Feltrino News n. 2/2020 Novembre

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Ieri avvenne di Elisa Corni

Il disastro del Vajont

E

ra il 9 ottobre 1963. Moltissime persone ancora se lo ricordano, si ricordano la notizia che passava di bocca in bocca, i bambini svegliati di notte, le informazioni che, a differenza di oggi, circolavano più lentamente. Voci che parlavano di migliaia di morti; una tragedia umana incredibile per l’epoca. Una tragedia che a 55 anni di distanza rimane una ferita aperta nella storia d’Italia e del Nord-Est. Una tragedia che poteva essere evitata. Il disastro del Vajont fu provocato dalla caduta di una gigantesca frana dal Monte Toc, sul versante sinistro del neo bacino idroelettrico artificiale del Vajont.

Quando si parla di una massa incredibile, bisogna rendersi conto che fu esattamente così: gli esperti stimano che circa 270 milioni di metri cubi di roccia scivolarono direttamente nella diga piena d’acqua, sollevando un’onda che forse oggi le cronache battezzerebbero impropriamente come tsunami. Sì, perché l’onda di circa 115 milioni di metri cubi d’acqua non fu sollevata da un terremoto, eppure viaggiò a circa 108 chilometri orari e raggiunse l’impressionante altezza di 250 metri, travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Dell’utilizzo sulle montagne italiane dell’energia idroelettrica abbiamo scritto qualche numero fa, concentrandoci sul Trentino della prima metà del Ventesimo secolo. Questa tradizione continuò anche nei decenni successivi, dato che il nostro suolo è povero di carbone, la principale fonte di energia negli anni Cinquanta e Sessanta. Tutto l’Arco alpino, quindi, fu costellato di dighe e condotte forzate in grado

di trasformare torrenti e laghi di montagna in fonti inesauribili di energia. Fu proprio in questo contesto che nacque e si sviluppò l’idea di sfruttare come bacino idroelettrico la valle del fiume Vajont, sul confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. La Società Idroelettrica Veneta si occupò della realizzazione di un’imponente diga, in grado di fermare e rilasciare a piacimento l’acqua del fiume. Il primo progettista fu l’ingegner Carlo Semenza già nel 1926. Ma tra perizie geologiche, progetti nuovi e sempre più grandi, la diga vide la luce solo dopo la Seconda guerra mondiale: la concessione definitiva per la costruzione di questo gigantesco impianto fu accordata solo nel 1948; è allora che si cominciò a parlare, nell’ambiente, di “Grande Vajont”, un progetto sempre più imponente. Vi basti pensare che i 202 metri di altezza previsti nel progetto iniziale divennero 679 dell’ultimo progetto per la diga. L’anno successivo, era il 1949, cominciarono i controlli geologici per accertare la struttura della valle e la possibilità che potesse ospitare una struttura di quella portata. Contemporaneamente le popolazioni dei due paesini che si sviluppava35


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