ISSN 2611-0954
mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) – Fondatore, Proprietario e Direttore editoriale: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: defelice.d@tiscali.it – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e successive modifiche) - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. - Il mensile è disponibile su: http://issuu.com/domenicoww/docs/
Anno 30 (Nuova Serie) – n. 4
- Aprile 2022 -
N° 16 della Serie online
CONTRO OGNI GUERRA di Francesco D’Episcopo IAMO figli della guerra (chi scrive è nato nel 1949) e l’avevamo conosciuta attraverso i racconti, ancora fervidi e vividi, dei nostri parenti più prossimi, i quali, talvolta, non ne avevano combattuta una sola; come mio padre, che, quando ero bambino, per farmi addormentare, andava avanti e indietro nel corridoio della nostra casa, narrando, con la naturale espressività partenopea, che lo contraddistingueva, la sua guerra d’Africa, per la quale aveva anche ricevuto qualche non trascurabile riconoscimento. La sua famiglia, a Napoli, la città più bombardata d’Italia durante la seconda guerra, aveva perduto una figlia, giovane e bella, caduta e calpestata dalla folla terrorizzata dagli attacchi aerei, mentre correva ai rifugi. Era a pochi giorni dal matrimonio, che sognava come garanzia di felicità e di futuro. Le guerre lasciano spesso segni indelebili in chi le combatte e ricordo che mio padre aveva qualche difficoltà ad attraversare le strade, quando, come nella sua città, erano affollate di macchine, e consigliava sempre a noi figli di camminare sui marciapiedi. Quando poi, qualche volta, essendo un personaggio estremamente fantasioso, gli capitava di fare qualcosa di strano, che poteva ricevere qualche critica istantanea e impietosa in chi non lo conosceva, e quindi non lo amava e capiva, sua madre, mia nonna, madre di molti figli, subito interveniva con queste indimenticabili parole: <<Non criticatelo così facilmente, ricordatevi che ha fatto la guerra>>. Quale psicologia più profonda in persone, tutto sommato, del popolo, che chi scrive ha sempre preferito a intellettuali o pseudo tali, persuasi di poter spiegare l’inspiegabile? La guerra è distruzione, violenza, ed è la maggiore, egoistica stupidità che si possa compiere nei confronti di una storia, spesso ardua e faticosa, che è impegnata a costruire e a non vedere distrutto repentinamente in un breve attimo ciò che poteva risultare utile
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All’interno: L’odore vicino della guerra, di Claudia Trimarchi, pag. 3 Pasolini – Pelosi, di Manuela Mazzola, pag. 7 Adalberto Baldoni, di Manuela Mazzola, pag. 9 Caro Pier Paolo, di Lucio Zaniboni, pag. 11 Edith Dzieduszycka, di Isabella Michela Affinito, pag. 14 Ada De Judicibus Lisena vista da Marina Caracciolo, di Gianni Antonio Palumbo, pag. 16 Marcello Falletti di Villafalletto e i Savoia, di Tito Cauchi, pag. 18 Il dolore nella poesia di Gianni Rescigno, di Antonio Vitolo, pag. 22 Cha Shanging, pag. 26 Lettere (2), di Peter Russell, pag. 30 Notizie, pag. 49 Libri ricevuti, pag. 50 Tra le riviste, pag. 53 RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Verso lontani orizzonti. L’itinerario lirico di Imperia Tognacci, di Marina Caracciolo, pag. 38); Marina Caracciolo (Parole sospese, di Manuela Mazzola, pag. 39); Domenico Defelice (L’allegoria del vento, di Lucio Zaniboni, pag. 40); Domenico Defelice (Le risonanze dell’illimite nella Quinta dimensione di Corrado Calabrò, di Carlo Di Lieto, pag. 42); Angela De Leo (Il pensiero sognante. La poesia di Ada De Judicibus Lisena, di Marina Caracciolo, pag. 44); Manuela Mazzola (Poesie scritte per gioco, di Caterina Adriana Cordiano, pag. 44); Manuela Mazzola (Si chiamava Claude Monet, di Isabella Michela Affinito, pag. 45); Manuela Mazzola (Tra gli aranci e la menta, di Lorenzo Spurio, pag. 46); Manuela Mazzola (Il pensiero sognante. La poesia di Ada De Judicibus Lisena, di Marina Caracciolo, pag. 47). Inoltre, poesie di: Carmelo Aliberti, Irène Clara, Rocco Cambareri, Antonio Crecchia, Domenico Defelice, Ada De Judicibus Lisena, Francesco Fiumara, Graziano Giudetti, Antonia Izzi Rufo, Wilma Minotti Cerini, Gianni Rescigno, Sebastiano Saglimbeni, Trilussa, Lucio Zaniboni
al bene comune. Ci vorrebbe un altro Dante (ahimè, inutile utopia), per elaborare un nuovo Inferno, dedicato ai nostri ultimi due secoli. Dopo avere combattuto una guerra contro una malattia, di cui non si conosce ancora l’origine, mentre si conosce purtroppo la sequela quotidiana di morti, seguita con superficiale indifferenza, siamo chiamati ad assistere ad una guerra vera, che speriamo non possa “contagiare” altri popoli, altre nazioni. Sarebbe facile, troppo facile, soffermarsi su questo problematico argomento. Basta però forse qui dire che i nuovi governanti non sono più quelli di una volta o sono purtroppo assai simili a quelli di una volta… Sarà la storia a
deciderlo; per ora non si può che prendere atto della follia di un nuovo secolo, il quale non garantisce certezze e sicurezze, accentuata da una mediaticità, che porta nelle nostre case il dolore del mondo, a cui non si può
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reagire che con un altro dolore. Comunque, l’importante è che ci lascino vivere la nostra vita, per ricorrere ad aggettivi già usati, a volte ardua e faticosa, e ci lascino davvero in una Pace, che abbiamo conquistato al grido e al silenzio di troppi morti ed eroi. Francesco D’Episcopo
L’ODORE VICINO DELLA GUERRA di Claudia Trimarchi Frascati, Roma, lunedì 7 marzo 2022 Carissimo Domenico, ricambio il tuo abbraccio con affetto grande e immutato nel tempo. Rivolgo a te e a Clelia un pensiero quasi ogni giorno; vi raggiungo con la mente molto più spesso di quanto farei se le mie dita battessero più spesso su questa tastiera. Chissà perché oggi le parole scorrono a fiotti e finalmente ti raggiungono. Servono le parole. Se vuote a nulla possono ma se cariche di sentimento allora si fanno tramite e dono. Direi che le parole, per chi come noi ama la poesia, stanno al sentimento come la presentazione di un piatto sta al sapore del cibo per uno chef. Chissà perché adesso... sono così felice di poterti fare questo piccolo dono, dopo tanto tempo. Servono le parole, scaldano il cuore, specialmente in un momento così buio e incerto. La sensazione di caducità forse. Lo spavento. Oggi, ancor più di sempre, mi sembra di affogare in questo tempo che corre e scorre così veloce da non dar modo agli occhi di guardare. Eppure in questi giorni tristi e folli poche immagini, viste di sfuggita, non mi si levano dalla testa. E mi viene da piangere, e ho pianto. L'avevo letta sui libri di storia, la guerra, nelle parole dei poeti, nel pensiero radicale di Gino Strada, nei video di Emergency. Ma non ne avevo mai sentito l'odore così da vicino. Questa guerra mi sembra più vicina di quanto non lo sia stata la guerra in Siria ad esempio, che dura ormai da quasi undici anni e non è stata certo meno crudele.
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Che poi, quale guerra non lo è. Forse è una questione culturale: il popolo ucraino è più "occidentale" di quanto non lo sia il popolo siriano. Guarda: nelle mie stesse parole quanta spontanea iniquità. "Tutti gli uomini sono uguali"..."abbattiamo le frontiere"... e invece ci portiamo dentro, pressoché tutti, un sentimento atavico di disuguaglianza. E non è forse questo il germe della guerra? Che creatura contraddittoria l'uomo, capace delle più belle e strabilianti arti, capace di toccare le vette più alte del pensiero umano e capace di fare la guerra. Ti abbraccio amico caro, oggi con più forza di sempre. Claudia Questa assurda e crudelissima guerra in Ucraina, Claudia Carissima, mi riporta agli strazi e agli incubi – mai del tutto assorbiti – di quando bambino, nelle vaste campagne boschive di aranci e di ulivi di Baldes, venivo trascinato dai genitori in cerca di un ambiente che ci riparasse dalle bombe. Ho sempre, indelebile, il fotogramma mentale di una notte in cui, abbandonata la colonica, insicura, sulla collina, ci siamo precipitati giù per la scarpata verso un pagliaio nel folto degli aranci, ove abbiamo trascorso ore e ore in mezzo al fieno, abbracciati per farci calore e coraggio, fino allo spuntare del sole. Ho ancora negli orecchi gli stridi delle civette; lo squittio di topi e ghiri; il tonfo sordo, di qualche frutto, ampliato al parossismo del buio illune. Pochi giorni dopo, le bombe praticamente ci sotterravano, anche se, per un vero miracolo, ne siamo usciti tutti con solo qualche graffio, procurato dai rami delle piante sfracellate, non già dalle schegge. L’odore della guerra, Carissima, io l’ho sentito reale, le narici intasate dalla polvere che si alzava allo scoppio delle bombe, da oscurare letteralmente il sole, da dover camminare a tentoni. Quell’odore è ancora in tutto me stesso presente, incancellabile. E, poi, la guerra fredda; il minacciarsi continuo tra USA e URSS; il pensare che, da un momento all’altro, potesse rovesciarsi addosso a noi l’apocalisse (la poesia, che qui di seguito
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trascrivo, è di quel tempo e rende l’atmosfera di paura e d’apprensione che vivevo). Dire che la guerra sia barbarie, pazzia, è un eufemismo; può capire cos’è la guerra solo chi la vive e, in questi giorni, i giovani, le donne e i bambini dell’Ucraina. Le donne e i bambini, specialmente, sui quali pesa una doppia guerra, la tragedia nella tragedia, il dramma nel dramma, l’orrore dell’orrore: la deportazione nelle terre del nemico (cosa ne sarà di loro?), o la tratta da parte di bestie senza scrupoli del nostro “civile” Occidente, che promettendo loro, disperati, un tetto e un lavoro, in realtà rendendoli schiave del sesso o utilizzandoli per l’espianto degli organi, o costringendoli a lavori inadatti e stressanti, a volte senza neppure un pezzo di pane; tanto, non erano e non sono che povera carne da macello. Eccomi, Cara, a non dormire più la notte, come quand’ero bambino; eccomi a disperarmi, a piangere per l’impotenza a fermare l’orrore; eccomi a pregare a gran voce Dio. Dio. Dio. Dio. Ma cosa c’entra Dio, cosa mai possa fare Dio, poi mi domando nei rari momenti di quiete. Abbracciarsi, Cara, volersi bene è l’unico modo per sentirsi umani. Domenico CON LE MANI IN CROCE Novaja Zemlja...La follìa ti dipinse a sangue in questi giorni, ti straziò le carni. L’occhio mite della renna si torse nella luce inquieta di un’alba risospinta al Caos. Lo zigolo nevoso sognava neve rossa, il grizzly vivo che si sciolse con la geometria del suolo bivaccando su scheletro di volpe. Dal cielo livido tuonarono messaggi di sterminio per una terra ormai non più di Allàh, non più di Budda o Brama, non più di Cristo: “Un brillio d’acque, un gioco d’amori e di lusinghe, un susseguirsi d’ansie e di stagioni,
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sarà lavacro incandescente per le vostre carni martoriate dilaniate, rese luci e suoni...” “Ma il vostro piede adunco non calcherà la terra che si fonde, l’acqua che brucia. Ipocriti sciacalli, non urlate con bocca d’inferno inalberando simboli di morte sui templi che frodaste degli Iddii: cinquanta e cento megatons anche noi confezionammo in doni per i fratelli Russi... Così l’Este e l’Ovest. E noi dormiamo con le mani in croce, ci nutriamo di morte, coviamo acciacchi per i nostri figli. Domenico Defelice Da: Con le mani in croce, La Procellaria Editrice, 1962. LA NINNA NANNA DE LA GUERRA Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna: dormi, dormi, cocco bello, sennò chiamo Farfarello . Farfarello e Gujermone che se mette a pecorone, Gujermone e Ceccopeppe che se regge co le zeppe, co le zeppe d'un impero mezzo giallo e mezzo nero. Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno fra le spade e li fucili de li popoli civili Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna; che se scanna e che s'ammazza a vantaggio de la razza o a vantaggio d'una fede per un Dio che nun se vede,
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ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro. Ché quer covo d'assassini che c'insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse. Fa la ninna, cocco bello, finché dura sto macello: fa la ninna, ché domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima boni amichi come prima. So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali. E riuniti fra de loro senza l'ombra d'un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quer popolo cojone risparmiato dar cannone! Trilussa
ACCANTO AL POPOLO UCRAINO Rattrista e addolora la notizia di quei tredici bambini bruciati dal fuoco dei missili e cannoni, calcinati fra i rottami delle case crollate; penso e mi addolora la notizia che altri hanno visto la luce accecante calare dal cielo e spandersi tra le mura domestiche, bruciare i loro sogni di vivere il diritto alla vita e alla libertà. Rattrista e addolora il passo del vecchio che cerca scampo nella fuga dal fragore delle bombe che si susseguono a ritmo ossessivo e calcolata precisione. Ovunque neri segni di morte e distruzione. Avvilisce e addolora la fretta delle donne e dei bambini di raggiungere un autobus, un treno
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un mezzo sicuro per sfuggire dalla spirale atroce della guerra e presto raggiungere una terra amica, un fuoco per scaldare le membra, un pasto per vincere il digiuno, un letto per sedare il tremore del corpo, la paura della morte. Sgomenta e rattrista l’attesa dei soldati e patrioti ucraini d’immolarsi per un ideale di libertà, presente e godibile laddove non vige la legge dell’oppressione, non incombe l’ombra tetra del boia al soldo di un criminale dittatore, ma brilla il sole del dialogo, fiammeggiano amore e solidarietà. Rattrista e addolora il crudele pestaggio che si fa del diritto alla fede nei valori della propria terra e civiltà, la barbara devastazione di villaggi e città, la famelica arroganza del lupo che ha decretato il martirio dell’agnello. L’Europa, novella Maddalena, è prostrata dolente ai piedi della croce, con gli occhi al Cristo che le chiede angosciato: “Perché mi hai abbandonato?” Più eloquenti d’ogni silenzio, le mani tese ad accogliere gente che fugge dalle spire del grande serpente, dalle granate esplodenti e strazianti, dall’apocalisse aizzato dall’angelo nero. Chi attizza quel fuoco infernale non può essere un essere umano. Non può sedere sul trono dell’onore chi si vota alla profanazione della pace; egli non otterrà né gaudio né gloria, ma vile caduta nel fango della storia. Antonio Crecchia Termoli, 2 marzo 2022 Da: Primo Piano Molise, 5 marzo 2022
TEMPESTA SULLA STEPPA RUSSA Tempesta sulla steppa russa vento sibilante scuote gelida erba Risuonano
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voci sepolte nella ghiaccia neve
i margini sfioriti dei tuoi giorni.
“Fermati vento, non andare oltre, raccogli le nostre voci… Noi fummo uomini, giovani baldi mandati qui, per il disegno oscuro di potenza
Dimmelo tu, o mamma bianca, chi è il mio nemico? Se penso alla madre di lui io vedo te vestita di nero e d’angoscia. Se guardo in alto la pietà vedo di tutte le madri specchiarsi ad ogni squarcio di nuvola.
Ogni passo d’andata ci rese dubbiosi, quelli del ritorno cementarono i nostri cuori e i piedi nel gelo.
Che ala di morte non copra questo spiraglio d’azzurro ancora aperto sul cuore; che io non uccida stanotte, prega che io non uccida!
La nostra invocazione una parola sacra “mamma”
Ricordi quando fanciullo tremavo al bagliore dei lampi? Eccomi: sono il tuo bimbo d’allora che trema, in attesa dell’alba! Francesco Fiumara Da “Le favole hanno occhi di pietra”, Edizione Pagine, 1960
Tu che non trovi ostacoli sul tuo cammino porta il nostro lamento oltre la steppa a Ovest fallo risuonare come le trombe dell’Apocalisse” Wilma Minotti Cerini Pallanza, Verbania LA LETTERA DEL FANTE Sono stanco, mamma, sono tanto stanco. Mi hanno inchiodato qui stanotte a guardia di polveri e questo fucile mi pesa più che una croce. Mi dissero: Uccidi! E a questo detto abbrividì il mio sangue, perché io non so uccidere, o mamma! Ed è per questo ch’io tremo e per il tuo schianto, se il Sindaco venisse alla tua porta a listare di lutto
Domenico Defelice: “Le favole hanno occhi di pietra”, china. ↓
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PASOLINI – PELOSI Due vite tormentate di Manuela Mazzola
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ONO trascorsi cento anni dalla nascita di uno dei personaggi più discussi del secolo passato, Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975), il quale è stato un poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore e drammaturgo, ma si distinse anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista. Si trasferì a Roma per insegnare, se ne innamorò subito, tanto che girò numerosi film nella sua periferia. All’epoca c’era tanta povertà perché mancava il lavoro. Molti vivevano in baracche umide, fredde e senza servizi igienici. Altri, ma pochi, avevano una casa. Alcuni giovani per riempire le proprie pance e quelle dei fratelli minori tentavano furti e rapine oppure prendevano la via della prostituzione. Molte zone di Roma, tra cui i giardini della stazione Termini, la notte si trasformavano in luoghi di incontro, dove c’era chi si offriva e chi comprava. A quei tempi si cresceva velocemente, i bambini e gli adolescenti venivano spesso lasciati soli nelle proprie dimore, mentre i genitori lavoravano o andavano in cerca di un’occupazione. C’erano anche persone che avevano una vita onesta, nonostante il degrado li volesse spingere verso quello che sembrava più facile. La vita era molto più semplice e le famiglie oneste si aiutavano vicendevolmente con coraggio. Durante le feste si riunivano nelle loro umili case, le quali erano sempre aperte
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a tutti; c’era una socialità completamente diversa da oggi. Pasolini nella sua ultima opera, che avrebbe voluto diventasse un monumento letterario, Petrolio, pubblicato postumo nel 1992, denunciò la corruzione politica e culturale dell’Italia. Alcuni ritengono che sia stato ucciso per ciò che aveva scoperto. Negli ultimi periodi, comunque, soffrì di solitudine, per essere stato rifiutato dalla società benpensante e per il rapporto conflittuale con il padre. Un uomo terribilmente abbandonato a se stesso, disse Dino Pedrioli in Storie maledette intervistato da Franca Leosini. Cinque giorni prima di morire il fotografo fece molti scatti al poeta, stettero alcuni giorni insieme proprio a tal fine e parlarono a lungo. Erano foto in cui il poeta appariva nudo nella sua casa e che avrebbero dovuto corredare l’ultima opera. Pasolini, durante una camminata, disse al Pedrioli, che all’epoca aveva solo venticinque anni: “Il mondo non mi vuole più”. Il fotografo, visibilmente emozionato durante l’intervista, affermò di aver sentito una solitudine terribile nelle parole dell’artista. Per alcuni è stato un assassinio maturato nell’ambiente della prostituzione, ucciso dal branco che odiava gli omosessuali, per altri il poeta era venuto a conoscenza di fatti troppo scomodi, per altri ancora è stato un fatto accidentale avvenuto mentre si mettevano d’accordo sul prezzo delle pellicole che gli erano state rubate. Giuseppe Pelosi, colui il quale confessò di averlo ucciso, all’epoca dei fatti aveva 17 anni; era un ragazzo di piccola statura e chi lo conosceva non ha mai creduto a lui come
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un possibile assassino. Da bambino era buono e ingenuo, cresciuto frettolosamente in un luogo che non era per nulla rassicurante, ossia in quella periferia romana sopra descritta. Giuseppe, detto Pino, cambiò parecchie volte versione perché – disse più tardi – aveva paura che uccidessero i suoi genitori. Nell’ultima intervista affermò che andò all’Idroscalo di Ostia con Pasolini, consumarono un rapporto e poi arrivarono altre persone, con le quali Pelosi fece da mediatore, proprio per riprende le pellicole cinematografiche rubate. Probabilmente non si misero d’accordo sul prezzo e ne nacque una rissa violenta che portò il poeta alla morte. Oramai, anche, Pelosi è morto da alcuni anni. Su DIRE Agenzia di stampa nazionale del 20/07/2017 apparve questo articolo in cui parla l’avvocato di Pelosi, Alessandro Olivieri: È morto Giuseppe ‘Pino’ Pelosi. Cinquantanove anni, condannato in via definitiva per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, è deceduto nell’hospice Villa Speranza del Policlinico Gemelli di Roma. [...] Racconta l’avvocato: “Io con lui ho scritto un libro e sono fondamentalmente colui che l’ha redatto: la firma è di Pelosi ma l’ho scritto io, chiaramente attraverso i suoi racconti. Devo dire la verità: una parte delle informazioni non sono state date e sono gelosamente custodite in una cassetta di sicurezza per ovvie ragioni, perché sono troppo forti. Lui non se l’è mai sentita di diffonderle per la paura che qualcuno potesse toccare lui o i suoi familiari. E non nascondo che la stessa paura potrei averla io, perché è vero che la firma sul libro e i fogli che ho sono a firma di Giuseppe Pelosi, ma è anche vero che avendoli io ho sempre il timore che qualcuno possa venire a bussarmi alla porta. Quindi esiste una verità, la verità non è morta con Pino Pelosi. Però è una verità talmente pesante e difficile da poter raccontare con semplicità, che vedremo… Mi lascerò consigliare, parlerò con i familiari e parlerò anche con qualche altro collega per vedere come e quando tirar fuori tutto quello che
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so”. In un primo momento i funerali di Pelosi furono rifiutati dalla parrocchia nella quale la sorella Anna era andata, poi il 22 luglio ne seguì una denuncia. Anche dopo la sua morte Pino ha fatto discutere. Anna è venuta a mancare qualche anno dopo, ma fu sempre dalla parte del fratello. Rimane la moglie di Pino e suo figlio. Al di là dei giudizi morali, delle colpe, delle diverse maniere di vivere, Pasolini era un fine letterato, un poeta e Pelosi un ragazzo di borgata, un ragazzo semplice. Due individui apparentemente diversi. Si conobbero proprio nei pressi della Stazione Termini e per un breve periodo si frequentarono. Forse la cosa che li accomuna è il legame forte con la famiglia. Pasolini, infatti, scrisse per la mamma una splendida poesia, Supplica a mia madre, nella quale affermò: “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. […] E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame/d’amore, dell’amore di corpi senza anima”. Pierpaolo sembra dire di aver fortemente bisogno dell'amore della madre, che è grande, immenso, che fa nascere in lui la paura della solitudine, poiché nessun'altra donna o uomo potrà mai sostituirla. Alla fine, il poeta supplica la madre di non morire, di rimanere per sempre con lui. Ha paura di rimanere solo e incompreso. È la stessa solitudine di cui parla il fotografo, ma alcuni raccontano anche di una grande rabbia che proveniva dalla mancanza di un rapporto sano con il padre. A un certo punto, dopo nove anni di carcere e trenta dal delitto, Pelosi affermò di non essere più l’assassino e che si prese la colpa perché avevano minacciato la sua famiglia. Restano molti dubbi e numerose sono le domande senza una risposta chiara. È certo che le loro furono due vite tormentate. Da una parte Pasolini, affamato d’amore che si sentiva solo, incompreso e cercava in questi incontri rubati di saziarsi, Pelosi, giovane umile e povero, privo di un’istruzione e di una stabilità economica, era in cerca di soldi.
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Due anime forse fragili per certi aspetti e per motivi diversi, che si muovevano tra la malavita romana, confine labile e pericoloso, uno c’era nato, l’altro ne era attratto perché nel buio della notte era libero di essere se stesso. Manuela Mazzola
Intervista a
ADALBERTO BALDONI Giornalista, saggista e politico italiano di Manuela Mazzola Adalberto Baldoni (Roma, 5 novembre 1932) è un giornalista, saggista e politico italiano. Dopo avere conseguito la maturità scientifica al liceo romano Augusto Righi, ha prima frequentato la facoltà di scienze politiche alla Sapienza di Roma, poi si è laureato in Pedagogia, indirizzo psicologico. Appena conseguita la maturità, iniziò l'attività giornalistica al rotocalco milanese Meridiano, dove si specializzò nelle inchieste di
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attualità e di costume (1960-1963). Giornalista pubblicista dal 1962, professionista dal 1974, fu cronista parlamentare dal 1980. Dal 1972 lavorò per più di trent'anni al quotidiano Secolo d'Italia di cui fu dapprima capo del servizio interni (nel periodo degli Anni di piombo), poi resocontista parlamentare ed infine redattore capo. Nel 2000 ha scritto il soggetto e la sceneggiatura del documentario Sessantotto. L'utopia della realtà. Dal 2002 al 2005, con Umberto Croppi direttore editoriale, ha diretto la collana "Zona Grigia" (dedicata alla saggistica e all'attualità) della casa editrice Vallecchi. Nel 2011, per l'Istituto Luce (di cui è stato consulente storico), ha scritto il saggio Il bene comune. Presenza e operosità sociale dei laici cattolici, diffuso con un DVD (regia di Ferdinando Vicentini Orgnani). È stato consulente storico, assieme a Sandro Provvisionato, della miniserie Trilogia anni '70, in sei puntate, prodotta dall'Albatross per la RAI, andata in onda all'inizio del 2014. È autore, tra l’altro del libro Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra, edito dalla Vallecchi nel 2010, scritto assieme all’ intellettuale Giani Borgna, prefato dal filosofo Giacomo Marramao. Buongiorno dott. Adalberto Baldoni. Quando e come ha conosciuto Pasolini? Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini, per caso, a metà anni Cinquanta. Avevo poco più di venti anni e frequentavo a singhiozzi l’università. Dopo avere conseguito la maturità al liceo scientifico Righi, di via Boncompagni, mi ero iscritto a Scienze Politiche. Il nostro primo incontro è avvenuto a Monteverde Nuovo assieme ad altri ragazzi del quartiere negli intervalli delle partitelle di calcio in un campetto attiguo alla Circonvallazione Gianicolense a cui assisteva Pasolini, ancora non famoso, che abitava nei pressi. Non ricordo se anche lui partecipasse saltuariamente al gioco. Può darsi lo facesse quando ero impegnato in altre parti della città. Come seppi in seguito, nel ’54 Pasolini,
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aveva abbandonato l’insegnamento a Ciampino e si era trasferito in via Fonteiana, a Donna Olimpia, dopo la dura esperienza dell’estrema periferia romana, a Ponte Mammolo e Tiburtino III. Un’ esperienza che gli aveva lasciato indubbiamente il segno. Anche per me è stato un periodo tumultuoso e doloroso, a volte frustrante e deprimente. Amarezze, delusioni e angosce incidevano negativamente sulla mia serenità quotidiana. A vent’anni di solito si è sereni, proiettati verso il futuro… In quel periodo io e mio fratello Romolo, più piccolo di me, abitavamo a Monteverde, in via Folco Portinari, ospiti di una caritatevole signora a cui si era rivolta mia madre, allora ricoverata in ospedale. Ci sembrava di avere toccato il cielo con un dito. Dalla baracca di via Giuseppe Cei a Torpignattara, dove ci eravamo rifugiati, assieme ad altri sfollati tornando dalla catastrofica esperienza del Nord dove mio padre, convinto fascista, con spavalderia e incoscienza aveva trascinato l’intera famiglia dopo l ‘8 settembre 1943, ad una stanza spaziosa e ordinata. Quando eravamo tornati dal Nord, al termine della guerra civile, eravamo ancora bambini…. Pertanto andare dalla promiscuità del rifugio di Torpignattara, all’agognata intimità di una casa, significava rincominciare a vivere, sperare, sentirsi pari agli altri ragazzi. Questa svolta, come accadrà per altre in avvenire, era stata propiziata da mia madre che, nonostante la sua grave malattia, era riuscita anche nell’ambito dell’Ospedale Forlanini a creare una rete di solidarietà verso la sua disastrata famiglia. Di cosa parlava con Pasolini? Io e mio fratello avevamo lasciato dietro le spalle la Marranella, così come Pasolini aveva abbandonato la desolante borgata di Ponte Mammolo per una zona più vivibile. È stato facile, sotto questo punto di vista, stabilire una reciproca comprensione. Abbiamo parlato anche della guerra. Ma Pasolini glissava sui truci
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episodi della guerra civile che avevano coinvolto le nostre rispettive famiglie, anche se con esiti differenti. Aveva avuto la possibilità di scegliere il suo destino, così come lo aveva fatto liberamente suo fratello Guido che aveva combattuto al Nord con i partigiani della brigata Osoppo- Friuli (cattolici, monarchici e azionisti) ed era stato ucciso a Porzus nel febbraio 1945 non dai fascisti, ma dalle formazioni comuniste della Garibaldi – Natisone che obbediva agli sloveni di Tito. La loro colpa era stata quella di essersi rifiutati di togliersi le mostrine tricolori per sostituirle con la stella rossa. Pier Paolo al contrario di suo fratello, se n’era rimasto a Casarsa, a scrivere le sue prime poesie. Conversando con lui, avevo capito che la disperazione e la solitudine se le covava dentro se stesso, sin dall’adolescenza, sin dalla giovinezza, quando si crucciava per le incomprensioni e gli insanabili contrasti con il padre, Carlo Alberto, ex ufficiale dell’esercito che, tornato dalla prigionia in Africa, non si rassegnava alla morte del figlio minore e alla nuova residenza in un piccolo centro contadino come Casarsa (il paese di sua moglie che aveva sempre disprezzato) e che guardava con inquietudine la militanza comunista di Pier Paolo. Al di là della politica, altri erano i problemi che affliggevano Pier Paolo. La sua sofferenza interiore era esplosa quando la sua omosessualità era venuta alla luce e poi quando suo fratello -con cui aveva un legame profondo- era stato ammazzato dai partigiani comunisti. Ma come, avevo detto a Pasolini, i comunisti ti ammazzano un fratello che adori, ed invece di voltare le spalle ai suoi assassini, ne condividi il loro percorso… Ma era un’osservazione pretestuosa, perché anch’io avrei dovuto odiare i fascisti, che avevano ammazzato i miei cugini, partigiani. I discorsi, allora, scivolavano sul pallone (era comune la passione per il calcio e lo sport in genere), sulle donne, sui progetti futuri, sulla voluttà sessuale ricercata come evasione dalle angustie quotidiane, insoddisfazioni a
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scuola, nello studio, nel lavoro, nella famiglia… Poi Pier Paolo spariva nell’oscurità, verso i suoi luoghi occasionali d’evasione… Prediligeva piazza della Repubblica, i giardinetti della stazione Termini. Libero di agire come voleva. Di incontrare chi voleva. Pasolini uomo. Com’era? A questa domanda, sinceramente, non posso risponderle. Come le ho accennato i nostri incontri sono stati occasionali, sporadici. Troppo poco per giudicare una persona. Ero troppo giovane per esprimere un giudizio. I suoi amici di allora oppure coloro che lo hanno frequentato nelle sedi del Pci o della Federazione giovanile comunista (come Gianni Borgna, Goffredo Bettini, Walter Veltroni, ad esempio) ne hanno parlato a sufficienza, anche se - per quanto ho letto – Pasolini era riservato specialmente negli aspetti più intimi. Nel libro che ho scritto assieme a Gianni Borgna (purtroppo prematuramente scomparso) mi sono affidato alle testimonianze di alcuni frequentatori dei giardinetti della Termini. Nella mia professione ho sempre prediletto il giornalismo di inchiesta. Anche quasi tutti i libri che ho scritto, ultimo in ordine di tempo “I ragazzi del ciclostile” che percorre la storia ventennale della Giovane Italia organizzazione studentesca di destra, mi attengo ai fatti, reali, alle testimonianze, ai documenti. Nulla è lasciato al caso o alla fantasia. Ebbene anche per il saggio su Pasolini, ho cercato, attraverso le mie conoscenze, chi poteva averlo conosciuto. Ho scovato due persone, affidabili, ambedue omosessuali che mi hanno descritto il Pasolini “segreto”. Più che essere “affamato di amore”, come lei mi ha chiesto, mi sembra che fosse affamato di sesso. A lui piacevano le avventure, non le relazioni. Ci sono parti del libro incompiuto “Petrolio” dove l’autore descrive minuziosamente approcci, patteggiamenti di danaro con le “marchette”, rapporti sessuali descritti minuziosamente con appagamento mentale più che fisico, le estenuanti nottate passate a cacciare le prede, fino all’ alba… Alla Termini come al Pratone della Casilina.
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Cosa pensa di Pino Pelosi, il presunto omicida di Pasolini? C’è poco da pensare. Pino Pelosi, come è stato descritto anche da chi lo ha conosciuto, era un ragazzetto sprovveduto in cerca di danaro. Il rapporto sessuale all’ Idroscalo di Ostia nella notte del 2 novembre 1975, è stato un “incidente di percorso”….che si è trasformato in una tragedia. Si tenga conto che non era la prima volta che Pasolini andava incontro a gravi disavventure. Ne sono piene le cronache dei giornali, i rapporti della polizia, ecc. ecc. Secondo uno dei miei testimoni, può darsi che Pelosi abbia fatto da esca per altri balordi, il cui unico scopo era quello di rapinarlo. Escludo nella maniera più categorica che l’uccisione di Pasolini sia stata fatta per motivi politici. È un’ipotesi che calpesta la verità dei fatti. Manuela Mazzola
CARO PIER PAOLO di Dacia Maraini di Lucio Zaniboni
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L critico letterario Carmelo Aliberti, sempre attento a discernere nel magma delle pubblicazioni i cui titoli ogni giorno affollano i media, pubblica una partecipata e interessante recensione del libro “Caro Pier Paolo” Edizioni Neri Pozza, nella nuova Collana Bloom, edito in occasione del centenario della nascita del poeta, narratore e sceneggiatore, figura di primo pian o del Novecento Letterario Italiano, Pier Paolo Pasolini. L’opera, in forma epistolare, fa scaturire il ricordo dell’amico scomparso, con cui tante erano state le frequentazioni a Roma, dagli anni sessanta-settanta, fino alla sua tragica scomparsa. Come per tanti altri personaggi del tempo, poeti, artisti, intellettuali, gli incontri erano a
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Piazza del Popolo, al bar Rosati, al ristorante La Campana… ed era per il piacere di trascorrere serate insieme a raccontarsi progetti, esperienze, speranze… Nel commosso e commovente ricordo, riferisce che spesso egli appare nei suoi sogni “come quel giovane cinquantenne” “profeta solido dal corpo agile, sportivo, la faccia seria, non imbronciata, ma pensosa, lo sguardo sognante”. Pasolini qui, ritorna vivo in tutta la sua grandezza di intellettuale, mentre vengono rievocate le figure femminili che gravitarono nella sua vita. In primo piano la madre Susanna, per cui il poeta aveva un culto, una venerazione, a lei aveva dedicato “un’amara e bellissima poesia”, la cugina Graziella Cerami, Elsa Morante, legata a lui da un appassionato rapporto, Laura Betti e Maria Callas, spiritualmente veramente amate. Lunga pure l’amicizia e la frequentazione con la giornalista Oriana Fallaci che lo amava come una
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madre ama il figlio o una sorella il fratello. Di Pasolini la scrittrice riesce a fare risaltare il carattere di un uomo mite, generoso, sempre pronto a dare a chiunque si rivolgesse a lui. Erano la sua penna e la sua dialettica feroci nell’indignazione, nella diatriba in un discorso pubblico, pronte a colpire il segno qualunque fosse il bersaglio, civile, politico o religioso. La sua autorità letteraria e artistica e le sue stoccate suscitavano reazioni, tanto che nel corso degli anni aveva ricevuto più di ottanta denunce pretestuose e persecutorie. Lo stesso era avvenuto anche per la Maraini e, a volte, ad entrambi contemporaneamente, contestazioni anche da parte di giovani rivoluzionari del sessantotto. Scrive la Maraini: “Caro Pier Paolo, i ricordi saltano come cavallette. Sembravano corpi morti e invece eccoli vivi e vegeti, che si agitano per farsi sentire e vedere”. E tra i ricordi la capacità discorsiva del poeta: “Tu volevi provocare ed eri bravissimo a suscitare collere, irritazioni e reazioni rabbiose. Eri contento quando riuscivi ad accendere furie viscerali e urgenti voglie di vendetta”. Ecco, forse queste parole possono essere la chiave di lettura della morte di Pier Paolo Pasolini. Una vendetta forse, e forse di carattere politico. Come i più sanno, la morte di Pasolini fu dichiarata come uccisione da parte di Pelosi, un giovane di vita, uno dei tanti descritti da lui, per un diverbio, in un loro incontro. Pelosi fu sorpreso a viaggiare per Roma sulla macchina del poeta e, fermato, si autoaccusò dell’omicidio. Già questo (la Maraini lo mette in rilievo) avrebbe dovuto rendere palese che il giovane aveva attirato su di sé l’attenzione, impedendo così che l’inchiesta e le indagini potessero procedere. Il ricordo continua, sfilano le pagine e ritornano i giorni sul mare di Sabaudia, sul litorale di una bellezza selvaggia, dove l’autrice, Moravia e Pasolini avevano affittato Villa Antonelli, casa in cui trascorrere le vacanze.
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Così, come nella fotografia in copertina del libro in cui appaiono la Maraini e Pasolini in un giorno d’estate, ritornano i ricordi: “Caro Pier Paolo, ho in mente una bellissima fotografia di te, solitario come al solito, che cammini, no forse corri, sui dossi di Sabaudia, con il vento che ti fa svolazzare un cappotto leggero nelle gambe, il volto serio, pensoso, gli occhi accesi. Il tuo corpo esprimeva qualcosa di risoluto e doloroso”. Per comprendere meglio la personalità di Pasolini può aiutarci anche la lettera che la grande giornalista Oriana Fallaci, gli ha inviato postuma. Mentre ricorda i tanti momenti trascorsi insieme a lui e alla Callas, ne traccia un profilo interiore sicuramente convincente. Uno spirito inquieto, ma dolcissimo, teso alla purezza, che considerava il sesso un peccato. Nella contraddizione fra purezza e sporcizia, bellezza e bruttura, intelligenza e bestialità, grazia e grossolanità la ricerca dell’umiliazione in quegli incontri sordidi e detestati e voluti come una punizione. Dice la Fallaci: “Come certi frati che si flagellano, la cercavi proprio con il sesso che per te era peccato”. Un libro questo della Maraini che alla forza della rievocazione in forma epistolare unisce la richiesta, l’invito alla ricerca della verità. Aliberti, al vaglio della letteratura, ci da una lettura dell’opera della Maraini con sapienza di dettato e profondità d’indagine mettendone in luce l’intensità dei ricordi e la bellezza della tessitura formale che spesso assurge a lirismo. Lucio Zaniboni
UN DOLENTE DOLORE Un fiume tortuoso dalle acque calme sponde di salici e arbusti selvaggi animati da qualche fiore silvestre un dolente dolore negli occhi,
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passi stanchi, solo mani avvinte, balsamo risanante. Qua e là anatre naviganti con ali protese in un volo rasenti l’acque da sponda a sponda donavano lieve sorriso: quel poco per sopravvivere. Non v’è peggior ferita di quella che infligge un figlio ingrato! Wilma Minotti Cerini Pallanza, Verbania
DIO DEL NULLA E DEL DOLORE Dio del nulla e del dolore Dio dei poveri mio Dio assistimi ti prego nel salire i gradini del buio con l'involucro del male con la pena del prossimo nel cuore. Dio del nulla e del dolore Dio riemerso dal buio a intermittenza nel delirio ingiusto dell'ingiusto assistimi ti prego mentre sgrano storie di pietà e di speranza... Carmelo Aliberti Di Carmelo Aliberti mi piace ricordare l'eticità del suo proporsi come poeta in cui si incarna la ribellione a un mondo ingiusto in cui il capitale ha schiacciato l'individuo slegato dal potere, ridotto a robot il contadino, emigrato in citta, alla catena di montaggio in fabbrica e la caduta dei costumi. Il Dio del nulla, soltanto lui, può essere l'ancora di un'umanità che naviga senza più certezza d'approdo. L'assenza di Dio nella vita odierna crea sconcerto, relatività e l'uomo, senza destinazione, lotta contro il fratello e contro un destino che disorienta. Ma in Dio, nel suo disegno per l'umanità, non muore la speranza del poeta che attende il riemergere dal buio, in cui sono stati confinati, Dio e l'uomo. Lucio Zaniboni
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EDITH DZIEDUSZYCKA A PENNELLO di Isabella Michela Affinito
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ER la poetessa, artista, fotografa, con basi di studi classici, d’origine francese e da molto tempo residente in Italia, Edith Dzieduszycka, l’Arte, letta e “filtrata” da lei nella sconfinatezza della compagine pittorica, è diventata un percorso d’apprendimento per chi saprà intuirla, decifrare i dettagli (indizi) suggeriti dalle numerose sue poesie di questa particolare raccolta, A pennello, fino a – con buone probabilità – riuscire a pervenire al nome dell’autore dell’opera artistica versificata. Dapprincipio in lei non c’era un vero e proprio progetto editoriale di poesia sul tema dei pittori d’ogni epoca e delle loro opere di qualsiasi corrente, perché «[…] in modo istintivo e quasi sotto forma d’indovinelli, mi è venuto
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in mente che poteva essere più interessante lasciare quei testi nell’ordine spontaneo e disordinato in cui li avevo elaborati, con un andirivieni continuo tra secoli e generi. Potrà forse sconcertare ma, spero, rendere più divertente e imprevedibile il loro susseguirsi, alla scoperta del protagonista.» (Dalla Presentazione dell’Autrice, pag. 5). Senz’altro la silloge si rivolge alla platea degli “addetti ai lavori”, ma anche chi non è ferrato nella storia dell’arte può esercitarsi nel dilettevole espediente alla ricerca della Bellezza manifestata in pittura, che va, secondo la preferenza personale dell’autrice, da Giotto agli artisti dei nostri tempi, come Maurizio Cattelan, Ch. Javacheff detto Christo, Fernando Botero, Mimmo Rotella ed altri ancora menzionati nella silloge della Dzieduszycka. «[…] La loro cura formale nasconde l’intento giocoso e certe volte ironico di solleticare e stimolare l’ingegno di chi legge. Nei fatti il gioco letterario parte e torna al dato reale, perché tutto il rappresentato esiste già nelle opere sottese, ma è la mente del giocatore a doverlo ritrovare. Riconoscere un artista e il suo lavoro per il tramite di un gioco di parole è un esercizio mentale sublime, nel testo è racchiuso al tempo stesso un dettaglio e il complesso di una intera esistenza d’autore.» (Dall’Introduzione di Elisa Govi, pag. 8). Solo alla fine del libro si potrà finalmente scoprire a chi o a quale opera artistica italiana, o internazionale, si riferisce ciascuna poesia dell’autrice, dacché nell’Indice si riscontrano gli abbinamenti da lei effettuati (titolo della lirica accanto al nome dell’artista) e nella sezione della Galleria addirittura compaiono le innumerevoli riproduzioni dei dipinti presi da lei in esame, attraverso i quali è defluita la trasmissione dell’alito di vita poetica. Il repertorio dei dipinti è vastissimo e affascinante: da Claude Monet a Francisco Goya, a Pieter Bruegel il Vecchio, a Diego Velázquez de Silva, a Balthus, a Paul Delvaux, a Pablo Picasso, a Gustave Courbert, a Gaspare
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Vanvitelli, a Egon Schiele, El Greco, Giuseppe De Nittis, Amedeo Modigliani, Alberto Burri, Aubrey Beardsley e l’elenco potrebbe occupare un’intera pagina. Diciamo che codesto “percorso” inventato di tappa in tappa senza tanta prolissità, abilmente dalla Dzieduszycka, potrebbe rappresentare una piacevole alternanza allo studio diretto della stessa storia dell’arte, o comunque un’importante strada parallela fatta di “quiz” celati nei versi che, anche per un esperto del settore, si rivelano utilissimi e divertentissimi. Ecco cosa le ha ispirato il pittore e disegnatore austriaco, Egon Schiele, morto ad appena ventotto anni a causa dell’allora “febbre spagnola” (probabilmente cominciata in Spagna) diffusasi a macchia d’olio negli altri Stati europei in concomitanza con la Prima guerra mondiale. «Poco vissi/ a cavallo dei secoli/ e troppo presto// in tempo feci però/ prima che t’annientasse/ la spagnola/ a contemplare/ attraverso lo sguardo/ tagliente dei tuoi/ nudi/ scarni personaggi// lo scenario feroce/ del tuo tempo nonché/ erotica/ scandalosa/ la lotta/ in cui deve/ per forza/ qualcuno soccombere.» (Pag. 86). Nelle poesie serpeggia l’essenziale della biografia e dello stile dell’artista a cui è stata destinata la composizione ed è proprio l’essenzialità a creare interesse, voglia di pronosticare, d’apprendere e di ciondolare con la fantasia oltre ciò che è stato vergato, e magari andare ad approfondire altrove quel determinato creatore artistico. Allora il medesimo tracciato lo si guarda sotto l’aspetto circonferenziale, una specie di carosello in azione dove l’inizio e il traguardo sono la stessa cosa: così è stato per l’autrice e così sarà per il lettore. Un cerchio fatto di immagini descritte a parole e parole che suscitano visioni legate a quadri famosi, e non si finirebbe mai di “circuitare”! «Forse ghiotto/ un bel divertimento/ hai scoperto con/ frutta e ortaggi/ alberi piante pesci/ pure acqua e fuoco/ perfino libri
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aperti// tutti quanti hai piegato/ mago illusionista/ al tuo capriccio/ plasmato/ trasformato/ regalando loro/ vita/ volto/ carattere.» (Pag. 97). Stavolta è stato encomiato il pittore della Milano tardo-rinascimentale, Giuseppe Arcimboldo (1527-1593), che molto si distinse nei suoi elaborati lavori ad olio proprio per aver ripreso sulla tela originalissime allegorie delle quattro stagioni e quant’altro, realizzati con l’ausilio d’elementi tratti dal regno animale, vegetale, floreale, varia oggettistica in metallo, dorsali di libri e libri aperti, stuoie, armi, portacandele, pezzi staccati di caraffe, di botti, etc.; lui volle stupefare l’osservatore del suo tempo dando l’illusione d’aver ritratto qualcuno o qualcosa che nella realtà non esisteva. «Con un’operazione intermodulare e intersemiotica come A pennello, Edith Dzieduszycka ha costruito – forse anche per un qualche misterioso input del suo nome, pressoché impronunciabile per un italiano – un meccanismo di speciosa intelligenza riflesso su un insieme di facce, e di facies, che continuano a moltiplicarsi e a sfuggire al controllo del riguardante-lettore-indovino.» (Dalla Postfazione di Mario Lunetta, pag. 131). Isabella Michela Affinito Edith Dzieduszycka: “A PENNELLO”, La Vita Felice di Milano, 2013, pagg. 140.
PRESENZE Più prezioso il silenzio della campagna se un remoto potare zappare gli dà voce, se il moto di un trattore rivela presenze. Amo il silenzio abitato da suoni lontani. Amo la mia gente l’eco del suo lavoro. Ada De Judicibus Lisena Da: Omaggio a Molfetta, Edizioni Nuova Mezzina, 2017
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PUBBLICATA LA NUOVA MONOGRAFIA SU ADA DE JUDICIBUS LISENA, A CURA DI
MARINA CARACCIOLO di Gianni Antonio Palumbo appena stata pubblicata dalla casa editrice Bastogi la monografia Il pensiero sognante. La poesia di Ada De Judicibus Lisena, per opera di Marina Caracciolo, saggista milanese residente a Torino. Un tassello che si aggiunge ai due volumi di Vincenzo La Forgia, al recente, lucido, libro di Marco Ignazio de Santis dal titolo La poesia degli “istanti puri” di Ada De Judicibus Lisena (Solfanelli, Chieti 2019) e ai numerosi contributi dedicati alla scrittrice molfettese da vari studiosi. Il libro, di fattura pregevole, presenta in copertina la riproduzione di un olio su tela di Will Barnet, traduzione pittorica perfetta di quello ch’è il Leitmotiv dell’interpretazione
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di Caracciolo: lo scandaglio del “pensiero sognante”, declinato nei “voli vaghi e leggeri” di cui la studiosa tesse le fila muovendo dagli scritti d’esordio della poetessa. Marina Caracciolo, di cui segnaliamo anche la bella monografia su Imperia Tognacci (ancora edita da Bastogi nel 2020), agisce in una sorta di rispecchiamento con la coscienza dell’autrice, mostrandosi in piena sintonia con la visione del mondo e dell’esistenza della De Judicibus e coniugando il rigore scientifico con la qualità della scrittura, elegante e limpida. L’opera si compone di dodici brevi capitoli, che ripercorrono le varie tappe della produzione dell’autrice, da La cortina dei cedri sino ai recenti Versi da Milano, in parte pubblicati sulla storica rivista “La Vallisa” e ora offerti in appendice alla monografia, quale nuova tappa dell’itinerario lirico della De Judicibus Lisena. Quest’ultima, infatti, da due anni risiede nel capoluogo lombardo, in cui ha vissuto il trauma collettivo del diffondersi della pandemia, che, nelle sue prime fasi, ha investito duramente la città. Di ogni raccolta Caracciolo offre una descrizione caratterizzante, puntellando la sua trattazione con le voci degli studiosi che di volta in volta si sono approcciati ai versi della De Judicibus Lisena e offrendo, al contempo, stralci o riproposizioni, in alcuni casi, di intere poesie dell’autrice. Ne vien fuori una trattazione agile e coerente in ogni sua parte, che segue il fil rouge di quelle “invisibili ali” per effetto delle quali i versi di Ada “Sembrano planare da misteriose alture con la levità di una piuma oppure, al contrario, librarsi in voli senza peso verso spazi indeterminati”. Perché il mistero è la cifra inesauribile della produzione artistica della De Judicibus Lisena e non a caso l’aggettivo ‘arcano’ è una delle parole chiave per accostarsi alla sua scrittura. Scrittura che coniuga la levitas propria di chi è nel cuore “segno d’aria” con il composto attraversamento del destino di dolore cui ogni essere umano prima o poi va incontro, il quale emerge con nitore nelle Note ai margini di una pena. Molto condivi-
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sibili, a tal proposito, le osservazioni che Caracciolo avanza sulla scomparsa del gatto, constatata dall’autrice al ritorno alla sua casaveste amata dopo aver accompagnato il marito ricoverato in un ospedale del Nord: “la scomparsa del gatto diviene quasi un simbolo: un vuoto, un piccolo strappo, una scalfittura che è rimasta nell’anima, come se il dolore sofferto volesse dire: “io ci sono stato, però”. Nel microcosmo della scrittrice, infatti, il venir meno di ogni elemento, anche piccolo e agli occhi altrui non particolarmente significante, diviene causa di una lacerante incrinatura. L’intimismo e il lirismo non escludono la denuncia: molto bene, a nostro avviso, a proposito di Segno d’aria, Caracciolo cita le parole di Donato Valli per cui dal “nettare dolce” di questa poesia si erge “la forza dell’opposizione, della resistenza, della denuncia”. Un’analisi accurata, dunque, nell’approccio alle poesie così come alle prose di Le parole, i silenzi, sommessa e al contempo vigorosa auscultazione di donne violate dalla Storia. Chiudo con un’espressione d’apprezzamento per i Versi da Milano. Rapiscono quei Giardini pensili, “eco delle origini, / miraggio della casa antica / che aveva per tetto il cielo”. Il motivo della “casa antica” ci sembra essere un po’ il mito personale della De Judicibus Lisena. La scopriva nella campagna intorno a Molfetta nei testi in cui si inebriava della primavera, del contatto con la natura. La risentiva nel “verde fogliame”. L’ha cercata tra i nembi, da “acchiappanuvole”… E ora ne scorge una declinazione nei tetti di Milano. Ma l’incanto è lacerato dall’esplosione, inattesa, tragica, della pandemia, che domina l’intensissimo piccolo canzoniere della “donna alla finestra”. Si tratta di una vicina di cui la poetessa incrocia lo sguardo e da cui è fortemente incuriosita: “Darei oro per i suoi pensieri”. Poi l’arrivo del virus; il viso della donna è allora in parte celato da quella “farfalla biancheggiante” che tutti ormai ben conosciamo, ma che finisce col divenire emblema e figura di Morte, quasi fosse un agente patogeno che “le divora la faccia”. Poi
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la donna svanisce, forse risucchiata nel gorgo dal morbo; straziante è il contrasto tra la desolazione della sua assenza e il rigoglio della “sua veranda” che “lussurreggia di primavera”. Svanisce per poi ricomparire in un sogno livido e angosciante, che l’autrice descrive nella sua spettrale orrida consistenza. E così ritorna nei versi il pensiero dell’Incognita, quella Morte di cui tante volte la De Judicibus ha già immaginato e descritto con pudore e delicatezza l’ipotetico arrivo. La sua non è però una parola definitiva, perché al suono delle sirene dell’ambulanza, suo araldo, si affiancherà, nel febbraio 2021, il cantare sottovoce di Irene, preludio a un ritorno del vivere, della speranza nel domani. “Irene canta sommesso: / (…) Intima, con lei canta la casa”. Gianni Antonio Palumbo
SUPERSTITE Indugia il tramonto e, con l’ultima rondine che remiga tra viuzze, il superstite della brigata rulla un cerchione sospinto dalla mano. Infine ebbro, avvolto dal silenzio precoce del paese, nella fioca luce dell’abitacolo riposa. Rocco Cambareri Da: Versi scelti, Guido Miano Editore, 1983
i miei come quelli di tutti sogni rimessi a uno a uno nel cassetto d’ailleurs si deve vivere allora lancio nello spazio palloncini e li contemplo al sole libres Lucio Zaniboni Como
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MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO I SAVOIA – ACAIA di Tito Cauchi
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ARCELLO Falletti di Villafalletto è impegnato in molte attività culturali, è preside dell’Accademia Collegio de’ Nobili; è fondatore e direttore del periodico L’Eracliano, di Firenze. Il volume I Savoia-Acaia è riedizione revisionata della sua pubblicazione del 1990; è dedicato “Alla memoria della Beata Margherita e di tutti i membri del ramo dei Principi di Savoia-Acaia che tanto fecero e hanno lasciato nel nostro Piemonte sabaudo”. La prefazione è a firma di Claudio Falletti di Villafalletto, cui segue una nota dell’Autore (non conosco il rapporto di parentela fra i due omonimi); in essa si avverte che agli storici si richiede obiettività, pur riconoscendo che “Il giudice troppo severo rischia, spesso, di nascondere la verità […]”. Il Nostro espone un quadro storico in cui le famiglie protagoniste sono
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colte nella loro dimensione umana familiare e personale e con onestà intellettuale dichiara di avere interesse di portare alla luce un passato che riguarda anche la sua Casata, che altrimenti finirebbe nel dimenticatoio, come è spiegato nella dedica; questo è ciò che avviene per quasi la totalità delle famiglie comuni. Giova premettere che la casata dei Savoia, fa parte della storia italiana, che ci appartiene, ed è bene approfondire. Era molto nota in Europa, già all’alba dell’anno Mille, fra le dinastie più prestigiose, particolarmente nel Regno di Borgogna, allora esistente in una vasta area territoriale compresa tra la Svizzera, la Francia e l’Italia occidentale, appunto parte del Piemonte settentrionale. Ebbene si attesta un Principato del Piemonte intorno al X secolo in un territorio denominato Savoia (nome suppongo derivato da trasformazioni grafiche e lessicali del toponimo Sapaudia, riferito agli abeti, già al IV sec., durante la decadenza dell’Impero Romano, che hanno poi prodotto Sabaudia). Nel prosieguo non voglio impelagarmi con la denominazione dei titoli nobiliari e sulla loro gradualità (conte, duca, marchese, visconte, vassallo, feudatario, ecc., senza contare titoli effetti e titoli nominali). Conviene percorrere le tappe del testo. Voglio precisare che alla Casa Sabaudia (o Savoia) si affianca, in seguito, un secondo ramo denominato degli Acaia. È l’evoluzione degli eventi che determina gli assetti, e sempre comunque precari, purtroppo come ai giorni nostri, attraverso conflitti di potere e di legittimità fra varie fazioni: ecclesiastiche e politiche, epidemie e guerre, l’avvicendarsi dei Papi e degli Antipapi (come Giovanni XXIII), l’inquisizione della Chiesa e superstizioni, Guelfi e Ghibellini, disastri e fame. L’Autore ammette la possibilità di fraintendimenti nella identificazione dei personaggi per via della ripetizione di nomi, anche perché è sempre difficile scriverne in assenza di documenti certi. Evidenzierò in grassetto i personaggi Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di
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Morea, sperando che torni utile alla visione di insieme (sono quattro: Filippo, Giacomo, Amedeo, Ludovico). *** (Primo Principe, capostipite) Filippo I d’Acaia (1278 - 1334). Eccoci qui, al libro di Marcello Falletti di Villafalletto. L’Autore entra subito in argomento iniziando dalla fine del XIII sec. con Filippo di Savoia, figlio di Tommaso II, che a soli 17 anni ereditò il Piemonte con il titolo di Signore di quelle terre, dallo zio paterno Amedeo V, Conte di Savoia, che ne aveva la tutela, con la promessa di non escludere i propri fratelli dalla parte loro spettante della Contea di Savoia. Il giovane principe non diede seguito alla promessa, pur assegnando dei benefici ai propri consanguinei. Intanto con senso di giustizia ha affrontato i feudatari di alcune città del basso Piemonte (Monferrato, Saluzzo) e dei territori contigui, che pretendevano di espandersi, come anche di stranieri e perfino dell’Impero, poiché esso accampava diritti di sovranità. E non mancavano le interferenze dei cugini Sabaudi così si formavano e si disfacevano alleanze secondo convenienza. Il Principe Filippo, sposando Isabella Villehardouin, erede del Principato di Acacia e di Morea, ne aveva acquisito il titolo, ma per giochi di potere, gli è rimasto soltanto il titolo nobiliare nominale, titolo in uso già al tempo dell’Impero Bizantino riferito agli antichi territori nel Peloponneso (Grecia). Rimasto vedovo, sposa Caterina di Vienne [Austria, Casa degli Asburgo] desiderando rafforzare di più i legami. Aveva posto la sua residenza ufficiale e principale a Pinerolo, in cui esistevano banchi di cambio e di prestito, fra cui quelli dei Falletti. Località amena situata in prossimità di Torino, distante quanto bastava dai territori governati dai Savoia, allora turbolenti. Filippo I si è dimostrato avveduto e buon regnante regolamentando le entrate, favorendo la cultura e le condizioni del popolo secondo possibilità. È stato rimpianto come “vero italiano”. A proposito della eredità di Filippo, Principe di Piemonte, passato come Filippo I
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d’Acaia (per brevità, giusto per ricordarlo) i fratelli gli restarono uniti e fedeli, vennero compensati ricoprendo cariche ecclesiastiche che assicuravano prestigio e stabilità economica: Pietro divenne Arcivescovo di Lione; Amedeo diventò Arcidiacono di Reims; Tommaso ricevette la nomina di Canonico di Amiens e poi fu eletto Vescovo di Torino; e il fratello minore Guglielmo fu eletto Abate di San Michele della Chiusa [le città francesi indicate stanno a dimostrazione della condivisione dei territori]. Filippo ebbe numerosi figli legittimi e naturali; in particolare si ricordano quelli avuti dalla seconda moglie, Caterina: il primogenito Giacomo che ne ereditò il Piemonte; Aimona che sposò Tomaso Falletti, signore di Villa [oggi Villafalletto in provincia di Cuneo]; infine Isondina che dette origine alla Linea illegittima di Collegno. (Secondo Principe) Giacomo d’Acaia (1319 - 1367). Aveva collaborato con il padre, Filippo I, ma alla morte del genitore, osteggiato dal Conte di Savoia, all’età di diciannove anni eredita il Principato stremato con il titolo di Principe d’Acaia e insieme con la madre Caterina era ridotto alla fame. Riuscì a superare le difficoltà grazie alla sua robusta tempra, all’intelligenza e agli aiuti dei Falletti, signori di Villa, così contravvenendo alla sua dipendenza dai Conti Savoia, in occasione della ricognizione dell’imperatore Carlo IV in Lombardia “si fece riconoscere quale vassallo imperiale” in tal modo poteva coniare moneta e ampliare i suoi poteri amministrativi. Entra in aperto conflitto con il cugino il quale lo priva dei territori e lo imprigiona insieme con il figlio Filippo (pronipote di Filippo I). E per rimediare ai contrasti gli viene imposto dallo zio Amedeo VI di Savoia di sposare Margherita di Beaujeu, di sedici anni, sorella di un suo fidato alleato, tanto più che Giacomo era vedovo due volte. Dal matrimonio fra Giacomo e Margerita, nacque un erede al quale fu imposto il nome di Amedeo. Tuttavia il Conte di Savoia non riuscì a istituire un potere assoluto sui territori del Piemonte. Giacomo era rientrato nei
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suoi diritti anche grazie all’aiuto di suo fratello Tommaso, il quale divenuto Vescovo di Torino e d’Aosta, fece in modo di passare al fratello Giacomo tutte le terre del vescovato torinese, coronando così l’antico sogno del capostipite Filippo I (il capostipite). Qui Marcello Falletti di Villafalletto si sofferma su un episodio che lui stesso definisce da romanzo. La giovane sposa di Giacomo, si era invaghita di Filippo II, figlio dell’anziano marito, volle perciò vendicarsi contro il giovane Filippo raggirando lo sposo, mettendolo contro il figlio, facendo sparire il giovane con l’aiuto del Conte di Savoia, Amedeo VI. Questi ne ha orchestrato un falso tradimento portandolo al processo e facendolo condannare a morte; giusto per nominarlo, fra i presenti si trovava il poeta Francesco Petrarca, il quale non credette alle accuse. Così, il Conte, ancora una volta, poteva accentrare nelle sue mani il potere assoluto del Piemonte. La fine di Filippo II è rimasta avvolta nel mistero; fra le varie ipotesi si racconta che egli, sotto mentite spoglie di un vecchio prelato, di ritorno dalla Terra Santa, si sveli alla nipote Margerita di Savoia-Acaia rimasta vedova. (Terzo Principe) Amedeo d’Acaia (1363 – 1402). Il piccolo Amedeo, figlio di Giacomo e protetto dal Conte Savoia stesso, raggiunta la maggiore età, si era allineato alla politica della Contea di Savoia. Nel susseguirsi degli intrecci fra i discendenti Sabaudi (Savoia e Acaia) si avvicendano principi e conti dello stesso nome “Amedeo”, fino a crearsi confusione, anche fra le fonti; tra cui un illustre Amedeo VI detto Conte Verde e un Amedeo VII detto Conte Rosso morto giovane, un Amedeo Conte di Ginevra la cui figlia Caterina sposa l’Amedeo d’Acaia che, a sua volta, fa da coreggente con Amedeo VIII bambino (il numero ordinale viene riferito ai conti del ramo Savoia), fin quando l’Amedeo bambino raggiunge la maggiore età e contende il governo del Piemonte; in tal modo il potere dei principi del ramo Acaia andava svanendo. Il soprannominato Amedeo d’Acaia non ebbe eredi (maschi) per la successione, ma
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ebbe quattro figlie: due morte in tenera età (Bianca e Caterina) e due altre, una di nome Matilde o Melchide o diversamente (13891420) e l’altra Principessa, di nome Margherita (1390-1464, la futura Beata). Margherita è molto votata alla religione, rivelando doti diplomatiche, prodiga di consigli, ben accolta dalle corti. Assunse una posizione importante a livello europeo, adoperandosi per la riappacificazione fra le opposte fazioni e dirimere le contese fra i sabaudi per ragioni di legittimità. Abbracciò il Terzo Ordine Regolare dei Domenicani seguendo la regola agostiniana. Rimase vedova del marchese di Monferrato ereditandone il titolo. Rimpianta come una santa, sarà beatificata nel 1670. (Quarto Principe, ultimo della dinastia) Ludovico d’Acaia (1364 – 1418). Subentrato alla morte del summenzionato fratello Amedeo, al quale sopravvissero due figlie (Matilde e Margherita), è riuscito a mantenere saldo il Piemonte. Si è rivelato un saggio principe anche grazie alle unioni matrimoniali fra i detentori del potere, e alle doti diplomatiche della nipote Margherita (futura beata). Ludovico, principe munifico e generoso, uomo illuminato, ha istituito corsi di studi anche universitari, occupandosi degli alloggi per gli insegnanti e gli studenti, soprattutto a Torino; fra l’altro curò l’amministrazione giudiziaria, punendo e multando la bestemmia, già allora. Frattanto doveva affrontare epidemie, eccessi e ruberie alle casse dello Stato. Ma dopo la sua morte, calò l’attenzione da parte di Amedeo VIII, Duca di Savoia e suo coreggente. (Non incluso fra gli Acaia, Luigi Racconigi, 1390 - 1459). Ludovico d’Acaia, l’ultimo reggente del ramo Acaia, ripetiamo, non lasciò eredi per la successione se non consideriamo il figlio omonimo Ludovico, avuto extraconiugale a Napoli e pertanto soprannominato Bastardo d’Acaia, come era nell’uso, o solo Luigi Racconigi. Si avverte che per le solite contaminazioni linguistiche si trova a volte la grafia di Ludovico o Lodovico o Luigi o Ludwig; questo fenomeno si verifica in generale. È doveroso ricordare che questo
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Luigi, figlio illegittimo di Ludovico d’Acaia, del quale ci parla la competente Maria José di Savoia (p. 110), fu veramente importante per l’intera storia sabauda; da lui ebbe origine la linea illegittima denominata “di Racconigi”. *** La dinastia del ramo Acaia, è durata quasi un secolo e mezzo nel governo del Piemonte (senza considerare il ramo illegittimo di Racconigi). Ai suoi Principi si deve l’avere portato nel Regno di Casa Savoia il Piemonte. Si sono curati della regione con saggezza, regolamentando la giustizia e l’amministrazione dello Stato, emanando precetti in materia di pubblica igiene. In Piemonte la cultura non fu messa in disparte tanto che “Non va dimenticato un certo Guido” (p. 136) per avere scritto “la prima poesia d’amore in Italia dopo il Mille”. (Mi scuso per la seguente chiosa: se il poeta Guido è lo stesso citato da Dante, penso si tratti del poeta variamente denominato: Guido da Messina, Guido Giudice, Guido delle Colonne, ossia Guido dell’attuale città di Gela, in Sicilia, di quando la città nativa era distrutta, e fu denominata Terranova, soprannominata “delle colonne” per abbondanza di colonne doriche, per quanto ne sappia) Probabilmente avrò fatto qualche cattiva interpretazione, me ne scuso. Osserviamo che tutti i Principi d’Acaia non hanno vissuto molto a lungo e che ciascuno ha dovuto fronteggiare un Conte Savoia. Ritengo giovevole per la cultura il volume di Marcello Falletti di Villafalletto, I SavoiaAcaia, Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di Morea, è un contributo alla storia. Il Nostro ha attinto in vari archivi e autori
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tra cui: L. Della Chiesa, D.A. Della Chiesa, F. Cognasco, P.L. Datta, L. Cibrario, N. Gabiani, E. Gabotto, Maria José di Savoia moglie di Umberto II [soprannominato il Re di Maggio] (L’Autore mi perdonerà se alla lineetta del titolo ho sostituito il trattino d’unione). Le foto riprodotte riguardano stemmi, sigilli, monete, monumenti e costruzioni antiche degli Acaia. Mi piace concludere con questa noticina: “Il tramonto dei Savoia-Acaia portava in sé quel germe generatore di un singolare Stato Unitario per tutta la penisola italiana che, dal tempo dell’imperatore Berengario, nessuno aveva mai vagheggiato” (p. 116). Tito Cauchi Marcello Falletti di Villafalletto: I Savoia – Acaia Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di Morea, Anscarichae Domus, Accademia Collegio de’ Nobili Editore, Firenze 2022, Pagg. 162 + 36 per foto.
NEVICA E' sera. Tutto tace., tutto è immobile. Non un volo d'uccello nel cielo buio, non una voce umana sulla terra muta. Nell'aria, però, qualcosa di magico, d'insolito, danzando, appare: mille e mille fiocchi candidi di neve si scontrano, volteggiano, scendono a terra e il tutto ricoprono d'un terso lenzuolo. Domattina il sole si desterà, osserverà il mondo tutto bianco, tutto nitido e dirà: <<Torno a dormire: i miei raggi non scopriranno l'anomalo della nostra terra>>. Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS
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IL DOLORE NELLA POESIA DI GIANNI RESCIGNO di Antonio Vitolo
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OME ogni mercoledì pomeriggio mi preparavo per andare in guardia (Sono un medico di famiglia e all’epoca anche medico di continuità assistenziale) a San Mauro Cilento. Quel mercoledì di maggio 2015 non era come al solito, ma aveva un sapore di tristezza. Ogni tanto, in un periodo più o meno lungo,
sempre di mercoledì prima di andare in guardia, passavo a San Maria di Castellabate, prendendo allo svicolo di Agropoli la strada che portava sulla costa e fermandomi a San Maria facevo una interessante e gradevole tappa al Corso Garibaldi, n. 22/24. Qui abitano i coniugi Rescigno, Gianni e sua moglie Lucia. Tutte le volte era un vero piacere incontrarli. Quel mercoledì di maggio non era l’abituale e serena visita ma era un addio, e, con il tempo che passa, oramai più di un lustro, è diventato per me un arrivederci. Spero per l’anima mia di poterlo incontrare di nuovo, io tra i banchi e lui alla cattedra dei poeti illustri della nostra bella patria Italia. Gianni, per me il Professore Rescigno, dopo Merini Alda, Un’’anima indocile, Edizione La vita felice, Milano 1996, pag. 9. 1
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una malattia funesta veniva chiamato nelle braccia del Signore del Cielo. Quello che mi colpì allora e che mi rimase impresso e ciò di cui voglio parlare in questo breve scritto. Il dolore dell’uomo, nelle sofferenze del corpo inanimato, che al di fuori della rigor mortis (rigidità cadaverica post mortem) conserva nei lineamenti della mimica facciale la lacerante ed umanamente insopportabile forza del dolore che scava, erode, e nel bollore magmatico del corpo esplode nella gola che sfianca l’animo anelando il riposo eterno, non è consueto. Dunque un uomo sul letto di morte, sofferente, con i lineamenti del viso contratti nel dolore … Vedo in questo gelido tuo sguardo /l’ultima morte … 1 Ho incontrato come medico, in questo mio viaggio terreno, la morte sempre come una riconciliazione serena con i lineamenti del viso che dopo la morte vengono abbandonati dalla sofferenza dettata dal dolore; come se la malattia dopo avere devastato il corpo, con la morte si allontana dall’essere umano concedendo finalmente serenità all’animo … Si è staccata in viso/ la maschera che avevi di dolore/ e sorridi beata del tuo tempo … 2 Per l’amico Rescigno, così indegnamente mi considerava nella sua grande bontà il Professore, sofferente anche nella morte; “maschera” che sicuramente non meritava per il suo essere “uomo” di famiglia e di fede, legato indissolubilmente alla moglie ed ai figli; strettamente coinvolto e partecipe alla vita sociale e religiosa del mondo di cui era ineffabile ed inalienabile fulcro. Avevo già visto questo viso di dolore un’altra sola volta nel mio viaggio da medico, ma questa volta non riuscivo ad osservarlo perché il mio cuore non lo sopportava, perché era sofferenza sul Merini Alda, Un’anima indocile, Edizione La vita felice, Milano, 1996, pag. 9. 2
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volto di un uomo che mi ha voluto bene. Gianni Rescigno. Un uomo buono oltre che un grande poeta. Anche lui si è chiesto: “… Cosa sono il sorriso e il dolore, se non il simbolo irrelato di due distinti momenti della vita, quasi gli emblemi di quelle alterne stagioni che scandiscono il ritmo dell’esistere … “.3 Due stagioni, la vita e la morte. La vita trascorsa in periodi alterni con le gioie e le amarezze, ma vissuta nella speranza che tutto possa migliorare e tutto possa avere un risvolto più gratificante del proprio operato sia come uomo che come letterato. Il dolore che in alcune fasi della vita ci attraversa, non solo come esperienza soggettiva, ma come cognizione messa in relazione al contesto sociale ed il contesto storico in cui si vive, quindi è << …molto più corretto parlare di “dolori”, nelle loro variabili soggettive e socio – culturali: non si tratta, infatti, soltanto di un fenomeno esclusivamente biologico, ma anche psichico, sociale e spirituale … >>.4 Questo concetto di sociale e spirituale in Gianni Rescigno ha trovato terreno fertile. Alcune sue liriche sono l’emblema della sofferenza dell’autore, ma anche dell’eterno amore che Rescigno provava per l’essere più importante e significativamente più misterioso per ognuno di noi nella vita: la madre … il suo respiro e la parola preghiere. La notte e il giorno appuntamenti: sempre con la morte….Mia madre …dalla brocca al posto del vino beveva l’aceto… Piccola, insignificante: speranza rimaneggiata dall’uno dall’altro in continua marcia, fermata da potente inaspettata scarica sul filo spinato dell’infarto…5 . Madre che vive nel lavoro quotidiano, costante, nella fervida attesa di rivedere i suoi affetti. La prima a svegliarsi la mattina quando tutto tace in casa, luogo inondato del
calore e del caldo respiro della notte appena trascorsa, per preparare la giornata di famiglia. Anche l’ultima nel recarsi a riposare non prima di avere recitato le preghiere per il buon riposo. Sempre la madre insegnamento costante … Ricordati che non devi mai accettare il calvario: quello degli uomini, s’intende. Ma se te lo dà il Signore accettalo … 6. Educato al dolore e di conseguenza alla sofferenza dalla imponente figura della madre. Imponente perché madre, che di tutto si occupa, della famiglia: - dal dare vita ai figli, nutrirli, accompagnarli nella crescita, sostenerli ed ascoltarli nelle decisioni del percorso terreno. Ancora più operosa ed indispensabile guida per la famiglia numerosa in cui Rescigno viveva. L’agro nocerino sarnese, dove ha vissuto le prime decadi di vita il nostro, terra fiorente ed in continua evoluzione ricca di frutto e frutti dove l’uomo con il quotidiano ed instancabile lavoro conduceva con la propria famiglia un divenire sereno. Di tutta l’opera letteraria di Gianni Rescigno per quanto concerne la rappresentazione del dolore in modo particolarmente evidente e con una sofferenza profonda mi ha colpito un verso consegnato ai posteri con una delicatezza ed allo stesso tempo con una forza espressiva e penetrante nel suo significato; quello nella poesia dedicata alla madre morta per un infarto cardiaco … fermata da potente inaspettata scarica sul filo spinato dell’infarto … .7 Terribile definizione di un evento improvviso e non prevedibile. Ogni essere che soffre questo episodio e riesce a sopravvivere lo definisce con uno stato di tremenda sofferenza … un dolore insopportabile …. Un peso con dolore al braccio sinistro e un senso di soffocamento … .
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Pumpo Luigi, Gianni Rescigno, Il tempo e la poesia, saggio, Ibiskos Editrice, Empoli (Firenze), 2003, pag. 12 4 Omero, Odissea, con note storico-mediche a cura di Donatella Lippi, Mattioli 1885, Fidenza (PR), 2014, pag. 25.
Rescigno Gianni, Tutto e niente, Genesi Editrice, Torino, 1987, pag. 32. 6 Rescigno Gianni, Come la terra il mare, Guida Editore Napoli, 2005, pag. 67. 7 Rescigno G., Mia madre in Un passo lontano, Piovan Editore, Abano Terme 1988, pag. 7
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Tante definizioni che fortunatamente si riescono a raccontare. Ma quando l’infarto è massivo, devastante, coinvolge tutto il tessuto del cuore, porta alla rottura dell’organo conducendo a morte improvvisa. Il dolore per la perdita dell’affetto più caro, la mamma, Rescigno lo ha metabolizzato già nelle sue prime raccolte tramutando in parole gli effetti delle emozioni. Lui uomo di fede oltre il dolore ha coltivato sempre la speranza con estrema convinzione di essere nel giusto, nella consapevolezza che il viaggio sul manto terreno è si latore di dolore, ma contrito con uno scopo che per i cristiani profondamente credenti è la salvezza eterna. Nel 1991 pubblica con i tipi della Lorenzo Editore, Un passo lontano, dove oltre ai paesaggi ed alle figure metaforiche delle stagioni, passano nell’inchiostro del nostro poeta come afferma Giorgio Barberi Squarotti nella introduzione critica, anche … la partecipazione appassionata alla tragica realtà dei tempi … Due i componimenti che colpiscono il lettore, Requiem per Ninì8 e Preghiera9. In Requiem per Ninì … una chiara preghiera … per l’unica goccia di bene / che ti scappa dalle ciglia / (nascosta da anni s’apre un varco / tra le intricate vie della morte ) … dove anche se chiusi gli oggi che sono riflesso dell’animo, nascondono un filo di bene, di redenzione, oltre l’evento ineluttabile della morte … vana e insensata … 10. Un riposo che va oltre il travaglio del viaggio terreno, la vita vissuta, che si conclude con un inestricabile riavvicinamento alla vita eterna anche se con l’ultimo respiro. Di diversa portata ma di eguale intensità la poesia Preghiera che reca nel sottotitolo, come un inciso, l’angoscia del poeta per la persona che ha contratto l’AIDS (acronimo
inglese della sindrome da immunodeficienza acquisita definita negli anni ottanta la peste del ventesimo secolo), un coinvolgimento partecipativo ai mali del mondo, che nella speranza oltre il dolore della vita cala la serenità della morte con la misericordia di Dio che attende l’uomo sofferente … fatti sorso di speranza per un pane / che forse non merito di dividere / al tavolo della tua cena / quando sui chiodi della mia pena / calerà per sempre la quiete…Quiete che nel volume Tutto e niente edito da Genesi di Torino nel 1987 ritrova una consapevolezza del poeta che, anche se il vivere può essere faticoso irto di difficoltà a volte doloroso, ha come fine ultimo la salvezza eterna … approdo e alla certezza e alla pacificazione della fede religiosa …11 . Il volume apre e chiude con due brevi poesie che dichiarano questo concetto incontrovertibile del vivere nella quiete dell’animo attraverso la natura, i luoghi e le persone tutto diretto nell’anelare ciò che la fede ci insegna ... Tutto e niente la vita così la morte. / Noi la vite noi il tralcio. / Noi: né la vite né il tralcio... 12. …Qualcosa più della notte è la notte./Vengo qui ad aspettarti Signore … 13 . Un amore terreno incontrastato per la natura, motore delle cose, e, un amore più grande nella vita elevato al cielo oltre il buio della notte, che passa perché è dei mortali, al fine di elevarsi alla bellezza di Dio. Il Dio di tutti che l’innocenza della morte che porta l’Onnipossente ad essere spettatore della libertà dell’uomo e la disperazione di chi non può agire nel fermare questa carneficina … Lo sgomento./Diluvia come il sangue/nelle strade. A Oriente/a Occidente il lamento/degli innocenti. Dio/non conta più le anime… 14.
Rescigno G., Il segno dell’uomo, Lorenzo editore Torino, 1991, pag.11 9 Rescigno G., Il segno dell’uomo, Lorenzo editore Torino, 1991, pag.13 10 Rescigno G., Il segno dell’uomo, Lorenzo editore Torino, 1991, pag.5 (dalla introduzione critica di Giorgio Barberi Squarotti).
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Rescigno G., Tutto e niente, Genesi Editrice, Torino 1987, pag. 5 prefazione di G.B. Squarotti 12 Rescigno G., Tutto e niente, Genesi Editrice, Torino 1987, pag.9 13 Rescigno G., Tutto e niente, Genesi Editrice, Torino 1987, pag.36 14 Rescigno G., I salici i vitigni, Antonio Lalli Editore, Firenze 1983, pag. 18.
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Il dolore è una esperienza di vita. Ogni dolore è personale, come gli uomini, miliardi sulla terra così il dolore in miliardi di sfaccettature. Inenarrabile a volte e a volte condizione che diventa una esplorazione introspettiva dell’uomo che la coltiva chiedendosi il perché e dandone con l’esempio di vita e con la costanza del proprio modo di essere (compito e razionale in ogni suo gesto e pensiero). È stato questo Rescigno. Un esempio. Antonio Vitolo P.S.: C’è tanto da scrivere sul dolore e sulla poesia di Rescigno e tanto è stato detto da Illustri saggisti. Oltre la raccolta di poesia “Il vecchio e le nuvole” edito da Bastogi nel 2019, Macabor editore ha dedicato la copertina de “Il sarto di Ulm” a Gianni Rescigno con un articolo di Sandro Angelucci. È in preparazione per Macabor Editore a cura di Bonifacio Vincenzi un volume completamente dedicato a Gianni Rescigno (SUD I POETI). Il ricordo per il Professore Rescigno è continuo e costante nel tempo.
IL MIO CALVARIO Ogni mattina mi metto sulle spalle la mia croce e riprendo il percorso quotidiano del mio calvario in compagnia del Signore Gesù. Sono piccole cose, disagi, doloretti e contrattempi, delusioni, dolori forti a volte, incomprensioni che tormentano l’anima, sensazioni di impotenza per tutto ciò che ormai mi impedisce di fare la mia età. Non più viaggi o lunghe passeggiate nel sole a primavera, solamente
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pochi passi (meglio se accompagnata ché la vista è un po’ diminuita) e qualche pasticcetto alla tastiera del mio pianoforte ormai scordato (chiamare quanto prima accordatore), brevi letture interrotte dal sonno e il mio computer per la posta e la poesia … Il mio registratore (problematico a volte) per conservare programmi rai e tivù di mio interesse. Non più concerti dal vivo. Eppure ancora qualcosa di buono posso fare: aiutare gli amici con l’ascolto e col consiglio donare conforto e il poco mio sapere. A ben pensarci il mio calvario triste non è perché in fondo ad aspettarmi sempre Gesù c’è. Mariagina Bonciani Milano
SCRIVERÒ Scriverò sulle lavagne del tempo, dei quartieri di cesio venuti col vento, di querce trafitte nei giorni nefasti, trafitti di paura. Di plutonio, unghie di streghe e mani strette nel delirio di un pallido respiro. Vortice insensato d’ignote molecole, fantasia abnorme di tetri colori. Avvolgerò in un cespuglio ali d’ozono indifese seni infantili del morbido cielo. Mani di velo, fragilità di culle, sentieri d’ingenue aurore. Orme di vita, testamento del coraggio, lascerò l’essenza delle meditazioni, giaciglio del cuore, canti di poeti, corolle di pensieri, divina speranza, umano desiderio. Graziano Giudetti Da: Frammenti di un diario, E. System Graphic, 2016
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CHA SHANQING
Cultivated to Be a Water-drop Standing on Iceberg
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Born as water, going through ages, then a pile Diversified appearances worn The present one is the final favorite choice With those sharing the same ideal It keeps calm and sober while standing Profession being perceived completely After the transfiguration Though still a water-drop Fortune is the outcome That high on the ideal realm it stands
ha Shanqing è un famoso poeta cinese contemporaneo, nato nella contea di Xiangyun, nella provincia dello Yunnan, nel 1955. Le sue opere si trovano su giornali e periodici come People's Literature, Poetry Journal, Chinese Poetry, Bianjiang Literature, Benliu Monthly, Young Litterateur, China Ethnic News, Yunnan Daily e co sì via. Ha vinto numerosi premi di poesia in patria e all'estero. Ha pubblicato raccolte di poesie come Looking Up at the People, Colorful Clouds e Love in the Cycles of Years (versione di confronto cinese e inglese). Nel 2019 è stato invitato a partecipare al Lermontov International Poetry Festival e al Russian-Chinese Poetry Summit Forum. È membro della Yunnan Writers Association. Di lui presentiamo tre poesie tradotte in inglese da Ma Tingting e nella libera versione in italiano da Domenico Defelice.
Despite of famine and disasters It survives, and having undergone burning Boiling, it calms down Having been tortured Wound out of countless valleys and bends Broken through the blocking of reefs and rocks Hurt with bruises all over Exasperated, and revived It still keeps calm and carries on Concerned nothing about one certain bump or jolt Caring nothing for ignoring, despising Severe cold, intense heat, mocking or ridiculing Having been tailed by fierce-fanged wolves Attended the mosquitoes’ hymning And endured the fatigue and physical pains It abandons them all far behind Without any fuss about bad luck Let alone anything about unrecognized talent or trouble-making This is not numbness but an awareness That I’m more blessed than the elder generation They resisted against invasion by shedding blood With nothing but the shared bitter hatred towards enemy How could there be any distracting thought in the ferocious fighting? My past gains and losses weigh nothing
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Finding a Pleasant Place to Put the Soul in Sink a pond deep on the twelfth of March To put your soul and mine in Place has been chosen with idea thought up In the park of the first dates Put them in under the name of planting trees Saplings selected are of the same variety Planted in the same pond, one from you and the other from me Attaching the soul of wishes to the trees With whom to prolong its future life Beneath, roots intertwining, there’s something of each in the other Above, branches shoulder by shoulder, leaves face to face Thousands and thousands of them are bonded together After our flesh and bone having been cremated in the future The descendants just have to follow the will To bury the ashes beneath the roots at night To help them be absorbed high up the branches Then there will be an affectionate-couple tree Shading lovers from heat and sheltering them from rain Embracing birds in pairs for their intimate talking
The One and Only Woman to Whom I Owe a debt I owe a debt to only one woman in the world She gave me life But I’ve never bought her one single garment Or provided one meal for her Not to mention mooncakes Though I’ve given her handfuls of money It is counterfeit * I’ve seldom dreamed of her Or written verses for her Since I was not yet ten years old She has been away from us She was taken away without a reason Prisoned in a jail on a high mountain
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Visiting her once a year was Even harder than the scenes of prisoner-visiting in TV series The face-to-face visiting on TV is Blocked by only a glass wall Each handing a receiver while talking But She and I were blocked by a stone gate Though I screamed myself hoarse and cried my eyes out She had no response It was completely blocked and isolated Alas, she is my mum Not in the imaginary paradise, but in hell * “handfuls of money” in the above line is not the real money but paper made to resemble money and burned as an offering to the dead
About the author: Cha Shanqing, a famous contemporary Chinese poet, was born in Xiangyun County, Yunnan Province in 1955. His works can be found in newspapers and periodicals like People’s Literature, Poetry Journal, Chinese Poetry, Bianjiang Literature, Benliu Monthly, Young Litterateur, China Ethnic News, Yunnan Daily and so on. He has won a variety of poetry awards at home and abroad. He has published collections of poems like Looking Up at the People, Colorful Clouds, and Love in the Cycles of Years (Chinese and English Comparison Version). In 2019, he was invited to participate in the Lermontov International Poetry Festival and the Russian-Chinese Poetry Summit Forum. He is a member of Yunnan Writers Association. (Translated by Ma Tingting)
COLTIVATO PER ESSERE UNA GOCCIA D’ACQUA IN PIEDI SULL’ICEBERG Nato acqua, attraversato secoli, poi ho indossato Un mucchio d’apparizioni diversificate L’ultima, quella attuale, è la preferita
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Con coloro che condividono lo stesso ideale Si mantiene calmo e sobrio stando in piedi Professione percepita completamente Dopo la trasfigurazione Anche se è ancora una goccia d'acqua La fortuna è il risultato L’essere in alto nel regno ideale in cui si trova Nonostante carestie e disastri Sopravvive e dopo aver subito un incendio Bollente, è calmo Pur essendo stato torturato Ferito da innumerevoli valli e tornanti Rotto attraverso il blocco di scogliere e rocce Ferito con lividi dappertutto Esasperato e rianimato Si mantiene ancora calmo e va avanti Non si preoccupa di urti o scossoni Non si cura d’ignorare, disprezzare Freddo intenso, caldo intenso, beffardo o ridicolo Pur essendo stato pedinato da lupi dalle zanne feroci Ha assistito all'inno delle zanzare E sopportato fatica e dolori fisici Tutto ha gettato dietro le spalle Senza fare storie sulla sfortuna Per non parlare del talento non riconosciuto o delle creazioni disturbate Questo non è intorpidimento ma consapevolezza È che sono più fortunato della generazione più anziana Hanno resistito all'invasione versato sangue Con nient'altro che odio amaro condiviso verso il nemico Come poteva esserci un pensiero straniante nel feroce combattimento? I miei guadagni e le mie perdite passate non hanno alcun peso
TROVARE UN POSTO PIACEVOLE DOVE METTERE L’ANIMA Scava uno stagno profondo il 12 marzo
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Per mettere la tua anima e la mia Il posto è stato scelto con ponderatezza Nel parco dei primi appuntamenti Mettile sotto il nome di piantare alberi Gli alberelli scelti son della stessa varietà Piantati nello stesso stagno, uno da te e uno da me Attaccando l'anima dei desideri agli alberi Con i quali prolungare la vita futura Sotto, le radici che si intrecciano, c'è qualcosa l'una nell'altra Sopra, rami spalla a spalla, foglie faccia a faccia Migliaia e migliaia di loro sono legati insieme Dopo che la nostra carne e le nostre ossa saranno state cremate in futuro I discendenti devono solo seguire la nostra volontà Seppellire le ceneri sotto le radici di notte Per aiutarle ad essere assorbite in alto dai rami Poi ci sarà un albero delle coppie affettuose Proteggere gli amanti dal caldo e proteggerli dalla pioggia Abbracciare gli uccelli in coppia per le loro conversazioni intime L’UNICA E SOLA DONNA ALLA QUALE HO UN DEBITO Ho un debito con una sola donna al mondo Mi ha dato la vita Ma non le ho mai comprato un solo vestito Fornito un pasto Per non parlare delle torte di luna Anche se le ho dato manciate di soldi Denaro contraffatto* Raramente l'ho sognata O composto versi scritti per lei Non avevo ancora dieci anni Quando è stata lontana da noi È stata portata via senza motivo Chiusa in prigione su un'alta montagna Visitarla una volta all'anno era Ancora più difficile che le scene delle visite ai prigionieri nelle serie TV
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La visita faccia a faccia in TV è Bloccata solo da una parete di vetro Ciascuno porge un ricevitore mentre parla Ma io e lei siamo stati bloccati da un cancello di pietra Anche se ho urlato a squarciagola e ho pianto a squarciagola Non ho avuto risposta Ero completamente bloccato e isolato Ahimè, lei è mia madre Non nel paradiso immaginario, ma all'inferno *"Manciate di denaro" nella riga sopra non sono i soldi veri ma carta fatta per assomigliare al denaro e bruciata come offerta ai morti. (Traduzione dall’inglese di Domenico Defelice) ___________________________________ ___________________________________
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REGALATEVI E REGALATE UNA SANA LETTURA Il libro è avvincente in quanto l’autore riesce a trasferire nel mondo dei racconti che sviluppa, con stile moderno e lineare, una verve particolare, a delineare plasticamente ambienti, umori, sentimenti. (…) I racconti sono parecchi e tutti brillano per vivacità e originalità inventiva, indagine psicologica, bellezza formale e descrittiva. (…) Mi piace lo scorrere veloce della penna di Defelice, un autore che conoscevo da anni a livello poetico e come giornalista. Ora posso apprezzare anche la sua validità narrativa. Lucio Zaniboni Su: Il Saggio, N° 311, febbraio 2022
IL VECCHIO E LE NUVOLE Che pensa il vecchio seduto sul balcone se vede le nuvole in cammino spinte dal soffio invisibile del vento? Forse ai minuti alle ore ai giorni che in fretta se ne andarono per mettere radici nelle ossa ed ora le affliggono le consumano con un passo di buio e un altro di speranza. Oppure gli raccontano senza sosta chi è stato chi l’ha mandato perché ha tanto camminato perché il dolore gli trapassa il cuore e gli permette d’abbracciare Dio. In pugno le preghiere e il destino mai dimentica le parole che a sera si lanciavano alla luna quando pregna di sorrisi era l’amante dei puledri che gli scalpitavano nel sangue. Gianni Rescigno Da: Il vecchio e il mare, BastogiLibri, 2019
Il libro, edito dalla Genesi di Torino, è in libreria, ma può essere acquistato anche su Internet
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PETER RUSSELL (Bristol, 16.9.1921 - San Giovanni Valdarno, 22.1.2003)
LETTERE (6 gennaio 1995 - agosto 2002) il 30 luglio ‘9615 Caro Defelice, Il mio saggio sull’APEIRON della Signora Liuzzo è esclusivamente per LEI. Brani dal mio testo sono stati pubblicati sulla stampa di Reggio Calabria, ma solo brani. Non lo offro altrove. La mia Prefazione all’UMANITA16 della Liuzzo, sì, è pubblicato17 nel libro omonimo, ma credo merita la pubblicazione altrove? La Conferenza di Arezzo “Una Rivalorizzazione di tutti i Valori” potrebbe essere abbreviata. Si potrebbe ridurlo a 16 pp. Costa molto di più stampare qualche pagina “extra”? Io cerco sempre di evitare il raddoppiare dei testi. Non sono infallibile, ma in generale mai non offro testi già pubblicati senza dirlo. Le cose che ha fatto mio figlio devono stare sui propri piedi. Mi sembra che se le introduco, smaccherà troppo della tangentopolino del mondo pseudo-poetico? Forse il mio amico e vicino, Leonello Rabatti, scriverebbe qualcosa. Rabatti è una persona carissima; sia a me che a mio figlio. Sembra incredibile ma il nostro “Leoncello” è ONESTO. Lei potrebbe scrivergli c/o me (è vicino, ma l’indirizzo mi scappa in questo momento). MARGINALIA continua. Mio figlio ha 15
Dattiloscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. and Fax 055 – 960674. 16 Così nel testo. 17 Idem. 18 Dattiloscritta su cara intestata MARGINALIA
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composto ancora quattro numeri. Adesso non ci sono soldi per stampare e spedirli. Li manderò quando sono pronti. Nel frattempo, sono triste di non ricevere i numeri di PN nei quali non sono rappresentato. Leggo gli altri. Non sono solipsista! PN è modesta -- ma ha valore autentico. Manderò nuove cose fra poco, con calorosi auguri; Peter Russell *** il 27 agosto ‘9618 Caro Defelice, Tante grazie per la Sua lettera del 19 agosto. Ho letto i numeri di PN di marzo e di ag. sett con grande interesse, e specialmente le Sue cose. Mi sembra che V. Rossi ha capito molto bene ciò che vabene19 con le poesie della Liuzzo e ciò che, francamente, non va. Un articolo di gran pregio. Io, di fatto, ho scritto Presentazioni per L’UMANITA20 della Liuzzo, già pubblicata, e per L’APEIRON (presentazione orale nel Teatro Cilea a Reggio). Io posso offrirLe il secondo per pubblicazione nel prossimo anno. Il libro apparirà fra poche settimane, si dice. Quanto alla mia presentazione di UMANITA21, posso offrirLe una versione più lunga e più completa che non quello22 pubblicato nel libro. Quanto in generale alle mie cose nel Suo possesso: sì, avrò pazienza. Ma mi faccia il favore di mandarmi una lista delle cose che Lei pubblicherà per certo, così che non le mando ad altre. Sì, so bene che anche le “stampe” costano. Ma i suoi numeri di pp. 32 (otto fogli A4) costerebbero lo stesso come pp. 64 (16 fogli). Quanto a Rabatti: Giorgio Linguaglossa di POIESIS sta per stampare il suo scritto sulle (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. and Fax 055 – 960674. 19 Così nel testo. 20 Idem. 21 Idem. 22 Idem.
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mie poesie, e mi ha chiesto di strappargli delle poesie originali. Rabatti non è da sottovalutare. Devo dire che mi sembra arduoso per uno che non capisce bene l’Inglese di recensire un mio libro in quella lingua. Le ho indicato nomi di chi a Roma potrebbe farlo bene, con una competenza altissima della lingua. Forse anche meglio sarebbe il mio amico (da più di trenta anni) Camillo Pennati. Pennati era la mano destra di Quasimodo e di Sereni, e conosce l’Inglese fino ad un alto livello. Ciò che dice su “Consumati, povero poeta” (? CODA) non mi risulta per niente intelligibile. O forse è un testo di un altro? Non lo riconosco. Vero, ho scritto anni fa Eat, poverty-stricken poet, There’s nothing but a plate of figs Cioè, (letteralmente, solo) Mangia povero poeta Non cè23 niente se non Un piatto di fichi ma non posso credere che questa sia la stessa cosa? Chi sono questi che hanno scritto “rosicchia” “merda” ecc? Non capisco. Senz’altro ho qualche traduzione di certe, ma non molte poesie da VENICE 1965, ma con ogni buona volontà, non ho né tempo né possibilità di trovarle, visto le cataste montagnose di MSS non ancora organizzate in ordine cronologicho24, alfabetico ecc ecc!!!!!! 23
Idem. Idem. 25 A sinistra della firma, con penna rossa: Camillo Pennati Via delle Canapine 8 06054 TODI (PG) (pubblicato più volte da Enaudi); a destra, sempre con penna rossa: Si cerchi di mandarmi ogni N° di PN.. Manderò spiccioli quando ne ho. 26 Dattiloscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER 24
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Mi piacerebbe vedere il Suo “Orto del poeta”. Devo controllare se ho Nenie e ballate. Mia memoria mi fallisce, e c’è poco tempo per frugare i mucchi di libri su tavoli, sedie e pavimenti!!!! E potrebbe gentilmente darmi l’indirizzo di Le Petit Moineau? In fretta, calorosi auguri. Peter Russell25 *** il 26 sett. ‘9626 Caro Defelice, Grazie tanto per la Sua lettere27. Sono contento che a novembre pubblicherai il mio saggio RIVALORIZZAZIONE. Cerca di mandarmi bozze, così che evitiamo gli errori di stampa. Se potresti fare anche il saggio sulla LIUZZO in dicembre, tanto meglio. Se posso trovare spiccioli per aiutare con le spese tanto meglio, ma no so mai se avrrò28 tali spiccioli. Quanto al costo: ovviamente carta e composizione costeranno di più. Ma la posta sarà lo stesso. Ma mi sembra che Lei fa la composizione? Come si stampa? Quanto alla posta, 16 fogli di A4 (= 64 pagine) costa in Italia L. 1000, come i numeri attuali di 32pp. Quanto al problema di recensire cose scritte in Inglese, Le ho già segnalato più volte l’indirizzo del mio amico Luigi Attardi, Piazza Campitelli 10, 00186 Roma29. Aggiungo uno anche più esperto, Camillo Pennati, Via30 delle Canapine 8, 06059, TODI (PG). Camillo era il braccio destra31, prima di Quasimodo, poi di Sereni, alla Einaudi. Conosce MOLTO bene le cose anglo-americane. Attardi conosce un sacco di Italo-americani più o meno letterati. Anche Aldo Bosselli, e RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. and Fax 055 – 960674. 27 Così nel testo. 28 Idem. 29 Sul margine sinistro: Tel 687 5763. 30 L’indirizzo è scritto a penna. 31 Così nel testo.
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prima la Amelin. Spiace che ho messo a parte molte cose che mi ha mandato. Ricevo ogni giorni anche quindici libri o riviste, a32 francamente non posso ne anche sfogliarle. Cercherò. Abbiamo caterve enormi di roba qua. Ho letto con cura le cose di Courget, che mi piacciono. Recentemente Nesti mi ha scritto molto simpaticamente. Peter George aspetta le bozze. Le correggerà subito. Finora non sono arrivate. In fretta, con calorosi auguri. Il Suo, Peter Russell *** il 15 ott 9633 Caro Defelice, Tante grazie per le bozze. PGR34 le avrà restituite oggi. Non potevo, io. Sono in grande sconforto, anzi dolore, aspettando un terzo intervento! Non avere paura che Attardi e Pennati siano
dei mercenari! Con Pennati Lei ha l’opportunità di aggiungere* un poeta di alto valore, uno come noi, ignorato dal maledetto Establishment. Attardi è generoso e simpatico ma forse un po’ dilettante in confronto a Pennati, vero preparato in materia italiana e inglese. Aiuteranno senz’altro. Questo è tutto che posso oggi Cordialissimi Saluti, Peter * a PN *** Tante grazie per il N° di novembre35. Torno in ospedale il 20 nov per il quarto intervento. Sono un po’ logoro! In fretta cari saluti Peter *** il 20 dic 9636 Caro Defelice, Grazie per il N° di dicembre -
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Ore 10,45 Discussione Ore 11,00 Intervallo Ore 11,15 Prof. Marisa Saracino, Università degli Studi di Lecce: “La finzione, nel riconoscimento: l’importanza della percezione nelle teorie della poesia di Peter Russell”. Ore 11,45 Prof. Anthony L. Johnson, Università degli Studi di Pisa: “Peter Russell e il sonetto”. Ore 12,30 Discussione Ore 15,30 Franco Loi: “Onorare l’ignoto”. Ore 16,00 Dr. Leonello Rabatti: “Scrittura poetica e teoria: un itinerario nelle traduzioni italiane della poesia di Peter Russell”. Ore 16,20 Discussione Ore 16,40 Intervallo Ore 17,00 Peter Russell: “Parla il Poeta”. Ore 17,30 Lettura bilingue di poesie di Ezra Pound e di Peter Russell a cura di Peter Russell e di Peter George Russell. Ore 18,00 Discussione Ore 18,30 Tavola Rotonda. “Ezra Pound e Peter Russell”: Peter Russell, Franco Loi, Leonello Rabatti, Massimo Bacigalupo, Marisa Saracino, Anthony L. Johnson. 36 Manoscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. 055 – 960674.
Così nel testo. Manoscritta su carta intestata: UNITÀ SANITARIA LOCALE 20/B VALDARNO SUPERIORE NORD FIGLINE VALDARNO. 34 Peter George Russell. 35 A penna rossa sul margine sinistro del foglio invito-programma (ricevuto il 15 novembre 96) UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI ANGLISTICA con il patrocinio del Comune di Pisa e dell’Università degli Studi di Pisa GIORNATA DI STUDIO SULLA POESIA DI EZRA POUND E PETER RUSSELL 18 Novembre Aula Magna Storica, Palazzo della Sapienza (Via Curtatone e Montanara) In occasione della pubblicazione di The Road to Parnassus: Homage to Peter Russell on his Seventy-Fifth Birthday (University di Salzburg Press, 1996). invito ____________ PROGRAMMA _____________ 33
Ore 9,45 Saluto del Pro-Rettore, Prof. Guido Paduano. Ore 10,00 Prof. Massimo Bacigalupo, Università degli Studi di Genova: “Peter Russell fra ‘I figli di Ezra’“.
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molto interessante. Dopo il quarto intervento alla fine di novembre sono debole e la “funzione” (vescica) torna molto lentamente. Ma sto lavorando. Vuole altre poesie per un numero futuro? Quali pezzi di prosa ha (da me) per il futuro? Potrebbe mandarmi altre copie (poche) di Novembre Dicembre Strimpellando ? 5 copie Mi dica quanti soldi devo mandare Ha già contattato Attardi, Pennati, Linguaglossa, Lisa Stace? (% Linguaglossa, Poesie). Su Hebenon (corrente) c’è un grosso intervento su Pennati. Vado in Inghilterra (se la salute lo permette) tutto marzo. 4 Conferenze e 10 letture. Pisa è andato molto bene. Tanti auguri per Natale e per 1997 Peter *** 10 Feb 9737 Caro Defelice, Grazie per il pacco. Lei ha da qualche tempo un mio saggio sulla poesia e la TECNOLOGIA. Vuole pubblicarlo? Quando vuole altre poesie mi fa sapere La fretta, anche molto malato da 4 settimane con bronco polmonite, molto debole Cari Saluti Peter Russell *** il 20 giugno 9738 Caro Dott. Defelice, Sì, ero felice di ricevere PN Aprile e Il Croco con tre mie poesie. Grazie! Ero molto interessato a leggere i Saggi Su B. Andolfi (che ammiro) e su A. Mondo.
Ma perché non mi manda ogni numero, anche se gratis - dopo tutto Le ho dato molte cose in versi e prosa. Se avessi soldi, li avrei mandato. Almeno, io leggo quasi tutto. Quanto a nuove cose da me: Prosa - Ho molte cose da offrire ma Lei ostina a non rispondermi circa mio saggio sulla Poesia e tecnologia, dopo 5 rammenti da parte mia. Vero, è già stato pubblicato, ma solo in una piccola edizione ristretta al Comune di Figline Valdarno, (e in formato ‘giornale’ che inevitabilmente si utilizza per accendere il fuoco). Si può tagliare qualunque parte che Le sembra ridondante. Una volta pubblicata questa prosa Le manderò altre più nuove poesie inedite. Adesso sono indaffaratissimo preparando una dozzina di nuovi libri (in Inglese). Non mando i libri in Inglese perché Lei non cerca l’aiuto di Attardi e altri che sono bilingue e bravi per fare le recensioni. C’è anche la Signora Lisa Stace di Poiesis e molti altri. Pubblicare la poesia è sì oltremodo scoraggiante, ma è sempre stato così. Ciò che mi scoccia anche di più e il numero di “amatori” di poesia che ordina i libri e poi non li paga! Il mio più grosso problema è il controllare ciò che è già pubblicato e ciò che è ancora inedito. Devo controllare mille e più titoli. Cari saluti L’Internet diffonde molte mie cose Peter Russell ma sempre senza alcun permesso o avviso39. *** 6 Dic 9740 Caro Defelice, Spiace che La ho trascurato in questi mesi. Sto molto giù di salute. Quasi incapace. Mi perdoni. Ho 76 anni mi sento finito, MA continuo a scrivere poesie! Intanto Le trasmetto un articolo pubblicato
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Cuore Selvaggio? 40 Manoscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. 055 – 960674.
Idem. Idem. 39 In mezzo al margine alto, tra “Marginalia” e “Direttore”: “Cosa pensava del Saggio di Rabatti che le ho mandato un anno fa? (Introduzione alla Silloge Il 38
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in un giornale del Comune di Figline nel 1990, distribuito gratis e mai letto da nessuno. Si potrebbe tagliare molte righe che si riferiscono a contingenze triviali del Valdarno (4° mondo!). Non c’è bisogno di riconoscere la fonte. Ne41 la data (1990) mi sembra rilevante? L’anno prossimo cercherò di scrivere qualcosa nuova per Lei. Intanto “L’immagine” dovutamente tagliata, mi sembra vale ancora. Vedrà dalla mia CRONACA che ci saranno
ancora 3 libri sostanziali BILINGUI. Manderò copie nella speranza di recensioni. Li aspetto per gennaio/febbraio. Ho letto l’ultimo numero di Pom.Not con grande interesse. Per C. Viola Con tanti auguri per Natale, il Suo, Peter Russell *** Se questo Le piace42, la si può pubblicare. Non è mai stato pubbl. 41
Così nel testo. Biglietto giallo autoadesivo, ricevuto il 5.2.98. 43 Manoscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER 42
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In fretta, auguri Peter Russell *** 16 Feb 9843 Caro Domenico Defelice, Grazie tanto per la splendida riduzione del mio testo Tirannìa dell’Immagine. Ha fatto molto bene. Anche per l’annuncio sia qui, che nell’ultimo PN delle mie future pubblicazioni. Apprezzo moltissimo l’eccezione che ha fatto per me, e non la tormenterò con altre cose già pubblicate! Sì, scriverò qualche prosa per Lei fra poco. Anche delle poesie inedite in Italia. Sta notte sono troppo stanco - sono le 0.300 e non ho finito… Sto molto male in salute. Come E di do, cammino a tre gambe. Sono prigioniero a casa mia. Mio figlio ha poco tempo per fare nuove traduzioni. Lavora agli Studi, tempo pieno. Voglio fare pubblicare poesie di QUINTILIUS. Interessa? Gli Italiani non sembrano aver compreso l’idea di un poeta de secolo D. C, che vede Virgilio come antico, e anticipa Dante, Holderlin, Pound, Yeats ecc! Fra poco Le mando MARG. N. 8 (Italiano), N. 21 (Inglese, è stato distribuito lo scorso mese, ma è interamente Inglese). Penso di fare un articolo critico con riferimenti alle cose recenti di Giuseppe Conte (esp. “Ai Lari” - insigne poema), a Giorgio Celli, a Brandisio Andolfi, e Pinuccia Frigeri Amodei. La poesia non è morta! Ne postuma! Carissimi Saluti Sarò 77 anni fra poco. Ma vado avanti Peter Russell *** il 10 aprile44 Caro Defelice,
RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. 055 - 960674 . 44 Idem.
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Scrivo per ringraziarLa per il bellissimo e perspicace articolo “Potenza evocatrice”. Sono beato, avendo un critico così penetrante e allo stesso tempo simpatizzante. Grazie! Mio figlio lo tradurrà fra poco per riviste negli USA, U. K, Australia. Le poesie nella prima scelta sono tutte pubblicate, ma molte nella seconda rimangono
inedite. Se Lei ne vuole per PN, suggerisco che mi scrive una lista, x Così dire, per riservarle, perché ho già mandata la sillogi45 ad altre tre riviste. Intanto Le mando un bel saggio sul mio PAYSAGES LEGENDAIRES di Marisa Saraceno dell’Università di Lecce. Per favore, non stamparlo finché non ho il permesso 45
Così nel testo. Manoscritta sulla facciata principale di una cartolina, con, nel centro in verticale e in maiuscolo grande: BABEL e sul margine sinistro in minuscolo: 1996 BABEL, Kevin Perryman, Postfach 1231, 86938 Schondorf, Germany/1996 Peter Russell for the poem. This is its first printing. Erstdruck. Sul retro della cartolina: RETURN HOME FROM LONDON Nothing this last month has been bright and new 46
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della Professoressa, che aspetto ad ogni giorno. Leggerò fra poco Suo nuovo libro - adesso sono indaffaratissimo con un brutto attacco verso me dalla parte del Sindaco di Pian di Scò, battibecco che ha già prodotto 20 articoli sulla stampa nazionale e che mi coinvolge con parecchie interviste con stampa, radio e TV. Vogliono scrivere colonne su la trivialità ma non una singola parola sulla poesia. Fra poco devo essere ricoverato per il quinto intervento interno in due anni. Giuseppe Conte mi ha scritto due lettere piene di loi per le mie cose, e dice che contribuirà una presentazione del mio La Catena d’Oro (pp. 200), che deve uscire in giugno/luglio. Sono caricato di lavoro curando traduzioni delle mie poesie e prose e ho pochissimo tempo per leggere e scrivere. La ringrazio di nuovo per un così “distinto” articolo. Il Suo, Peter Rusell *** il 24 marzo 9846 Gentile Defelice, E’ venuto molto bene. Grazie. Non ho ancora ricevuto il N° di marzo - le poste sono più di mai impazzite. Aspetto con impazienza Suo articolo “che mi spetta”. Abbiamo 5 cm. neve e fa freddo e umido Le viole sono coperte ma i narcisi e i giacinti Selvatici Sono bellissimi contro il biancore. Auguri, Peter R.47
For me. I languish in my stale and wrinkled Garb of age, a dried-up ivy-berry To the birds of time. The song is in their throats, Not mine. ______________________________________ Peter Russell 47 Su piccolo biglietto bianco autoincollante: “Il numero di marzo è arrivato oggi il 24 marzo stimbrato il 2 marzo. 22 giorni!
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*** 28 maggio 199848 Caro Defelice, La ringrazio per le due copie di P. N. di maggio. Sono molto lieto di vedere PIENEZZA finalmente pubblicato. Intanto Le trasmetto un bel piccolo saggio della Dottssa Kathleen Raine (90 anni questo mese) che mi sembra dovrebbe apparire in Italia dopo 25 anni! Mi piacerebbe molto se Lei vuole pubblicarlo. Fra poco manderò delle nuove poesie. Con ogni bel pensiero, Peter Russell *** Caro Defelice49, Se potresti darmi un parere, anche breve, su queste tre poesie “moralistico-didascaliche” (!) sarei infinitamente grato. Penso soprattutto del linguaggio; è Italiano o Italiano-anglistizzato? il ritmo? Dico “stato d’anima” di proposito, perché non voglio dire stato “d’animo” che è qualcos’altra. S50 Non cerco lodi -- cerco della critica che possa utilizzare. E quando apparira il mio “LA PIENEZZA DELLA VITA”? Cari Saluti Peter R. *** 52026 Pian di Scò, AR51 P. R.” 48 Manoscritta su cara intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo - Italia Tel. 055 – 960674. 49 Dattiloscritta (senza data, ricevuta nel maggio 1998; a penna, l’ultimo rigo, i saluti e la firma) su carta intestata MARGINALIA (with QUINTILIANA) Direttore: Prof. PETER RUSSELL “LA TURBINA” 52026 PIAN DI SCÒ Prov. Arezzo Italia Tel. 055 – 960674. 50 Così nel testo. 51 Dattiloscritta. 52 Così nel testo. 53 Cartolina, idem nota 59, timbro postale 24.3.98. Periodo alquanto caotico e con qualche problema
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055 960 674 il 23 luglio ‘98 Caro Defelice, E’ un po’ che non sento da Lei. Anch’io sono molto indaffarato. Volevo dire che Lei può usare in PN ognuno dei52 SEI POESIE che Le ho mandato due mesi fa, più il piccolo saggio della K. RAINE su Quintilius, se vuole. Ma sia gentile, e mi faccia sapere, quando ha il tempo. Ci allego qualche altra cosa recente. Per la mia poesia “Packing” (in MARGINALIA 8) ho ricevuto il Premio Navarro da Sambuca. Ha letto il bellissimo saggio della Saracino su il mio PAYSAGES LEGENDAIRES? Se Lei lo vuole, mi dica, e cercherò il permesso dall’autrice. Il mio grosso libro bilingue LA CATENA D’ORO apparirà a settembre con Presentazione di G. Conte, poeta che ammiro molto; e POESIE DAL VALDARNO (pp 160, bilingue) poco dopo, con Presentazione di Franco Loi. Spero di avere Sue notizie fra poco. Buone vacanze! Saluti, Peter *** PN, genn. e febb sono arrivati 21 marzo 53. Il numero di marzo non è ancora arrivato. per noi, in quei mesi. Solo qualche volta abbiamo conservato le minute delle lettere da noi inviate al caro amico. Eccone due: Pomezia, 20.8.1998 Caro Russell, mi chiedeva un giudizio sulle Sue tre liriche “Opinioni”, “Morale” e “Stato d’anima”. Mi scuso per non aver risposto subito, ma sono sommerso da una infinità di problemi, impossibilitato a tener dietro alla corrispondenza, anche a quella degli amici più cari come Lei. Delle tre, quella che più mi ha colpito è “Stato d’anima”, per quel partecipare intimo, quel sentire profondo la natura che, giorno per giorno, deperisce e muore. Se la cacata continua a rovesciarsi
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Le 4 pagine esterne arrivarono tempo fa. Mandai articolo “La Pienezza della vita” recentemente Spero piaccia. Auguri Peter Russell (2 – Continua)
“nella gora”, il suo canto sta diventando però innaturale, perché sterile, privo di vita (né pesciolini, né trote). Il lettore gode a tanti riferimenti e dolcezza, ma viene nel contempo afferrato, attanagliato da malinconia, da uno scoramento che dilania. Sì, il cuore dell’uomo è “rovinato”, ma non del tutto. Se si riesce a percepire, anche di poco, il Suo tormento, il Suo sentire il dramma, vuol dire che non è tutto perso e si può ancora sperare nel ravvedimento, in una correzione di rotta. In “Morale” trovo alcuni spunti che legano Lei a Leonida da Taranto (ho idea di scrivere in futuro un articoletto in proposito), che amava, a par di Lei, la vita semplice, il buon pane e le olive… “Opinioni”, ottima nel tema, la sento più prosaica e non capisco una frase: “miserabili in dulosi” (che significa?). Sì, i veri vivi sono loro: Leopardi, Dante, San Francesco. Ha letto il mio “Alpomo” ne Il Croco del luglio scorso? (i restanti canti, dal III al VI, mentre i primi due sono nel Croco del novembre 1996). Che ne pensa? In precedenza Le avevo rispedito La morte e il Sud, del quale avrei una mezza idea per una nuova edizione. Ma da Lei neppure un cenno, forse le mie son troppo misere cose. Ma anch’io non cerco lodi, ma critica che possa aiutarmi a migliorare. Con molti cari saluti. D. Defelice Pomezia, 5.9.1998
Caro Amico, ricevo la Sua del 23 luglio. Le poste sono più che lumache. Il saggio della Raine, che le interessa, l’ho già pubblicato sul numero di agosto e Le sono state spedite un paio di copie. Le ho anche scritto di recente. Se Lei non riceve, non è mia la colpa. Il saggio della Saracino posso pubblicarlo, ma Lei, nella lettera di accompagno del 10 aprile, mi pregava di non stamparlo (“per favore non stamparlo finché non ho il permesso della Professoressa”). Poi non mi ha fatto sapere più nulla. Allora, posso o no stamparlo? Dunque, caro Amico, non sono io a trascurarLa. Lei mi dice che Suo figlio mi sta traducendo… E’ una notizia che mi lusinga. Me lo saluti. Pubblicherò, di tanto in tanto e volentieri, Sue poesie inedite; ma io non posso farLe un elenco - come Lei mi chiede - perché io non conosco le Sue poesie inedite. Non Le sembra che sia assurda una tale richiesta? Mi mandi, dunque, quando vuole, Sue poesie inedite e io, appena avrò la possibilità, volentieri le pubblicherò. Me ne mandi una diecina. Quando usciranno le Sue opere bilingue LA CATENA D’ORO e POESIE DAL VALDARNO, non manchi di farmele avere, perché sono ansioso di leggerle. Cari saluti. D. Defelice
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Recensioni MARINA CARACCIOLO VERSO LONTANI ORIZZONTI L’itinerario lirico di Imperia Tognacci BastogiLibri /Testimonianze, Roma, 2020, Euro 10,00, pp. 80. Fin dalla copertina colorata dell’interessante monografia che Marina Caracciolo ha destinato alla sua collega, Imperia Tognacci, si preannuncia una rarefatta, sublime estensione tra atmosfera e cime montuose – nello stile pittorico-paesaggistico perturbante del Romanticismo tedesco introdotto proprio da Caspar David Friedrich (1774-1840), insieme al suo amico pittore Otto Philipp Runge (1777-1810) – come a suggerire immaginarie strade laddove l’impercorribile lascia speranze a silenti dialoghi con l’immensità. A volte non è nei percorsi larghi e pianeggianti che si rintracciano le informazioni che cerchiamo, i chiarimenti, i consigli di come procedere circa l’assetto del proprio destino, ma per paradosso è nella nebbia, nell’identificazione e sconfinatezza delle visioni paesaggistiche che stanno celati i patti tra il divino e l’umano, i colloqui intimi fra di essi, e il titolo di questo lavoro monografico riguarda, appunto, i… lontani orizzonti. Ciò detto funge
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soprattutto da presentazione della persona Imperia Tognacci, poetessa e saggista, scrittrice di romanzi e apprezzata alquanto per i suoi poemi descrittori a volte autobiografici, che ha “scalato” le vette del provato per raggiungere quelle dell’ignoto, spinta da «[…] una continua e appassionata volontà di ricerca, di esplorazione, per accedere, dal profondo del proprio animo, ai segreti dell’Essere. Pur nella consapevolezza che non sempre si troveranno risposte certe, che pochi dubbi avranno chiarezza in un altrove, l’esperienza di questo cammino, di questa Wanderung di romantica origine, per la quale il percorso è ancor più importante della meta da raggiungere, si rivela giovevole di per sé e tale da condurre in ogni modo a profonde, significative evoluzioni. » (Dall’Introduzione di Marina Caracciolo, pagg. 7-8). Nelle esigue righe della dedicatoria d’apertura, concepita dalla stessa Tognacci, si sono preavvisate delle stanze segrete che verranno attraversate interiormente da lei, viandante del proprio universo in parallelo ai miti antichi, alle tradizioni di una volta, ai personaggi di spicco che hanno fatto grande la nostra letteratura italiana; e infatti, gli undici capitoli della monografia risulterebbero le “stanze” includenti i diversi momenti editoriali generati dall’autrice natia di San Mauro Pascoli, stesso luogo in cui vide la luce il grande Giovanni Pascoli e che prima di lui si chiamava San Mauro di Romagna. La saggista Caracciolo ha voluto ‘arredare’ la prima “stanza” con la sua indagine letteraria riferentesi alla scelta poetica con la quale Imperia Tognacci ha esordito nel 2001, prefazionata dal compianto direttore Francesco Fiumara, Traiettoria di uno stelo, dove anzitempo si prefigurava l’idea del tragitto da compiere sullo sterminato territorio della cultura, allignando dall’infanzia dell’autrice ricca di bucolici e amorevoli ricordi. «[…] I molti premi che furono attribuiti a Traiettoria di uno stelo e il favorevole atteggiamento della critica hanno sicuramente spronato Imperia a proseguire con sicurezza sulla via dell’invenzione poetica. Attiva, come si è detto, anche nel campo narrativo e saggistico, ella non ha però mai tralasciato, in tanti anni, di esprimere, in una forma lirica sempre più bella, esperienze, pensieri, sogni, sentimenti, percezioni. Deve aver quindi compreso fin dai primi passi quale fosse la sua vera strada. » (Pag. 15). Le “stanze” disposte attiguamente predispongono il lettore ad accogliere, pagina dopo pagina, i commenti relativi ai lavori di poesia editi dalla Tognacci a mano a mano negli anni; liriche che hanno
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scandito periodi dissimili della vita dell’autrice innamorata della sua terra di Romagna, del luogo medesimo natio che vide crescere il poeta Pascoli, ma anche di aree straniere come la Terra Santa, la Patagonia in Argentina, la Giordania. Ne La porta socchiusa, del 2007, le quasi cinquanta liriche comprese hanno scandito le fasi emozionali dell’avvenuto pellegrinaggio svoltosi sul suolo che vide la presenza in forma umana del Cristo venuto per diffondere la redenzione. «[…] È l’itinerario, difficile ma meraviglioso, dell’Uomo alla scoperta di se stesso, alla ricerca di una spiegazione plausibile per gli enigmi più oscuri, sopra tutto per quello più insondabile e drammatico di ogni altro: il mistero del male del mondo e della sofferenza. Gli interrogativi rivolti a Dio si affollano insistenti nei versi della poetessa ». (Pagg. 33-34). Undici preziosi giudizi esegetici che sono stati strutturati inglobando più voci critiche, nel senso che la Caracciolo ha amalgamato i suoi vagli con quelli degli studiosi che l’hanno preceduta nell’esame delle opere letterarie di Imperia Tognacci e così in un unico discorso interpretativo, suddiviso per ogni “stanza”, è venuto fuori un notevole caleidoscopio d’osservazione. La linea maestra suggerita dall’immagine di copertina ottempera quelle che furono le idee artistiche del pittore Friedrich in seno sia agli scritti dei fratelli Schlegel, che fondarono la rivista Athenäum nel 1798 con la quale ebbe origine la corrente del Romanticismo, sia alle teorie filosofiche del suo tempo, dettate, tra i più, dal filosofo Immanuel Kant e Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, il quale pubblicò un saggio nel 1807, Le arti figurative e la natura, in cui mise in evidenza la possibile interrelazione tra l’anima dell’uomo e il Creato, e che all’artista, poeta pittore o musicista che fosse, era permesso di carpire questo legame invisibile per esprimerlo secondo la propria forma d’arte. Nella contemplazione degli orizzonti si avvera l’incremento spirituale e il pittore Friedrich in diverse sue tele, oltre all’importanza delle suggestive prorompenti scene naturali, ha collocato (spesso di spalle) l’essere umano a simbolo della sua piccolezza al cospetto dell’incommensurabile intorno a lui, dando ad intendere una conversazione misteriosa impregnata di tanti quesiti esistenziali da parte dell’individuo-spettatore. «[…] Il poeta è invero una sorta di veggente, un testimone di verità nascoste, la cui missione è quella di mostrare al mondo ciò che all’occhio distratto del mondo facilmente sfugge. Ma la poesia, oltre che specchio del reale, è sopra tutto fantasia:
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invenzione di linguaggi, di ritmi, di vicende, di figure, di situazioni. I versi di Imperia possiedono in larga misura queste caratteristiche e queste qualità, ed è proprio per questo motivo che il suo universo lirico esercita un incanto particolare su chi attentamente vi si addentra: un fascino non superficiale, persistente, che è impossibile dimenticare. » (Pag. 74). Isabella Michela Affinito
MANUELA MAZZOLA PAROLE SOSPESE Poesie, Il Convivio Ed., 2021; pp. 46, euro 8,00 Trenta nuove liriche di Manuela Mazzola, che si rivelano poesie dell’attesa, e di un’attesa rivolta indietro, girata verso il passato. Vi si intravedono vicende che aspettavano parole che non furono dette. Parole non pronunciate, sottratte e inghiottite dal silenzio; le quali, però, se espresse, potevano forse modificare una rotta, condurre gli eventi in altri porti. Pensieri sussurrati e allusivi, che sbocciano come fiori semplici e delicati dall’animo dolcissimo della poetessa: ella ci apre un cuore greve di memorie indelebili ma anche, seppure di rado, ilare e lieve. Un animo che nella sua limpida bellezza –
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matura ma mai priva di innocenza – si vorrebbe talora paragonare a un aquilone: un sogno colorato fatto di carta leggera. E se proprio così fosse, esso avrebbe pure una lunga coda, ora lieta ora mesta, per disegnare, con i suoi voli irregolari e ventosi, ricordi da stagliare nel cielo. I versi della poetessa salgono liberi verso l’infinito, vi rimangono galleggianti e sospesi, e poi si tuffano a capofitto coraggiosamente avvitandosi sul loro asse... In bilico fra il concreto e l’immaginario come La condizione umana, il dipinto di René Magritte raffigurato in copertina. Queste Parole sospese tracciano una mappa, raffigurano una sorta di arcipelago privato di isole e isolette che costituisce nell’insieme una “geografia del cuore”. E in essa «La protagonista – scrive Pier Giorgio Mori nella prefazione – medita i rovesci, le delusioni e anche le piccole e grandi felicità serbandoli nel cuor suo. La sua storia si presenta sotto lo stigma della solitudine e della responsabilità». Solitudine e responsabilità che hanno formato i cardini diametralmente opposti di una giovinezza quasi tutta declinata al femminile, dove sempre però, ad occupare spazi dolorosamente vuoti, si insinua un’ombra dominante: la memoria, tanto vaga quanto fondamentale, del padre. In tal senso è quanto mai significativa proprio la lirica di apertura della raccolta: «Camminavi all’ombra / del grande ombrello, / protetta dal pensiero di tuo padre, / lontano da te sepolto. / Nemmeno una lacrima / hai potuto versare. / Sei venuta al mondo sola, / ti sei fatta carico di un universo / che ingoia ogni cosa. / Anche i sentimenti. E la responsabilità ha trovato, come essendone un’ovvia conseguenza, il suo fertile terreno proprio in quell’autonoma solitudine, nell’impegno – indispensabile – di farsi strada senza un orientamento preciso, senza confronti né punti fermi, scrive l’Autrice, senza sapere cosa fosse giusto / e cosa sbagliato. Ci sono, in queste Parole sospese, versi che descrivono mirabilmente il senso dell’incertezza e della precarietà; che dipingono con morbide tinte di acquerello il groviglio di pensieri che nell’infanzia fuggivano verso un futuro incerto, dai contorni inafferrabili e sfuggenti, in giorni in cui la spensieratezza tipica di una fanciulla non era stata mai del tutto godibile perché scalfita da un dolore silenzioso ma presente come una grande nuvola che si vede vagare nel vento, un dolore provato – e ora ricordato – da una bambina, fragile eppure forte, che aveva neri vestitini / e nero anche il fiocco ... tra i morbidi capelli. Fra sguardi e silenzi eloquenti, tra speranze e angosce, nel rimpianto di ciò che avrebbe potuto anche essere e non è stato, si dipana un breve fascio di liriche colme di una sommessa malinconia, di
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evocazioni lasciate in apparenza nell’incompiutezza del frammento, con versi sempre molto brevi che paiono qua e là oscillare con il placido ritmo di un’onda di lago (Mi guardavi / andare via / dietro recinzioni / di filo spinato. / Come al solito / non dicevi nulla. / Allora alzavo la testa / e ti intravedevo / nascosta tra i vetri / di una finestra / aperta appena). E le pause pensose possono “parlare” a loro volta, possono farsi udire con una “nitidezza di suono” maggiore della stessa musica che da esse è sostenuta, ancorata e articolata. Quella valigia della lirica conclusiva, quel fardello portato con sé che racchiude al suo interno gioie e delusioni, incontri o inutili attese, esperienze o sogni mai divenuti realtà può aprirsi all’improvviso come un libro dove tutto è chiaro e preziosamente annotato, lasciando intravedere alfine un mosaico variegato e perfetto, tutt’altro che frammentario e sospeso: al bisogno – scrive la poetessa – ne saggio una pagina. Marina Caracciolo
LUCIO ZANIBONI L’ALLEGORIA DEL VENTO Poesie, Prefazione di Neria De Giovanni; in copertina, a colori, “Alberi al vento”, particolare, di Fulvio Cavaliere – Nemapress Edizioni, 2021, pagg. 114, € 15,00 Zaniboni è poeta che ama l’armonia e convinto che il ritmo sia elemento indispensabile per distinguere il verso dalla prosa; senza una buona dose di fonia, non può esserci vero canto. Fonia, ritmo, comunque, non possono essere ricercati a tutti i costi; si finirebbe con l’essere falsi, ampollosi, bislacchi. Il ritmo, in Zaniboni, è spontaneo, leggero, impalpabile, naturale: è la pelle che veste il corpo armonioso della poesia e intimamente amalgamato alla robustezza del pensiero. Un solo breve esempio: “Ore, giorni, mesi./S’intreccian le vicende:/amori, gioie, affanni./Nell’anima/innumerevoli memorie di anni./Sopite a volte,/ma pronte, come onde/al sorgere del vento,/a muover verso le sponde./E a sera,/così come finisce il giorno,/torna e va il ricordo”. In appena 12 versi, abbiamo le rime tra terzo e quinto; tra sette e nove; le assonanze esplicite tra due sette e nove; le meno evidenti, tra undici e dodici, tra otto due sette e nove. Non si finirebbe a voler segnalare le tante figure metriche presenti in questo libro. Uno dei temi dominanti è il gioco della vita - le nostre quotidiane “mosse sulla scacchiera” - dipanato dal poeta sulla falsariga di una partita di poker o del gioco delle carte in genere; gioco presente
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persino nei titoli di altre sue opere, come Una fiche ancora (1990) e Rouge et noir (del 2003). Il giocatore è abile, conosce bene le carte, ma spesso si distrae, perché psicologicamente attratto dagli avversari, non sempre leali, cinici a volte, e sicuri, gonfi di orgoglio, dimentichi o indifferenti al naufragio generale, concentrati solo “a sillabare segni/e dai sintagmi l’essenziale./…/a bruciare incenso”: “Apro le carte:/non c’è gioco tra le dita./Ho scartato con cura,/…/Forse ho gettato il meglio/nello scarto./…/attendo che dal mazzo/esca la regina” e conclude: “d’altronde/di illusione vive la vita”. La Natura, nella poesia di Zaniboni, è trasfigurata in atmosfera lirico-simbolista, che produce, in chi legge, evocazione, che mitiga ed abbellisce la realtà; una poesia, insomma, più di memoria che di quotidianità. Tutto, però, senza forzature. Zaniboni sa bene quanto sia deleteria la poesia fatta d’intenzioni, cercata ad ogni costo. Altro tema che più s’incontra è quello del viaggio, ed anche in tal caso, dal naturale del quotidiano s’arriva a quello intimo e profondo della vita, dell’io. Occorre interiorizzare la realtà, purificarla, renderla adamantina al fuoco dell’aspirazione, affinché il viaggio reale dell’esistenza possa apparire meno amaro, perché, si sa, il sogno è come balsamo sulla ferita, miele spalmato sull’animo esacerbato; solo col sogno si può “Discendere dal treno/con un bagaglio fresco/di pensieri”. Troviamo di tutto in questo bel libro: peschi in fiore, gelsomini, papaveri, grano, “La siepe (che) ha indossato/l’abito bianco”, grilli, il barbagianni appollaiato e vigile sulla rupe, lune smagate e “lune perdute” e molto, molto altro ancora: un vero inno alla bellezza, della Natura e della vita; un vibrare e un tendere sempre in alto; un indiarsi come il sogno di “una ragazza in fiore”. È un concentrato di bellezze ed armonie, di suoni: persino “Corda di violino,/la pagina ingiallita./Petali di rose”. È Poesia che trasfigura, come già detto, ma non avulsa affatto dalla realtà. Infatti, non manca la sofferenza; non manca la pandemia con il lugubre corteo degli amici e dei parenti uccisi: “Se ne sono andati, tutti:/mio padre, mia madre,/infine mio fratello./Sono rimasto solo:/il ritornello/mi lascia a mani vuote:/non ha orpello”; non mancano gli orribili fatti giornalieri, gli “stupri, rapine, omicidi”, la “cronaca nera” infinita da fargli domandare: “Meglio la mitologia”, con la schiera di fatti e personaggi quasi sempre tragici e memorandi, “o la storia vera?”. Nella poesia di Zaniboni il ritmo è spesso popolare; è una musica ondante, un altalenare di suoni che sono già canzone, già partitura, che non abbisognano di ulteriori arrangiamenti: “E tu mi
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ami?/Eterna domanda,/ha eco perso/come di sfinge il volto/dopo millenni di vento/nel deserto./E tu mi ami?/La domanda/come la sabbia intriga,/ma dà poca traccia,/quando il mare con l’onda/sale a carezzar la sponda./E tu mi ami?/Vola la domanda/come al vento foglia”. E c’è, di conseguenza, l’amore, anche il sesso, mai triviale, appena accennato, sempre spalmato d’ironia e di levità, come in questo brano che riportiamo per intero: “Ho bevuto al banchetto/dell’amore,/ai fastosi inviti/dei vent’anni,/quando fiamme/erano le rose./Ho levato al brindisi/i cristalli,/incontrando i tuoi occhi/misteriosi./Ho trovato nel solco/degli incontri/le perle del tuo seno,/mi sono perso nel mare/degli inganni/allacciandoti i fianchi./Esaltate furono le ore,/così il nostro furore./Poi come cala/il vento della sera,/come scema la neve/a primavera,/ho perduto piano piano/la mia sete./Astemi sono ora/i giorni.”. Si sente come l’Autore sia imbevuto d’arte, com’egli ami pittori e pitture, specialmente quelle surreali, alla Magritte, alla Dalì, alla Van Gogh, perché danno l’idea di un mondo “alla rovescia”, diabolico, deformato, ridanciano, dall’uomo avvelenato e stuprato.
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Non manca la fede e la sua è fatta di aneliti, non già di quell’ignoranza che mette “Al rogo (…) libri e tele/e l’arte”; fede sentita a coro con la Natura, al punto che anche “un verme guarda il cielo./È preso dal mistero”. Zaniboni dice di affidarsi a Pascal, il quale, affermava, che a credere conviene sempre, perché se Dio esiste, si ottiene la salvezza e, se non esiste, non si è perso nulla e si è vissuto più lietamente e speranzosi. Il poeta, comunque, crede nel “fanciullo,/disceso sulla terra/a porgerci la mano”; crede, quindi, in Cristo e nella sua morte e resurrezione. Sono molti i richiami ai Vangeli. Né manca il sociale, spalmato dappertutto, con quei “Suoni di sirene/per i turni nelle fabbriche/e magli a forgiare metalli” (era l’attività di suo padre). Ed ecco “sfruttatori e sfruttati”; la nuova schiavitù senza catene, ma peggiore di quella del passato; la disoccupazione; i “Fanciulli e vecchi,/fuscelli nella tempesta”; i burattinai che ci manovrano come marionette. Il vento, naturalmente, è protagonista assoluto. La voce è presente nei versi più di cinquanta volte - senza contare “la breva e il tivano” -, a volte dolce, sornione, sferzante, che mena schiaffi, addirittura, o accarezza; che volta le pagine del libro e della vita. Zaniboni è uomo dall’animo delicato, in fibrillazione continua con l’Universo intero, forte nello spirito, anche se – confessa – “tremo con la betulla,/al vento”, albero bello ed elegante, ciarliero ad ogni brezza al par dei pioppi. Pomezia, 10 marzo 2022 Domenico Defelice
CARLO DI LIETO LE RISONANZE DELL’ILLIMITE NELLA QUINTA DIMENSIONE DI CORRADO CALABRÒ Rubettino Editore, 2021, pagg. 418, € 44,00 Per godere il più possibile questa terza indagine di Carlo Di Lieto sulla poesia di Corrado Calabrò, è necessario leggerla con a fianco lo stesso libro al quale è collegata, allargando i già ampi riporti che il critico diligentemente fornisce, affinché la navigazione nel mare immaginifico del poeta calabrese possa risultare meno perigliosa. Perché, alla luce di quanto Di Lieto ha scritto finora, la poesia di Calabrò, amalgamando filosofia e scienza e pur non apparendo troppo eterea e difficile, ha contenuto complesso e si presta a una vasta gamma di lettura. Di Lieto dimostra che non bisogna farsi ingannare dal dettato quasi sempre pacato, colloquiale, e che scavare una sola o più pepite dipenda dal grado di
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preparazione del lettore. Il giovane, magari, si lascerà incantare, coinvolgere dal linguaggio moderno: Sms (Short Message Service), password, twitter, whatsapp, telefonini, iPhone, iPad, ma la poesia di Calabrò non sta tutta in questa attualità semantica e nella semplicità di facciata; essa affonda le radici nei misteri che da sempre hanno assillato l’umanità e nel mare insondabile della fisica, dell’astrofisica, della quantistica; Calabrò ha saputo sposare la poesia alla scienza, conciliarla senza apparente sforzo alla filosofia e facendosi apprezzare in tutto il mondo, tantoché nel 2018 a un asteroide è stato dato il suo nome. Egli riesce egregiamente a fondere vita vissuta e fantasia, descrivere con leggerezza il reale e l’invisibile, l’io interiore, sondare l’Universo. Siamo, cioè, alla risonanza dell’illimite, così come egregiamente sintetizza nel titolo il critico Di Lieto. L’io diviso di Calabrò è dato anche da questo mescolio sapiente di realtà e vera Scienza, sì da fare alta poesia con l’astrofisica, materia quasi vergine, in divenire, perciò mutevole di continuo, aperta a sempre nuovi equilibri, tali da rendere all’improvviso labile ciò che un istante prima sembrava legge consolidata. In realtà, sta proprio nella labilità la natura e l’essenza della Poesia, perché simile al sogno, humus
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e terra fertili per far crescere le aspirazioni del cuore. Elémire Zolla parla di due momenti importanti nella vita dell’uomo e specialmente nell’uomo sensibile come il poeta; momenti di maggiore percezione dello stato ipnotico che si avvicina al sogno: il risveglio e l’assopimento, allorché si tende all’estraniamento quasi assoluto, al tentativo di uscire dal corpo per essere solo spirito, a una vera e propria scissione delle due entità. La scienza, essendo sempre in divenire, ha somiglianza con l’aspirazione, col desiderio di penetrare il futuro, di immergersi nell’inconoscibile; stimola l’ansia dell’osare, ciò ch’è altamente poetico, mare sterminato e oblioso in cui navigare e naufragare. Nell’intervista di Angelo Manitta, apparsa su Il Convivio del gennaio-marzo 2020 e qui riportata dal Di Lieto, lo stesso Calabrò afferma che “Entrambe, scienza e poesia, sono visionarie; entrambe si affidano, in prima istanza, all’immaginazione”. Calabrò ha la capacità rara di impastare i suoi versi di tale materia magmatica a un linguaggio – come già accennato - apparentemente basso, ma dagli effetti fascinosi, evocanti, coinvolgenti: “Se non sognassi non avrei passato./Non appartiene al navigante il mare/che ha solcato./Non trattiene chi nuota/altro che il sogno/del mare che ha abbracciato”. È in questo mare immenso, fatto di filosofia, scienza e sogno, che va scavando Di Lieto con le sue indagini, in ripetuti confronti con le teorie di studiosi illustri, come Ignacio Matte Blanco, Sigmund Freud, Luigi Pirandello ed altri; la psicanalisi, l’estetica e la psicoestetica; il conosciuto, l’inconscio; realtà e fantasmi, insomma, nei quali uno come noi rischia di affogare. Fisica e metafisica, in questi ultimi decenni, hanno allargato come non mai il loro campo d’azione; si sono espanse lentamente e inesorabilmente come olio sopra una superficie assorbente e foglio/campo sono l’arte, la filosofia, la teologia, ormai più che contaminate, come dimostrano i versi di Calabrò. Questa espansione del “sé” del poeta, afferma Di Lieto, “oltrepassando ogni limite e, come percorrendo la magica scia di un sogno inatteso, attiva un meccanismo inconscio insondabile”. Dare, o meglio: cercare di dare concretezza al sogno, è la inarrivabile grandezza del poeta; dare parvenza di realtà al mistero e noi, come affermava Einstein, “non sappiamo cos’è la realtà a meno che non la descriviamo con la fisica”. Il poeta è il solo che riesce a tradurre in apparente realtà il non conosciuto, rendere in parole e, tramite queste, in immagini, l’io e l’altrove e in ciò consiste il vero aspetto creativo, tale da avvicinarlo alla divinità.
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Questo terzo e vasto scavo analitico di Carlo Di Lieto si compone di una Introduzione; tre saggi: “L’universo dentro di noi” e la Quinta dimensione; L’altro da sé e la ricerca dell’oltre; La seduzione dell’immaginario: l’io è un altro; l’Intervista dello stesso Di Lieto a Calabrò su Tradizione classica nel moderno, apparsa su Il Convivio (ottobre-dicembre 2015); l’Intervista di Angelo Manitta, già citata; un nutrito Bilancio critico; Biografia poetica di Corrado Calabrò; Bibliografia di Corrado Calabrò; Bio-bibliografia di Carlo Di Lieto; Bibliografia; Indice dei nomi eccetera e, infine, Dentro le pulsazioni della partitura: la poesia in musica di Corrado Calabrò a cura di Marcello Di Manna. Quel che ciascuno di noi ricava, sia dalla poesia di Calabrò, sia dai sondaggi di Di Lieto, dipende sempre, come accennavamo, dal nostro grado di cultura, dalla capacità di capire e assimilare. Non a tutti, perciò, è permesso quel che Di Lieto scava e porta in superficie del mondo onirico del poeta calabrese. “La poesia – egli scrive - si configura come disvelamento di una verità nascosta; è il contrario della finzione o, per lo meno, è l’accesso alla rivelazione, attraverso la finzione, senza alcuna distinzione, né corrispondenza tra apparenza e realtà, interiorità ed esteriorità; la matrice è di ordine neoplatonica plotiniana”. Né tutti siamo in grado di ricevere con la stessa intensità: “la ricezione della poesia – continua Di Lieto – ha sul lettore un potere magico di suggestione, che apre gli occhi sul mistero della realtà, nel segno delle pulsioni inconsce”. L’apparente semplicità di linguaggio di Calabrò suscita empatia; il lettore si sente istintivamente attratto, come se ciò che il poeta ha espresso e impresso sul foglio corrisponda perfettamente a ciò che egli in quel preciso momento anela e inconsciamente desidera; si sente gratificato; è un istante di perfetta corrispondenza tra chi crea e chi della creazione fruisce; l’empatia, cioè, si verifica in quel tempo perché è il solo momento nel quale il messaggio funziona perfettamente sia in entrata che in uscita, cioè tra chi scrive e chi legge, tra chi invia e chi riceve. Nella nostra giovinezza, quante lacrime leggendo Leopardi! Era giovane chi aveva scritto e inviato il messaggio e giovani eravamo noi che, leggendo, lo ricevevamo. L’empatia era perfetta. Oggi continuiamo ad amare Leopardi, ma la commozione in noi non è più quella di prima, non è più così intensa. “Anche il Tempo, nella poesia di Calabrò – scrive Di Lieto -, è da intendersi come estensione della coscienza e nella continuità infinita di un sistema di entità multiple”. Riassumere un tale libro, così vasto, così complesso, significherebbe trascriverlo per intero. Va
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letto, dalla prima all’ultima pagina. Secondo il critico, Calabrò sa tradurre l’ultramondo nel nostro mondo, facendo emergere l’Es, rintracciando il mai visto attraverso visioni semplici nel narrato quanto geniali. ”La poesia di Calabrò ha assimilato la regressione dell’io, per rintracciare l’invisibile, attraverso immagini di libere associazioni di idee”; “La poesia di Calabrò è sicuramente più accessibile, ma ha dei poteri divinatori, per cui occorre una strategia di avvicinamento indiretto, per scoprirne la magica seduzione”. La strategia di Di Lieto. Pomezia, 16 marzo 2022 Domenico Defelice
MARINA CARACCIOLO IL PENSIERO SOGNANTE La poesia di Ada De Judicibus Lisena (BastogiLibri, Roma, dicembre 2021; pp. 96, euro 10,00) Una puntuale ed empatica analisi critica “Il pensiero sognante”, titolo indovinato per il saggio della bravissima Marina Caracciolo sulla poesia di Ada De Judicibus Lisena. Anche l’immagine di copertina, che riproduce un quadro di Will Barnet, è preziosa e suggestiva nei suoi colori sfumati di oro e di blu, proprio come l’anima della protagonista sempre in un tenero abbraccio di luce e ombre, di misteriosi richiami alla vita e a fughe verso orizzonti inesplorati / da esplorare, di mare con barche in lontananza, che conoscono il canto delle sirene e la tranquilla dolcezza della riva... Nelle parole della Caracciolo, misurate e attente ad ogni sfumatura linguistica e contenutistica delle tante sillogi poetiche di Ada, e nei tanti commenti riportati di critici ed estimatori, emerge tutta la sua sensibilità poetica e pittorica, che si è andata sempre più affinando nell’arco di tanti anni vissuti per la poesia, di poesia, con poesia. Ricamo di classica eleganza e di raffinata struttura elegiaca. Ma di grande rilievo è anche il coinvolgimento culturale, civile e sociale di Ada nelle maglie esperienziali del proprio tempo sempre più alla deriva. In questa puntuale ed empatica analisi critica viene opportunamente evidenziata anche la sua adesione, partecipazione, condivisione al mondo degli uomini, delle piante, degli animali che sempre hanno animato il suo amatissimo giardino, andando spesso ben oltre la cortina dei cedri, dominio incontaminato e lieve del suo incedere, Domina e Regina, nella bellezza antica e sempre nuova della sua casa come della stessa parola sognata, pensata, scritta. Una scrittura incantata e magica che sa di ricordi
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di infanzia e prima giovinezza, vissute nelle voci, nei volti, nei gesti delle persone care che non ci sono più ma che hanno fatto culla e dimora stabile nel suo cuore, nella sua anima. Splendide, infine, le poesie della “lontananza”, ancora inedite ma colme di splendori della cultura classica e di nuove visionarie carezze ad un mondo in evoluzione, estraneo a quello suo di sempre ma ugualmente palpitante di affetti famigliari, di scoperte sociali, di preoccupazioni per una pandemia che riduce volti a bianche farfalle che, via via, vanno sparendo con i giorni che passano e rinvigoriscono paure e attese. Speranze. Ma il pensiero è un continuo azzurro ritorno alla sua casa lontana, che aspetta con ansia il respiro arioso e sognante della sua Domina, che si porta tra le amorevoli braccia di una vita la fanciulla “fatta di vento”, la “ragazza sottile” che a volte... prende la chiave / e spalanca i cancelli, / e intreccia ellissi di spazio / gioiosa delle nuvole / compagna degli uccelli. Anche per me preziosa amica, fanciulla dal cuore immenso, immerso nell’azzurro-blu-dorato della sua intensa, meravigliosa POESIA. Angela De Leo
CATERINA ADRIANA CORDIANO POESIE SCRITTE PER GIOCO Il Convivio Editore, 2022, Pagg 95, € 12,00 La silloge Poesie scritte per gioco è divisa in cinque sezioni: Tra me e me e me…, Stagioni, atmosfere, affetti, Luoghi, Le origini e la dannazione, Amore e dintorni. Sono sessantadue le liriche e come afferma Giuseppe Manitta, terminando la prefazione: “Giunti alla conclusione della nostra lettura, la poesia di Caterina Adriana Cordiano mostra nella sua naturalezza varie facce dell’esistenza, rivelando che le poesie scritte per gioco sono una cosa seria, sono espressione dell’Io, rappresentano uno sguardo sulla contemporaneità.” I versi corrono tra riflessioni, ricordi, rimpianti, la descrizione della Natura quale metafora della sua esistenza,
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ma anche della vita in generale. Con semplicità, ma anche delicatezza d’animo descrive i fenomeni atmosferici: “La terra respira pioggia/ e se ne inebria/ mentre l’acqua/ vien giù con forza, poi s’acquieta”. Oppure la descrizione del ciclo vitale di una foglia, che sembra essere così inerme, così passiva eppure così fondamentale per il pianeta: “Sbrindellata, fradicia/ ti adagiavi sull’erba/ sfinita e baciata/ della pietosa madre/ la buona terra/ che dentro di sé/ t’accolse/ per una nuova vita”. La Natura come una mamma abbraccia la sua creatura più piccola per elevarla a essere fondamentale all’interno del ciclo biologico. “Era strano quel mare/ fatto di pioggia/ che cadeva/ come lacrime/ dal volto affaticato/ del cielo”, il quale diventa metafora del viso umano che piange. Leggendo la silloge, viene in mente l’atmosfera di ricerca di alcune poesie di Hermann Hesse come Di fronte all’Africa, nella quale è predominante il senso del viaggio e del viandante. In questo nostro pianeta, siamo tutti di passaggio, non apparteniamo a un luogo in particolare, ma al mondo intero. Infatti, la poetessa scrive di sentirsi contadina del Sud, zingara andalusa, piccola geisha, principessa, timida araba, africana d’ebano, donna indiana. Io non ho radici:/ le mie radici/ sono il mondo. Hesse afferma che è necessario viaggiare per scoprire o riscoprire se stessi perché su questa terra sarà sempre un ospite. E quando si è ospiti si guarda ogni cosa con occhi diversi, rispettando i luoghi, le persone e le culture. Così come trapela dalle poesie della Cordiano: ora esulta il cemento/ nelle sue fogge/ oscene/che insulta l’anima/ e sfregia irreparabilmente/ il cuore. L’autrice ha insegnato per anni in Campania. Ha rivestito incarichi di responsabilità e di rilievo in Calabria. Per circa vent’anni è stata il presidente della Fondazione Culturale “Fortunato Seminara”. Ha pubblicato “I giorni del mare”, romanzo edito da Pellegrini Editrice, 2019. Manuela Mazzola
ISABELLA MICHELA AFFINITO SI CHIAMAVA CLAUDE MONET BastogiLibri Editrice, 2020, Pagg. 140, € 14,00 Il volume, Si chiamava Claude Monet, si presenta con un’elegante rilegatura e in copertina una bellissima immagine, realizzata dall’autrice con colore a vernice per l’architettura di fondo e collage per le figure femminili, la quale presagisce
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una raccolta di liriche avvolte dalla magia del ricordo e della parola. La silloge comprende cinquantacinque poesie dedicate al maestro Monet, Lettera immaginaria indirizzata all’artista, Recensione al film-libro Il giardino dei Finzi-Contini, Commento al romanzo Le Onde di Virginia Woolf e Intervista postuma immaginaria a Claude Monet. Isabella Michela Affinito dedica la sua opera ai segni zodiacali d’acqua, che pur non avendo forma, vogliono comunque lasciare la loro impronta nel mondo. Sia l’autrice, sia Monet, sia la prefatrice sono del segno dello scorpione, segno appunto d’acqua. Hanno un’incredibile capacità di rialzarsi e di affrontare le situazioni più dure, non si arrendono mai. Grazie al loro intuito e alla loro curiosità sono in grado di raggiungere il profondo senso delle cose. Sono intensi e appassionati e pieni di desideri. Le loro emozioni, però, sono mantenute nascoste, paragonabili per questo alle distese d’acqua di cui è visibile solo l’esterno e non si può sapere ciò che avviene nei loro profondi abissi. Scrive, così, l’autrice nell’introduzione: “Non ci sono mai state sgradevoli stagioni nei suoi quadri, l’atmosfera è stata ed era benevolmente pervasa da quell’intreccio eterogeneo di pennellate dove non è mai sopraggiunta la parola fine: del paesaggio, della scogliera, della campagna coi Covoni assolati, delle gite sulle barche, delle passeggiate col
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parasole, dei fiori col ‘respiro’ sospeso creati per una vita-non vita sull’acqua immobile, le cosiddette Ninfee!” La silloge è un viaggio che sfida il tempo nel ricordo del pittore tanto amato dall’Affinito: “Anche se è/distante da me/più di cent’anni/voglio percorrerlo, /sull’arco di luna/annacquato da/ gocce di glicine”. La poetessa è rapita dal fascino dell’acqua: “La leggerezza s’acquisisce/ entrando in sintonia con/l’elemento, anni per capire/che non ci sono inganni al/di là degli scogli tutt’uno/con i granchi, di che/colore è l’acqua ancora/non l’ho capito bene, /impressionista è il cuore/di Poseidone quando/una sirena completò il/ritratto!”. Quando Monet arrivò a Venezia, città amatissima dalla poetessa, la prese in mano per farla trasparente come una campana di vetro con la quale s’imprigiona la fede! Nella presentazione rafforza il concetto Marina Caracciolo: “Il tratto più seducente di questa poesia è forse la straordinaria trasparenza che l’avvolge tutta, quel meraviglioso mutare della luce nel variare delle ore del giorno che Monet amava tanto, si rispecchia qui in versi dove ogni cosa sembra contemplata attraverso cristalli luminosi o incantevoli bolle di sapone: magiche sfere nelle quali uno sguardo perspicace ma dolcissimo scorge nuvole ed acque, iridescenze di arcobaleni, riflessi di fronde o immobili, azzurre ninfee”. Cristalli luminosi, acque trasparenti, versi composti forse su un ponte di Venezia immaginando che sia quello giapponese con l’illusione ottica di camminare fra i topazi, i rubini, i turchesi e gli smeraldi. Manuela Mazzola
LORENZO SPURIO TRA GLI ARANCI E LA MENTA Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca PoetiKanten Edizioni, 2020, Pagg 65, € 10,00 “La silloge è al tempo stesso una rievocazione ed un’invocazione del poeta, con un fondo di accoramento che si scioglie nel colloquio con le piante e con la natura, in sintonia al sentire del poeta e in risonanza con i suoi versi”, afferma Corrado Calabrò nella quarta di copertina. In effetti il volumetto, composto da tredici liriche e sette schizzi ad inchiostro di china, interpretati dal maestro Franco Carrarelli, di cui uno in copertina, rappresenta un colloquio intimo tra l’autore e García Lorca, figura di spicco della generazione
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del ’27, che affrontò le avanguardie artistiche. Durante la guerra civile spagnola fu catturato e fucilato dalle forze franchiste in un’alba d’agosto. Il corpo fu gettato in un burrone vicino a Fuente Grande. La sua colpa fu quella di essere socialista, massone e omosessuale. “Non sono qui, perché non sono morto. / Il dio Pan è l’unico che sa dove abiti/ e mai svelerà il mistero che vi tormenta/ dacché seviziate la natura nel modo più truce”. Nazario Pardini nella prefazione afferma: “Un incontro tra Lorenzo Spurio e García Lorca. O meglio tra la verve creativa dell’Autore e la via crucis dello spagnolo (il mistero della sepoltura, la morte violenta per mano di nazionalisti, la ricerca della libertà in un frangente storico tragico come quello della guerra civile)”. “Quando sfioro il viola acceso/che tinge il bianco estasiante/nella magnolia, parlo con te”. Spurio immagina di parlare con l’artista spagnolo vicino la magnolia. Innanzitutto, perché il grande poeta spesso fa riferimento alla natura attraverso gli alberi, i gelsomini, le rose bianche e le magnolie, poi perché in una delle sue più belle liriche, Gazzella dell’amore imprevisto, Lorca parla dell’amore passionale: “Nessuno capiva il profumo dell'oscura magnolia del tuo ventre […] Fra gesso e gelsomini, il tuo sguardo era un pallido ramo di sementi”, questi versi suggeriscono una miriade di immagini e profumi, di fiori e di natura.
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L’autore lo sente amico, nella nota introduttiva, infatti, specifica Saluto ad un amico e chiarisce: “So però che l’anima di un’esistenza tanto rara e inestimabile come la tua non si annulla col tempo”; suggestivo anche il disegno che illustra la poesia Nella magnolia di Spurio, dal quale traspare il tono passionale dei versi. Proprio Jorge Guillen, amico di Lorca dichiara: “Federico García Lorca fu una creatura straordinaria. Creatura questa volta significa più che uomo. Federico infatti ci metteva in contatto con la creazione, con questo tutto primordiale dove risiedono le fertili forze”, dall’introduzione di Claudio Rendina in Libro de Poemas. Edizione integrale, edito da Newton Compton, 1999 quinta edizione. Nella magnolia vi è il punto d’unione tra Lorenzo e Federico, in cui il primo cerca di capire e sentire l’essenza del poeta, ma allo stesso tempo riporta alla luce fatti che si ripetono nella storia nonostante cambino gli scenari e i protagonisti. Manuela Mazzola
MARINA CARACCIOLO IL PENSIERO SOGNANTE La poesia di Ada de Judicibus Lisena BastogiLibri Editore, 2022, Pagg 94, € 10,00 Il saggio è diviso in dodici capitoli, in ognuno dei quali si esamina un’opera di Ada de Judicibus Lisena e nell’ultimo vi è una plaquette di poesie dedicate alla città di Milano. “Di là dalla vetrata/un tramonto di porpora e d’oro/domina il cielo, /irradia una luce calda/ dietro lo schermo di palazzi austeri”. L’attenta e precisa indagine critica di Marina Caracciolo narra l’affascinante dimensione poetica della Lisena, composta dai suoi affetti, memorie, inquietudini, dolori, ansie e dall’amore per la sua terra natia, ma anche dal suo sentire il silenzio dell’universo, che essa avverte, riuscendo poi a trascriverli nei versi. Il pensiero è la capacità di pensare, ossia l’attività con cui l’uomo e la donna esercita, sviluppando un processo mentale, meditando e riflettendo. Il termine sognante esprime, invece, un senso di rapito ed estatico abbandono, immerso in sogni o nell’irreale. Dunque, è un pensiero che nasce dal senso di abbandono in un mondo fantastico che esce dalla realtà e che si perde, rigenerandosi nell’infinito orizzonte della fantasia artistica della poetessa. Concetto espresso perfettamente nel quadro in copertina di Will Barnet, Early Morning – A way to Blue, olio su tela, 1972. L’autrice sogna all’alba, alle prime luci del giorno; osserva, riflette, vive e
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si nutre dei suoi stessi versi come scrive la Caracciolo nell’introduzione: “E’ nel suo poetare una proiezione soggettiva e pittorica della realtà, una rifrazione prismatica colma di fantasia, di sentimento e anche di inquietudine, di ciò che di volta in volta ella osserva, considera o ricorda con vivo coinvolgimento. Un universo lirico che non si rinchiude mai in sé stesso ma si apre al mondo, seppur con una costante discrezione, una vellutata dolcezza, quasi un pudico timore”. Sempre ricercato e accurato lo stile della Caracciolo: “Il senso di un mistero pudicamente non svelato eppure palpabile ad ogni pagina, una sorta di incanto, di sortilegio dal fascino suggestivo e imperituro, dove lo sguardo è portato non di rado a volgersi verso l’alto, rapito dalla bellezza incomparabile del firmamento”. Il pensiero sognante della poetessa non sfocia in mera fantasticheria, non è un alibi di evasione e chiusura al mondo. Di fronte alla cruda realtà il “volo” lirico diviene deplorazione, l’anelito e lo struggimento si fanno accorata preghiera. La Lisena, laureata in Lettere Classiche, ha insegnato nelle Scuole Superiori. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie, ha collaborato con altrettante riviste letterarie. Sono stati scritti saggi, monografie e recensioni sulle sue opere poetiche. Quest’ultimo lavoro di Marina Caracciolo proietta il lettore in quella dimensione fantastica ed estatica di cui abbiamo parlato prima, lasciandolo nello stupore e portandolo in un secondo momento alla ricerca dei testi, per saziare le domande e le curiosità sorte durante la lettura dell’opera, ed è come un libero andare un trasognato vagare nei sentieri variegati dell’anima. Manuela Mazzola
GLI ANGELI ALL’INFERNO Come angeli all’inferno nel piano tremulo dell’edificio, sotto la croce di solai caduti i ragazzi recitavano lamenti di morte. Non una carezza di madre né una lacrima pietosa sul flagello dei corpi. Mani solerti sfidavano tremori e sussulti, scavavano nel tufo sollecite a liberare il remoto respiro,
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ansimare estremo al filo di luce.
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All’accenno del chiarore ferito, leste sirene fendevano l’alba al funesto farsi del giorno. Graziano Giudetti Da: Artisti a Confronto - 44° Edizione
allora il vuoto questo sarebbe un lavoro un capolavoro afferrare quel nulla spettro di ciò che rimane nell’uomo Lucio Zaniboni Como
V’ILLUDETE
IL SENTIERO
V’illudete che frammenti di cielo si ricompongano nel mosaico della perduta fratellanza.
Ho camminato sull’orme dei passi di allora nel sentiero nel bosco verso il torrente.
C’illudiamo che l’arco dei secoli raccolga in un unico fluire le menti sofferenti.
Un ramo raccolto in parte levigato novello S. Cristoforo cercando fragoline
E non ci avvediamo che l’ipocrita armonia di queste note è un frastuono di fuoco, il declino di credere nel mistero della vita.
Ogni mio respiro col tuo ricordo
Graziano Giudetti Da: Frammenti di un diario, E. System Graphic, 2016
deridere i nuovi vestiti facile come irridere ai sacchi di burri se non hai visione dell’arte pensi si tratti mettere parte del paesaggio su tela ché tutto non ci può stare allora meglio tracciare Il segno di giotto forse voleva dipingere il mondo oggi imbrogliato dal gioco dei polli dovrebbe ritrarre una mela meglio una pera forse soltanto il picciòlo Più proprio un punto nel mezzo del quadro concetto spaziale ma ancora è già troppo ritrarre
potessi vedere con i miei occhi il sentiero più selvaggio aggrovigliato per uno spazio! Un raggio di sole tra erebi soffocanti, vaghe fragoline pervinche striscianti Penso alla resilienza Del mondo vegetale: cardi, lische, piantaggine verbaschi, tarassachi, asfodeli sileni, borraggine clematidi rampicanti Eppure ho visto porgere al cielo In uno spazio vitale la sassifraga Parnasia dai petali bianchi eretta come un erebo Dove un nettare luccicante fa volare api, farfalle, calabroni
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perché suggendo, fecondi un piccolo ovario rosato tutto purché la vita continui nel suo frutto. Wilma Minotti Cerini Pallanza, Verbania
D. Defelice: Il microfono (1960)
NOTIZIE ADA DE JUDICIBUS LISENA E MARINA CARACCIOLO – È appena uscito, col la BastogiLibri, il saggio di Marina Caracciolo sulla poetessa Ada De Judicibus Lisena. Ecco, appena ricevuta, una breve riflessione: Marina Caracciolo, Il pensiero sognante – La poesia di Ada De Judicibus Lisena, BastogiLibri//Testimonianze, 2022 Cara Ada, alla soavità della tua poesia si aggiunge la soavità del commento di questa scrittrice, Marina Caracciolo, entrata nella tua poeticità come se ti conoscesse da tanto e già sapesse di te, del tuo amore per i voli verso l’alto del cielo e della Natura. Lascio scorrere le pagine, belle per carta e per stampa, con il desiderio di leggere ciò che ella ha scritto, con leggerezza, garbo e profondità, sull’anima che dà fiato ai tuoi versi, al tuo mondo colorato di immagini mai violente, sempre soavemente pittoriche. Libro dopo libro la trama critica si svolge agevole,
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simpatica, concisa e pregnante: una ricca tela che si va animando e dipingendo. Da La cortina dei cedri, prima opera che mette chiaramente in luce la tua importante sensibilità poetica distesa sull’”infanzia del cuore”, fino alle ultime poesie spuntate dall’anima tua un po’ nomade, le poesie della raccolta Versi da Milano, il commento sapiente di Marina Caracciolo prosegue, in piena sintonia con il tuo mondo poetico, della tua poesia, che ossimoricamente direi tanto lieve e soave, quanto profondamente volta al sentire interiore di una donna che con intensità vive ascoltandosi e godendo e soffrendo della propria immensa sensibilità naturale, culturale e sociale. Lode alla levità, alla soavità della tua parola poetica, che non è assolutamente superficialità (attenzione!). E’ tutt’altro: studio della parola successivo all’ispirazione, filosofia del verbo che si fa musica e diventa canto. Il libro è bello: per la carta, per l’impostazione, per l’immagine di copertina e, soprattutto, per quello che contiene. Mi piace davvero tanto. Grazia Stella Elia Trinitapoli, 31 gennaio 2022 *** UCCISO IN UN INCIDENTE IL DIR. DE L’ATTUALITÀ COSMO GIACOMO SALLUSTIO SALVEMINI – Venerdì 4 marzo 2022 abbiamo ricevuto la dolorosa notizia del grave incidente subito dal Dott. Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini: “Buonasera. E' la redazione che Le risponde. Il Direttore Prof. Salvemini ha avuto un grave incidente
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venerdì scorso è stato investito da un'automobile. Attualmente è in terapia intensiva in stato di coma. I medici danno poche speranze di ripresa per gravi danni neurologici. Saluti La Redazione de L'Attualità” Cosmo Giacomo SALLUSTIO SALVEMINI è nato a Molfetta (Bari) nel 1943. Si è formato sugli insegnamenti morali di Gaetano Salvemini. Si laurea in Scienze politiche a Bari nel 1965. Si dà al giornalismo nel 1966. Si laurea in Giurisprudenza a Roma nel 1974. Insegna dal 1975 a livello universitario. Presidente della Casa d’Europa di Gallarate (Varese) e Preside del locale Liceo Cavallotti. Dal 1980 è Presidente del Movimento Gaetano Salvemini. Dirige dal 1991 il periodico L’Attualità e la Scuola di Giornalismo “G. Salvemini”. Nel 1995 fonda le Edizioni Movimento Salvemini. Nel 1999 promuove la costituzione dell’Unione Italiana Associazioni Culturali (U.N.I.A.C.) di cui è Presidente. Dal 2000 dirige l’organizzazione del “Maggio Uniacense”. Socio onorario dell’Associazione Pugliese di Roma. Gli sono stati conferiti più di 300 Premi per opere e per l’attività giornalistica. Dal 2003 è Deputato al Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace e Ministro del Dipartimento Relazioni Internazionali. Dal 2004 è direttore dell’Ufficio Stampa dell’Accademia Costantiniana. Socio onorario dell’Associazione Nazionale Magistrati Onorari. Tra i più di 35 libri, ricordiamo “Europa problemi giuridici ed economici” (1977, giunto alla sesta edizione), “La Repubblica va rifondata sulla random-crazia” (2014), Canaglie e Galantuomini (2015), Diritti umani violati (2016), “Non mollare” è il nostro motto (2017), Epuloni e Lazzari (2019), Cento ragioni per essere demorandomcratico (2021). S’era sperato che potesse farcela, che potesse ritornare alla direzione de L’Attualità e alle tante sue iniziative che l’hanno visto, da sempre, protagonista nel vasto campo della Cultura in genere, della politica e del Diritto. L’ultimo suo articolo da noi letto è “Unire l’Europa per unire il mondo”, apparso su L’Attualità di febbraio 2022, nel quale, tra
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l’altro, affermava: “Ribadiamo decisamente il nostro NO al sovranismo nazionalista, fautore di neo-nazi-fascismo e fomite di guerre. Insistiamo sulla necessità di abolire le obsolete Costituzioni nazionali e di introdurre il principio della Demo-random-crazia in Europa e nel mondo. Qualcuno ci considera utopisti? Rispondiamo: meglio essere considerati utopisti che complici di loschi faccendieri, “esperti” in occulte manovre pilotate da potenti lobby, sostenitrici di interessi privati e nemiche della Democrazia.” Sabato 12 marzo, una successiva comunicazione: il direttore de L’Attualità è morto! “La informiamo che il Direttore è deceduto questa mattina per le gravi conseguenze dell'incidente. La Redazione” Pomezia-Notizie porge le sue più sentite condoglianze alla Famiglia e alla Redazione de L’attualità. *** LA GERMANIA SI RIARMA – Scioccati e frastornati dai venti di guerra in Ucraina, la Germania annuncia di aver messo in bilancio miliardi e miliardi per le sue forze armate, per i suoi arsenali. I media ne accennano solamente, quasi con sollievo. Invece è notizia da mettere i brividi. Possibile che l’umanità si sia del tutto dimenticata che i più atroci disastri del secolo scorso portano la firma della Germania? Lasciar libera la Germania alla corsa delle armi, per il resto dell’Europa, a nostro avviso, equivale ad allevare un serpe in seno. Al di là del fatto che nessuna Nazione dovrebbe più ricorrere alle armi, ma solo a strumenti di pace e di benessere collettivo, è da imbecilli girarsi dall’altra parte quando a farlo è un popolo per tradizione guerrafondaio. Domenico Defelice
LIBRI RICEVUTI TITO CAUCHI – SPES Scambi Poetici Eco
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Straniera (Raccolta di recensioni) Introduzione di Isabella Michela Affinito, Editrice Totem 2022, pagg. 310, € 25,00. Sono antologizzati: Nadia-Cella Pop, Paul François Georgelin, Claude Le Roy, Paul Courget, Nicole Drano Stamberg, Solange De Bresieux, Irma Bonfillon, René Varennes, Samuel Bréjar,Elena Milesi, Bruno Rombi, Aleksandra Bashani, Maximilien Trenner, Peter Russell, Leonello Rabatti, Anna Ryder, Zacharoula Gaitanaki, Wilma Frances Ramp, Potis Katrakis, Zanneta Kaliva-Papaioannou, Stathis Grivas, Eleni I Grivas, Denis Koulentianos, Panagiota Christopoulou-Zaloni, Spiros K. Karamountzos, Jasvinder Sing, Shujaat Hussain, Themistoklis Katsaounis, Terry Gould, Teresinka Pereira, Gabriel García Màrquez, Carlos Chacón Zaldívar, Jaime Icho Kozak, Adolf P. Shvedchikov, Zhang Zhi, Lai Tingjei, Biplab Majumdar. Tito CAUCHI, nato l’11 agosto 1944 a Gela, vive a Lavinio, frazione del Comune di Anzio (Roma). Ha svolto varie attività professionali ed è stato docente presso l’ITIS di Nettuno. Tante le sue pubblicazioni. Poesia: “Prime emozioni (1993), “Conchiglia di mare” (2001), “Amante di sabbia” (2003), “Isola di cielo” (2005), “Il Calendario del poeta” (2005), “Francesco mio figlio” (2008), “Arcobaleno” (2009), “Crepuscolo” (2011), “Veranima” (2012), Palcoscenico” (2015). Saggi critici: “Giudizi critici su Antonio Angelone” (2010), “Mario Landolfi saggio su Antonio Angelone” (2010), “Michele Frenna nella Sicilianità dei mosaici” (monografia a cura di Gabriella Frenna, 2014), “Profili critici” (2015), “Salvatore Porcu Vita, Opere, Polemiche” (2015), “Ettore Molosso tra sogno e realtà. Analisi e commento delle opere pubblicate” (2016), “Carmine Manzi Una vita per la cultura” (2016), “Leonardo Selvaggi, Panoramica sulle opere” (2016), “Alfio Arcifa Con Poeti del Tizzone” (2018), “Giovanna Maria Muzzu La violetta diventata colomba” (2018), “Domenico Defelice Operatore culturale mite e feroce” (2018), Graziano Giudetti, Il senso della poesia (2019), Profili Critici 2012. Premio Nazionale Poesia Edita Leandro Polverini, Anzio. 163 Recensioni (2020), Pasquale
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Montalto. Sogni e ideali di vita nella sua poesia (2020), Angelo Manitta e Il Convivio (2020), Lucia Tumino una vita riscattata (2020), Silvano Demarchi Fine letterato e poeta (2020), Carmelo Rosario Viola. Vita, Politica, Sociologia (1928 – 2012) (2021), Piaf. Pagine Intime Ansia Femminile (2021), Clio. Conversazioni Letterarie Italia Oggi (2021), Edio Felice Schiavoce/Lucia Schiavone. Il Poeta Pediatra (1927 – 2016) La Restauratrice Scultrice (2021), Dike Diritti Incerti Karma Esausto (2021), NIKE Nuovi Idiomi Koinè Estrosa (2021). Ha inoltre curato la pubblicazione di alcune opere di altri autori; ha partecipato a presentazioni di libri e a letture di poesie, al chiuso e all’aperto. È incluso in alcune antologie poetiche, in antologie critiche, in volumi di “Storia della letteratura” (2008, 2009, 2010, 2012), nel “Dizionario biobibliografico degli autori siciliani” (2010 e 2013), in “World Poetry Yearbook 2014” (di Zhang Zhi & Lai Tingjie) ed in altri ancora; collabora con molte riviste e ha all’attivo alcune centinaia di recensioni. Ha ottenuto svariati giudizi positivi, in Italia e all’estero ed è stato insignito del titolo IWA (International Writers and Artists Association) nel 2010 e nel 2013. È presidente del Premio Nazionale di Poesia Edita Leandro Polverini. Ha avuto diverse traduzioni all’estero. ** MARCELLO FALLETTI DI VILLAFALLETTO – I Savoia – Acaia Signori del Piemonte, Principi d’Acaia e di Morea – Prefazione di Claudio Falletti di Villafalletto; seconda edizione ricca di foto documentarie fuori testo – Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2022, pagg. 162, € 20,00. Marcello FALLETTI DI VILLAFALLETTO, laureato in Lingue e Letteratura Straniera, è poeta, saggista e storico. Presiede l’Accademia Collegio de’ Nobili, fondata nel 1689. Ha ricevuto il Premio Nazionale Letterario Artistico “Elio Vittorini” (Messina, 1979) e il Premio Paolo VI “Una poesia per la pace” (Ercolano, Napoli, 1989). Dirige il periodico L’ Eracliano ed è fondatore e presidente del Premio Internazionale di
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Poesia “Danilo Masini”; collabora attivamente a giornali e riviste; ha redatto recensioni e prefazioni critiche a libri di numerosi autori. Tra le sue opere: Inter Nos (liriche, 1982), In quel tempo... (poesie e spigolature, 1989), I Savoia-Acaia, Signori del Piemonte (1990), Legendo oro, orando contemplor (1995), La storia e l’araldica (1998), Accademia Collegium Nobilium (2000), San Pancrazio in Val d’Ambra, camminando lungo i millenni (2002), Un salotto per gli amici (2002), Un uomo che seppe contare i propri giorni (2006), Dove sta la verità storica?!, Appunti e riflessioni sulla presunta appartenenza degli ultimi due marchesi di Barolo alla Massoneria (2006), La redenzione della donna: Giulia Falletti di Barolo (2007), Capitoli e Regolamenti (2009), La poliedrica figura di Carlo Tancredi nei Diari di viaggi (2009), La Chiesa di San Michele Arcangelo di Ponte Buggianese (2013), Canton Glarus, Cento Anni della Missione Cattolica Italiana (1912 - 2012) (2013), Davvero costui era figlio di Dio! (2017), Il coraggio di amare (2020) eccetera. ** ALDO RIPERT – Pria che sera a notte ceda – Poesie e Sonetti, Prefazione di Marcello Falletti di Villafalletto; in copertina, a colori, un disegno dello stesso autore; Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2022, pagg. 74, € 10,00. Aldo RIPERT è nato a Roma il 9 giugno 1939. Ha ricevuto Premi e riconoscimenti. Tra le sue opere: Faran Faran in memoria di Gianni Rodari (1984), La leggenda del “misero Achille” (2010), Parole in pentagramma (2019). ** FABIOLA CONFORTINI – Dentro l’azzurro dei Pensieri – Poesie, Prefazione i Marcello Falletti di Villafalletto, Anscarichae Domus Accademia Collegio de’ Nobili Editore, 2021, pagg. 134, € 12,00. Fabiola CONFORTINI è nata a Firenze il 1° dicembre 1948 e risiede a Limite (FI). Docente di Lettere, ora in pensione. Vincitrice di molti e importanti premi. Ha pubblicato: Profumo di vita (2020).
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** CATERINA ADRIANA CORDIANO – Poesie scritte per gioco – Prefazione di Giuseppe Manitta, Il Convivio Editore, 2022, pagg. 96, € 12,00. Caterina Adriana CORDIANO è nata a Giffone (Reggio Calabria) e vive a Maropati. Laureata con studi regolari tra Campania e Calabria, ha insegnato in questa regione e a Napoli. A Maropati (RC), per circa vent’anni, ha ricoperto la carica di Presidente della Fondazione Culturale “Fortunato Seminara”. Ha scritto molto, innamorata della narrativa e della poesia, ma solo ora ha deciso di stampare, ottenendo il plauso di illustri scrittori e critici. Ha pubblicato: I giorni del mare (romanzo, 2019). ** GABRIELA BOSSO – Musha – Traduzione e Prefazione di Carlo Bosso; in seconda bandella, giudizio di Sandro Gros-Pietro; in copertina, a colori, “La niña del cuello blanco”, di Ramón Gómez Cornet – Genesi Editrice, 2021, pagg. 126, € 12,50. Gabriela BOSSO è nata nella regione del Tucuman in Argentina, dove vive. Appassionata d’arte e cultura, è produttrice, sceneggiatrice e regista di pellicole a carattere documentaristico, tra cui “Divino niño” (2014 che ha ottenuto un bel successo di pubblico e critica) e Seis Letras (Sei lettere, 2020). Ha ottenuto Premi e riconoscimenti importanti. Ha scritto: “40 Grados, Narrativa contemporánea” e “Gracias Totales, tributo a Soda Estéreo”. Recenti sue opere letterarie: Acerca de Judas (2013), Musha (2018). ** WALTER CHIAPPELLI – Sì – Prefazione di Sandro Gros-Pietro; in copertina, a colori, “La gioia dell’essere”, di Antonio Cotecchia – Genesi Editrice, 2021, pagg. 74, € 10,00. Walter CHIAPPELLI è nato a Pracchia (Pistoia) nel 1938. Musicista, risiede a Porretta Terme, in provincia di Bologna. Diplomatosi a Firenze, ha insegnato Storia dell’Arte e ha frequentato il “Corso di perfezionamento di disegno dal vero” di Pietro Annigoni all’Accademia di Firenze. Collaboratore di Vernice. Tra le sue pubblicazioni: Vivi (1977), Il dolore disarmato (1979), Silenzio vivo
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(1984), Vampa celestiale (2005), Qui in carne, in spirito (2005), Passione e pensiero (2006), Realtà e fede (2008), Soavissima pietas (2009), Mia rosa mia luce (2010), Una rosa è una rosa (2012), Dolce solenne parola (2013), Dentro il tempo (2014), Gli arcobaleni sacri (2016), Meditare, viverre (2017), Il palpito del mondo (2019), Qui e ora (2021). ** CORRADO CALABRÒ Quinta dimensione. Poesie scelte 1958 – 2021 – Nuova Edizione, Mondadori, 2021, pagg. 332, € 18,00. Corrado CALABRÒ è nato a Reggio Calabria il 13 gennaio 1935. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto parte della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato e fino al 2012 è stato Presidente dell’AGICOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ha pubblicato monografie riguardanti il diritto del lavoro e il diritto amministrativo. Innumerevoli i Premi e i riconoscimenti. Proposto per il Premio Nobel. Per la sua opera letteraria l'Università Mechnikov di Odessa, nel 1997, e l'Università Vest Din di Timisoara, nel 2000, hanno conferito a Corrado Calabrò la laurea honoris causa; lo stesso hanno fatto altre università italiane e straniere. Ha pubblicato numerosi volumi di poesia e saggi, tra cui: Prima attesa (1960), Agavi in fiore (1976), Vuoto d’aria (1979, 1980, Premio Rhegium Julii), Presente anteriore (1981), Mittente sconosciuta (1984), Deriva (1989, 1990), Il sale nell’acqua (1991), Vento d’altura (1991), La memoria dell’acqua (1991), Rosso d’Alicudi (1992, Mondadori, tre edizioni, finalista Premio Viareggio), Lo stesso rischio (2003), Ricordati di dimenticarla (romanzo, 1999), Le ancore infeconde (2000), Una vita per il suo verso (2002), Poesie d'amore (2004), La stella promessa (2009), T'amo di due amori - raccolta tematica delle poesie d'amore con CD con poesie lette da Giancarlo Giannini (Vallardi, 2009), Dimmelo per sms (2011), Password (2011), Rispondimi per sms (2013), Mi manca il mare (2013), Stanotte metti gli occhiali di luna (2015), Mare di luna (2016), La scala di Jacob
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(Premio Città di Pomezia, 2017), Quinta dimensione. Poesie scelte 1950 – 2018 (2019), L’altro (2020).
TRA LE RIVISTE EUTERPE - Rivista di Poesia e Critica Letteraria online – Lorenzo Spurio, Casella postale 375 – Ufficio postale Jesi centro – 60035 Jesi (AN) – e-mail: rivistaeuterpe@gmail.com – Riceviamo il n. 34, febbraio 2022, dal tema: “Desiderio di evasione, vagabondaggio ed erranza: suggestioni, simbolismi e messaggi”. Hanno collaborato e contribuito con proprie opere a questo numero della rivista (in ordine alfabetico) gli autori: ALBASINI Teresa, ALEXANDRU Elena Denisa, APOSTOLOU Apostolos, ARIEMMA Angelo, BALDI Fabia, BARBERA Michele, BARDI Stefano, BARRACATO Antonio, BARTOLUCCI Maria, BELLANCA Adriana, BELLUCCI Massimo, BIANCHI MIAN Valeria, BIOLCATI Cristina, BISUTTI Donatella, BONANNI Lucia, BUFFONI Franco, CALABRO’ Corrado, CAMELLINI Sergio, CARLI BALLOLA Riccardo, CARMINA Luigi Pio, CARRABBA Maria Pompea, CASADEI Valentina, CASCELLA LUCIANI Anna, CAUSI Antonino, CHIARELLO Maria Salvatrice, CHIARELLO Rosa Maria, CIMINO Annalena, CINNERELLA Pasqualino, COMITINI Marcello, CORIGLIANO Maddalena, CORONA Antonio, CURZI Valtero, DEFELICE Domenico, DE FELICE Sandra, DE ROSA Mario, DE STASIO Carmen, DEL MORO Francesca, DOMENIGHINI Luciano, ENNA Graziella, FELICETTI Maria, FERRARIS Maria Grazia, FERRERI TIBERIO Tina, FIAMENI Nicole, FILECCIA Giovanna, FIORENZONI Fiorella, FIORI Antonio, FLORIO Antonietta, FOLLACCHIO Diletta, FUSCO Loretta, GAGLIARDI Filomena, GRASSELLI Denise, GUILLAME Gianluca, INNOCENZI Francesca, LANIA Cristina, LE PIANE Fausta Genziana, LENTI Maria, LENTINI Giuseppe,
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LUZZIO Francesca, MAFFIA Dante, MAGGIO Gabriella, MAGLI Simone, MANNA CLEMENTI Anna, MARCUCCIO Emanuele, MARIGO Adriana Gloria, MARTILLOTTO Francesco, MAUTHE Ugo, MINORE Renato, NANINI Elisa, NARDI Lucia, NOVELLI Flavia, PACI Gabriella, PAGNI Alessandro, PASERO Dario, PELLEGRINI Stefania, PIERANDREI Patrizia, PIERGIGLI Matteo, PISANA Domenico, POLVANI Paolo, PRINCIPI Simone, PROIETTI Cinzia Maria Adriana, PUSTERLA Fabio, RAGGI Luciana, RICCIALDELLI Simona, ROMANO Nicola, RUFFILLI Paolo, RUSSOTTI José, SABATO Adriana, SIVIERO Antonietta, SPAGNUOLO Antonio, SPURIO Lorenzo, STANZIONE Rita, STRINGA Teresa, TOFFOLI Davide, TOMMARELLO Laura, TODARI Arianna Shephali Margherita, TONINI Claudio, VANNI Antonio, VARGIU Laura, VENEZIANI Antonio, VESCHI Michele, VINCITORIO Anna, VITALE Carlos, ZANARELLA Michela. Di particolare interesse è la sezione saggistica del presente volume che si compone dei seguenti contributi: ARTICOLI RENATO MINORE – “Io passeggio per passeggiare”; MASSIMO BELLUCCI – “Andarsene a piedi”; ANTONIETTA SIVIERO – “Evasione, sogno, fantasia, un quid in più della mente umana”; SERGIO CAMELLINI – “Nell’infanzia, la stagione dei perché dà felicità o infelicità?”; ANNA VINCITORIO – “Errare alla ricerca dell’isola”; ANGELO ARIEMMA – “Viaggi letterari”; LORETTA FUSCO – “Bukowski: nato per essere”; VALERIA BIANCHI MIAN – “Horreur du domicilie e altri mostri”; ANTONINO CAUSI – “La cultura hobo”; MARIA LENTI – “Dove ti trovo per ritrovarti?”. SAGGI LUCIA BONANNI – “Erranze emotive, percezioni e messaggi nel romanzo Stoner di John Williams. Lettura critica”; FRANCESCA INNOCENZI – “Il mito di Ulisse nella poesia del Novecento: Pascoli, Kavafis, Saba”; GRAZIELLA ENNA – “L’erranza come ricerca inesausta di se stessi: dal trascendente all’immanente, dal sacro al profano. Esempi in Petrarca e
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Ariosto”; APOSTOLOS APOSTOLOU – “Il gioco del mondo come evasione. Il filosofo Kostas Axelos e l’affascinato amaro gioco del mondo come evasione”; FAUSTA GENZIANA LE PIANE – “Arthur Rimbaud, un vagabondo nato”; MARIA GRAZIA FERRARIS – “Desiderio di evasione, vagabondaggio ed erranza: il caso di Jack Kerouac”; LUCIANO DOMENIGHINI – “Vagabondaggio ed erranza. Appunto sulla parola “errare”; STEFANO BARDI – “Dal tramonto all’alba: Bruck, Schiavoni e Puglisi”; VALTERO CURZI – “Desiderio di evasione, vagabondaggio ed erranza: suggestioni, simbolismi e messaggi”; LORENZO SPURIO – “Maledettismo e nomadismo in Raymond Carver. Un avvicinamento al geniale scrittore americano attraverso la lettura di padre Antonio Spadaro”; DOMENICO DEFELICE – “Wanderer del paesaggio, ma più della parola e dello spirito: Emerico Giachery”; DENISE GRASSELLI – “Evasione e introspezione nel Notturno indiano di Tabucchi”; FILOMENA GAGLIARDI – “La dialettica fra errare e ritrovarsi come essenza di tutte le storie: da Ulisse a Herman Hesse”; FRANCESCO MARTILLOTTO – “Torquato Tasso “peregrino errante””; DILETTA FOLLACCHIO – “Evasione, erranza e vagabondaggio da e nella esistenza”; CARMEN DE STASIO – “Le misure creative dell’erranza”. Il nuovo numero può essere letto e scaricato in formato PDF cliccando qui. Esso può, inoltre, essere scaricato e letto anche sugli altri formati: Azw3 per Kindle ; Mobi ; Epub ; ISSUU/Digital Publishing * MAIL ART SERVICE – Bollettino dell’Archivio “L. Pirandello” di Sacile, diretto da Andrea Bonanno – via Friuli 10 – 33077 Sacile (PN) - E-mail: postmaster@andreabonanno.it – Riceviamo online il n. 117, marzo 2022 dal quale segnaliamo: “Le amate letture e le incisive ricognizioni critiche del poeta e saggista Tito Cauchi”, di Andrea Bonanno. * FLORILÈGE – Trimestrale di creazione letteraria e artistica diretto da Stéphen Blanchard
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– Bureau 328 Boite H 1 – 2, rue des Corroyeurs 21000 Dijon (Francia) – E-mail: aeropageblanchard@gmail.com – Riceviamo il n. 186, marzo 2022. Immagini a colori in prima, quarta di copertina e alle pagine interne 30 e 31 del pittore Philippe Loubat. Almeno 93 autori, tra artisti, poeti e scrittori, tra cui l’italiano Ferruccio Brugnaro. Tra i libri presentati, “Parole sospese”, di Manuela Mazzola, attraverso una nota di Irène Clara, la quale, tra le tante riviste, presenta anche il numero dello scorso gennaio della nostra Pomezia-Notizie. Ecco la traduzione della sua poesia di pagina 13: PHÉNIX L’uccello di fuoco risorto dalle ceneri illumina la notte con la sua luce. L'uccellaio voleva sorprenderlo ma nella sua rete ha intrappolato solo un po' d'aria. Magico uccello il battito delle tue ali fermenta nel mito presente e passato. Come l'anima inafferrabile cancelli il tragico che tu rubi alla morte. Irène Clara Libera versione italiana di Domenico Defelice * L’ATTUALITÀ – Mensile di società e cultura fondato e diretto da Cosmo Giacomo Sallustio Salvemini – via Lorenzo il Magnifico 25 – 00013 Fonte Nuova (Roma) – email: lattualita@yahoo.it – Riceviamo il n. 2, febbraio 2022, del quale segnaliamo l’articolo di fondo del direttore Sallustio Salvemini: “Unire l’Europa per unire il mondo”. Tra i tantissimi collaboratori, citiamo Isabella Michela Affinito che cura la rubrica “Io e i pianeti dello zodiaco”. *
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L’ERACLIANO – Mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili – fondata nel 1623 – diretto da Marcello Falletti di Villafalletto – Casella Postale 39 – 50018 Scandicci (Fi-
renze). E-mail: accademia_de_nobili@libero.it - Riceviamo il n. 288/290 del gennaiomarzo 2022, dal quale segnaliamo l’articolo di fondo “Umanesimo e concretezza” del Preside Marcello Falletti di Villafalletto. Altri pezzi interessanti: “Beppe Dati ricorda Giancarlo Bigazzi”, a cura di Carlo Pellegrini e tratto da “Il Cittadino” di Pescia, e “Apophoreta”, rubrica recensiva a cura di Marcello Falletti di Villafalletto. Altre rubriche e foto a colori sempre impeccabili. L’ARTE DI UN MOLISANO Non mi lacrima stasera l’occhio sinistro se pure entra il freddo nel corno del bue in questo Ariete, così posso applicarlo per parole, che sono per la tua arte lasciata nelle estese tele, ordinario Tamburro, molisano. Credimi: non conta disseppellire padri del colore, connettere stucchevoli, ardui discorsi per ciò che non euritmia esprimi. Strade, mostruosità dei mezzi, come treni, vetture sconquassate, facciate di case a Montmartre con l’impiego del nero, del bianco calce, di qualche chiazza sanguigna eleggi, ma, soprattutto, per l’ultima tua arte, corpi rudi muliebri, non obbligati, con un po’ di pezza o senza e, dopo, la malinconia dorata del fresco umano (come Barbara) in partenza o nei Caffè seduta con bicchieri
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sul tondo marmoreo. Dell’altro: ho letto che pure te la dulcis Parthenope alimentava un tempo, quand’eri mosto... Da lì fu la tua storia d’uomo e d’arte, non nuovo molisano. Verona, 26 marzo 1998 Sebastiano Saglimbeni Verona Sebastiano Saglimbeni è uno scrittore e poeta novantenne, del quale avevamo perso i contatti dagli anni sessanta. Di lui ricordiamo di aver letto, e recensito sul veneziano Minosse del 4 novembre 1967, due sue opere: I martiri hanno l’acqua in bocca (edito da Il Fauno, di Firenze) e Il decadimento di tutto il mondo (Trevisini, Milano). È anche Traduttore. Artista a tutto tondo, sa fare col verso anche critica d’arte e lo dimostra, in particolare, SUAVIS DOMINA (presentata da Mario Geymonat, che comprende “Spartito di dediche”, “Altra poesia”, Fiori di peste”, Dalla traduzione delle Georgiche”, “Dalla traduzione dell’Eneide”), ora da noi letta sul blog Associazione Concetto Marchesi Gallarate. Da essa è il brano su Tamburro, qui pubblicato. Domenico Defelice Domenico Defelice: Molise, mannelli di grano ↓
AI LETTORI, AI COLLABORATORI La Dottoressa Manuela Mazzola, che in data 07/03/2022 ha offerto gentilmente la sua collaborazione gratuita, a partire da questo numero e fino al 31 dicembre corrente anno, viene nominata VICEDIRETTRICE. Manuela Mazzola, poetessa e scrittrice, è collaboratrice di numerose Testate, tra le quali L’attualità, Il Convivio, Il Pontino nuovo, The world poets quarterly. AI COLLABORATORI Inviare i testi (prodotti con i più comuni programmi di scrittura e NON sottoposti ad impaginazione o altro) preferibilmente attraverso E-Mail: defelice.d@tiscali.it. Mantenersi, al massimo, entro le tre cartelle (per cartella si intende un foglio battuto a macchina da 30 righe per 60 battute per riga, per un totale di 1.800 battute); per quelli più lunghi, prendere accordi con la direzione. Si ricorda che Pomezia-Notizie non ha pubblicità e si mantiene solo attraverso i contributi dei lettori. Per ogni ed eventuale versamento, assolutamente volontario: Domenico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071 Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 N076 0103 2000 0004 3585 009 - Il mensile è disponibile gratuitamente sul sito www.issuu.com al link: http://issuu.com/domenicoww/docs/ - Per chi vuole ricevere on line la versione pdf, versamento annuale di € 30.
Pubblicazione privata Vicedirettrice: Manuela Mazzola