EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXVI N. 4 • Aprile 2021
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Battuta di Fassone
Battuta di carne 100% RAZZA PIEMONTESE con leggero condimento di olio extravergine d’oliva, sale e pepe
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4/21 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.
EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985 Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Stampa
Ufficio stampa e Media Partner
Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata Euro Annuario Carne
EURO ANNUARIO CARNE 2021
Eurocarni, 4/21
La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2021 Copia cartacea: € 95,00
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Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Piano di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Toscana sottomisura 3.2
EUROCARNI
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La prima rivista veramente europea
A pagina 52. In questo numero:
La carne nel mondo
Olanda
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Tendenze
Il Biologico resiste alla crisi
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Carne d’autore
Barolo DOCG e vitello tonnato: evviva il Piemonte!
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Immagini
Ha superato i 100.000 iscritti il canale Youtube di Braciamiancora
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La frase del mese
Il valore della zootecnia
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Memento
Addio a Fortunato Tirelli, storico dirigente AIA
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Legislazione
MOCA, l’UE ipotizza nuove regole
Sebastiano Corona
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La carne in rete
Social meat
Elena Benedetti
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La cucina “streamma” su Twitch
Chiara Papotti
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Comunicare la carne
La buona carne di maiale magro non è rossa
Giovanni Ballarini 36
Slalom
No investimenti, no ripresa
Cosimo Sorrentino
Aziende
Giovanni Coppiello, una lunga storia di successo
Interviste
Ruaraidh Petre: l’importanza del bovino per l’ambiente
Mercati
Webinar
Inchieste
38 40
Andrea Bertaglio
42
Focus su Intercarne Italia
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Export Agnello gallese IGP: una buona annata
52
L’export di carne bovina
Roberto Villa
54
Innovazione in agricoltura, le perplessità del consumatore
Anna Mossini
58
Ottonese: un progetto triennale per la salvaguardia della razza
Anna Mossini
62
Ismea: un anno di Covid-19
66
A pagina 40.
EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXV N. 4 • Aprile 2020
€ 5,42
In copertina: agnello, piatto della tradizione pasquale (photo © Vicuschka – stock.adobe.com).
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Eurocarni, 4/21
Il mio ERP. Rende più facile prendere decisioni. Prendere le decisioni giuste – questa è la cosa più importante per ogni azienda. Report dettagliati, dati attuali dalla produzione, DQGDPHQWR degli ordini: il CSB-System vi fornisce esattamente questa trasparenza, semplicemente premendo un tasto. Così anche in tempi incerti potrete prendere decisioni certe.
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Sebastiano Corona
Analisi di settore
2021: ripartenza?
Analisi di mercato
Sempre più green
Consumi
Prospettive del consumo di carni al 2030 nell’Unione Europea
Roberto Villa
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Consumi di alimenti surgelati in lieve crescita nel 2019
Roberto Villa
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Macelleria Etto: protagonista il Bue Rosso del Montiferru
Federica Cornia
95
Teglio, ricco di storia e di bresaola
Riccardo Lagorio
98
Macellerie d’Italia
80 84
Antica Macelleria Bonaccorso
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Zootecnia
Allevamenti italiani Zero Carbon entro i prossimi 10 anni
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Benessere animale
Il benessere dei bovini durante la macellazione
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A pagina 66.
A pagina 95.
A pagina 118. www.eurocarni-online.com 10
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A pagina 136.
A pagina 130.
A pagina 120.
Hazel Evans
Street food
L’incredibile storia dell’hot-dog danese che compie 100 anni
118
Tecnologie
Come scegliere il software di pianificazione della produzione? Meglio una soluzione integrata o la migliore della categoria?
120
Nuova gamma di tritacarne denervatori LIMA per carni macinate di altissima qualità
128
Giovanni Papalato 130
Sono 180 grammi, lascio?
Ramen e Dream Pop
Statistiche
Dati Anas: classificazione carcasse suine 2020
134
Tre libri
Scarti d’Italia – Il toro – I tagli delle carni
136
www.eurocarni-online.com 12
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dellla
Opperaa dei foornittorri di carrne bellga Cosa rende la carne belga un’opera d’arte? È il connubio unico tra la carne fresca e una triade vincente: massimo rendimento, efficienza e flessibilità del servizio. Ecco in cosa eccellono i fornitori di carne belga. Ne vuoi un assaggio?
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LA CARNE NEL MONDO
Olanda L’azienda olandese di tecnologia alimentare MOSA MEAT ha raccolto ulteriori 10 milioni di dollari in finanziamenti per la creazione di carne sintetica, portando così il capitale raccolto finora ad un importo totale pari a $ 85 milioni. Mosa Meat ha introdotto sul mercato quello che sostiene essere stato il primo hamburger di manzo coltivato in laboratorio al mondo nel 2013. Si tratta del terzo round di investimenti in favore del progetto dell’azienda, che ha visto il sostegno di investitori vecchi e nuovi tra cui la multinazionale olandese leader mondiale nel settore della produzione e commercializzazione di mangimi per l’alimentazione animale Nutreco e il CEO di Just Eat JITSE GROEN. «Si tratta di un ulteriore passo in avanti verso il raggiungimento del nostro obiettivo, ovvero sviluppare un modo più pulito e più etico di produrre carne di manzo» ha dichiarato MAARTEN BOSCH, CEO di Mosa Meat. «I nostri partner apportano capacità e competenze strategiche e ci aiutano ad accrescere la sostenibilità del nostro sistema alimentare a livello globale». Mosa Meat ha dichiarato che utilizzerà i finanziamenti per l’espansione dell’impianto di produzione pilota a Maastricht, per lo sviluppo di una linea di produzione a livello industriale e per far crescere il suo team. Il CEO di Nutreco, ROB KOREMANS, ha dichiarato: «Sono lieto che Mosa Meat abbia raggiunto il traguardo della produzione di carne su larga scala. Nutreco investe nella sua missione di “nutrire il futuro” attraverso la produzione di proteine con metodi tradizionali e alternativi» (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © Mosa Meat).
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TENDENZE Il Biologico resiste alla crisi
Secondo dati rielaborati da ISMEA, nel 2020 la spesa di prodotti alimentari biologici nella GDO ha fatto segnare un +4% rispetto all’anno precedente. In un contesto di crescita generalizzata delle vendite alimentari nei canali retail, resta immutata l’incidenza della spesa bio sul carrello degli Italiani, ferma attorno al 3%. Anche nella recente edizione di BioFach, la fiera leader mondiale per gli alimenti biologici svoltasi in versione digitale e che ha visto il coinvolgimento di oltre 1.340 espositori provenienti da 82 Paesi, è emerso il trend di crescita del Biologico in termini di superfici coltivate, numero di produttori e volume di acquisti. Il quadro europeo conferma i trend di sviluppo: secondo i dati presentati dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica FiBL e IFOAM, la Federazione delle associazioni del biologico a livello mondiale, nel 2019 si è infatti registrato un ulteriore incremento dell’8% del mercato, per un valore delle vendite al dettaglio che si è attestato ad oltre 41 miliardi di euro all’interno dell’UE. L’incremento delle superfici coltivate a biologico nel 2019, sempre a livello UE, è stato di 0,8 milioni di ettari, con una crescita del 5,9% sull’anno precedente. L’Italia si conferma al terzo posto per superfici bio nell’Unione, dopo Spagna e Francia. Molto sostenuto nel 2019 anche l’aumento dei produttori biologici, pari al 5% nel perimetro UE, col nostro Paese che conferma il ruolo di leadership continentale con oltre 70.561 produttori. Analogo trend in crescita per importatori e trasformatori, con l’Italia che anche su quest’ultima categoria si posiziona ai vertici della classifica europea con 22.000 operatori. La crescita complessiva del mercato si rispecchia nelle scelte dei consumatori. La spesa pro capite per alimenti biologici è raddoppiata nell’ultimo decennio (fonti: Ismea – Federbio; photo © frescocreative.com.au).
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HAI MAI ASSAGGIATO
L’INSALATA DI CARNE?
Gustala fresca così com’è con un filo d’olio e qualche goccia di limone. Oppure sull’insalata verde, ma anche sulla pizza an o come ingrediente per rendere ancora ri h le tue ricette. più piacevoli e ricche
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CARNE D’AUTORE
Barolo DOCG e vitello tonnato: evviva il Piemonte!
Ecco un abbinamento che celebra la grande enogastronomia piemontese: il vitello tonnato tagliato al coltello dello chef stellato Ugo Alciati di Guidoristorante (www.guidoristorante.it) e un calice di Barolo DOCG 2016 biologico di Casa E. di Mirafiore (www.mirafiore.it). Un vino rosso elegante e di carattere, ideale come accompagnamento a secondi di carne dal sapore ricco come quello realizzato magistralmente da Alciati secondo la filosofia e i sapori del territorio. Il vitello tonnato, molto popolare in Piemonte, fa parte da sempre delle ricette di famiglia dello chef e ha resistito allo scorrere del tempo confermandosi ancora oggi un caposaldo nel menu del locale di Serralunga d’Alba. Ugo Alciati realizza il suo vitello tonnato con estrema precisione e scrupolosità, per un risultato che si presenta alla vista come un perfetto connubio tra gusto ed estetica. La sua ricetta si distingue da quella della tradizione per la cottura della carne (girello di vitello) che non viene bollita, bensì arrostita in forno e tagliata al coltello dopo essere stata ripulita dalla crosta di cottura. La salsa contiene tonno sottolio sgocciolato, maionese e aceto bianco, mentre i capperi essiccati e polverizzati fanno parte della finitura del piatto insieme a foglie di carota, fiori eduli e germogli.
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
Ricetta
Giraudi International Trading S.A.M. Tel: +377 931 042 42 E-mail: giraudi@giraudi.com
Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl
Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com
IMMAGINI
Evviva! Ha superato i 100.000 iscritti il canale Youtube di Braciamiancora, il primo network italiano dedicato alla cucina a fuoco vivo fondato nel 2016 da Michele Ruschioni, che si articola tra blog, YouTube, pagina Facebook e Instagram. Michele racconta la carne attraverso storie di griglie, frollature, razze, tagli di carne, personaggi, ristoratori, butchers ed eventi carnivori. Ed è presente sugli scaffali della GDO con i suoi burger Braciamiancora in skin. Forza della natura e delle carni (photo © youtube.com/c/Braciamiancora_micheleruschioni).
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LA FRASE DEL MESE
“
Gli animali sono indispensabili perché da essi ricaviamo, attraverso carne e latte, le proteine necessarie per la nostra alimentazione, la lana preziosa, e gli animali ricoverati nelle stalle forniscono il letame, indispensabile per fertilizzare le colture. La zootecnia ha una componente sociale imprescindibile e ogni ritardo o assenza di attenzione va evitata perché le conseguenze penalizzano un comparto produttivo prezioso all’umanità
Fortunato Tirelli (1928-2021)
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MEMENTO
Addio a Fortunato Tirelli, storico dirigente AIA Un grande comunicatore, da sempre attento alle potenzialità dell’apporto dei giovani nell’attività di allevamento e anche agli aspetti culturali del mondo allevatoriale
S
i è spento a Roma lo scorso 18 febbraio, all’età di 92 anni, FORTUNATO TIRELLI, storico dirigente dell’Associazione Italiana Allevatori, di cui fu segretario generale dal 1972 al 1986 e, successivamente, direttore generale fino al dicembre 1994. Mantovano, di Suzzara, Tirelli viene dal mondo professionale agricolo, con la COLDIRETTI, nelle file della quale fu tra i protagonisti della nascita e dello sviluppo dei Club “3P”, esperienza innovativa per l’epoca che era rivolta al più largo coinvolgimento dei giovani in agricoltura. L’attenzione al mondo giovanile e a quello della comunicazione sono sempre andati di pari passo nel cammino di Tirelli, che, oltre ad essere giornalista pubblicista — suoi numerosi e incisivi interventi sulla stampa quotidiana e di settore — ha arricchito il suo lavoro con la pubblicazione di diversi volumi tematici, tra i quali uno appunto dedicato all’esperienza “3P” (“Giovani e progresso agricolo”) e a temi zootecnici generali (“La zootecnia italiana negli anni ‘90”). Tra le realizzazioni in ambito AIA, si ricordano ad esempio le consulte intersettoriali latte e carne, quella interprofessionale per la gestione dei fondi comunitari per la pubblicità dei prodotti lattierocaseari, la costituzione di consorzi di valorizzazione delle carni (fu anche presidente del Consorzio Carni Bovine Doc di Mantova), il Piano Ipofecondità, lo stoccaggio delle carni bovine e la formazione dei valutatori, oltreché dei direttori delle Associazioni Allevatori. Eurocarni, 4/21
La continua collaborazione coi Ministeri dell’Agricoltura in primis (per il quale Tirelli si batté fermamente per evitarne l’abrogazione chiesta per referendum) e con quello della Sanità portò alla istituzione degli Uffici tecnici sanitari (UTS). Grande attenzione fu posta in quegli anni ai temi della promozione all’estero della nostra zootecnia e agli studi di settore, questi ultimi attraverso la collaborazione con Università e centri di ricerca. «Con Tirelli se va un pezzo importante della nostra storia» hanno sottolineato il presidente e il direttore generale di AIA ROBERTO NOCENTINI e MAURO DONDA. «Anche a nome degli organi sociali e del Sistema allevatoriale esprimiamo ai familiari tutti i sensi del nostro più vivo cordoglio, ricordando non solo le innegabili capacità professionali di Fortunato Tirelli ma anche le sue grandi doti umane, il rispetto per il lavoro altrui e l’affetto verso i collaboratori. Tirelli è stato un grande comunicatore, ne sono testimonianza i suoi interventi sui media dell’epoca all’interno dei quali, oltre a sottolineare l’importanza della zootecnia per l’economia generale del Paese, non trascurava le potenzialità dell’apporto dei giovani nell’attività di allevamento, intuendone il ruolo multifunzionale e di propensione alle novità. Era anche attento agli aspetti culturali legati al mondo allevatoriale, accogliendo con entusiasmo la valorizzazione a livello nazionale della festività del Santo Patrono, Sant’Antonio Abate» (fonte: AIA, Associazione Italiana Allevatori, www.aia.it).
Anche la Redazione di Eurocarni ricorda con affetto e gratitudine Fortunato Tirelli, che dagli anni ‘80 fino a fine 2016 raccontò con passione e dedizione, attraverso le pagine della rivista, l’evoluzione del mondo agricolo e zootecnico.
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LEGISLAZIONE
MOCA, l’UE ipotizza nuove regole A distanza di anni dalla sua introduzione, la legislazione comunitaria sui materiali a contatto con gli alimenti potrebbe subire delle modifiche. La Commissione europea sta infatti portando avanti sul tema la procedura di valutazione di impatto sulla revisione delle norme di Sebastiano Corona
È
un argomento, quello dei MOCA, fortemente dibattuto, anche alla luce degli infiniti ambiti di intervento a cui si estende. La materia non riguarda infatti tanto o solo coloro che producono e vendono cibo e bevande, ma anche chi produce macchinari, packaging, attrezzatura utilizzata in campo alimentare per la trasformazione, la manipolazione o il confezionamento. Le valutazioni d’impatto della Commissione europea mirano a informare i cittadini e le parti interessate sui piani della Commissione e ottenere un feedback sull’iniziativa prevista. In questo caso, ha lo scopo di fare il punto sulla sua applicazio-
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ne, ipotizzando possibili opzioni per migliorare la sicurezza alimentare e la salute pubblica. Tema, oggi, particolarmente sentito a tutti i livelli. L’esigenza è ancor più evidente se si considera che le disposizioni fondamentali dell’attuale legislazione comunitaria sono state introdotte nel lontano 1976. Nel 2004, il Regolamento (CE) n. 1935 ha poi dato indicazioni di base per tutti i MOCA, ma ora la necessità di intervenire è legata anche alle nuove politiche chiave della Commissione nell’ambito del Green Deal e del Farm to Fork che prevedono l’adozione di misure concrete per migliorare la sicurezza alimentare e la salute pubblica, incoraggiando l’uso di
soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili, utilizzando materiali rispettosi dell’ambiente, riutilizzabili e riciclabili, riducendo inoltre gli sprechi alimentari. D’altro canto la normativa esistente si scontra con una serie di problematiche che richiamano la necessità di rivedere la materia. La prima è relativa all’assenza di norme UE specifiche, per la maggior parte dei settori diversi dalle materie plastiche, e il fatto che a livello nazionale in alcuni Stati Membri esistano per determinati materiali regole disomogenee o addirittura superate, creando una protezione sanitaria disuguale e fonte di oneri e complicazioni inutili per le imprese.
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Photo © ViDi Studio – stock.adobe.com L’assenza di norme specifiche e la coesistenza di leggi diverse nei vari Stati Membri complica, inoltre, il controllo delle importazioni, in particolare di alcuni oggetti da cucina e da tavola, che contribuiscono ad una parte significativa dei prodotti sul mercato comunitario, la cui sicurezza può essere compromessa. L’attuale approccio regolamentare non privilegia in modo coerente le sostanze più pericolose, pertanto non si riscontra nemmeno una logica nell’adozione di un approccio più precauzionale per disciplinare determinati gruppi di sostanze, rispetto ad altre meno nocive.
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Non bastasse, poiché lo scambio di informazioni sulla sicurezza e la conformità nella catena di approvvigionamento è scarso, anche la capacità di garantire conformità è messa a rischio. Ma più di ogni altra ragione, una riforma è opportuna se si considera che l’applicazione delle norme sui MOCA è mediamente scarsa, poiché gli Stati Membri hanno serie difficoltà nel farle applicare. Ci sono pertanto grandi differenze di approccio tra imprese, che però operano tutte nello stesso mercato. Si denuncia da più parti la mancanza di regole chiare per le materie non plastiche e una gravosità ecces-
siva per quelle specifiche, considerate troppo tecniche ed oltremodo gravose per la maggior parte degli Stati Membri, che attualmente non dispone né di risorse né di competenze sufficienti per applicarle, con conseguenze sul piano pratico operativo ma poi a cascata anche in sede giudiziaria, nei casi in cui si generino contenziosi. L’attuale normativa non tiene conto delle specificità delle PMI, né in termini di organizzazione e struttura interna né di dimensioni, delegando talvolta all’imprenditore un compito fuori dalla sua portata. Mentre gli operatori più dimensionati dispongono infatti di competenze e risorse interne
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Il fine ultimo della probabile nuova norma sul tema dei MOCA è un aumento complessivo della sicurezza dei prodotti, che abbia un impatto positivo su tutte le patologie legate ai tumori o alle disfunzioni del sistema endocrino (photo © chandlervid85 – stock.adobe.com). per garantire la conformità, quelli più piccoli non hanno strumenti. Le norme tecniche sono talvolta inapplicabili a certe realtà, in altri casi l’assenza di regole specifiche implica che l’imprenditore non possa disporre di alcuna base per garantire il rispetto della norma con conseguenti limitazioni nella commercializzazione sicura delle proprie produzioni. Quanto sopra detto fa il paio col fatto che, in generale, i controlli sui MOCA non costituiscano una priorità per gli Stati Membri, a loro volta disorientati nella corretta applicazione e conseguentemente nella vigilanza. Le attuali disposizioni, così formulate, non hanno riscontri positivi in termini di miglioramento della situazione complessiva e non incoraggiano lo sviluppo di alternative più sicure e più sostenibili, quindi sono sostanzialmente fallimentari nel loro scopo finale. A nulla è infatti valso sinora il Regolamento in vigore nella lotta contro l’eccesso di imballaggi, le misure di prevenzione dei rifiuti e l’aumento del riutilizzo e del riciclaggio. Gli Stati Membri stanno già introducendo divieti di imballaggi in plastica monouso, in parte in appli-
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cazione della direttiva sulle materie plastiche monouso (2019/904). Tuttavia, l’attuale legislazione sui MOCA offre poche o nessuna base su cui elaborare norme che sostengano e incoraggino alternative sostenibili o assicurino che tali alternative siano valide. Le migliori intenzioni ambientaliste dell’UE si infrangono di fronte alla realtà delle cose, nell’operatività pratica. Il tema è pertanto attualissimo e riguarda diversi aspetti. Il primo è quello economico: non solo si punta a ridurre i costi sanitari a seguito dell’attuazione di standard di protezione della salute umana più elevati, ma la semplificazione che la Commissione europea va cercando con una ipotetica nuova norma comporterà una maggiore capacità delle imprese di piccole e medie dimensioni nel garantire che i propri prodotti siano sicuri quanto quelli realizzati dalla grande industria, migliorando così la competitività e la crescita del tessuto imprenditoriale. Nuove disposizioni porterebbero inoltre ad un’armonizzazione delle norme e, giocoforza, ad un adeguamento nel breve termine, introducendo elementi di regole uguali per tutti coloro che operano
in un mercato comune, risparmiando così risorse ed energie. Dopo un primo impatto iniziale, l’armonizzazione nel mercato comunitario, attraverso le nuove norme specifiche, uguali per tutti, potrebbe portare un risparmio sotto tanti punti di vista e avrà anche dei risvolti positivi per le imprese, poiché potrà generare, anche nel piccolo, una maggiore competitività derivante dagli standard più elevati, che saranno, come spesso accade, un motore per sensibilizzare i Paesi Terzi verso le problematiche ambientali e sulla salute del consumatore. Infine, l’UE punta allo sviluppo e alla crescita di materiali sostenibili anche per favorire l’economia circolare e consolidare le strategie ambientali atossiche e di gestione delle materie plastiche o chimiche. L’obiettivo è altresì quello di ridurre sensibilmente i rifiuti e rafforzare l’uso di materiali, come i polimeri, che possono essere facilmente riciclati e riutilizzati in sicurezza, anche come materiali a contatto con gli alimenti. Il fine ultimo della probabile nuova norma sul tema dei MOCA è infatti un aumento complessivo della sicurezza dei prodotti, che abbia un impatto positivo su tutte le patologie legate ai tumori o alle disfunzioni del sistema endocrino. Al di là dell’aspetto sociale e umano, tra l’altro, la riduzione e la prevenzione potrebbero generare sul lungo termine un riscontro positivo sui servizi sanitari e sul loro peso sui conti pubblici dei singoli Stati, a vantaggio della società nel suo complesso. Non è ancora chiaro quale sarà la strada che l’UE deciderà di percorrere. Potrebbe anche non assumere provvedimento alcuno in merito, sebbene l’esigenza di una riforma sia sentita da più parti. Tuttavia, sarebbe opportuna l’introduzione di un sistema normativo omogeneo, a tutti i livelli, che garantisca pienamente la sicurezza alimentare e la salute pubblica, dando certezze alle imprese e a chi la norma la deve applicare nel concreto. Sebastiano Corona
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LA CARNE IN RETE
Social di Elena
2. La carne fa sangue! 1. Sembrano veri Aufschnitt Berlin (aufschnitt.net) è uno studio di design di oggetti tessili unico nel suo genere che progetta collezioni premium di tagli di carne e salumi. Per arredare casa, ufficio e bottega con fantasia e creatività (photo © instagram.com/aufschnittberlin).
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Uno spettacolare taglio di T-bone di Swami Beef con 220 giorni di frollatura postato su Instagram da @thebutcher_lacarnefasangue, l’account della Macelleria Callegari dal 1961 di Piacenza (macelleriacallegari.it). Una realtà che al punto vendita fisico ha saputo integrare perfettamente il canale on-line, con un sistema a premi (ribs) per i clienti di fiducia, assistenza sulle spedizioni e una comunicazione impeccabile. Bravissimi (photo © instagram.com/thebutcher_lacarnefasangue).
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meat Benedetti
3. Beef Zavod, sempre maestri È una delle mete carnivore più ricercate a Mosca per qualità delle carni, offerta di tagli “dal naso alla coda”, cotture impeccabili e, non ultimo, comunicazione. Beef Zavod (che potete seguire su instagram.com/beefzavod) è sempre un passo avanti anche nella narrazione grafica delle proprie attività attraverso graphic design, scatti rubati in laboratorio e in cucina e un mood personalissimo. Non capiamo una parola di russo ma il messaggio passa forte e chiaro (photo © instagram.com/beefzavod).
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4. Lara Abrati Giornalista enogastronomica e consulente di web marketing e comunicazione digitale, Lara Abrati ha una forte empatia col mondo dell’agroalimentare e con le carni. Noi la seguiamo su instagram.com/laraabrati, nelle sue avventure e trasferte. Le immagini sono sempre interessanti, mai banali e fonte di ispirazione (photo © instagram.com/laraabrati).
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La cucina “streamma” su Twitch di Chiara Papotti
E
ntrare in diretta nella cucina di professionisti, restando comodamente sul divano di casa propria. Da oggi si può. Lo permette Twitch.tv, una piattaforma di livestreaming di proprietà di Amazon.com che sta letteralmente rivoluzionando il mondo dell’intrattenimento. Il funzionamento è molto semplice: chi possiede un canale può trasmettere in diretta senza bisogno di caricare video editati ed interagire sempre in diretta con altri utenti. Non serve un’attrezzatura particolare: sono sufficienti un computer o un cellulare (Twitch è utilizzabile anche sul telefonino), una webcam, un microfono e una
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connessione internet. Gli spettatori diventano una grande platea riunita e possono commentare, interagire e conoscersi. È come darsi appuntamento e godersi l’evento insieme, nonostante la distanza. Un nuovo modo di comunicare che ha catturato l’attenzione di milioni di utenti costretti in casa dalla pandemia. Nato come piattaforma dedicata al mondo del gaming, oggi fa gola a tanti, soprattutto per la crescita esponenziale raggiunta in pochissimo tempo. In Italia (dati dicembre 2020) circa quattro milioni di persone, ogni mese, assistono ad una live su Twitch.
La diretta si offre non solo come mezzo per stare in compagnia, ma anche come strumento di conoscenza. Ogni creator ha la libertà di promuovere contenuti, entro — chiaramente — le linee guida di utilizzo dell piattaforma, i “confini” tracciati da Twitch. Può giocare, cantare, ballare, fare ginnastica, tenere talk show, cineforum oppure rassegne stampa. Alcune volte le dirette durano ore, in alcuni casi addirittura giorni. Appuntamenti fissi e a tema che adottano diverse forme narrative e cercano di catturare il nuovo pubblico andando a scovarlo laddove si trova: davanti allo schermo.
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Sempre più settori si stanno interessando allo streaming. L’obiettivo è infatti creare connessioni con la Generazione Z, i nativi digitali, consumatori del futuro. L’età media degli utenti di Twitch.tv varia secondo il contenuto e copre una fascia che va dai 13 ai 34 anni. Il pubblico cerca i contenuti spontaneamente, non vuole che gli vengano imposti come accade nel classico palinsesto televisivo. Essere in diretta costringe a mostrarsi senza filtri e così il pubblico si avvicina, si appassiona, si fidelizza. Numerosi brand del mondo moda stanno cavalcando questo nuovo trend, da Dior a Gucci, da Louis Vuitton a Porsche. Ad inaugurare quella che si prospetta come una vera rivoluzione, è stato Burberry che ha trasmesso la sfilata Primavera/ Estate 2021 dalla London Fashion Week in diretta digital, raccogliendo in un’ora oltre 42.000 visualizzazioni simultanee. Non solo il lusso, ma anche squadre sportive, personaggi famosi, testate giornalistiche. Perfino il
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NEW YORK TIMES ha da poco aperto un canale Twitch, dedicato alle sue leggendarie parole crociate. Cibi e Bevande È in questo nuovo scenario che sta cercando e prendendo spazio la cucina. Nelle dirette lo spettatore è preso per mano e accompagnato, passo dopo passo, nella realizzazione della ricetta col gusto di svelare realtà e segreti inaccessibili. L’intenzione è smontare tutto ciò che è costruito, senza prendersi troppo sul serio. Così sono raccontate tutte le fasi della preparazione, imprevisti e disagi compresi diventano il “bello della diretta” e creano un’atmosfera informare, apprezzata dal pubblico. Sulla piattaforma Twitch esiste una categoria precisa che raggruppa le dirette a tema food: la categoria “Cibi e Bevande”. La qualificazione della trasmissione che si intende effettuare viene impostata direttamente dall’emittente, così da essere indicizzata per una più agevole ricerca da parte degli utenti.
Per quanto riguarda l’Italia, la categoria “Cibi e Bevande” è un territorio tutto da scoprire, che non ha, a differenza di altri ambiti, ancora trovato i suoi leader. Questo rappresenta una grande opportunità per i professionisti del settore, che vogliono connettersi ad appassionati sempre più a loro agio con le nuove tecnologie. A questo punto non ci resta che da chiederci: chi sarà il primo streamer delle carni? Lo scopriremo solo restando sintonizzati, prestando attenzione alla continua evoluzione di una piattaforma che, nei prossimi anni, farà molto parlare di sé. Chiara Papotti Note A pagina 32, il logo di Twitch. La piattaforma è stata lanciata il 6 giugno 2011 e l’età media degli utenti va dai 13 ai 34 anni. La sua popolarità crescente ha portato anche alcuni esponenti della politica a sfruttarla: uno dei primi è stato il senatore USA BERNIE SANDERS (photo © Rey e Davide Angelini – stock.adobe.com).
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COMUNICARE LA CARNE
La buona carne di maiale magro non è rossa di Giovanni Ballarini
T
roppo spesso si fa ancora confusione sulle carni di maiale, non distinguendo tra quella degli animali pesanti allevati per la salumeria da quella degli animali magri e leggeri allevati per la carne da usare in cucina. Una carne, quest’ultima, di colore sempre più chiaro, non rossa come quella bovina e, soprattutto, magra e con scarse quantità di acidi grassi saturi. Anche per i maiali d’allevamento è preferibile parlare di linee
genetiche piuttosto che di razze; linee frutto di un’attenta selezione che ha riguardato non solo la conformazione esterna, ma anche la distribuzione del grasso sottocutaneo e intramuscolare, con diversi importanti vantaggi sia per i produttori che per i consumatori. Il grasso è ricco di energia (9 Kcal per grammo) e per nutrire maiali che non accumulano grasso l’allevatore deve fornire loro meno alimenti, con un indubbio vantaggio econo-
mico. Allo stesso modo, una carne magra è più adatta per consumatori che hanno una ridotta attività fisica e hanno bisogno di una dieta leggera. Se il grasso intracellulare ha una composizione abbastanza costante, diverso è per quello di copertura sottocutanea e intramuscolare che dipende anche dall’alimentazione. Per questo, un maiale spagnolo alimentato con ghiande avrà un grasso di colore e, soprattutto, una composizione diversa da quello di
Il maiale, gastronomicamente classificato oggi come carne rosa, è un alimento con un ottimo quantitativo di proteine ad alto valore biologico, mentre la presenza di lipidi varia a seconda della linea genetica e della pezzatura; infine, vanta ulteriori proprietà benefiche che lo rendono adatto ad essere inserito in una dieta equilibrata.
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Tabella 1 – Composizione del maiale magro da carne (valori per 100 g di carne cruda) Grassi saturi (g)
Grassi monoinsaturi (g)
Grassi polinsaturi (g)
3,6
1,04
1,22
1,17
22,2
5,2
1,61
2,56
0,78
170
22,6
8,8
2,78
4,32
1,29
235
17,3
18,4
6,91
8,00
2,60
Taglio
Energia (Kcal)
Proteine (g)
Filetto
107
18,6
Lonza
136
Braciola Coppa
Grassi (g)
Fonte: CREA - AN, Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione. un maiale nostrano nutrito con soia e mais, ricchi d’acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi. Carne in giusta quantità Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit (“Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto”) dicevano gli antichi e cioè ogni sostanza o alimento a giusta dose è salutare ma può divenire pericoloso se si eccede nella quantità (di troppa acqua per esempio si può anche morire!). Questo vale anche per la carne e ben diversa è la situazione americana, dove i consumi di carne sono elevati (140 kg annui per persona), da quella degli Italiani che hanno una dieta con dosi di carne moderate, se non in diversi casi insufficienti per una buona nutrizione. Una fettina di carne magra, tre volte la settimana,
è assolutamente consigliabile se non necessaria in un’alimentazione equilibrata: come avviene con la carne di maiale, che ha un buon contenuto di proteine di elevata qualità, vitamine del gruppo B (B1, B2 e B12) e microminerali come zinco, ferro, rame e selenio, presenti in forma organica altamente biodisponibile, facili da assorbire e utilizzare. Anche l’American Institute for Cancer Research, che agli Americani raccomanda di limitare il consumo di carne, nel suo sito riporta ricette salutari che hanno come protagonista la carne fresca di maiale, naturalmente in porzioni moderate e sempre abbinata a verdura e frutta. Una buona cucina Per quanto riguarda i grassi, facendo attenzione al taglio di carne usata (Tabella 1), evidente è la diminuzione della percentuale di grasso e,
soprattutto, la riduzione degli acidi grassi saturi a favore dei polinsaturi come il linoleico, un acido grasso essenziale, perché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarlo e deve assumerlo con la dieta. A quest’ultimo riguardo va aggiunto che la quantità di grasso della carne varia con i metodi di cottura e, se può diminuire con il calore, può anche aumentare se durante la cottura si aggiunge grasso, mentre rimane in sostanza invariata nelle cotture sottovuoto e a bassa temperatura, condizione questa che privilegia l’integrità degli acidi grassi insaturi, facilmente ossidabili in presenza d’ossigeno. La scelta di tagli magri, una cottura delicata, evitando ogni abbrustolimento e quindi i rischi di cancerogenicità, senza aggiunta di grassi, rende assolutamente sicura la carne di maiale magro. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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No investimenti, no ripresa
Photo © Behnam Norouzi x unsplash
di Cosimo Sorrentino
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a nascita del nuovo Governo è stata accompagnata dalla pubblicazione delle previsioni economiche della Commissione europea per i prossimi mesi. Volendo fare una riflessione su tali dati, e sulle preoccupazioni che gli stessi generano, si può affermare che ne deriva la grandezza del compito che il Governo ha di fronte per mettersi al passo dei Paesi nostri partner in Europa. Infatti la nostra economia, dopo la caduta del 8,8% dello scorso anno, si prevede cresca solo del 3,4% nel corso del 2021, per effetto della difficile situazione sanitaria che purtroppo stiamo tutt’ora attraversando. La Commissione europea ritiene quindi che l’Italia non potrà recuperare prima del 2023 il terreno perduto nel 2020, anche se
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dette previsioni non tengono conto degli eventuali effetti positivi — da considerare comunque nel lungo periodo — che potrebbero derivare dalla realizzazione delle opere previste nel quadro del Recovery Fund. Appare chiaro, perciò, che il nuovo Governo debba considerare prioritario l’impiego in modo tempestivo ed effettivo di dette risorse e realizzare quelle riforme necessarie da tutti auspicate. Certamente non è compito facile, poiché il peggioramento della nostra economia negli ultimi tempi è dovuto certamente alla recrudescenza del maledetto virus, sul cui comportamento e sulle cui mutazioni non è possibile fare affidamento per poter enunciare previsioni attendibili. Accertato dunque che il nuovo anno si è aperto
ben più debole del previsto, con l’incertezza di una ripresa, non escludendo i colpi del lockdown prolungati, e l’uscita dalla pandemia che si preannuncia più faticosa con i ritardi sulle vaccinazioni, si può trovare condivisibile come il tema sia al centro anche della Davos Agenda 2021, la riunione virtuale del gotha finanziario che ha tenuto la sessione solo sugli schermi e non sulle consuete nevi svizzere. Lo stesso tema rimbalza in Italia ed in sede BCE, dove viene ritenuto indispensabile «un sostegno delle politiche economiche, sia monetarie, sia fiscali, ed un forte incremento degli investimenti produttivi», e la cui presidente, CHRISTINE LAGARDE, afferma che «la crescita, nel quarto trimestre, per l’Eurozona, è negativa». La stima per il
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primo trimestre di quest’anno, secondo la media degli economisti, si ferma insomma allo 0,6%, la metà di quanto previsto a dicembre. La previsione continua ad essere quella di un “primo tempo” nel 2021, con l’economia sorretta ancora dagli stimoli, dalla corsa ai vaccini e dall’incertezza, e, poi, afferma sempre la presidente della BCE, «se avremo attraversato il guado, le economie potranno riaprire». Il messaggio di speranza di una ripartenza dell’economia enunciato da Christine Lagarde sembra essere stato accolto da MARIO DRAGHI e potrebbe ispirare quel percorso che dovrebbe consentire al nostro Paese di uscire, se pur con gradualità, dalla crisi pandemica, economica e sociale. Pur nella sua complessità, infatti, la strada da compiere appare, almeno per ora, ben segnata, con le prime indicazioni di carattere programmatico sull’utilizzo efficace del Recovery Fund, massicci investimenti capaci di tonificare una crescita verde e sostenibile, oltre a precisare il calendario dettagliato degli stessi investimenti con la quantificazione dei loro effetti economici; sono, inoltre, da riempire di contenuti più precisi i capitoli dedicati ad alcune riforme fondamentali e poi, ad aprile, in coordinamento col Recovery Plan, dovrà essere approntato il DEF (Documento di Economia E Finanza), che dovrà contenere l’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche e i nuovi obiettivi di finanza pubblica. In pratica, anche se in una situazione di forte incertezza, si inizierà a delineare lo scenario della prossima legge di bilancio, da definire poi in autunno. Tra le altre indicazioni programmatiche del nuovo Governo, oltre alla politica che riguarda gli investimenti, punto centrale per una ripresa effettiva, è da sottolineare la lotta al virus, con un’accelerazione sulla somministrazione del vaccino, la ricerca di una maggior coesione sociale, con la riduzione dei divari territoriali, la riforma degli ammortizzatori sociali e la riqualificazione del personale per rispondere alla nuova richiesta di manodopera. Non manca l’indicazione per la realizzazione delle indifferibili riforme, tra le quali si evidenziano quelle della pubblica amministrazione, del fisco e della giustizia, ed una maggiore attenzione ai giovani ed al loro futuro, mediante un sistema educativo più moderno, con un calendario di aperture delle scuole più ampio, maggiori risorse ai docenti ed agli strumenti di didattica in continuo aggiornamento. Ci domandiamo ora se si riuscirà a trovare quel giusto equilibrio tra esigenze diverse, a volta addirittura contrapposte. Il Governo dovrà a breve adottare decisioni delicate che potrebbero provocare resistenze o pressioni in parti della società non sempre allineate agli interessi dell’intero Paese, ma solo “al particolare”, nonostante sia ora l’intero Paese che sta soffrendo le conseguenze pesanti della lotta ad una violenza virale sempre più aggressiva. Cosimo Sorrentino
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AZIENDE
Giovanni Coppiello, una lunga storia di successo Da piccola macelleria a “Store dell’arte gastronomica”: lo scorso settembre è stato inaugurato a Vigonza, Padova, il punto vendita Coppiello Giovanni nella nuova veste: una vera e propria boutique della carne equina
È
una lunga storia quella di Giovanni Coppiello, il quale, con la sua intraprendenza, ha saputo trasformare la sua piccola macelleria equina delle origini in uno vero e proprio “Store dell’arte gastronomica”. Lo scorso settembre, di fatto, è stato inaugurato il punto vendita nella nuova veste, con nuovi
spazi adibiti a locali di lavoro ed un fronte vendita più accogliente e ampio, con un stupendo imponente e luminoso banco vetrina che valorizza l’incredibile offerta di prodotti: dai semplici tagli sempre freschissimi ai pratici lavorati, fino alle golosità della gastronomia. L’impeccabilità dell’ambiente e
del personale nelle sue divise sempre curate infonde alla vista del cliente la percezione di entrare in una vera e propria “boutique” della carne; dove arduo è non lasciarsi tentare. La “Coppiello Giovanni Snc” è una moderna azienda che da quarant’anni miete successi grazie a una
In queste pagine, i locali del punto vendita Coppiello Giovanni rinnovato lo scorso settembre.
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gamma di prodotti sempre più ampia e di alta qualità, in primo piano, lo storico sfilaccio di cavallo. Fatto secondo tradizione, disponibile sia nella versione “classica” più sottile che nella versione selezionata Qualità oro, oltre alle due varianti “con carne di bovino” e “con petto di pollo”, grazie all’attualissimo formato in vaschetta da 100 grammi si propone come una soluzione take away di grande comodità e dalle variatissime applicazioni in cucina. Ottimo da solo condito con olio d’oliva e limone, è perfetto per abbinamenti con formaggi freschi, fusi o alla piastra, con la polenta, la pasta fredda o calda, la pizza… Ma la carne di cavallo — tenera, magrissima, ricca di ferro, priva di colesterolo e OGM free, preferita anche da bambini e atleti per la digeribilità e l’alta percentuale di proteine e la presenza di zuccheri che le conferiscono quel gradevole sapore lievemente dolce —, è alla base di tante altre proposte firmate Coppiello Giovanni. Anzitutto la bresaola, protagonista assoluta di una linea di affettati in vaschetta che comprende anche la julienne di bresaola e il salame nostrano tradizionale. E poi i preparati, ovvero i sughi e i piatti pronti fatti con cura nel rispetto delle antiche ricette, dal saporito ragù sino al gustoso spezzatino. Certificata secondo le norme dell’International Food Standard, tutta la produzione Coppiello Giovanni è gluten free, quindi ideale per celiaci e per chi soffre di intolleranze alimentari.
Coppiello Giovanni Snc Via Barbarigo 26 35010 Perarolo di Vigonza (PD) Telefono: 049 725596 E-mail: info@coppiello.it Web: www.coppiello.it
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INTERVISTE
Ruaraidh Petre: l’importanza del bovino per l’ambiente Ruaraidh Petre è il direttore esecutivo della Global Roundtable for Sustainable Beef (GRSB) dal 2012. Ha un background nel mondo agricolo come produttore di formaggio e di carne bovina. Ha lavorato in diversi Paesi e vanta quindi una conoscenza piuttosto ampia delle produzioni animali in tutto il mondo. Carni Sostenibili ha parlato con lui della GRSB e dei suoi obiettivi di Andrea Bertaglio
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a Global Roundtable for Sustainable Beef (grsbeef.org) è un’iniziativa globale e multistakeholder sviluppata per apportare continui miglioramenti di sostenibilità sulla catena del valore bovino mondiale attraverso il controllo, la scienza e gli obblighi e collaborazioni dei vari stakeholder. GRSB immagina un mondo in cui tutti gli aspetti della catena del valore del bovino siano ecologicamente sicuri, socialmente responsabili ed economicamente attuabili. Ruaraidh Petre è il suo direttore esecutivo. «GRSB è un’associazione composta da sei diverse circoscrizioni. Abbiamo i produttori, i processi e gli input delle industrie della carne bovina, come i finanziatori» spiega. «Abbiamo i rivenditori come le catene di supermercati, catene di ristoranti, società civili ed il mondo accademico delle ONG. Abbiamo iniziative alleate, come ad esempio l’industria della pelle, ma anche delle tavole rotonde nazionali, quindi GRSB è un’organizzazione ombrello a livello globale. Ora abbiamo 24 diversi Paesi che partecipano e molti di questi hanno ottenuto una tavola rotonda nazionale o sono membri di una regionale, come la tavola rotonda europea».
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Perché e come avete iniziato tutto questo? «Abbiamo iniziato con una conferenza nel 2010. A quel tempo, c’era molta preoccupazione sul ruolo della carne bovina sull’ambiente e il suo impatto ambientale negativo, come ad esempio la deforestazione. Così, abbiamo fatto una conferenza a Denver con cinquecento persone provenienti da tutto il mondo. La discussione era incentrata su come rendere più sostenibile l’industria della carne e come combattere i problemi negativi che c’erano. Non solo in America Latina, dove ovviamente c’erano la maggior parte delle questioni in quel momento, ma sapevamo che la cosa sarebbe diventata molto più ampia. Così le parti interessate di tutto il mondo si sono riunite e hanno deciso che avrebbero dovuto avere un gruppo che riunisse i principali attori dell’industria della carne bovina, ma anche la società civile e le ONG che erano state critiche, e che volevano essere parte della soluzione». Quali sono i principi della GRSB? «Abbiamo cinque principi e una serie di criteri: uno comprende le risorse naturali, come terra, suolo, acqua, qualità dell’aria; un altro ri-
guarda persone e comunità, che tratta i diritti delle persone che lavorano nel settore, ma anche i diritti delle popolazioni indigene, i diritti del lavoro e i principi sociali; poi abbiamo la salute e il benessere degli animali, che è un punto chiave per noi. La necessità di mantenere il bestiame e la mandria sempre sani è meglio per il benessere, per il produttore e per l’ambiente, perché così non hai bisogno di tanti bovini, ma quelli che hai sono più produttivi. Perché senza il benessere degli animali c’è un problema anche etico, oltre che in termini di produttività e qualità. Quindi il benessere è sempre più di interesse. Poi abbiamo il cibo, in particolare la sicurezza alimentare, e con la filiera alimentare è necessario parlare di controllo, tracciabilità e condivisione delle informazioni. Abbiamo bisogno di una buona condivisione delle informazioni lungo tutta la filiera, di modo che la gente sappia cosa sta comprando, la sua provenienza e come arriva sulle nostre tavole. Il quinto principio riguarda efficienza ed innovazione, che sono entrambe il motore chiave della sostenibilità: noi non siamo contrari allo sviluppo tecnologico, anche se
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«Se si gestisce bene il pascolo, il pascolo fa bene al suolo e agli ecosistemi», spiega Ruaraidh Petre. «Gli animali da pascolo, bovini e animali selvatici, hanno contribuito a creare “quell’erba” e “quegli ecosistemi”: non potrebbe esistere un ecosistema o una prateria se non ci fossero gli animali» (photo © makieni – stock.adobe.com).
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dei terreni se si aumenta il carbonio anche solo dell’1%. Semplicemente aumentando il carbonio nel terreno, e questo si può fare col pascolo, aumenta anche la sua capacità di assorbire acqua, il che evita le alluvioni quando arrivano le grandi piogge. Pensiamo all’Australia, dove ci sono stati terribili incendi: molti dei suoli australiani sono davvero molto bassi in carbonio. Se la gestione del pascolo fosse stata ottimale, ci sarebbe stata molta più acqua, la vegetazione sarebbe rimasta più verde e, di conseguenza, probabilmente, non sarebbe andata in fiamme». Ruaraidh Petre, Executive Director Global Roundtable for Sustainable Beef (photo © www.carnisostenibili.it). ci sono un sacco di percezioni negative del grande pubblico sull’uso della tecnologia in agricoltura. Noi siamo neutrali e ci basiamo sulla scienza: se esiste una soluzione ad un problema grazie ad una nuova tecnologia che può migliorarci in quello che facciamo siamo disponibili ad usarla». In base alla sua conoscenza, la produzione di carne bovina è davvero la principale fonte di gas a effetto serra nel mondo? «La produzione di carne bovina e il bestiame nel suo complesso, quindi l’intero settore, sono responsabili di emissioni di gas serra relativamente elevate ma forniscono anche un sacco di cibo. Confrontate ad esempio i dati sul trasporto della FAO. Lei li conoscerà bene naturalmente, avendo la FAO ritrattato quelli pubblicati per la prima volta nel rapporto Livestock’s long shadow, abbassandoli. Questo non significa che il bestiame non produca gas a effetto serra, sappiamo che lo fa, ma sappiamo anche che ci sono modi per migliorare il bilancio.
L’altra cosa che non è trattata nell’analisi è che il sistema di pascolo incide moltissimo sul carbonio nel suolo: sistemi di pascolo ben gestiti possono effettivamente aumentare il carbonio nel terreno. La situazione è quindi molto più positiva di quanto si pensa. Basta guardare il metano, che può sembrare un valore molto alto, ma quando si guarda il bilancio complessivo del sistema può effettivamente essere molto più vicino alla neutralità di quanto si possa pensare. Se si gestisce bene il pascolo, il pascolo fa bene al suolo e agli ecosistemi. Gli animali da pascolo, sia i bovini che gli animali selvatici, hanno tutti contribuito a creare quell’erba e quegli ecosistemi: non potrebbe esistere un ecosistema o una prateria se non ci fossero gli animali. Uno dei grandi problemi che ci sono da affrontare è la capacità dei suoli di trattenere l’umidità: assistiamo ad un aumento enorme della capacità di ritenzione idrica
La produzione di carne bovina e il bestiame nel suo complesso sono responsabili di emissioni di gas serra relativamente elevate ma forniscono anche tanto cibo! Interessante il confronto coi dati sul trasporto della FAO, che ha ritrattato quelli pubblicati nel primo Livestock’s long shadow
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Il bestiame è davvero in competizione con l’uomo per il cibo? «Questa è una bella domanda. Perché il bestiame ci fornisce cibo e c’è un ciclo e un riciclo di nutrienti. Noi non possiamo mangiare erba, perché, come tutti i monogastrici, i maiali, i polli, ecc…, non possiamo digerire la cellulosa, che è esattamente ciò che invece i ruminanti sanno fare. La gente spesso crede che si possano semplicemente coltivare i campi e nutrire con quei raccolti direttamente gli esseri umani, ma non funziona così. Nella maggior parte del mondo non è possibile produrre colture commestibili per l’uomo. Quindi, al momento, circa il 65% della terra che usiamo per produrre qualsiasi tipo di cibo è in realtà solo per la produzione di erba, e non è solo perché scegliamo di farlo o perché ci piace la carne, ma perché non è adatta a produrre direttamente colture commestibili per l’uomo. Un’altra cosa è che molte delle nostre colture, in alcuni casi il 30% — e il mais è quella maggiore che esportiamo —, vengono usate per produrre mangimi. Perché non usiamo quelle colture per nutrire gli esseri umani? È possibile infatti deviare i cereali di qualità nel mercato alimentare umano, ma se un anno hai un problema col raccolto perché è stato molto umido, o è successo qualcosa per cui la sua qualità è scarsa, devi essere in grado di usarlo in altri modi, e in questo caso si tende ad indirizzarlo alla nutrizione del bestiame. Bestiame
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Per noi la razza è un’ opera d’arte
Organizziamo produzioni dedicate grazie all’esperienza nell’allevamento delle razze italiane pregiate Agrifap S.r.l. Società Agricola alleva direttamente e organizza filiere per assicurare costanza e continuità di fornitura
Puntiamo sul prodotto italiano con particolare dedizione per le razze:
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Il letame è il concime organico per eccellenza. Viene da sempre utilizzato in agricoltura per le sue proprietà nutritive a vantaggio del terreno e delle coltivazioni (photo © Image’in – stock.adobe.com). che svolge quindi un ruolo importante nel tamponare il mercato e nel riciclare i nutrienti. Naturalmente, esso svolge anche un ruolo enorme nel fornire letame e materia organica che ritorna nel terreno, perché senza materia organica nel terreno non è possibile coltivare con successo e senza di essa hai bisogno di più fertilizzanti chimici. Se si utilizza fertilizzante chimico e non si utilizza alcuna materia organica, il terreno, come dicevo prima, si seccherà e ci saranno sempre più problemi su quel terreno nel far crescere le colture. Se invece si riciclano costantemente i nutrienti attraverso il bestiame ruminante, è possibile mantenere la produttività molto più a lungo. Nel giugno del 2019 sono stato invitato a parlare ad un’iniziativa per l’agricoltura sostenibile, l’Assemblea generale annuale di Chicago, e ho visitato tre produttori di mais e soia: tutti e tre erano tornati ad allevare bestiame. Il solo motivo per cui l’avevano fatto non era far soldi, ma riciclare i nutrienti e migliorare le loro colture. E tutti e tre mi hanno detto che non sarebbero mai tornati
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indietro a non avere il bestiame, perché quest’ultimo li stava ripagando con una quantità enorme di denaro in termini di riciclo delle sostanze nutritive». Normalmente, ogni due anni la GRSB organizza una conferenza globale sulla carne bovina sostenibile. Di cosa si tratta? «Ogni due anni riuniamo tutti i nostri membri e parliamo dei progressi fatti su diversi aspetti della nostra missione. Abbiamo molte diverse tavole rotonde nazionali e nella conferenza globale usiamo una piattaforma per raccontare al mondo i progressi che ognuno sta facendo nel suo Paese. Ovviamente è fantastico potersi confrontare e condividere esperienze da luoghi diversi. Abbiamo iniziato tutti allo stesso tempo e ci muoviamo in posti diversi. Questa è una delle cose che facciamo». Col Covid-19 come procede la GRSB? «Il Covid-19 ha avuto un impatto su di noi come organizzazione e sui nostri membri in tutto il mondo. Abbiamo dovuto adattarci ad un
mondo in cui viaggiare era ed è tuttora molto meno fattibile, quindi abbiamo portato le nostre attività on-line. Questo ha funzionato bene in molti modi. Ci è dispiaciuto molto perdere la co-organizzazione della nostra conferenza del 2020 con la tavola rotonda paraguaiana ad Asunción ma ad aprile terremo una conferenza on-line. Speriamo però di poter tornare a fare conferenze in presenza in un futuro non troppo lontano. Abbiamo sfruttato il 2020 per fare progressi nella definizione degli obiettivi numerici per GRSB, nelle aree di impatto sul clima, conversione del suolo e benessere degli animali, che saranno lanciati nella conferenza di aprile. Abbiamo anche dedicato molto tempo allo sviluppo di una strategia di comunicazione per il futuro, che mirerà a delineare i progressi compiuti in tutto il mondo e sottolineare l’importanza della carne bovina sostenibile in un sistema alimentare fiorente». Andrea Bertaglio Carni Sostenibili Carnisostenibili.it
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Focus su Intercarne Italia EFA News ha intervistato il presidente dell’Organizzazione Interprofessionale Alessandro De Rocco per saperne di più
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NTERCARNE ITALIA è l’unica organizzazione interprofessionale delle carni riconosciuta dal MIPAAF. L’ente ha un comitato accademico, che si è ora arricchito della partecipazione del PROF. GIUSEPPE PULINA, ordinario dell’Università di Sassari e presidente di Carni Sostenibili. Le organizzazioni interprofessionali sono favorite dalla legislazione europea e possono svolgere un ruolo strategico nello sviluppo dell’attività agroindustriali in tutte le filiere, ma sono praticamente sconosciute al grande pubblico. EFA News ha intervistato il
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presidente di Intercarne Italia Alessandro De Rocco, per approfondire natura e attività dell’organizzazione. Di seguito trovate le sue risposte. Dott. De Rocco, Intercarneitalia è l’unica OI delle carni bovine riconosciuta dal MIPAAF: ci può illustrare l’importanza di queste organizzazioni, incoraggiate dall’Unione Europea? «L’Unione Europea, in materia di regolamentazione strutturale dell’agricoltura, ha fornito numerosi strumenti a livello normativo che, purtroppo, molto spesso non vengono utilizzati o rimangono sulla
“carta”. Quello più importante, che coinvolge le filiere produttive, è il Regolamento 1308/2013, che ha aggiornato il riconoscimento delle organizzazioni interprofessionali, se costituite da rappresentanti delle attività economiche connesse alla produzione e ad almeno una delle fasi della catena di approvvigionamento, ovvero, trasformazione o commercio, compresa la distribuzione. I “cugini” francesi sono stati i primi ad utilizzare questo genere di strutture: infatti, già nel 1979 fondarono Interbev, oggi diventata la prima interprofessione europea,
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OI Intercarneitalia è uno dei tre pilastri del Piano Carni Bovine Nazionale redatto dall’AOP Italia Zootecnica. Avrà due ruoli: applicare l’erga omnes per poter disporre di finanziamenti a sostegno di progetti a favore della zootecnia e far dialogare l’intera filiera. E poi, la missione più importante, in fase di costruzione: far riconoscere col marchio ombrello “Consorzio Sigillo Italiano” la carne prodotta dagli allevatori e comunicarla ai consumatori
con un bilancio di oltre 40 milioni di euro, interamente versati dagli associati con le regole dell’erga omnes (prelievo alla fonte di quote stabilite), utilizzati per promuovere il loro sistema di allevamento (4,3 milioni di vacche nutrici) in tutto il mondo. Questo dato, da solo, fa capire la “potenza di fuoco” che una interprofessione può dare ad un settore, se poi i denari vengono spesi bene! In Italia ci stiamo arrivando, molto lentamente, ma con una strutturazione unica a livello europeo, grazie alla collaborazione instaurata con i tecnici del Ministero dell’Agricoltura, che ha portato alla nascita dell’OI Intercarneitalia nel 2017. L’organizzazione ha ottenuto il riconoscimento ministeriale il 12 dicembre 2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2020». Qual è questa strutturazione che rende unica l’OI Intercarneitalia in Europa? «Sono i tre i livelli dell’organizzazione. Il primo distingue tre tipologie di prodotto in Vitello a carne bianca, Vitellone/Bovino adulto, Vacche a fine carriera, per far partecipare attivamente gli allevatori di tre sistemi diversi di allevamento, alle scelte progettuali da cantierare. Il secondo livello consiste nella costituzione di tre Comitati di Prodotto distinti e autonomi, ovvero produzione, trasformazione, distribuzione. In modo democratico e obbligatoriamente con l’intesa di tutti i comitati viene deciso quali progetti finanziare con le risorse finanziarie di cui potremo disporre una volta ottenuto l’erga omnes. Il terzo livello, l’istituzione del Collegio di Vigilanza delle Organizzazioni
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Sindacali ed i Comitati consultivi degli Accademici e dei Consumatori. Parliamoci chiaro, la gestione dei progetti dell’interprofessione va fatta dalle rappresentanze economiche (Organizzazioni Produttori, Associazioni Produttori, Consorzi di Produttori), mentre alle organizzazioni sindacali spetta il compito di vigilanza, soprattutto sulle delibere più importanti, legate a regole stringenti (erga omnes), per la loro valutazione». Chi fa parte del Collegio di Vigilanza? «Ad oggi ha dato l’adesione unicamente la COLDIRETTI nazionale, poiché le altre centrali sindacali sono impegnate a fare la “guerra” a questa neonata OI Intercarneitalia». Scusi, chi e perché vi ostacola? «La vicenda ha dell’incredibile. Ottenuto il riconoscimento ai primi di gennaio del 2020, dopo neanche 20 giorni è arrivato dal TAR del Lazio l’avviso di un ricorso dell’associazione OICB contro il MIPAAF e OI Intercarneitalia, che chiedeva l’annullamento di tale riconoscimento. Ricorso fatto da UNICEB, CONFAGRICOLTURA, CIA, COPAGRI, ASSOGRASSI e ASSALZOO, una compagine che vede addirittura coinvolte due associazioni trasversali al mondo allevatoriale e della macellazione, ASSALZOO e ASSOGRASSI, che nulla centrano coi dettami del Regolamento 1308/2013 e della Legge nazionale 91/2015 di riconoscimento delle OI. Il tutto con lo sconcerto degli allevatori di bovini da carne italiani, visto che sin dalla nascita OI Intercarneitalia aveva aperto a tutti la possibilità di partecipare».
Avete costituito anche il Comitato Consultivo degli Accademici che annovera tra gli altri anche il presidente di Carni Sostenibili, il prof. Giuseppe Pulina. Ci spieghi il ruolo di questo Comitato. «I membri del Comitato saranno coinvolti nei progetti che l’interprofessione metterà in campo per rilanciare la zootecnia bovina da carne. Ognuno potrà esprimere pareri e suggerire progetti che, se condivisi dagli organi, saranno cantierati per promuovere e valorizzare il sistema di allevamento italiano e la carne bovina. Ad oggi, oltre al prof. Pulina, fanno parte del Comitato: il prof. BARTOLOMEO BIOLATTI (Università Milano), il prof. VASCO BOATTO (Università di Padova), la dott.ssa SUSANNA BRAMANTE (Nutrizionista), il prof. ALBERTO BRUGIAPAGLIA (Università di Torino), il prof. GIORGIO CALABRESE (Medico Nutrizionista), il prof. LUCA MARIA CHIESA (Università di Milano), il prof. VINCENZO CHIOFALO (Università di Messina), il prof. GIULIO COZZI (Università di Perugia), il prof. ANGELO FRASCARELLI (Università di Perugia), il prof. CORRADO GIACOMINI (Università di Pisa), la prof.ssa FLAVIANA GOTTARDO (Università di Padova), il dott. KEES DE ROEST (Ricercatore Crpa), il dott. ROBERTO LAI (Università di Sassari), il dott. GIACOMO PIRLO (ricercatore Cra), il prof. ANTONIO SCALA (Università di Sassari), la dott. ssa ELIANA SCHIAVON (IZS), il prof. CARLO ANGELO SGOIFO ROSSI (Università di Milano), il prof. SAMUELE TRESTINI (Università di Padova) e il prof. FULVIO URSINI (Università di Padova)». In sintesi, qual è la missione di Intercarneitalia e quale contributo può portare allo sviluppo del settore bovino in Italia? «OI Intercarneitalia è uno dei tre pilastri del Piano Carni Bovine Nazionale, redatto dall’AOP Italia Zootecnica (Associazione di Organizzazioni Produttori riconosciuta dal MIPAAF) ed avrà due ruoli: applicare l’erga omnes per poter disporre di finanziamenti a sostegno di progetti a favore della zootecnia, che saranno di volta in volta deliberati dagli organi, e far
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dialogare l’intera filiera. E poi, la missione più importante, in fase di costruzione, è di far riconoscere con il marchio ombrello “Consorzio Sigillo Italiano” la carne prodotta dagli allevatori e comunicarla ai consumatori che così potranno districarsi tra etichette anonime che pongono sullo stesso piano le nostre produzioni con quelle estere che rappresentano il 48% della carne in commercio in Italia». Un’ultima cosa: l’allevamento oggi è al centro di svariati attacchi, soprattutto per i presunti impatti ambientali. Cosa rispondete? «Appunto, l’OI ha come obiettivo primario comunicare di più le importanti valenze del nostro settore divulgando in maniera forte e determinate i dati che dimostrano l’esatto contrario di ricerche finanziate da multinazionali, che hanno l’obiettivo di spostare l’attenzione del legislatore contro il nostro comparto. In sostanza, dobbiamo sostenere e rafforzare l’azione di Carni Sostenibili e concordare con le altre Interprofessioni europee progetti di ricerca importanti come quello in corso “Life Beef Carbon”. Dai dati in nostro possesso gli allevamenti pesano solo il 5,2% in tema di emissioni di gas-serra per produrre cibo per gli umani. Dico agli ambientalisti: vogliamo parlare del restante 94,8%?». Fonte: EFA News European Food Agency
OI Intercarneitalia Via I Maggio 7 35020 Legnaro (PD) Telefono: 049 8830675 Web: intercarneitalia.it
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MERCATI
Export Agnello gallese IGP: una buona annata
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econdo gli ultimi dati diffusi da Hybu Cig Cymru – Meat Promotion Wales (HCC), ente promotore delle carni ovine e bovine gallesi, il 2020 è stato un anno di successo per l’agnello d’Oltremanica in Italia. 5.338 sono state infatti le tonnellate di carne ovina esportate nel Belpaese, per un valore di £ 29.639.000. Sul totale delle esportazioni britanniche, il Galles gioca un ruolo importante con più di 1/3 della produzione ovina e una presenza massiccia sui mercati internazionale
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del brand Welsh lamb IGP. Le esportazioni di Welsh lamb verso l’Italia sono aumentate del 27,71% in volume e del 17,94% in valore rispetto all’anno precedente. «I consumatori acquistano sempre più cibi di cui si fidano, dalla filiera garantita, prodotti con alti standard qualitativi e sempre più sostenibili. Questo è ciò che può offrire la carne gallese: ecco perché lo scorso anno, nonostante le turbolenze causate dal Covid-19, abbiamo assistito ad un aumento delle vendite sia sul mercato interno sia sui mercati internazionali,
nei quali i nostri clienti europei ci hanno rinnovato la loro fiducia», ha affermato DEANNA JONES, Export Market Development Executive HCC. Un picco di esportazioni si è registrato nella tarda primaverainizio dell’estate, quando il primo lockdown era stato allentato. Un andamento positivo che è proseguito, su livelli più ragionevoli, fino a dicembre dello scorso anno quando i volumi sono diminuiti dell’11,74%; un calo dovuto ad un prezzo relativamente alto e alla situazione di incertezza legata ai negoziati sulla
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HCC – Hibu Cig Cymru è l’ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles. Tra i compiti di HCC vi sono: la promozione di tutti i prodotti di carne provenienti dal Galles, l’evidenziazione delle caratteristiche che differenziano i prodotti di carne gallese, la collaborazione con le aziende agricole per diffondere la qualità, ridurre i costi e migliorare la salute degli animali, la collaborazione con tutta la catena di fornitori per migliorare l’efficienza e sviluppare la garanzia di qualità, l’attività per la diffusione e il miglioramento della comunicazione della qualità di questo settore. HCC rappresenta per vasta parte l’industria agricola del Galles e trae esperienza dai diversi componenti dei suo Board of Directors e dalle aziende a cui essi appartengono.
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Brexit che non promettevano bene. «Nonostante il 2020 sia stato un anno dominato da molti timori, l’andamento dell’export di Welsh lamb è stato molto positivo» conferma JEFF MARTIN, responsabile HCC del mercato italiano. «L’aumento generale è stato il risultato di una maggiore presenza nella GDO, comparto che ha retto meglio l’impatto della pandemia di Covid-19, e di un rafforzamento della presenza nelle macellerie, soprattutto durante il lockdown della primavera dove molti Italiani hanno riscoperto i negozi di vicinato».
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Dall’altra parte, il settore della ristorazione ha avuto un anno molto irregolare, con le esportazioni di Agnello gallese IGP che si sono attestate all’incirca al 35% dei livelli pre-Covid. «Nonostante la situazione difficile che stiamo vivendo sia a livello sanitario che commerciale, le carni ovine gallesi continuano a mantenere la quota di mercato», conclude Martin. «Ciò significa che il Welsh lamb IGP è definitivamente entrato nella spesa degli Italiani». Il consumatore italiano, di fatto, è molto attento alla qualità: a fronte
di un consumo ridotto (si cerca di mangiare un po’ meno carne ma più buona) predilige la provenienza garantita, gli allevamenti estensivi, la sicurezza della filiera e la qualità organolettica, tutte caratteristiche che l’Agnello gallese IGP offre da sempre. Il Galles è uno dei più grandi produttori di carne di agnello d’Europa, un censimento del 2016 conta quasi 10 milioni di ovini. In tutto il Galles, un territorio di circa 20.000 km quadrati, ci sono circa 14.000 allevamenti, con una media di 700 capi ovini a fattoria.
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L’export di carne bovina di Roberto Villa
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l prezzo delle carni bovine nel terzo trimestre del 2020 è salito grazie ad un incremento nei principali Paesi esportatori, ad eccezione degli Stati Uniti, nei quali si è registrata una flessione. In Cina nei primi otto mesi del 2020 i prezzi delle carni bovine al dettaglio sono aumentati di più rispetto ai prezzi all’ingrosso, segno che la domanda da parte dei consumatori finali sta fortemente salendo: in precedenza il consumo di carne bovina in Cina era prevalentemente legato al consumo fuori casa, ora si sta facendo strada il consumo domestico, che promette di dispiegare un mercato molto vasto sinora latente. Paesi come Stati Uniti, Nuova Zelanda (che esporta il 40% delle carni bovine verso la Repubblica Popolare), Australia e Brasile sono pronti ad affilare le armi per cogliere le opportunità del grande mercato asiatico. La situazione in Sud America L’Argentina ha esportato 918.000 tonnellate di carni bovine nei dodici mesi tra ottobre 2019 e settembre 2020, per un controvalore appena superiore ai 3 miliardi di dollari
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USA. Il picco di esportazioni mensili è stato raggiunto nel novembre 2019, con quasi 96.000 tonnellate, superiore di ben 13.000 tonnellate rispetto al precedente record registrato nel novembre del 2005. Le quotazioni medie rilevate a settembre 2020 delle carni disossate refrigerate sono state di 7.350 dollari USA per tonnellata, mentre per le carni disossate congelate (media di 23 tagli) si è fermato appena al di sotto dei 3.850 dollari. Principali mercati per le carni argentine nei primi nove mesi del 2020 secondo l’Instituto de Promoción de la Carne Vacuna Argentina (IPCVA) sono stati la Cina, con 320.900 tonnellate, il Cile, con 23.000, Israele, con 21.600, gli Stati Uniti, con 19.200, la Germania, con 16.900, la Russia, con 12.500; l’Italia ha importato dall’Argentina 3.800 tonnellate, in calo del 32% sullo stesso periodo del 2019. In termini di valore per quanto riguarda l’export complessivo di carni (refrigerate, congelate, trasformate), la Cina è il primo Paese col 61%, seguita a grande distanza dalla Germania, con l’8%, da Israele, col 7,5%, dal Cile, con il 6,5%, e
dagli Stati Uniti con il 4,5%. Nel solo mese di settembre 2020 sono state spedite in Cina 42.200 tonnellate, pari al 72% dei volumi esportati, ad indicare la forza di attrazione del grande Paese asiatico. L’IPCVA ha partecipato in novembre 2019 per la terza volta all’edizione della fiera CIIE (China International Import Export) in Shanghai, che ha visto 3.800 espositori con 67 padiglioni nazionali, raccogliendo interesse e siglando contratti per prezzi superiori alla media realizzata nell’anno trascorso: 4.500 dollari contro i citati 3.850 dei dodici mesi precedenti. A giudizio del capo delegazione SEBASTIÁN BENDAYÁN, le numerose visite e contatti intrapresi sono motivo di soddisfazione per gli sforzi compiuti nell’organizzazione dell’evento. Come in parte accaduto per l’Argentina, anche in Brasile la svalutazione della moneta locale ha favorito le esportazioni, tanto che per la carne bovina le stime dell’USDA statunitense prospettano un anno record con oltre 2,5 milioni di tonnellate (intese come Carcass Weight Equivalent, cwe), pari al 24% del volume commerciale
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In Cina, nei primi otto mesi del 2020, i prezzi delle carni bovine al dettaglio sono aumentati di più rispetto all’ingrosso, segno che la domanda da parte dei consumatori finali sta fortemente salendo. Si sta infatti facendo strada in maniera preponderante il consumo domestico rispetto al fuoricasa; consumo che promette di dispiegare un mercato molto vasto sinora latente. (photo © Brent Hofacker). globale, con un ulteriore ascesa nel 2021 fino a toccare i 2,7 milioni di tonnellate (cwe). Le macellazioni nei primi otto mesi del 2020 sono state inferiori del 10% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, mentre le spedizioni oltre confine hanno avuto un incremento del 16% per un volume di 1,1 milioni di tonnellate. La Cina ha visto importazioni dal Brasile per 530.000 tonnellate tra gennaio ed agosto 2020 pari al +145% sugli stessi mesi del 2019, tanto da rappresentare da sola il 48% di tutti gli invii. Altri mercati che hanno significativamente aumentato le importazioni sono stati Arabia Saudita, Filippine e Singapore. Gli Stati Uniti sono tornati ad essere un mercato di destinazione nel 2019, dopo che il mancato soddisfacimento degli standard di sicurezza sanitaria aveva messo in mora il Brasile per circa due anni, con livelli di export pari a 10.000 t nei primi otto mesi del 2020, principalmente costituiti da carni lavorate.
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La produzione brasiliana per il 2021 è data oltre i 10 milioni di tonnellate, in aumento del 4% sul valore atteso per il 2020; le condizioni economiche sono favorevoli, coi prezzi delle materie prime interne attualmente stabili. Il governo sta finanziando con importi pari a 1,1 miliardi di dollari USA vari progetti per il miglioramento della produttività, che spaziano dai miglioramenti dei pascoli all’ibridazione con materiali genetici importati, alla diffusione delle tecnologie riproduttive più avanzate. La produzione di carne bovina brasiliana è ancora prevalentemente al pascolo, mentre solo il 10% avviene in allevamenti intensivi; tuttavia, è previsto che nei prossimi cinque anni tale percentuale salga in maniera sostanziale, fino a raddoppiare. In Brasile si è assistito negli ultimi anni ad un crescente utilizzo di un incrocio tra la razza locale Nelore e la Black Angus di origine argentina o statunitense, che ha permesso di combinare la resistenza al caldo e la
rusticità del bovino autoctono con l’efficienza e la qualità della carne Angus; l’importazione di seme Angus dagli Stati Uniti è aumentata del 35% nei primi sei mesi del 2020 rispetto al primo semestre del 2019. I produttori lamentano, tuttavia, che la carne di migliore qualità ottenuta dall’incrocio, soprattutto in termini di tenerezza e marezzatura, non gode di un sovrapprezzo adeguato; la ricerca di mercati esteri capaci di valorizzare queste qualità potrebbe dare un ristoro all’altezza delle aspettative. Pure per l’Uruguay la Cina rappresenta un importante sbocco commerciale, tanto che al CIIE di Shanghai il Paese aveva un proprio stand a cura dell’Instituto Nacional de Carnes (INAC), istituto che si accinge ad aprire un ufficio stabile a Pechino. Nei primi dieci mesi del 2019 le esportazioni sono state pari a 400.000 tonnellate per un controvalore di 1,8 miliardi di dollari; la Cina è stata la prima destinazione con oltre 261.000 tonnellate, seguita da Stati Uniti (57.000) ed Unione Europea (36.000); nel corrispondente periodo del 2020, tuttavia, la Cina ha subito un decremento significativo (172.000 tonnellate), che non è stato compensato da altri paesi, cosicché le esportazioni complessive si sono fermate a 330.000 tonnellate, per un valore di 1,25 miliardi di dollari. Nell’ambito dell’Unione Europea l’Italia rappresenta la destinazione principale per le carni congelate (5.600 tonnellate) e la seconda per i prodotti a base di carne bovina (4.866) dopo i Paesi Bassi (12.421); le carni refrigerate hanno come prima destinazione comunitaria i Paesi Bassi (14.091 tonnellate) e la Germania (4.223). Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda Gli Stati Uniti hanno esportato nel 2019 1,32 milioni di tonnellate, per un controvalore di 8,1 miliardi di dollari; tuttavia, prevedono un calo delle esportazioni di carni bovine per la fine del 2020, con un –7,6% già registrato nel primo semestre. Nei mesi di maggio e giugno si è
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infatti verificato un tonfo del 33% rispetto agli stessi mesi del 2019. Il Giappone, primo mercato di destinazione (311.000 tonnellate nel 2019), ha visto un leggero incremento (+5,6%) nel primo semestre rispetto all’analogo semestre dell’anno precedente, nonostante cali oltre il 20% anno su anno in maggio e giugno; la Corea del Sud, secondo mercato di destinazione (256.000 tonnellate nel 2019), ha perso il 7,4% in volume con cali a doppia cifra nei mesi di aprile, maggio e giugno; il Messico (236.000 tonnellate nel 2019) ha avuto un tracollo nelle importazioni dagli USA (–37% nel primo semestre) tanto da farlo precipitare al quarto posto come destinatario. Il 2019 è stato comunque il secondo per volumi nel decennio 2010-2019, dopo l’eccezionale 2018 che ha fatto registrare un picco di 1,35 milioni di tonnellate, per un valore di 8,36 miliardi di dollari. Le previsioni per gli Stati Uniti nel 2021 sono quelle di approfittare
delle difficoltà di fornitura australiane e di tornare a crescere nei Paesi dove la domanda è fortemente legata ai flussi turistici, rafforzando al contempo la penetrazione in Cina dove, nel periodo gennaiosettembre 2020, le quantità sono aumentate del 160% con un +136% in valore. Secondo i dati della Meat & Livestock Australia, nei dodici mesi tra ottobre 2019 e settembre 2020 il Paese dei canguri ha spedito 1,1 milioni di tonnellate di carni bovine, di cui 300.000 refrigerate e 800.000 congelate, con destinazione Giappone (266.000), Cina (237.000), Stati Uniti (229.000), Corea del Sud (155.000), Indonesia (49.000), Taiwan (25.000), Filippine (22.000), Canada (13.800), Arabia Saudita (10.300), Malesia (9.400), Unione Europea (9.200), in flessione media del 9% sul corrispondente periodo precedente con tutti i principali mercati in diminuzione, mentre hanno aumentato le importazioni solo alcune destinazioni minori
(Singapore, Emirati Arabi, Tailandia, Hong Kong); l’Unione Europea ha ridotto del 44% le importazioni di carni congelate (per un volume 2019-2020 di 427 tonnellate) e del 37% quelle refrigerate (che nell’anno osservato hanno raggiunto 8.750 tonnellate). Pur in flessione, il 2020 si preannuncia come uno dei primi tre anni con le maggiori esportazioni nell’ultimo quindicennio. La Nuova Zelanda ha totalizzato esportazioni per circa 440.000 tonnellate nell’anno che va da ottobre 2019 a settembre 2020, con destinazioni principali Cina (168.000), Stati Uniti (160.000), Giappone (24.000), Taiwan (20.000), Canada (18.000), Corea del Sud (16.000); rispetto all’analogo periodo 20182019 i volumi sono rimasti sostanzialmente stabili, la Cina è calata (era a 180.000 tonnellate) mentre gli Stati Uniti hanno aumentato le importazioni (partivano da 135.000 tonnellate). Roberto Villa
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Innovazione in agricoltura, le perplessità del consumatore All’ultima edizione del Forum Agrifood di Nomisma, tenutosi di recente in forma digitale, è stata presentata un’interessante indagine sulla percezione che chi acquista ha nei confronti dei prodotti agroalimentari ottenuti da aziende tecnologicamente avanzate. Non sono mancate le sorprese di Anna Mossini
Oggi viene chiesto alle imprese agricole italiane di vincere una doppia sfida fatta di competitività e sostenibilità. L’innovazione è certamente la risposta per vincerla, ma non è così scontato applicarla. Per Denis Pantini, Nomisma, ad esempio, «se è ormai assodato che l’innovazione rappresenta un elemento sempre più importante all’interno delle aziende agricole non è detto che la sua diffusione sia poi così scontata, soprattutto laddove la convinzione che ciò che è vecchio è buono e ciò che è nuovo no è ben radicata» (photo © Erwan Hesry x unsplash).
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ual è l’interesse del mondo agricolo verso l’innovazione tecnologica? E, soprattutto, qual è la percezione del consumatore rispetto alle produzioni che ne derivano inserite nell’ampio contesto della sostenibilità? Di questo si è occupato il quinto Forum Agrifood Monitor organizzato da NOMISMA in collaborazione con CRIF – Together to the next level, svoltosi di recente in modalità digitale nel rispetto delle disposizioni previste contro la pandemia. L’evento ha messo in evidenza diversi aspetti interessanti e anche qualche sorpresa. Ad iniziare proprio dall’approccio del consumatore, oggi descritto come sempre più attento all’etica delle produzioni alimentari e alla tutela ambientale, che dai risultati scaturiti da un’indagine condotta da NOMISMA sembrerebbe meno propenso ad acquistare prodotti frutto di sistemi innovativi rispetto a quelli che potremmo definire più tradizionali. Ma andiamo con ordine, perché, secondo l’introduzione di DENIS PANTINI, responsabile agroalimentare di NOMISMA, «se è ormai assodato che l’innovazione rappresenta un elemento sempre più importante all’interno delle aziende agricole — ha sottolineato — non è detto che la sua diffusione sia poi così scontata, soprattutto laddove la convinzione che ciò che è vecchio è buono e ciò che è nuovo no è ben radicata». Sfide imminenti Covid, cambiamenti climatici, sostenibilità. Ma anche formazione. Sono queste le grandi sfide sul tavolo che impegnano e impegneranno anche in futuro il mondo agrozootecnico. Soprattutto se pensiamo che da qui al 2050 la popolazione mondiale aumenterà in maniera molto esponenziale, passando dagli attuali 7,7 miliardi a 9,7 miliardi di persone, dalle quali arriverà una maggiore richiesta di cibo rispetto a oggi «che — come ha ricordato Denis Pantini — sarà accelerata anche dalla crescita dei redditi in diverse aree del pianeta. Per numerosi Paesi gli incrementi sono tutti previsti a
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zione e la diffusione dell’agricoltura di precisione e andranno ridotti gli sprechi alimentari e gli imballaggi non ecologici/riciclabili».
due cifre: i dati parlano di un +54% in Cina, +49% in Polonia, +45% in India, +25% in Giappone e +21% in USA. Più cibo quindi, ma con minore disponibilità di superfici agricole e acqua. Ed è qui che entrano in gioco gli obiettivi della strategia Farm to Fork e della tutela della biodiversità. «Si tratta di obiettivi ambiziosi — ha sottolineato Pantini — la cui realizzazione necessita di un grande supporto. Nel dettaglio, entro il 2030 l’utilizzo di agrofarmaci chimici dovrà ridursi del 50%, quello dei fertilizzanti del 20% e le vendite di antimicrobici per animali d’allevamento del 50%.
Non solo. Entro il 2030 le superfici coltivate a biologico dovranno aumentare e arrivare al 25% dell’intera superficie agricola della UE; agli animali dovrà essere garantito un livello più elevato di benessere attraverso la revisione della normativa, valutando la possibilità di introdurre un’etichettatura collegata per una migliore trasmissione del valore lungo la filiera alimentare; dovrà essere garantita la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare riducendo la dipendenza estera da materie prime per mangimi promuovendo modelli di alimentazione sani; dovranno essere garantiti redditi equi e sostenibili ai produttori agricoli favorendo la digitalizza-
Obiettivi ambiziosi e sostenibili Se non è una scalata sul tetto del mondo poco ci manca. «Ma è un’impresa che non si può realizzare senza l’innovazione». È stato l’incipit di PAOLO DE CASTRO, presidente del Comitato scientifico di NOMISMA. «Il Farm to Fork è una sfida europea — ha scandito il parlamentare europeo — che non può realizzarsi senza l’innovazione, perché non è possibile chiedere al comparto agricolo grandi cambiamenti senza fornire gli strumenti adeguati per ottenerli: tutti gli obiettivi fissati rimarrebbero solo una lista di buone intenzioni. Quindi l’innovazione diventa un tema cruciale, all’interno del quale il nostro Paese ha diverse e importanti carte da giocare sfruttando anche le risorse messe a disposizione dai PSR 2021-2022 (Piani di sviluppo rurale, NdR) che ammontano a quasi 4 miliardi di euro e che in base a quanto previsto dalla Commissione, per il 50% dovranno essere spesi per investimenti in grado di rendere le aziende agricole più sostenibili e sicure: in una parola, ancora, innovazione». Ma torniamo all’indagine condotta da NOMISMA nel novembre dello scorso anno su un campione rappresentativo di 1.000 persone
La pandemia non ha fermato l’export Nonostante la pandemia, il comparto agroalimentare italiano, nel 2020, ha tenuto. Lo dicono i dati presentati durante il quinto Agrifood Forum di NOMISMA. Le vendite dei prodotti alimentari al dettaglio, rispetto al 2019, sono aumentate del 3,7% mentre l’export ha registrato da gennaio a novembre 2020 un incremento del +1,3%, a fronte di un –3,7 della Francia e di un –1,2% della Germania. Dati che, situazione pandemica alla mano, non possono che confortare ma che mettono sull’altro piatto della bilancia un aspetto meno soddisfacente. L’Italia è un Paese non autosufficiente dal punto di vista agricolo, tant’è vero che nel decennio 2009-2019 la quota di prodotti agricoli importati ha conosciuto un aumento del 55%, raggiungendo una quota in valore di circa 15 miliardi di euro. Nel settore zootecnico solamente il comparto avicolo registra l’autosufficienza produttiva, che a quota 108% può soddisfare tutta la richiesta interna, mentre sul fronte della carne bovina l’autoapprovvigionamento non supera il 51%, la carne suina e i salumi il 63% e il lattiero-caseario il 79%. Chiediamo a DENIS PANTINI: esistono previsioni di incrementi produttivi per arrivare nel medio periodo alla autosufficienza? «Direi di no, alla luce delle condizioni dei singoli mercati penso che ci sia piuttosto un trend verso la riduzione delle produzioni di alcuni comparti e, di conseguenza, visto che invece l’export cresce e il consumo è stabile, si allarghi il deficit, forse ad eccezione del settore lattiero-caseario che comunque non raggiungerà in tempi rapidi l’autosufficienza». A.Mo.
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di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Nel panel, il livello di istruzione era così suddiviso: il 20% degli intervistati era in possesso di un diploma di scuola media inferiore, il 53% di un diploma di scuola media superiore e il 27% di una laurea. «L’obiettivo della nostra indagine — ha spiegato Pantini — era quello di comprendere l’interesse e la percezione dei consumatori nei confronti dell’innovazione in agricoltura insieme all’approccio verso i prodotti agroalimentari derivanti da tecniche innovative. I risultati scaturiti sono stati piuttosto interessanti e se il 79% ha dichiarato che l’innovazione è essenziale per promuovere la crescita economica di un Paese, il 23% ha invece affermato che comprare un prodotto innovativo è un rischio per il consumatore. A queste percentuali si unisce il 46% di chi, davanti a un prodotto o un servizio innovativo lanciato sul mercato, preferisce continuare ad acquistarne uno tradizionale, mentre il 54% proverebbe subito il prodotto innovativo. Relativamente all’impatto delle innovazioni sulla società e sulla qualità della vita, il 91% degli intervistati ha dichiarato che il settore più importante per il futuro dell’umanità è quello sanitario, mentre all’agricoltura è andata la preferenza del 77%». Interessante la risposta che gli intervistati hanno fornito al significato
della parola “agricoltura”. «Quella maggiormente pronunciata — ha spiegato ancora Pantini — è stata cibo. Eppure, quando abbiamo chiesto se, potendo scegliere, il nostro interlocutore preferirebbe che i prodotti alimentari acquistati provenissero da aziende tecnologicamente avanzate o tradizionali, quindi con un ridotto utilizzo di tecnologie innovative, solo il 34% si è detto favorevole alle prime, mentre il 39% preferisce prodotti tradizionali e addirittura il 27% si è dichiarato indifferente al tema». Vantaggi dell’innovazione L’indagine ha voluto inoltre sondare il parere degli intervistati sugli obiettivi che ritengono più importanti da centrare attraverso l’innovazione e le nuove tecnologie agricole. Il 39% ritiene che si possa aumentare la produttività delle colture; il 36% pensa che si possano ridurre le perdite e lo spreco di prodotti, il 32% che si può contenere l’impatto ambientale, mentre il 28% che l’innovazione possa soddisfare la domanda alimentare nazionale e globale. A scalare, il 26% pensa che l’innovazione e le nuove tecnologie possono migliorare la tutela degli agricoltori e il 24% che favorisca l’aumento del livello di sicurezza degli alimenti. La stessa percentuale di intervistati ritiene che l’innovazione e le nuove tecnologie agricole
possano migliorare la qualità degli alimenti, mentre il 22% pensa che sarà il benessere animale a trarne vantaggio. Infine, il 19% è convinto che l’innovazione in agricoltura può combattere il cambiamento climatico e il 17% che favorisca l’incremento della biodiversità. Agli intervistati è stato infine spiegato che entro il 2050 la produzione agricola mondiale dovrà aumentare tra il 60 e il 70% per soddisfare la crescente domanda alimentare e che se l’agricoltura italiana non investirà in innovazione, la scarsità delle risorse di terra e di acqua, unita al cambiamento climatico e alla concorrenza internazionale potrebbero portare alla chiusura di molte imprese agricole italiane. Detto ciò, il 18% si è detto favorevole ad acquistare a prezzi più elevati prodotti agricoli da aziende tecnologicamente arretrate; il 13% intende cambiare dieta introducendo alimenti alternativi, Il 10% acquisterà prodotti agricoli stranieri mentre il 5% sceglierà cibo prodotto in laboratorio. Ma per il 54% degli intervistati le aziende dovranno investire in innovazione per evitare gli scenari descritti». Anna Mossini Nota Fonte grafici: www.nomisma.it/ forum-agrifood-monitor-linnovazione-e-competitivita-sostenibile
Ottonese: un progetto triennale per la salvaguardia della razza Si è concluso a gennaio il progetto Convenient, finalizzato alla valorizzazione di una specie autoctona tipica dell’Appennino emiliano. L’iniziativa ha coinvolto il CRPA di Reggio Emilia, l’Università di Parma e una piccola azienda agricola situata sulle colline del Piacentino. Ottime le qualità organolettiche del latte prodotto. E ottima la sua caseificazione di Anna Mossini
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utelare le razze autoctone, studiarne le caratteristiche per approntare delle iniziative volte a valorizzare le produzioni che da esse derivano. È questo lo scopo del GOI (Gruppi operativi per l’innovazione) che con il pro-
getto Convenient, partito nel 2017 e conclusosi nello scorso mese di gennaio, si è concentrato sulla Ottonese, una razza bovina originaria delle zone appenniniche dell’Emilia-Romagna, laddove la regione confina con la Lombardia
La razza autoctona Ottonese, originaria della zona appenninica di convergenza tra Lombardia, Emilia, Liguria e Piemonte, conta in Emilia-Romagna solo una trentina di capi, ma le sue caratteristiche di longevità e rusticità la rendono ancora interessante per le aree marginali rispetto ad altre razze.
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e la Liguria. Il progetto ha coinvolto il CRPA (Centro Ricerche Produzioni Animali) di Reggio Emilia, il Dipartimento di Medicina Veterinaria e di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’Università di Parma e l’azienda agricola Delmolino, situata a Centopecore, piccola località del Piacentino, che, oltre ad allevare cavalli di razza Bardigiano, conta 16 bovine di razza Ottonese, sette delle quali in lattazione. Produzione circoscritta I risultati del progetto Convenient sono stati illustrati durante un recente webinar al quale hanno partecipato tutti i soggetti referenti. A iniziare da ELENA BORTOLAZZO del CRPA. «Oggi in Italia non si contano più di 750 capi di razza Ottonese — ha dichiarato introducendo i lavori — di queste una trentina si trovano in Emilia-Romagna. Col progetto Convenient, il CRPA ha voluto sviluppare una strategia per verificare le potenzialità del latte prodotto da questa razza nella trasformazione lattiero-casearia. Se i numeri non possono certo essere paragonati a quelli di razze come la Frisona e/o la Bruna, la qualità del latte della Ottonese ha dimostrato di non avere nulla da invidiare, tant’è vero che la sperimentazione portata avanti in questi tre anni ci ha permesso
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Il Progetto Convenient ha studiato la Ottonese sia dal punto di vista della produttività, lavorando sullo studio delle razioni ottimali per migliorarne e standardizzarne le performance produttive, sia sulla caratterizzazione chimica, nutrizionale, tecnologica e sensoriale del latte, sia mettendo a punto formaggi mono-razza realizzabili direttamente in azienda, come fonte di integrazione del reddito dell’allevatore. di individuarne con accuratezza le caratteristiche e le potenzialità. Dopo aver quindi stabilito la resa casearia, il tempo ottimale per il taglio della cagliata ed effettuato le prove di caseificazione che ci hanno permesso di stabilire quanto formaggio è possibile ottenere da 100 kg di latte, abbiamo concluso che il latte della Ottonese è particolarmente adatto alla trasformazione in formaggi freschi, con particolare riferimento a tre tipologie: la robiola, la crescenza a pasta molle e la caciotta a pasta semimolle. La produzione potrebbe ampliarsi con lo yogurt, ma è evidente che
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a questo riguardo andranno fatte altre analisi, per lo più legate agli aspetti economici e di mercato. Il progetto Convenient ha voluto concentrarsi sulle considerazioni di tipo tecnico, non sottovalutando la localizzazione dell’azienda e la logistica ad essa legata. Per noi era importante individuare gli aspetti potenzialmente trasferibili ad altre piccole realtà impegnate ad allevare una razza che diversamente rischierebbe l’estinzione, causando un impoverimento della biodiversità locale e di un patrimonio zootecnico che invece deve essere tutelato e, laddove possibile, incrementato pur
I formaggi di latte mono-razza per salvare la razza bovina Ottonese in via di estinzione. Dalle prove condotte, il latte di Ottonese è risultato ottimale per la caseificazione. La ricerca si è focalizzata sulla produzione di tre formaggi: uno a pasta molle, uno fresco a coagulazione acida e pasta molle e un formaggio semimolle a breve stagionatura. Sulla base dell’esperienza di Convenient, tutti i tre formaggi potrebbero essere prodotti a piccola scala se si desiderasse trasformare il latte di Ottonese attraverso un caseificio aziendale.
con tutti i limiti che questo impegnativo percorso può nascondere». Triplice attitudine Robusta, rustica, capace di resistere alle difficoltà climatiche e del territorio, la Ottonese è una razza particolarmente longeva e molto prolifica. Durante il webinar le sue caratteristiche sono state illustrate da ALESSIO ZANON, medico veterinario che, numeri alla mano, ha ricordato la drastica riduzione del numero di capi allevati, passati da una popolazione che nel 1959 arrivava a contare tra i 20.000 e i 25.000 soggetti, ai 300 oggi iscritti al Registro anagrafico. «La Ottonese è una razza a triplice attitudine — ha dichiarato — latte, carne e lavoro e insieme alla Reggiana, alla Modenese, alla Garfagnina, alla Pontremolese e alla Romagnola costituisce un gruppo di sei razze autoctone tipiche dell’Emilia-Romagna, che si caratterizzano per alcuni aspetti particolarmente positivi come la resistenza potenziale alle epidemie e alle variazioni climatiche, una produttività costante anche in presenza di un’alimentazione povera, il forte legame al territorio e alle tradizioni locali, la possibilità di legarle a produzioni limitate e territoriali, le qualità organolettiche e qualitative sempre percepibili, il forte valore storico di impatto sul consumatore
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e l’adattabilità a sistemi di allevamento di varia natura. Il rovescio della medaglia, però, riguarda le consistenze numeriche, il reperimento del seme e di allevatori esperti e motivati, l’aiuto tecnico, il coordinamento tra enti e la mancanza di evoluzione selettiva della razza ferma purtroppo a sessant’anni fa. Detto questo — ha concluso Zanon — non vi è alcun dubbio che le elevate caratteristiche organolettiche del latte prodotto da bovine di razza Ottonese possono rappresentare il trampolino di lancio per produzioni lattiero casearie da valorizzare, che potrebbero spuntare prezzi superiori ad altre analoghe tipologie di formaggi». Difesa della biodiversità Ma torniamo al progetto GOI Convenient e all’attività svolta con la collaborazione dell’azienda agricola Delmolino che ha messo a disposizione i suoi capi di razza Ottonese. Nel corso del triennio della sua durata, i campioni di latte sono stati sottoposti alle necessarie analisi per stabilirne la composizione e le caratteristiche nutrizionali, successivamente confrontati con latte prodotto da vacche di razza Frisona. Ebbene, il grasso e la proteina del latte di Ottonese ha raggiunto rispettivamente un valore di 4,71 e 3,44, a fronte di
3,54 e 2,89 della Frisona. «I risultati ottenuti dalla caratterizzazione chimica e tecnologica del latte di Ottonese — ha puntualizzato Elena Bortolazzo —dimostrano che ci troviamo di fronte ad un prodotto molto adatto alla caseificazione. In considerazione del numero limitato di capi e nella prospettiva di una trasformazione aziendale del latte, la scelta è ricaduta su formaggi freschi per la cui preparazione è stata utilizzata l’attrezzatura disponibile nella sala prove lettiero-casearie del CRPA. Come dicevo, abbiamo optato per la produzione di tre diverse tipologie di formaggio, che sulla base dell’esperienza di Convenient potrebbero essere prodotti su scala ridotta se l’intenzione dell’azienda fosse quella di trasformare il latte all’interno di un caseificio aziendale dove, in una fase iniziale e di avvio dell’attività, i formaggi più adatti dovrebbero essere quello molle e quello semimolle a breve stagionatura. La tutela della biodiversità nel settore dell’allevamento bovino investe il tema della tutela delle razze a rischio estinzione come la Ottonese — ha concluso Elena Bortolazzo — nel tempo via via sostituite da razze più produttive, tant’è vero che oggi, in Italia, su un totale di venti razze autoctone ancora in produzione, solamente sei contano più di 10.000 capi e non più di tre hanno una diffusione nazionale. Si tratta quindi di un patrimonio da salvaguardare per il mantenimento delle tradizioni locali e dell’ecosistema grazie alla conservazione di prati e pascoli in quelle aree marginali del Paese dove la ridotta disponibilità di alimento, la qualità del latte ma anche le condizioni climatiche spesso avverse, farebbero lievitare considerevolmente i costi di produzione di razze più produttive. A questi fattori ne va aggiunto uno non mento importante: la redditività dell’allevatore. Produzioni di nicchia, adeguatamente valorizzate e promosse sul mercato, potrebbero avere un effetto decisamente positivo a vantaggio dell’azienda ma anche del territorio». Anna Mossini
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INCHIESTE
Ismea: un anno di Covid-19 È stato pubblicato il IV Rapporto Ismea sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid-19, che dal marzo 2020 ha stravolto tutto e tutti. Un’analisi approfondita del mercato agroalimentare italiano
È
quasi impossibile descrivere correttamente, mentre è ancora in atto, un fenomeno esteso e profondo come la pandemia da Covid-19. Probabilmente solo l’analisi storica ci darà le reali dimensioni e sarà in grado di descrivere i mutamenti della società a seguito della diffusione del virus. Tuttavia, l’ISMEA, Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, ha monitorato l’impatto sul settore agroalimentare del Covid-19 fin dal momento in cui si è capito che il
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mondo era di fronte a un fenomeno mai visto prima, rispetto al quale nessuno Stato, nessun politico, nessun imprenditore e, soprattutto, nessuno scienziato, era in possesso del libretto delle istruzioni per affrontarlo. A distanza di meno di un anno dalla pubblicazione del primo “Report Covid-19 e agroalimentare”, e sulla base dei dati analizzati e delle indagini realizzate è possibile tratteggiare quali eredità il settore agroalimentare si porterà dietro
In alto: la pandemia ha accelerato la diffusione di pratiche e tendenze di mercato che avevano già cominciato a manifestarsi in precedenza: prodotti del territorio e locali, food delivery, attenzione alla sostenibilità e al green, e-commerce sono solo alcune. Anche alla luce della svolta verde dell’UE in campo agroalimentare, nel Rapporto Ismea sottolinea che la parola chiave di questa fase è e sarà “cambiamento” (photo © marchsirawit – stock.adobe.com).
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PRESENTA IL SIGILLO ITALIANO I DISCIPLINARI DEL SISTEMA QUALITÀ NAZIONALE ZOOTECNIA (SQNZ) RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
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La maggior dinamicità nell’incremento della spesa si è registrata per i negozi tradizionali, i piccoli esercizi di prossimità che, pur rappresentando oramai solo il 13% dello share tra i canali distributivi, in questo 2020 hanno visto aumentare le vendite del 18,9%. A tal proposito, è interessante notare come le scelte dei consumatori abbiano delineato chiaramente un apprezzamento crescente per i piccoli negozi di vicinato in senso stretto (in foto, il banco della Macelleria Avagliano, a Sabaudia, Latina; photo © Massimiliano Rella). dopo un anno difficile ma che tuttavia ha avuto il merito di riportare il tema dell’approvvigionamento alimentare tra le priorità strategiche, riattribuendo, allo stesso tempo, dignità e attenzione all’agricoltura, troppo spesso ancora relegata ai margini del sistema produttivo e considerato da molti ancora sinonimo di arretratezza. In realtà, già da alcuni anni i giovani hanno ricominciato ad affacciarsi con curiosità alla produzione agricola e allo studio di materie universitarie strettamente connesse all’agricoltura, mentre fasce sempre più ampie di popolazione sono sempre più attente alle modalità con cui alimentare sé stessi e la propria famiglia. Il tentativo del Rapporto non è solo quello di riassumere le difficoltà sperimentate dal settore agroalimentare a seguito della pandemia. È ormai opinione diffusa, infatti,
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che, al di là degli impatti più o meno diretti che il Covid-19 ha avuto sui vari settori e sulle varie filiere, la sua propagazione abbia sovente accelerato la diffusione di pratiche o tendenze che avevano già cominciato a manifestarsi in precedenza. In considerazione dell’ottica prospettica con cui si tenterà di approcciare al settore, si deve altresì considerare come, proprio in coincidenza col diffondersi del Covid-19, la politica agricola dell’UE abbia ribadito, in maniera ancora più netta, la priorità attribuita all’obiettivo di un’Europa più verde, enunciato con la Comunicazione sul Green Deal del dicembre 2019, fornendo orientamenti che determineranno lo sviluppo del settore per i prossimi anni. Il 20 maggio 2020, la Commissione ha pubblicato due importanti comunicazioni che declinano con chiarezza la svolta verde dell’UE in campo agroalimentare: la Strategia
Farm to fork e la Strategia sulla biodiversità. Questo mix contemporaneo di rilevanti mutamenti dal basso e dall’alto guiderà la transizione del settore agroalimentare, delimitando il campo di gioco attraverso numerosi vincoli ma anche fornendo nuove e rilevanti opportunità per chi sarà in grado di coglierle. La parola chiave sarà quindi cambiamento e, nell’ambito di uno scenario in cui il cambiamento sarà protagonista, si prova di seguito, senza alcuna ambizione di essere esaustivi, ad individuare alcune delle principali eredità lasciate dal Covid-19 sul settore agroalimentare: 1. Dal globale al locale. Locale inteso come il negozio di vicinato, come il mercato rionale — contadino o meno — di quartiere, come le aziende agricole e anche quelle di trasformazione situate a una distanza ragionevole e orientate ai “prodotti del ter-
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ritorio” o, infine, al prodotto totalmente made in Italy. La pandemia ha accelerato quel processo di “deglobalizzazione” in atto da qualche tempo, alimentando interesse e voglia di “mangiare vicino”. Il problema è che questo è avvenuto non solo in Italia; 2. Food delivery. Quella che era la mania emergente di qualche pigro teenager, spesso finalizzata a mangiare, a parte l’immancabile pizza, cibi esotici come il sushi, nel giro di pochi mesi è divenuto un rilevante canale di distribuzione, un’ancora di salvataggio cui aggrapparsi per una ristorazione a rischio default e per le aziende agricole orientate all’agriturismo; 3. Consumo etico vs consumo conveniente. È indiscusso che il grado di consapevolezza dei consumatori, soprattutto i più giovani, relativamente alle questioni etiche e di sostenibilità ambientale è crescente e sempre più rilevante nelle decisioni d’acquisto. D’altro lato, la crisi economica innescata dalla pandemia da Covid-19 lascerà strascichi rilevanti in termini di riduzione della capacità di acquisto di una parte importante di popolazione. Su questo labile confine si giocherà una partita importante per il futuro sviluppo dei consumi agroalimentari; 4. Homeworking. Che sia smart o meno, è ormai diffusa l’idea che non si tornerà indietro, almeno non del tutto. Molti lavoratori avranno la possibilità di organizzare con più flessibilità il lavoro, limitando la presenza in ufficio, organizzando le attività da casa. Durante il primo lockdown, la cucina è diventata un momento importante sia per trascorrere un po’ del tempo a disposizione ma anche per riprendere a mangiare in maniera più sana. Di contro, diventando routine e superando i limiti logistici, sarà fisiologico riorganizzare i pasti dedicando loro il giusto tempo. L’organizzazione dei pasti più frequenti a casa potrà guidare
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una fetta consistente degli acquisti domestici alimentari del futuro; 5. Cibo e salute. Dallo scoppio della pandemia ad oggi, il rapporto col cibo è cambiato e diventato più stretto oltre che multidimensionale. Per un verso, il cibo è stata una delle vie per cercare di mantenere la salute: il boom degli acquisti di arance nell’inverno 2020 ne è uno degli indicatori più evidenti. Nella rarefazione delle relazioni sociali e nelle difficoltà psico-fisiche di questi mesi si è anche amplificato il ruolo del cibo come fornitore di piacere, consentendo anche qualche piccolo deragliamento dal “percorso salutista”; 6. Siamo tutti chef. Il trascorrere delle settimane ha modificato l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del cibo: a fronte di un graduale ridimensionamento di interesse per i prodotti “alternativi al fresco” (surgelati e scatolame) e per i prodotti da “scorta dispensa” (latte UHT, pasta, passate di pomodoro), il paniere “cuochi a casa” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olio extravergine d’oliva) è quello che ha mostrato la maggior tenuta in terreno positivo; 7. Grandi città vs piccoli centri. Qualcuno lo ha definito southworking ma è possibile che sia un fenomeno ancora più ampio. Il lavoro da casa ha riconnesso molti al proprio luogo d’origine o al proprio luogo del cuore dove si possiede una seconda casa. Fatto sta che le vendite di prodotti agroalimentari nei negozi situati in aree a bassa urbanizzazione sono cresciute più incisiva-mente (+6,7%) rispetto a quelle delle città (+0,3%). In questo contesto, inoltre, va segnalata la quasi totale assenza di turismo estero, che ha penalizzato maggiormente le grandi città d’arte. In prospettiva questo fenomeno comporta sia degli effetti di ridistribuzione della ricchezza, sia la necessità da parte della produzione agroalimenta-
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mondiale. Il commercio mondiale in volume è diminuito su base annua del 5,9% nei primi undici mesi del 2020. Nelle prospettive per l’economia di dicembre, l’ISTAT prevede per l’Italia una marcata contrazione del PIL nel 2020 (–8,8%) e una ripresa parziale nel 2021 (+4,0%). Le misure restrittive adottate nel corso del 2020 hanno avuto effetti molto differenziati tra i settori economici. Il comparto agroalimentare, sia nella fase agricola, sia in quella industriale, pur non essendo stato soggetto a blocco delle attività, neppure durante il lockdown di marzo, ha risentito dell’emergenza per una serie di fenomeni di filiera.
In relazione ai canali di vendita, i supermercati restano la principale fonte di approvvigionamento (catturando il 41% dei volumi totali), con un incremento delle vendite di oltre il 9,4%, ma con il calo della domanda di bar e ristoranti e l’impossibilità per i consumatori di percorrere lunghe distanze, i punti vendita che si sono dimostrati più adatti alle nuove esigenze di acquisto sono stati quelli con buona posizione e buon assortimento (photo © Molostock – stock.adobe.com). re e della distribuzione di organizzarsi per poter raggiungere la domanda che si sposta dal Nord al Sud e dai poli urbani verso le altre aree del Paese. Ancora di più, quindi, la questione della logistica diventerà un perno del futuro sviluppo del settore; 8. La transizione digitale. Pur rimanendo ancora un settore nel complesso scarsamente propenso all’innovazione, questo anno contrassegnato dalla diffusione del Covid-19, ha indotto grandi passi avanti in termini organizzativi e di avvicinamento agli strumenti digitali anche da parte di tantissime imprese agricole. Il lockdown, infatti, ha stimolato molte di queste a individuare nuove soluzioni per superare le difficoltà logistiche e organizzative dei canali consueti orientandosi così verso la vendita diretta. Un fenomeno che va letto anche come segnale promettente dell’orientamento verso una filiera agroalimentare
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più corta e sostenibile. Secondo i risultati di un’indagine ISMEA, l’emergenza Covid-19 ha determinato un sensibile aumento del numero delle imprese agricole che praticano la vendita diretta e, di conseguenza, il fatturato di questo canale che, nel 2020, ha superato i 6,5 miliardi di euro. I produttori che quest’anno hanno scelto di accorciare la filiera, raggiungendo in autonomia il consumatore finale, sono il 21,7% del campione analizzato, percentuale che aumenta di circa il 5% rispetto al 2019 (17%), destinandovi, peraltro, una quota produttiva ben maggiore (82%) rispetto al 2019 (73,1%). Lo scenario complessivo Dopo la transitoria boccata d’ossigeno del terzo trimestre del 2020, da ottobre in poi la risalita dei contagi ha costretto molte nazioni a rafforzare le misure di contenimento della pandemia, determinando un’ulteriore brusca frenata dell’economia
L’incremento delle vendite presso la GDO non sempre ha compensato il calo di quelle HO.RE.CA. Prima di tutto, la chiusura e poi il forte rallentamento del canale HO.RE.CA., in Italia e all’estero, ha impattato in maniera differente tra le varie filiere, a seconda dell’importanza che esso ha nel consumo finale di ciascun prodotto. Se in alcuni settori il calo delle vendite HO.RE. CA. è stato più o meno compensato dall’incremento di quelle presso la Distribuzione Organizzata e non, così non è stato per altri, come il vino, l’ittico e il florovivaismo. Inoltre, le dinamiche appaiono differenziate anche all’interno di uno stesso settore, con vantaggi di quelle imprese che hanno sempre avuto come interlocutore principale la distribuzione o direttamente il consumatore e svantaggi per quelle più orientate verso la vendita nel canale della ristorazione. In Italia, la contrazione del fatturato della ristorazione è stata imponente, con un –34,7% nei primi nove mesi del 2020 sullo stesso periodo del 2019, e ha interrotto un robusto trend di crescita manifestatosi nell’ultimo decennio, segnato dal +6% in termini reali della spesa delle famiglie per servizi di ristorazione di fonte ISTAT, a fronte del –2,5% di quella destinata agli acquisti di alimenti e bevande presso la distribuzione. Secondo una stima dell’ISMEA, fatta tenendo conto delle dinamiche del fatturato
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ISTAT dei primi nove mesi e delle ulteriori misure restrittive messe in atto per la risalita dei contagi a partire dall’autunno, la spesa delle famiglie presso la ristorazione sarebbe diminuita del 42% nel 2020. La riduzione del fatturato della ristorazione nel mondo rallenta l’export agroalimentare Il brusco calo degli affari della ristorazione italiana nel mondo si è fatto sentire sulle esportazioni agroalimentari, che avevano aperto l’anno sotto i migliori auspici, ma che chiudono il 2020 con un deciso rallentamento, anche se ancora in terreno positivo. Nel 2020, infatti, l’incremento dell’export agroalimentare si è ridotto dal +7% del 2019 al +1,7% su base annua. Il 2020 si è chiuso comunque con un saldo del commercio agroalimentare in miglioramento rispetto all’anno precedente, con un surplus che, nel complesso, ha oltrepassato i 3 miliardi di euro, dopo il deficit di
37 milioni del 2019. A contribuire a questo risultato è stata, a fronte della tenuta dell’export, la diminuzione delle importazioni del 5,1%. In calo la fiducia degli operatori, ma con prospettive future positive In questo contesto, la fiducia degli operatori dell’agroalimentare non poteva che diminuire. L’indice di clima di fiducia, calcolato come media dei risultati trimestrali, è sceso a –5,9 punti per l’agricoltura, con un crollo della componente relativa alla situazione corrente aziendale, mentre le aspettative per il futuro, a 2-3 anni, sono risultate migliori rispetto al 2019. L’andamento climatico ormai da anni influenza negativamente i risultati delle imprese del settore primario. Dal 2016 ad oggi il valore aggiunto agricolo ha sperimentato flessioni continue ogni anno, ad eccezione del 2018. Anche per gli operatori dell’industria alimentare l’indice di clima di fiducia è scivolato inevitabilmente
su terreno negativo nel 2020, toccando –15,6 punti, per un crollo del livello degli ordini e un incremento delle scorte, mentre le attese degli operatori sulla produzione sono rimaste debolmente positive, pur diminuendo rispetto al 2019. La domanda al dettaglio di prodotti agroalimentari La spesa per consumi domestici di prodotti alimentari è una delle poche variabili sulle quali l’emergenza Covid ha avuto un impatto positivo. La tendenza di crescita evidenziata nel 2020 è di gran lunga la più ampia dell’ultimo decennio (+7,4%), raggiungendo il suo culmine a marzo, quando le vendite hanno registrato picchi del +20%. Col trascorrere delle settimane, poi, la ritrovata fiducia nella capacità del sistema agroalimentare di garantire gli approvvigionamenti quotidiani ha progressivamente attenuato il tasso di crescita degli acquisti. Nella cosiddetta Fase 2, con la con-
Grafico 1 – Variazione della spesa per comparto – Anno 2020/19
All’incremento complessivo della spesa del +7,4% (confezionati e sfusi) hanno contribuito le tendenze positive di tutti i comparti, con incrementi sopra la media per tutti i proteici di origine animale, per i prodotti ortofrutticoli e per tutte le bevande alcoliche, compreso il vino, nonché per gli oli; sotto la media i derivati dei cereali, i prodotti ittici e le bevande analcoliche (fonte: Ismea-Nielsen).
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Nel 2020 il canale e-commerce ha registrato un incremento esponenziale nel 2020: +117% rispetto all’anno precedente (28 volte superiore alla crescita dei canali fisici), con un contributo alla crescita del 13% nelle categorie alimentari. Qui in foto la promo della Luciano’s box, un’offerta di carni delle Selezioni Bifulco a lunga frollatura, ideali da cucinare alla piastra o per il barbecue. La famiglia Bifulco lavora da sempre nel mondo delle carni di qualità con la gastronomia e macelleria (fondata nel 1947), la braceria, la Bifulco Bifburger streetfood e, naturalmente, lo shop on-line (photo © bifulco.family). seguente riduzione dell’impatto della diffusione del Covid e la graduale riapertura della ristorazione, l’andamento delle vendite è tornato alla normalità con alcune settimane che hanno addirittura visto variazioni negative rispetto al medesimo periodo del 2019 (nel mese di luglio –2,1%). Ma in autunno le nuove restrizioni e il rinnovato timore per la diffusione del Covid hanno generato nuovamente ripercussioni sulle abitudini di acquisto (Grafico 1), con conseguenze sulle vendite che sono aumentate, senza però raggiungere i picchi di inizio pandemia. L’analisi della tendenza dei consumi complessivi (confezionati e sfusi) per area geografica evidenzia ancora una volta come il Nord Est abbia fatto da traino alla crescita nazionale, con incrementi della spesa del +8,4%, decisamente più marcati di quelli registrati nelle altre macro-aree; segue il Centro
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con +7,3%, il Mezzogiorno con +7,2% e il Nord Ovest con +7,0%. In particolare, si evidenziano reazioni differenti dei consumatori in risposta all’emergenza: al Sud, la spesa — seppur costantemente in positivo — mostra una maggiore variabilità, con il consumo che più sensibile ai decreti restrittivi, con i due picchi più alti proprio nelle settimane immediatamente successive all’emanazione di questi (+19% a marzo e un nuovo record, +12%, a fine ottobre con l’inizio del secondo periodo di restrizioni). Incrementi superiori nelle aree a bassa urbanizzazione Durante il 2020, inoltre, si è verificato un cambiamento nei luoghi di consumo. C’è chi ha lavorato da casa, chi si è spostato di meno, chi è tornato nella propria città di origine e chi è rimasto nella seconda casa; tutto ciò ha fatto sì che le vendite dei negozi nelle aree a bassa urbanizza-
zione siano cresciute di più (+6,7%) rispetto a quelle dei negozi situati nelle grandi città (+0,3%), le quali, probabilmente, hanno sofferto anche della quasi totale assenza di turismo estero, che ha penalizzato maggiormente le grandi città d’arte. Il supermercato resta il canale più utilizzato (41%), ma i negozi tradizionali sono i più dinamici (+18,9% le vendite) In relazione ai canali di vendita, i supermercati restano la principale fonte di approvvigionamento (catturando il 41% dei volumi totali), con un incremento delle vendite di oltre il 9,4%, ma col calo della domanda di bar e ristoranti e l’impossibilità per i consumatori di percorrere lunghe distanze, i negozi che si sono dimostrati più adatti alle nuove esigenze di acquisto sono stati quelli con buona posizione e buon assortimento. La maggior dinamicità si è registrata,
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infatti, per i negozi tradizionali, i piccoli esercizi di prossimità che pur rappresentando ormai solo il 13% dello share tra i canali distributivi, in questo 2020 hanno visto aumentare le vendite del 18,9%. A tal proposito, è interessante notare come le scelte dei consumatori abbiano delineato chiaramente un apprezzamento crescente per i piccoli negozi di vicinato in senso stretto senza premiare allo stesso modo le superette. All’inizio dell’anno l’incremento delle vendite di negozi tradizionali e liberi servizi (ossia piccole superfici facenti capo spesso a insegne GDO) erano sincrone ma, a partire dal mese di maggio (prime riaperture), i liberi servizi hanno visto un declino delle vendite, mentre i negozi tradizionali hanno proseguito nel processo espansivo, mantenendo l’incremento a due cifre delle vendite. I liberi servizi hanno sostituito per comodità e limiti di movimento gli acquisti in altre tipologie di punti vendita strettamente nel periodo di
limitazione, ritornando ai livelli di vendita precedenti non appena le condizioni lo hanno permesso. Al contrario, i negozi di vicinato sembrerebbero avere capitalizzato le opportunità offerte dalla pandemia riuscendo a mantenere una parte della clientela acquisita nei periodi di maggiore difficoltà. I discount raggiungono i supermercati in termini di fatturato per metro quadro I discount, con una quota del 15%, hanno incrementato le vendite del 9,5% e tagliano un traguardo importante nel 2020: il loro fatturato medio per metro quadro ha raggiunto i 5.800 euro, quasi eguagliando i 5.860 euro dei supermercati, mentre 10 anni fa erano inferiori del 14% rispetto a questi ultimi. Il connubio tra prezzi competitivi e una chiara modernizzazione di assortimento ha portato il canale a crescere costantemente, moltiplicando sia la quota di mercato che la presenza sul territorio nazionale. Nel corso del 2020, gli ipermercati
sono stati, invece, quelli che hanno sofferto maggiormente, registrando tendenze negative (–0,8%). La crescita dei canali digitali supera di 18 volte quella dei negozi fisici Garantendo maggiore comodità e sicurezza ai consumatori, il canale e-commerce ha registrato un incremento esponenziale nel 2020: +117% rispetto all’anno precedente (28 volte superiore alla crescita dei canali fisici), con un contributo alla crescita del 13% nelle categorie alimentari. Nell’analisi dei mutamenti nei processi d’acquisto dei prodotti agroalimentari durante la diffusione del Covid-19, è rilevante la categoria socioeconomica di appartenenza degli acquirenti. La spesa per le carni è tra quelle che cresce di più (+9,8%) Analizzando la spesa, il comparto delle carni, con un +9,8% rispetto al 2019, ha fatto registrare importanti incrementi. Un anno partito su toni fiacchi, che nel bilancio
Dalle stime sul bilancio di approvvigionamento dei primi 10 mesi del 2020, emerge che in Italia è circolato il 6,7% in meno di carne bovina. Alla flessione delle macellazioni si è infatti aggiunta una riduzione dell’8,7% circa delle importazioni. Di contro, i consumi domestici di carne bovina sono aumentati del 6% in volume; incremento comunque non sufficiente a compensare le perdite accumulate dai canali Ho.re.ca. (photo © Kyle Mackie x unsplash). finale ha però evidenziato una buona resilienza del settore, grazie alla propensione da parte dei consumatori a convertire i consumi “fuoricasa” in consumi “in casa”. Gli incrementi si sono infatti concentrati nei periodi in cui i canali della ristorazione hanno subito le maggiori restrizioni, mentre gli acquisti sono tornati su livelli simili all’anno precedente nel trimestre estivo, quando i canali HO.RE.CA. hanno ripreso a funzionare. Filiera della carne avicunicola La pandemia ha avuto effetti meno marcati sul comparto avicolo, che da subito ha giovato dell’apprezzamento dei consumatori. La filiera avicola, grazie alla sua totale autosufficienza e all’organizzazione integrata, è stata in grado regolare l’offerta in base alle esigenze riuscendo a portare la produzione (e quindi consumi interni) in terreno positivo.
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Qualche difficoltà legata allo sfasamento tra programmazione produttiva e repentine chiusure e riaperture delle “rosticcerie” (presso le quali transita almeno il 15% dell’offerta totale) si è registrata nei mesi di aprile e maggio, con evidente impatto negativo sui prezzi. I valori medi del pollame alla produzione hanno nel complesso registrato una contrazione del 3,4% da ascriversi alle maggiori difficoltà di assorbimento nei mesi da aprile ad ottobre, ma si sono ripresi nella fase finale dell’anno limitando le perdite. Migliore la situazione sul fronte del macellato, dove i prezzi hanno accusato flessioni su base annua per un periodo più limitato (da aprile a giugno), con un risultato finale in positivo: valore medio annuo per i busti di pollo superiore del 5% rispetto a quello del 2019. Nel complesso i dati di macellazione (+1% i capi di pollame nei
primi undici mesi 2020) indicano, malgrado la pandemia, una stabilità dei volumi offerti e consumati, che fa distinguere, ancora una volta, il settore avicolo come uno dei più resilienti agli stati di crisi. L’anno appena iniziato rappresenta tuttavia un’importante sfida per l’industria avicola, che dovrà confrontarsi non solo con le problematiche causate dalla pandemia da Covid-19, ma anche con la ridotta capacità di spesa di una parte della popolazione che potrebbe contrarre i consumi con l’aumento dei prezzi dei mangimi, l’impatto dei focolai di influenza aviaria dello scorso inverno e l’eccesso dell’offerta globale. Filiera della carne bovina La crisi sanitaria con le sue implicazioni ha impattato in maniera evidente sul mercato delle carni bovine, ma — a consuntivo — si può dichiarare che la filiera ha reagito
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bene e forse i danni sono meno pesanti di quelli che si prevedevano ad inizio crisi. In sintesi, dalle stime sul bilancio di approvvigionamento dei primi 10 mesi del 2020, emerge che, in ambito nazionale, è circolato il 6,7% in meno di carne bovina. Alla flessione delle macellazioni — stimabile tra il 4 e il 5% in volume —, si è infatti aggiunta una riduzione dell’8,7% circa delle importazioni, per un volume complessivo di circa 70.000 tonnellate di carne bovina in meno, sostanzialmente ascrivibili alla parziale chiusura del canale HO.RE.CA. Di contro, i consumi domestici delle carni bovine sono aumentati del 6% in volume; incremento comunque non sufficiente a compensare le perdite accumulate dai canali HO.RE.CA. Se tali tendenze verranno confermate dai dati di fine anno, per il segmento delle carni fresche si potrà apprezzare un lieve miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento (+1,3%). La chiusura dei canali HO.RE.CA., principale sbocco di alcuni “tagli”, e la difficoltà per questa referenza di usufruire di canali alternativi tipo e-commerce, ha costretto gli operatori a riversare sui canali Retail tutte le disponibilità, causando un eccesso di offerta e un conseguente rallentamento delle macellazioni. Pesanti per tutti gli allevamenti le conseguenze. La ridotta attività dei macelli ha comportato la permanenza in allevamento dei capi giunti a fine ciclo, con due effetti sovrapposti, entrambi negativi. Da un lato il calo del prezzo per la maggiore disponibilità di prodotto, dall’altro l’aumento dei costi per il prolungarsi della presenza degli animali e la contemporanea difficoltà di gestione di un numero di capi superiore rispetto alla normalità. All’eccesso di offerta di carni nazionali si è aggiunta la pressione delle carni d’importazione, cedute a prezzi estremamente concorrenziali dai principali competitor europei come Francia, Spagna, Germania e Polonia, anche loro alle prese con giacenze da smaltire. Il riflesso immediato è stata la flessione dei
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prezzi, prima in ambito europeo e subito dopo in ambito nazionale. In particolare, sono state le carni di bovino adulto e di vitello quelle a pagare lo scotto più alto, mentre quelle di vitellone, grazie alla loro “specificità”, hanno reagito meglio riuscendo nel complesso a mantenere i valori medi dell’anno precedente. Il prezzo medio 2020 per le carni di bovino adulto per tutto l’anno a partire da febbraio si è attestato su livelli inferiori a quelli dell’anno precedente risultando nel complesso inferiore del 6,5%. In particolare, le quotazioni hanno subito un crollo importante nei mesi di marzo e aprile (–32% e -–25% rispetto alle analoghe del 2019), nel corso del primo lockdown. Nei mesi successivi la riduzione delle macellazioni e delle importazioni ha permesso una lieve ripresa, non sufficiente comunque a raggiungere i valori dell’anno precedente. Analoga situazione per le carni di vitello, destinata in prevalenza ai circuiti della ristorazione e alberghiero, i cui prezzi — in graduale ridimensionamento da marzo — sono crollati tra aprile e
maggio (–7% vs 2019) e non sono riusciti più a recuperare fino alla fine dell’anno, perdendo complessivamente il 3,8% rispetto alla media annua 2019. I movimenti di import/export si sono mossi in coerenza con questa pesantezza del mercato e nei mesi di aprile e maggio le flessioni dell’import di carne hanno segnato rispettivamente –27% e –25% rispetto al precedente anno; nel mese di giugno la riapertura della ristorazione e gli allentamenti alle restrizioni hanno fatto schizzare l’import al +9%, ma i volumi importati hanno segnato nuove pesanti contrazioni nei mesi successivi, portando il cumulato in volume dei primi dieci mesi su valori inferiori del 8,7% rispetto al 2019. L’alleggerimento dei flussi commerciali con l’estero non ha però risolto la pesantezza del mercato interno delle carni rosse, che per gli allevamenti si è tradotto nella caduta dei prezzi non solo delle carni ma anche dei capi vivi in allevamento (all’origine vitelli: –4,4%; vacche: –5,7%). Molte le misure varate dal Governo nell’ambito del fondo emergenziale che, tra premi alla
La forte flessione dei prezzi nell’ultimo trimestre 2020 all’interno della filiera suinicola non è imputabile alle misure di restrizione per il Covid-19, ma alla crisi del mercato tedesco, determinato dalla PSA e dal blocco delle esportazioni extra UE (photo © Lauren Mcconachie x unsplash).
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riguardare un Paese come il nostro, fortemente dipendente dai mercati esteri per il proprio fabbisogno, ma può appesantire ancor più la già difficile situazione competitiva della zootecnia nazionale.
La pandemia ha evidenziato tutte le debolezze del comparto suinicolo italiano, sia da un punto di vista strutturale che organizzativo. A partire da marzo 2020, infatti, la chiusura del canale Ho.re.ca. e dell’attività agrituristica ha determinato il crollo della vendita dei prosciutti Dop e di altre produzioni della salumeria di qualità (photo © Daniel Uvegard x unsplash). macellazione e aiuti all’ammasso privato, ha riservato al settore una fiche finanziaria di 35 milioni di euro, ma le condizioni — a detta degli operatori — restano critiche, sia sul mercato interno che su quello europeo. I dati relativi alle operazioni di ristallo, in parte desumibili dalle importazioni di broutard (+14% nei primi dieci mesi), evidenziano comunque una sorta di fiducia degli allevatori per il mercato delle carni
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bovine dei prossimi mesi. Intanto, aumentano i costi per l’acquisto di materie prime destinate all’alimentazione. Sia per i proteici (farine di soia, colza e girasole), sia per i cereali (grano e mais) le quotazioni sono fortemente aumentate nella fase finale del 2020. Questo continuo forte rialzo dei prezzi delle materie prime agricole rappresenta un campanello di allarme non solo per i rischi di approvvigionamento che possono
La filiera suinicola Nel 2020, la tenuta del comparto suinicolo italiano è stata messa a dura prova a causa di una doppia emergenza sanitaria che avrà ripercussioni anche sulle dinamiche del 2021. Infatti, i risultati produttivi ed economici dell’intero settore sono fortemente condizionati non solo dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19, ma anche dalla diffusione di Peste Suina Africana (PSA) nel cuore dell’Europa. Al termine di quest’anno eccezionalmente negativo, l’impatto della diffusione della PSA nei principali Paesi produttori di carne suina della UE si sta rivelando un elemento quasi più grave dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus. I problemi legati alla PSA si sono acutizzati a settembre con la scoperta di due focolai in Germania (secondo Paese produttore di carne suina dell’UE dopo la Spagna), notizia che ha portato all’immediato blocco delle importazioni di carne suina tedesca da parte di Cina, Giappone e Corea del Sud, i principali sbocchi commerciali per le carni suine europee. Questa sospensione degli acquisti apre uno scenario complesso, considerando che da gennaio a settembre 2020 le esportazioni tedesche in Cina sono aumentate del 70% in volume e che l’assenza tedesca non può essere compensata da aumenti delle esportazioni da altri Stati Membri dato che attualmente è impossibile congelare più carne suina di quanto si sta già facendo a livello UE. Lo stop asiatico sulle importazioni tedesche ha riversato sul mercato europeo una grande quantità di carne suina, determinando un calo delle quotazioni all’origine degli animali. In questo contesto, si configura un quadro di forte incertezza e di pericoloso surplus produttivo a livello europeo che
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potrebbe determinare un eccesso di offerta. Fattori che hanno già piegato la curva dei prezzi, con un calo delle quotazioni nazionali nelle ultime settimane del 2020. Non da ultimo, a fine 2020 gli allevatori si sono trovati a dover fronteggiare anche l’inasprimento dei costi di produzione legato ad un aumento dei prezzi dei prodotti per l’alimentazione animale, innescato dai rincari sul prezzo del mais e delle farine proteiche sui mercati mondiali. La pandemia ha evidenziato tutte le debolezze del comparto suinicolo italiano, sia da un punto di vista strutturale che organizzativo. A partire da marzo 2020, infatti, la chiusura del canale HO.RE.CA. e dell’attività agrituristica ha determinato il crollo della vendita dei prosciutti DOP e di altre produzioni della salumeria di qualità. Per quanto riguarda l’andamento del mercato, già a inizio 2020 erano emersi i primi segnali di indebolimento dei prezzi all’origine dei suini pesanti destinati alle produzioni tipiche, che si sono poi accentuati col diffondersi del Covid-19 (tra aprile e giugno il calo delle quotazioni è stato superiore al 25% rispetto agli stessi mesi del 2019). In particolare, tra maggio e giugno 2020 le quotazioni di tutti i principali prodotti della filiera, dai suini vivi (da ingrasso o da macello), ai principali tagli di carne suina fresca fino ai prosciutti stagionati, hanno raggiunto dei valori eccezionalmente bassi. A giugno il prezzo dei suini da macello pesanti (160/176 kg) destinati al circuito tutelato ha toccato il minimo storico sul mercato nazionale (circa 1 €/kg), e per le cosce fresche pesanti per la DOP (13/16 €/kg) le quotazioni sono state le più basse da quando la Commissione Unica Nazionale (CUN) è attiva (circa 3,20 €/kg per la coscia fresca pesante destinata al circuito DOP). A maggio hanno iniziato a calare anche i prezzi degli altri tagli di carne destinati al consumo fresco (lombo taglio Padova, coppa e pancetta fresca), dopo una fase di
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stabilità dei prezzi tra marzo e aprile sostenuti dalla crescente domanda presso la GDO. Dopo mesi caratterizzati da quotazioni al ribasso, con l’arrivo dell’estate sul mercato suinicolo sono comparsi i primi segnali di ripresa per gli allevatori, grazie ad una parziale riapertura di bar e ristoranti sull’intero territorio nazionale che ha dato impulso alla domanda di carne suina fresca e dei prodotti dell’industria dei salumi. Le quotazioni dei suini da macello pesanti hanno ripreso a salire, mantenendo una tendenza crescente fino a ottobre 2020 (il prezzo medio all’origine ha registrato un +23% tra il secondo e il terzo trimestre). La domanda di suini da parte dell’industria di macellazione risulta comunque sostenuta ad inizio 2021, con una pur timida favorevole inversione del prezzo. Da maggio in poi i ritmi produttivi hanno ripreso dei livelli vicini a quelli della pre-emergenza Covid-19, anche se continuano le limitazioni dovute alla parziale chiusura del canale HO.RE.CA. in atto da novembre. Nel periodo tra gennaio e ottobre 2020 si registra un calo del 9% dei capi macellati rispetto allo stesso periodo del 2019. Lo scoppio della pandemia ha sicuramente condizionato anche le dinamiche del commercio estero del settore suinicolo nazionale. Tra gennaio e ottobre 2020 si registra un calo del 6% dei volumi dell’export del settore rispetto allo stesso periodo del 2019, a cui però corrisponde un aumento in valore del +5,3%, mentre l’import è calato del 6,5% in valore (–7% in volume), con un conseguente assottigliamento del deficit commerciale che a ottobre 2020 si attesta su –290 milioni di euro, segnando un recupero di 204 milioni di euro rispetto ai primi dieci mesi del 2019. La svalutazione dei prezzi della carne suina sul mercato UE ha sicuramente avuto una ripercussione sul valore delle importazioni italiane. Inoltre, nella prima metà del 2020, molti trasformatori hanno rallentato le importazioni di carne suina a causa della riduzione della
domanda di salumi da parte del canale HO.RE.CA., che nella prima fase della pandemia ha determinato un maggior ricorso alle materie prime nazionale e la tendenza a non accumulare in magazzino nuova produzione. Tuttavia, la riduzione degli acquisti di carne suina sul mercato estero non ha permesso al mercato interno di compensare il calo produttivo registrato tra gennaio e ottobre 2020 (–9% dei capi macellati), determinando una sostanziale stabilità del tasso di autoapprovvigionamento del settore suinicolo italiano. Tra gennaio e ottobre 2020 si confermano a grandi linee le principali tendenze registrate negli ultimi anni per le produzioni che maggiormente rispondono alla domanda del mercato internazionale: crescono in valore, rispetto a gennaio-ottobre 2019, le esportazioni di “salsicce e salami stagionati” (+15,7%), dei “prosciutti cotti” (+1,7%) e, soprattutto, delle “pancette stagionate” (+25,7%). In calo invece le esportazioni di “prosciutti disossati, speck, culatelli”, categoria di prodotti che da sola rappresenta circa il 40% dell’export totale del settore: tra il 2018 e il 2019 si registrava una leggera contrazione del valore dell’export (–1,3%), che si conferma anche durante il 2020 con un calo dell’1,7% tra gennaio e ottobre rispetto allo stesso periodo del 2019, che corrisponde a una riduzione dei volumi esportati pari al 13%. Questa categoria di prodotti ha come destinazione principale il canale HO.RE.CA. dei Paesi acquirenti e quindi il loro collocamento sul mercato estero è stato fortemente condizionato dalle misure di contenimento del Covid-19 che hanno portato alla chiusura di molti ristoranti, bar e mense in gran parte dei mercati di destinazione. Fonte: Emergenza Covid-19 IV Rapporto sulla domanda e l’offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid-19 Ismea – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare Febbraio 2021 www.ismea.it
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ANALISI DI SETTORE
2021: ripartenza? Richiamando un noto brano musicale del compianto Lucio Dalla che dà il titolo al loro Rapporto, “L’anno che verrà”, Coop e Nomisma scattano la foto dell’Italia al termine di un 2020 nefasto di Sebastiano Corona
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n recentissimo documento del noto Centro Studi, mostra le previsioni per il futuro prossimo, frutto di due indagini condotte nel mese di dicembre. La prima ha coinvolto un campione di 800 individui tra 18 e 65 anni. La seconda — definita “2021 Restart. Il nuovo inizio per l’Italia e gli Italiani” — si è rivolta alla community del sito di italiani.coop ed ha interessato 700 opinion leader e market maker, fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati
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selezionati soggetti con profilo manageriale/executive in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese. Lo studio restituisce un quadro a tinte fosche, facilmente intuibile, se si considera l’anno sconcertante appena concluso. Ma gli Italiani, nella loro proverbiale capacità di adattamento, fanno di necessità virtù e guardano al futuro con fiducia, nella consapevolezza che il proprio stile di vita vada rivisto e che debba essere altresì ricon-
siderata la scala dei valori e delle priorità personali. È forte la consapevolezza che ci vorrà tempo per tornare ai livelli di spesa pre-Covid, pertanto ogni singolo acquisto va ponderato e fatto con consapevolezza. Se da una parte si guarda con interesse alla casa, la salute e la famiglia, dall’altra lo sguardo è rivolto a ciò che è mancato nell’anno appena concluso: viaggi e vacanze, socialità in presenza e una nuova mobilità, stavolta sostenibile e Covid free.
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La ripresa economica si allontana per il 33% del campione intervistato di manager, scivola addirittura al 2025 e oltre. Mentre la possibilità di vaccinarsi si fa sempre più reale e solo un Italiano su dieci si dice contrario. Attenti al benessere psicofisico e all’ambiente, gli Italiani, speranzosi nel futuro, si mostrano disposti al cambiamento e perdono la fiducia nei media e nei politici, per celebrare, di contro, la nascita di nuovi eroi quali medici e scienziati. Alcune abitudini acquisite temporaneamente si mostrano ora come permanenti, una per tutte, l’approccio al digitale. Per il nuovo anno, nelle intenzioni degli Italiani si fanno spazio comportamenti quotidiani e stili di vita più salutari: il 46% del campione si sposterà quotidianamente a piedi, il 42% farà attività fisica, il 20% frequenterà spa e centri benessere. Assisteremo a comportamenti improntati ad una maggiore sobrietà. Per la prima volta il 35% acquisterà abiti facendo attenzione alla loro sostenibilità e il 23% aiuterà nelle faccende domestiche. Ci sarà spazio anche per l’attenzione alle persone più fragili (il 28% dedicherà più tempo a parenti anziani non autosufficienti, il 26% ai propri figli) e per la sperimentazione delle opportunità digitali che migliorano la vita (streaming, e-banking, ecc…). Per tanti Italiani la pandemia e le difficoltà economiche faranno ancora della casa il luogo privilegiato della quotidianità. Per tanti altri, invece, torneranno a crescere i viaggi e le occasioni di intrattenimento outdoor. Oltre 4 Italiani su 10 dichiarano che nei prossimi 12 mesi viaggeranno più spesso.
Molti hanno intenzione di tornare alla socialità di un tempo ed esprimono voglia di compresenza fisica. Più di uno su 3 agogna a serate in compagnia. Diventano invece fuori moda i comportamenti orientati al riconoscimento sociale (per un Italiano su due si riduce l’acquisto di abiti di alta moda), le visite ai grandi mall e le discoteche (il 63% degli Italiani rinuncerà a quest’ultime in parte o del tutto). La casa e il cibo rimangono dei capisaldi nel post-Covid. Così ristrutturazioni, domotica e acquisti di elettrodomestici figurano ai primi posti nella lista dei desideri e l’amore per la cucina, che ha dominato nel 2020, continua a rafforzarsi, inducendo a spendere senza rinunciare a qualità e salubrità. Il balzo in avanti registrato dalla GDO nel 2020 è destinato a ridursi nel 2021, col graduale esaurirsi dell’emergenza sanitaria e col contemporaneo possibile acuirsi di quella sociale. Si attende infatti una flessione del fatturato della rete fisica della Grande Distribuzione del 2,6% (–1,6% considerando anche le vendite on-line). Con la nuova serie di chiusure che hanno caratterizzato la fine del 2020, gli Italiani sono tornati a privilegiare i consumi indoor e la GDO ha fatto segnare un incremento dell’8% delle vendite nella settimana di Natale. Un’accelerazione finale che ha spinto le vendite 2020 della rete fisica della GDO a un +4,2% sull’anno precedente e oltre il +5% considerando anche il canale e-commerce (che con una variazione che sfiora il +140% contribuisce con quasi un punto percentuale alla crescita complessiva del
L’e-commerce rappresenta il dilemma degli operatori della filiera alimentare. Per il 60% dei top manager del comparto costituisce una minaccia, per il restante 40%, un’opportunità. Piaccia o meno, è un mercato in forte crescita anche il prossimo anno — la Nielsen stima un +62% per le vendite on-line nel 2021 — e l’occasione per dare un migliore servizio ai consumatori
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settore). Le difficoltà economiche, da un lato, hanno certamente favorito la crescita del discount (+9,1%) e degli specialisti drug (+8,1%), e, dall’altro, le limitazioni agli spostamenti hanno fatto crescere il libero servizio che, con un’inversione di tendenza rispetto allo scorso anno, segna una variazione positiva del +5,8%. All’opposto, continua invece a soffrire il canale degli ipermercati (–2,8%). Pur essendo ben consapevoli che il recupero della situazione economica e sociale del pre-Covid è ancora lontano, gli Italiani vivono divisi tra la consapevolezza delle innumerevoli difficoltà che ancora hanno davanti e l’impazienza di riappropriarsi del loro futuro, tornando a fare molte delle cose che sono mancate nel 2020. L’anno si è chiuso con la più ampia contrazione dei consumi dal dopoguerra, –10% rispetto al 2019, e il 2021 vedrà certamente una ripresa, stimabile in un +4,9%, che tuttavia non consentirà di riguadagnare i livelli e la composizione della spesa pre-Covid. A pagare più di tutti il prezzo della pandemia, delle nuove paure o delle mutate abitudini, saranno soprattutto i trasporti pubblici, l’ambito in cui gli Italiani pensano di ridurre drasticamente le spese rispetto al 2019. Ma anche abbigliamento, calzature, abbonamenti, pay TV risentono pesantemente del timore della contrazione dei redditi. In casa, uno su 5 sogna la domotica, quasi 4 su 10 ragionano su ristrutturazioni o efficientamento energetico, e ai primi posti nella lista dei desideri compaiono anche le spese per rinnovare l’arredamento, i grandi elettrodomestici, quali lavatrice, lavastoviglie e persino i robot da cucina. Il digital jump non si interrompe ma trova invece nuova linfa anche nelle previsioni 2021: quasi un Italiano su 2 investirà su nuovo smartphone, tablet, PC, smart TV; anche i pagamenti on-line, l’egrocery e il delivery saranno sempre più frequenti. Gli Italiani sembrano alla ricerca di nuove soluzioni smart. Conside-
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L’anno 2020 si è chiuso con la più ampia contrazione dei consumi dal dopoguerra, –10% rispetto al 2019, e il 2021 vedrà certamente una ripresa, stimabile in un +4,9%, che tuttavia non consentirà di riguadagnare i livelli e la composizione della spesa pre-Covid (photo © Ibrahim Boran x unsplash). rato che in certi casi sono gli unici strumenti che hanno permesso loro di mantenere una certa socialità e un impegno nel lavoro, anche tra le mura domestiche. Il cibo, assieme alla salute e alla casa, rimane, dunque, l’ultimo argine alla riduzione dei consumi rispetto al pre-Covid. Ciò nonostante, quello del 2021 sarà per molti un cibo sobrio e se per il 71% del campione questa voce di spesa rimarrà stabile, un 15% intende invece risparmiare. Continua l’onda lunga dello slow cooking, la nuova strategia degli Italiani per spendere meno, acquistando più ingredienti di base e meno piatti pronti, e contemporaneamente difendere qualità e salubrità della propria tavola. Inoltre, secondo gli executive della filiera alimentare, gli acquisti si concentreranno maggiormente sugli alimenti prodotti con materie prime italiane e naturali/ sostenibili. Rispettivamente il 53% e il 48% del campione ritiene che queste categorie registreranno
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le migliori performance rispetto all’anno precedente. Ma cresceranno significativamente anche gli ingredienti freschi. Proprio il concetto di prodotto sostenibile però si fa più articolato e, al generico rispetto dell’ambiente, si affianca quello della produzione locale o legata al territorio (il 50% abbina questo tema alla sostenibilità) e una filiera controllata (49%). Compare anche il principio della giusta remunerazione per i vari attori della filiera (la cita abbinata alla sostenibilità il 47% del campione). Anche nello scenario 2021 i punti più critici saranno la minaccia della crisi economica e dei suoi effetti negativi sulla domanda finale (il 27% prevede un calo negli acquisti di prodotti alimentari o del largo consumo) e col graduale esaurirsi dell’emergenza sanitaria, una flessione del fatturato della rete fisica della Grande Distribuzione Organizzata. L’e-commerce rappresenta
il dilemma degli operatori della filiera alimentare. Per il 60% dei top manager del comparto costituisce una minaccia, per il restante 40%, un’opportunità. Piaccia o meno, è un mercato in forte crescita anche il prossimo anno (la NIELSEN stima un +62% per le vendite on-line nel 2021) e l’occasione per dare un migliore servizio ai consumatori. Tuttavia, questo canale rischia di cannibalizzare la rete fisica ed aggiungere ulteriori costi agli equilibri di bilancio del settore, già di per sé piuttosto precari. Il Covid ha accelerato certi processi e ne ha frenato degli altri. Di certo, se la pandemia non dovesse venire meno in tempi brevi, non mancheranno sorprese nel comportamento degli Italiani di fronte allo scaffale. E non solo. Sebastiano Corona Nota A pagina 80, photo © Felbaba – stock.adobe.com
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ANALISI DI MERCATO
Sempre più green La sostenibilità conquista le etichette dei prodotti a marca commerciale e ne spinge le vendite. 18 prodotti su 100 hanno un claim ecologico in etichetta: un paniere che ha aumentato le vendite di +10,2% in un anno, superando gli 1,7 miliardi di euro di sell-out. Sostenibilità agricola o negli allevamenti e responsabilità sociale sono i valori più segnalati sulle confezioni. A rivelarlo è il monitoraggio condotto dal nuovo Osservatorio Immagino
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a marca del distributore è sempre più green: a rivelarlo è la nuova edizione, l’ottava, dell’Osservatorio Immagino realizzato da GS1 Italy in collaborazione con NIELSEN. Da questo report emerge che, nell’arco di un anno, sono saliti a 6.407 i prodotti a private label sulle cui confezioni compare almeno un claim relativo al mondo della sostenibilità. In 12 mesi le loro vendite sono salite di +10,2%, arrivando a oltre 1,7 miliardi di euro. Ma, nonostante questo trend sopra media, nel paniere dei prodotti a marca del
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distributore l’incidenza dei prodotti sostenibili è ancora bassa: la loro quota sul giro d’affari si ferma al 22,8%, contro il 24,4% detenuto dai prodotti green sul totale del largo consumo confezionato. Partendo dalla sua ampia base di analisi, composta da 115.000 prodotti del largo consumo (corrispondenti all’82,1% del giro d’affari realizzato in ipermercati e supermercati italiani), l’Osservatorio Immagino si è focalizzato sui prodotti a marca commerciale che evidenziano in etichetta i loro valori legati
al mondo della sostenibilità e li ha organizzati in quattro diversi panieri in base al tipo di claim presente sulle confezioni. Il paniere più rilevante è quello costituito dai prodotti presentati come provenienti da agricoltura o allevamento sostenibili, col 32,6% di incidenza sulle vendite totali delle private label green. Il secondo paniere per incidenza è quello dei prodotti ottenuti nel rispetto della responsabilità sociale (22,3% del giro d’affari). Seguono il paniere dei prodotti che rimandano al
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In basso: con una crescita annua a valore di +12,3%, le vendite dei prodotti a marca privata segnalati come provenienti da agricoltura e allevamenti sostenibili hanno superato gli 870 milioni di euro.
management sostenibile delle risorse (12,1%) e il rispetto degli animali (7,1%). Agricoltura e allevamenti sostenibili Con una crescita annua a valore di +12,3%, le vendite dei prodotti a marca privata segnalati come provenienti da agricoltura e allevamenti sostenibili hanno superato gli 870 milioni di euro. Gli aumenti a valore più significativi sono stati ottenuti dal claim “senza antibiotici” (+198,9%), spinto da
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Performance molto positive per le referenze con “ingredienti 100% naturali” (+26,4%), con indicazioni di “filiera/ tracciabilità” (+18,7%) e certificati biologici/EU Organic (+10,1%). un effetto combinato d’incremento dell’assortimento (+54,8%) e del boom della domanda (+144,1%). Performance molto positive anche per le referenze con “ingredienti 100% naturali” (+26,4%), con indicazioni di “filiera/tracciabilità” (+18,7%) e certificati biologici/ EU Organic (+10,1%). In flessione del –7,3%, invece, le vendite dei prodotti “senza OGM”. Responsabilità sociale Crescita annua a doppia cifra (+13,5%) anche per le vendite dei 1.312 prodotti a private label che richiamano in etichetta l’impegno sul fronte della responsabilità sociale e che realizzano 572 milioni di euro di sell-out in iper e supermercati. A spingere questo paniere è principal-
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mente la certificazione da foreste gestite in modo responsabile FSC (+14,0% di vendite annue), seguita da quelle Fairtrade (+7,0%) e UTZ (+104,0%), seppur quest’ultima limitata ad un numero ridotto di prodotti a scaffale. Management sostenibile delle risorse Con 2.057 prodotti a marchio, realizzati facendo attenzione alla gestione sostenibile delle risorse, le insegne hanno superato i 571 milioni di euro di vendite (+6,3% annuo). Tra le indicazioni in etichetta che registrano gli incrementi di vendita più significativi ci sono “compostabile” (+35,1%), “biodegradabile” (+26,5%), minor utilizzo della plastica nelle confezioni (+43,1%)
e riduzione degli sprechi (+14,3%). Trend positivo anche per i prodotti di cura della persona e della casa che evidenziano ingredienti “vegetali” e assenza di “fosfati” (+14,0%). Rispetto degli animali Gli 80 prodotti a marca del distributore che riportano sulla confezione un claim relativo a tecniche di pesca sostenibile o all’esclusione di test condotti su animali sono cresciuti di +5,3% nell’arco dei 12 mesi analizzati. I prodotti con i claim “Friend of the sea” e “Cruelty free” hanno realizzato 30 milioni di sell-out, per la quasi totalità concentrati nella drogheria alimentare. Fonte: GS1 Italy Osservatorio Immagino tendenzeonline.info
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CONSUMI
Prospettive del consumo di carni al 2030 nell’Unione Europea L’annuale documento della Commissione europea prevede un calo di 1,1 kg pro capite, con bovino e suino in diminuzione e pollame in moderato incremento di Roberto Villa
Photo © Nitr – stock.adobe.com
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l consumo complessivo di carni nell’Unione Europea nel 2030 è previsto si attesti a 67,6 kg pro capite annui, in calo di 1,1 kg dai livelli di inizio decennio, secondo il documento EU agricultural outlook: for markets, income and environment 2020-2030, aggiornato al mese di dicembre 20201. Il calo è essenzialmente ascrivibile al minor consumo di carni suine (–1,4 kg) e bovine
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(–0,9 kg) e ciò si lega anche alla riduzione del patrimonio zootecnico bovino dell’Unione. Solo le carni di pollame sono previste in aumento a 24,6 kg pro capite (+1,2 kg). Il rapporto, redatto dalla DG Agri (Direttorato generale per l’Agricoltura e lo Sviluppo rurale), prende in considerazione le informazioni economiche disponibili al settembre 2020 e pone tuttavia in pre-
messa l’incontrollabile elemento di incertezza alla luce della rimodulazione dell’economia che segue alla pandemia di Covid-19, oltre che elementi di incertezza specifici del settore carni come il contenimento della Peste Suina Africana nei 27 Paesi Membri e nei principali Paesi produttori. A livello mondiale il consumo di carni è dato in continua salita,
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ad un tasso pari a 1,1 kg pro capite all’anno, grazie alla crescita economica nei Paesi in via di sviluppo e all’aumento della popolazione mondiale. Parte di questa nuova domanda sarà coperta dall’offerta interna degli stati, un ruolo importante sarà determinato dal commercio mondiale: secondo il rapporto della Commissione però l’Unione Europea ne beneficerà solo in misura ridotta, a favore del pollame ed in minor misura per il suino. Bovino e vitello In linea con la tendenza in atto negli ultimi anni, la produzione di carne bovina nell’Unione scenderà, sino a diminuire di 600.000 tonnellate (–8,3%) nel 2030 rispetto al 2020. Il numero di capi è previsto in calo di 2,2 milioni (–7%), in conseguenza anche del fatto che il patrimonio dei bovini da latte è dato in contrazione grazie al progressivo incremento delle rese di lattazione. Il consumo interno di carni bovine scenderà dai 10,6 kg pro capite del 2020 ai 9,7 kg del 2030 (–8,5%). La domanda di carne bovine a livello mondiale è in aumento, ma con una forte competizione di altri Paesi forti esportatori; in conseguenza di ciò la percentuale del commercio internazionale appannaggio dell’Unione Europea scenderà dal 7% al 6%, stretta tra colossi molto competitivi come Brasile, Argentina, Stati Uniti. I prezzi sono previsti stabili o in discesa fino al 2025, per poi risalire nel quinquennio seguente grazie ad una riduzione dell’offerta globale. Suino La produzione di carne suina è preventivata in calo di 1 milione di tonnellate (–4,6%) tra il 2020 ed il 2030, per un cambio di preferenze dei consumatori e per eventi intrinseci come il controllo di epizoozie, peste suina africana in primis, ed incertezze del quadro macro-economico globale: nel 2020, nonostante il forte incremento della domanda mondiale, la produzione europea non è aumentata per i timori legati alla situazione non chiara nel medio periodo.
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In linea con la tendenza in atto negli ultimi anni, la produzione di carne bovina nell’Unione scenderà, sino a diminuire di 600.000 tonnellate nel 2030 rispetto al 2020. Il consumo interno di carni bovine scenderà dai 10,6 kg pro capite del 2020 ai 9,7 kg del 2030. La carne suina rimarrà nel 2030 la tipologia più consumata dagli europei, ma cederà terreno alle carni avicole, viste come più salutari e eco-sostenibili
Dal 2019 parte della produzione di carne suina comunitaria è stata indirizzata verso il mercato cinese e del Sud-Est asiatico, contemporaneamente il consumo interno ha cominciato a calare; tale declino è dato come costante nel decennio in corso, fino a toccare un minimo di 32 chilogrammi pro capite nel 2030 (–1,4 kg sul 2020, equivalenti ad un –4,2%). La carne suina rimarrà anche nel 2030 la tipologia più consumata dai cittadini europei; tuttavia, cederà terreno alle carni avicole, viste come più salutari ed ecosostenibili (sebbene in riferimento a quest’ultimo aspetto non sia così, come evidenziato in una recente pubblicazione scientifica2 di cui rendo conto nel mio articolo “L’impatto ambientale nelle carni convenzionali e bio” in EUROCARNI 3/2021, pag. 98). Se la Cina riuscirà nel suo progetto di incrementare la quota di autoapprovvigionamento entro il 2025 ed il Brasile proseguirà nella tendenza positiva della produzione, largamente destinata all’export, le esportazioni europee dovrebbero assestarsi su livelli leggermente superiori a quelli del 2018 e rimanere il principale attore a livello globale con il 38% del commercio internazionale. Il prezzo delle carni suine europee è previsto su valori di 1.600 €/t nel 2030. Avicoli Le carni avicole sono l’unica categoria prevista in aumento entro il 2030, per un quantitativo di +620.000 tonnellate (+4,6% sul 2020), grazie ad investimenti e ad un maggior gradimento da parte dei consumatori interni, mentre le esportazioni aumenteranno in maniera costante.
Il consumo interno è previsto in aumento sino ai 24,6 kg pro capite nel 2030 (+1,2 kg sul 2020, pari al +4,7%). La percentuale delle carni avicole europee sul commercio mondiale scenderà dal 16,2% al 15% a motivo della forte competizione brasiliana, tuttavia rimangono prospettive interessanti sui mercati asiatici, arabi ed africani. Il prezzo è dato in crescita fino al 2030 grazie alla domanda globale tonica. Ovicaprino La produzione di carni ovicaprine è prevista stabile, come pure il consumo pro capite pari a 1,3 kg annui. L’esportazione deve confrontarsi con la posizione dominante di Australia e Nuova Zelanda, che costituiscono l’80% del commercio mondiale di queste specie. I prezzi sono dati in calo fino al 2025, per poi riprendersi fino al 2030. Rimarrà un significativo divario tra il prezzo europeo e quello mondiale (Nuova Zelanda) a causa dei costi di produzione superiori. Roberto Villa Nota 1. EC (2020), EU agricultural outlook for markets, income and environment, 2020-2030, European Commission, DG Agriculture and Rural Development, Bruxelles, ec.europa.eu/info/ food-farming-fisheries/farming/facts-and-figures/markets/ outlook/medium-term 2. P IEPER M. et al., Calculation of external climate costs for food highlights inadequate pricing of animal products, NATURE COMMUNICATIONS, DOI: 10.1038/s41467020-19474-6, www.nature.com/ articles/s41467-020-19474-6
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Consumi di alimenti surgelati in lieve crescita nel 2019 Boom di consumi domestici durante il primo confinamento del 2020. Superati per la prima volta i 14 kg pro capite. Il 95,5% delle famiglie li consuma regolarmente di Roberto Villa
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el 2019 la spesa alimentare delle famiglie italiane è cresciuta dello 0,4% rispetto al 2018 (dati ISMEA). In verità, l’anno aveva dato nel primo semestre segnali più positivi (+1%), ma un deciso rallentamento nella seconda metà ha ridotto notevolmente lo slancio iniziale. Probabilmente, la sostanziale stabilità dei
consumi alimentari non è più un fatto congiunturale, ma un fenomeno strutturale. Al di là delle diverse disponibilità di reddito, sono cambiati i modelli di consumo e gli stili di vita. Continua ad aumentare la richiesta del contenuto di servizio associato all’offerta di alimenti. Analizzando il dato complessivo
dei consumi, si conferma quanto già osservato nel 2018: i prodotti confezionati crescono dell’1,9% mentre i prodotti sfusi, freschi, si contraggono decisamente: –3,1%. Nel 2019 è proseguita la crescita degli alimenti pronti, capaci di venire incontro alla sempre minore disponibilità o volontà di tempo da dedicare alla cucina.
Burger di pollo panato. Nel 2019 sono state acquistate 46.500 tonnellate di piatti ricettati, con un incremento del 2,5% rispetto all’anno precedente. Molto bene i secondi piatti: +6,2% (photo © Nelea Reazanteva – stock.adobe.com).
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Secondo l’ultimo rapporto FIPEFederazione Italiana Pubblici Esercizi, nel 2019 la spesa degli Italiani per i pasti fuoricasa ha toccato gli 86 milioni di euro (+2% rispetto al 2018). Com’è noto, nel primo semestre 2020 questo trend ha subito, a causa dello scoppio della pandemia da Coronavirus, una brusca inversione di tendenza. Consumi pro capite in aumento (14,1 kg/anno) e fatturato del settore attorno ai 4,7 miliardi di euro. Bene l’export In un mercato alimentare sostanzialmente stagnante, i surgelati hanno ripreso nel 2019 quel cammino di crescita che aveva segnato nel 2018 una battuta di arresto, a causa più di condizioni meteo non favorevoli che di un mutamento nelle preferenze del consumatore. L’anno si è chiuso con un consolidato di 849.900 tonnellate: +1,3% rispetto alle 838.580 tonnellate del 2018. Più dinamica la performance del canale delle vendite al dettaglio, che ha raggiunto le 531.400 tonnellate: +1,5% sull’anno precedente. Positiva anche quella del catering (Fuoricasa), attestatosi a 318.500 tonnellate (+1,1% sul 2018). L’aumento complessivo ha fatto sì che, per la prima volta nel nostro Paese, il consumo pro capite di surgelati abbia superato la soglia dei 14 kg annui (14,1). Anche il valore di mercato del settore ha segnato un incremento passando dai 4,3-4,6 miliardi di euro del 2018 ai 4,4-4,7 miliardi del 2019. Un’analisi dettagliata dei dati 2019 permette di constatare una crescita in volume per ogni segmento merceologico. In crescita i vegetali naturali e in particolare zuppe, passati e minestroni (e, tra questi, dei ricettati cresciuti del 2,7% rispetto all’anno precedente). I vegetali surgelati consumati nel 2019 a livello di vendite al dettaglio sono stati pari a 228.000 tonnellate (+0,5% rispetto al 2018), che li ha consacrati come un prodotto presente tutti i giorni sulle tavole degli Italiani. Nel fuoricasa le vendite hanno superato le 173.000 tonnellate (+1,2% rispetto
all’anno precedente). Le patate surgelate hanno fatto registrare nel 2019 un incremento dello 0,7%, per un quantitativo totale di 74.600 tonnellate, delle quali 72.300 nelle vendite al dettaglio. Crescono anche pizze e snack, che complessivamente registrano nel 2019 una crescita del 2,1% rispetto al 2018, con un consumo di 91.150 tonnellate ripartite tra le 78.500 del consumo domestico e le 14.600 del canale fuoricasa. Un netto calo, tipico degli ultimi anni, ha invece interessato le paste semilavorate nel canale domestico (–12,1%, passate da 910 a 800 tonnellate), a cui i consumatori preferiscono le versioni refrigerate, mentre nel canale fuoricasa sono rimaste stabili a 2.300 tonnellate. Bene infine i dessert, con un +1,0% al dettaglio (4.500 tonnellate acquistate), mentre sono stabili a 3.000 tonnellate gli acquisti nel canale fuoricasa. Nel 2019 l’export agroalimentare italiano ha toccato 35,4 miliardi di euro, con un +5,2% sul 2018. Il maggior mercato di riferimento rimane l’Unione Europea (Germania in testa), con circa due terzi del totale, seguito da Nord America e Asia. Il comparto dei surgelati partecipa a questa performance, di grande interesse strategico, in primis con i prodotti tipici trasformati come pizze e ricettati, ma molto apprezzate sono anche altre merceologie, come le primizie vegetali del Sud Italia. L’export italiano delle pizze surgelate ha oltrepassato nel 2019 le 150.000 tonnellate, con un incremento di oltre il 10% rispetto al 2018 e un valore stimabile in 500 milioni di euro.
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I piatti ricettati tornano finalmente a crescere. Molto bene i secondi piatti Nel 2019 ne sono state acquistate 46.500 tonnellate (tra dettaglio 32.900 e catering 13.600), con un incremento del 2,5% rispetto all’anno precedente. Alta qualità degli ingredienti, ricettazioni tradizionali ma nello stesso tempo innovative, velocità nelle modalità di preparazione, attenzione al bilancio nutrizionale
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rappresentano le prerogative principali che fanno di questa categoria la migliore risposta alle necessità dei consumatori e del loro rinnovato stile di vita, che lascia sempre meno spazio alle preparazioni alimentari domestiche. A livello di vendite al dettaglio in crescita i primi piatti (18.400 tonnellate, +2,4% sul 2018) e soprattutto i secondi piatti (6.800 tonnellate, +6,2%), come pure i contorni (7.700 tonnellate, +1,2%). Salgono le carni surgelate al dettaglio In leggera ripresa i consumi di carni surgelate (27.950 tonnellate, contro le 27.265 del 2018), con le carni bianche surgelate salite di oltre il 3,0%. In particolare, i consumi al dettaglio delle carni rosse sono saliti a 4.500 tonnellate, pari a +2,4% (ma erano 4.800 tonnellate nel 2016), mentre le carni bianche salgono a 8.850 tonnellate (+3,0% sul 2018), con un aumento pressoché costante nell’ultimo quadriennio. Nel canale del fuoricasa stabili le carni rosse (4.300 tonnellate), mentre proseguono la salita le carni bianche (10.300 tonnellate, +3,0%). Il primo quadrimestre 2020, periodo del confinamento forzoso dovuto alla pandemia Covid-19, ha visto un’impennata di consumi domestici, del “porta a porta” e delle vendite on-line Il 2020 è cominciato in linea con le tendenze registrate nella seconda parte del 2019. I surgelati, in particolare, hanno confermato il proprio andamento positivo, malgrado una spiccata anomalia climatica (siccità prolungata e alte temperature invernali) che, per qualche settimana, ha messo in discussione la capacità di approvvigionamento, e dunque la continuità produttiva, del settore. Poi, a fine febbraio, i primi segnali di un evento impensabile: l’epidemia del Coronavirus, che fino ad allora aveva riguardato la lontana Cina, ha colpito improvvisamente l’Italia. Le ripercussioni sulle vendite di alimentari sono state immediate: a fine febbraio si registravano le prime impennate nella GDO (+8%), prima al Nord e poi
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Nel 2019 sono cresciuti i consumi di carni surgelate, in particolare quello delle carni bianche, sia nel canale domestico che nel fuoricasa (photo © Viktor Cap 2012). nel resto del Paese. In tale contesto, i surgelati hanno registrato un forte aumento della domanda, superiore a quello degli alimenti freschi. Secondo ISMEA, nel primo trimestre 2020 la spesa complessiva delle famiglie italiane per i prodotti alimentari è aumentata del 7% su base annua, “la variazione più forte degli ultimi dieci anni”. A marzo, poi, “le vendite per i prodotti confezionati hanno registrato incrementi del 20% e quelle per i freschi sfusi del 9%”. Nel primo quadrimestre 2020 le vendite del totale surgelati al dettaglio hanno toccato un +13,5%, con performance diverse a seconda dei segmenti: • ittico +16,5%; • snack salati +21,5%; • patate +12%; • pizze +12,5%; • ricettati +5,5%. Nel 2019 il fuoricasa, con uno stimato di 318.500 tonnellate, ha superato il 37% del totale dei consumi di surgelati nel nostro Paese. Nel 2020, dopo un andamento regolare fino a metà febbraio, il canale HO.RE.CA. ha cominciato a ridurre velocemente le vendite fino a fermarsi del tutto con l’inizio del confinamento. I danni derivanti al settore dei surgelati dalla chiusura di bar, ristoranti, tavole calde,
mense scolastiche e aziendali, sono stati stimati nel primo quadrimestre 2020 pari a 150 milioni di euro. A questi potrebbe aggiungersi, da maggio a dicembre, una perdita ad oggi solo stimata di ulteriori 450-500 milioni di euro. Già nel 2019, come abbiamo visto, il segmento porta a porta dei surgelati aveva registrato prestazioni straordinarie. Con lo scoppio dell’emergenza Coronavirus i volumi di questo canale hanno segnato un boom, con incrementi nel solo mese di marzo fino a oltre il 40%. Grazie alla presenza capillare sul territorio e ad un efficiente sistema logistico, il porta a porta ha risposto a tutte le famiglie, già clienti e non, che chiedevano di ricevere comodamente i prodotti a casa, senza sottoporsi a lunghe attese davanti ai punti vendita. Nello stesso contesto va segnalata l’impennata delle vendite on-line, una modalità di acquisto relativamente nuova per il settore. Il fenomeno si inserisce nel boom del commercio on-line dei prodotti di largo consumo confezionato, che ha registrato tassi di aumento superiori al 150% anche nelle prime settimane dopo le riaperture di inizio maggio. Roberto Villa
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MACELLERIE D’ITALIA
Macelleria Etto: protagonista il Bue Rosso del Montiferru di Federica Cornia
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na passione per il cibo e la cucina da sempre, una laurea in economia, l’idea di promuovere il suo territorio d’origine nel rispetto della sostenibilità. Sono queste le premesse fondamentali che tracciano la parabola professionale di PIERLUIGI FAIS e lo portano in macelleria, lui che è uno chef. 38 anni, nato e cresciuto in Sardegna, originario del Montiferru, quando da Oristano si è tra-
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sferito a Cagliari, qui ha traslocato Josto, ristorante in cui reinterpreta la tradizione sarda in chiave moderna, ha aperto la pizzeria Framento, che si è conquistata i tre spicchi dal Gambero Rosso, e poco più in là la macelleria Etto, bottega di quartiere al mattino e bistrot della carne per cena. Doppia anima ribadita dalla scritta “Antica Macelleria Moderna” che campeggia arcuata proprio sulla porta d’ingresso.
La pizzeria al civico 82, la macelleria al civico 74, le due realtà sono così vicine che il mutuo scambio di ingredienti e prodotti è scontato, così la sera da Etto è il pane di Framento ad avvolgere gli hamburger e ad accompagnare i vari piatti a menu. Nella lista portate semplici e gustose tra cui polpette, kebab di manzo realizzato coi ritagli di carne e insalata di bollito, tutti piatti volti ad integrare la gastronomia del
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In alto: carne di Bue Rosso (photo © @nataliaghiani). In basso: carne sottoposta a frollatura. Se inizialmente la proposta di carni frollate in macelleria non aveva convinto la clientela più tradizionalista, oggi tenerezza e sapore intenso vengono molto apprezzati. A pagina 97: polpette da asporto.
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giorno. A Pierluigi, infatti, interessa utilizzare e proporre ai clienti parti di animali che di solito non si vendono, promuovendo allo stesso tempo anche una cucina locale tradizionale. Una cucina che per l’abitudine sempre più diffusa ad acquistare solo certe parti dell’animale, rischia l’estinzione. Un po’ come il Bue Rosso, razza sarda, tipica del Montiferru, zona d’origine di Pierluigi, conosciuta anche come Sardo-Modicana. Nata alla fine dell’Ottocento dall’incrocio fra bovini sardi di razza Podolica e tori di Modicana provenienti dal Ragusano in Sicilia, la sua carne è oggi presidio Slow Food. Considerata una delle carni più saporite d’Italia è anche tra le più rare: i capi oggi sono circa 3.000 e il loro mercato è esclusivamente locale (fonte: www. fondazioneslowfood.com). Insieme alla Bruno-Sarda, il Bue Rosso è al centro del progetto di sostenibilità che anima l’attività di Pierluigi, teso a sostenere e ad accompagnare lo sviluppo del comparto dell’allevamento sardo. «Lavoro da molti anni nel campo della ristorazione e ho sempre dato
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molta importanza al consumo di carne, alla sua provenienza, alla sua produzione. Al consumo etico dell’animale. Da Josto ho sempre usato solo carne locale e puntato ad utilizzare la bestia intera». Questo con l’appoggio di un macellaio, fidato collaboratore, che lo segue anche oggi. È così che Pierluigi ha sviluppato una particolare sensibilità alla scelta e alla lavorazione del prodotto e si è appassionato sempre più al mondo della carne e in virtù di questo ha deciso poi di buttarsi nell’avventura della macelleria. Col sostegno dell’amico macellaio seleziona i capi e insieme lavorano su finissaggio e frollatura (dai 15 ai 20 giorni per mezzena), procedimento quest’ultimo che applicano anche alla carne di pecora. E se inizialmente la proposta di carni frollate ha fatto un po’ arricciare il naso alla clientela più tradizionalista del quartiere, oggi tenerezza e sapore intenso ne vengono apprezzati. A banco, a fianco dei preparati, i tagli freschi: fesa, noce, sottofesa, costato e bollito. Naturalmente la predilezione per le carni di Bue
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Rosso o Bruno-Sarda non impedisce la possibilità di comprendere altre razze, purché locali e allevate al pascolo brado. Intanto, a quanto pare, tra le mille difficoltà del momento, la crescita per Etto c’è stata e c’è tutt’ora. Sembra strano a dirsi visto l’apertura della bottega appena poco prima del lockdown dello scorso marzo. Eppure è così: «con la chiusura del ristorante, il periodo di lockdown mi ha permesso da una parte di focalizzare tutta l’attenzione sulla macelleria e, dall’altra, di sviluppare tutta la pare della gastronomia di Etto con le consegne a domicilio. Insomma, abbiamo lavorato molto bene» ci dice Pierluigi. Lo dice con un che di sorpresa incredulità. E allora buon lavoro! Federica Cornia Macelleria Etto Corso Vittorio Emanuele II 74 09124 Cagliari Telefono: 070 2050985 Web: macelleriaetto.it www.facebook.com/ettomacelleria www.instagram.com/etto_macelleria
Prosegue il viaggio dedicato alla bresaola delle macellerie valtellinesi
Teglio, ricco di storia e di bresaola di Riccardo Lagorio
P
iù delle precedenti tappe, Teglio richiede una sosta lunga, poiché gli incontri con produttori di bresaola da macelleria si moltiplicano. Cöf e Casele: bresaola e slinzeghe immortali La prima fermata vede protagonisti gli animali dell’Azienda Agricola Cöf e Casele di MARCO DE FILIPPI e
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JOLANTA WILKOSZ. Animali insoliti da queste parti, bovini di razza Highlander, che da una decina d’anni vengono allevati poco fuori dal centro abitato, sulla strada che dal paese sale verso la frazione montana di Prato Valentino. «Avevo delle vacche da latte, ma si trattava di un impegno assai gravoso e antieconomico» spiega De Filippi.
Le Highlander sono animali che prediligono la pastura libera e difatti per 7 mesi all’anno pascolano in uno stato di semi-libertà; da maggio a settembre la transumanza a Prato Valentino e sulle Alpi limitrofe sino a sfiorare i 2000 metri, dove l’erba è particolarmente fibrosa, come erba olina e trifoglio di montagna. «Si accontentano di quello che c’è e, malgrado questo fatto, forniscono
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A sinistra: Teglio (photo © Silvano Rebai – stock.adobe.com). In basso: Marco De Filippi, azienda agricola Cöf e Casele, e i suoi bovini di razza Highlander. Il nome Cöf e Casele si potrebbe tradurre con “Fascine e Covoni”. Nel dialetto valtellinese i “cöf” sono le fascine degli steli della segale, essiccati e stretti tra loro come un mazzo di fiori. Le “casele” erano le fascine e covoni ottenuti con gli steli del grano saraceno. La produzione di segale e grano saraceno, alla base di numerose ricette locali come pizzoccheri e “sciatt” (palline di formaggio in pastella di grano saraceno, farina di frumento, acqua e grappa), sono pressoché azzerate.
una carne di alto livello, con un grado di marezzatura equilibrato. Si tratta di un’ottima opzione per una zootecnia di montagna». Vengono macellati i soggetti maschi quando raggiungono i 450 kg, e ciò avviene all’età di 3 anni, ma alcune femmine della mandria raggiungono i 14 anni. «Macelliamo le femmine solo nel caso siano del tutto improduttive e la carne viene
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fatta frollare per almeno 3 settimane prima di essere venduta in pacchetti da mezzo chilo sottovuoto come noce, fesa e pesce». Del posteriore, girello e muscoli sono avviati a diventare bresaola e slinzeghe. De Filippi e la moglie lasciano le parti anatomiche in una salamoia di coriandolo, spezie, sale, pepe e vino rosso prodotto in proprio
(ottime le bottiglie dell’annata 2017) per almeno una settimana, girandole costantemente. A seguire, si asciugano in un frigorifero, lo stesso dove la carne è riposta per la frollatura. «Talvolta le bresaole assumono un colore che i consumatori considerano scuro. È il prezzo che paghiamo per non usare conservanti». Minima immoralia.
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«I clienti comprano meno salumi, ma li esigono con qualità superiori, un po’ come è accaduto col vino. E, al pari del settore enoico, il salume buono è un utile passaparola per farsi conoscere» dice Mauro Moschetti. Come la sua bresaola, da degustare nella cantina sotto la macelleria
Mauro Moschetti. Moschetti: la bresaola di macelleria si degusta in cantina Teglio: ricco di storia. Palazzo Besta, belvedere sulla valle e magione del Quattrocento, dista pochi minuti di passeggio dalla macelleria di Mauro Moschetti, aperta dal padre nel 1966. «Era la classica macelleria di paese, poi il mattatoio ha dovuto chiudere perché gli adeguamenti alle normative europee sarebbero stati degli investimenti difficilmente affrontabili». La macelleria di Moschetti si è evoluta ascoltando le necessità del cliente su tre fronti: quella delle carni, dei salumi e della gastronomia. Nell’idea di Moschetti la scelta delle carni deve essere quindi in linea con i desideri del cliente e, come esempio, fornirla anche sottovuoto divisa in piccole porzioni. «Solo così la gente torna». Anche per quanto riguarda i salumi è continuamente in atto una trasformazione: «i clienti comprano
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meno salumi, ma li esigono con qualità superiori, un po’ come è accaduto nel mondo del vino. E, al pari del settore enoico, il salume buono è un utile passaparola per farsi conoscere». Così, Mauro Moschetti ha approntato una sala degustazione sotto la macelleria, nelle antiche mura in pietra della casa di famiglia, che è diventato il luogo dove si insegna a capire cosa ci sta dietro a un buon salume. La chiama cantina, con un’aura di venerazione. «La prima volta che le persone entrano nella cantina e assistono alle fasi di salatura, asciugatura e stagionatura ne escono esterrefatti. In particolare per la bresaola». La salamoia in questo caso viene preparata con sale, pepe, noce moscata, aglio, cannella e chiodi di garofano. Niente vino rosso, «perché la carne rilascia di per sé gli umori». Tolta dalla salamoia, la bresaola
passa in celle di stagionatura con temperatura più elevata per una settimana prima di approdare nella cantina. Gli esemplari più grandi attenderanno un mese e mezzo prima di essere messi in vendita. A scalare gli altri. La cantina possiede un grado di umidità adeguato alla stagionatura delle bresaole, ma è adatta anche ad ospitare le degustazioni dei prodotti di salumeria, seguiti per lo più dai turisti estivi. Nell’attesa che la stagione 2021 possa segnare un cambio di passo rispetto a quella precedente. Riccardo Lagorio Azienda Agricola Cöf e Casele Via Tudori 30 – 23036 Teglio (SO) Telefono: 328 9566355 Macelleria Mauro Moschetti Largo Giuseppe Morelli 9 23036 Teglio (SO) Telefono: 0342 782154
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Un’esplosione di profumi e sapori siciliani sulle pendici dell’Etna
Antica Macelleria Bonaccorso Caro direttore di Eurocarni, sono un macellaio, abbonato alla vostra rivista già da qualche anno. Vivo ad Aci Bonaccorsi, un piccolo paese siciliano in provincia di Catania. Mi definisco un macellaio tradizionale, come mio padre che mi ha insegnato questo mestiere. Vado nelle stalle a scegliere gli animali da macellare e faccio ancora all’antica il salame a punta di coltello e non solo. Un mio cliente, nonché amico, Giovanni Zizzi, ha scritto un breve testo sulla mia macelleria, che vi invio insieme ad alcune immagini. Se lo ritenete idoneo, mi farebbe piacere lo pubblicaste sulla vostra rivista mensile.
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L’
Antica Macelleria Bonaccorso, situata ad Aci Bonaccorsi (CT), sulle pendici del vulcano Etna, venne fondata nel 1955 da STEFANO BONACCORSO e da DONNA PIPPA. Oggi è il figlio Mario, con la moglie Adele Chiarenza e suo figlio Giovanni, maestro nel taglio delle carni e nel disosso, a continuare la tradizione della macelleria di paese a conduzione familiare. Ancor prima di entrare, si viene attratti dagli esterni del locale, sovrastato da un’enorme ruota di carretto siciliano, riccamente decorata. Su una pietra lavica alla parete una pergamena decanta i prodotti della macelleria, dai salumi siciliani ai
preparati di carni regionali, ai macellati freschi, alla pizzicheria. Se ci fossero ancora dubbi per proseguire, a chiarirli ci sono due taglieri in legno posizionati ai lati dell’ingresso dedicati ai titolari, con sopra scritto “Macellaia per amore”, riferito ad Adele, e sull’altro “Macellaio per passione” riferito al marito Mario. La vetrina esterna, per la sua creatività, è un ulteriore richiamo per chi deve fare acquisti: carni, formaggi, prosciutti di produzione propria, olive e tanto altro. L’interno è un’esplosione di colori, grazie alle tante ceramiche di Caltagirone e ai quattro lampadari decorati, e di profumi, come quello della provola
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Mario Bonaccorso con la moglie Adele Chiarenza (a sinistra) e il figlio Giovanni (in basso).
a sfoglia e della provola schiacciata dei Monti Nebrodi. Tutte le carni sono di provenienza siciliana. Dalle stigghiole (piatto tipico della cucina regionale che prevede l’uso della budella di agnello o capretto, NdR) all’insalata di carni di pollo e di trippa, dalla lingua in salsa verde al carpaccio, sono tanti i prodotti disponibili freschi e di qualità da assaporare soprattutto in estate. Infine, l’Antica Macelleria Bonaccorso da qualche anno, con un servizio di delivery, porta la sicilianità delle sue carni e una vasta gamma dei suoi salumi artigianali e i formaggi siciliani nelle case dei clienti. Giovanni Zizzi Antica Macelleria Bonaccorso Via Etna 66 95020 Aci Bonaccorsi Telefono: 095 7899813 Web: www.facebook.com/anticamacelleriabonaccorso
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ZOOTECNIA
Lo sostiene uno studio dell’Accademia dei Georgofili
Allevamenti italiani Zero Carbon entro i prossimi 10 anni
È
stato fatto molto negli ultimi decenni per ridurre l’impronta ecologica della zootecnia italiana, anche se non mancano
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gli obiettivi di miglioramento legati all’innovazione, alla ricerca e al trasferimento tecnologico per questa rilevante filiera.
È questa la sintesi di quanto emerso nel corso dell’intervento del comitato consultivo dell’Accademia dei Georgofili durante l’audizione al
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Senato su “Allevamenti e cambiamenti climatici”, presso la Commissione Agricoltura, lo scorso 2 febbraio. Le filiere delle produzioni animali italiane rappresentano circa la metà del valore dell’agroalimentare nazionale, contribuiscono all’export del made in Italy, danno occupazione a circa 150.000 persone, presidiano il 40% del territorio rurale nazionale, contrastano lo spopolamento e il degrado delle “aree interne” e sono custodi di tradizioni culturali e gastronomiche che sarebbe dannoso perdere. Gli studiosi
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dell’Accademia dei Georgofili — la più antica entità italiana di ricerca nel campo agroalimentare fondata a Firenze nel 1753 — hanno preso in considerazione tutti gli impatti degli allevamenti, ossia l’emissione di gas climalteranti, l’emissione di ammoniaca e il rilascio dei nitriti nelle acque e il consumo delle risorse idriche. Dalla ricerca emerge che il contributo della zootecnia italiana alle emissioni gas-serrigeni è modesto e in continua diminuzione, rappresentando il 5,2% del totale nazionale. Le emissioni principali sono dovute: I. alla CO2 del ciclo produttivo; II. al metano emesso soprattutto dalle fermentazioni digestive dei ruminanti (impatto principale); III. al protossido di azoto derivante sia dalla gestione delle lettiere e dei liquami sia dai concimi azotati utilizzati per le coltivazioni di foraggi e mangimi. Lo studio ricorda che l’impatto dovuto al metano enterico è il più importante e che, rispetto al 1970, gli allevamenti italiani hanno ridotto del 40% le emissioni di metano. In più, questo impatto è un problema reversibile, considerando che la sua durata media nell’atmosfera è di soli 11 anni. Inoltre, la CO2 in cui viene convertito è da fonte rinnovabile a bilancio fotosintetico zero, come quella espirata dall’uomo e dagli animali. In altre parole, l’origine biogena del carbonio del metano emesso dalle fermentazioni ruminali (il 50% delle emissioni della zootecnia), che cioè deriva da quello fissato dalle piante con la fotosintesi e ingerito dagli animali con foraggi e concentrati per essere poi riassorbito dalle piante in un ciclo biologico, fa sì non si accumuli nell’atmosfera per centinaia di anni provocandone il riscaldamento. Per quanto riguarda le emissioni azotate legate agli allevamenti, la gestione corretta delle deiezioni in stalla e in campo (il che aumenta la fertilità dei suoli) riduce fortemente le fonti di impatto. Secondo l’ISPRA, infatti, la riduzione delle emissioni
di ammoniaca degli allevamenti nel periodo 1990-2018 è stata del 23,4%. Lo studio, infine, fa chiarezza sul consumo delle risorse idriche, considerato che le produzioni zootecniche sono accusate di essere le principali consumatrici di acqua: i super citati 1.000 litri di acqua per produrre un litro di latte e i 15.000 litri per 1 kg di carne bovina sono cifre che considerano anche il contributo dell’acqua piovana, che vale oltre il 90%. Ma attenzione: se si considerano le acque di riciclo e l’acqua piovana raccolta, i dati dell’impronta idrica reale sono, per il latte, 100-300 litri, e per la carne 500-1.000 litri, cioè in linea con gli altri prodotti agricoli. Lo studio, poi, va oltre nello smentire il più importante luogo comune sull’argomento: se si volesse comunque considerare l’acqua verde, questa dovrebbe essere valutata come differenza fra l’evapotraspirazione delle superfici foraggere e cerealicole destinate per la produzione degli alimenti zootecnici e quella delle superfici naturali indisturbate (con l’uso del metodo della net Water Footprint - nWFP): con questo metodo superfici investite a pascolo naturalmente inerbito possono addirittura mostrare, nei nostri ambienti mediterranei, un valore della nWFP negativo, conferendo ai prodotti ottenuti un valore positivo e non impattante sulla risorsa idrica. In conclusione, il progressivo miglioramento dell’efficienza produttiva e gestionale degli allevamenti può far intravedere l’ambizioso obiettivo Zero Carbon entro dieci anni. L’inserimento del bilancio di filiera del carbonio nel novero delle premialità previste dal prossimo Piano Nazionale di Sviluppo Rurale costituisce un obiettivo primario del prossimo ciclo di programmazione PAC per l’Italia. Fonte: EFA News European Food Agency Nota Photo © Alberto_Patron – stock. adobe.com
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BENESSERE ANIMALE
Sintesi del Ce.I.R.S.A. sul documento EFSA
Il benessere dei bovini durante la macellazione
L’
EFSA ha pubblicato un nuovo parere scientifico sul benessere dei bovini in sede di macellazione1. Questo studio sarà seguito da pareri specifici anche per altre specie animali (suini, polli e conigli) e si inserisce in un contesto di aggiornamento europeo in materia di benessere al macello. La Commissione europea ha infatti chiesto all’EFSA di fornire un parere indipendente sulla macellazione dei bovini destinati al consumo umano che comprenda tutte le
fasi del processo di macellazione. Il parere scientifico concerne l’identificazione dei pericoli che portano a conseguenze negative sul benessere dei bovini durante la macellazione e le relative misure di prevenzione e/o correzione. I pericoli, la loro origine, le misure preventive e correttive, le conseguenze sul benessere e le relative misure animal-based sono stati identificati sulla base di ricerche bibliografiche e del parere di esperti e tengono conto delle comuni pratiche di macellazione.
La normativa europea di riferimento per il benessere degli animali è il Reg. CE 1099/2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento. Questo regolamento definisce la macellazione come “l’abbattimento di animali destinati all’alimentazione umana” e le operazioni correlate come “operazioni quali il maneggiamento, la stabulazione, l’immobilizzazione, lo stordimento e il dissanguamento degli animali che hanno luogo nel contesto e nel luogo dell’abbattimento”.
Ricordiamo che la sicurezza della filiera alimentare è direttamente connessa al benessere degli animali, in particolare nel caso di animali allevati per la produzione di alimenti. Le buone prassi per il benessere degli animali, infatti, non solo riducono inutili sofferenze, ma contribuiscono anche a rendere gli animali più sani.
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Jarvis, qualità certa, anzi certificata
Una nuova generazione di storditori storditoori e cartucce universali Sicuri che i sistemi a cui vi affidate siano certificati? Quelli di Jarvis lo sono. Le nuove certificazioni CE assicurano che le cartucce e le pistole per l’abbattimento Jarvis lavorino nel pieno rispetto del regolamento CE 1099/2009 per il benessere animale. La gamma delle cartucce Jarvis certificata C.I.P., è pienamente compatibile con i modelli di altre marche attualmente sul mercato. Il nostro centro di Assistenza tecnica è qualificato per riparazioni ed emissione test di conformità degli abbattibuoi di tutte le marche. Jarvis è una certezza di qualità ed assistenza tecnica. Jarvis è certificata.
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2017 EC Type-examination Certificate issued by PTB Braunschwieg / D
1. ricerca in letteratura; 2. consultazione dei rappresentanti degli Stati Membri; 3. parere di esperti in gruppo di lavoro. Questo parere scientifico riguarda l’abbattimento di bovini destinati al consumo umano che potrebbe avvenire in un macello o durante la macellazione in azienda. Nel contesto di questo parere, ogni operazione correlata è un processo e diverse operazioni correlate (processi) sono raggruppate in fasi. Le fasi che sono state valutate nel presente parere, dall’arrivo fino all’abbattimento dell’animale, sono le seguenti: 1. FASE 1 – PRE-STORDIMENTO II. Arrivo; III. Scarico degli animali dal mezzo di trasporto; IV. Stabulazione; V. Manipolazione e trasferimento nella zona di stordimento; 2. FASE 2 – STORDIMENTO * Dall’immobilizzazione dell’animale fino all’effettivo stordimento; 3. FASE 3 – DISSANGUAMENTO * Dissanguamento dopo lo stordimento la macellazione senza stordimento.
In totale EFSA ha individuato 40 pericoli che potrebbero verificarsi durante la macellazione. La maggior parte di essi (39 su 40) sono conseguenza di una preparazione inadeguata del personale addetto o di stanchezza. Il parere scientifico Nel parere sono stati identificati 4 obiettivi: 1. identificare i pericoli per il benessere degli animali e la loro possibile causa in termini di strutture/attrezzature e personale; 2. definire i criteri qualitativi o misurabili per valutare le prestazioni in materia di benessere animale (ABM, misure animalbased); 3. fornire misure preventive e
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correttive (strutturali o gestionali) per affrontare i pericoli identificati; 4. indicare i pericoli specifici relativi alle specie o alla categoria di animale (ad es. tori da riproduzione, giovani vitelli). Inoltre, la Commissione europea ha chiesto all’EFSA di indicare un elenco di metodi, procedure o pratiche ritenute inaccettabili. Per l’elaborazione del parere sono stati utilizzati tre approcci principali:
Fase 1 – Pre-stordimento La fase di pre-stordimento comprende quattro processi: arrivo, scarico dal mezzo di trasporto, stabulazione e manipolazione/ spostamento degli animali verso la zona di stordimento. Prima e durante l’arrivo degli animali al macello i pericoli sono essenzialmente di origine fisica. Trasporti lunghi e difficoltosi, digiuno prolungato, temperature o qualità dell’aria o dell’acqua inadeguate, aggressioni da parte di altri animali o attrezzature possono causare stanchezza, fame, sete, disagio termico e respiratorio, paura e dolore. Il peggioramento del benessere può anche avere un’origine psicologica, come il disturbo sociale (separazione dal gruppo di allevamento, mescolanza di animali non familiari, alta densità) o la paura (ambienti non familiari, manipo-
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Fase 1 – Arrivo Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Temperatura percepita troppo elevata
Stress da calore. Affaticamento.
Attrezzature. Strutture. Assenza di operatori Personale. qualificati. Ambiente. Ventilazione insufficiente sul mezzo di trasporto. Attesa prolungata.
Formazione del personale. Aumento dello spazio. Corretta programmazione del viaggio in modo da evitare le ore più calde della giornata. Ventilazione adeguata sul mezzo di trasporto. Protezione da condizioni meteo avverse.
Fornire un’adeguata ventilazione e/o sistemi di raffreddamento.
Temperatura percepita troppo bassa
Stress da freddo.
Attrezzatura. Strutture. Personale.
Assenza di operatori qualificati. Assenza di protezione dall’ambiente. Attesa prolungata.
Formazione del personale. Protezione da condizioni meteo avverse. Corretta programmazione del viaggio in modo da evitare le ore più fredde della giornata.
Scaricare immediatamente e portare gli animali in una zona termicamente neutra (riscaldata).
Spazio insufficiente
Limitazione dei movimenti. Stress da caldo. Affaticamento.
Personale.
Assenza di operatori qualificati. Sovraffollamento sul mezzo di trasporto.
Formazione del personale. Adattare il numero di animali alle dimensioni del compartimento.
Scaricare il prima possibile gli animali.
Mancata somministrazione di alimenti
Digiuno prolungato. Affaticamento.
Personale.
Assenza di operatori qualificati. Alimentazione sospesa con troppo anticipo rispetto al trasporto. Trasporto e/o attesa prolungati.
Formazione del personale. Pianificazione dell’alimentazione. Pianificazione delle macellazioni e individuazione delle priorità.
Scaricare il prima possibile e alimentare gli animali. Scaricare il prima possibile e macellare gli animali.
Mancata somministrazione di acqua
Sete prolungata. Affaticamento. Stress da caldo.
Personale.
Assenza di operatori qualificati. Acqua ritirata troppo presto prima del trasporto. Trasporto e/o attesa prolungati.
Formazione del personale. Gli animali dovrebbero avere accesso all’acqua fino al carico sul mezzo di trasporto.
Scaricare il prima possibile e abbeverare gli animali. Scaricare il prima possibile e macellare.
Misure preventive
Misure correttive
Fase 1 – Scarico degli animali Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Manipolazione inadeguata
Dolore, paura, limitazione dei movimenti.
Personale.
Assenza di operatori qualificati. Manipolazione impropria degli animali. Utilizzo di pungolo elettrico.
Formare il personale sulla corretta manipolazione degli animali. Rotazione del personale. Utilizzo di strumenti appropriati.
Istruire l’operatore a interrompere la manipolazione inappropriata. Implementare la rotazione del personale oppure macellare l’animale il prima possibile.
Progettazione, costruzione e manutenzione inadeguata dei locali
Dolore, paura, limitazione dei movimenti.
Strutture.
Rampa troppo ripida. Illuminazione inadeguata. Pavimento/ rampa scivolosi/ sporchi. Assenza di protezioni laterali solide. Presenza di spazio vuoto tra mezzo di trasporto e rampa.
Assicurare la manutenzione dell’area. Ripristinare l’area di scarico degli animali.
Pulire il pavimento/ rampa. Utilizzare sabbia o paglia per rendere meno scivolosa la pavimentazione.
Forte rumore improvviso
Paura.
Personale.
Personale che urla o fa rumore.
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Nessuna.
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Fase 1 – Stabulazione Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Temperatura percepita troppo elevata
Stress da calore. Affaticamento.
Attrezzatura. Strutture. Personale.
Condizioni ambientali. Ventilazione insufficiente.
Formazione del personale. Aumento dello spazio a disposizione. Programmazione del viaggio per evitare le ore più calde. Assicurare ventilazione adeguata in stabulazione.
Stabilire priorità nella macellazione. Fornire un sistema di raffreddamento (doccette).
Temperatura percepita troppo bassa
Stress da freddo.
Attrezzatura. Strutture. Personale.
Assenza di protezioni da vento e pioggia. Esposizione diretta a basse temperature.
Formazione del personale. Prima della partenza fornire protezioni. Programmazione del viaggio per evitare le ore più fredde. La stabulazione non deve avvenire in condizioni climatiche avverse. Fornire lettiera adeguata.
Macellare gli animali il prima possibile.
Privazione di cibo prolungata
Digiuno prolungato. Affaticamento.
Personale.
Privazione di cibo prolungata prima del trasporto. Tempi di trasporto e/o attesa prolungati. Tempi di stabulazione prolungati.
Formazione del personale. Evitare di togliere l’alimentazione prima del trasporto. Programmare la macellazione. Dare priorità alla macellazione. Fornire alimenti se si prevede un ritardo nella macellazione.
Macellare il prima possibile. Somministrare alimenti.
Privazione di acqua prolungata
Mancato accesso all’acqua di abbeverata prolungato. Affaticamento.
Personale. Strutture.
Acqua non accessibile durante il trasporto. Trasporto prolungato. Assenza di abbeveratoi adeguati in stabulazione.
Formazione del personale. Accesso all’acqua in allevamento fino al trasporto e accesso durante il trasporto e in stabulazione (controllare che il sistema di approvvigionamento idrico funzioni).
Macellare il prima possibile. Somministrare acqua.
Forte rumore improvviso
Paura.
Attrezzatura. Strutture. Personale.
Grida del personale. Rumori di macchinari. Attiva progettazione e disposizione dei locali.
Identificare ed eliminare la fonte del rumore. Macchinari costruiti adeguatamente. Formazione del personale. Evitare grida del personale e macchinari rumorosi vicino agli animali.
Ammonire / avvisare il personale.
Spazio insufficiente
Limitazione dei movi- Personale. menti. Stress da calore. Problemi con il riposo. Affaticamento.
Sovraffollamento del box.
Formazione del personale. Esporre cartelli con n. max di animali per box.
Adattare il numero di animali rispetto alla dimensione dei box.
Mischiare animali sconosciuti
Paura. Dolore. Stress sociale. Affaticamento.
Personale. Strutture.
Mancata separazione di animali di provenienza diversa.
Non separare nel box animali provenienti dallo stesso allevamento. Non mischiare animali con e senza corna.
Isolare gli animali aggressivi. Macellare animali di gruppi misti il prima possibile.
Progettazione, costruzione e manutenzione inadeguata dei locali
Paura. Dolore. Limitazione dei movimenti. Problemi con il riposo.
Personale. Strutture.
Progettazione inadeguata dell’edificio. Pulizia assente o insufficiente dell’area. Mancanza di un drenaggio adeguato.
Progettare le strutture in base a esigenze etologiche speciespecifiche. Fornire una recinzione tubolare sopraelevata per evitare la monta nei tori.
Pulire e asciugare le zone di stabulazione. Fornire lettiera.
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Fase 1 – Manipolazione e trasferimento nella zona di stordimento Pericolo
Conseguenze sul benessere
Misure preventive
Misure correttive
Manipolazione errata
Dolore. Paura. Limitazione dei movimenti.
Personale. Attrezzature. Strutture.
Assenza di operatori qualificati. Manipolazione errata degli animali. Utilizzo di pungoli elettrici. Fretta/impazienza.
Formazione specifica del personale. Attrezzatura appropriata (alternativa a pungoli elettrici) e strutture per spostare gli animali.
Nessuna. Riprendere il personale.
Spostare gli animali dal box al corridoio verso la gabbia di abbattimento
Dolore. Paura.
Personale. Strutture.
Utilizzo della forza o di pungoli elettrici. Flusso troppo veloce.
Formazione del personale. Progettare, costruire e mantenere gli impianti in modo tale da ridurre gradualmente il numero di animali da immettere nel corridoio verso la gabbia di abbattimento. Non pungolare gli animali se non hanno spazio davanti per muoversi. Rallentare il flusso.
Nessuna. Riprendere il personale. Permettere agli animali di spostarsi da soli.
Progettazione, costruzione e manutenzione inadeguata dei locali
Dolore. Paura. Limitazione dei movimenti.
Personale. Strutture. Attrezzature.
Strutture erroneamente progettate (es. rampa). Illuminazione inadeguata. Mancanza di pareti piene. Distrazione. Pulizia giornaliera inadeguata.
Assicurare una corretta progettazione, costruzione e manutenzione della struttura. Progettare le strutture in base a esigenze etologiche specie-specifiche.
Nessuna.
Rumori forti ed improvvisi
Paura.
Personale. Strutture. Attrezzature.
Urla del personale. Rumori di macchinari. Rumori di attrezzature.
Identificare e eliminare la fonte del rumore. Formazione del personale. Evitare che il personale urli.
Identificare ed eliminare la fonte del rumore.
lazione, rumori forti, odori). Il modo in cui un animale reagisce a tali fonti di stress dipende da una serie di fattori endogeni ed esogeni, come la razza, l’età e l’abitudine alla manipolazione umana. Anche i comportamenti e le azioni degli operatori influenzano i livelli di stress pre-abbattimento degli animali e il loro benessere. Fase 2 – Stordimento Lo stordimento è qualsiasi processo intenzionalmente indotto che causa la perdita di coscienza e di sensibilità senza dolore, compreso qualsiasi processo che porta alla morte istantanea. La fase di stordimento comprende il metodo dello stordimento stesso e le relative pratiche di immobilizzazione. In questa prospettiva, per “immobilizzazione” si intende l’applicazione ad un animale di qualsiasi procedura volta a limitarne i movimenti al
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Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
ABM – Misure animal-based Sono riportate le misure animal-based più comuni per i principali pericoli identificati: • stress da calore = frequenza respiratoria aumentata (la sudorazione è difficile da valutare); • stress da freddo = tremori/brividi; • digiuno prolungato = non esiste un ABM specifico che possa essere utilizzato all’arrivo dell’animale; • sete prolungata = non esiste un ABM specifico che possa essere utilizzato all’arrivo dell’animale; • affaticamento = prostrazione (riluttanza a muoversi se l’animale è in piedi, ma nessun segno di zoppia, come il ripetuto spostamento del peso o la riluttanza a sopportare il peso) e tachipnea; • limitazione dei movimenti = si utilizza lo spazio disponibile per valutare indirettamente questo pericolo; • movimento ostacolato = scivolamenti e cadute; • dolore e paura = tentativi di fuga, vocalizzazioni (di varia natura a seconda della fase di macellazione), lesioni, zoppia, riluttanza al movimento; • stress sociale = aggressività e tentativi di monta.
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fine di facilitare l’effettivo stordimento e la morte. Gli animali devono essere resi immediatamente incoscienti e in-
sensibili con il metodo di stordimento e devono rimanere tali fino alla morte per dissanguamento. I principali metodi di stordimen-
to utilizzati nella macellazione dei bovini sono raggruppati in: * metodi meccanici; * metodi elettrici.
Fase 2 – Stordimento meccanico con proiettile captivo penetrante Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Contenimento e/o contenimento non corretto
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
È richiesta l’immobilizzazione dell’animale e la presentazione della testa dell’animale verso l’operatore.
Utilizzare un poggiatesta o utilizzare una pressione ottimale per la testa e il corpo in base alle dimensioni dell’animale in immobilizzazione attiva.
Tempo di contenimento il più breve possibile. Ridurre la pressione.
Errato posizionamento dello strumento e direzione del colpo
Dolore. Paura.
Personale.
Assenza di personale qualificato. Stanchezza dell’operatore. Contenimento inadeguato. Errato posizionamento della pistola a causa della forma della testa.
Formazione e rotazione del personale. Contenimento adeguato e posizionamento della pistola corretto.
Stordimento nella posizione corretta e con la direzione corretta.
Errati parametri del proiettile captivo (calibro)
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
Assenza di personale qualificato. Scelta dell’attrezzatura sbagliata. Proiettile non idoneo. Calibro non idoneo. Capacità di penetrazione del proiettile non sufficiente.
Formazione del personale. Contenimento adeguato. Assicurarsi di utilizzare le attrezzature corrette in base alla specie e alla categoria di animali. Manutenzione regolare delle attrezzature.
Stordimento con parametri corretti oppure applicare la procedura di emergenza.
Fase 2 –Stordimento meccanico con proiettile captivo non-penetrante Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Contenimento e/o contenimento non corretto
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
È richiesta l’immobilizzazione della testa e la presentazione verso l’operatore.
Nessuna. Utilizzare un poggiatesta oppure utilizzare una pressione ottimale per la testa e il corpo in base alle dimensioni dell’animale.
Tempo di contenimento il più breve possibile.
Errato posizionamento e direzione del colpo
Dolore. Paura.
Personale.
Mancanza di personale qualificato. Stanchezza dell’operatore. Contenimento inadeguato. Errato posizionamento della pistola a causa della forma della testa.
Formazione e rotazione del personale. Contenimento adeguato e posizionamento della pistola corretto
Stordimento nella posizione corretta e con la direzione corretta.
Errati parametri del proiettile captivo
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
Mancanza di personale qualificato. Scelta dell’attrezzatura sbagliata. Cartuccia e potenza sbagliate. Scarsa manutenzione delle attrezzature. Diametro del proiettile troppo stretto. Velocità del proiettile bassa.
Formazione del personale. Contenimento adeguato. Assicurarsi di utilizzare le attrezzature giuste per lo scopo. Manutenzione regolare delle attrezzature.
Stordimento con parametri corretti oppure applicare la procedura di emergenza.
ABM: vocalizzazioni, tentativi di fuga (dolore, paura), lesioni (dolore), segni di coscienza dopo lo stordimento (come prerequisito per provare dolore e paura).
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Fase 2 –Stordimento elettrico Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Contenimento e/o contenimento non corretto
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura. Strutture.
È richiesta la presentazione dell’animale verso l’operatore.
Utilizzare un contenimento ottimale in base alle dimensioni dell’animale.
Tempo di contenimento il più breve possibile. Ridurre la pressione.
Errato posizionamento degli elettrodi
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
Mancata regolazione dell’attrezzatura in base alle dimensioni dell’animale. Mancanza di personale qualificato. Contenimento inadeguato.
Regolare/sincronizzare l’attrezzatura. Formazione del personale.
Applicare la procedura di emergenza.
Contatto elettrico inadeguato
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
Mancanza di personale qualificato. Attrezzature mal progettate, costruite e mantenute. Contatto intermittente.
Formazione del personale. Assicurare una corretta presentazione dell’animale. Assicurare una corretta manutenzione delle attrezzature. Assicurarsi che le attrezzature comprendano elettrodi di taglia adeguata. Assicurare un contatto continuo tra elettrodi e testa. Assicurare la calibrazione regolare delle attrezzature. Pulizia regolare degli elettrodi.
Applicare la procedura di emergenza.
Tempo di esposizione troppo breve
Dolore. Paura.
Personale.
Mancanza di personale qualificato. Velocità della catena alta.
Formazione del perso- Applicare la procedura nale. Ridurre la velocità di emergenza. della catena. Assicurarsi che nello storditore sia incorporato un timer per monitorare il tempo di esposizione oppure utilizzare un sistema di allarme visivo o uditivo per avvisare l’operatore.
Parametri elettrici inadeguati
Dolore. Paura.
Personale. Attrezzatura.
Parametri o attrezzature elettriche sbagliate. Taratura scarsa o assente. Tensione/corrente applicata troppo bassa. Frequenza applicata troppo alta per la quantità di corrente da erogare. Mancanza di operatori qualificati. Mancanza di monitoraggio della qualità dello stordimento. Mancanza di regolazioni delle impostazioni per soddisfare i requisiti. Scarsa manutenzione e pulizia dell’attrezzatura.
Usare parametri adeguati alla frequenza e alle forme d’onda della corrente. Assicurarsi che la tensione sia sufficiente a erogare una corrente minima. Calibrazione e manutenzione regolare dell’attrezzatura. Formazione del personale. Valutare i fattori che contribuiscono a un’alta resistenza elettrica e minimizzare/eliminare la fonte della resistenza alta. Monitorare regolarmente la qualità dello stordimento e regolare l’attrezzatura di conseguenza. Usare attrezzature a corrente costante. Pulire regolarmente gli elettrodi.
Applicare la procedura di emergenza.
ABM: vocalizzazioni, tentativi di fuga (dolore, paura), lesioni (dolore), segni di coscienza dopo lo stordimento (come prerequisito per provare dolore e paura).
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Eurocarni, 4/21
Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le più importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre più all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.
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Fase 3 – Dissanguamento Il dissanguamento dei bovini subito dopo lo stordimento è una fase importante del processo di macellazione e serve a provocare la morte negli animali privi di coscienza. Nelle fasi di macellazione i bovini vengono dissanguati con un coltello che recide il tronco brachiocefalico (tale arteria dà origine alle arterie carotidee e all’arteria vertebrale). Conclusioni Questo report fornisce un parere indipendente sulla macellazione dei bovini che si concentra sull’identificazione dei pericoli che portano a conseguenze negative per il benessere di questi duran-
te la macellazione. I pericoli, le loro cause, le misure preventive e correttive, le conseguenze sul benes sere e le relative misure animal-based sono stati identificati sulla base di ricerche bibliografiche e del parere di esperti e tengono conto delle comuni pratiche di macellazione. Le conclusioni generali del report sono le seguenti: 1. durante la macellazione i bovini possono subire conseguenze negative sul benessere, come stress da calore, stress da freddo, stanchezza, sete prolungata, fame prolungata, movimenti ostacolati, limitazioni dei movimenti, mancanza di riposo, stress sociale, dolore, paura
e angoscia. La coscienza è un prerequisito affinché i bovini possano provare dolore, paura e angoscia; 2. gli animali che vengono storditi in modo inefficace, che riprendono coscienza o che vengono macellati senza stordimento, saranno esposti ai pericoli e ne subiranno le conseguenze in termini di benessere. Il dolore e la paura possono essere valutati indirettamente valutando lo stato di coscienza e utilizzando ABM specifici in tutte le fasi; 3. durante la macellazione i bovini possono essere esposti a diversi pericoli, che potrebbero avere un effetto cumulativo
Fase 3 – Dissanguamento Pericolo
Conseguenze sul benessere
Origine del pericolo
Dettagli sull’origine
Misure preventive
Misure correttive
Intervallo stordimento-iugulazione prolungato
Dolore. Paura. Sofferenza.
Personale. Attrezzatura.
Assenza di operatori qualificati. Ritardo nel sollevamento e nella iugulazione. Posizione della gabbia di stordimento lontana dalla postazione di dissanguamento.
Formare il personale. Sollevamento rapido dell’animale. Resezione immediata del tronco bc/carotidi.
Ripetere lo stordimento.
Incompleta resezione del tronco brachiocefalico o delle carotidi
Dolore. Paura. Sofferenza.
Strutture. Attrezzatura.
Assenza di operatori qualificati. Lama del coltello smussata o corta. Ferita superficiale.
Formazione del personale. Utilizzo di coltello affilato e sufficientemente lungo da raggiungere il tronco bc. Assicurarsi che il tronco bc venga tagliato. Assicurarsi che l’incisione sia abbastanza ampia per un dissanguamento profuso.
Corretta resezione del tronco bc.
Iugulazione di un bovino cosciente
Paura. Sofferenza.
Personale.
Assenza di operatori qualificati. Stordimento inefficace o ripresa di coscienza. Mancanza di monitoraggio dello stato di coscienza.
Stordimento e Ri-stordimento prima tempo stordimentodella iugulazione. iugulazione adeguati. Formazione specifica sul monitoraggio dello stato di coscienza.
Mancato rilievo dell’occlusione aortica
Dolore. Paura. Sofferenza.
Personale. Attrezzatura.
Assenza di operatori qualificati. Mancanza di monitoraggio dello stato di coscienza.
Formazione del personale. Monitoraggio del dissanguamento.
Ri-stordimento se l’animale ha riacquistato coscienza. Rimozione dell’occlusione.
Assenza di operatori qualificati. Tempo di dissanguamento breve. Resezione incompleta del tronco bc o delle carotidi. Mancanza di monitoraggio dello stato di coscienza.
Formazione del personale. Assicurarsi della morte prima delle operazioni di macellazione successive.
Ritardare le operazioni se la causa è il breve periodo di dissanguamento. Tagliare interamente le carotidi se è per taglio incompleto.
Manipolazione/incisione di un bovino ancora vivo
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Eurocarni, 4/21
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sulle conseguenze in termini di benessere (ad esempio, la privazione di acqua, l’insufficiente disponibilità di spazio e la temperatura percepita troppo elevata avranno un effetto cumulativo e aggraveranno lo stress da calore); l’esposizione ad alcuni pericoli potrebbe persistere durante tutte le fasi fino a quando l’animale non perde conoscenza (ad es. privazione di cibo); altri pericoli potrebbero essere presenti solo durante una fase, ma la conseguenza sul benessere potrebbe persistere durante i processi e le fasi successive fino a quando l’animale non viene reso incosciente (ad esempio, dolore dovuto ad una manipolazione inadeguata); le ABM sono state identificate per la valutazione di tutte le conseguenze sul benessere, ad eccezione della sete prolungata al momento dell’arrivo e del digiuno prolungato; la maggior parte dei pericoli identificati sono associati all’assenza o carenza di competenze e formazione del personale (manipolazione inadeguata) e alla inadeguata progettazione, costruzione e manutenzione dei locali. Il gruppo di esperti scientifici considera la mancanza di competenze o la mancanza di formazione del personale che lavora nel macello una seria problematica nell’ambito del benessere animale. Fonte: Ce.I.R.S.A. Centro Interdipartimentale di Ricerca e Documentazione sulla Sicurezza Alimentare www.ceirsa.org
Nota 1. Sintesi a cura del Ce.I.R.S.A. del documento “Welfare of cattle at slaughter”, EFSA Scientific Opinion, 24 September 2020. Per ulteriori approfondimenti il documento completo di EFSA in lingua inglese si può leggere gratuitamente nel sito dell’Agenzia al seguente link: www. efsa.europa.eu/it/efsajournal/ pub/6275
Eurocarni, 4/21
Artigiani delle Carni – Macellai di Roma e Lazio si costituisce in associazione Artigiani delle Carni è nata dalla volontà di alcuni imprenditori romani di riportare il mondo delle carni al centro del dibattito pubblico con l’obiettivo di valorizzare la figura del macellaio e di rilanciare un’arte che fa della specializzazione un valore aggiunto imprescindibile. La costituzione è stata formalizzata lo scorso 3 marzo a Roma presso la sede del Coride. L’associazione è l’espressione unitaria dei soggetti imprenditoriali, professionali e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito della distribuzione e vendita al dettaglio di prodotti alimentari e della macelleria attive ed aventi sede o unità locali nel territorio della Regione Lazio. Si presenta come un grande network che punta alla valorizzazione della figura del macellaio e ne supporta la crescita aiutandolo a leggere e ad anticipare i mutamenti del mondo contemporaneo. È trascorso solo un anno da quando è stata accolta la sfida di riportare il settore delle carni al centro del dibattito pubblico con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo e l’evoluzione della macelleria tradizionale. Fin da subito l’approccio adottato ha messo in primo piano l’innovazione e la digitalizzazione del settore viste come urgenze di cui tener conto per meglio rispondere ai cambiamenti del mercato e del consumatore. «Siamo orgogliosi di questo risultato. In poco tempo siamo diventati un punto di riferimento per tanti professionisti e operatori del settore» ha sottolineato Alessandro Giovannini, presidente della neonata associazione. «La nascita di Artigiani delle Carni come associazione è un momento significativo che consolida quanto fatto finora e che ci motiva a spingere ancora di più il piede sull’acceleratore dello sviluppo. Abbiamo intrapreso un forte processo di digitalizzazione che sta incidendo positivamente su tutti gli aspetti di gestione del business, a partire dalla comunicazione con il cliente. Grazie all’uso dei media digitali possiamo costruire la nostra presenza on-line e allargare il bacino dei potenziali clienti».
>> Link: artigianidellecarni.it
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STREET FOOD
L’incredibile storia dell’hot-dog danese che compie 100 anni Tra le immagini più belle di Copenaghen c’è sicuramente quella di un venditore di hot-dog che, con tutta calma, si trascina il suo chioschetto lungo una strada trafficata, seguito da una lunga fila di automobilisti per nulla infastiditi. Forse qualcuno lo è, ma sarebbe davvero “poco danese” suonare il clacson o mostrare insofferenza. Gli hot-dog (e i loro venditori) sono un vero mito in Danimarca: tutti li adorano! Sapete perché? di Hazel Evans
G
È stato il primo esempio di fast food danese ed ancora oggi è considerato quasi un piatto nazionale. L’hot-dog danese è noto per i suoi gustosi condimenti come cipolle crude e fritte, sottaceti a fettine e tre tipi di salse (ketchup, senape e remoulade). Del classico hot-dog oggi si possono trovare anche versioni rivisitate biologiche, Nordic style e gourmet. Il ristorante stellato Me|Mu di Vejle, ad esempio, ha vinto il Campionato nazionale di hot-dog (sì, esiste!) negli ultimi due anni. Nel 2019, la loro ricetta includeva mele affumicate, chorizo, salicornia locale in salamoia e maionese al peperoncino habanero (photo © Maria Nielsen_pølse).
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ià diffusi in Germania, durante la Prima Guerra Mondiale, i chioschi di hot-dog cominciarono a prendere piede anche in Svezia e Norvegia, ma solo nel 1921 arrivarono finalmente in Danimarca. Prima di allora, gli aspiranti venditori avevano presentato ripetute domande al comune per ottenere l’autorizzazione alla vendita in strada, dalla chiusura dei ristoranti fino alle 2:30 del mattino. Tutte le loro richieste erano state però respinte con varie motivazioni, che andavano dai timori di intralcio al traffico, al fatto che mangiare per strada era ritenuto disdicevole. In più, i ristoranti tradizionali ostacolavano in ogni modo le richieste per paura di avere nuovi concorrenti. Finalmente, nel 1921, il danese CHARLES SVENDSEN STEVNS, che da dieci anni gestiva un fiorente chiosco di hot-dog a Kristiania (l’odierna Oslo), ottenne il permesso di venderne anche per le strade di diverse località nei pressi di Copenaghen. I primi furgoni per hot-dog danesi erano molto diversi da quelli che conosciamo oggi. Erano piccoli carretti con grandi ruote in legno e solo quelli più elaborati avevano un tettuccio sotto il quale il venditore poteva ripararsi. Le salsicce costava-
Eurocarni, 4/21
no 25 øre (gli øre sono centesimi di corona, NdR) e per il pane era richiesto un extra di 5 øre. Poca roba per i nostri standard, ma negli anni ‘20 era una cifra considerevole e non tutti potevano permettersi un hot-dog. Eppure fu un vero successo! Nel giro di pochissimo tempo i chioschi conquistarono non solo le strade della capitale, ma anche quelle di Odense, Aarhus e Aalborg. Negli anni ‘30, quando gli hot-dog divennero ancora più diffusi, in Danimarca cominciò a nascere un movimento di protesta. La maggior parte dei furgoni di hot-dog, infatti, era in mano a ricchi imprenditori che guadagnavano tra le 140 e le 700 corone a settimana per furgone, mentre lo stipendio medio dei venditori era di 25 corone a settimana. Vendere hot-dog in Danimarca: una “questione personale” Nel 1942, alcuni venditori di hotdog di Copenaghen si unirono per protestare su questo tema e presentarono al sindaco un’istanza di revisione delle leggi sui chioschi di hot-dog. La richiesta fu accolta e le nuove norme stabilirono che i venditori di hot-dog fossero lavoratori autonomi con permessi individuali alla vendita in determinate zone della città. Nella Danimarca degli anni ‘40, però, potevano essere lavoratori autonomi solo i disabili o gli individui per qualche ragione impossibilitati a svolgere un lavoro tradizionale. Questa riforma cambiò radicalmente il settore della vendita di hot-dog a Copenaghen e in molte altre città della Danimarca. Ora che i venditori non erano più dei dipendenti, si dedicavano con maggiore attenzione agli affari e naturalmente anche alla preparazione degli hot-dog! Ecco perché la maggior parte dei chioschi di hotdog che si incontra passeggiando in qualsiasi città della Danimarca si chiama come il suo attuale o storico proprietario: “Lone’s Sausages”, “John’s Hotdog Deli”, “Harry’s Place”… Vendere hot-dog in Danimarca è una faccenda molto, ma molto personale! Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale,
Eurocarni, 4/21
I chioschi di hot-dog in Danimarca sono una vera e propria istituzione culturale e soddisfano i palati dei Danesi da ben 100 anni: il 18 gennaio 1921, infatti, sei piccoli carretti bianchi iniziarono a vendere per le strade di Copenaghen le prime salsicce accompagnate da pane e senape ispirandosi al comfort food tedesco. Un secolo dopo, il classico hot dog danese può essere ancora gustato nei chioschi per le strade in Danimarca, sebbene ne siano rimasti solo il 10% rispetto a quando raggiunsero il periodo di massima diffusione dopo la Seconda Guerra Mondiale con quasi 500 stand di hot dog nella sola città di Copenaghen (photo © LABAN Stories). l’hot-dog diventò un vero e proprio simbolo della Danimarca. Ogni cittadina e stazione ferroviaria del Paese avevano il loro chiosco e le vendite raggiunsero livelli mai visti. Nel 1950 si contavano 400 chioschi solo a Copenaghen. Nel 2010 il numero è sceso a 60, anche a causa della concorrenza di altri fast food e di nuovi cibi da strada arrivati in Danimarca tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. Nonostante tutto, i chioschi di hot-dog sono ancora un simbolo del Paese e occupano un posto speciale nel cuore dei Danesi che difficilmente verrà rimpiazzato da altri fast food. I chioschi di hot-dog sono tra i pochi luoghi in cui i Danesi mangiano da soli, cosa abbastanza rara in Danimarca. Per questo motivo, spesso è proprio qui che ci si può ritrovare a conversare con un estraneo. Davanti ad un venditore di hot-dog passano ogni giorno persone di estrazione sociale diversa e tutti vengono trattati allo stesso modo, dal politico di spicco al lavoratore più umile al turista curioso. Indipendentemente dal condimento, la maggior parte dei chioschi di hot-dog propone delle variazioni sul tema. Di solito, oltre al “ristet pølse” (il classico hot-dog
costituito da una salsiccia infilata in un pezzo di pane con un buco al centro), si trova quello “con la coperta” (in cui la salsiccia è avvolta nella pancetta), il tutto insaporito da maionese, senape, remoulade e ketchup e guarnito da cipolle fritte e cetriolini sottaceto. Per innaffiare, niente di meglio di una bottiglia di Cocio (latte al cioccolato). Per chi volesse spingersi oltre, naturalmente a Copenaghen non mancano gli hot-dog gourmet, quelli vegani e altre originali varianti. C’è solo l’imbarazzo della scelta, i chioschi di hot-dog sono ovunque in Danimarca: nelle principali stazioni, nelle piazze centrali e agli angoli delle strade più note della capitale. Hazel Evans Nota Hazel Evans è scrittore e critico gastronomico con base a Copenaghen ed è il fondatore di Mad About Copenhagen (madaboutcopenhagen. com), un progetto di guida turistica per foodies che è diventato un libro che potete acquistare a questo indirizzo: www.new-mags.com/ product/mad-about-copenhagen. La fonte dell’articolo è invece VisitDenmark, www.visitdenmark.it
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TECNOLOGIE
Per il CSB-System occorre valutare quattro aspetti
Come scegliere il software di pianificazione della produzione? Meglio una soluzione integrata o la migliore della categoria?
S
ebbene una buona pianificazione della produzione apporti parecchi benefici in azienda, molte realtà si affidano ancora al loro istinto oppure si servono di soluzioni semplici come Excel e Access. Ma quando un’azienda cresce o la diversità dei prodotti aumenta, un sistema di pianificazione della produzione (PPS) diventa uno
strumento necessario e indispensabile. Sorge allora la domanda: quale soluzione PPS scegliere? La migliore sul mercato per questa specifica esigenza o una soluzione integrata in un sistema ERP completo? «Prima di scegliere un qualsiasi software — spiega il dott. Muehlberger, direttore della filiale italiana del gruppo CSB-System SE — noi raccomandiamo di valutare
quattro aspetti: la funzionalità, la facilità d’uso, l’integrazione e i costi». «È chiaro quale sistema sceglieremmo noi — continua Guido Girardelli, Manager Area Commerciale — essendo il CSB-System un ERP completo, integrato e specifico per il settore alimentare; ma spieghiamo anche il perché, soffermandoci su questi quattro aspetti».
La pianificazione della produzione deve avvenire su diversi scenari temporali.
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International Food Fair
fieramilano 22-26 October 2021
Adding value to taste #BetterTogether
Il software integrato crea una base dati uniforme senza la necessità di dover gestire interfacce. 1. Funzionalità: di cosa ho effettivamente bisogno? Non è un segreto: le soluzioni specifiche stand-alone spesso offrono maggiori funzionalità, anche più complete rispetto ad una soluzione integrata; scegliere un software integrato, invece, significa avere a bordo delle funzionalità di cui non si ha proprio bisogno. In realtà, tale sovradimensionamento iniziale non fa male, ma ha poco senso dal punto di vista economico: non servono le catene da neve sulle ruote del pick-up durante l’estate californiana! Tuttavia, entrambi i software devono possedere alcuni requisiti importanti: • innanzitutto devono essere orientati al settore alimentare. Ricette, distinte base, liste di taglio, allergeni, MHD, self-life, devono rientrare nella pianificazione. Determinanti sono anche un flusso ottimale delle materie prime e una stretta integrazione tra produzione e acquisti, vendite, disco e magazzino, perché la parola chiave qui è: freschezza!; • le specifiche/ricette di produzione e le singole fasi di lavora-
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zione devono essere perfettamente integrate nel processo di pianificazione senza soluzione di continuità. Tutto deve essere documentato in modo sicuro e tracciabile: l’acquisizione dei dati di produzione e il PPS devono quindi essere perfettamente coordinati tra loro; • è opportuno che i software offrano diversi orizzonti di pianificazione, ovvero scenari di pianificazione a lungo, medio e breve periodo. Solo così le risorse di produzione quali persone, macchine e materiali possono essere organizzate e monitorate in modo ottimale, anche in presenza di un’alta volatilità degli ordini e una grande varietà di prodotti.
* Valutazione: la soluzione specifica ha il vantaggio di offrire parecchie funzioni e funzionalità; la soluzione integrata si concentra sull’intero processo produttivo. Entrambe guadagnano un punto ed è 1-1. * 2. Utilizzabilità: i miei dipendenti saranno in grado di usare il software che ho scelto? La verità è che l’utente può fare la differenza sull’efficacia o meno di un software: se vuoi ottenere il massimo dal tuo software, devi renderne il suo utilizzo il più semplice possibile. A tal proposito, due punti parlano chiaramente a favore della soluzione integrata: • la gamma più elevata di funzionalità della soluzione specifica
Funzionalità, utilizzabilità, integrazione, sforzo e costi: il sistema integrato possiede uno o più vantaggi sulla soluzione specifica, anche la migliore della sua categoria? Parrebbe proprio di sì. L’analisi punto per punto
Eurocarni, 4/21
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significa automaticamente una maggior complessità nel funzionamento. Ciò porta a stress ed incertezza degli utenti, aumentando la possibilità di errori. Più bassa è la complessità, meglio i dipendenti la affrontano; • coloro che si affidano ad una soluzione integrata si muovono all’interno di un software già familiare, di cui conoscono la logica e il tipo di interfaccia utente, anche quando pianificano la produzione. Questo rende più facile ottimizzarne l’uso nella gestione della routine lavorativa. * VALUTAZIONE: in questo contesto vince chiaramente la soluzione integrata, con un vantaggio ora di 2-1.
In alto: il CSB Rack consente il rilevamento automatico di peso e codice cassa. In basso: l’articolo scansionato confluisce nel magazzino ed è pronto per il picking.
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3. Integrazione: come si inserisce il PPS che ho scelto nella mia struttura IT aziendale? Col progredire della digitalizzazione, cresce anche il numero di interfacce che un’azienda è costretta a gestire; e le interfacce comportano manutenzione e aggiustamenti, che in un sistema integrato, però, ci vengono risparmiati. Il software integrato crea inoltre una base di dati uniforme, che non si potrà mai avere con una soluzione specifica. Anche se tutti i sottosistemi rilevanti sono perfettamente integrati e il flusso di informazioni da e verso i diversi sistemi è garantito, se un’azienda ha molte interfacce, l’integrazione in tempo reale rimane di solito più un desiderio che una realtà. Ciò che è trascurabile in aree come le risorse umane può diventare un vero problema nella pianificazione della produzione. Pensiamo ad esempio, alla necessità di raccogliere i dati provenienti da diversi stabilimenti per elaborarli e analizzarli in tempo reale. L’integrazione gioca qui un ruolo molto importante: assicura che i dati siano aggiornati e permette di identificare e intervenire sui problemi di pianificazione in una fase precoce. * VALUTAZIONE: nell’integrazione, la soluzione integrata gioca la sua carta vincente ed il vantaggio ora è di 3:1.
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Non scendere a compromessi. Il tuo progetto richiede il TOP assoluto. I nostri banchi refrigerati per la carne sono fatti su misura per te con precisione artigianale, design esclusivo e massime performance. Mondel Srl Viale dell’Artigianato, 381 35047 - Solesino (PD) Tel +39 0429 770767 mondel.it
4. Sforzo e costi: quanto mi costa? La soluzione integrata ha già vinto, ma convince anche quando si parla di costi? Sì, assolutamente. I costi e lo sforzo per l’introduzione, l’ottimizzazione, la manutenzione e il funzionamento di una soluzione integrata sono sempre più bassi rispetto ad una specifica perché è meno costoso mantenere un sistema anziché diversi sistemi. Anche i costi per la formazione dei dipendenti sono inferiori. Tutti coloro a cui sia mai stato affidato questo compito, conoscono le difficoltà di rendere i software di fornitori diversi un’unione funzionante e di tenerli costantemente insieme. Un panorama IT omogeneo è più della somma delle sue parti. Ogni responsabile IT se ne rende improvvisamente conto al più tardi quando vi è da aggiornare il software! * VALUTAZIONE: anche per quel che riguarda i costi, la soluzione specifica non può vincere. Punteggio finale: 4:1 per il sistema integrato. L’integrazione batte il software specifico È un risultato chiaro, perché alla fine il sistema integrato ha la meglio sulla soluzione specifica, seppure la migliore della sua categoria. Un vantaggio che probabilmente aumenterà ancora di più nell’era dell’Industria 4.0. Per correttezza, tuttavia, va detto che il raffronto qui presentato riguarda esclusivamente il settore dell’industria alimentare. In altri contesti, il risultato non è probabilmente così chiaro.
CSB FACTORY ERP è il Factory software dell’anno per il 2020! Il CSB ERP specifico di settore per la gestione degli stabilimenti produttivi è stato premiato per la seconda volta come “Factory software dell’anno” nella categoria “Fabbrica digitale” durante il “Congresso digitale sul factory software”. Il gruppo di esperti del centro di applicazioni Industria 4.0, cattedra di informatica economica all’Università di Potsdam, che aveva già premiato CSB ERP nella categoria “Soluzioni complete” nel 2018, ha premiato nuovamente CSB FACTORY ERP come soluzione eccellente in grado di realizzare la fabbrica digitale. La giuria ha apprezzato in particolare il vantaggio concreto fornito ai clienti, il concetto di tracciabilità verticale e orizzontale e la comunicazione a tutto tondo con i clienti, attraverso più canali. CSB FACTORY ERP si interfaccia con l’ERP di gruppo e consente una gestione operativa ottimale degli impianti di produzione. Le interfacce standard garantiscono un’infrastruttura di sistema stabile, flessibile e integrata tra ERP di gruppo e FACTORY ERP. Col Factory software, CSB ha colmato le lacune tra ERP di gruppo e MES. Pertanto CSB FACTORY ERP non supporta solo i processi classici della fabbrica digitale, come gestione costi e ricette, pianificazione delle vendite e della produzione o garanzia di rintracciabilità ma si assume anche l’organizzazione dei flussi delle informazioni tra stabilimenti, dipendenti, macchine, fornitori e clienti coinvolti nel processo. Da una parte CSB FACTORY ottimizza i processi all’interno della fabbrica, dall’altra garantisce l’integrazione verticale e orizzontale dei sistemi coinvolti e gestisce le interfacce verso i partner della supply chain a monte e a valle e verso gli altri stabilimenti aziendali. Con hardware specifici come il CSB Racks, CSB Vision (per il riconoscimento automatico delle immagini), CSB Sorter e soluzioni di automazione, CSB armonizza il flusso di merci e di dati e consente la digitalizzazione dell’intera fabbrica. Grazie ad algoritmi di ottimizzazione delle ricette, della produzione o dei giri, le aziende possono elaborare in modo proficuo i dati raccolti. «Siamo molto soddisfatti di aver ottenuto nuovamente questo riconoscimento» dicono alla CSB System SE. «È la dimostrazione che, assieme ai nostri clienti, stiamo proseguendo sulla strada verso la digitalizzazione, offrendo loro soluzioni già utilizzabili e consolidate nella pratica. Un ringraziamento particolare va perciò ai pionieri, innovatori e change maker della nostra azienda, ai nostri consulenti e programmatori che mettono la loro competenza ed esperienza al servizio del nostro software».
Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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Nulla da dichiarare.
Ecco i nuovi tritacarne denervatori LIMA della serie GD. Dotati di testa brevettata di nuova generazione. Potrete separare carni di ogni genere con alte rese ottenendo una qualità mai vista prima: vera carne macinata! Scordatevi la classica Carne Separata Meccanicamente, con LIMA serie GD otterrete il massimo in qualità e resa.
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Nuova gamma di tritacarne denervatori LIMA per carni macinate di altissima qualità
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IMA ha presentato la nuova gamma di tritacarne denervatori della serie GD e GDM, che permette di separare le carni di pollo e tacchino con risultati del tutto analoghi alla carne macinata al tritacarne. Per la gamma GD LIMA ha sviluppato una testata di nuova generazione, che meccanicamente ed in automatico mantiene la pressione di separazione a livelli molto bassi, garantendo un’altissima qualità del prodotto finale ottenuto. Le tipiche materie prime che si possono separare tritando e denervando con la serie LIMA GD e GDM sono i trimming di pollo e tacchino, anche in presenza delle forcelle, fusi, cosce e sottocosce disossate, resti di spolpatura e i tagli che vengono scartati dai sistemi di rilevazione a Raggi-X per parti estranee. Quindi carni con presenza di schegge ossee, cartilagini, nervi, tessuti connettivi e altri parti dure possono essere valorizzate con il sistema LIMA serie GD. La nuova gamma di macinatori denervatori LIMA della serie GD e GDM permette di tritare e macina-
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re carni di pollo e tacchino di alta qualità ad un livello inarrivabile per altre attrezzature che utilizzano la tecnologia tipica dei separatori per denervare carni precedentemente disossate, senza ovviamente la necessità di dover dichiarare il prodotto finito come Carne Separata Meccanicamente. Questa gamma è stata sviluppata specificamente per i tagli di carne disossata di pollame, maiale e manzo. La carne che viene recuperata non è CSM, MSM o MDM (Carne Separata Meccanicamente, Mechanically Separated Meat o Mechanically Deboned Meat) ma vera carne macinata e denervata, che non rientra quindi nella stessa legislazione e normativa del MSM (MDM). In questo segmento di mercato, altri macchinari separatori producono carni macinate e denervate, ma i vantaggi nell’utilizzo della tecnologia LIMA sono molti: • per le stesse applicazioni con LIMA GD/GDM otteniamo rese estremamente superiori di carne macinata e denervata sino al 98%;
• il sistema LIMA non necessita di alcun pretaglio o premacinatura: il separatore può essere alimentato con interi muscoli e parti anatomiche; • basse pressioni di esercizio durante il processo di separazione, con minimo innalzamento di temperatura della carne, inferiore ai 2 °C; • l’alimentazione delle materie prime nel tritacarne denervatore LIMA GD/GDM è molto semplice e non richiede alcuna premacinazione della materia prima; • LIMA GD/GDM può essere fornito con una configurazione a filtro chiuso, il che significa che la testa di separazione è chiusa in un supporto con un'uscita della carne collegata a una tubatura. Tale tubatura può essere facilmente collegata ad una pompa per carne o ad una stazione di dosaggio automatica. La carne è quindi maggiormente protetta dai rischi di contaminazione da corpi estranei all'uscita del filtro, cosa impossibile con altri tipi di separatori;
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• la regolazione della resa su LIMA GD/GDM è estremamente facile, precisa ed affidabile. I nostri clienti adorano la semplicità, la precisione e l'affidabilità di utilizzo della testa di separazione LIMA; • il tempo di montaggio, smontaggio e pulizia è molto più veloce su un LIMA GD/GDM rispetto ad altri separatori, con costi operativi molto bassi; • il design estremamente igienico; • lo spazio richiesto per l’installazione dei separatori e tritacarne denervatori LIMA è estremamente contenuto, permettendone l’uso anche in zone produttive ristrette; • i separatori LIMA riescono ad eliminare anche residui plastici come piccole parti di involucri. La nuova serie di tritacarne denervatori LIMA GD e GDM è disponibile in un’ampia gamma di macchinari che partono da capacità produttive di circa 100 kg/ ora sino ad arrivare al modello più performante che può separare e tritare circa 8.000 kg/ora. Con LIMA possiamo fornire linee complete per alimentare in automatico i tritacarne denervatori, trasportare la carne macinata ad una stazione di dosaggio con bilance per riempire a peso fisso cassette o cartoni con involucro plastico all’interno. LAZZARI EQUIPMENT è disponibile ad organizzare prove e fornire dati di resa specifici per ogni tipo di carne che si intenda separare producendo carne macinata della massima qualità.
Rese per tipo di carne (pollo e tacchino) e relativo scarto con la gamma di tritacarne denervatori serie GD e GDM: esempi e particolari.
Lazzari Equipment & Packaging Via Volta 12 C 37026 Settimo di Pescantina (VR) Telefono: 045 8350877 Fax: 045 8350872 E-mail: info@lazzariequipment.com Web: www.lazzariequipment.com
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
Hopeless Romantic, High Sunn
Ramen e Dream Pop di Giovanni Papalato
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n questa rubrica sono stati raccontati sempre album, mai EP. E fino ad ora l’unico Ramen Bar in cui sono stato non serviva al tavolo. Quindi questo “Hopeless Romantic” a firma HIGH SUNN, che contiene tra i suoi sei brani anche Ramen Waitress, riesce a risultare inedito sotto più punti di vista. Certo di ramen ne ho mangiati diversi, ma tutti sempre cucinati dalla mia compagna che ne è appassionata, con differenti tipi di brodo e tagli di carne. Il ramen è composto da brodo, tare, noodles e i topping in superficie. I brodi, a seconda degli ingredienti e dei tempi di cottura, assumono caratteristiche visive particolari oltre che di gusto. L’Assari è limpido ed è ottenuto da carne, pesce e/o verdure (che sono cotti per non troppo tempo e a fuoco basso) e nell’aspetto risulta simile al nostro brodo italiano. Denso e opaco è invece il Kotteri, che è quasi sempre il risultato di carne grassa oppure ricca di collagene bollita molto a lungo e a fuoco intenso. Il popolare ramen Tonkotsu, ad esempio, ha di base un brodo bianco e denso ricavato dalla cottura di ossa di maiale per circa 48 ore. La parte liquida del ramen, oltre al brodo, ha in aggiunta degli ingredienti che ne determineranno la tipologia, il tare: ShioRamen dove il brodo è semplicemente salato, ShoyuRamen a base di salsa di soia e MisoRamen a base di miso, una pasta fermentata ricavata spesso da fagioli di soia ma anche altri ingredienti. Ci sono ramen di maiale, di pollo, di manzo, di crostacei, come anche ramen un po’ più difficili da trovare ed apprezzare per l’Oc-
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Il segreto del successo dei ramen? Certamente il fatto che questo semplice piatto si presta ad innumerevoli variazioni: praticamente ogni singolo componente può essere personalizzato. La sua diffusione in Giappone, come altre preparazioni di origine cinese, avviene negli anni ‘50, quando molti soldati giapponesi rientrano in patria dopo la guerra in Manciuria. Il picco arriva però nel 1958, quando Momofuku Andō, presidente della ditta Nissin, brevetta e introduce sul mercato i ramen istantanei. I tagliolini in brodo diventano in breve un’icona pop e iniziano a comparire un po’ ovunque, anime, manga, televisione, riviste, conquistando fama anche fuori dal Paese (fonte: Stefania Versaci, www.ohayo.it). cidente, come quelli ottenuti da trippa o lingua. Gusti intensi, allegorie spericolate di passioni forti nell’adolescenza di un “romantico disperato, incorreggibile, senza speranza” come si definisce JUSTIN CHEROMIAH, diciottenne, nel 2017 quando la PNKSLM pubblica questo lavoro. “Hopeless Romantic” arriva dopo sette album e altri due EP, usciti per nove etichette diverse, senza contare le autoproduzioni, a partire dal 2014, quando il giovane cantautore era appena quattordicenne. Davvero prolifico e precoce, oltre che talentuoso, con questa raccolta di canzoni ha raggiunto livelli altissimi in termini di qualità. Un cambio netto di sonorità rispetto alla bassa fedeltà che aveva contraddistinto lavori come “Teardrop Party” e “Wishes”: sei canzoni che sono idealmente sei singoli, esempi perfetti di Dream Pop.
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Parte del merito per tutto questo è da riconoscere a chi lo ha prodotto, quel DYLAN WALL già al lavoro con CRAFT SPELLS. La batteria che richiama PHIL SPECTOR e la chitarra Surf di “Joy Of Romance” sanno di sole e di mani fuori dai finestrini ad accarezzare l’aria mentre qualcuno guida e dalla radio escono canzoni come questa, dove una voce indolente come una domenica pomeriggio segue le curve dei riverberi: “Your taste is strong I want it all You’re so delightful I want a mouthful Call me a creep You’re all I eat Just the one for me My little treat”. Chissà se “la cameriera del ramen” assomiglia almeno un po’ a quella in copertina, presa da un manga giapponese ritratta tra due
strisce strappate di foto di Ikebana. Di certo ha ispirato una canzone dove le chitarre acide e divertite non si risparmiano a giocare con una ritmica tirata come uno skateboard in discesa sui saliscendi di San Francisco. Il primo lato si chiude con “Holding Hands”, che sembra rallentare senza l’intenzione di fermarsi. Gli accordi iniziali che solitari e ripetuti sembrano una rincorsa, ma poi sono un rifiatare prima di entrare in un limbo di voci sfocate e rimandi 60s. Girando lato del disco, si torna a chitarre pulite e scintillanti che puliscono e lasciano spazio ad una voce che non si nasconde dietro allegorie o ironia. In Tears, ad integrare questa consapevolezza si aggiungono i cori che aderiscono perfettamente alla struttura del pezzo, donandogli una personalità più complessa senza renderlo pesante.
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I ramen sono protagonisti di film, libri, documentari, mostre fotografiche, corsi di cucina, programmi televisivi e perfino un museo. Se vi piace mangiarlo e cucinarlo o siete solamente curiosi non potete assolutamente perdere il film-documentario del 2017 Ramen Heads: diretto dal giapponese KOKI SHIGENO è un vero e proprio atto d’amore verso questa pietanza in cui ormai si misurano anche i cuochi italiani. La pellicola ci rivela, passo dopo passo, i segreti dei migliori chef di questa “zuppa”, a partire da quel Tomita Osamu (in foto) considerato l’Imperatore indiscusso del Ramen. Sarà infatti proprio lui, eletto miglior chef di ramen del Giappone per tre anni consecutivi, ad accompagnarci all’interno del suo mondo, condividendo con noi il suo approccio ossessivo, maniacale, volto alle creazione del ramen perfetto. E questo attraverso la costante ricerca degli ingredienti migliori disponibili sul mercato. Per far capire quanto è grande la fama di Tomita Osamu va detto che il suo ristorante, il Tomita Ramen, che si trova nella città di Matsudo e ha solo undici posti, è un luogo di culto tra i più visitati in Giappone, tanto che ha dovuto sviluppare un sistema di biglietteria digitalizzato per fare la fila. Oltre al Tomita, Ramen Heads mostra ovviamente anche altri cinque importanti ristoranti di ramen in Giappone, ognuno con una propria filosofia e sapore, esemplificando i vari aspetti del mondo e delle caratteristiche del piatto (fonte: Francesco Gallo, ANSA).
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Attitudine che prosegue in armonia con Polaroids, brano più lungo dell’EP assieme a quello in apertura, dove si gioca a rimpiattino tra rumore e melodia in misura ancora più importante. Si sente forte l’influenza, soprattutto in questo brano, dei BEACH FOSSILS di “Clash The Truth”, un disco molto intenso e, almeno a giudicare da questo EP, di riferimento per certe scene indipendenti anche dalla costa opposta. La conclusiva “Good Evening” spinge su un rincorrersi forsennato di liriche e battute, in un sovrapporsi di voci e strumenti che non gira a vuoto e rafforza l’identità del prodotto. Dischi così ne escono tanti, ma non ne escono tanti così. Mi spiego meglio: sono anni che tra pubblicazioni digitali e supporti analogici, è estremamente difficile poter seguire tutto anche limitandosi nell’ambito di un solo genere o di una scena musicale. È tutto molto dispersivo, le sollecitazioni sono continue e molti si affidano a piattaforme on-line che ti indirizzano ad ascolti effimeri “capendo i tuoi gusti”. Così molti album sfuggono all’algoritmo e si perdono tra altri. È un discorso che si può e si dovrebbe ampliare ad altri ambiti. Scegliere sulla base di criteri diversi da un approccio commerciale, sapere la storia di un prodotto, che sia sul banco di una macelleria o tra gli scaffali di un negozio di dischi. Questa rubrica sposa questa etica, cercando di essere parte di un processo virtuoso. Come quello che ha portato alla pubblicazione di “Hopeless Romantic”. Nasce da passioni, rifiuti, frustrazioni e sogni di un teenager di San Francisco, è uscito per un’etichetta svedese, ma diretta da un mancuniano: una rete che unisce realtà indipendenti ed eterogenee. Un peccato farselo sfuggire. Giovanni Papalato Nota A pagina 130, photo © Lucio Pellacani.
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STATISTICHE
Dati Anas: classificazione carcasse suine 2020
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(*) Media ponderata dei pesi medi settimanali. I dati sono suscettibili di aggiornamenti. Elaborazione su dati del MIPAAF.
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TRE LIBRI
VALENTINA RAFFAELLI E LUCA BOSCARDIN (a cura di) Scarti d’Italia – Italian Scraps Da Nord a Sud, un’avventura culinaria dove non si butta via niente Illustrazioni: Luca Boscardin Edizioni: Corraini, 2020 288 pp. – € 38,00 corraini.com
MICHEL PASTOUREAU Il toro Una storia culturale Edizioni: Ponte alle Grazie, 2020 166 pp. – € 20,00 www.ponteallegrazie.it
ROBERTO BORTOLOTTI I tagli delle carni Bovini, suini, ovini e animali da cortile Edizioni: Hoepli, 2018 138 pp. – € 26,50 www.hoepli.it
Un viaggio in Italia a bordo di un furgone blu trasformato in casa mobile, filo conduttore la cucina del quinto quarto: milza, fegato, lampredotto, piedini di maiale, interiora da cucinare con ricette tradizionali come la trippa alla romana o la coratella brodettata. In dieci mesi on the road, VALENTINA RAFFAELLI e LUCA BOSCARDIN hanno esplorato il Paese alla ricerca delle tradizioni gastronomiche legate alle frattaglie e lo raccontano attraverso disegni, fotografie e ricette regionali. Hanno incontrato cuochi, ristoratori e allevatori, hanno assaggiato e cucinato, dedicandosi a quelle parti che qualcuno potrebbe definire “di scarto” e riflettendo sul ruolo che può avere la tradizione nel discorso attuale sulla sostenibilità. Libro di cucina atipico, Scarti d’Italia è una ricerca su quello che mangiamo e quello che sprechiamo, un’avventura culinaria dove non si butta via niente. E anche un sito web: scartiditalia.com
MICHAEL PASTOUREAU, francese, è direttore della École pratique e titolare della cattedra di Storia del simbolismo in Occidente. Avvalendosi di una ricca iconografia, ampiamente commentata, nel suo nuovo libro Pastoureau ci racconta la storia del toro nella cultura europea senza dimenticare la vacca, il bue e il vitello. Un animale che, dalle grotte di Lascaux a Picasso, passando per la ceramica greca, il mosaico romano, la miniatura medioevale, l’incisione rinascimentale e la pittura moderna e contemporanea, è sempre stato una star dell’arte europea.
ROBERTO BORTOLOTTI vanta una pluriennale esperienza nel settore delle carni e della filiera agroalimentare. I tagli delle carni è un manuale che volge uno sguardo a tutto tondo sulla moderna filiera della macellazione, dall’allevamento al trasporto del bestiame, dalle caratteristiche nutrizionali delle carni alle diverse razze di animali, dai tagli alla varietà delle denominazioni, dall’imballaggio allo smaltimento. Una presentazione completa del lungo e laborioso processo che si cela dietro il prodotto finito. La prefazione è firmata dal PROF. GIOVANNI BALLARINI.
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