove (e come) andare in vacanza con i propri animali nel 2023

Avere un cucciolo in casa dona piacere sia ai grandi che ai bambini. Tutta la famiglia, appena l’amico a quattro zampe entra in casa, si affeziona subito, tanto che diventa difficile staccarsi dal nuovo arrivato.

Con l’arrivo delle vacanze estive coloro che hanno un animale in casa, talvolta, possono essere diffidenti nel lasciarlo nelle varie strutture pensionistiche per animali oppure al dog sitter: in questo caso la soluzione è viaggiare con il proprio animale domestico, esperienza nel segno della dolcezza che, però, implica alcuni accorgimenti. Tra questi per esempio la scelta della meta e gli oggetti da portare con sé.

La comodità di viaggiare con i nostri pet prima di tutto

Con l’arrivo dell’estate il desiderio di andare in vacanza prende il sopravvento. Mare, montagna e città d’arte sono le mete di punta dei prossimi mesi. Se si porta in viaggio il proprio amico a quattro zampe è utile sapere come negli ultimi anni molte strutture si sono attrezzate per accogliere gli animali: quando si cerca il luogo in cui

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MAGAZINE

Avete mai visto

viaggiare il nostro amico pelosetto? Ebbene anche loro possono venire in vacanza con noi. In Italia molte strutture ormai sono studiate per ospitare i nostri amici a quattro zampe, ma non solo, anche i mezzi, seppur con delle limitazioni e regole, possono accoglierli. E tu lo sapevi?

Scopri come portarli in vacanza, e non dimenticare tutto l'occorrente di cui avrà bisogno

soggiornare basterà filtrare le opzioni nei siti di ricerca per trovare quelli che li ospitano.

Se si viaggia con l’auto può essere d’aiuto fare delle piccole soste per non stressare troppo il cucciolo. In questo modo non vedrà l’auto come qualcosa di negativo. Un utile consiglio, prima di mettersi in auto, è quello di consultare nei giorni precedenti alla partenza il veterinario, spiegando quante ore il cucciolo dovrà viaggiare: in questo senso il veterinario potrà consigliare eventualmente dei farmaci con cui tranquillizzare il nostro animale.

Per i viaggi in treno prima di acquistare i biglietti è fondamentale leggere sulla pagina ufficiale delle Ferrovie dello Stato le condizioni relative alla tipologia di animali trasportabili. In linea generale gli animali di piccola taglia non necessitano di un biglietto, purché siano inseriti all’interno del trasportino, poggiato sulle nostre gambe, dalle dimensioni 70 X 30 X 50. Gli animali di taglia media pagano il biglietto ridotto, con il posto a sedere a fianco al padrone e tenuti al guinzaglio, medesima situazione per quelli di taglia grande con l’aggiunta della museruola.

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Nei viaggi in aereo, gli animali di piccola taglia possono restare in cabina all’interno del trasportino. Se il nostro amico a quattro zampe dovesse avere un peso intorno agli 8, massimo 10 kg, sarà messo in stiva. Anche in questo caso è importante confrontarsi con il veterinario che potrà prescrivere farmaci appropriati per il nostro animale.

Una volta scelto il mezzo con cui viaggiare con il nostro animale, è tempo di selezionare la struttura adatta anche per lui: ormai molti alberghi sono attrezzati per accogliere a 360 gradi i nostri amici a quattro zampe. In rete esistono molti siti dedicati alle vacanze con animali come per esempio MyPetHotel.it che filtra quali hotel presenti in tutta Italia ospitano gli animali.

Inoltre, non si può non citare Tripadvisor.it, sito indiscusso per cercare soluzioni per le vacanze. Nell’impostazione degli hotel da scegliere compare anche l’opzione con il cane: cliccandola saranno messe in evidenza le varie strutture e i commenti rilasciati.

Cercare di salvaguardare la salute del nostro animale in viaggio, qualsiasi siano il mezzo e la struttura scelti, è davvero importante: sicurezza e massima attenzione non devono mai mancare.

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Rivista di divulgazione e approfondimento su attualità, ambiente, cronaca e futuro.

Trimestrale, anno 1, numero 2 luglio 2023

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Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo

“What now?” è un progetto editoriale dell’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo che offre un’ampia panoramica su un mondo in rapida trasformazione. Quello che ci interessa non è dire al lettore qual è il nostro punto di vista, ma spiegare come stanno cambiando le cose per aiutare chi legge a crearsi da sé la propria opinione. Per farlo, raccontiamo il problema ma anche le soluzioni.

Direttrice responsabile

Martina Fragale

Direttore editoriale

Silvio Malvolti

Redazione

Chiara Bastianelli

Giacomo Capodivento

Pasquale De Salve

Giulia Angelon

Monia Carriero

Giovanni D'Auria

Impaginazione e Grafica

Andrea Larghi

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Monza, con n. 5/2023 del 28/03/2023.

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