ritardi pagamenti della PA Eugenio Tristano - Studio Legale Tristano - Roma
Ritardato pagamento dei fornitori della PA. Qualcosa si muove: la sentenza della corte costituzionale n. 78/2020 e il decreto rilancio
C 28
ome confermato dai recenti dati Eurostat, la PA, negli ultimi anni, ha costantemente aumentato il proprio debito per crediti commerciali verso le imprese, arrivando a superare, secondo la stima della Banca d’Italia, il tetto dei 50 miliardi di Euro. Il debito complessivo comprende al suo interno anche i crediti scaduti e pagati in tempi molto dilatati, spesso soltanto parzialmente. Tale situazione costituisce un grave peso per l’economia, reso ancor più intollerabile in seguito alla crisi economica dovuta alla pandemia di COVID-19. La Corte di Giustizia UE, ad inizio di quest’anno (Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 28 gennaio 2020, causa C-122/18), ha stigmatizzato il comportamento di molti Stati membri, evidenziato che “I ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri dai bassi livelli dei tassi degli interessi di mora applicati o dalla loro assenza e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. È necessario un passaggio deciso verso una cultura dei pagamenti rapidi, in cui, tra l’altro, l’esclusione del diritto di applicare interessi di mora sia sempre considerata una clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua, per invertire tale tendenza e per disincentivare i ritardi di pagamento. Tale passaggio dovrebbe inoltre includere l’introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori per le spese sostenute e prevedere, tra l’altro, che l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero sia presunta essere gravemente iniqua”. A fronte di una situazione così conclamata ed intollerabile, appare opportuno approfondire due “eventi” giuridici assai rilevanti: la sentenza della Corte Costituzionale n. 78/2020 ed il Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. con legge 17 luglio 2020, n. 77).
La sentenza della Corte Costituzionale 24 aprile 2020, n. 78 Come noto, al fine di ovviare al ritardo cronico dei pagamenti della PA, malcostume particolarmente evidente nel campo delle forniture in Sanità, - e per non incorrere nella comminatoria di multe dalla Comunità Europea - il legislatore, attraverso l’art. 1, comma 865, della legge n. 145/2018 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), ha stabilito che gli enti del Servizio sanitario nazionale che non rispettino i tempi di pagamento dei fornitori hanno l’obbligo di prevedere, nei contratti dei direttori generali e amministrativi, uno specifico obiettivo che condizioni almeno il 30 per cento dell’indennità di risultato al rispetto della tempistica prevista dalla legge per il saldo. In base al ritardo registrato, la norma gradua il riconoscimento di tale quota, fino a escluderlo per ritardi superiori a sessanta giorni oppure in caso di mancata riduzione di almeno il 10 per cento del debito commerciale residuo. Il comma 860 della stessa legge, al fine dell’applicazione delle misure di cui al comma 865, prende come riferimento i tempi di pagamento e il ritardo calcolati sulle fatture ricevute e scadute nell’anno precedente e al debito commerciale residuo, di cui all’art. 33 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni). Infine, a norma del comma 857, nell’anno 2020 la quota dell’indennità di risultato condizionata al rispetto dei tempi di pagamento è raddoppiata nei confronti degli enti che non hanno richiesto l’anticipazione di liquidità – oggetto della disposizione di cui al comma 849 – entro il termine di cui al comma 853 (fissato al 28