e-borghi travel magazine: 09 Artigianato e borghi - rivista di viaggi

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ARTIGIANATO Rivista digitale di viaggi, borghi e turismo slow

LAZIO,

manufatti e genio umano

VENETO,

eccellenze artigiane

CALABRIA,

arte orafa

Numero 09 2019 Edizione gratuita

Ala,

borgo di velluto

Acquaviva Picena,

intrecci di storia

Frosolone,

forgiatura lucente

Oltreconfine,

Sol Levante creativo

www.e-borghitravel.com


HAPPINESS IS A JOURNEY.

bit.fieramilano.it


9 - 11 FEBBRAIO FEBRUARY 2020 FIERAMILANOCITY | MICO



NATURALE

perché fatto solo con carne di maiale italiano, sale marino e l’aria di San Daniele.

SINCERO

perché non ha segreti, solo un ambiente intatto e magie naturali; terre alte, le Alpi, l’Adriatico e il vento.

…UNICO

perché più che un Prosciutto è una cultura.

Il segreto del San Daniele è San Daniele w w w. p r o s c i u t t o s a n d a n i e l e . i t


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marino bocelli/Shutterstock.com


® e-borghi travel 09 www.e-borghitravel.com Publisher Giusi Spina direzione@3scomunicazione.com Coordinamento editoriale Luciana Francesca Rebonato coordinamento@e-borghi.com Art director Ivan Pisoni grafica@e-borghi.com Segreteria di redazione Simona Poerio segreteria@e-borghi.com Hanno collaborato a questo numero Antonella Andretta, Alessandra Boiardi, Simona PK Daviddi, Grazia Gioè, Cinzia Meoni, Marino Pagano, Luca Sartori, Nicoletta Toffano, Carola Traverso Saibante, Valentina Schenone Traduzioni Beatrice Lavezzari Revisione Bozze Joni Scarpolini Promozione e Pubblicità 3S Comunicazione – Milano Cosimo Pareschi pareschi@e-borghi.com Redazione 3S Comunicazione Corso Buenos Aires, 92, 20124 Milano info@3scomunicazione.com tel. 0287071950 – fax 0287071968 L’uso del nostro sito o della nostra rivista digitale è soggetta ai seguenti termini: Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di www.e-borghitravel.com può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di recupero o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronica, meccanica, fotocopia, registrazione o altro, senza previa autorizzazione scritta da parte di 3S Comunicazione. Nonostante l’accurata verifica delle informazioni contenute in questo numero, la 3S Comunicazione non può accettare responsabilità per errori od omissioni. Le opinioni espresse dai contributori non sono necessariamente quelle di 3S Comunicazione. Salvo diversa indicazione, il copyright del contributo individuale è quello dei contributori. È stato fatto ogni sforzo per rintracciare i titolari di copyright delle immagini, laddove non scattate dai nostri fotografi. Ci scusiamo in anticipo per eventuali omissioni e saremo lieti di inserire l’eventuale specifica in ogni pubblicazione successiva. © 2019 e-borghi

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Marchio di qualità turistico ambientale per l’entroterra del Touring Club Italiano


INAUGURAZIONE TEATRO LA FENICE STAGIONE LIRICA E BALLETTO 2019-2020

24, 27, 30 novembre 3, 7 dicembre 2019

www.teatrolafenice.it


ditoriale

eLuciana Francesca Rebonato facebook.com/lfrancesca.rebonato

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ngegno umano e creatività. Passione e unicità. Tradizione che incede di pari passo con l’innovazione, mentre lo sguardo proteso al futuro si forgia alla memoria del passato, rinnovandosi nel presente. È l’Italia dei borghi dell’artigianato, protagonista di questo numero di e-borghi travel: tecniche antiche e abilità manuali, realizzazioni che nelle loro declinazioni danno forma a opere uniche, diventando espressione dei territori in cui prendono vita e nei quali la scoperta dell’artigianato locale vale di per sé una vacanza. Un viaggio nei borghi all’insegna del Belpaese più autentico, quindi, nel quale assistere al quotidiano dialogo tra inventiva e attuazione. Iniziamo dal Veneto: un arazzo di paesaggi a ogni latitudine e altitudine nel quale il panorama è intessuto anche di maestrie artigianali, poi il Lazio dai mille volti, avvolto intorno alla maestosità di Roma e punteggiato da minuscoli borghi dal dna artigiano. Origini antichissime che si perdono nella notte dei tempi, come quelle dell’arte orafa della Calabria: monili preziosi che compendiano simbolismi e riflettono bagliori apotropaici. Seduzione tattile, invece, è quella del morbido velluto del borgo trentino di Ala, tradizione secolare come quella dello scintillio delle lame di Frosolone in Molise e delle “pajarole” di Acquaviva Picena, nelle Marche, che si racconta con l’abilità delle mani che intrecciano cesti in paglia e salice. Evocazioni non solo suggestive o immaginifiche ma propriamente concrete, da scoprire percorrendo tutta la Penisola, isole comprese, un percorso nell’incredibile universo del “fatto a mano italiano”, patrimonio stimato in tutto il mondo. Un’arte, quella artigiana italiana, di assoluta eccellenza, tramandata di generazione in generazione e che suscita ammirazione, sovente emulazione. Perché «L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira». Parola di Socrate. Luciana Francesca Rebonato coordinatore editoriale


Sommario Ala

Cantina Laimburg

Veneto

Acquaviva Picena

Frosolone

Lazio


Riflessi d’oro di Calabria

Un’artigiana in cucina

Weekend goloso

Oltreconfine: Giappone

Giapponismo

Vacanze fuori posto

Leggende

Curiosità

Recensione

In copertina, il mastro artigiano Ercolino Albinante della Bartolucci (www.bartolucci.com) Sergio Hernan Gonzalez/Shutterstock.com



Malcesine | Lago di Garda | Veneto


Valentina Schenone

facebook.com/valentina.schenone.7

Associazione culturale Vellutai CittĂ di Ala facebook.com/ass.vellutai


Ala,

“borgo di velluto�

Palazzo Malfatti-Azzolini Gabriele Cavagna


Palazzo Taddei Gabriele Cavagna

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l borgo di Ala venne insignito del titolo di “città” da Giuseppe II d’Asburgo nel 1765, periodo di grande successo economico e commerciale dato dalla produzione e dall’esportazione del velluto locale in Austria, Boemia, Ungheria e in altri paesi europei. E fu proprio quella, l’epoca in cui il borgo di Ala raggiunse il suo massimo splendore, anche se la tradizione della gelsicoltura e l’allevamento del baco da seta arrivarono molto prima, per opera dei veneziani. Poi Venezia perse la Vallagarina nel 1509 e Ala passò sotto il controllo della Casa

d’Austria. La stabilità politica fece crescere le attività manifatturiere e commerciali dei filatoi ad acqua del baco da seta e, superata la peste del 1630, arrivò il periodo più fiorente di questo borgo del Trentino. L’incontro tra l’arciprete Alfonso Bonacquisto e due fuggiaschi genovesi, nel 1657, fu “galeotto”: Giovanbrunone Taddei, il primo a fiutare l’affare, mise a disposizione dei genovesi (Genova era nota per la produzione di velluti) due stanze dove nacque il primo laboratorio dei tessuti, realizzato con macchinari provenienti da Genova.


Eder/Shutterstock


Espansione e ricchezza

N

el 1765 ad Ala esisteva la “Corporazione dei velludari”. L’attività legata al velluto era così fiorente da non risentire della crisi che interessava il resto dell’Italia e la mancanza di concorrenza nel commercio del velluto rendeva Ala sempre più forte. Ala si ampliò, vennero costruiti nuovi quartieri ed edifici che ospitavano i laboratori e crebbero anche le abitazioni di chi lavorava nel settore. La produzione di velluto richiese la costruzione di edifici artigianali lungo la roggia - per l’energia idraulica -, di fila-

Palazzo de’ Pizzini Gabriele Cavagna

toi, tintorie, di una “garberia” per la concia delle pelli, di molini, di fucine e di folloni. Gli antichi palazzi dei mercanti imprenditori del velluto il Palazzo de’ Pizzini - tre edifici costruiti tra la fine del ‘600 e la fine del ‘700 -, il Palazzo Angelini, i Palazzi Gresta e Taddei - furono abbelliti. Contemporaneamente, vennero ristrutturati e costruiti edifici come l’antica sede civica del comune, la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, la chiesa di San Giovanni, la chiesetta di San Giovannino e il ponte sul torrente Ala.

Piazza San Giovanni Gabriele Cavagna


Gabriele Cavagna

Palazzo Malfatti-Azzolini Gabriele Cavagna

Gabriele Cavagna


Palazzo de’ Pizzini Gabriele Cavagna



Vallagarina D-VISIONS/Shutterstock

Fontana della Gioppa Gabriele Cavagna

lidialongobardi77/Shutterstock


Ala, bandiera arancione

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ncastonata nella bassa Vallagarina, Ala si fregia della “Bandiera Arancione”, marchio di qualità turistico-ambientale del Touring Club Italiano destinato ai comuni e alle piccole località dell’entroterra che si distinguono per un’offerta di eccellenza e un’accoglienza di qualità. Atmosfera, ospitalità, varietà e autenticità delle manifestazioni e degli eventi, integrazione nel contesto architettonico delle strutture ricettive, unitamente all’accessibilità e alla mobilità interna grazie a mezzi di trasporto efficienti, sono alcune delle motivazioni dell’assegnazione del

Gabriele Cavagna

marchio. E sicuramente la storia della produzione del velluto di seta è una delle attrattive di Ala le cui fontane, a rimarcare la primaria importanza dell’acqua, sono ben 17: simbolo di accoglienza per i viandanti allora, lo sono anche per i visitatori del terzo millennio. Oggi, in un piccolo negozio del centro storico, è possibile visitare un telaio antico proveniente dalle Tessiture Cordani di Zoagli (Genova). Oltre il borgo, interessanti escursioni si possono effettuare nella valle di Ronchi, che conserva intatte le sue bellezze naturali.

Elena Rastaturina/Shutterstock


Monti Lessini Gabriele Cavagna



Gabriele Cavagna

Velluto e musica protagonisti dell’estate

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al 1998 annualmente e in estate una manifestazione celebra Ala come “Città di Velluto” e tutto il centro storico di Ala fa un salto temporale nella ricca e sfarzosa epoca dei vellutai. I visitatori vengono guidati da centinaia di figuranti in costume settecentesco dell’”Associazione culturale vellutai città di Ala” - all’interno degli antichi palazzi e per le strade - animate da eventi e spettacoli -, mentre nelle

corti e nei giardini si può assistere a rappresentazioni di antichi mestieri - il fabbro, il fornaio, il tessitore - e gustare pietanze e vini del territorio, come il Marzemino, decantato anche da Mozart nel suo “Don Giovanni”. Con la bella stagione il borgo si trasforma in una grande festa della musica e ovunque si tengono concerti, workshop e incontri con grandi artisti di fama internazionale.


Palazzo Angelini Gabriele Cavagna

Palazzo Malfatti-Azzolini Gabriele Cavagna

Gabriele Cavagna


Gabriele Cavagna



Palazzo de’ Pizzini Gabriele Cavagna

Omaggio a Mozart Gabriele Cavagna

Eder/Shutterstock.com


Palazzo de’ Pizzini Gabriele Cavagna

Mozart e gli ospiti illustri di Ala

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ra i numerosi visitatori illustri di Ala - tra cui Carlo V e Carlo VI, Francesco I con la consorte Maria Teresa d’Austria, Napoleone I, lo zar Nicola I - compare Wolfgang Amadeus Mozart, che per ben tre volte fu ospite, insieme al padre, dei fratelli Giovanni Battista e Pietro de’ Pizzini. Oggi le sale del Palazzo dove Mozart “si divertiva a far musica” ospitano il “Museo del pianoforte antico”, nel quale si possono ammirare strumenti dell’epoca di Mozart, Schubert,

Beethoven e Chopin. Da maggio a ottobre, la prima domenica di ogni mese, il comune di Ala organizza visite guidate del museo con concerto dal vivo di strumenti storici. È particolarmente suggestivo grazie all’acustica del salone, dovuta al pavimento e alla balaustra soprastante in legno e alle pareti lievemente concave. Il Palazzo de’ Pizzini è anche sede dell’Accademia internazionale di interpretazione musicale con strumenti d’epoca.


Ala

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Natale nei palazzi barocchi Gabriele Cavagna

COMUNE DI ALA

TRENTO

Trento, Trentino Alto Adige Abitanti: 8786 Altitudine: 180 m s.l.m. Superficie: 119,87 km² Santo Patrono: San Valentino e Santa Maria Assunta 14/02 Borghi Autentici d’Italia

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Bolzano



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Cantina Laimburg: la ricerca fa buon vino Antonella Andretta

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ell’Italia dagli infiniti volti, c’è un territorio dove la molteplicità di coltivazioni e la biodiversità nascono da microclimi e condizioni geografiche diverse tra di loro pur trovandosi in un’area di dimensioni ristrette: l’Alto Adige. Siamo qui per parlare di un luogo dove la varietà di colture dei vitigni si traduce in vini di ottimo livello: Cantina Laimburg. Cantina Laimburg si trova a Vadena (Bolzano), una delle località della Strada del Vino dell’Alto Adige, una delle più antiche

e belle d’Italia, che comincia a Nalles, passa per Bolzano e prosegue fino Salorno, sul confine col Trentino. Questa cantina ha inoltre una peculiarità: dal 1975 infatti fa parte del “Centro di Sperimentazione Laimburg”, un ente provinciale che si occupa di ricerca applicata in agricoltura. La cantina, azienda agricola modello dunque, coltiva 20 ettari di vigneti su terreni di varia natura a un’altitudine compresa tra i 200 e i 750 metri e il suo obiettivo è quello di riuscire a portare nel



bicchiere il carattere delle singole varietà autoctone e dei diversi vitigni, in linea con la migliore tradizione delle Dolomiti. Ogni anno la produzione si aggira tra le 95mila e le 100mila bottiglie di vino: tra i bianchi Pinot Bianco, Sauvignon blanc e Gewürztraminer, tra i rossi Lagrein, Pinot Nero e Schiava. Le linee di produzione sono due: i “Vini del Podere” e la “Selezione Maniero”. I primi sono tradizionali vini d’annata portati a maturazione in serbatoi d’acciaio inox e, in parte, in grandi

botti di rovere. I secondi sono vinificati in maniera individuale e in parte selezionati, sottoposti ad affinamento in piccoli fusti di rovere al fine di svilupparne al massimo il potenziale d’invecchiamento. Tutte le etichette della Cantina Laimburg nascono da un mix di metodi di vinificazione innovativi utilizzati accanto alle più antiche tecniche tradizionali: il risultato sono vini pregiati, più volte premiati dagli esperti. Giungere qui, dopo aver attraversato magnifici paesaggi, tra vigne e


meleti, tra laghetti e montagne, tra piccoli borghi di legno e pietra e celebri località turistiche, significa pertanto arrivare in un luogo dove il vino non è solo bevanda, ma molto di più: è cultura millenaria dalla quale trae radicamento e appartenenza, è ricerca costante di innovazione votata alla qualità ed è certamente anche soddisfazione, piacere. Un piacere che va anche al di là del gusto e sposa l’incanto che si offre agli occhi, nel visitare questo luogo, soprattutto nell’affascinante cantina scavata nella roccia, un esempio unico

nel suo genere di architettura vinicola, un locale a volta di 300 metri quadrati adibito a sala di rappresentanza e d’incontro. Accanto, vi sono altri locali ricavati dalla roccia, dove riposano a temperatura costante i vini in barrique e in bottiglia e dove si trova anche un vero e proprio archivio dei vini con etichette provenienti dalle maggiori regioni vinicole del mondo. La Cantina Laimburg è visitabile su richiesta; lo shop è invece aperto al pubblico, senza appuntamento, da lunedì a venerdì dalle ore 8.30 alle 12 e dalle 13.30 alle 17.


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Veneto, eccellenze artigiane


Luca Sartori

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lla moltitudine di paesaggi e di sapori, alla cultura e alla storia, all’architettura e agli eventi, il Veneto accosta un ricco panorama di attività e produzioni artigianali. Dalla Laguna alle colline, dalle Prealpi alle Dolomiti, città e borghi sono un susseguirsi di attività e produzioni d’eccellenza spesso note in tutto il mondo. Dal vetro di Murano ai merletti di Burano, dalle maschere e le gondole di Venezia alle porcellane, le ceramiche e la maiolica di Bassano del Grappa, dai merletti di Asolo alla lavorazione dell’oro di Vicenza, dal legno di Bellu-

no all’artigianato del marmo della Valpolicella, dal ferro battuto di Verona e Sottoguda alla lavorazione del legno di Cortina fino a giungere a Feltre, tra tessitura e lavorazione del legno e Marostica, dove si lavorava la paglia, il Veneto è una vetrina di prodotti artigianali e produttori unici che si mescolano alle bellezze di un paesaggio che continua ad attirare appassionati e turisti di tutto il mondo. Per conoscere il meglio dell’arte, della cultura e dei paesaggi di questa straordinaria regione si può visitare il sito www.veneto.eu.

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Venezia, maschere e gondole

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ltre a essere un museo a cielo aperto, salotto del mondo tra calli e campielli, ponti e canali, Venezia è anche una delle capitali dell’artigianato. Oltre al vetro, prodotto nelle botteghe della vicina Murano e nelle tante botteghe sparse nei vari sestieri della città, l’artigianato veneziano è artefice della produzione di maschere e gondole. Tesori dell’artigianato locale, ma note in tutto il mondo, le maschere veneziane erano prodotte ai tempi della Serenissima dai “Maschereri” fin dalla prima metà del 400. Delle centinaia di negozi che oggi, nei

vari sestieri, vendono le maschere, solo una parte le produce. Particolarmente suggestiva la Venezia del periodo carnevalesco, quando la città è invasa da splendide maschere artigianali che popolano i sestieri. Anche le gondole, le tipiche imbarcazioni veneziane, compongono il ricco mosaico artigianale del capoluogo veneto. È negli squeri che, ancora oggi, si costruiscono e si riparano le gondole. A metà del 500 a Venezia si contavano 10mila gondole, mentre oggi le caratteristiche imbarcazioni sono circa 500.


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Murano, l’arte del vetro

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urano è una delle principali mete della laguna di Venezia. Il vetro artistico, del quale esiste un marchio di qualità registrato e depositato presso l’Ufficio dell’Unione europea per la Proprietà Intellettuale di Alicante, è l’importante prodotto locale sviluppatosi qui nel Medioevo. Vetro artistico che, nella storia, ha consentito a Murano di godere di una maggiore indipendenza rispetto alle altre isole veneziane. Dichiarata dal Doge Tiepolo area industriale - nel 1291 -, divenne poi capitale mondiale della produzione vetraria. A celebrazione della storia e dell’arte del vetro locale c’è il Museo del Vetro, ospitato a Pa-

Museo del Vetro chrisdorney/Shutterstock

lazzo Giustinian. Murano non è però solo vetro, per l’acquisto del quale vi sono numerose botteghe artigiane, ma anche architettura; da vedere la Basilica dei Santi Maria e Donato, risalente al VII secolo, dalla bella abside con finto porticato a nicchie e colonne binate con, all’interno, un prezioso pavimento bizantino e, a ornamento del coro, un mosaico parietale del XII secolo con tessere di vetro a foglia d’oro. Altro tesoro di Murano è la trecentesca chiesa di San Pietro Martire, fondata dai padri domenicani, con all’interno opere di Giuseppe Porta, Giovanni Bellini, Paolo Veronese e Tintoretto.


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Basilica dei Santi Maria e Donato Bernard Barroso/Shutterstock

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Beata Bar

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Burano, merletti di laguna

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ra gli angoli più pittoreschi della laguna di Venezia, Burano si propone ai tanti turisti che ogni anno la visitano in tutta la sua bellezza, con le sue case variopinte, la tradizione della pesca, l’antica arte del merletto e il suo caratteristico campanile pendente. Incantevole appare il mosaico pastello delle facciate delle case, di differenti colori per consentire ai pescatori d’individuare tra le nebbie al proprio rientro nel periodo di pesca invernale. Principale attività dell’isola continua a essere la pesca mentre negli squeri ancora esistenti si costruiscono anco-

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ra barche a remi. Anima dell’isola è Piazza Baldassarre Galuppi, sulla quale si affaccia la chiesa dell’isola dov’è custodita una splendida Crocifissione, opera giovanile del Tiepolo. Autentica meraviglia artigianale di Burano è la lavorazione del tombolo che tra calli e campielli viene ancora realizzata da anziane signore che realizzano piccoli tesori dell’artigianato dell’isola. A celebrazione dell’attività artigianale dell’isola lagunare c’è l’imperdibile Museo del Merletto dov’è esposta una pregiata collezione di creazioni di questa antica arte.

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Statua di Baldassare Galuppi e Cappella di Santa Barbara, Burano Artorn Thongtukit/Shutterstock


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Valentina Conte, instagram.com/dolomeat

Sottoguda, ferro e fienili

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razione del comune di Rocca Pietore, Sottoguda è dal 2016 parte del club “I borghi più belli d’Italia”. Situato all’ombra del più grande ghiacciaio delle Dolomiti, quello della Marmolada, è un antico villaggio del quale vi è traccia già nel 1260 ed è caratterizzato dai numerosi “tabièi”, i tipici fienili di legno dell’area dolomitica di cultura ladina, utilizzati dai contadini come ricovero del bestiame e deposito del fieno. Tra gli edifici storici del borgo ci sono la chiesa dedicata ai santi Fabiano, Sebastiano e Rocco,

consacrata nel 1486 e il campanile del 1550. Imperdibile una tappa alla vicina gola dei Serrai di Sottoguda, profondo canyon della lunghezza di circa due chilometri che giunge fino alla conca di Malga Ciapèla, all’ombra della Marmolada. Sottoguda è anche un borgo-artigiano, famoso per la lavorazione del ferro battuto, attività che affonda le sue origini alla fine del XVIII secolo quando il minerale veniva ricavato nelle vicine miniere del Fursil e utilizzato per realizzare oggetti di uso comune.


La cascata della cattedrale ai Serrai di Sottoguda



Cortina, legno e maiolica

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ra le più apprezzate mete vacanziere dell’arco alpino, Cortina è da sempre uno dei salotti delle Dolomiti. Elegante e raffinata stazione sciistica del comprensorio sciistico Dolomiti Superski, è spesso sede d’importanti eventi sportivi, sede olimpica invernale nel 1956 e futura sede dei giochi olimpici del 2026 con Milano. Soprannominata la “Regina delle Dolomiti”, è situata al centro della Conca d’Ampezzo, nell’Alta Valle del Boite, tra il Cadore, la Val Pusteria, la Val d’Ansiei e l’Alto Agordino, e

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vanta anche un’importante storia artigianale che ha conosciuto un particolare sviluppo a partire dal XIX secolo, quando i prodotti artigianali ampezzani trovarono l’apprezzamento dei primi villeggianti tedeschi e britannici. Tra le principali produzioni artigianali locali sono da ricordare la produzione delle stufe in maiolica, la lavorazione artistica del legno per arredamento, gli oggetti d’arredo ottenuti e arricchiti con tecniche d’intarsio e la produzione di oggetti in ferro, rame e vetro.


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Cortina d’Ampezzo DaLiu/Shutterstock



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Bassano del Grappa, ceramica e porcellana

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il mitico Ponte Vecchio, detto anche Ponte degli Alpini e interamente costruito in legno, il simbolo di Bassano del Grappa. Dal ponte sul Brenta si apprezzano spettacolari viste verso nord sulla Valsugana - che collega la città con Trento - e verso sud per apprezzare le case storiche affacciate sulle acque che conservano ancora i segni dei colpi di fucile risalenti alla guerra. Bassano del Grappa non è solo il suo storico ponte ma anche la sua particolare atmosfera di paese intriso di storia, ricco di musei, dove fermarsi per assaggiare una delle sue specialità come un buon sorso di grappa. Tra le tappe da non per-

dere vi è sicuramente il museo di Hemingway e della grande guerra, ricavato in un’area di villa Ca’ Erizzo, luogo storico usato nel 1918 dalla resistenza come stazione della Croce Rossa, che tra i volontari contava il famoso Ernest Hemingway; museo dove a un’area dedicata allo stesso Hemingway si uniscono le sale che raccontano la guerra. Piazza Garibaldi, Piazza Libertà e la Torre Civica sono altri elementi importanti della città che ha nell’artigianato della ceramica, della porcellana e della maiolica le espressioni più apprezzate dai turisti che a Bassano si fermano anche solo per un prezioso acquisto.


Ponte di Bassano del Grappa RnDmS/Shutterstock



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Asolo, ceramiche e merletti

unto di partenza per passeggiate ed escursioni nelle zone limitrofe, Asolo è uno dei centri più belli della regione. Per una visita al centro delle terre trevisane si può partire da piazza Garibaldi con, al centro, l’antica fontana sovrastata dal bel Leone di San Marco. Tra le emergenze architettoniche spiccano la cattedrale, che conserva nella facciata la classica struttura romanica e che all’interno custodisce “l’Assunta”, capolavoro di Lorenzo Lotto, la Loggia della Ragione, cuore della vita amministrativa di un tempo, Palazzo

Polo, Casa Tabacchi, la cinquecentesca Fontanella Zen e Villa Freya, dimora della famiglia Stark, il Castello della Regina, la Torre Civica e molte ville tra cui l’elegante Villa Scotti Pasini, Casa Duse e Palazzo Pasquali, con la lapide a ricordo del soggiorno di Napoleone nel 1797. Terra di vini e osterie, Asolo è anche un centro artigianale; importante la tradizione locale legata ai tessuti, ai ricami, ai merletti, alle ceramiche e al restauro. È una passeggiata lungo i portici e le botteghe del centro a regalare il meglio dell’artigianato locale.



Villa Rinaldi Barbini, Asolo photolike/Shutterstock


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Marostica, paglia e scacchi la chiesa e il monastero di San Gottardo, il convento e la chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano. La storia di questo borgo storico del vicentino è anche legata alla lavorazione della paglia, importante attività artigianale che dalla fine del XIX secolo alla fine degli anni ‘60 ha fortemente caratterizzato l’economia locale; i cappelli di paglia prodotti dalle fabbriche della città erano celebri e commercializzati in tutto il mondo. Proprio la sua posizione strategica tra Vicenza e Bassano ha fatto di Marostica il principale polo produttivo dell’industria della paglia.

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ota in tutto il mondo per la partita a scacchi che negli anni pari si svolge nella piazza cittadina con personaggi viventi - tradizione avviata nel 1923 e ispirata a un evento del 1454 -, Marostica è anche famosa per la sua ciliegia, prodotto a indicazione geografica protetta. Posta ai piedi dell’altopiano di Asiago, Marostica è ricca di testimonianze storiche tra cui il castello Inferiore e quello Superiore, le antiche mura e i tanti edifici religiosi tra cui la parrocchia di Maria Assunta, la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Abate, la chiesa e il convento di San Rocco,


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I cappelli di paglia di Marostica CittĂ di Marostica - facebook.com/comunemarostica

Cuchi di Marostica ChiccoDodiFC/Shutterstock


Marostica, tradizionale partita a scacchi ChiccoDodiFC/Shutterstock



Feltre, il palio e il legno

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ituata alle pendici delle Dolomiti, a trenta chilometri da Belluno, Feltre è una località storica che affonda le sue origini ancor prima dell’età romana e che, in età imperiale, conosce un notevole sviluppo economico e urbanistico. Insignita della medaglia d’argento al valor militare per i sacrifici delle sue popolazioni - e per la sua attività nella lotta partigiana durante il secondo conflitto mondiale -, Feltre è ricca di monumenti luoghi d’interesse tra cui la Concattedrale di San Pietro Apostolo e la basilica santuario dei Santi Vittore e Corona, entrambi monumenti nazionali, ai quali,

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tra gli altri, si uniscono numerosi palazzi tra cui il Palazzo della Ragione, sede del comune, Palazzo Cumano, sede della Galleria d’Arte Moderna Carlo Rizzarda, Palazzo Villabruna, sede del Museo Civico, e architetture militari come il Castello Alboino, Castel Lusa e le antiche porte, Porta imperiale, Porta Pusterla e Porta Imperiale. Il Palio dei Quindici Ducati, l’antica Fiera di San Matteo e la Mostra Regionale dell’Artigianato Artistico e Tradizionale sono tra i principali appuntamenti culturali di un centro che ha fatto della tessitura e della lavorazione del legno le sue principali attività artigianali.


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Mario Carazzai - Visit Feltre

Galleria d’Arte Moderna Carlo Rizzarda Lorenzo Kleinschmidt per il Comune di Feltre - Visit Feltre


Feltre Florian Augustin/Shutterstock



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Villa Arvedi Grezzana Valpantena FEDELE FERRARA/Shutterstock


Valpolicella, vini e marmo rosso

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a Valpolicella è terra veronese. Sette comuni compongono quest’angolo di Veneto occidentale rinomato fin dai tempi di Roma antica per la viticoltura, in particolare per il prestigioso Amarone, ma anche per l’estrazione del marmo rosso di Verona. Terra costellata di ville venete di particolare pregio, ma anche di chiesette e pievi che regalano al territorio un certo fascino, la Valpolicella è zona di prati che regalano in estate scenari incantati con animali al pascolo ma anche di aree vitate e destinate alla coltivazione dell’ulivo, mentre nelle zone

Salvador Maniquiz/Shutterstock

pianeggianti dominano le coltivazioni di ortaggi e frutta tra cui pesche e ciliegie. Principale corso d’acqua della zona è l’Adige, la più grande arteria d’acqua del Veneto. Particolarmente ricco è l’apparato museale della Valpolicella, tra cui il Museo Paleontologico e Preistorico di Sant’Anna d’Alfaedo, il Museo Etnografico e Archeologico di San Giorgio di Valpolicella, e il Museo di Botanica di Molina. Una zona ricca di storia e di un grande patrimonio naturale, terra di produzione vinicola dalla tradizione artigianale del marmo estratto in zona.


Panorama da Sangiorgio in Vapolicella REDMASON/Shutterstock



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Vicenza, città d’oro

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ltre a essere la città delle meraviglie palladiane, Vicenza è anche definita la capitale dell’oro. Con la sua secolare attività legata al prezioso metallo e un’attività che continua a essere in fermento, Vicenza, con oltre un migliaio di imprese che operano nel settore dell’oreficeria, è un vero e proprio punto di riferimento nazionale e internazionale del settore. La lavorazione dell’oro nella città del Teatro Olimpico è attività redditizia fin dal Medioevo, quando gli artigiani della corporazione degli orafi della zona erano

oltre 150. Era nel cuore della città che erano diffuse la maggior parte delle botteghe artigiane in epoca medievale, mentre fu in epoca rinascimentale che l’arte orafa vicentina raggiunse la massima espressione, grazie anche a Valerio Belli e alle sue produzioni, personaggio legato a Raffaello e Michelangelo. L’elegante Vicenza, città del delizioso baccalà, oltre a essere un museo a cielo aperto ricco di meraviglie architettoniche è anche una delle più autentiche capitali dell’artigianato regionale.


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Verona, legno e ferro battuto

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ittà dell’amore e dell’Arena, città vitale e avanguardia culturale di una delle zone turisticamente più evolute del mondo, Verona colpisce per i suoi molteplici aspetti. Splendida sotto il profilo storico e architettonico, si racconta attraverso le sue piazze e i suoi palazzi nobiliari, straordinaria testimonianza di un passato glorioso che con la sua bellezza continua brillantemente ad alimentare il suo mito. Verona è però anche meta ideale di acquisti di qualità, di prodotti artigianali frutto delle tante produzioni tipiche locali. Tutto il territorio veronese, dalla zona

Marmi veronesi al Piccadilly Center (Sydney, Australia)

montana e collinare alla pianura propone una vasta scelta di prodotti tipici. Oltre ai vini delle terre veronesi, la città dell’Arena e dello straordinario complesso di Castelvecchio propone una ricca scelta di prodotti artigianali tra cui mobili d’arredo e arredi d’arte, dei quali un tempo vi erano numerose botteghe. Tra i prodotti tipici del capoluogo scaligero vi sono poi il marmo rosso, particolarmente adatto per gli interni, e il ferro battuto, lavorato da parecchie botteghe della provincia, così come particolarmente diffusi sono gli artigiani del legno.

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Giulietta e il suo balcone, Verona Vladimir Sazonov/Shutterstock


Padova, mosaico artigiano

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ituata nel cuore della pianura veneta, Padova è un antico e importante polo universitario e culturale ricco di bellezza. Ai principali tesori della città come il duomo, l’Abbazia di Santa Giustina, la Basilica di Sant’Antonio, il Palazzo della Ragione, la Loggia dei Carraresi, la Cappella degli Scrovegni, Prato della Valle, Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, Palazzo del Bo si uniscono tantissime chiese, svariati palazzi storici, eleganti ville, teatri e numerosi musei. Padova è da visitare e scoprire

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ma anche da godere nei raffinati ristoranti dove assaporare le tante specialità della cucina padovana, sedersi al tavolo di una delle caratteristiche osterie per godersi un buon bicchiere di vino e regalarsi l’atmosfera raffinata di un caffè storico come il mitico Caffè Pedrocchi. Tesori architettonici, cultura, arte e locali ma anche tanto artigianato anima il centro della città, dove liutai, restauratori di mobili, merlettai, corniciai e orafi sono parte del ricco mosaico artigiano della città.

Statua di Antonio Canova wjarek/Shutterstock


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Prato della Valle, Padova Vereshchagin Dmitry/Shutterstock



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Belluno, mosaici e fischietti

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il legame unico tra la popolazione locale e la natura, la vera forza di questo estremo lembo settentrionale del Veneto. È il Veneto delle montagne, delle suggestive terre bellunesi, circondate dalle meravigliose Dolomiti, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, dove natura, storia e cultura creano una delle atmosfere più straordinarie del mondo. Un paesaggio carico di magia e suggestioni, che custodisce tesori e luoghi senza tempo tra boschi, prati e montagne uniche. La

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città e le terre che circondano Belluno sono luoghi di sapori unici ma anche terre dove da sempre l’artigianato ha un ruolo fondamentale. Dagli oggetti di feltro alle meridiane, dalle sculture in legno ai fischietti in terracotta fino a giungere ai mosaici, Belluno, conosciuta come la città splendente, e le sue valli, sono popolate di graziose botteghe artigiane ricolme di piccoli tesori frutto dell’appassionato lavoro di chi porta avanti attività e tradizioni.

Centro minerario della Valle Imperina Torruzzlo/Shutterstock


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Piazza del Duomo, Belluno Boerescu/Shutterstock



Acquaviva Picena, intrecci di storia


Alessandra Boiardi

twitter.com/aleboiardi

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ura e bastioni, una poderosa rocca, vicoli e chiese. Acquaviva Picena, non lontano da Ascoli Piceno, racchiude tutta la bellezza di un borgo adagiato tra i colli marchigiani, un luogo ricco di storia e di cultura, conosciuto per il suo artigianato che solo qui prende le forme delle tipiche pajarole, cesti intrecciati di paglia e salice, che raccontano molto anche delle sue tradizioni e dei suoi abitanti. Acquaviva Picena è anche un luogo di notevole interesse archeologico, custode di un più ampio patrimonio territoriale che porta indietro fino alla preistoria e testimonia

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una tradizione manifatturiera che affonda le sue origini sin nel paleolitico. Di quel periodo sono stati rinvenuti attrezzi artigiani, ma anche piastrelle e persino selci lavorate anche se senza quell’arte che conosciamo attualmente. E ancora, delle ere successive, ceramiche e oggetti che spingono la data del primo insediamento importante indietro al sesto secolo a.C.. Un patrimonio che oggi si può ammirare nel Museo Archeologico ospitato nella fortezza, vero simbolo di Acquaviva, partenza ideale per scoprire il suo borgo, immersi nell’arte e nella storia.


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Una fortezza, il suo borgo

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orse non tutti sanno che Acquaviva era il nome della famiglia legata al simbolo più evidente di questo borgo, la sua rocca, che proprio gli Acquaviva fecero costruire come affermazione della loro potenza intorno al 300. Nata per difendersi dagli attacchi esterni, oggi la fortezza si può visitare per ammirare la sua architettura imponente, ben conservata anche grazie all’opera di restauro che a fine 800 fu commissionata all’architetto marchigiano Giuseppe Sacconi, celebre soprattutto per il Vittoriale a Roma. Ma la fortezza

pio3 /Shutterstock

è anche il cuore pulsante del paese, da vivere per esempio in occasione dei numerosi eventi che ospita durante l’anno. E dal maschio della fortezza va in scena uno spettacolo paesaggistico di grande suggestione che moltiplica l’orizzonte tra i colli, le vette imponenti del Gran Sasso e delle Maiella e corre fino al mare. La rocca sorge su uno dei due colli opposti su cui si sviluppa Acquaviva Picena, tenuti insieme dalla piazza principale, centro di gravità tra la fortezza e l’ampliamento rinascimentale del borgo, Terra Nova.


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Mani che intrecciano Andrea Ioannone instagram.com/andrea_m4stro

Sapienza femminile, le “pajarole”

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cquaviva Picena si racconta attraverso il movimento di mani abili, mani femminili che perpetuano i movimenti agili ed eterni di una tradizione artigianale che qui prende il nome di “pajarole”. È dal Medioevo che in questo centro si intrecciano cesti in paglia e salice, prima da portare in equilibrio sulla testa per trasportare pesanti carichi di granaglie e legumi, poi destinate agli usi più variegati. Un tempo tutte le donne del paese si dedicavano a questa attività e le più anziane - camicia con il pizzo

bianco, gonna a fiori e grembiule nero - ancora oggi d’estate si ritrovano la sera davanti a casa per lavorare pazientemente la paglia e a vederle sembra di essere trasportati in altri tempi. Quella delle pajarole è una tradizione che insegna a non avere fretta: gli steli dei vimini (i rami dei salici lasciati germogliare in acqua) e della paglia (che deve essere fatta essiccare) si fanno “aspettare” prima di potere essere utilizzati per produrre questi cesti dalla tipica forma di cono rovesciato.


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Mercatino dell’artigianato di Acquaviva Picena Davide Carpani instagram.com/dc_ph.oto


Rosso pesca, arcobaleno nel piatto

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e ad Acquaviva chiedete una pesca, quello che probabilmente otterrete non è un frutto, bensì un dolce delizioso che lo ricorda, ma che in realtà è composto da due semisfere unite tra loro da deliziosa cioccolata e immerse nel liquore Alchermes. Una piccola delizia che non potete mancare di assaggiare, prova di quella sapienza artigiana che arriva fin sulla tavola insieme ad altre golose tipicità come gli spumini, che sono crostini di mandorle. Se è la tradizione di Acquaviva che cercate anche a tavola, tornerete alle origini contadine gustando il “frecan-

dò”, una padellata di colorate verdure dell’orto, da accompagnare con la carne più “povera” ma anche più gustosa -, quella che qui prende il nome di “spuntature” e che consiste nelle parti suine meno nobili. D’estate, e più precisamente ad agosto, si possono assaggiare le “spuntature” alla sagra locale, tutta dedicata a queste prelibatezze. Senza dimenticare i piaceri del vino, quello Doc del Piceno, visto che Acquaviva Picena è tra i comuni autorizzati a produrre vini bianchi Pecorino e Passerina, l’Offida Rosso e il Rosso Piceno.


Fabio D. instagram.com/oibaffo


Davide Carpani instagram.com/dc_ph.oto

Andiamo a nozze

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era chicca di Acquaviva Picena è “Sponsalia”, una rievocazione storica che dal 1988 attira ogni anno moltissime persone che desiderano immergersi in un’atmosfera medievale autentica. L’“invito” è quello delle nozze tra Forastéria, figlia di Rinaldo degli Acquaviva detto il “Grosso” e Rainaldo dei Brunforte, figlio di Bonconte nipote di Fidesmino di Brunforte, signore di Sarnano e vicario di Federico II, anno Domini 1234. Per l’occasione, per tre giorni e nel mese di agosto, la fortezza accoglie una fe-

sta medievale in piena regola dove non mancano spettacoli, giochi e balletti. Un evento che coinvolge e che si fa anche ammirare, a partire dagli abiti dell’epoca sfoggiati: veri e propri capolavori artigianali frutto di cura e conoscenza. Culmine della manifestazione è la giornata conclusiva, quando si celebra il vero e proprio banchetto nuziale e si gusta un menù a base di specialità medievali. E oltre alla fortezza, tutto il centro storico rievoca il Medioevo, con mercatini, falconieri e artisti di strada.


Acquaviva Picena

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Stefano Ember/Shutterstock.com

COMUNE DI ACQUAVIVA PICENA

Ascoli Piceno

Ascoli Piceno, Marche Abitanti: 3740 Altitudine: 359 m s.l.m. Superficie: 21,06 km² Santo Patrono: San Nicola di Bari 6/12 Paesi Bandiera Arancione

COPR

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ANCONA


f o t o R o l a n d o P. G u e r z o n i

VENERDÌ 11 OTTOBRE I ORE 20 DOMENICA 13 OTTOBRE I ORE 15,30

DOMENICA 15 DICEMBRE I ORE 17

Modena

FUORI ABBONAMENTO

Luciano

Prima esecuzione

Claude Debussy

Alberto Cara

FUORI ABBONAMENTO

Giacomo Puccini

LA BOHÈME Direttore Aldo Sisillo Regia Leo Nucci

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Pergolesi Spontini Allestimento in coproduzione con Opéra de Marseille

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 25 OTTOBRE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 27 OTTOBRE I ORE 15,30 I TURNO B MARTEDÌ 29 OTTOBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO

Giacomo Puccini

TOSCA Direttore Matteo Beltrami

Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena Allestimento della Fondazione Teatro Regio di Parma

LA NOTTE DI NATALE

Favola musicale in un atto su libretto di Stefano Simone Pintor liberamente tratta dall’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

Direttore Diego Ceretta Regia Stefano Simone Pintor Coproduzione Teatro dell’Opera Giocosa di Savona Fondazione Teatro Comunale di Modena

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 14 FEBBRAIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 16 FEBBRAIO I ORE 15.30 I TURNO B

Giuseppe Verdi

FALSTAFF Direttore Jordi Bernàcer Regia Leonardo Lidi

Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia

NUOVO ALLESTIMENTO

MERCOLEDÌ 27 NOVEMBRE I ORE 20 I TURNO A VENERDÌ 29 NOVEMBRE I ORE 20 FUORI ABBONAMENTO DOMENICA 1 DICEMBRE I ORE 15.30 I TURNO B

VENERDÌ 13 MARZO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 15 MARZO I ORE 15.30 I TURNO B

RIGOLETTO Direttore David Crescenzi

TURANDOT Direttore Valerio Galli

Giuseppe Verdi

Regia Fabio Sparvoli

Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Azienda Teatro del Giglio

NUOVO ALLESTIMENTO

fondatori

VENERDÌ 3 APRILE I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 5 APRILE I ORE 15.30 I TURNO B

Giacomo Puccini

Regia Giuseppe Frigeni

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza Allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena

PELLÉAS ET MÉLISANDE Direttore Marco Angius Regia Renaud Doucet

Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena

NUOVO ALLESTIMENTO

VENERDÌ 8 MAGGIO I ORE 20 I TURNO A DOMENICA 10 MAGGIO I ORE 15,30 I TURNO B

Prima assoluta in coproduzione con l’Altro Suono festival 2020 Luigi Cinque (Italia) Valentin Ruckebier (Austria) Jasmina Mitrusic Djeric (Serbia)

CROSSOPERA Otherness, Fear and Discovery

Opera in tre episodi su libretto di Sandro Cappelletto, Valentin Ruckebier e Jasmina Mitrusic Djeric Progetto vincitore del bando di cooperazione internazionale “Europa Creativa”

Direttore Mikica Jevtic Regia Gregor Horres

Ensemble del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Cast “giovani interpreti” del progetto CrossOpera: Modena, Linz, Novi Sad Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena Landestheater di Linz, Serbian National Theatre di Novi Sad

Gli abbonamenti alla Stagione lirica 2019 - 2020 sono in vendita: da sabato 7 a venerdì 20 settembre per gli abbonati alla Stagione precedente, da martedì 24 settembre anche per i nuovi abbonati. Biglietteria del Teatro Comunale Corso Canalgrande 85 ı Modena ı telefono 059 2033010 ı fax 059 203 3011 biglietteria@teatrocomunalemodena.it ı Acquisto telefonico: 059 2033010 ı Informazioni: www.teatrocomunalemodena.it La direzione si riserva di apportare ai programmi eventuali modifiche che si rendessero necessarie per cause di forza maggiore.

i m m a g i n e c o o rd i n a t a : w w w. a v e n i d a . i t

2019.2020

TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI


Frosolone, lame scintillanti e pietre antiche


Cinzia Meoni

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michelecaminati/Shutterstock.com


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Giambattista Lazazzera/Shutterstock


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rati, faggeti, selve, laghi, masserie e rocce dalle forme bizzarre della Morgia Quadra. In questo scenario rurale in provincia di Isernia si staglia Frosolone, un nugolo di case sull’altipiano del Colle dell’Orso e patria di eccellenze manifatturiere. Forbici, coltelli, pugnali, sciabole e utensili da taglio di qualsiasi foggia acquistano, in questo borgo, la valenza di opere d’arte esclusive grazie a una tecnica consolidata e tramandata di padre in figlio. La storia dell’artigianato di Frosolone è celebrata dal

“Monumento al coltellino” e si può ammirare al Museo dei Ferri Taglienti. Qui sono esposte numerose opere del secolo scorso e si possono osservare gli artigiani del borgo nell’atto della forgiatura e della lavorazione delle lame. Per tutti gli appassionati sono due gli appuntamenti da non perdere: la forgiatura e la Mostra Mercato Nazionale delle Forbici e dei Coltelli: entrambi si svolgono ad agosto, quando battito del martello sull’incudine diventa anche il ritmo dell’estate.


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Tradizioni caseari e folklore molisano

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l tempo pare essersi fermato in questo minuscolo borgo abbarbicato in uno degli scenari più suggestivi dell’Appennino centrale, dove le tradizioni antiche sono parte integrante della vita quotidiana e ai costumi e al folklore locali è dedicato un intero museo. Questi sono i luoghi delle transumanze e dei regi tratturi celebrati dal “Monumento al Pastore” all’ingresso del borgo. D’altro canto basta affacciarsi sul territorio circostante per vede-

re le mucche al pascolo nei prati che, in primavera, esplodono di colori. Entrando poi nella “Casetta del Pastore” si assiste alla lavorazione della pasta filata da parte dei maestri casari e si possono assaggiare i migliori prodotti di questa tradizione artigianale: il caciocavallo, la ricotta e la manteca. Anche le sagre, soprattutto quelle estive, raccontano le produzioni legate all’abilità di generazioni di pastori di lavorare il latte delle mucche di alpeggio.


Preparazione della ricotta Alextype/Shutterstock

Nicola Lanese

Caciocavallo francesco de marco/Shutterstock


A spasso tra palazzi storici e natura mozzafiato

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el borgo molisano si entra da una delle tre porte, Santa Maria, da Pietro e Sant’Angelo, per poi accedere a un universo fatto di palazzi nobiliari, botteghe storiche ed edifici religiosi come il convento dei Cappuccini del 1580 o la chiesa di Santa Maria Assunta che custodisce una serie di dipinti a olio di Giacinto Diana, pittore settecentesco. Nel convento di Santa Chiara, di origine quattrocentesca, ha oggi sede il municipio. Nella bella stagione è piacevole partire dall’eremo di Sant’Egidio per arrivare

Giambattista Lazazzera/Shutterstock

alla masseria di Pasquale Paolucci, una casa delle meraviglie dove sono state raccolte pietre allusive a persone, animali e oggetti della vita quotidiana, oppure passeggiare nelle faggete del Monte Marchetta e di Colle dell’Orso, in cerca del faggio del Pedalone, un albero con oltre cent’anni di vita. I più sportivi, invece, possono accettare la “sfida” della Falesia di Colle dell’Orso e dedicarsi all’arrampicata così come esplorare i dintorni a cavallo o volare con il deltaplano sull’altipiano di Colle dell’Orso.


Giambattista Lazazzera/Shutterstock


Colle dell’Orso michelecaminati/Shutterstock



Giambattista Lazazzera/Shutterstock


Frosolone in tavola

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rosolone è una terra contadina dove ognuna delle sue eccellenze enogastronomiche è in grado di evocare storie di antiche tradizioni rurali che rendono unico il borgo. Come le “sagne e fagioli”, servite oggi come ieri nella tipica pignatta di terracotta che, un tempo, veniva lasciate a borbottare sul fuoco del caminetto mentre i contadini si recavano al lavoro. O la “minestra di cascigni”, con erbe di campo un tempo raccolte per necessità e oggi tra i piatti iconici del borgo.

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Ma anche i bolliti del caldaio, gli arrosti sulla graticola, le “petacce e fasciuole”, i “sughi in tiella”, i “fritti della fessora”, la “polenta coi cicori” e la “pizza di grandinie”, preparata con acqua e farina di mais e cotta nel camino, un piatto povero a cui la tradizione abbina le “fuje”, le verdure o salumi e i formaggi di alpeggio. Sapori antichi, forse anche semplici ma sicuramente genuini e che rivivono tra le case in pietra e le trattorie che costellano il borgo di quest’angolo di Molise.

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Carri allegorici, canti e fiere

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Frosolone il calendario è scandito da eventi che rendono speciale il soggiorno in qualsiasi stagione dell’anno celebrando usi, costumi e artigianato locale. Ad aprire le danze è la celebrazione di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) con la benedizione degli animali in chiesa in ricordo delle radici contadine del borgo, con gruppi di cantori che, per tutta la notte, intonano canti accompagnati da fisarmoniche e organetti in cambio di “generi di conforto”: vino, dolci, salumi e scamorze. A

Tommaso Labella

maggio poi si celebra la transumanza, mentre ad agosto ogni occasione è ideale per fare festa, iniziando dalla sfilata di carri allegorici che si tiene il proprio il primo giorno del mese, seguita dalla “Sagra dei peperoni e del baccalà”. L’anno, infine, si chiude con la “Fiera Tartufi & Molise” di dicembre, una mostra-mercato che valorizza il tesoro del sottobosco del borgo e dei suoi dintorni, un territorio ricco di scorzone, bianchetto e, soprattutto, del pregiato Tuber Magnatum.

Carlo Loberto


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Frosolone

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Giambattista Lazazzera/Shuitterstock.com

COMUNE DI FROSOLONE

CAMPOBASSO

Borghi più belli d’Italia Paesi Bandiera Arancione

COPR

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Isernia

Isernia, Molise Abitanti: 3099 Altitudine: 894 m s.l.m. Superficie: 49,89 km² Santo Patrono: Sant’Egidio


VENERDÌ SABATO


Simona PK Daviddi

facebook.com/simona.pk.daviddi


Lazio, dna artigiano


Museo di Tarquinia francesco cepolina/Shutterstock


Calcata mekcar/Shutterstock.com

Ăˆ

una regione dai mille volti, il Lazio, avvolta intorno alla magnificenza regale di Roma ma punteggiata anche da minuscoli quanto meravigliosi borghi - uno su tutti: Calcata, che emerge da una distesa infinita di verde con le sue case arroccate, diventate nel tempo enclave e buen retiro di artisti e artigiani - e da frizzanti località costiere. Comune denominatore di tutte le realtà laziali è la produzione artigianale tipica, la lavorazione a mano di materie prime, la creazione di oggetti artistici di rara bellezza, ma anche la realizzazione di eccellenze enogastronomiche secondo le

ricette tramandate nei secoli. E per rendersi conto che le tradizioni artigiane qui hanno origini antichissime che si perdono nella notte dei tempi, basta fare un giro a Roma e prestare attenzione ai nomi di vie, piazze e vicoli per ritrovare le antiche corporazioni e confraternite che vi avevano sede con i loro laboratori e le botteghe, vere fucine artistiche dove imparare un mestiere: ecco allora via dei falegnami, dei balestrieri, dei sediari e dei fabbri, per fare qualche esempio. Partiamo allora alla scoperta delle innumerevoli eccellenze artigiane laziali.


Tarquinia Claudio Giovanni Colombo/Shutterstock


Arte orafa per tutti

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a particolarità dell’artigianato laziale che non tutti sanno è che, nei secoli, si è sviluppato su due “binari” paralleli: un artigianato “colto” e prezioso, cresciuto intorno alla Chiesa e alla nobiltà e quindi caratterizzato da incredibili opere d’arte di assoluta raffinatezza e valore immenso, e uno “di provincia”, nato per soddisfare i bisogni - a volte primari - delle classi meno abbienti e che con il tempo si è evoluto andando a conquistare la nascente borghesia. E se questo era vero per la lavorazione dei metalli - per ottenere opere d’arte puramen-

te decorative o, al contrario, tegami e pentole - è ancora ben visibile nell’arte orafa: accanto a una categoria di artigiani, infatti, che produce a livelli inaccessibili per i comuni mortali - basti pensare a certe croci in oro e argento dell’oreficeria sacra tipiche della Sabina - si è fatta strada una generazione orafa che ha nel tempo affinato la propria arte (interessanti le scuole orafe nate nella zona dei Castelli e a Tarquinia) pur rimanendo nel “quotidiano”. A tal proposito, sono diventati famosi i gioielli delle balie ciociare in oro e corallo.


Il corallo: tra fede e superstizione

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ome si è appena accennato, il corallo è entrato nelle lavorazioni orafe in tempi remoti ma, soprattutto in Ciociaria, il suo uso e la sua lavorazione hanno origini antichissime, che mescolano folklore, fede e credenze popolari, dando allo splendido oro rosso significati e poteri tramandati di generazione in generazione: non è un caso, quindi, che compaia addirittura nei costumi tradizionali. Se, infatti, per l’escatologia cristiana il corallo è associato alla figura di Gesù, per le pur religiosissime donne ciociare rappresentava un amuleto di buon augurio e contro il malocchio, nonché un simbolo di fertilità, in grado di curare

anche numerose malattie, dalla lebbra alle ulcere. Superstizioni a parte, più corallo si indossava in Ciociaria e più era elevato il proprio rango sociale: curàglia - la collana, di grandezza variabile - e sciuccàglie - lunghi orecchini a pendaglio - però non potevano mai mancare durante le uscite pubbliche, delle nobildonne come delle contadine. Ed erano proprio monili di corallo che venivano regalati anche alle balie come segno di ringraziamento per aver allattato un pupo. Un’ultima curiosità: anche gli uomini indossavano gioielli in corallo, orecchini e pendenti per lo più, ma si trattava spesso di briganti.

Isola del Liri, Frosinone Stefano_Valeri/Shutterstock


znatalias/Shutterstock

John_Silver/Shutterstock


Alatri Stefano_Valeri/Shutterstock

Anagni ValerioMei/Shutterstock


Kraft74/Shutterstock

Non solo oro

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e l’arte orafa ha raggiunto livelli eccelsi, anche la lavorazione dei metalli meno “nobili” ha nel Lazio una lunga tradizione, che ancora una volta si sviluppa in duplice direzione: monili e oggetti di decoro da una parte e utensili di uso quotidiano dall’altro. Ad Alatri, Anagni e Fiuggi, per esempio, si lavora il rame e si realizzano soprattutto i “conconi”, tipici contenitori per l’acqua che ormai rivestono solo un ruolo ornamentale, mentre a Frosinone, Sora e Poggio Bustone (in provincia di Rieti) da generazioni viene tramandata la lavorazione a sbalzo del rame,

che pare abbia addirittura origini etrusche, per creare pentole e utensili di rara bellezza; la lavorazione con la tecnica della martellatura trova ancora qualche fedele artigiano anche a Latina, dove la produzione è orientata verso vasi e oggetti miniaturizzati. Veroli, invece, piccolo gioiello della Ciociaria adagiato sul fianco di un colle, è nota per la lavorazione del ferro battuto, utilizzato per creare letti, lampadari e cancelli - ma per secoli il delizioso borgo è stato anche un centro di fusione delle campane - insieme alle più note Tivoli, Latina e Tarquinia.


Cori VLADISLAV GORNYKH/Shutterstock.com

Tutto il calore del legno

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ntagliatori, ebanisti e impagliatori, in Lazio, da secoli seguono metodi di lavorazione artigianali che differiscono da zona a zona ma che danno vita a mobili e suppellettili di alto valore artistico. E così, se a Sora, in provincia di Frosinone, si producono bellissimi mobili intagliati, a Ripi e Veroli (entrambi ancora in provincia di Frosinone) si trovano raffinati mobili decorati con trafori lignei che ricordano quelli dei cori di chiese e abbazie. Più “rustiche” invece le produzioni ciociare e dei Castelli, con eccellenze come le “madie” di Vico (in provincia di Viterbo) decorate con graffiti a se-

micerchi concentrici. E a proposito di lavorazioni particolari, non si può non citare Anagni (Frosinone) con le sue “tarsie”: tessere di legno naturale, di varia forma ed essenza, posizionate a incastro per creare un motivo decorativo. E ancora, a Carpineto Romano viene utilizzata l’antica tecnica dei bottai per realizzare splendidi contenitori, oltre a pipe e ombrelli per pastori; metodo antico anche per gli impagliatori di sedie di Cori (Latina), Turania (Rieti) e Canepina (Viterbo) e per i cantieri navali di Formia (Latina), dove vengono costruite barche con la stessa bravura degli antichi maestri d’ascia.


Formia leoks/Shutterstock.com

Madie Falegnameria Ceccarini


Palestrina guido nardacci/Shutterstock

Ricami, ricami, ricami

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ici ricamo e la mente vola subito al cosiddetto “punto Palestrina”, la tecnica speciale ed elaborata che ha reso famosi nel mondo i delicati ricami dell’omonima città in provincia di Roma e che già dall’antichità erano usati per ornare gli abiti, tanto che è testimoniata l’esistenza di una vera e propria scuola risalente al periodo della Roma Imperiale. Ma se Palestrina rimane la “capitale” laziale del ricamo, la regione vanta altre eccellenze legate ad ago e filo, come Alatri, Anagni

e Veroli in provincia di Frosinone, Sezze e Spino Saturnia in provincia di Latina, e Bagnoregio in provincia di Viterbo: aggirandosi tra le viette e le stradine di questi splendidi borghi - Bagnoregio, immortalato in numerose pellicole cinematografiche sembra un vero portento della natura, sospeso com’è sulla sommità di uno sperone roccioso - non sarà difficile incontrare qualche ricamatrice intenta al lavoro, magari sotto il caldo sole delle stagioni più miti.


Bagnoregio Jan Miko/Shutterstock

KinoAlyse/Shutterstock


Ceramiche d’autore

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nche l’arte della ceramica ha in Lazio la sua punta di diamante: Civita Castellana, in provincia di Viterbo, che vanta una produzione dagli allegri colori e dai dettagli raffinati. E proprio nella Tuscia Viterbese sono stati ritrovati reperti e resti antichissimi, che fanno risalire la pregiata lavorazione addirittura agli etruschi, tanto che oggi questa antica arte - che gli artigiani si tramandano letteralmente di padre in figlio - è protetta dal marchio “Ceramica Tuscia Viterbese Doc” che ne decreta anche il rigido disciplinare e che preve-

Civita di Bagnoregio EniSine/Shutterstock

de, tra l’altro, la cottura dei manufatti in argilla a differenti temperature, per poi essere lavorati a mano in laboratori artigianali autorizzati. Laboratori e botteghe all’interno dei quali perdersi tra oggetti di uso quotidiano e vere e proprie opere d’arte: souvenir perfetti da portare a casa dopo un giro ad Acquapendente, a Bagnoregio, a Bomarzo o ancora a Tuscania e Vasanello. Infine, per gli appassionati, non può mancare una visita al Museo della Ceramica di Tarquinia, tra esemplari preziosi e reperti delicatissimi.


Civita Castellana Ivano de Santis/Shutterstock

G-Phone La table di Danilo Cirioni


Parco dei mostri, Bomarzo Luca Lorenzelli/Shutterstock

robertonencini/Shutterstock

Tuscania ValerioMei/Shutterstock


Terracotta: dall’antichità al futuro

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a una lavorazione dedicata al quotidiano a un’altra che si declina sia in oggetti di pregio sia in utensili: la terracotta, che ha i suoi “paladini” in Ciociaria e nell’Alto Lazio, dove, ancora una volta, le origini di questa lavorazione artigiana si fanno risalire agli etruschi, mentre l’introduzione del colore si attesta nel tredicesimo secolo, quando boccali e piatti guadagnano le tonalità del verde e del bruno grazie all’uso di ossido di rame e di manganese. Tra le particolarità, le statuine del presepe di Arpino e la produzione di Pontecorvo, entrambi poco distanti da Frosinone, dove la terracotta viene lavorata

per ottenere le “cannate”, bellissime anfore decorate a freddo con terra rossa e perfette come preziosi oggetti d’arredo. Anche il viterbese, ça va sans dire, vista la “parentela” tra ceramica e terracotta, ha le sue eccellenze, con botteghe ad Acquapendente - bellissimo borgo dominato da un turrito castello di rara suggestione -, Bomarzo - imperdibile una visita al celeberrimo Parco dei Mostri -, Tarquinia - dove si respira ancora un’atmosfera medievale -, Tuscania - particolarmente scenografica al tramonto, quando il sole riscalda il raccolto borgo - e Vasanello, con il suo poderoso maniero.

Arpino Giambattista Lazazzera/Shutterstock


Sorbis/Shutterstock

Farfa ValerioMei/Shutterstock


Subiaco Paoloesse/Shutterstock

Tra tappeti e arazzi

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e è vero che l’arte della tessitura è forse tra le più remote attestate - con telati e arcolai di tutte le fogge e ritrovati in ogni parte del mondo -, è anche vero che ogni etnia vanta tecniche, disegni, materiali e lavorazioni differenti che ne connotano nei secoli le produzioni, arrivando a creare vere e proprie tradizioni che valicano poi i confini nazionali oppure che restano realtà di nicchia da (ri)scoprire. È il caso della tessitura in Lazio, che vanta due centri ancora piuttosto attivi: Farfa (Rieti) in Sabina dove

accanto a splendidi tappeti in lana dai disegni classici vengono creati raffinati tessuti di puro lino e di lana cardata, e Subiaco (Roma), dove invece sono le tovaglie, accanto ancora ai tappeti, le protagoniste. Oltre che per fare incetta di tessuti, tuttavia, i due borghi meritano una visita anche per alcune chicche architettoniche come l’Abbazia Benedettina di Farfa, che ospitò addirittura Carlo Magno, e la rocca abbaziale di Subiaco, annoverato tra i Borghi più belli d’Italia.


Civita di Bagnoregio jackbolla/Shutterstock


CONFARTIGIANATO IMPRESE LAZIO

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Monterotondo ValerioMei/Shutterstock


Tutti i colori del travertino

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e si dovesse decretare qual è la pietra-simbolo del Lazio, ci sono pochi dubbi sull’esito: sarebbero sicuramente tutti concordi nello scegliere il travertino, roccia calcarea utilizzata già nel I millennio a.C. e caratterizzata - grazie alla sua porosità, che le consente di assimilare ossidi differenti - da una gamma cromatica pressoché infinita, che va dal latte al noce, passando per tutte le sfumature di giallo e rosso. La tradizione laziale è così radicata che oggi, a livello internazionale, i migliori travertini sono conside-

Tivoli Ragemax/Shutterstock

rati quelli estratti ai margini del vulcano laziale, in particolare a Tivoli - ma le cave sono anche a Monterotondo e Palidoro, sempre in provincia di Roma e a Cisterna di Latina -, noti proprio come “travertino romano”, quello che i latini chiamavano “lapis tiburtinus”. Accanto all’estrazione, le diverse località vantano anche una fiorente tradizione artigiana, che, ancora una volta, si sviluppa sul duplice filare dell’artigianato laziale, proponendo articoli per l’edilizia accanto a oggetti ornamentali di raffinata fattura.


Gastronomia: infiniti prodotti tipici

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e innumerevoli eccellenze gastronomiche laziali, le materie prime che compongono pietanze iconiche conosciute in tutto il mondo, sono una vera gioia per gli occhi e i palati dei gourmand. Dalla fragolina di Nemi, squisita quanto delicata, alla porchetta di Ariccia, semplicemente irresistibile, per fare un paio di esempi legati alla bellissima zona dei Castelli Romani, perfetti per gite fuori porta in partenza dalla Capitale, per coniugare natura, enogastronomia e bellezze architettoniche. E che dire dei carciofi?

pirtuss/Shutterstock

Carciofi “alla giudea“ andrea federici/Shutterstock

Sapientemente cucinati “alla giudea”, per arrivare al principe delle tavole laziali, il pecorino romano Dop, dal sapore intenso e pieno, ottenuto da quelle greggi che sono dirette discendenti dei loro antenati latini, quando il pecorino compariva sulle tavole della Roma Imperiale - chi capita ad Aprilia, in provincia di latina, deve provare la produzione locale, con artigiani che fanno ancora la salatura a mano -. Infine, anche l’oro liquido, l’olio extravergine d’oliva, ha i suoi degnissimi rappresentanti in Lazio, con due Dop, il vellutato e aromatico Sabina, prodotto tra le province di Roma e Rieti, e il viterbese Canino, dal sapore intenso e fruttato.


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Bucatini all’amatriciana Brent Hofacker/Shutterstock

I piatti della tradizione

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arbonara, amatriciana, abbacchio, gricia, cacio & pepe, ma l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo: sono infiniti i piatti della cucina romana e laziale che sono entrati nella tradizione gastronomica italiana come “grandi classici” e, se è vero che al giorno d’oggi il turismo enogastronomico è tra i percorsi di visita di un territorio più in voga, è anche vero che non si può dire di conoscere davvero una regione se non si sono provati i piatti della sua cucina. Cucina che, nel caso del Lazio - diciamolo - non è improntata sicuramente alla leggerezza, ma certamente la proposta gastronomica è irresi-

stibile: chi riuscirebbe a dire di no a un piatto di bucatini all’amatriciana? E al guanciale croccante degli spaghetti alla carbonara o alla cremina che forma il pecorino mescolato al pepe e all’acqua di cottura della pasta per gli spaghetti cacio & pepe? I più “coraggiosi”, poi, non possono non assaggiare la coda alla vaccinara (si tratta di una coda di bovino stufata e condita con verdure varie), l’abbacchio alla romana, la trippa alla trasteverina, i saltimbocca alla romana (fettine di vitello ripiene di prosciutto e salvia) e la pajata, rigatoni conditi con le budella del vitello da latte.


Coda alla vaccinara Fanfo/Shutterstock

Saltimbocca alla romana AS Food studio/Shutterstock


I paladini di Bacco

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ccanto a una così ricca varietà gastronomica, non può mancare un degno calice di accompagnamento e infatti la produzione enologica laziale spazia dai bianchi leggeri e perfetti come aperitivo ai rossi più strutturati, via via fino ai vini da dessert come moscato e aleatico. Inutile dire che, anche in questo caso, la coltivazione dell’uva abbia origini antichissime, addirittura antecedenti all’Impero Romano - non è un caso la presenza di diversi vitigni autoctoni, come il bellone e il grechetto a bacca bianca e il cesanese a bacca rossa - e che negli ultimi tempi la produzione si è affinata, tanto da guadagnare ben 27 Doc e tre Docg, due nella zona forse più famosa dal punto di vista

Bolsena Girodiboa/Shutterstock

enologico, quella dei Castelli, con il Cannellino di Frascati e il Frascati Superiore - entrambi prodotti da uve malvasia di Candia e il Frascati con il vanto di essere stato la prima Docg d’Italia - e il ciociaro Cesanese del Piglio, in provincia di Frosinone, un vino rosso di grande struttura prodotto dall’omonima uva. Un tour enologico che si rispetti, tuttavia, non può non comprendere anche una sosta a Cerveteri (Roma) e a Tarquinia (Viterbo) entrambi con una ricca produzione sia di rossi sia di bianchi; e proprio la provincia di Viterbo è la “patria” di due tra i vini più famosi: l’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Doc e l’Aleatico di Gradoli Doc, da degustare soprattutto nella versione passita.

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Marzia Giacobbe/Shutterstock

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Porta Portese: il mondo artigiano in un mercato

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on possiamo che terminare la nostra incursione nel mondo dell’artigianato laziale con un posto che ne riassume e raccoglie tutte le eccellenze, offrendo non solo uno spaccato sulle diverse lavorazioni manuali, ma anche una colorita atmosfera tipicamente romana: stiamo parlando del mercato di Porta Portese, celebrato in film e canzoni - chi non ha canticchiato almeno una volta “Porta Portese” di Claudio Baglioni o non ha riconosciuto le bancarelle in “Ladri di Biciclette” e in “Sciuscià” -, nato nel secondo Dopoguerra come nuova location della borsa nera che

Marzia Giacobbe/Shutterstock

si teneva a Campo de’ Fiori. Un punto di incontro e scambio di prodotti realizzati artigianalmente, articoli usati e oggetti introvabili nel mercato tradizionali. Chi avrà, infatti, la pazienza di alzarsi presto la domenica mattina - il mercato apre alle 6.00 e chiude intorno alle 14.00 - e di aggirarsi con calma tra i banchi dei diversi rigattieri, potrà portare a casa veri e propri “tesori” della tradizione locale di oggi e del passato e proprio la varietà dell’offerta è valsa al famoso mercato di Trastevere il celebre detto “A Porta Portese puoi trovare di tutto, dalla pillola al Jumbo Jet”.


Tivoli Vladimir Sazonov/Shutterstock


OPERA

BALLET

GIUSEPPE VERDI

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ

CONDUCTOR DANIELE GATTI DIRECTOR VALENTINA CARRASCO

VINCENZO BELLINI

I CAPULETI E I MONTECCHI CONDUCTOR DANIELE GATTI DIRECTOR DENIS KRIEF

PËTR IL’IČ ČAJKOVSKIJ

EVGENIJ ONEGIN CONDUCTOR JAMES CONLON DIRECTOR ROBERT CARSEN

SWAN LAKE

CONDUCTOR NIR KABARETTI / CARLO DONADIO CHOREOGRAPHER BENJAMIN PECH

SERATA JEROME ROBBINS CONDUCTOR CARLO DONADIO CHOREOGRAPHER JEROME ROBBINS

IL CORSARO CONDUCTOR ALEXEI BAKLAN CHOREOGRAPHER JOSÉ CARLOS MARTÍNEZ

GIACOMO PUCCINI

SUITE EN BLANC / SERENADE / BOLERO

CONDUCTOR ALEJO PÉREZ DIRECTOR AI WEIWEI

CONDUCTOR FAÇAL KAROUI CHOREOGRAPHY SERGE LIFAR, GEORGE BALANCHINE, KRZYSZTOF PASTOR

LEOŠ JANÁČEK

MAURICE JARRE

TURANDOT

KÁŤA KABANOVÁ CONDUCTOR DAVID ROBERTSON DIRECTOR RICHARD JONES

GIUSEPPE VERDI

LUISA MILLER CONDUCTOR ROBERTO ABBADO DIRECTOR DAMIANO MICHIELETTO

GEORGES BIZET

CARMEN

CONDUCTOR BERTRAND DE BILLY DIRECTOR EMILIO SAGI

IGOR’ STRAVINSKIJ

THE RAKE’S PROGRESS

CONDUCTOR DANIELE GATTI DIRECTOR GRAHAM VICK

GIACOMO PUCCINI

TOSCA

CONDUCTOR PIER GIORGIO MORANDI DIRECTOR ALESSANDRO TALEVI

GIUSEPPE VERDI

LA TRAVIATA CONDUCTOR PAOLO ARRIVABENI DIRECTOR SOFIA COPPOLA

OLTRE L’OPERA

Roma Opera aperta

SEASON 2019-20

NOTRE-DAME DE PARIS

CONDUCTOR LOUIS LOHRASEB CHOREOGRAPHER ROLAND PETIT

CARACALLA 2020 GIUSEPPE VERDI

AIDA

CONDUCTOR JORDI BERNÀCER DIRECTOR DENIS KRIEF

GIOACHINO ROSSINI

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

CONDUCTOR STEFANO MONTANARI DIRECTOR LORENZO MARIANI

FRANZ LEHÁR

Ettore Festa, HaunagDesign - Illustration by Gianluigi Toccafondo

LES VÊPRES SICILIENNES

THE MERRY WIDOW CONDUCTOR STEFANO MONTANARI DIRECTOR DAMIANO MICHIELETTO

STRICTLY GERSHWIN CONDUCTOR GARETH VALENTINE CHOREOGRAPHER DEREK DEANE

GIUSEPPE VERDI

MESSA DA REQUIEM CONDUCTOR MYUNG-WHUN CHUNG

IGOR’ STRAVINSKIJ

OEDIPUS REX

CONDUCTOR DANIELE GATTI

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Riflessi d’oro di Calabria


Grazia Gioè

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ra le numerose forme di artigianato calabrese, l’arte orafa riveste un ruolo così importante da essere collocata al “piano nobile” dell’intera produzione artigianale regionale. In Calabria la lavorazione artigianale dell’oro è un’arte molto antica e, in maniera armoniosa, “riflette” e fa sintesi delle epoche storiche - diverse, sovrapposte e remote - che hanno interessato la destinazione fin dalla notte dei tempi. Numerosi, del resto, sono i gioielli e gli oggetti preziosi che oggi testimoniano e raccontano l’arte orafa calabrese, alcuni persino risalenti all’era neo-

litica quando, nella loro creazione, venivano già usati il corallo o la madreperla, seppure solo in funzione apotropaica. Una funzione, questa, che nei millenni si è sempre più arricchita di nuovi simbolismi e valori rituali: storici, archeologici, culturali, religiosi e sociali, tipici delle varie dominazioni che vi si sono succedute. I preziosi monili dei grandi maestri orafi calabresi - fra i quali, per fare alcuni esempi, Spadafora, Affidato, Sacco e Riverso - sono conosciuti in tutto il mondo e si ispirano da sempre alla tradizione della Magna Grecia, romana e bizantina.


La tradizione orafa calabrese

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ra le varie tecniche di produzione orafa della regione, quella in stile della Magna Grecia è sicuramente la più pregiata grazie alla tipica lavorazione dell’oro conosciuta come “a filigrana”. Ispirandosi alle forme dei monili che un tempo arricchivano i costumi tradizionali e le immagini sacre della Magna Grecia, questa forma d’arte riesce a perpetuarne il carisma dell’immortalità, anche ben oltre i confini italiani. I gioielli dei maestri orafi calabresi, infatti, hanno saputo distinguersi anche a livello mondiale, soprattutto, per le presti-

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giose creazioni d’arte sacra. E la loro creatività fa tesoro, oltre che della Magna Grecia, anche degli altri elementi stilistici che hanno caratterizzato la storia e l’archeologia della Calabria riproponendo, in oggetti di raffinata fattura, l’imprinting dell’influenza orientale, araba, bizantina e barocca. Nelle loro eleganti botteghe, disseminate in città e borghi calabresi quali Crotone, Longobucco, San Giovanni in Fiore e Tropea, da sempre creano i gioielli-simbolo del più blasonato Made in Italy, dallo stile unico e inconfondibile.




Prima lo stile e poi la forma

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a tradizione orafa calabrese si esprime al meglio anche nella produzione di oggetti preziosi in stile classico, moderno, popolare o del nuovo design. Nello stile classico e moderno, i maestri orafi ripropongono in chiave moderna forme e linee antiche, arricchite però della loro personalità artistica. E utilizzano valide tecniche di lavorazione che vanno dalla progettazione alla realizzazione; dalla fusione a cera, all’incisione e all’incastonatura delle pietre. Le mani sapienti di questi artigiani, quindi, modellano gioielli dalle

linee tradizionali ricalcando i monili del passato, oppure forgiano oggetti preziosi dal design moderno e polimaterico, ma con l’impronta di questa antica terra. Nell’oreficeria che richiama l’arte contadina, per esempio, il punto di partenza obbligato è comunque, sempre costituito dai materiali quali oro, argento, perle, madreperla, corallo, onice, corniola, ametista, smalto e pasta vitrea. Poi, viene la forma: a gobbetto, a forma di pesce, a bottone, a sirena, come una chiave, con motivi floreali e così via.


I simboli aurei della Calabria

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erle e madreperla come simbolo di fertilità; corallo rosso contro la jella; onice per i pensieri profondi; granato come simbolo di fedeltà e tanti altri significati sono simboleggiati dalle pietre usate nei gioielli più diffusi dell’arte orafa calabrese quali orecchini, collane, anelli e spille. Molto noti sono alcuni orecchini in lamina d’oro che si rifanno alla tradizione d’epoca tardo-romana e medievale; quelli decorati con perline, invece, rivelano la loro derivazione tardo-rinascimentale e barocca. Le

collane sono tutte un’alternanza d’oro, di perle e coralli; le spille quasi sempre a ciondolo; i pendenti a fiocco, ma con applicazioni complesse di foglie e fiori, a volte forgiati a forma di animale. In tutti, però, è sempre presente il riferimento rituale, simbolico all’animo umano, o apotropaico, specie negli anelli a simbologia amorosa. L’intento, infatti, è quello di cercare di rappresentare le contraddizioni e l’anima di un popolo, quello calabrese, con la sua saggezza, le sue speranze e i suoi miti.


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Carola Traverso Saibante

Un’artigiana in cucina

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Un’artigiana in cucina Sagne Karissaa/Shutterstock.com


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la di granoturco e con le uova per dare vita ai “cuzzi”. Tirati con lo stennarello, ossia il matarello, il formato è simile agli emiliani strozzapreti. Conditi con aglio, olio, peperoncino, pomodoro, pecorino o formaggio ovino locale, sono serviti in piatti di legno. Le “sagne ncannulate”, ossia ritorte, sono tipiche della cucina del Salento, terra dove la pasta fatta in casa più che artigianato è arte. Lunghi ricci di lasagna che si arrotolano eccentricamente su sé stessi e si adornano con il sugo e la “ricotta forte”.

Un’artigiana in cucina

P

ietre, scalpelli, biscotti, spine di cactus, riccioli, funghi, delfini, salamini e pennelli… artigianato e cibo “s’impastano” nei laboratori delle cucine nostrane. La Penisola freme sotto la guida dei mastri ai fornelli nascosti in ogni suo canto. In un Paese dove anche i nomi della pasta fresca locale sembrano forgiati dalle mani infarinate di un’artigiana-massaia senza età, iniziamo proprio dalla pastasciutta. Roviano, piccolo e autentico borgo romano: le farine di grano duro e tenero vengono amalgamate con quel-


Un’artigiana in cucina

Salumi di terra e di mare C

ome il cuoco coglie il punto di dente aureo per la pasta, l’antico pescatore-artigiano ligure sa quando il filetto di pesce ha raggiunto il punto perfetto di maturazione al sole. Nasce così il “musciàmme” straordinaria carne di pesce essiccato, da tagliare a fette sottilissime come un tartufo. Oggi è il tonno ma, finché fu legale, nell’odierno Santuario dei Cetacei si essiccavano delfini. Dal borgo belvedere di Coreglia Antelminelli, nell’Appennino toscano, iniziamo ad assaggiare qualche salume. L’arte della norcineria domina impeccabile e dona

al popolo il “boccone al fungo porcino”, un odoroso salamino insaccato in budello di capretto, sola carne di prosciutto e funghi secchi sbriciolati. Pennapiedimonte - pinna ai piedi del monte - borgo incantato su una cresta di roccia calcarea della Majella Orientale, dove gli artigiani lavorano ciò che la terra offre: la sua pietra bianca. È aromatizzato con erbe tipiche della zona, l’omonimo salsicciotto dal gusto rurale: timo, ginepro, rosmarino, alloro, cipollina, peperoncino piccante, finocchio e salvia. Ricetta tramandata da generazioni di macellai.

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Un’artigiana in cucina

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Fiori di pascolo e liquori senza spine A

ltrove, dalla pietra calcarea, sporge quel balcone fiorito chiamato Costiera Amalfitana: qui s’intrecciano il giunco dei cesti e i lacci di cuoio dei sandali, il ferro delle ringhiere, la terra delle ceramiche e la pietra dei portali. E dai fichi d’India che s’insinuano tra i muri dei terrazzamenti si ricava il Nanassino, prelibato liquore rigorosamente casalingo. Ma le pietre ci portano anche a Latronico, “luogo nascosto” tra i monti della Basilicata, eppur così vicino al mare. Qui la pietra è l’alabastro e del suo stesso colore

è il biscotto - salato - tipico del borgo. Ha la forma di un otto, ed è impastato con la farina di Carosella, un grano tenero antico che ancora si produce nel Parco del Pollino. Con un biscotto salato, niente di meglio di un buon formaggio. Ai piedi del Monte Rosa si fa il Macagn, Presidio Slow Food, di latte vaccino intero crudo la cui particolarità è di essere prodotto dopo ogni mungitura, ossia due volte al giorno: per questo dalla sua pasta di latte arrivano al naso gli odori dei pascoli e dei loro fiori.


Un’artigiana in cucina

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Un’artigiana in cucina

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Frutta finta e burro nobile P

er associazione, passiamo al burro. Lo sapevate che esiste un “ghee” italiano? Questo burro chiarificato si produce in Val d’Aosta, dove si chiama “beuro colò”. «Lo facciamo con burro di panna, col vecchio modo tradizionale. Ai tempi di mia nonna era l’unico sistema per conservare il burro, in una pignatta di coccio in cantina, fino all’anno successivo. Si mette sul fuoco e si toglie la schiuma, tipo brodo, fino a che si vede il fondo della pentola», ci racconta Luisa La Croix, che lo produce insieme ai formaggi. Il risultato della

lavorazione è un grasso puro, un burro nobile e sano dal sapore incredibilmente avvolgente. E adesso ci vuole un po’ di dolce. O di frutta. La frutta martorana, originaria dell’omonimo monastero di Agrigento, è oramai artigianato culinario italiano di fama internazionale. Il marzapane, foggiato a mo’ di fico piuttosto che pomodoro, arancia o persino aglio, viene magistralmente dipinto e il risultato è un piccolo capolavoro gourmet, per concludere in bellezza quest’altro viaggio nella cucina del Belpaese.

Un’artigiana in cucina

Chiesa di Santo Spirito, Agrigento Serjio74/Shutterstock.com CatchaSnap/Shutterstock.com



o s o l o g d ken

e e W

Luca Sartori

twitter.com/LucaSartoriIT

Atmosfere etrusche

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È

una terra di sapori forti e di tradizioni antiche, quella che si stende tra i Monti Cimini e i Monti Sabini. Tra le terre di Viterbo e la grande provincia romana, cuore geografico del Lazio, si trovano alcune delle capitali enogastronomiche della regione che, nel mese di novembre, alle soglie della stagione invernale, celebrano i loro principali prodotti, i tesori delle loro terre. Olio e vino sono protagonisti della tavola italiana e qui, a poco più di un’ora di strada dal centro di Roma, nei weekend di novembre, vengono celebrati con due tra le feste più sentite d’autunno. Inizia da Vignanello il nostro tour in terra laziale. Antico dominio dello Stato Pontificio, è situato a poco meno di 400 metri sul livello del

Vignanello Grifone97/Shutterstock.com

mare, presenta un caratteristico centro storico - con l’abitato originario che si è sviluppato su di un lungo colle delimitato da due vallate bagnate da due corsi d’acqua - e confina con il borgo di Vallerano, che raggiungiamo dopo una breve passeggiata. Ceniamo al Ristorante Al Poggio dove iniziamo con l’antipasto, i marroni con lardo, finocchio e miele di castagno, proseguiamo con un piatto di gnocchi di castagne al ragù di cinghiale, per chiudere con un’arista ai marroni di Vallerano, il tutto accompagnato da un vino rosso locale dal sapore asciutto, caldo e armonico come il Vignanello rosso riserva Doc. Per la notte torniamo a Vignanello, al B&B Casa delle Meraviglie, una villa immersa nel verde dei castagni.


Arista ai marroni lericettedei5mondi.blogspot.com

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Sabato tra Vignanello e Civita Castellana È

la Festa dell’olio e del vino novello ad animare il weekend di Vignanello tra itinerari del gusto e rievocazioni di antichi mestieri, cortei in costume e musica. L’importante appuntamento autunnale della località della Tuscia viterbese è un’occasione per fermarsi alle tipiche cantine vinicole della zona o fare tappa negli oleifici locali per assaggiare e acquistare una bottiglia d’olio. Festa dell’olio e del vino novello che è un’ottima occasione per scoprire ed esplorare, accompagnati da guide e esperti del luogo, i più caratteristici luoghi del borgo, tra cui la Chiesa Collegiata di Santa Maria della Presentazione, costruita tra il 1710 e 1723 per volere del principe Francesco

Maria Ruspoli, feudatario di Vignanello, e dello zio cardinale Galeazzo Marescotti, i Connutti, i cunicoli che si sviluppano nel sottosuolo del paese, e il Castello Ruspoli con il suo bel giardino rinascimentale, considerato tra i più belli d’Europa. Lasciamo Vignanello per raggiungere Civita Castellana, dopo una mezz’ora di strada che sfiora il centro di Fabbrica di Roma. Appoggiata su uno sperone di tufo che si protende tra due profonde gole formate dagli affluenti del fiume Treja, Civita Castellana era, in epoca preromana, la capitale dei Falisci, il nome con il quale i Romani indicavano un antico popolo dell’Etruria meridionale. Ci fermiamo per il pranzo al Ristorante Beccofino per gu-


stare un piatto di tagliata di manzo alle erbe, per dedicare il pomeriggio alla scoperta del borgo storico di Civita Castellana e a qualche acquisto dei suoi prodotti tipici. Civita Castellana è tra i più importanti centri di produzione artigianale e industriale della ceramica, grazie alla vicinanza di cave di argille refrattarie e caolino. Per gli appassionati di vasellame, mattonelle dipinte e monili è d’obbligo una fermata alla bottega di ceramiche d’arte Mastro Cencio, laboratorio artigiano, scavato nel tufo, di ceramica di qualità. Per i golosi ci sono la Pasticceria La Pastarella, laboratorio artigianale dove assaggiare e acquistare dolci tipici locali e non, e la pasticceria Natili, che propone prodotti di biscotteria, torte e pasticcini. Funghi, formaggi e salumi alla Norcineria Artigiani dei Sapori, e tante prelibatezze, con piatti pronti della tradizione locale, alla gastronomia Le

Tagliata di manzo alle erbe mentaecioccolato.com

Ghiottonerie di Via Roma. Dopo la visita alle botteghe della città è d’obbligo una fermata alla Rocca dei Borgia, o Forte Sangallo, interessante esempio di architettura rinascimentale, costruita su ordine di Alessandro VI Borgia, che ospita il Museo Archeologico dell’Agro Falisco, ricca raccolta di reperti archeologici dell’area laziale tra il lago di Vico, Orte, la sponda del Tevere e il monte Soratte, dove ampio spazio è dato alla raccolta di ceramiche. Cena al Ristorante da Erminio alla Ghiacciaia, tempio della cucina civitonica e viterbese, dove ci gustiamo un appetitoso piatto di pappardelle al cinghiale e una tagliata ai funghi porcini, annaffiando il tutto con un vino della Tuscia, un Colli Etruschi Viterbesi Grechetto rosso. Per la notte ci fermiamo all’elegante Palace Hotel Relais Falisco, ospitato in un antico palazzo del ‘600 situato nel centro storico.

Forte Sangallo, Civita Castellana maudanros/Shutterstock.com


Domenica tra Civita Castellana e Montelibretti L

a domenica mattina è da dedicare ai tesori architettonici della città. Passeggiando tra i vicoli del centro giungiamo alla medievale Cattedrale di Santa Maria Maggiore, dalla facciata a capanna che presenta un piccolo rosone a dodici raggi, preceduta da un portico, caratteristico dell’architettura romana medievale. A due passi dal Duomo, nella centralissima piazza Giacomo Matteotti, dalle caratteristiche architettoniche attribuibili al periodo compreso tra il XIV e il XIX secolo, sorge la Fontana dei Draghi, costruita durante il pontificato di Gregorio XIII nel 1585 con lo scopo di decorare la piazza e aumentare l’accesso idrico, con-

traddistinta da quattro draghi dalle cui bocche, una per lato, esce l’acqua che riempie la vasca, sormontata da una più piccola che scola nella sottostante. Da vedere anche il Museo della Ceramica Casimiro Marcantoni, allestito all’interno dell’ex chiesa di San Giorgio, che celebra la storia del centro laziale dalla fine del ‘700 fino alla seconda parte del ‘900. Sulla strada che uscendo dal borgo antico porta alla via Flaminia, sorge la chiesa più antica di Civita Castellana, Santa Maria dell’Arco o del Carmine, oggi gestita dalle suore di clausura che vivono nel vicino convento. Ci fermiamo per il pranzo presso il Ristorante La Giaretta dove ci

Cattedrale di Santa Maria Maggiore, Civita Castellana maudanros/Shutterstock.com


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Zuppa di fagioli e porcini ilcuoreinpentola.it

Palombara Sabina ValerioMei/Shutterstock.com

gustiamo un altro dei piatti tipici locali, la zuppa di fagioli e porcini, per ripartire poi alla volta dell’ultima tappa del weekend, il borgo di Montelibretti. Lasciamo le estreme propaggini meridionali del viterbese per raggiungere il piccolo centro delle terre di Roma Capitale. Un’ora scarsa di viaggio tra le campagne laziali fino a giungere alle pendici occidentali dei Monti Sabini, in una Montelibretti in festa per la sagra “Pane, olio e…”, occasione per assaggiare il prodotto tipico locale, l’olio extravergine di oliva e visitare i frantoi della zona. Olio ma anche pane, altro apprezzato prodotto del borgo, anch’esso assolutamente da assaggiare, e i prodotti tipici del territorio come il “frittello con broccolo” e la “salsiccia con pitarta”, aromatizzata al coriandolo. Situato su uno sperone roccioso tra la valle del Tevere e quella del Fosso Carolano, Montelibretti è un piccolo

centro circondato dai boschi e dai frutteti dove si producono, oltre alle olive, ciliegie, pesche, fichi, albicocche e prugne. Il centro abitato propone, tra le sue principali emergenze architettoniche, il suggestivo Palazzo Barberini, risalente al XVII secolo, e la chiesa parrocchiale San Nicola da Bari, eretta nel 1535 e ristrutturata nel 1773, che custodisce i dipinti “Madonna in trono con Bambino” e “Santi Domenico e Caterina” del 1600, mentre in località Colle del Forno, sono stati individuati i resti di una necropoli etrusca, in parte custoditi nel Museo Nazionale di Copenaghen. Il weekend si chiude alla Tenuta La Salvia della vicina Palombara Sabina, altro centro caratteristico della zona, agriturismo a pochi minuti da Montelibretti, dove con un misto di carni alla brace e un buon vino rosso locale celebriamo e chiudiamo l’indimenticabile weekend nelle terre etrusche laziali.


A prova di Giappone

Lago Kawaguchiko e monte Fuji Guitar photographer/Shutterstock.com


Oltreconfine: Oltreconfine:Giappone Francia

Nicoletta Toffano

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Nipponbashi Den Den, Osaka beeboys/Shutterstock.com


Oltreconfine: Giappone

Abhijeet Khedgikar/Shutterstock.com

I

n giapponese kotoshohi significa letteralmente “consumo o accumulo di esperienze”. Così in molti luoghi del Paese del Sol levante si è moltiplicata l’offerta di attività singolari dedicate ai turisti il cui scopo è quello di divulgare e far conoscere il meglio della cultura tradizionale. Fonte di ispirazione per questo tipo di esperienze sono spesso oggetti così celebri in tutto il mondo al punto da sembrare degli stereotipi del Paese ma che invece rappresentano il frutto di un’esperienza secolare, capace di trasformare molte espressioni umane in forme d’arte

e di filosofia. Tè, sushi, bonsai, kimono, manga sono termini che noi occidentali usiamo con consuetudine ma che per i giapponesi hanno significati assai più profondi che si riferiscono a modi di pensare per noi lontanissimi: sono teorie che si trasformano in sostanza dando vita a manufatti per produrre i quali ogni azione, ogni gesto, si fonda su un rito e ha una sua sacralità. Eccoci allora a compiere un viaggio esperienziale dal nord al sud dell’arcipelago alla scoperta di oggetti artigianali e delle affascinanti storie che li accompagnano.


Kokeshi LELACHANOK/Shutterstock.com

Le Kokeshi e il Matsushima

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e kokeshi sono bambole in legno originarie del nord del Giappone, prodotte nelle province di Sendai e Miyagi nel Tohoku, regione nota per i suoi stabilimenti termali, i cosiddetti onsen. Ognuna di queste bambole è unica ed è creata manualmente da un artigiano, a partire dalla lavorazione dei blocchi di legno grezzo necessari per ottenere la forma fino alla delicata operazione di pittura del viso e del motivo del kimono che indossa. Le bambole kokeshi hanno fatto la loro comparsa in Giappone nel Seicento e, data la loro forma, si

pensa che inizialmente potessero essere utilizzate come attrezzi per i massaggi dai frequentatori delle terme. Hanno inoltre un significato spirituale, legato all’auspicio di avere un bambino sano. Il Japan Kokeshi Museum si trova a Osaki ed espone 5.000 bambole. Non lontano si trova il Matsushima, considerato uno dei luoghi piÚ belli del Giappone: un gruppo di 260 isole ricoperte di pini dove si visitano piccoli borghi e templi sacri immersi in un paesaggio che cambia da isola a isola e a seconda delle stagioni.


Oltreconfine: Giappone

Matsushima mTaira/Shutterstock.com

Antonina Polushkina/Shutterstock.com


Un tempio a Matsushima Omjai Chalard/Shutterstock.com


Oltreconfine: Giappone


L’oro di Kanazawa

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anazawa, sul Mar del Giappone, è inserita nel network delle “Città creative dell’Unesco”. Lo sviluppo economico della cittadina inizia nel Cinquecento e perdura per i tre secoli del regno Maeda: il Castello e il Giardino Kenrokuen sono simboli di quest’epoca di splendore che vede qui convergere i maestri artigiani più noti del Paese. Tra le diverse arti la più preziosa è la lavorazione della foglia d’oro, perpetuata oggi dal Maestro Ken-Ichi Matsumura: nel suo laboratorio spiega che per fabbricare una singola foglia d’oro ci vogliono circa due settimane, il tempo necessario per lavorarla col martello finché non si ottiene uno spessore di 0,2 micron.

Giardino di Kenrokuen, Kanzawa Miaoulab/Shutterstock.com

Queste opere sono utilizzate principalmente per decorare templi e santuari, ma anche per rifinire prodotti artigianali. Sempre l’oro è il metallo utilizzato per il kintsugi, una pratica che consiste nel riparare con preziose suture i diversi cocci di ceramiche andate rotte fornendo all’oggetto una veste nuova, lucente e preziosa. Questa particolare arte, metafora della vita, permette quindi di osservare il danno o il deterioramento, non più da un punto di vista negativo, ma come opportunità di cambiamento e miglioramento. Dall’imperfezione e dalla ferita può quindi nascere una forma intrinseca di perfezione estetica e interiore.


Oltreconfine: Giappone

Kintsugi Lia_t/Shutterstock.com

Castello di Kanzawa Rainer_81/Shutterstock.com


Padiglione dorato del tempio di Kinkaku-ji, Kyoto cowardlion/Shutterstock.com


Oltreconfine: Giappone


Takayama Suchart Boonyavech/Shutterstock.com

Takayama, ciotole decorate con la tecnica shunkei Kristi Blokhin/Shutterstock.com


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I piccoli mondi di Hida Takayama e di Ogimachi

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siste un Giappone, e non tanto lontano dalle frenetiche grandi città, fatto di persone che vivono con lentezza, coltivano riso e i valori della tradizione. Un’enclave di questo mondo antico è Hida Takayama (a metà strada tra Tokyo e Kyoto), un borgo che conserva le dimore in legno del periodo Edo (1600-1868), dove girare tra mercatini e visitare distillerie di sake e laboratori artigianali di lacche. La storia della lavorazione della lacca giapponese risale a 5.500 anni fa e a Takayama si applica la tecnica shunkei, caratte-

Ogimachi Pakpoom Phummee/Shutterstock.com

rizzata dall’uso della lacca trasparente che lascia intatta la bellezza delle venature del legno utilizzato per realizzare ciotole e vassoi. A un’ora dalla cittadina si raggiunge la stupefacente regione montana do Shirakawa-go con il villaggio di Ogimachi, tutelato come Tesoro Nazionale per le 110 abitazioni in legno (in parte abitate in parte trasformate in musei del folclore) costruite in stile gassho-zukuri e cioè a “mani giunte”, un’immagine che deriva dalla forma del tetto molto spiovente ricoperto di paglia.


Ogimachi Pakpoom Phummee/Shutterstock.com


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Vit Kovalcik/Shutterstock.com

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Oltreconfine: Giappone

Castello di Shirasagi Pius Lee/Shutterstock.com

La Katana e il Samurai di Himeji-jo

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econdo una leggenda, la dea Amaterasu diede in dono ai discendenti una collana, uno specchio e una spada. In questo contesto, la katana dei samurai è vista come un kami, cioè uno spirito volto sia alla morte sia alla salvaguardia delle vite. La spada giapponese venne inizialmente forgiata dai monaci buddhisti Tendai, alchimisti, poeti, letterati, combattenti e poi da provetti fabbri di cui oggi sopravvive ancora l’erede di qualche antica fucina, considerata Patrimonio Nazionale. Una di queste si trova nell’isola meridionale del Kyushu, nella cittadina di Arao ed è gestita dal mastro fabbro Matsunaga Genrokurou, che racconta nel suo

laboratorio il lunghissimo processo di realizzazione della mitica spada ancora usata in alcune arti marziali giapponesi. La katana è quindi sacra per i samurai, da cui mai se ne devono separare: per conoscere da vicino la storia di questi fieri guerrieri, nobili e colti, il posto migliore è il Shirasagi, il castello feudale più spettacolare del Giappone dominante la cittadina di Himeij-jo nella regione del Kansai. Si tratta di un’imponente costruzione in legno, finemente decorata, fatta realizzare nel 1601 dal samurai Ikeda Terumasa, che rappresenta l’apice del concetto giapponese di armonia dell’uomo con la natura.


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Oltreconfine: Giappone

Museo dei Samurai, Shinjuku Vassamon Anansukkasem/Shutterstock.com


Alessandra Boiardi

twitter.com/aleboiardi

“Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860-1915”

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na mappa inedita delle tendenze “giapponiste” dell’Europa tra ‘800 e ‘900. È questo il taglio che il suo curatore, Francesco Parisi, ha scelto per la mostra “Giapponismo. Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860-1915”, visitabile presso Palazzo Roverella, a Rovigo, fino al 26 gennaio 2020. L’originale mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo - in collaborazione con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi -, propone un viaggio temporale e geografico, attraverso la scoperta e l’affermazione del fenomeno definito “giapponismo”, dalla Germania all’Olanda, al Belgio, dalla Francia all’Austria, alla Boemia, fino all’Italia. Accanto ai capolavori di Gauguin, Toulouse

Lautrec, van Gogh, Klimt, Kolo Moser, James Ensor e Alphonse Mucha si possono ammirare le tendenze giapponiste nelle opere degli inglesi Albert Moore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; degli italiani Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti con il suo capolavoro “La raccolta delle zucche”; e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Emile Gallé; i belgi Fernand Khnopff e Henry van de Velde.

Giovanni Battista Amendola, Il kimono (A moment’s rest) argento, collezione privata


Emil Orlik, Paesaggio con il monte Fuji 1908, Courtesy Daxer & Marschall Gallery, Monaco FÊlix Buhot, due rondini sorvolano il mare lunetta - gouache su seta montata su cartone, Galerie Berès, Paris


Anselmo Bucci, La giapponese (il Kimono) 1919, olio su tela, Courtesy Matteo Mapelli/Galleria Antologia Monza


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Il Giapponismo in Europa

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ul finire del XIX secolo la scoperta delle arti decorative giapponesi diede una notevole scossa all’intera arte europea. Nel Vecchio Continente, e principalmente in Francia, cominciarono a diffondersi ceramiche, stampe e arredi da giardino dall’Impero del Sol Levante che, pochi anni addietro, nel 1853, si era aperto al resto del modo. La moda giapponista coinvolse dapprima la ricca borghesia internazionale, ma soprattutto due intere generazioni di artisti, letterati, musicisti e architetti, trovando sempre più forza con l’innesto della nascente cultura e Liberty e modernista

Galileo Chini, Vaso globulare con pesci 1919, ceramica policroma, collezione privata

Pierre Bonnard, Giovane madre e figlio 1982, acquerello e mina di piombo, Galerie Berès, Paris

sempre più attenta ai valori decorativi e rigorosi dell’arte giapponese. Il commercio di vasi e ceramiche contribuì alla diffusione delle prime xilografie, che venivano utilizzate per impacchettare gli oggetti, preziosi fogli che spesso erano i celebri manga di Hokusai o altre brillantissime stampe di Utamaro e Hiroshige che tanta influenza ebbero sugli Impressionisti, sui Nabis, fino alle secessioni di Vienna e Monaco per concludere il loro ascendente con i bagliori della Grande Guerra trasformandosi in un più generico culto dell’oriente nel corso degli anni 20 e 30 del ‘900.


Paul Signac, Herblay 1890, olio su seta

Il percorso espositivo della mostra

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elle quattro ampie sezioni della mostra si affiancano originali e derivati, ovvero opere scelte fra quelle che giungendo dal Giappone divamparono a oggetto di passioni e di studi in Europa, accanto alle opere che di questi “reperti” evidenzino la profonda influenza. Pittura e grafica dunque, ma anche tutto il resto: dall’architettura, alle arti applicate, all’illustrazione, ai manifesti, agli arredi. Quattro sezioni, Emil Orlik, Il pittore 1901. Galleria dell’Incisione, Brescia

Kolo Moser, albero in fiore 1911, olio su tela, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna

quante furono le grandi Esposizioni Universali che in quei decenni contribuirono, grazie alla presenza dei padiglioni giapponesi, a svelare e amplificare il nuovo che giungeva da così lontano, da quel luogo misterioso e magico. Dall’esposizione londinese del 1862, dove i “prodotti” del Sol Levante debuttarono, a quelle parigine del ’67 e ’78, che ebbero nelle proposte il loro elemento di maggiore attrattività, fino all’esposizione del cinquantennale dell’Unità d’Italia del 1911 che ebbe una vasta influenza su molti artisti delle nuove generazioni.


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Paolo Trubetzkoy, ElinTrubeztkoy in costume giapponese 1906-1907, gesso patinato, Verbania, Museo del Paesaggio

Francesco Paolo Michetti, La raccolta delle zucche 1873, olio su tela, Napoli, collezione privata

Achille Laugé, Rami di melo in fiore c.c. 1905-1910, olio su tela, Parigi, collezione privata Paul Gauguin, Fête Gloanec 1888. Orléans, Musée des Beaux-Arts. Photo © François Lauginie


Un intinerario tra le cittĂ murate del Veneto vi farĂ toccare con mano la storia, i miti e l'arte di questo territorio, scrigno di tesori medievali e rinascimentali, da scoprire passeggiando tra castelli, roccaforti e imponenti baluardi difensivi.

Montagnana | Padova | Veneto


Antonella Andretta

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E Z N A VAC

o t s o P i Fuor

Il borgo e l’artista

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he differenza c’è tra artigianato e arte? Nonostante non esista una linea di demarcazione netta, l’artigiano realizza oggetti che, nella maggioranza dei casi, vengono prodotti in più esemplari e hanno un utilizzo pratico, mentre l’artista crea qualcosa di unico che non ha alcuno scopo preciso se non quello di comunicare sensazioni e suscitare emozioni.

Diamante Lucamato/Shutterstock.com


Cretto di Burri DbDo/Shutterstock.com

Il borgo e l’artista

VACANZE FUORI POSTO


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el numero dedicato all’artigianato, quindi, ci è sembrato interessante proporre esperienze che nulla hanno a che fare con la concretezza di una sedia intarsiata, di un sandalo in cuoio o di una lampada da tavolo in ferro battuto, ma che arricchiscono la vita, rendendola più intensa, profonda e meno banale. Iniziamo dalla Sicilia per parlare di un luogo carico di significati: il Grande Cretto, meglio noto come cretto di Burri, realizzato dal grande artista a Gibellina (Trapani), borgo siciliano distrutto dal terremoto del 1968. Il cretto rappresenta l’assenza del borgo, il suo tragico destino. È un monumento alla memoria

Roberto La Rosa/Shutterstock.com

realizzato compattando le macerie del paese, coperte poi di cemento. Il cretto (che prende il nome dalle opere su tela di Burri, superfici monocrome asciugate al sole che si riempivano di crepe e fenditure) è un luogo dove camminare in silenzio, straniante e di grande impatto emotivo, date anche le dimensioni: i blocchi di cemento sono infatti alti circa un metro e sessanta, le fenditure (che ricalcano il percorso delle vecchie strade) sono larghe un paio di metri e la superficie totale è di 80mila metri quadrati. Il cretto è una delle opere di land art più significative del mondo, meta obbligata di un turismo consapevole e attento.

Il borgo e l’artista

VACANZE FUORI POSTO


Restiamo al sud ma torniamo “in continente” per approdare a Diamante, borgo in provincia di Cosenza, amato per la costa tirrenica e il mare. Ma Diamante è anche un luogo di street art: passeggiando per il centro e i vicoli è possibile ammirare più di duecento opere dipinte sui muri realizzate da artisti italiani e internazionali che, a partire dagli anni Ottanta e su richiamo del pittore Nani Razzetti, iniziarono a decorare le facciate delle case. Un’operazione che non è mai finita, visto che ogni anno vengono aggiunti nuovi murales dai temi più vari, socialmente impegnati, a sfondo religioso o ritraenti immagini di vita quotidia-

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Il borgo e l’artista

Orgosolo Elisa Locci/Shutterstock.com

na. Gli appassionati di questo genere di espressione artistica non perdano i borghi dipinti della Sardegna, considerata la patria del muralismo in Italia: prima di tutto Orgosolo (Nuoro) dove il primo murale risale al 1969, ma anche Villamar (Sud Sardegna) e San Sperate (Cagliari), dove si trova anche il Giardino sonoro di Pinuccio Sciola e molti dei suoi murales. E poi, spostandosi verso nord della penisola, Dozza (Bologna), Valloria (Imperia), Arcumeggia (Varese), Cibiana in Cadore (Belluno): molti sono infatti i piccoli centri che ospitano street art in tutta Italia (per non parlare delle città, che esulano però dai nostri percorsi).


Il borgo e l’artista

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Dozza ermess/Shutterstock.com


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Il borgo e l’artista

Cervara di Roma Stefano_Valeri/Shutterstock.com

Cervara di Roma ValerioMei /Shutterstock.com


Dalla pittura alla scultura, approdando nel Lazio a Cervara di Roma, suggestivo borgo immerso nel Parco Naturale dei Monti Simbruini che a partire dall’800 ha ospitato numerosi artisti e personaggi d’ingegno. Qui, negli anni 80, studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze hanno scolpito forme e volti sulla roccia calcare realizzando una sorta di museo all’aperto. Per tutto il paese, oltre alle sculture, si possono osservare dipinti e leggere poesie incise nella roccia, un posto dove ritrovare bellezza e pace, lontano dalla folla in infradito delle metropoli assediate dai pullman turistici. Un ultimo accenno, infine, alle case-mu-

seo, dove rivivere suggestioni letterarie, musicali e artistiche in generale, alcune delle quali si trovano proprio in borghi e piccole località, come lo stupefacente e “imaginifico” Vittoriale degli italiani di Gabriele D’Annunzio a Gardone Riviera (Brescia), o la Casa Museo di Giovanni Pascoli, a San Mauro Pascoli (Forlì-Cesena), i cui ambienti ritornano nelle celebri poesie, e Casa Leopardi a Recanati (Macerata), dove restare a bocca aperta nella grande biblioteca, tra le “sudate carte”. Poeti questi, certo, non artisti visuali. Ma chi può affermare con certezza che un sonetto sia meno emozionante di un dipinto o di una figura in marmo?

Il borgo e l’artista

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Vittoriale degli iItaliani Roberto Evangelisti/Shutterstock.com


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Piazza Leopardi Dionisio iemma/Shutterstock.com


René Magritte, L’impero della luce, 1953–54. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia © René Magritte, by SIAE 2019

1949: quando l’arte moderna trovò casa a Venezia

La mostra è resa possibile grazie a

Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it

Con il sostegno di

I programmi educativi sono realizzati con il sostegno di


Ivan Pisoni

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Leggende di artigiani persi nel mito

Noska Photo/Shutterstock.com


Leggende di artigiani persi nel mito

La leggenda della prima “terribile” testa di moro M

olto diffuse nella cultura siciliana, specialmente a Caltagirone, dove si possono ammirare questi coloratissimi vasi di ceramica sui balconi della località, le teste di moro devono la loro origine a un amore complicato. Si narra che, intorno all’anno 1000, nel quartiere arabo di Palermo (oggi Kalsa), vivesse una bellissima fanciulla che passava le sue giornate in solitaria quiete, dando le sue amorevoli attenzioni alle piante del proprio balcone. Un giorno la bella fanciulla fu notata da un moro che se ne invaghì all’istante. Non ci volle molto: l’uomo confessò il suo amore e la ragazza accettò, fiera, il corteggiamento. I due erano felici ma l’animo del moro era scosso. Egli non potè trattenere il suo segreto e confessò alla bella compa-

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gna di avere moglie e figli che lo aspettavano in patria. La fanciulla, distrutta dalla triste notizia, fu pervarsa da un’ira incontenibile e, dopo aver aspettato il momento propizio, uccise il compagno mozzandogli la testa nel sonno. Tradita dal suo uomo, la bella non voleva però smettere di amarlo e di prendersene cura, quindi modellò quella testa a forma di vaso, vi piantò un seme di basilico e la mise su quel suo balcone, dove potè prendersene cura insieme alle altre sue amate piante. Il basilico cresceva rigoglioso da quel curioso vaso e colse l’attenzione dei passanti che iniziarono a voler vasi con le fattezze di... teste di mori. Che sia un monito? State dunque attenti e sinceri ad amoreggiare con una bella siciliana, potreste essere... piantati.


steve estvanik/Shutterstock.com

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ella ridente e coloratissima isola della laguna veneta viveva Nicolò, pescatore di rara bellezza. Buono, nobile e ambito dalle ragazze del posto, Nicolò aveva occhi solo per Maria, la sua fidanzata e promessa sposa. Come altri giorni, Nicolò prese il mare per intraprendere la sua quotidiana attività di pesca ma quel giorno, al largo, il pescatore sentì un canto dolce e incantatore e vide la sua imbarcazione circondata da un gruppo di donne bellissime. Erano sirene, che con la loro suadente litania cercavano di irretire il bel pescatore. Ma Ni-

colò era forte per l’amore di Maria e non cadde nel tranello. Incredule, davanti a questo inaspettato rifiuto, le sirene decisero di premiare Nicolò donandogli un sorprendente ricamo creato con la schiuma del mare. Tornato a Burano, il pescatore donò quel ricamo alla sua amata, la quale lo replicò e lo usò come merletto nel suo vestito da sposa. Le donne dell’isola furono così stupite e invidiose di tale merletto che iniziarono anch’essere a riprodurlo, dando origine al magnifico merletto di Burano che conosciamo oggi.

Leggende di artigiati persi nel mito

La leggenda delle sirene e dei merletti di Burano


Leggende di artigianati persi nel mito Wead/Shutterstock.com

La storia di Efesto... il dio del fuoco, brutto ma immensamente bravo P

overo Efesto, concepito per vendetta da Era a causa dei continui tradimenti di Zeus e poi scagliato giù dall’Olimpo per le sue fattezze tutt’altro che amabili. Raccolto da Teti e Eurionome, due ninfe del mare, queste allevarono il piccolo dio in una caverna. Pur essendo brutto e deforme, Efesto manifestò già in tenera età prodigiose doti nel forgiare i metalli. Iniziò così a fabbricare gioielli di inestimabile valore e bellezza per le ninfe che

lo accudirono. La voce delle abilità di Efesto arrivò anche a Era che, sotto mentite spoglie, si approciò al figlio chiedendo la fabbricazione di un trono d’oro. Il fabbro degli dei non cadde nell’inganno ma non lo diede a vedere. L’occasione era troppo ghiotta per potersi vendicare delle crudeltà della madre. Efesto creò un trono tutto d’oro di incredibile bellezza ma maledetto. Se la dea si fosse seduta su di esso, infatti, non avrebbe


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mai più potuto alzarsi. E questo successe. Era rimase intrappolata sulla seduta e potè rislzarsi solo dopo aver promesso di riaccettar Efesto nell’Olimpo e di dargli in sposa la bella Afrodite. La quale, però, non acconsetì mai al brutto ma bravissimo fabbro di giacere con lei carnalmente, tradendolo in continuazione. Stanco delle continue derisioni dei suoi

pari, sia per l’aspetto fisico sia per i tradimenti della moglie, Efesto se ne andò dall’Olimpo rifugiandosi nelle profondità dell’Etna dove potè dedicarsi solo alla sua passione, la forgia, con la quale regalò alla mitologia alcune tra le armi e gli oggetti più famosi e potenti, diventando così il dio indiscusso dell’artigianato.

Leggende di artigianati persi nel mito

Gilmanshin/Shutterstock.com



Ivan Pisoni

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lo sapevate che...

colacat/Shutterstock.com


lo sapevate che... curiosità artigiane

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an Biagio è il protettore di lanieri e tessitori. Siamo a Taranta Peligna (Chieti), dove anticamente ha origine il culto di San Biagio quale protettore di lanieri, scardatori - pettinatori di lana - e tessitori. Sembra, infatti, che il santo fu martirizzato proprio usando l’attrezzo per “cardare” la lana. E sono i maestri artigiani della tessitura della lana i maggiori promotori delle celebrazioni di santo.

ivanoel/Shutterstock.com

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egaliamo una seconda vita agli oggetti grazie all’artigianato del riciclo fai-da-te. Un hobby ormai famoso, specialmente con la miriade di tutorial online che ci permettono di dare realmente seconda vita ai nostri oggetti che sarebbero “da buttare”. C’è chi ne ha fatto un vero e proprio mestiere diventando anche famoso. Quindi, un po’ per il nostro pianeta, un po’ per sfogo personale, un po’ per dare voce alla nostra creatività, invito tutti a provare a trasformare un semplice barattolo in... qualcos’altro. Rimarrete stupiti dei risultati.

Akhmad Dody Firmansyah/Shutterstock.com

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citazioni per aiutarci a capire la differenza tra arte e artigianato... “Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista.” - San Francesco D’Assisi “Dopo tutto un’opera d’arte non si realizza con le idee, ma con le mani.” - Pablo Picasso “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri.” - Gustav Mahler “La Bellezza ha tanti significati quanti umori ha l’uomo. La bellezza è il simbolo dei simboli. La bellezza rivela tutto perché non esprime niente.” - Oscar Wilde Jack Frog/Shutterstock.com


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e il cornetto napoletano non è fatto a mano, non porta bene! Diffidate delle imitazioni. Il famoso cornetto napoletano, uno degli amuleti più antichi ed emblema della tradizione artigianale partenopea, ha poteri di porta fortuna ma deve essere rosso e assolutamente fatto a mano in modo che le energie positive dell’artigiano possano essere trasmesse al cornetto attraverso le mani.

easy asa/Shutterstock.com

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Bragapictures/Shutterstock.com

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rovare i mercatini di artigianato e antiquariato nei borghi non è mai stato così facile! Utilizzando il sito e-borghi.com, navigando alla pagina eventi e selezionando “Mercatini” dal modulo di ricerca, avrete una vastissima scelta di mercatini sparsi in tutta Italia. Dalla stessa pagina potrete anche affinare la ricerca per periodo o per zona geografica e trovare il mercatino più adatto o più vicino a voi. I migliori mercatini vi aspettano, non fateli aspettare.

Buffy1982/Shutterstock.com

lo sapevate che... curiosità artigiane

uando l’artigianato incontra la dama... Siamo a Cison di Valmarino (Treviso) dove ogni anno si tiene il tradizionale evento “Artigianato vivo”, durante il quale si possono scoprire i molteplici artefatti e sapori dell’artigianato locale, ma non solo. Da qualche anno, il circolo culturale “El Mazarol” ha messo a disposizione tre tavoli da dama sia per avvicinare i più giovani a questo gioco, sia per dare una pausa di relax ai visitatori dell’evento. Iniziativa che quest’anno ha riscontrato una partecipazione superiore alle aspettative.


Recensione

Novelle artigiane di Vincenzo Moretti

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rtigiani e lavoratori ormai provenienti da mondi scomparsi. La calma e la pazienza nel fare le cose. Perché “fare le cose bene conviene”. Tutto questo (e molto altro) in “Novelle artigiane”, un libro che dal titolo dice già tutto e calza a pennello per questo nostro numero. Ne è autore il sociologo e scrittore Vincenzo Moretti, una vita nel mondo del lavoro e del sindacato, ora anche felice novellatore. Termine già antico, medievale, quello della novella. E al passato mitico fanno richiamo queste belle pagine, edite da lavorobenfatto. Pagine leggere e delicatamente pensose, soavi nel raccontare l’uomo che produceva e

produce nella sua semplicità quotidiana, in questo munito di un non sappiamo che di esemplare ed eroico. Forse lo sappiamo: è la vita degli avi, vita che incontra anche la passione e gli amori, che sogna la libertà e non rinuncia alla vita stessa nella sua interezza, tra anni che passano e progetti da rincorrere. Storie dunque apparentemente ordinarie che incontrano il lavoro. Il vecchio mestiere è qui visto come realtà effettiva e speculare rispetto a ciò che semplicemente eravamo e siamo. Un lavoro fatto con le mani, che racconta di noi, è un lavoro antico e che però rimanda a evocazioni non solo suggestive o immaginifiche ma propriamente concrete: nel lavoro il nostro ingegno e la nostra vita. I lavori che tornano in questa pagine sono occupazioni dove la mediazione tra cuore e intelletto è sinergica e simbiotica. Un libro che si legge con senso di carezza tenue e matura consapevolezza insieme. Il lavoro e i suoi problemi, insomma. Ecco la formazione dell’autore: letteratura e


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Marino Pagano

facebook.com/marino.pagano.3

lavoro, letteratura e vita. Come nella miglior tradizione critica italiana del primo 900, favola e realtà si incontrano e raccontano, semplicemente, l’esistenza. Tre storie, tre novelle che dalla vita vengono e alla vita ritornano. Attraverso una bella scrittura. E poi i maestri, oggi introvabi-

Recensione

Galdrific/Shutterstock.com

li: grandi protagonisti di queste storie. «Ascoltare e aspettare sono le chiavi per capire. Questo libro vuol farci comprendere le sfumature del lavoro, lasciandoci immergere in un mondo in cui lavorare bene può voler dire viaggiare dentro noi stessi ». Così Moretti, autore ispirato.



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