Premiata Salumeria Italiana 6-2021

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Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXXIII N. 6 Novembre-Dicembre 2021

€ 6,70



LA

BRESAOLA

RICC A

SAPERE

DI

S A PE R E /sa·pé·re/ sostantivo maschile

Dal latino sàpere “avere sapore”: intuire il gusto delle cose, ma anche insaporirle, renderle preziose. Possedere la conoscenza, la pratica e l’esperienza che permettono di riconoscere la qualità delle materie prime senza fermarsi alle apparenze. 6LJQLÀFD HVVHUH WUDVSDUHQWL LQ FLz FKH VL ID Sapere è l’amore che mettiamo in ogni gesto.

PAGANONI.COM


AUGURI D’AUTORE

Giovanni Ballarini Josette Baverez Blanco • Elena Benedetti Gian Omar Bison Gaia Borghi • Federica Cornia Sebastiano Corona Marco Credi • Giorgia Fieni Laura Franchini Guido Guidi • Riccardo Lagorio Luca Mamiani Nunzia Manicardi • Giulia Mauri Francesca Monti Alessia Morabito • Anna Mossini Giovanni Papalato Chiara Papotti • Massimiliano Rella Alessia Serafini Elena Simonini • Roberto Villa

Buone Feste da tutti noi

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Photo © Alexander Raths – stock.adobe.com

Premiata Salumeria Italiana, 6/21

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N. 6 Anno XXXIII Novembre-Dicembre 2021

€ 6,70 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – François Tomei (Assocarni)

Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi

Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin

EURO ANNUARIO CARNE 2022

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2022 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com — Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988

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Tariffe abbonamenti Ufficio stampa e Media Partner Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 1121-9068 – Iscritta nel ROC – Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005 Stampa a

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N. 6

€ 6,70 Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce – Euro Annuario Carne – Euro Genuine Food Annuario del Pesce e della Pesca – US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia

A pagina 46.

In questo numero:

Immagini

Il Nero Piemontese

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La copertina esplosa

Zampone Modena IGP – Panforte di Siena IGP – Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP

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Tendenze

Panattonin e il Panettone diventa Panino

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Salumi & Co. a Natale

Non sono un food blogger – Poster, cinema e salumi – Taglio al coltello con stile

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Brevi storie di cibo lento Affetto: di verbo e di sostantivo a velocità contemporanea

Premiata Salumeria Italiana, 6/21

Alessia Morabito

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Attualità

L’export che ci salverà

Sebastiano Corona

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

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Aziende

La Collina dei maiali neri

Gaia Borghi

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Speck d’Ampezzo: l’arte dell’affumicatura

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Quack

Tradizioni

Federica Cornia

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180 anni di dolcezza: Garzotto Rocco, la storia del mandorlato

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Cantina della Volta e Pasticceria Giamberlano insieme per il panettone che celebra il territorio modenese

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Natale in Emilia: in tavola con i grandi classici per celebrare il ritorno delle feste in famiglia

Chiara Papotti

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La Qualità

Crudo di Cuneo: la storicità e l’innovazione di una DOP

Analisi del food

Umami, la magia del quinto gusto

Josette Baverez Blanco 70

Pastrami, tra John Fante, New York e Montréal

Giovanni Ballarini

72

Mai provato il biroldo?

Chiara Papotti

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Il salame con la lingua mantovano

Roberto Villa

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Prodotti tipici

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A pagina 40.

Autorizzazione del Consorzio del Prosciutto di Parma del 21-4-98

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In copertina: festeggiamo il Natale 2021 con Zampone Modena IGP, Lenticchie di Castelluccio di Norcia IGP e Panforte di Siena IGP (photo © Massimiliano Rella).

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Street food

La mozzarella va in carrozza

Nunzia Manicardi

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Week-end

Nelle terre dello speck

Massimiliano Rella

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Sapori mediterrranei

Calcidica BIO

Massimiliano Rella

88

Rassegne

Udine, città di gusto: la XXII edizione di Ein Prosit

Riccardo Lagorio

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Fiere

Tuttofood e HostMilano 2021, Milan l’è on gran Milan

Formaggio

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Lattiero-caseario, pilastro dell’economia italiana

Riccardo Lagorio

102

Asiago DOP prodotto della montagna: nascere e vivere in malga

Gian Omar Bison

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Pecorino Sardo DOP, dai nuraghi ai mercati esteri

Sebastiano Corona 108

A pagina 58.

A pagina 50.

A pagina 78.

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Il calore di casa in ogni momento

Famiglia

BELCULOTTO CULATTA ARROSTO DA SUINI NATI E ALLEVATI IN ITALIA

COTTURA LENTA A BASSE TEMPERATURE

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SENZA LATTOSIO E DERIVATI DEL LATTE

SENZA GLUTINE


A pagina 104.

A pagina 72.

A pagina 84.

Dolci

Panettone: storia, consumi e importanza dei requisiti di sicurezza alimentare

Vini di Natale

Brindiamo con sincerità

Tecnologie

Piatti pronti e pronto-cuoci: l’ERP CSB-System al servizio della gastronomia

Sono 180 grammi, lascio? Cavallo Tre libri

Colazione italiana – Osterie d’Italia 2022 – Foto/Industria 2021 | Food

112 Riccardo Lagorio

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Giovanni Papalato

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www.premiatasalumeriaitaliana-online.com 12

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IMMAGINI

“La Collina dei maiali neri” è un piccolo incredibile allevamento nei boschi del Cuneese di una “nuova” razza suina estintasi negli anni ‘30 del secolo scorso e ricreata nel nuovo millennio, il Nero Piemontese. Ma è anche una storia di amicizia, scelte e destino che ci racconta Alessandro Chiapella nell’intervista di Gaia Borghi a pagina 34 (photo © Davide Dutto).

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Posso resistere a tutto tranne che alle tentazioni O.W.

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LA COPERTINA ESPLOSA

Autorizzazione Autor Auto Autorizza Autori A uto utor torrrii zione zion zio ion iione io o on one ne ne de d del eell C Consorzio onsorzio del Prosciutt Prosciut Pro Prosc rosciutt osciu osciutt osciut o osc os sciutt sc sciut sci ssciu ciut cciu ciutt iiutt iu utt ut u tto di di Pa P Parm Prosciutto Parmaa del 21-4-98

Periodico bimestrale per gli addetti ai a lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P o XXXIII N. 6 Novembre-Dicembre 2021 Anno

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Lo Zampone Modena IGP si ottiene da carni suine pregiate unite a cotenna, aromatizzate con sale, pepe intero e/o a pezzi, vino, aromi naturali, spezie e piante aromatiche, seguendo ancora oggi i dettami dell’antica ricetta. L’impasto ottenuto è successivamente insaccato in un involucro naturale ricavato dalla pelle della zampa anteriore del maiale. Il prodotto precotto è confezionato in buste ermetiche e sottoposto a trattamento termico ad elevate temperature per garantirne la stabilità organolettica. Il prodotto crudo viene asciugato in stufe ad aria calda e, successivamente, è fatto bollire per almeno 2/3 ore, in modo da acquisire quel gusto, quel colore roseo e quella consistenza compatta tipica dello Zampone Modena IGP. Lo Zampone Modena IGP è senza derivati del latte e senza glutammato aggiunto. È consentito l’utilizzo esclusivo di aromi naturali (modenaigp.it).

Simbolo della gastronomia dolciaria senese, il Panforte di Siena IGP è un dolce ottenuto dalla lavorazione e dalla successiva cottura in forno di un impasto a base di frutta secca, frutta candita, miele e spezie. Ne esistono due versioni: una bianca con la copertura a base di zucchero a velo ed una nera, la cui copertura è composta da spezie. Il Panforte viene cotto alla temperatura di 200-230 °C per una durata di tempo variabile che va dai 13 ai 45 minuti in base alla pezzatura. La consistenza è pastosa, il sapore è dolce con retrogusto di frutta candita, mandorle e spezie (terredisiena.it).

La storia di questo prezioso legume è antichissima: viene infatti coltivato da sempre sui piani carsici di Castelluccio, all’inte all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, ad un’altezza di circa cirrc 1.500 metri. La quantità prodotta in media all’anno è limitata limita ata e ciò rende la Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP un prodotto prodo otto di nicchia. Grazie alle condizioni climatiche piuttosto rigide in cui trattato nasce, è l’unico legume che non ha bisogno di essere tratta ato nutritive: per la conservazione. Possiede inoltre preziose qualità nutritiv ve: rendono tutte le sue proteine, vitamine, fibre e sali minerali la rendo ono potassio ottima per chi necessita di una dieta ricca di ferro, potas ssio (lenticchiaigpcastelluccio.it). e fosforo, al contempo povera di grassi (lenticchiaigpcastelluccio. gp .it).

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TENDENZE

Panattonin e il Panettone diventa Panino

Panettone tutto l’anno ma oggi un po’ di più... A Milano è stata recentemente inaugurata una gastronomia nata proprio dalla passione dei due cugini Roberto e Andrea per il panettone. Si chiama Panattonin e propone la propria versione di “panattonin”, letteralmente panettoncino o piccolo panettone appunto, in versione dolce e salata. “Il panettone delizia i palati milanesi già dal 1200 d.C. ma tradizionalmente veniva prodotto tutto l’anno in formato più piccolo” si legge sul sito dell’azienda. “In un repertorio filologico ottocentesco compilato da Francesco Cherubini, il Vocabolario milanese-italiano, nel terzo volume si legge questa spiegazione alla voce ‘panatton o panatton de Natal’: Specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina (ughett) o sultana che, intersecato a mandorla quando è pasta, cotto che sia risulta a molti cornetti. Grande di una o più libbre sogliamo farlo soltanto a Natale: di pari o simil pasta, ma in panellini lo si fa tutto l’anno dagli offellai, e lo chiamiamo panattonin”. Panattonin cont el codeghin, con la busècca, con la schinca del nimal, con la luganega, cont el vitèll tonnee, cont i mondeghili, con salamm Filzetta… Noi ce ne siamo innamorati dal primo istante (photo © www.facebook.com/panattonin). >> Link: panattonin.com

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SALUMI & CO. A NATALE

Non sono

un food blogger Lo dice la T-shirt di Qui Si Taffia, e-shop che vende una collezione di magliette rigorosamente made in Bologna dedicate alla tradizione culinaria italiana. “La nostra volontà è quella di rappresentare il made in Italy nella versione più completa possibile, ovvero unendo il food con il mondo fashion. La T-shirt è rigorosamente di qualità, 100% cotone organico e lavorata da un’azienda bolognese con la stampa o il ricamo di alcune frasi sugli stereotipi della cucina italiana all’estero e purtroppo non solo”. quisitaffiacollection.com

Poster, CINEMA E SALUMI “Attraverso il cinema, il cibo è guardato, citato, spiegato, assaporato, non solo come simbolo o segno che rinvia ad un significato, ma attraverso i sensi che vanno a definire le forme del racconto, del visibile, della materialità. Nei film, il visibile del cibo, negli ultimi decenni esaltato dal colore, trasmette elementi significanti verso l’atto del mangiare e del bere”. Lo ha scritto il PROFESSOR GIOVANNI BALLARINI su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 2/2016. E questa locandina di un film di MARIO MONICELLI con la nostra SOPHIA LOREN è un bellissimo regalo.

Taglio al coltello,

CON STILE

Un must? La morsa porta-prosciutto orizzontale in legno, un oggetto artigianale della veneta Pasquini Marino. Questa che vedete è la Small, la morsa per il taglio a mano del prosciutto a posizionamento orizzontale di facile utilizzo, ideale per appassionati cultori o professionisti. Studiata per adattarsi a tutti i tipi di prosciutto, la morsa è realizzata in legno di faggio rifinito con prodotti naturali, e le parti metalliche sono prodotte in acciaio inox satinato. Stupenda! Su Etsy: etsy.com/it/shop/PasquiniMarino

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BREVI STORIE DI CIBO LENTO A VELOCITÀ CONTEMPORANEA

Affetto: di verbo e di sostantivo di Alessia Morabito (illustrazioni di Alessia Serafini)

S.

è un figlio della zona collinare intorno alle valli del Panaro, come il Prosciutto di Modena. Lavoriamo assieme. È un imprenditore atipico, ha cura in tutto, in primis delle persone. Grazie a lui credo di aver assaggiato il prosciutto più buono della mia vita in una di quelle giornate meravigliose, non rare per noi, quando lavoro e piacere si fondono. Per questo ed altri mille motivi stiamo diventando amici. Una sera, parlando di vita privata, mi dice: «Proteggere le persone a me vicine è sempre stato uno dei più efficaci modi di volermi bene». Questa frase mi ha intenerito e turbato perché troppo spesso i fatti sono incontrollabili. Così mi è tornato in mente un episodio di quando ero bambina. Nella Pasqua dell’84 ci fu un terremoto piuttosto forte nella mia zona, fortunatamente senza danni perché l’epicentro era su terreno sabbioso, in mare. Ne ho un ricordo molto vivo perché il cane abbaiava all’impazzata ed io stavo scendendo le scale che portavano al giardino: vidi i grandi pini che avevo di fronte piegarsi quasi a spezzarsi. Era con noi la nonna che viveva a Genova, la quale, in preda al terrore, continuò a disperarsi per ore mentre io abbracciavo un pupazzo in silenzio. Mio fratello non era ancora nato quindi il mio amore era rivolto in generale verso gli adulti e i miei coetanei, proteggere era un concetto piuttosto generico. Mia nonna, nella paura, parlava di morte ed io capivo solo che chi muore lascia le persone molto tristi. E allora, nel viaggio per riportare nonna nella sicurezza della sua casa, immaginavo un possibile secondo terremoto fortissimo dove sarebbero morte alcune persone; per ogni persona morta immaginavo chi altro sarebbe dovuto morire sotto le macerie per evitare di morire di dolore. Questo gioco macabro, questo processo mentale su cui ho ragionato da adulta e che oggi mi diverte per innocenza, mi ha insegnato che ci sono cose che non possiamo controllare e che “proteggere” ha un grado di incertezza che spesso cerchiamo di ignorare perché altrimenti ci destabilizzerebbe. Sono in auto con S., lungo la strada alberata che costeggia il Panaro, le colline preappenniniche hanno i colori della fine dell’estate. Parcheggiamo e scendiamo, S. mi apre la porta: è consapevole che si compirà un’iniziazione. Il Consorzio del Prosciutto di Modena ha 50 anni, il prodotto è una DOP dal ‘90, il Disciplinare è rigido e il produttore dove mi ha portato S. è un entusiasta del proprio lavoro, si piazza dietro il bancone ed inizia ad affettare. Tocchiamo, parliamo, annusiamo, assaggiamo: profumato, dolce, sapido, fondente, bello alla vista. Sorridiamo. Scherziamo. Sarà un nostro fornitore. Non posso cambiare il pensiero di S. sul proteggere, è un pensiero anche figlio della sua terra di nascita, questa terra generosa che ha accolto senza domande anche me. Invece credo fortemente che tra pari ci si dovrebbe proteggere a vicenda. Stima, gratitudine, affetto. Prendermi cura dei nostri progetti, prendermi cura di noi, prendermi cura di te, amico mio.

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Photo © Simona Bottone – stock.adobe.com

ATTUALITÀ

L’EXPORT CHE CI SALVERÀ È raddoppiato in dieci anni e ora vola verso altri record, all’indomani della peggiore crisi degli ultimi 100 anni. Ma è vietato abbassare la guardia di Sebastiano Corona

l made in Italy agroalimentare italiano vola all’estero e non smette di regalare soddisfazioni. Lo fa incurante di una situazione complessiva difficile, contraddittoria, sotto certi aspetti drammatica. Lo fa in un momento storico senza precedenti e con la spada di Damocle dell’aumento dei prezzi delle materie prime.

I 24

Il comparto dovrebbe sfondare entro la fine del 2021 il tanto atteso tetto dei 50 miliardi di euro di esportazioni, pur in presenza di un calo dei consumi interni che, al contrario, è lento ed inesorabile, registrando il 10% di flessione negli ultimi due lustri, a fronte di un incremento delle esportazioni, nello stesso periodo, del 92%.

Una performance che ci pone al terzo posto della classifica europea, dove Francia e Germania ci precedono per valore aggiunto generato dalla filiera agroalimentare e pure per occupazione nel comparto. Al momento ammonta a 46,1 miliardi di euro il valore delle produzioni esportate all’estero, di cui 39,1 in pro-

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dotti alimentari, bevande e tabacco, in crescita dell’1,9% sul 2019, e 6,9 miliardi di euro di prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca, in aumento dello 0,7%. Sono dati importanti e significativi quelli forniti dall’ISTAT, che confermano la forza dell’agroalimentare italiano, anche in un anno difficilissimo come il 2020, con un settore che si conferma anticiclico rispetto al resto dell’economia. Nel complesso, infatti, sul fronte delle esportazioni, il Belpaese ha accusato nel 2020 una flessione del 9,7% e solo il farmaceutico e l’agroalimentare sono andati in direzione contraria. Il principale mercato di destinazione resta l’Unione Europea, a cui nel 2020 sono state indirizzate il 55% delle esportazioni agroalimentari made in Italy. In questo frangente la Germania conferma il suo ruolo come principale cliente con 7,73 miliardi sul totale, mostrando altresì una crescita del 6%. Al secondo posto c’è la Francia che, con 5,08 miliardi, mostra una situazione di sostanziale stabilità e, a seguire, con 3,6 miliardi, la Gran Bretagna, anch’essa con un incremento del 2,8%. Primi partner in ambito extracomunitario sono invece gli Stati Uniti d’America, che valgono da soli per l’Italia 4,9 miliardi e un aumento del 5,6%. Accanto agli USA si rileva un deciso incremento della domanda anche in Australia, Cina e Giappone. Tra le produzioni più richieste all’estero abbiamo le conserve di pomodoro (+17%), la pasta (+16%), l’olio

d’oliva (+5%), frutta e verdura (+5%). Si piazzano bene anche i prodotti da forno, mentre ha sofferto, per i noti motivi, il vino, che, anche a causa della chiusura dei ristoranti per lunghi periodi, ha registrato un calo del 3%, sebbene nel 2021 si intraveda già una forte ripresa. Si ritagliano un loro spazio anche i salumi e si conferma il ruolo dei formaggi, in particolare delle grandi DOP, dove gli operatori evidenziano altresì la possibilità di ulteriore crescita. Il lattierocaseario, che nel 2020 ha generato 3,5 miliardi di fatturato oltreconfine, ha fatto segnare un +1% di valore 2020 sul 2019, superando le 463.000 tonnellate di prodotto vendute all’estero. Inoltre, nei primi mesi del 2021, è già evidente un’accelerazione a due cifre percentuali. Tra le migliori performance abbiamo le mozzarelle, compresa la Bufala campana e altri formaggi freschi, ma anche il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, i grattugiati e il Gorgonzola. Dal punto di vista regionale, le esportazioni nel settore delle conserve hanno visto protagoniste le regioni del Sud e in particolare le province di Napoli e Salerno. Per i prodotti da forno il maggior contributo è dato dalle province del Nord e del Mezzogiorno come Parma, Napoli e Avellino. Per i formaggi, l’Emilia, la Campania, la Sardegna e la Lombardia. Risultati incoraggianti che fanno ben sperare per il futuro e che sono in buona parte confermati dall’andamento dei primi

mesi del 2021. Il traguardo dei 50 miliardi non sembra irraggiungibile. Tutt’altro. Rimangono in ogni caso grandi potenzialità non ancora del tutto sfruttate, problemi interni e minacce esterne che non consentono di farci adagiare sugli allori. All’indomani — o almeno così si spera — della peggiore crisi sanitaria ed economica degli ultimi 100 anni, infatti, si fa spazio la più grande ripresa di sempre, ma con tutti i problemi che situazioni anomale e impreviste si portano dietro. Il 2021 si chiude con un esponenziale aumento dei prezzi delle materie prime, alimentari e non solo, e con evidenti speculazioni di alcuni Paesi forti nello scenario internazionale. Una situazione a forte rischio per economie come l’Italia che, essendo attive soprattutto nella trasformazione, possono facilmente diventare ostaggio di un meccanismo che strozza gli anelli intermedi della filiera. In questo non è d’aiuto il fatto che l’Italia abbia un tessuto produttivo complessivamente frammentato e talvolta disgregato al suo interno, incapace di far fronte comune. Non a caso il 90% delle esportazioni dell’agroalimentare del Belpaese è generato dal 5% delle imprese del settore. Un problema, questo delle dimensioni aziendali che, oltre ad impedire di affrontare con maggior slancio i mercati esteri — quei mercati che richiedono competenze, massa critica e servizio — crea problemi anche sul

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Il made in Italy agroalimentare italiano non smette di regalare soddisfazioni all’estero, salumi compresi (photo © TPhotography – stock.adobe.com). fronte dell’offerta e indebolisce il sistema nella sua totalità. Basti pensare alla partita delle denominazioni europee, il nostro fiore all’occhiello, dove un terzo delle produzioni non solo non è mai sbarcato nei mercati stranieri, ma è completamente assente dalla Grande Distribuzione Organizzata in territorio nazionale. Che la richiesta ci sia, ma la produzione stenti ancora a trovare un suo spazio, è evidente dal dilagante fenomeno dell’Italian sounding, che al momento mostra numeri da capogiro. Il nostro export cresce in maniera ragguardevole, ma il mondo delle imitazioni dei nostri prodotti all’estero non è da meno, anzi. Secondo COLDIRETTI e FILIERA ITALIA il “falso” made in Italy agroalimentare vale oltre 100 miliardi, con un aumento record del 70% nel corso dell’ultimo decennio. Più di due prodotti su tre venduti nel pianeta come italiani sono falsi. C’è dunque la necessità di coprire quelle aree di mercato adesso impegnate abusivamente da altri e rendere illegali i prodotti spacciati impropriamente per italiani.

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Va portato avanti quel lavoro già intrapreso che vede, tra gli altri, accordi bilaterali tra Unione Europea e Canada a tutelare anche 160 prodotti DOP e IGP del Belpaese che possono essere venduti con un riferimento all’Italia solo se autenticamente provenienti da aziende nazionali. Un altro problema è che le nostre aziende, grandi o piccole che siano, nell’affacciarsi ai mercati esteri non possono contare sulla Grande Distribuzione Organizzata italiana, confinata da questa parte delle Alpi. Cosa che non accade per i Francesi o i Tedeschi che, al contrario, hanno come partner le proprie catene distributive che fanno da traino. Ma se vogliamo anche fare una sana e costruttiva autocritica, c’è da colmare un enorme gap di preparazione generale che impedisce a molte aziende di affrontare i mercati esteri. In questo scenario già di per sé difficile, è evidente che l’Italia e la Dieta Mediterranea siano oggetto da alcuni anni di continui attacchi esterni attuati con un mal celato tentativo di discredito.

Dal sistema di etichettatura a semaforo all’Italian sounding, passando per una finta sostenibilità che predilige il cibo prodotto in laboratorio, sembra che per il nostro agroalimentare non ci sia pace. Oggi agricoltura e allevamento tradizionali, quelli che ci caratterizzano, complice anche la virata sulla transizione ecologica, appaiono come la causa di ogni male. L’unica strada possibile per arrivare alla sostenibilità delle produzioni alimentari sembra essere l’abbandono di tutto ciò che abbiamo sinora conosciuto, possibilmente sacrificando prodotti tipici e qualità sull’altare del rispetto dell’ambiente, come se queste cose non potessero andare tutte di pari passo verso l’obiettivo comune di mangiare bene e mangiare tutti, ma soprattutto mangiare senza sacrificare il pianeta che ci ospita. In sintesi, fatti i dovuti festeggiamenti per i risultati sinora ottenuti, grandi sfide si presentano al cospetto dell’agroalimentare nazionale. Vietato farsi trovare impreparati. Sebastiano Corona

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IL FOOD IN RETE

SOCIAL di Elena

1. Cappellini Veg Prendiamoci una pausa dalle proteine animali e andiamo ad esplorare Cappellini Veg Lab di Mariano Comense (CO) al link laboratoriovegetale.it: “I nostri prodotti nascono dalle migliori materie prime: fresche, controllate e provenienti da produttori di fiducia. Vengono lavorate artigianalmente senza aggiunta di conservanti o additivi, per questo sono totalmente naturali”. La linea di prodotti è curatissima anche nella grafica e nel packaging. Sono anche su Instagram: @laboratorio_vegetale. Super bravi! (photo © facebook.com/laboratoriovegetale).

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2. Mortadella Bologna DOP, new look È on-line il nuovo sito del Consorzio italiano tutela Mortadella Bologna (mortadellabologna.com). Sito che, partendo da un restyling estetico, si propone di costruire un diverso dialogo con gli utenti grazie anche all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, per individuare e intercettare le aree tematiche di interesse e fornire, in tempo reale, risposte e soluzioni alle loro necessità. Nuovo anche il logo, realizzato da Robilant & Associati, un vero e proprio sigillo con elementi grafici che sintetizzano le tre principali caratteristiche della Mortadella Bologna, ovvero qualità, storia e simpatia. W la Mortadella Bologna DOP (photo © mortadellabologna.com).

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FOOD Benedetti

3. Quisitaffia Guida Food Bologna «Ci chiamiamo ALEX, GIANMARCO e FILIPPO, siamo di Bologna e abbiamo fondato un anno e mezzo fa la nostra pagina Instagram @quisitaffia, raccoglitore di tutte le nostre esperienze culinarie in Italia e nel mondo». Oltre alla guida che va alla scoperta della tradizione culinaria italiana (non a caso, dopo Qui si Taffia, la specifica è Italian Food Culture Club), non mancate una visita al sito quisitaffiacollection.com e soprattutto allo shop di merchandising, made in Bologna. Favoloso! (photo © quisitaffiacollection.com).

4. Galopin a Oslo! Galopin è una bellissima salumeria a Oslo, in Norvegia, specializzata in formaggi francesi, salumi francesi e italiani, patè, confit d’anatra, oltre ad altre meraviglie. Noi li seguiamo su @galopin.oslo. Le foto parlano da sole ed è interessante seguire le strategie di comunicazione social di una bella salumeria norvegese che valorizza e promuove i prodotti italiani (in foto, il guanciale del Salumificio Pedrazzoli; photo © instagram.com/galopin.oslo).

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Nuovo look per il sito Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP Totalmente rinnovato nei contenuti e nella veste grafica per rendere la navigazione più semplice e intuitiva: è on-line il nuovo sito del “Consorzio Zampone e Cotechino Modena IGP” realizzato da YAM112003: www.modenaigp.it/it Il sito conduce gli utenti attraverso un vero e proprio viaggio, che ha inizio dalla storia del Consorzio e approfondisce, con sezioni specifiche, i due prodotti; i valori nutrizionali, con una sezione ad hoc che permette di confrontare le proprietà nutrizionali dei prodotti con quelli di altri alimenti che consumiamo abitualmente; le Ricette e le news su Bandi e Gare. Proprio alle Ricette è dedicata grande attenzione: un’ampia selezione è infatti consultabile dal sito, grazie alle quali l’utente potrà sperimentare l’utilizzo di Cotechino e Zampone Modena IGP in cucina tutti i giorni e non solo durante il periodo natalizio. Dal sito è possibile selezionare le ricette in base a diversi criteri: il prodotto, l’occasione di consumo e la tipologia di piatto (antipasti, primi piatti, secondi piatti, finger food, ecc…). Zampone e Cotechino Modena sono tra i più antichi prodotti della salumeria italiana. La leggenda narra che avrebbero fatto la loro prima apparizione nell’inverno del 1511 a Mirandola, quando la cittadina fu assediata dalle milizie del papa Giulio II. In quell’occasione, i Mirandolesi si sarebbero ingegnati cominciando ad insaccare la carne di maiale nella cotenna o a utilizzare la cotenna come ingrediente di un salume da cuocere, dando origine al cotechino e, successivamente, ad insaccarla nelle zampe, decretando l’origine dello zampone. >> Link: www.modenaigp.it/it

Giorgio Chiellini protagonista della campagna social di Veroni Salumi Inizio di giornata dolce o salato? Il capitano della Nazionale Italiana di calcio Giorgio Chiellini non ha dubbi e sceglie il team colazione salata. Opinione condivisa dallo storico Salumificio Veroni che ha chiesto al difensore di diventare il volto della campagna sua social per il lancio di BrioBrain, nuova linea per la colazione salata sviluppata con la biologa e nutrizionista Gigliola Braga. «Abbiamo deciso di sfidare una delle abitudini più comuni in Italia, la colazione dolce, proponendo un’opzione che fornisca in maniera equilibrata i nutrienti di cui abbiamo bisogno per ripartire al mattino», spiega Guido Veroni, AD insieme al fratello Marco di Veroni Salumi. La linea BrioBrain si sviluppa in 4 kit che includono una brioche integrale salata con semi di chia, lino e canapa o un gnocchino con lievito madre e olio extravergine di oliva, farciti con salumi Veroni: cotto, crudo, mortadella e fesa di tacchino. Completano il kit l’Asiago DOP o la provola dolce, mandorle sgusciate Mister Nut e due tisane bio Valverbe per infusioni calde o fredde.

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Salumi¿cio Ferrari Erio & C. S.p.a. – Via Canaletto Nord, 565/A – 41122 MODENA – ITALY Tel. +39 059 310015 – Fax +39 059 450251 – E-mail: info@salumiferrari.it


Photo: Gurus Lido Vannucchi

Disponibile anche al pistacchio.

www.mortadellafavola.it


IN BUONE MANI. % 100 ITALIANO


AZIENDE

LA COLLINA DEI MAIALI NERI Una storia di amicizia e intraprendenza imprenditoriale, un piccolo incredibile allevamento nei boschi del Cuneese per una “nuova” razza suina estintasi negli anni ‘30 del secolo scorso e ricreata nel nuovo millennio. Ma anche “una fantastica avventura!”. Parola di Alessandro Chiapella, titolare con la famiglia dell’omonimo salumificio di Langa, che ci racconta come è nato quest’ultimo progetto che lo vede coinvolto in prima linea e l’attenzione e le richieste che arrivano già da ogni dove per assaggiare questa carne e i salumi che verranno di Gaia Borghi 34

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na vita libera in collina, tra i boschi; ghiande, nocciole, radici, erba e tuberi con cui fare grandi scorpacciate e un lago a disposizione per rinfrescarsi. Si presenta così la “casa” en plein air di un centinaio di maiali di razza Nero Piemontese a Sant’Antonino di Salmour, in provincia di Cuneo. Si chiama “La Collina dei maiali neri” ed è una nuova realtà allevatoriale che nasce dall’unione di intenti di quattro imprenditori, con il coinvolgimento delle loro famiglie. Quattro amici che si sono ritrovati a condividere un progetto e dei valori su cui costruirlo. La storia è breve ed è fatta, come sempre succede, anche di caso, coincidenze, destino. Andrea Romero è l’allevatore da cui tutto ha inizio; colui che, insieme al produttore vitivinicolo del Roero, ma grande appassionato di allevamento, Roberto “Teo” Costa, e col sostegno della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino, ha selezionato i primi soggetti di questa “nuova” razza, sperimentando per oltre dieci anni incroci tra i capi di popolazioni suine presenti tra il Piemonte e la Lomellina. Maiali neri, la cute color ardesia, con le zampe anteriori e il muso chiaro, caratterizzati da grande rusticità e adattabilità alla vita all’aperto, che nel marzo dello scorso anno hanno ricevuto da parte del MIPAAF la concessione del marchio che li riconosce come appartenenti alla razza del “Suino Nero Piemontese”. Il secondo socio è Flavio Mozzone, titolare col fratello Marco dell’omonima ditta di legnami di Salmour, il quale, avendo sentito parlare dell’allevamento sui generis di Andrea, si è incuriosito ed è entrato in questa avventura mettendo a disposizione la propria porzione di bosco collinare. Poi c’è Alessandro Chiapella, terza generazione di macellai e salumieri in Langa, proprietario con i genitori Giovanni e Giorgia, il fratello Davide e la sorella Elisabetta del Salumificio Chiapella di Clavesana (CN), un’azienda artigianale specializzata nella produzione di salumi tipici del territorio, e non solo, che in questi anni abbiamo avuto modo di conoscere molto bene e seguire altrettanto nelle diverse attività e nei diversi punti vendita, tra Carrù e Barolo.

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Nella pagina a lato: Andrea Romero e Alessandro Chiapella con alcuni capi dell’allevamento “La Collina dei maiali neri”. In alto: l’etichetta del salame di Nero Piemontese a marchio Chiapella, con tanto di maiale nero in cartoncino da conservare alla fine dell’assaggio. Infine c’è Gustavo Gilli, notaio torinese con la passione per la buona cucina e i prodotti naturali. «“La Collina dei maiali neri” è l’ultimo progetto della mia famiglia ma, soprattutto, è un’avventura fantastica in cui siamo entrati per un colpo di fortuna» mi racconta Alessandro. Per portare avanti il suo sogno senza snaturarlo, senza cedere alle lusinghe della grande industria che lo aveva contattato per avere l’esclusiva sull’acquisto dei capi, Andrea aveva infatti bisogno dell’appoggio di qualcuno che conoscesse bene il mercato dei salumi, qualcuno che sapesse valorizzare questa nuova razza e la particolarità delle sue carni con l’artigianalità delle lavorazioni, rispettando i tempi di crescita naturali degli animali e la tipologia di allevamento all’aperto. «È

stato Andrea a contattarci direttamente e, non appena abbiamo iniziato a parlare, siamo entrati subito in sintonia; poi abbiamo scoperto che con mio fratello Davide avevano fatto l’anno di leva nella stessa caserma. Quando si dice il destino… L’entusiasmo e la voglia di mettersi subito all’opera sono arrivati di conseguenza». Libertà e lentezza in collina per una carne e dei salumi ricchi di nuove sfumature Stiamo parlando di uno spazio di oltre 20 ettari, ricoperto da boschi, querce e noccioli, e campi aperti. All’interno di questo allevamento ogni capo (ad oggi sono un centinaio circa) gode di oltre 600 metri tutti per sé. «Mantenere il distanziamento tra un animale e l’altro è molto importante per il loro benessere»

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“La Collina dei maiali neri” è un luogo dove gli animali vivono in piena libertà, si nutrono con ciò che il bosco offre loro e crescono con ritmi naturali. L’allevamento è ad oggi il più grande tra i 7 che fanno parte dell’associazione della nuova razza.

Nero Piemontese, Nero di Piemonte o Nero di Cavour: questa “nuova” razza suina deriva dal recupero di un’antica razza autoctona dei territori della Langa, Roero e del Basso Piemonte denominata Cavour, citata ancora nel 1927 dal prof. Ettore Mascheroni nella sua pubblicazione “Zootecnia speciale”. Suini neri con la maschera facciale bianca, rustici e docili, che si adattavano perfettamente alle condizioni di pascolamento nei boschi e nelle colline della zona e costituivano una notevole ricchezza alimentare per le famiglie contadine del tempo perché, grufolando liberamente, si cibavano di ciò che la natura ed il suolo avevano da offrire: ghiande, tuberi, frutti e radici, oltre ai sottoprodotti presenti nelle case contadine. Con pochi soldi ed energie, quindi, le famiglie avevano l’opportunità di crescere animali che avrebbero garantito loro la “sussistenza carnea” per tutto l’anno. Dopo gli anni ‘30, con l’avvio dell’industrializzazione e l’arrivo di nuovi ibridi dal Nord Europa che meglio si adattavano alle condizioni di allevamento industriale (e garantivano performance produttive più “spinte e veloci”) se ne persero le tracce. La razza è rimasta estinta fino a circa 10 anni fa, quando, con l’aiuto della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino e in particolare del prof. Riccardo Fortina, l’allevatore Andrea Romero e il vignaiolo di Castellinaldo Teo Costa hanno ripercorso le tappe di questa razza autoctona per riportarla in vita. Incrociando soggetti con caratteristiche fenotipiche e morfologiche uguali a questa razza, è stato possibile, dopo diversi incroci, “ricostruire” nel vero senso della parola il Nero di Cavour Piemontese. Le razze utilizzate per la ricostruzione sono state: Apulo-Calabrese; Nero di Parma; Garlasco, altra razza sempre presente in Piemonte prima degli anni ‘40, ma sviluppatasi maggiormente nella zona verso la Lombardia (alto Vercellese e Lomellina). I risultati sono stati subito soddisfacenti, tanto che il MIPAAF, controllando gli animali, ha stabilito la presenza di omogeneità di razza riconoscendola nella primavera del 2020.

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conferma Alessandro Chiapella. Sulla collina, inoltre, come accennato, c’è un lago naturale, presenza fondamentale perché i maiali possano goderne durante le ore più calde della stagione estiva, per rinfrescarsi e ripararsi dal sole e dal fastidio degli insetti attraverso i fanghi che si producono sulla loro pelle dopo i bagni. «È un luogo talmente bello che ce ne siamo innamorati immediatamente non appena lo abbiamo visto» dice Alessandro. «Abbiamo addirittura pensato che, in un futuro non troppo lontano, potremmo costruire delle casette sugli alberi per accogliere i turisti in visita, visto che l’interesse in questa direzione davvero non manca». Ma torniamo alla carne e ai salumi di Nero Piemontese. Innanzitutto, un animale allevato con queste modalità cresce due volte più lentamente rispetto ad un capo industriale e, per le stesse ragioni, ha una carne molto più saporita, a cui non è necessario aggiungere il sale in cottura per intenderci; così come il suo grasso, il lardo, ricco di Omega-3, possiede ed è capace di regalare ai salumi che se ne ricaveranno inedite sfumature di sapore.

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«Al momento macelliamo due maiali alla settimana» prosegue Alessandro Chiapella. La carne viene lavorata innanzitutto come prodotto fresco, con tagli, dal filetto con osso al tomahawk, indicati per la ristorazione, soprattutto per quella cosiddetta di alta gamma (una scelta, questa, legata ai numeri e al prezzo di questa carne che è circa quattro volte superiore a quella del maiale “tradizionale”) e che, in questa parte del Piemonte, tra l’altro abbonda (anche nel 2021 il Piemonte si è infatti riconfermato in seconda posizione tra tutte le regioni italiane con un totale di 46 ristoranti stellati, dei quali un 3 stelle, il Piazza Duomo ad Alba di ENRICO CRIPPA, e quattro 2 stelle, NdA). «Occorre prenotarsi e aspettare per ricevere gli ordini perché le richieste che riceviamo sorpassano di gran lunga i numeri dell’allevamento, ma ne vale assolutamente la pena». Oltre ai tagli freschi, da casa Chiapella uscirà naturalmente una linea tutta nuova di salumi di Nero Piemontese, rara ed esclusiva come questa razza (la commercializzazione dei prodotti è appena iniziata); salame, il prodotto più rappresentativo, lardo stagionato, pancetta, il carpaccio, una novità di grande interesse, e la spalla cotta. «Saremo probabilmente tra i primi a mettere sul mercato un prosciutto crudo di Nero Piemontese stagionato almeno 30 mesi e per questo ci siamo affidati all’esperienza di ELIO PASTORELLI di Roccaforte Mondovì» conclude Alessandro. Intanto la Compagnia del Nero del Piemonte si sta ulteriormente allargando, visto che 8 maiali dell’allevamento sono stati portati dalla collina in alpeggio a Valliera di Castelmagno, dove CLAUDIO CONTERNO e altri “barolisti” producono il celebre formaggio e dove gli animali, oltre ai “frutti” del bosco, saranno alimentati con il siero della cagliatura del latte. Gaia Borghi Salumificio Chiapella Corso Vittorio Olcese 6 12060 Clavesana (CN) Telefono: 0173 732001 E-mail: info@chiapellasalumi.it Web: www.chiapellasalumi.it Nota Photo © Davide Dutto.

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Ferrarini lancia la nuova gamma di salumi “Filiera Italiana Certificata Benessere Animale e Antibiotic Free” Ferrarini lancia “Filiera Italiana Certificata Benessere Animale e Antibiotic Free”: una nuova gamma di salumi proveniente da una filiera in cui tutto il processo, dall’allevamento alla macellazione fino alla trasformazione e confezionamento, è certificato dall’ente CSQA e segue protocolli e parametri molto più stringenti rispetto alle norme nazionali in termini di benessere animale e assenza completa di antibiotici sin dalla nascita, facilitata dalle specifiche condizioni di allevamento. «La nuova gamma Ferrarini nasce innanzitutto da una sempre più evidente sensibilità da parte dei consumatori nei riguardi della sostenibilità e dell’eticità delle produzioni aziendali» dichiara il direttore marketing del Gruppo Ferrarini, Claudio Rizzi. «Nel nostro caso, tuttavia, non facciamo che confermare un particolare approccio alla produzione da sempre adottato da Ferrarini, lo stessa dal 1956; nascono dal DNA di un’azienda le cui origini sono legate da sempre al rispetto della terra, dei suoi frutti, dei suoi tempi, delle tradizioni più autentiche e genuine. In Ferrarini l’innovazione è sempre stato un processo di adeguamento della tradizione alle nuove esigenze del mercato, senza tradire mai lo spirito originario». Il progetto è partito in fase sperimentale nel 2019 per arrivare, con l’estate 2021, a realizzare un’intera gamma dedicata. «Il primo prodotto a riscuotere da subito un importante riscontro dal mercato è il Prosciutto Cotto Big Storico, fatto come una volta, con materia prima rigorosamente selezionata da suino pesante nazionale» prosegue Claudio Rizzi. «Il processo produttivo è artigianale, dal disosso alla legatura a mano, alla lenta cottura a vapore in teli di lino. Immancabile la tradizionale salamoia Ferrarini, a base di 21 erbe aromatiche. La gamma si è poi allargata con il Salame Langhirano, che si caratterizza per la ricetta tipica dei norcini del Parmense, con la Coppa di Parma IGP, dal sapore morbido e delicato, con il Guanciale, dal sapore deciso e speziato, e infine con la Pancetta». Prima azienda italiana a produrre prosciutto cotto senza polifosfati aggiunti, Ferrarini è una tra le più importanti imprese europee nel settore agroalimentare e propone in tutto il mondo, oltre al suo prosciutto cotto, i prodotti simbolo del made in Italy salumiero: dal prosciutto di Parma alle diverse specialità norcine, accompagnate dai prodotti dell’azienda agricola Ferrarini, dalla quale l’attività imprenditoriale ha preso avvio, come il Parmigiano Reggiano Dop, i vini e l’aceto balsamico di Modena e Tradizionale DOP (in foto, i prodotti della nuova gamma “Filiera Italiana Certificata Benessere Animale e Antibiotic Free”). >> Link: www.ferrarini.com

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La mortadella di Felsineo strizza l’occhio al mondo veg: gli affettati vegetali valorizzati nella nuova corporate identity

ADV GONNELLI&ASSOCIATI

Il gruppo bolognese Felsineo, storico gruppo specializzato nelle eccellenze della salumeria italiana, mortadella in particolare, ha rinnovato la sua presenza on-line con un sito che riassume la vision aziendale, caratterizzata dal forte impegno nell’ambito della sostenibilità economica, sociale e ambientale. Il nuovo corporate brand nasce dalla sintesi di tre elementi valoriali: il DNA dei prodotti, la sostenibilità olistica e la vision futura che valorizza uno stile alimentare equilibrato. Per il logo del Gruppo è stato scelto come elemento identitario la lettera “F” dei loghi Felsineo e FelsineoVeg. Il nuovo sito internet gruppofelsineo.com è caratterizzato da una grafica lineare e intuitiva, contraddistinta dai cromatismi del brand. Strutturato in aree tematiche, il nuovo sito rende più veloce l’esperienza di navigazione da parte degli utenti. «La nuova immagine, diretta ed essenziale, risponde all’esigenza di attualizzare la nostra identità armonizzando le due anime di Gruppo Felsineo, protagonista sia nel settore della mortadella tradizionale che degli affettati vegetali. Il nuovo corporate brand, insieme al payoff “un mondo più verde, un futuro più rosa”, sintetizza in maniera semplice e immediata i valori fondanti del Gruppo, che riconosce nella sostenibilità un tratto identitario e differenziante», ha dichiarato ARNAUD GIRARD, Sales & Marketing Director del Gruppo (fonte: EFA News – European Food Agency).

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Le specialità a marchio “Sapori d’Ampezzo” di San Dan Prosciutti

Speck d’Ampezzo: L’ARTE DELL’AFFUMICATURA

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A sinistra: speck affumicato Alto di fesa “Speck d’Ampezzo”. A destra: il lento processo di affumicatura con legno di faggio e bacche di ginepro.

pochi chilometri di distanza dalla celebre Cortina d’Ampezzo, regina delle Dolomiti, considerata un vero e proprio paradiso per gli amanti degli sport invernali e non solo, sorge Ampezzo, un piccolo paese nel cuore della Carnia, una regione storico-geografica prevalentemente montana, situata nella parte nord-occidentale del Friuli Venezia Giulia. Qui ampi spazi naturali, vette mozzafiato e valli spettacolari si uniscono alle antiche tradizioni e ad un patrimonio culturale che si è conservato nel tempo. In questo paesaggio idilliaco, a farla da padrona è certamente la foresta di Ampezzo, elemento fondamentale per l’economia della comunità ampezzana con una storia secolare. Dalla sponda meridionale del lago di Sauris sino al Passo del Pura, una fitta distesa di boschi di faggio testimonia la naturalezza di questo paesaggio incontaminato. Ed è proprio nel cuore della foresta di Ampezzo che si trova l’ultimo nato in casa San Dan Prosciutti, uno stabilimento produttivo che ha ispirato l’idea di arricchire la gamma di prodotti San Dan con alcune specialità legate alle tradizioni del territorio, dal gusto intenso ed armonioso. Si tratta di una struttura moderna, che conferma ancora una volta la capacità della famiglia Aimaretti di saper unire una gloriosa tradizione locale con l’efficienza dei più moderni impianti produttivi. Lo stabilimento di Ampezzo si estende su una superficie di 3.500 m2 e, ogni anno, sapienti mani artigiane, realizzano oltre 220.000 pezzi; qui, infatti, San Dan si occupa con passione della produzione delle prelibate specialità ampezzane tra cui lo speck affumicato, il fiocco di prosciutto Dolce Ampezzo e Dolce Carnia, l’Ampezzano con zampino e

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il guanciale nazionale, oltre agli ormai celebri Gran Crudo delle Alpi e Riserva dei Monti d’Ampezzo che arricchiscono e completano l’intera gamma delle specialità a marchio “Sapori d’Ampezzo”. Speck d’Ampezzo: l’arte dell’affumicatura Uno dei protagonisti della linea “Sapori d’Ampezzo” è certamente lo speck affumicato, che deve la sua unicità a due ingredienti fondamentali: il sale e l’affumicatura. Il termine deriva dal tedesco “spec” (spesso, grasso) e le sue origini risalgono al 1200, quando i contadini conservavano le carni anche per lunghi periodi. Numerosi fattori rendono lo speck una vera eccellenza, a partire dalla selezione della materia prima. Le cosce vengono infatti selezionate in base a rigorosi criteri di qualità e lavorate manualmente seguendo i metodi tradi-

zionali che vantano secoli di storia e ed artigianalità. La lavorazione dello speck parte esclusivamente da una coscia di suino disossata che viene salata ed aromatizzata con varie spezie fra cui soprattutto il pepe. La tipica crosta speziata conferisce infatti allo speck il suo aroma inconfondibile. Alla speziatura segue una fase fondamentale ma allo stesso tempo molto delicata: l’affumicatura. È qui che il prodotto acquisisce il sapore e la delicatezza che lo contraddistinguono. Il lento processo di affumicatura rispetta la tradizionale ricetta antica: lo speck viene infatti lasciato riposare all’interno di camini alimentati esclusivamente con legno di faggio e bacche di ginepro, che diffondono nell’aria i profumi della valle. Chiudendo gli occhi, si viene travolti da un mix di aromi che portano alla mente le botteghe di un tempo e richiamano l’antica arte del salumiere.

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Sua Maestà Alto di fesa Ultimata la fase di affumicatura, il prodotto viene fatto stagionare per circa sei mesi. Al termine della lavorazione, il risultato è un’esplosione di colori e profumi: lo speck affumicato “Sapori d’Ampezzo”, così come il Dolce Ampezzo e Dolce Carnia, fiocco di prosciutto crudo sempre della gamma San Dan, presenta infatti una caratteristica unica ed inimitabile, la fesa alta. Rispetto ai classici speck, il prodotto d’Ampezzo presenta una forma meno appiattita ma più alta, con una giusta quantità di grasso pregiato. Il colore rosato e il profumo delicatamente speziato poi rendono ogni fetta un piacevole viaggio nel gusto. Inconfondibile!

Lo stabilimento di Ampezzo. Qui San Dan si occupa della produzione di speck affumicato, fiocco di prosciutto Dolce Ampezzo e Dolce Carnia, l’Ampezzano con zampino, il guanciale nazionale, il Gran Crudo delle Alpi e la Riserva dei Monti d’Ampezzo.

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D’Ampezzo con zampino, il prosciutto della Carnia Il prosciutto d’Ampezzo è un prodotto di salumeria, crudo e stagionato, realizzato seguendo le antiche tradizioni locali, e presenta un forte legame con il territorio. Gli antichi salumieri di Ampezzo custodiscono i segreti di questa lavorazione secolare che si basa su due semplici ingredienti: coscia di suino e sale. Solamente un’attenta selezione iniziale delle materie prime consente infatti di ottenere un prodotto di elevata qualità. Il passaggio successivo è la salagione, rigorosamente a mano e con sale marino macinato a secco. Ogni prosciutto riposa sotto sale per un numero di giorni pari ai chilogrammi di peso, garantendo al prodotto una naturale conservazione. Stagionatura Ultimata la stuccatura, il prodotto viene trasferito negli ambienti di stagionatura, dove viene conservato in una condizione ottimale di umidità, ventilazione ed esposizione alla luce. Il microclima della zona è una determinante incisiva in questa fase: la brezza della valle e i profumi dei boschi di faggio, donano al prosciutto d’Ampezzo un aroma inconfondibile. Il prodotto stagiona quindi in queste condizioni per un periodo di tempo variabile, da un minimo di 14 mesi sino a 18 mesi e raggiunge un peso finale di circa 11 chili. Marchiatura a fuoco Il legame con il territorio è infine evidente con il marchio a fuoco. Al termine della stagionatura, viene infatti impresso sulla cotenna il marchio raffigurante i monti di Ampezzo: un sigillo che racchiude al suo interno la storia di un regione con origini antiche che danno vita ad un prosciutto delicato e fragrante.

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Siamo gli specialisti del San Daniele DOP Il segreto è tutto łāķķÖ łŋŭŶũÖ ƩķĢāũÖ

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Solo le cosce migliori I nostri mastri salu salumieri mettono al primo posto la genuinit genuinità delle materie prime e selezionano le cosce migliori per portare in tavola il gusto inconfondibile di un prodotto s sano e naturale.

Benessere ere animale e dÖ ŭÖķŽŶā ƩŭĢóÖ ā ťŭĢóŋķŋėĢóÖ Ö ā ťŭĢóŋķŋėĢóÖ ono una priorità. dell’animale sono I nostri allevatori tori controllano attentamente l’alimentazione, si assicurano che gli ambienti siano o spaziosi cono al e areati e riducono minimo lo stress ess del suino.

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Con pa pazienza, secondo tra tradizione La salatura, rigorosamente a mano, e la l stagionatura mini minima di 18 mesi, danno vi vita ad un crudo d dal gusto unico, natura naturalmente buono.


Cinta Senese DOP: foto di famiglia e nuovo logo del Consorzio «Allevando la Cinta Senese non abbiamo soltanto fatto rinascere una specie, ma dato vita nuova a coloro che il Medioevo d’oggi avrebbe estinto: i Porcari Toscani. Erano contadini e allevatori, pronti ad aprirsi a una condizione superiore, di cui non possedevano che un vago e indistinto presentimento. Col nostro credo “Primum Vivere! Vivere innanzitutto!” – siamo diventati la “fonte gaia” di chi sa celebrare la vita. Prendiamo campo e ci proponiamo con un cibo che nasce nella gioia». I Porcari Toscani sono dunque i protagonisti del nuovo logo del Consorzio di tutela della Cinta Senese, entrato nel suo 21o anno di vita. Un uomo e una donna, uniti nel loro impegno lavorativo di allevatori, lui con in mano il bastone per dirigere il branco e radunare gli smarriti, sovrastano la scritta “Porcari Toscani”. Espressione evocatrice di molteplici significati e suggestioni, che riporta indietro di secoli, quando i porcari erano i protagonisti nell’economia agricolo-pastorale. Sotto, “Cinta Senese, Denominazione d’Origine Protetta” e infine Consorzio di tutela, l’attore principale che sovrintende alla salvaguardia e promozione della Cinta. Sui mattoni rossi di Piazza del Campo protagonisti per un giorno, come ormai tanti secoli fa, gli allevatori di Cinta Senese e i loro animali, a celebrare una razza che, pochi passi più in là, all’interno del Palazzo Comunale di Siena, nella Sala della Pace, trova evidenza nell’affresco del Buon Governo (1338-1339) di Ambrogio Lorenzetti. In una meravigliosa fusione di tinte, figure e paesaggio, l’autore rappresenta appunto il Buon Governo, espressione, cosciente e realistica, di una sintesi poetica dell’idealizzazione delle attività produttive, compresa l’agricoltura, e la piena armonia della campagna con la città. Su quella parete, fra i vari episodi che illustrano le attività agricole, è raffigurato un esemplare di Cinta, inequivocabile la fascia bianca su un mantello scuro, condotto dal porcaro verso il mercato che si teneva proprio in Piazza del Campo, dove si narra venisse utilizzata per ripulire il granellame caduto dai banchi. E così l’evento “La Cinta Senese torna in Piazza del Campo“, svoltosi lo scorso 18 ottobre, ha visto protagonisti gli oltre 80 associati del Consorzio di tutela con le loro famiglie, provenienti da tutta la Toscana, accompagnati da esemplari di Cinta, riuniti nel bel mezzo della Piazza, avvolti dai nove spicchi voluti dai Noveschi, che portano al Gavinone con la sua scultura dell’Allegoria della Vita. Una foto (l’autore è Luciano Valentini) destinata a diventare storica.

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La scomparsa di Maddalena Raspini, imprenditrice visionaria e determinata che insieme al fratello Umberto contribuì a far crescere la Raspini Spa Maddalena Raspini, presidente onorario di Raspini Spa, ha contribuito in modo determinante allo sviluppo della sua azienda. Nata nel 1930, è stata una donna e un’imprenditrice fuori dal comune, affermatasi con autorevolezza, competenza e professionalità. Figlia di Ilario ed Elsa Raspini, fondatori dell’azienda, Maddalena ha dimostrato fin da ragazza un carattere deciso, una forte determinazione e una capacità di visione fuori dal comune: fu lei stessa, interpellata dal padre, a dichiarare con gran forza che quel nucleo produttivo iniziale, nato nella cascina di famiglia di Viotto (Scalenghe), sarebbe diventato una fabbrica e ogni scelta compiuta nella sua vita, a cominciare dal percorso di studi, è stata fatta in funzione del raggiungimento di quell’obiettivo. Maddalena Raspini era donna misurata ed elegante, ma con la capacità di lasciare il segno su chiunque incontrasse. Sapeva quello che voleva e riusciva ad ottenerlo. La sua determinazione nel raggiungimento degli obiettivi lavorativi è sempre stata accompagnata dall’estrema cordialità, attenzione, rispetto e cura per il cliente, un connubio vincente che ha consentito all’azienda di raggiungere obiettivi importanti. Nelle parole scritte dal fratello Umberto è racchiusa l’essenza di una donna, di una sorella, di un’imprenditrice, ma anche il segreto di un successo aziendale in cui il contributo della signora Lena è stato fondamentale: “Con te al fianco, i nostri cari, i nostri molti affezionati collaboratori, abbiamo costruito la Raspini di oggi: ne siamo fieri e restiamo impegnati nella continuità e nella trasmissione dei nostri valori. Troppo esiguo lo spazio per raccontare la nostra lunga storia, le tue coraggiose e illuminate intuizioni commerciali che hanno contribuito a condurci dove siamo, ponendo solide basi per il lavoro futuro”.


Quack di Federica Cornia

etti una sera d’inverno, un po’ di foschia, una cassoeula d’oca con polenta fumante nel piatto e sei di sicuro in Lombardia, in particolare a Pregnana Milanese, seduto ad un tavolo dell’Agriturismo Cascina Madonnina. Qui l’oca è protagonista e non solo entra, a fianco dell’immancabile verza, nel piatto tradizionale lombardo per eccellenza, la cassoeula appunto, spo-

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destando, in via del tutto eccezionale, la carne di maiale, ma, nelle varie declinazioni in cui è proposta all’avventore, dà prova di tutta la sua versatilità. Dal salame puro d’oca dell’antipasto al ragù che accompagna gli gnocchetti di patate, all’oca tonnata e alla tagliata d’oca dei secondi piatti, passando per roast beef e foie gras (il fegato grasso qual è viene importato dall’estero poiché in Italia ne è vietata la produzione).

È un angolo davvero speciale questo, immerso com’è nell’oasi naturalistica WWF di Vanzago, a pochi chilometri dal centro di Milano e a soli 5 km dal polo fieristico di Rho. Agli albori della storia dell’azienda, era il 1999, c’è l’acquisto di una proprietà dotata di un grande casolare e nessuna idea che Cascina Madonnina sarebbe diventata un agriturismo con allevamento di oche e anatre, dedito

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In alto: nido naturale di oche con uova appena deposte. A sinistra: speck e prosciutti d’oca appesi a stagionare nell’azienda agricola Cascina Madonnina.

alla lavorazione di salumi puri d’oca. Ma è solo nel 2005, con la nascita dell’agriturismo e l’apertura del B&B, che si inizia a pensare come, con una cascina così grande, sarebbe stato bello avere degli animali. Ci si orienta verso le oche, animali da bassa corte e non troppo impegnativi, che fanno le uova 5-6 mesi all’anno. Con l’apertura del ristorante, nel 2008, le oche finiscono nel menu e ne

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diventano le protagoniste. Nel 2013, dal successo riscosso dalla carne d’oca utilizzata per la preparazione dei piatti e nei salumi autoprodotti, nasce il brand Quack, col palmipede bianco dentro ad un tondo che poggia le zampe sul cartiglio e la scritta onomatopeica che ne riprende il verso. Al B&B e al ristorante si affianca presto lo spaccio agricolo con degustazione e vendita principalmente di

prodotti a base d’oca, accanto ad altri prodotti locali. Il brand Quack oggi veicola due linee di prodotto: una linea per la vendita al privato, business-to-consumer (B2C), che si avvale soprattutto del canale on-line, e che è stato di grande aiuto durante il lockdown, e una linea dedicata alla media e alta ristorazione, business-to-business (B2B). L’anno scorso, in piena pandemia, la grande

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novità: su una superficie di pascolo di 8 ettari ad Abbiategrasso nasce Quack come vera e propria azienda, non più solo brand, e si dà avvio ad una serie di investimenti finalizzati alla produzione di un prodotto di eccellenza: l’uovo d’oca. La richiesta è alta — ci dice GRETA PAVAN, oggi copropietaria della neonata azienda insieme al cugino appena ventenne NICCOLÒ PANDINI — e arriva non solo dai ristoratori, per la preparazione di classici come l’uovo all’occhio di bue, ma anche dalle gastronomie, per la produzione di pasta fresca, e dalle pasticcerie che sfruttano il vantaggio dell’abbondanza del tuorlo dell’uovo

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A sinistra: tagliere con salame puro d’oca, prosciutto crudo d’oca e prosciutto cotto d’oca. Tutti i salumi che si assaggiano in agriturismo sono acquistabili nello spaccio aziendale. A destra: Greta Pavan con la nonna Augusta Lissoni e la zia Moira Fusè, tre donne, tre generazioni impegnate in azienda.

d’oca che vince su quello di gallina per un rapporto di tre a uno. Ecco allora che, a fianco del comparto delle oche da carne, nasce l’esigenza di creare un segmento di oche ovaiole. Il progetto, appena avviato e in partnership con l’Azienda Agricola Cascina Madonnina, è andato un po’ a rilento, ci spiega Greta, non solo per via di questioni legate all’attuale situazione generale originata dalla pandemia, ma anche perché qui si è soggetti a vincoli ambientali e di tutela paesaggistica che riguardano l’area protetta del Parco lombardo della Valle del Ticino in cui l’allevamento ha sede. «Comunque l’azienda c’è e il progetto anche, i permessi sono finalmente arrivati e noi con l’anno nuovo siamo pronti a partire» sottolinea con entusiasmo. Intanto, nell’attesa, Cascina Madonnina continua la produzione di salumi affiancata all’attività di ristorazione che promuove una carne che ha un aspetto nutrizionale molto interessante e sconosciuto ai più. «L’oca, al contrario di quanto comunemente si pensa, non è un animale il cui grasso delle carni fa male, anzi. Mangiare carne d’oca è un po’ come mangiare il salmone. Ci tengo a sottolinearlo ogni volta» dice Greta. Nonostante si tratti di carne rossa (ricca di ferro ma potenzialmente anche

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ricca di grassi), la carne d’oca è infatti ricca di grassi insaturi Omega-3, 6 e 9, essenziali per il corretto funzionamento del nostro organismo, gli stessi che si trovano nel pesce, nella frutta secca, nei semi di lino e nell’olio d’oliva. Inoltre, come si legge sulla brochure aziendale, è ricca di selenio, un oligominerale che svolge attività antiossidante e di rafforzamento delle difese immunitarie e di lisina, un amminoacido che favorisce la formazione di anticorpi, migliora la tolleranza allo stress e il metabolismo dei grassi. Cosa che non guasta, soprattutto di questi tempi. Le oche allevate in azienda sono quelle di razza Romagnola, affiancate dalla varietà ornamentale Cignoide, da mostrare ai bambini che arrivano in visita con la scuola e utili per la produzione di uova perché particolarmente prolifiche. Libere di pascolare all’aperto e trovare ricovero nel capannone dotato di pannelli solari e impianto geotermico vicino alla cascina, la loro alimentazione prevede mangimi e granaglie integrati con pane secco frutta e verdura. La macellazione avviene esternamente e per la lavorazione e la trasformazione si torna in azienda, nel laboratorio certificato CEE che oggi è in via di ampliamento e ristrutturazione. Da questa fucina di prodotti di nicchia escono il salame puro d’oca, ottenuto senza l’aggiunta di carni

suine, i prosciutti d’oca, ma anche i ravioli ripieni di carne d’oca, il foie gras e i tagli di carne fresca, marginale per la vendita al dettaglio e fondamentale per il ristorante dell’agriturismo. «Produciamo 80 tonnellate di salumi, in buona parte assorbite dall’agriturismo, dal ristorante e dalla vendita allo spaccio» dice Greta. «Abbiamo una produzione piccola, il nostro mercato è per lo più in Italia ma qualche canale di vendita lo abbiamo all’estero. Croazia, Germania e Inghilterra, per esempio, sono tre mercati attenti e interessati ad un prodotto come il nostro, un prodotto artigianale che può essere anche salutare». Realtà piccola ma in costante crescita, con due giovanissimi al timone, Quack si prepara a questo Natale 2021 mettendo nella cesta natalizia cotechino d’oca (e qui un po’ di carne di maiale c’è) e foie gras sottovuoto, confezionato in terrine da 250 grammi e 500 grammi, già pronto e solo da impiattare. Buone feste a tutti! Federica Cornia Quack Via Cascina Madonnina 17 20010 Pregnana Milanese (MI) Telefono: 347 4565954 E-mail: info@quackitalia.com Web: www.quackitalia.com

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180 ANNI DI DOLCEZZA: GARZOTTO ROCCO, LA STORIA DEL MANDORLATO Una chiacchierata con Dino Garzotto, l’attuale titolare

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Le origini a nostra storia inizia nel 1840 a Cologna Veneta, in provincia di Verona, dove il giovane garzone di farmacia ROCCO GARZOTTO ha una semplice quanto straordinaria intuizione: amalgamare il miele con l’albume d’uovo, lo zucchero e le mandorle sbucciate, lavorando l’impasto a caldo per molte ore e dar così vita al Mandorlato di Cologna Veneta. In poco tempo il suo Mandorlato viene apprezzato per la straordinaria qualità degli ingredienti e per la presentazione in eleganti confezioni, divenendo un tipico dolce delle feste natalizie tanto da essere esportato con successo perfino nel Nuovo Mondo. Nasce così — 180 anni fa — il primo Mandorlato di Garzotto Rocco & Figlio: ingredienti rigorosamente italiani, manualità e creatività che hanno dato origine alle tecniche artigianali e meccaniche di lavorazione del Mandorlato. Si devono attribuire, infatti, al genio e all’iniziativa di Rocco Garzotto quelli che ancora oggi sono i metodi usati per la produzione del Mandorlato. È proprio il padre fondatore a progettare le tecnologie per costruire le prime impastatrici meccaniche, strumenti in grado di facilitare il lavoro dell’uomo senza però sostituire il prezioso contributo affidato alle mani esperte del personale specializzato. Una formula frutto della ricerca della perfezione che parte dal porto di Venezia alla ricerca delle migliori materie prime, solcando i mari italiani con le navi della Repubblica Veneta, e che si realizza nei laboratori pasticceri di Cologna Veneta.

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La famiglia Oggi custodi della ricetta che ha fatto la storia del Mandorlato in Italia sono gli eredi di Rocco Garzotto, ormai la quinta generazione di artigiani. I Garzotto sono una famiglia patriarcale, di quelle fedeli alle tradizioni, che si tramandano i nomi di generazione in generazione: prima Rocco, poi ITALO, poi ROCCO, poi ITALO fino a DINO che interrompe la sequenza (anche se questo è il nome dello zio paterno, precisa il padre Italo). «Il mio bisnonno Garzotto Rocco ha iniziato l’attività nel 1840, ed è stato l’inventore del mandorlato. La ricetta è uscita sempre dalla bottega Garzotto»

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Dalla raccolta delle mandorle nuove alla loro tostatura, dall’inizio della produzione del mandorlato al suo arrivo sugli scaffali, tutto avviene ancora rispettando tempi e gesti che si ripetono da oltre un secolo, esprimendo al massimo l’arte pasticcera di Rocco Garzotto & Figlio racconta Italo. «Conserviamo ancora dei libri paga degli anni Venti, con i nomi dei nostri operai che poi si sono messi in proprio e hanno fondato altre ditte nel Colognese e dintorni». «Anch’io ho cominciato a 11 anni, proprio come faceva mio padre insieme a suo nonno — ricorda Dino — e appena a casa da scuola, subito correvo in fabbrica… è una passione che si tramanda da generazioni». Le sedi storiche Sempre Dino, l’attuale titolare, racconta: «Nel 1880 abbiamo aperto il negozio in Piazza Garibaldi, che è ancora nello stesso luogo. Lo abbiamo ristrutturato nel 1923 e mantenuto fino ad oggi con le medesime caratteristiche, è una delle botteghe storiche di Cologna. Anche l’ufficio della sede di produzione, in via Pietro Mabil, è del 1925. Abbiamo cambiato gli arredi e ammodernato le attrezzature per renderle funzionali alle esigenze attuali, ma conservato tutto: mobili d’archivio, macchine da scrivere, vecchi attrezzi e confezioni. In ufficio custodiamo attestati, riconoscimenti, lettere, fatture e vecchie foto dell’azienda». Nella sede infatti si possono vedere attrezzature e modelli di macchine inventate dal fondatore: «Il primo riconoscimento internazionale lo abbiamo ottenuto nel 1884, poi la medaglia di bronzo della Società Operaia di Verona per l’invenzione dello “sbatti chiare”, il primo sbattitore meccanico per gli albumi da montare a neve. Abbiamo anche un antico calderone di fine ‘800, sempre inventato dal bisnonno di mio padre Italo, con la caldaia a legna sottostante per la cottura a bagnomaria del mandorlato. Anche i forni per tostare le mandorle andavano a legna, il gas infatti è arrivato a Cologna nel 1946/47».

Altri cimeli importanti sono i cofanetti, le bellissime confezioni per il mandorlato: «Fino agli inizi del 1900 si usavano le scatole in legno, che abbiamo conservato in un cassone fino al 1970» continua Dino. «Erano chiuse in soffitta, i tarli però le hanno rovinate e sono andate perdute. Già ad inizio ‘900 mandavamo le scatole di latta in Argentina, a Buenos Aires… eravamo una ditta internazionale. Conserviamo ancora delle confezioni dell’epoca, oggi esposte in negozio. Qui abbiamo anche un “lattone”, una scatola che poteva contenere 8-10 kg di mandorlato, avvolto nella carta impermeabile per la conservazione, perché allora non c’era il cellophane». L’azienda oggi Passano gli anni e anche nella ditta Garzotto Rocco & Figlio vengono introdotte delle innovazioni, come racconta MICHELA, la nuora: «Abbiamo mantenuto la produzione del mandorlato nelle scatole di latta tradizionali, un po’ aggiornate nel design. Sono stati inseriti dei nuovi prodotti, come il mandorlato morbido, il mandorlato ricoperto di cioccolato, i torroncini in vari gusti; poi i tartufi, morbidi cioccolatini bianchi o neri, seguendo l’evolversi dei gusti e le richieste del mercato. Il nocciolato, aggiungendo le nocciole al posto delle mandorle; il mandorlato superiore prodotto con il 70% di mandorle e infine il mandorlato Zero prodotto senza l’aggiunta dello zucchero e dolcificato dal miele». L’eccellenza del mandorlato «I nostri prodotti non sono frutto di ricette segrete, ma di una tradizione tramandata da quasi due secoli. Per il nostro Mandorlato seguiamo la ricetta del fondatore, Rocco Garzotto: lavoriamo gli ingredienti senza fretta, impiegando

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La ricetta del mandorlato Garzotto Rocco & Figlio ha conquistato medaglie alle esposizioni universali, diventando ambasciatrice oltreoceano dell’arte pasticcera italiana: il riconoscimento di un successo che ha fatto guadagnare al suo inventore persino la benedizione del Papa. ancora oggi nove ore per produrlo. Usiamo solo le migliori materie prime, frutto di una costante ricerca, senza compromessi: miele di acacia siciliano, uno dei migliori presenti sul mercato; mandorle pugliesi e nocciole piemontesi acquistate intere e poi sbucciate e da noi tostate al momento; zucchero e albume d’uovo esclusivamente italiani e controllati ad ogni partita. Le materie prime sono di provenienza esclusivamente italiana e lavorate come l’arte pasticcera richiede, con cura e sapienza, rispettando i profumi e i sapori di ognuna. Utilizziamo solo ingredienti “puri” senza aggiunta di aromi artificiali, conservanti o coloranti. L’ostia su cui adagiamo il Mandorlato ancora caldo è prodotta solo con fecola di patate, olio di oliva e acqua, priva di glutine».

persino la benedizione del Papa. Anche oggi partecipiamo a molte fiere, come Tuttofood a Milano; siamo stati scelti come “Sua Eccellenza” dal Gambero Rosso tra le aziende italiane di qualità, un’iniziativa nata nel 2011 per festeggiare i 25o anniversario del Gambero Rosso che promuove le realtà che dimostrano straordinarie qualità nel settore agroalimentare. Inoltre nel 2019 il Mandorlato Garzotto è arrivato secondo come Miglior Mandorlato d’Italia. Siamo anche stati citati ne Il Golosario, Guida alle Cose buone d’Italia (www.ilgolosario.it), dalla rivista Cucina Italiana, dalla rivista Gusto, siamo presenti nel blog Turista di mestiere – Blog di Viaggi alternativi (turistadimestiere.com) e in documentari televisivi della RAI per la trasmissione GEO».

Il successo «La ricetta del nostro mandorlato ha conquistato medaglie alle esposizioni universali, diventando ambasciatrice oltreoceano dell’arte pasticcera italiana: il riconoscimento di un successo che ha fatto guadagnare al suo inventore

La distribuzione «La distribuzione dei nostri prodotti è mirata, potremmo dire destinata ad un fruitore di nicchia: ci potete trovare nelle pasticcerie, nelle enoteche, nei negozi specializzati. Anche nei ristoranti e nelle gelaterie, a cui forniamo la gra-

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nella per la preparazione artigianale di semifreddi, bavaresi, zuccotti. Per scelta non siamo presenti nella grande distribuzione: il nostro infatti è un prodotto artigianale, in gran parte lavorato a mano (come per esempio il ricamo sulla torta o sulla stella), e tempi lunghi di preparazione ne fanno una creazione gourmet». Obiettivi futuri «Consapevoli della prestigiosa tradizione che ci è stata affidata, siamo costantemente impegnati nel mantenere alto il livello della nostra linea di produzione, pur rimanendo fedeli al prodotto artigianale originale. La nostra missione resta votata ad elevare la produzione all’eccellenza senza trascurare la cura del packaging, sensibili ai desideri della nostra sempre più folta clientela». Garzotto Rocco & Figlio Srl Via Pietro Mabil 4 37044 Cologna Veneta (VR) Telefono: 0442 85162 E-mail: garzottorocco@garzottorocco.com Web: www.garzottorocco.com

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TRADIZIONI

Cantina della Volta e Pasticceria Giamberlano insieme per il panettone che celebra il territorio modenese

antina della Volta, azienda vinicola produttrice di vini spumanti Metodo Classico, e Pasticceria Giamberlano, guidata dal maestro pasticcere VALTER TAGLIAZUCCHI, sono animate dal comune obiettivo di creare prodotti eccezionali a partire dalle medesime origini nel territorio modenese. È così che nasce l’idea di realizzare un panettone artigianale aromatizzato al Mattaglio Metodo Classico, vino spumante di qualità Brut, ottenuto da uve di Chardonnay e Pinot nero coltivate nel vigneto collinare di

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Riccò di Serramazzoni (MO), a 650 metri di altitudine sul versante modenese dell’Appennino tosco-emiliano. Un terreno ideale per la produzione del Metodo Classico: calcareo e argilloso, con gesso in superficie, situato a ridosso di un bosco che, insieme all’altitudine, consente quell’escursione termica tra la notte e il giorno così importante per conferire eleganza e finezza alle uve che poi verranno portate in cantina. Da un lato, quindi, ben quattro generazioni di esperti imprenditori vinicoli che, negli ultimi 40 anni, hanno unito

la tradizione locale con il Metodo Classico per creare vini davvero distintivi. Dall’altro, un maestro dell’arte dolciaria che ha raggiunto traguardi e ottenuto premi internazionali fondendo creatività e sapienza antica, e che ha mosso i primi passi nel biscottificio di famiglia. Due realtà che hanno un profondo legame con il territorio e che hanno scelto di lavorare assieme. «Siamo entrambi consapevoli delle potenzialità della nostra alta collina e della nostra montagna» ci dice ANGELA SINI, AD di Cantina della Volta. «In-

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Tutti i vini spumanti di Cantina della Volta sono il risultato di un accurato ed intransigente lavoro di controllo qualitativo sull’intera filiera, dalla coltivazione sostenibile delle uve alla supervisione di ogni fase delle lavorazioni. E sono perfetti per i brindisi delle festività di fine anno.

Al pan ed Tonino Molto, molto tempo fa esercitava la professione di agrimensore sulle colline attorno a Serramazzoni di Modena tale Antonio Fulgenzio Scaramelli. Era un omino segaligno dalla pelle chiara chiara, che anche d’estate viaggiava vestito di tutto punto con un tre pezzi di tessuto ruvido, il gilet abbottonato e la cravattuccia, assieme al mulo su cui caricava l’ingombrante attrezzatura di misurazione dell’epoca. Era un uomo preciso e puntiglioso, il carattere perfetto per quel mestiere fatto di misure, e calcoli, calcoli e misure. Si occupava di misurare i campi e le vigne, già allora presenti soprattutto dalle parti di Riccò. Ogni mattina passava dal panettiere Librando che cuoceva il pane per tutta la comunità dalle parti di Pazzano, e non mancava di fare appunti sulla pagnotta che si comprava con una monetina di rame. Un po’ più cotto un po’ meno bagnato un po’ più salato un po’ meno scuro. Ed ogni giorno era una discussione perché Tonino non mollava mai il colpo. Lo chiamavano tutti Tonino per la sua minuscola complessione fisica, e quando arrivava i garzoni del panettiere chiamavano a gran voce “al pan ed Tonino”. Cambia che ti ricambia, il pignolo agrimensore fece aggiungere e fece togliere fino a che si trovò una pagnotta perfetta per suo gusto e il suo nutrimento: un pane molto ben lievitato, un po’ dolce, arricchito con della frutta candita e dell’uva appassita raccolta nei vigneti circostanti, tra cui quelli di Riccò. Passarono gli anni, e come tutto, anche Tonino passò, così come Librando che era un lombardo scappato sulle montagne modenesi a causa di una pruriginosa storia di ragazze. I figli di Librando però vollero tornare a Milano e riportarono la ricetta del Pan ed Tonino, che per adattamento linguistico divenne piano piano Pan ’d Toni e infine il Panettone, che per i misteriosi meandri della storia diventò il dolce milanese per eccellenza. Noi per rievocare questa dimenticata storia modenese abbiamo voluto replicare Al Pan ed Tonino, il nostro omaggio all’oscuro agrimensore e al genio del dimenticato panettiere Librando, e alla sua predilezione per i grappoli di Riccò dove prosperano i vigneti che ci donano il Mattaglio, lo Spumante Metodo Classico con cui il nostro panettone è aromatizzato. Non credete ad altre storie, perché questa è la verissima verità. Stefano Caffarri

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sieme volevamo dare voce al nostro territorio e alle nostre realtà, che si impegnano da anni per creare prodotti di alta gamma». Per raccontare questo nuovo panettone, che coniuga la leggerezza delle bollicine e dell’impasto a lunga lievitazione, le due aziende hanno ideato una narrazione che viene riportata su un cartoncino collocato all’interno della confezione del panettone. Una storia che reinventa in chiave giocosa e locale la nascita del dolce di Natale più diffuso. La vicenda narra di come, un tempo, l’agrimensore modenese ANTONIO FULGENZIO SCARAMELLI, uomo puntiglioso ed esigente, abbia contribuito con le sue richieste e incessanti modifiche alla realizzazione di un pane ben lievitato che conteneva frutta candita e uve appassite raccolte nei vigneti della zona, tra cui quelli di Riccò. Il pane di Antonio, o “al pan ed Tonino” come veniva chiamato, venne poi tramandato alle successive generazioni che, portandolo a Milano, lo fecero diventare il dolce milanese per eccellenza. «Siamo entusiasti di questa collaborazione con Cantina della Volta» afferma STELLA TAGLIAZUCCHI, responsabile commerciale del Giamberlano. «La nostra è una realtà molto legata al territorio: attraverso i panettoni raccontiamo le storie dei nostri luoghi. In questo caso, percorriamo le colline del modenese e facciamo incontrare il nostro lievito madre con il Mattaglio Metodo Classico, componendo un dolce dal gusto elegante e inaspettato». Il panettone di Cantina della Volta con Pasticceria Giamberlano è già disponibile dall’inizio del mese di novembre presso alcune delle principali enoteche dell’Emilia-Romagna e delle Marche, oltre che sull’e-commerce di Cantina della Volta (cantinadellavolta. com/negozio). La storia completa, invece, la potete leggere nel box a lato.

Nota Photo © Stefano Caffarri.

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14 MEDAGLIE, IL FIORINO È MONDIALE. ABBIAMO CONQUISTATO IL WORLD CHEESE AWARDS

Siamo tornati dal World Cheese Awards di Oviedo con 14 medaglie. Un risultato che ci ha sorpresi e ci ha riempito il cuore. Sono stati premiati i nostri formaggi storici e quelli “appena nati”. Innovare nel solco della tradizione e dell’esperienza ha dato i suoi frutti. Siamo ancora una volta l’azienda italiana più premiata per qualità e quantità di medaglie. A Oviedo oggi, come a Bergen nel 2018, quando la Riserva del Fondatore fu giudicata miglior formaggio italiano nel mondo. Come a San Sebastian, nel 2016, dove con 6 medaglie siamo entrati nella classifica dei migliori caseifici a livello internazionale. Vincere non è mai né facile né scontato. Quello che ci rende più orgogliosi è la continuità con cui i formaggi de Il Fiorino vengono premiati nei concorsi internazionali di tutto il mondo. La sfida, ora, è continuare a crescere, senza fermarci. Come facciamo dal 1957.

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CACIO DI VENERE CACIO DI CATERINA FIOR DI NATURA CACIO DI AFRODITE 2 per PECORINO TOSCANO DOP STAGIONATO GROTTA DEL FIORINI CACIO DI VENERE RISERVA DEL FONDATORE 2 per CACIO DI CATERINA

CACIO DI AFRODITE FIORIN BLU RISERVA DEL FONDATORE

www.caseificioilfiorino.it


Natale in Emilia: in tavola con i grandi classici per celebrare il ritorno delle feste in famiglia di Chiara Papotti

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l Natale si presenta, puntuale come un orologio, a sancire un tacito accordo che concilia età, usanze, situazioni familiari diverse: è la dolcezza di una pausa affettiva, lenta e accogliente, da vivere attorno ad un tavolo di golosità. Dopo due lunghi anni dall’inizio della pandemia da Covid-19, il desiderio di tornare ad assaporare, riuniti ad amici e parenti, il piacere dei giorni di festa è sempre più vivo e imminente. Il nostro viaggio gastronomico, questa volta, è un itinerario circoscritto a tre capoluoghi emiliani, che si sono da sempre distinti per ospitalità ed eccellenza in tavola. Percorriamo la via Emilia per andare alla ricerca di prodotti tipici, dalla storia secolare. Quest’anno il Natale chiama ancora di più il tradizionale menù delle feste, quello atteso tutto l’anno con lo scopo di rivivere il piacere di stare insieme, assaporando i grandi classici. Non ce ne vogliano Piacenza, Reggio Emilia e Ferrara, anch’esse terre di grande tradizione e produzione d’eccellenza, se per questa volta scegliamo Parma per i salumi, Modena per le carni e Bologna per gli immancabili tortellini. Partiamo!

I Il tradizionale albero di Natale di piazza del Nettuno a Bologna, nel cuore della centro storico. La fontana del Nettuno, risalente al 1566, è considerata assieme alle due torri il simbolo della città (photo © ANADEL – stock.adobe.com).

Parma Elegantemente adagiata lungo il torrente che porta il medesimo nome, Parma esibisce i gioielli del suo nobile passato, ideali da proporre come antipasti sulle tavole natalizie. Primo fra tutti il Culatello di Zibello, il più aristocratico salume della tradizione italiana, prodotto nei comuni più a nord del territorio parmense, raggiunti dal respiro del Po. Si ottiene dalla sezione più bombata della coscia del maiale, privata della cotenna, disossata e sgrassata. Il Disciplinare di produzione prevede un ciclo di lavorazione e stagionatura non inferiore ai 14 mesi. Profumo e sapore restano imbattibili. Per non parlare del Prosciutto crudo di Parma, preparato negli storici prosciuttifici di Langhirano, fino ad una altitudine di 900 metri slm, apprezzatissimo per la sua dolcezza e l’intenso profumo. Per gli amanti del salame, invece, quello di Felino rimane tra i più ricercati: carni suine selezionate, macinate, speziate e insaccate per lo più in un budello gentile. Morbido e delicato, oltre i 3 mesi di stagionatura il sapore diventa

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più marcato, si può avvertire l’aroma pungente del pepe e la componente salina che compensa la dolcezza del grasso. Infine, per preparare un antipasto da ricordare, lo Strolghino non può mancare: salume raro e di straordinario ingegno, alla vista sembra una semplice salsiccia, considerato che viene consumato giovane, ma è un salame di altissimo pregio che viene preparato, in quantità contenute, con le rifilature del prosciutto crudo e del culatello. Modena Posta tra i fiumi Secchia e Panaro, Modena ospita architetture che rivelano un ricco passato. Città dai richiami romani ed etruschi, nel Cinquecento fu eletta capitale del Ducato estense. In città si respira un clima rilassato: le persone che percorrono in bicicletta o a piedi le strade del centro si scambiano saluti e auguri, come si fa tra amici di vecchia data. Qui l’accoglienza è di casa ed è un piacere passeggiare fino ad arrivare alla salumeria più antica d’Europa, in via Farini: la Salumeria Giusti. Il negozio, dove faceva spesa ROSSINI, risale al 1598 e si possono trovare due secondi piatti, consumati tipicamente nel periodo natalizio: lo Zampone e il Cotechino. Così diversi all’apparenza sono fatti, invece, della stessa sostanza: carni di suino macinate grossolanamente, unite alla cotenna di maiale tritata finemente. Il tutto arricchito con pepe, noce moscata, chiodi di garofano e, in alcuni casi, con vino e cannella. Ciò che li distingue è l’involucro, la zampa di maiale, rigorosamente quella anteriore completa di falangi per lo zampone e il budello, naturale o artificiale, per il cotechino. Lessati e serviti nel Carrello dei bolliti sono soliti essere accompagnati da una buona mostarda senapata, da uno stufato con fagioli o lenticchie “portafortuna”. Modena è, inoltre, sede del Consorzio dell’Aceto Balsamico Tradizionale: sulle tavole dei più tradizionalisti l’Aceto Balsamico, invecchiato almeno 12 anni, non manca mai ed impreziosisce le carni per regalare ai commensali un’esperienza sensoriale di intensa meraviglia. Bologna Se Parma è ricordata come la capitale farnese e Modena quella estense,

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I tradizionali tortellini, fatti con pasta all’uovo e ripieno a base di carne (photo © barbamauro – stock.adobe.com). Bologna è la capitale dell’Emilia tutta. Le due torri pendenti, degli Asinelli e Garisenda, sono il simbolo della città, insieme alla fontana del Nettuno. Tradizionalmente riservati ai più importanti giorni di festa, rigorosamente cotti nel brodo di manzo e cappone, i tortellini occupano un posto d’onore sulla tavola natalizia emiliana. La delicata sfoglia racchiude e protegge i più autentici sapori, espressione di gusto, capaci di valorizzare, con un pizzico di personalità, la qualità impeccabile delle materie prime e della lavorazione artigianale. Specialità contesa tra Modena e Bologna, i tortellini ricordano nella foggia i cappelletti, ma hanno

generalmente una sfoglia più sottile e una minor quantità di ripieno, così da poter reggere una dimensione più contenuta. La leggenda vuole che ad inventarli fu un oste “guercio e bolognese” che trovò ispirazione nell’ombelico di una Venere. Alla Confraternita del Tortellino va il merito di aver depositato nel 1974, presso la Camera di Commercio del capoluogo, la ricetta ufficiale di questa pasta, preparata con una sfoglia di farina e uova, e ripiena con una farcia di lombo di maiale, prosciutto crudo, mortadella Bologna, uova, Parmigiano Reggiano e noce moscata. Preparare i tortellini, come si faceva una volta,

La gente in Emilia potrebbe parlare di cucina per ore. Basta chiedere e tutti, in questa terra umida e nebbiosa, sono pronti a confidare i propri segreti per confezionare la tradizione. Quello su cui si disquisisce invece sono le varianti, ma in tavola c’è sempre spazio per tutte

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è un rito che ancora oggi scandisce i momenti importanti della vita familiare, nonostante i ritmi frenetici a cui siamo abituati. Sono, tuttavia, sempre meno le rezdore che si dedicano alla preparazione della pasta fatta in casa, ma per fortuna la passione per la qualità e l’attaccamento ai sapori della memoria hanno favorito il diffondersi di laboratori artigianali che ben rispondono ad una domanda sempre più crescente in termini di qualità. Se a Natale siete in Emilia, non sognatevi di alzarvi da tavola senza il dolce. Una delle più straordinarie prelibatezze di lunga data è la Torta Barozzi, un vero gioiello di pasticceria, dove il gusto tostato del caffè fa da contrappunto alla dolcezza del cioccolato. I dolci più ricercati sono quelli che, paradossalmente, si contraddistinguono ancora oggi per la loro semplicità. Quelli che coinvolgono pochi ingredienti e celebrano la fantasia e la sapienza, che ci sono state tramandate nel tempo, di generazione in generazione. Ed è dall’incontro dello zucchero col gusto amaro delle mandorle, nell’amalgama con il chiaro d’uovo, che prende forma uno dei dolci più tradizionali delle feste emiliane: gli amaretti. Ogni famiglia conserva e tramanda una propria ricetta, in cui possono variare gli ingredienti minori, le dosi e i metodi di preparazione. Anche la spongata trova il suo spazio sulla tavola natalizia. Il suo nome deriva probabilmente dal latino spongia, spugna, per l’aspetto spugnoso e irregolare della sua superficie. Ne esistono molteplici varianti, quella di Busseto rimane una delle versioni più classiche: un mix di uvetta, cedro, mandorle, pinoli, miele, pangrattato e spezie racchiusi in due forme circolari di pasta frolla povera. La gente in Emilia potrebbe parlare per ore di cucina. Basta chiedere, e tutti, in questa umida terra dove aleggia quasi perenne una coltre di nebbia, sono pronti a confidare i segreti di famiglia per confezionare la tradizione. Quello su cui si disquisisce sempre invece sono i particolari, le varianti, e davvero ognuno ne ha una diversa da suggerire. Non importa chi ha la meglio, quel che conta è stare insieme a tavola per rendere indimenticabile il pranzo di Natale. Chiara Papotti

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i t t o o d Pro archi am


Prodotti di nicchia a filiera cortissima, cene gourmet in ristoranti stellati, corsi di cucina tipica. “Ho gusti semplicissimi, mi accontento sempre del meglio” scriveva Oscar Wilde e così la pensano tutti i buongustai. Ecco perché è molto facile impacchettare un regalo di Natale gourmet, basta scegliere prodotti di eccellenza ed esperienze gastronomiche fuori dall’ordinario. Il prezioso culatello Da tre generazioni la famiglia Spigaroli produce il culatello: il bisnonno Carlo era il mezzadro di Giuseppe Verdi, suoi sono i prelibati salumi di cui il maestro parlava nelle sue lettere agli amici. Ancor oggi i Culatelli Spigaroli sono prodotti come la tradizione comanda, con pochissimi ingredienti naturali, la carne dei loro allevamenti di maiali bianchi e neri a km 0 e stagionati nelle cantine più antiche al mondo, ancora attive, risalenti al 1320. Qui riposano lungamente, respirando l’aria unica della Bassa parmense (afosa d’estate e nebbiosa d’inverno) e sono diventati famosi nel mondo, oggetto del desiderio di grandi ristoranti, chef come Alain Ducasse e Massimo Bottura, e principi, da Carlo d’Inghilterra ad Alberto di Monaco. Sul negozio on-line si possono comprare a tranci, a metà o interi e vengono spediti in tutta Italia puliti e sottovuoto, pronti per essere gustati. www.salumianticacortepallavicina.it/shop Il Parmigiano Reggiano a filiera cortissima I cheese lovers sanno bene che il Parmigiano Reggiano è il re dei formaggi e non rinunciano mai a godersi qualche saporita scaglia di questa prelibatezza. Il Parmigiano Reggiano Parma2064 nasce nel cuore della Food Valley, col latte delle bovine degli allevamenti a conduzione familiare collocati in un raggio di 10 chilometri dai caseifici della Cooperativa Casearia Agrinascente. Si può anche scegliere tra tanti varianti: dal Parmigiano Reggiano con diverse stagionature (12, 18, 24, 36 e oltre) a quello Halal. Esiste inoltre, un formaggio per vegetariani, il Verdiano, fatto con caglio vegetale da cardo. www.2064.it Innamorarsi di Ferrara Cappellacci, zucca, salama da sugo, la coppia, il pampapato, il vino del bosco Eliceo: le buone forchette non possono tirarsi indietro davanti alle allettanti proposte gastronomiche ferraresi e se poi si può aggiungere una visita alla bellissima città estense, l’immersione nel territorio sarà completa. Visit Ferrara propone l’offerta “2 giorni per innamorarsi di Ferrara”, valida tutti i fine settimana, che comprende l’arrivo al sabato, un pernottamento, la visita guidata della città e una cena tipica in ristorante. La domenica colazione in hotel, visita libera della città e degustazione di prodotti tipici in centro storico. Noleggio bici gratuito. Prezzo a partire da 105 euro per persona. www.visitferrara.eu

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


LA QUALITÀ

Crudo di Cuneo: la storicità e l’innovazione di una DOP

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In alto: un momento della lavorazione del prosciutto Crudo di Cuneo, la puntatura. La puntatura consiste sostanzialmente nel collaudo di ogni singolo prosciutto e viene eseguita nella fase finale della stagionatura. Il “puntatore”, inserendo l’ago di osso di cavallo in predeterminati punti del prosciutto, individua eventuali difetti e odori non conformi e decide l’esclusione dei prosciutti non idonei alla marchiatura.

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n territorio ricco di boschi e praterie ideali per le scorribande di cinghiali e maiali, le numerose vie del sale che hanno storicamente consentito un facile accesso al preziosissimo bene e gli straordinari microclimi dei propri fondovalle. Sono questi i tre principali fattori nei quali affonda le radici la storia di successo del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, oggi prodotto di eccellenza di una terra da sempre particolarmente vocata all’allevamento dei suini, nonché alla lavorazione e alla conservazione delle loro carni. Una tradizione che, nell’area cuneese, infatti, risale a parecchi secoli fa. Già i Romani insediati nei primi secoli d.C. in provincia, presso le città di Pollenzo (Pollentia), Alba (Alba Pompeia), Benevagienna (Augusta Begiennorum), erano noti per aver sviluppato l’attività dell’allevamento di maiali e conoscevano le tecniche per la conservazione delle loro carni. Le ricerche inerenti la storia della produzione del prosciutto nell’area cuneese hanno consentito di trovare libri contabili, custoditi dal Monastero degli Agostiniani di Cussanio-Fossano, risalenti al 1630 ca., che parlano della stagionatura dei

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prosciutti nella stanza del paradiso e della destinazione della noce per la tavola del Vescovo e dell’Abate. Una lavorazione tradizionale Il sale, elemento fondamentale per la conservazione delle carni, non è mai mancato in terra cuneese, attraversata da numerose “vie del sale”, che consentivano di trasportare la pregiata merce dalle saline della Costa Azzurra verso città come Torino e Milano. Ne è riprova il fatto che LODOVICO II, Marchese di Saluzzo, già nel 1482, allo scopo di favorire il trasporto di merci, tra le quali appunto il sale, fece scavare la prima galleria delle Alpi, detta Buco del Viso, che univa la valle del Queyras e la valle PO (regione della Provenza e area cuneese). Dopo la seconda metà del XIX secolo, il prosciutto della pianura cuneese assunse maggiore importanza. La nuova borghesia, nata dallo sviluppo dell’industria e del commercio, elevò il prosciutto e la sua lavorazione a vera e propria arte culinaria tanto che i cuochi iniziarono ad abbinargli vini e formaggi pregiati. La nobiltà ed il clero, legati alla tradizione, esigevano

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In alto: l’areale di produzione del Prosciutto Crudo di Cuneo DOP. A sinistra: la salatura della coscia.

1) Asini per il trasporto del sale. 2) Le saline. 3) La prima galleria delle Alpi, il Buco del Viso. 4) Le vie del sale.

evidentemente ricette personalizzate dai “maestri salumieri” fondatori dei primi salumifici artigianali. Una storia proseguita nei secoli e che oggi si esprime nelle migliaia di allevatori e nei tanti piccoli stabilimenti di macellazione e stagionatura presenti sul territorio.

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La nascita del Consorzio Appartiene alla storia recente la nascita del Consorzio di tutela e promozione del Prosciutto Crudo di Cuneo, così come la scelta di alcuni operatori della filiera suinicola cuneese di avviare l’iter per il riconoscimento della Denomina-

zione di Origine Protetta (DOP) del prodotto, al fine di valorizzare l’elevato numero di suini allevato nell’area di produzione. Un percorso che si è concretizzato nel mese di dicembre del 2009 a cui ha fatto seguito l’avvio della produzione di prosciutti marchiati

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Etichettatura elettronica: ogni singolo prosciutto Crudo di Cuneo DOP è identificato con una carta d’identità che illustra i connotati del prodotto e sulla quale è fissato il QR-Code che contiene tutti i dati della storia del prosciutto stesso. Il QR-Code viene esposto nel punto vendita e può essere letto dal consumatore con un semplice clic del proprio smartphone o iphone o tablet. Esso contiene le seguenti principali informazioni: l’allevamento dove è nato e dove è stato allevato il suino, dove è stato trasformato, dove sono state salate le cosce e dove e quanto è stato stagionato il prosciutto. In questo modo la tracciabilità è certa, completa e messa in vetrina. Una semplificazione e una garanzia in più per il consumatore. Il prosciutto Crudo di Cuneo è l’unico prosciutto a denominazione di origine controllata a potersi fregiare di un’etichettatura così completa, moderna e facile da leggere per il consumatore. Crudo di Cuneo DOP all’interno dell’area di produzione (nella quale devono svolgersi tutte le fasi del ciclo produttivo: nascita e allevamento dei suini, macellazione, trasformazione, stagionatura, confezionamento e affettatura) che comprende la provincia di Cuneo, la provincia di Asti e 54 comuni della provincia di Torino. Un’area piuttosto vasta, dunque, che comprende ben tre province piemontesi e che confina con la Liguria (a Sud) con i dipartimenti francesi Alpes Maritimes; Alpes de Haute Provence; Hautes Alpes (a Ovest), con la restante parte della provincia di Torino e la provincia di Vercelli (a Nord) e con la provincia di Alessandria (a Est). Un microclima perfetto per un prodotto perfetto Nella zona di produzione sussiste un microclima condizionato dalle correnti d’aria tiepide e secche che salgono dalla

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Liguria e dalla Provenza, attraverso le valli del Cadibona-Montezemolo, Tanaro, le valli monregalesi e le valli francoitaliane del Roya Vermenagna e Vésubie a Sud e, a Ovest, dalle valli francesi della Durance e del Queiras attraverso le valli cuneesi dello Stura di Demonte, Maira, Varaita, mentre, a Nord, le correnti d’aria che scendono dalla Val Susa costituiscono una sorta di “barriera ventosa” che protegge il microclima della zona di produzione considerata. Tutta la zona delimitata, dal Cuneese sino alle colline delle Langhe, del Monferrato astigiano e della collina torinese, evidenzia un andamento dell’umidità costante, molto basso. Il livello dell’umidità varia infatti dal 50 al 70% con temperature medie, non particolarmente fredde d’inverno e non torride d’estate. Un contesto che pare essere stato “disegnato” appositamente da una mano che desiderava vi fossero le condizioni migliori per la stagionatura di

un prodotto come il Prosciutto Crudo di Cuneo DOP, i cui due unici ingredienti (la carne suina e il sale) appartengono alla storia del territorio che quel microclima ospita. Ciò che nasce è il circolo virtuoso di tre elementi, tre come il numero che per il fatto di essere sintesi del pari (due) e del dispari (uno) la Scuola Pitagorica considerava perfetto. >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

REGIONE PIEMONTE FEASR – Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale L’Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014-2020 – Regione Piemonte Misura 3 – Sottomisura 3.2 – Operazione 3.2.1 – Informazione e promozione dei prodotti agricoli di Qualità Bando 2/2020_B

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I primi 60 anni del Consorzio del Prosciutto di San Daniele Nel 2021 si celebra il sessantesimo anniversario del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, l’organizzazione costituita nel 1961 ad opera di produttori, imprenditori e cittadini di San Daniele del Friuli, al fine di promuovere e tutelare il marchio prosciutto di San Daniele. In occasione della celebrazione dell’anniversario, il Consorzio ha rilanciato gli obiettivi per il futuro concentrandosi sul tema della sostenibilità per commisurare il sistema economico e sociale con maggiore attenzione all’ambiente e all’etica. Dal 1961 fino a oggi, il Consorzio ha portato avanti un connubio perfetto di tradizione e innovazione: da una parte tutelando l’antica ars technica dei mastri prosciuttai, dall’altra aggiornando le regole della produzione inserendo importanti elementi per la tracciabilità del prodotto, la salvaguardia ambientale e la tutela degli animali. Il comparto agisce per una consapevole gestione della filiera della DOP, della produzione del prosciutto di San Daniele e della sua presenza sul mercato per proteggere la natura e tutelare la salute delle persone. Il Consorzio, seguendo l’evoluzione imprenditoriale italiana, si è adoperato all’interno dello schema dei prodotti ad indicazione geografica con un’evoluzione continua verso il Prosciutto di San Daniele 4.0: un sistema economico e sociale con maggiore attenzione all’ambiente e all’etica. «Nel futuro andrà trovato un giusto equilibrio tra la necessità di produrre e l’etica verso l’ambiente ed il benessere animale, generando così un miglioramento a cascata degli stili di vita» ha dichiarato MARIO EMILIO CICHETTI, direttore del Consorzio. «Nel 2022 vedranno luce nuove importanti iniziative, prevalentemente di natura economico-ambientale, tra cui il potenziamento degli impianti per il recupero e riutilizzo del sale, la valorizzazione della qualità del prodotto, il basso impatto ambientale e il rispetto della filiera. La tutela del territorio si conferma un elemento cruciale perché per continuare a produrre un prodotto di qualità occorre che il luogo di lavorazione sia di qualità». GIUSEPPE VILLANI, presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele (in foto), ha sottolineato che la sostenibilità è il tema centrale che il Consorzio sta perseguendo. «Non si tratta solo di ambiente, ma di rispetto per le persone, di corretto utilizzo delle strutture e etica gestione delle risorse del territorio, anche nel rispetto dei nostri consumatori. L’augurio a tutti i nostri consorziati è che proseguano su questa strada continuando a sentirsi giovani anche per i prossimi 60 anni, perché i giovani riescono sempre ad avere la visione improntata verso il futuro». >> Link: prosciuttosandaniele.it

A sinistra: Giuseppe Villani, presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele (photo © Consorzio del Prosciutto di San Daniele). A destra: prosciutti di San Daniele DOP. La coscia intera di San Daniele mantiene lo zampino. Una tecnica della tradizione che favorisce il drenaggio dell’umidità e la buona stagionatura. Il marchio è impresso a fuoco sulla cotenna sotto la supervisione dell’istituto di controllo, solo dopo che è stata verificata l’esistenza dei requisiti previsti dal Disciplinare di produzione e dopo almeno 13 mesi dall’inizio della lavorazione (photo © luca pb – stock.adobe.com).

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Referente vendite per l’Italia


ANALISI DEL FOOD

Umami,

la magia del quinto gusto di Josette Baverez Blanco

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A sinistra: l’umami è presente in quasi tutti i cibi ad alto contenuto di proteine. Il Parmigiano è incredibilmente appetitoso? Merito del glutammato monosodico, di cui è naturalmente ricco (photo © exclusive-design – stock.adobe.com). A destra: ingredienti tipici della cucina giapponese, le alghe regalano a un qualsiasi piatto il loro naturale contenuto di umami (photo © bigacis – stock.adobe.com).

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na recente discussione fra amici a proposito di un ottimo gelato al Parmigiano mi ha fatto venire in mente che non è superfluo parlare del quinto gusto, l’umami. Il maestro gelatiere PAOLO BRUNELLI di Senigallia, Tre Coni Gambero Rosso, sempre alla ricerca di novità originali, ad Identità Golose 2016 presentò il gusto Cremami. «Con questa proposta ho cercato di inserire nel gelato un concetto, probabilmente ostile ma sicuramente funzionale all’affettività e all’emozione che ti dà un alimento» aveva dichiarato in quell’occasione Brunelli. Cremami è un classico gelato alla crema con l’aggiunta di vino cotto marchigiano e fungo Shiitake. «Tra gli alimenti che contengono maggiormente il glutammato c’è appunto il fungo Shiitake. Così, realizzando una veloce infusione non invasiva, sono riuscito a contaminare di umami uno dei gusti gelato più tradizionali, permettendo la percezione di questo quinto gusto, aiutato dal latte di mucche Jersey, dagli zuccheri derivati dal mais e da un vino marchigiano molto vecchio, probabilmente anch’esso ricco di umami. Il tutto è stato poi enfatizzato con una presentazione contemporanea che prevede l’accostamento di altri

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alimenti ricchi di umami come il pomodoro, il mais, una spugna di piselli e del cioccolato caramellato con all’interno lievito disidratato». Il termine umami unisce l’aggettivo giapponese “umai”, traducibile con “saporito” o “vigoroso”, al termine “mi”, che vuol dire “essenza”. Questo gusto, certamente meno descrivibile degli altri quattro — amaro, dolce, salato e acido —, è quello dell’acido glutammico, un amminoacido non essenziale prodotto ogni giorno anche dal nostro organismo che è alla base dell’umami. È stato scoperto nel 1908 da un professore di chimica giapponese, Kikunae Ikeda, analizzando il brodo di alghe dashi, elemento base di quella cucina. È però solo nel 2002 che vengono identificati i recettori gustativi per il glutammato di sodio. È interessante pensare che questo gusto sia già presente sin dalla nostra primissima infanzia dato che il latte materno contiene il 20% di umami in più rispetto a quello vaccino. Il segreto per avere sempre un po’ di umami nel piatto è scegliere i cibi giusti: salsa di soia, pomodori maturi, Parmigiano, mais, tè verde, carne di maiale e crostacei sono tra i più ricchi

in acido glutammico. Il Parmigiano, durante la stagionatura (la stagionatura minima del Parmigiano Reggiano è di 12 mesi, ma è intorno ai 24 mesi che raggiunge la maturazione adatta ad esprimere le caratteristiche tipiche; può stagionare anche oltre, fino a 36 o 48 mesi o persino di più, NdR), sviluppa un elevato contenuto di glutammato visibile persino ad occhio nudo, con quei piccoli cristalli bianchi che gli conferiscono un sapore unico. La salsa di soia è un condimento fermentato dal gusto equilibrato. Nel processo di fermentazione, le proteine scisse rilasciano il glutammato naturale generando un elevato contenuto di umami da abbinare a riso, verdure e pesce. Sardine, prosciutto stagionato di almeno 18 mesi, carni e uova abbondano invece di inosinato che, con il guanilato (in tartufi, funghi, albicocche e formaggio Emmentaler), sono le altre due molecole che fanno percepire il gusto umami. Così, per rendere più saporito un sugo, si dovrebbero usare pomodori ben maturi e unire aglio e cipolle, entrambi con livelli elevati di acido glutammico. Josette Baverez Blanco

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Pastrami,

tra John Fante, New York e Montréal di Giovanni Ballarini

astrami, oggi oramai certamente non più una novità. Probabilmente, però, gli Italiani appassionati di letteratura incontrano il pastrami già negli anni Settanta del secolo scorso, in un romanzo americano scritto dal figlio di un emigrato abruzzese, JOHN FANTE (1909-

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1983). Nato a Denver, nel Colorado, John Fante si trasferisce in California, a Los Angeles, poco più che ventenne, lavorando come lavapiatti, fattorino d’albergo e operaio in diverse fabbriche di scatolame di pesce. Contemporaneamente, frequenta dei corsi di scrittura creativa all’Università di Long Beach e

decide di diventare scrittore. Ci riuscirà, diventando un autore e sceneggiatore di successo. “The Brotherhood of the Grape”, tradotto in italiano come “La confraternita del Chianti” da LEONARDO (1990) e successivamente col titolo “La confraternita dell’uva” da MARCOS Y MARCOS (1996) e da EINAUDI (2004), fu

Pastrami, senape e cetrioli sottaceto (photo © Anna Pustynnikova – stock.adobe.com)

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Katz’s Delicatessen in Lower East Side Manhattan. Agli inizi del ‘900 è da qui che si diffonde il pastrami a New York (photo © Mat Hayward – stock.adobe.com).

pubblicato per la prima volta a puntate nel 1974 sul settimanale di FRANCIS FORD COPPOLA, City Magazine. Protagonista del romanzo è NICK MOLISE, “un montanaro venuto dall’Abruzzo, un nasone dalle mani grosse, basso, largo come una porta, nato in una parte dell’Italia in cui la miseria era spettacolare quanto i ghiacciai circostanti e dove qualunque bambino che fosse riuscito a sopravvivere per i primi cinque anni ne avrebbe campati ottantacinque….”. Un padre padrone che si vanta di essere il primo scalpellino d’America, immigrato di prima generazione dedito al vino e alle donne, mentre la moglie, tollerante e devota, ai fornelli cuoce melanzane, gnocchi, cosce d’agnello e patatine novelle. È il figlio maggiore Henry che, affamato, per le strade di Wilmington, si sazia con un “filone di pane francese” diviso a metà e riempito di formaggio cremoso e pastrami, ricetta importata negli USA dagli Ebrei dell’Europa dell’Est. I lunghi viaggi di un cibo antico Pastrami era un taglio di carne molto povera di un piccolo ruminante (montone, pecora o capra). Come altri cibi, nato

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dall’esigenza di conservare al meglio e per lungo tempo la carne prima dell’avvento del frigorifero, ha una lunga storia di viaggi e migrazioni: il suo nome in questo senso è esemplificativo, dovendo essere ricondotto alla voce yiddish pastromè, dalla quale derivano il russo pastromà, il turco pastirma e l’armeno bastourma. Si racconta dei cavalieri turchi dell’Asia centrale che pressavano la carne tra asticciole di legno per poi riporla in tasche sui lati delle loro selle, tenendole premute con le gambe. In seguito la parola è andata in prestito

ad altre lingue: albanese, arabo, azero, lingue della ex-Iugoslavia, bulgaro, greco, macedone, armeno, russo… In Turchia, dove la pastirma è consumata a colazione con uova (così come in Egitto), ne esistono più di 22 tipi e ancora oggi, nei territori arabi e turchi il pastrami è uno dei cibi col quale si farcisce il pane pita. Dalle campagne mediorientali e turche, spostandosi attraverso la Siria, il pastrami raggiunge le campagne rumene, diventando nei Paesi dell’Est europeo un piatto tipico della cucina ebraica. Con l’emigrazione americana

Gli Americani lo mangiano praticamente tutto l’anno e si può dire senza tema di smentita sia uno dei sandwich preferiti negli States. Il pastrami è una specialità gastronomica di origini ebraiche esportata negli USA agli inizi del Novecento. Carne di manzo succulenta, speziata e affumicata che viene servita all’interno di un sandwich con senape e cetriolini

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Tenuta in salamoia per alcuni giorni, la carne è affumicata e cotta al vapore (photo © Nicoleta Ionescu – stock.adobe.com).

degli Ebrei, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, il pastrami comincia a diffondersi negli Stati Uniti, soprattutto a New York. In questa città, secondo una leggenda, nel 1887 il macellaio ebreo di origine lituana SUSSMAN VOLK prepara il primo panino al pastrami secondo la ricetta che dice di avere ricevuto da un amico rumeno in cambio della custodia dei bagagli. Un panino che piace tanto da convincere Volk a chiudere la macelleria e aprire un ristorante. Il panino con pastrami si diffonde anche in Canada, dove è noto come viande fumée, e dall’America torna in Europa divenendo un apprezzato street food. Tra il pastrami di New York e quello di Montréal vi sono somiglianze ma anche profonde differenze legate alle diverse origini degli ebrei immigrati. A Montréal è REUBEN SCHWARTZ, ebreo originario della Romania, che nel 1928 porta il pastrami.

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Nel Lower East Side, un quartiere a sud di Manhattan, il pastrami è diffuso anche dallo storico ristorante Katz’s Delicatessen dei fratelli ICELAND, con l’arrivo nel 1903 di WILLY KATZ, un immigrato ebreo proveniente dalla Russia che prepara prevalentemente piatti legati alla tradizione ebraica. Il successo del Pastrami sandwich vede la nascita di locali dediti unicamente alla produzione e vendita di questa specialità, per la quale si usa soprattutto la carne del petto di manzo (brisket) mantenuta per 24 ore in salamoia prima di essere affumicata, cotta al vapore con spezie, tagliata in fette sottili e servita associata a salse o verdure come cavolo o crauti tra due fette di pane, spesso di segale. Gastronomia dei pastrami Se in passato il pastrami era a base di montone o pecora e di petto d’oca e di tacchino (per i non Ebrei era preparato

anche con carne di maiale), oggi di solito il pastrami è appunto a base di carne di manzo. Molte e diverse sono le spezie usate, il taglio, così come la durata della salamoia, il tipo di legni e l’intensità dell’affumicatura, che regala il gusto all’alimento. Negli Stati Uniti il pastrami viene considerato quasi un cibo nazionale, diffuso coast to coast a New York come a Los Angeles, meno negli Stati centrali. Nelle catene di fast food è servito caldo su pane di segale o tipo baguette, su una base di pasta che ricorda la pizza oppure come condimento sugli hamburger. Quest’ultima versione, cioè di un hamburger sormontato da pastrami, è molto diffusa nello Stato dello Utah e in particolare nella capitale Salt Lake City, dove l’hanno importato gli immigrati greci (si veda box a lato). Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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Pastrami burger, l’hamburger greco di Salt Lake City Un morbido panino al sesamo ripieno di un succulento burger di manzo sormontato da qualche fetta di pastrami, formaggio, pomodori, lattuga sminuzzata, cipolle e fry sauce, una combinazione di ketchup, maionese, salsa sweet relish, a base di cetrioli e cavolo cappuccio, e cipolla in polvere. Il Pastrami burger, oggi un piatto classico dello stato americano dello Utah, è un’invenzione di un ristoratore greco di nome James Katsanevas, proprietario del locale Minos Burgers ad Anaheim, in California. James Katsanevas iniziò a servire l’hamburger con il pastrami nei primi anni ‘70, pastrami che era stato portato a Los Angeles a metà del XX secolo da immigrati ebrei provenienti da New York. Qualche anno più tardi, Katsanevas si trasferì a Salt Lake City, nello Utah, portando con sé il suo famoso hamburger. Lì aprì un nuovo locale, il Crown Burgers (www.crown-burgers.com), che oggi è una piccola catena di ristoranti dove vengono serviti tuttora alcuni dei migliori hamburger con pastrami della città. Il nome della specialità è infatti proprio “Crown Burger”. Molto noto in città e apprezzato dalla clientela, soprattutto per le dimensioni gigantesche e la ricchezza del ripieno (non a caso viene definito “monstrous burger”), è il Pastrami burger di Astro Burgers (www.astroburgers.com), servito con anelli di cipolla fritti. Curiosamente anche questa catena di locali, così come quelli appartenenti alla Apollo Burger (apolloburgers.com), sono state fondate a Salt Lake City da immigrati di origine greca. Anche per questo motivo spesso ci si riferisce al Pastrami burger, almeno in questa parte della nazione, come al Greek burger. Per una volta un piatto greco senza feta.

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Hamburger con pastrami (photo © Nicoleta Ionescu – stock.adobe.com).

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Bervini, il meglio dal mondo, pastrami compreso Punta di petto bovino, sale, pepe, rosmarino e timo: quella che ammirate in foro è la versione del pastrami prodotta dalla Ala carni del Gruppo reggiano Bervini nel suo stabilimento di Ala in provincia di Trento. La ricetta arriva direttamente da un viaggio in Québec fatto oltre 30 anni fa da Renzo Bervini, presidente dell’omonimo Gruppo. Il taglio per la preparazione della tipica Viande fumée à la montréalaise o Smoked meat, come viene più semplicemente chiamato il pastrami da quelle parti, è infatti la punta di petto, il Beef brisket per intenderci, mentre negli Stati Uniti si utilizzano solitamente tagli più grassi ed una speziatura più accentuata, con la presenza di pepe, paprika, chiodi di garofano, aglio, coriandolo… La punta di petto è un taglio generalmente piuttosto fibroso, ricco di tessuti connettivi, che necessita di lunghe cotture; è adatto ad esempio per il bollito e deve essere quindi di qualità elevata perché il pastrami che se ne ricaverà resti morbido e gustoso. Per questa versione pregiata parliamo di carne di bovino adulto selezionata e grain fed. La punta di petto viene immersa in salamoia, la si asciuga per bene e la si cosparge interamente di spezie, sale, pepe, rosmarino e timo, massaggiandola affinché penetrino all’interno il più possibile. Seguono l’affumicatura e la cottura a vapore. Prima del sottovuoto il pastrami è ripulito dall’eccesso di spezie rimasto in superficie, così la carne risulterà più dolce e sarà maggiormente gradita alla maggior parte dei nostri connazionali, non così abituati ad imbottire i propri panini con la carne quando non si tratti di insaccati, hamburger o della mitica fettina di pollo panata. Tagliato a fette piuttosto spesse si può gustare così, al naturale, con un contorno di insalata di patate condita con yogurt arricchito con erba cipollina e prezzemolo o con la classica coleslaw a base di cavolo cappuccio, carote e maionese. Per mangiare il pastrami come ripieno di un sandwich, un toast, un bun o tra due fette di pane preferibilmente “nero”, integrale o di segale (il tipico sandwich americano), meglio tagliare invece le fette molto sottili, magari usando l’affettatrice al posto del coltello (photo © Massimiliano Rella). >> Link: www.bervini.com

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


PRODOTTI TIPICI Il sanguinaccio garfagnino, un concentrato di sapori fuori dal tempo

Mai provato il biroldo? di Chiara Papotti

arfagnana: di quest’angolo di Toscana montuosa, caratterizzato dagli aguzzi e irregolari profili delle Alpi Apuane, rimangono impresse, soprattutto, la cordialità, la semplicità e la schiettezza degli abitanti. Gente cresciuta a contatto con una terra difficile da lavorare, ma che non ha mai

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patito la fame, neppure nei periodi più difficili. Poche, ma di sostanza, le risorse su cui hanno potuto contare nel corso del tempo i garfagnini. Tra le principali certamente le castagne, trasformate poi, con ingegno, in Farina di neccio DOP. La farina ottenuta viene impiegata nella preparazione di dolci, come il

tipico “castagnaccio”, in cui il sapore della castagna viene esaltato accanto a pinoli, uvetta, rosmarino e buccia di arancia grattugiata, o nei “necci” da gustare con la ricotta, ma soprattutto per fare la polenta, che accompagna, in un connubio sostanzioso ed eccellente, piatti a base di maiale. Altro grande protagonista delle tavole garfagnine è

Il biroldo della Garfagnana dell’Antica Norcineria di Ghivizzano, Lucca (photo © www.anticanorcineria.it).

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IN PASSATO LE VARIANTI PER PREPARARE QUESTO SANGUINACCIO ERANO PRESSOCHÉ INFINITE E OGNI FAMIGLIA CUSTODIVA CON ORGOGLIO UN INGREDIENTE SEGRETO CHE RENDEVA SPECIALE IL SUO BIROLDO

GENERALMENTE IL SALUME SI TAGLIA A STRISCIOLINE ALTE CIRCA UN CENTIMETRO E SI ACCOMPAGNA AI PANI TIPICI GARFAGNINI COME QUELLO DI CASTAGNE O DI PATATE. SALTATO IN PADELLA SI SERVE CON LA POLENTA, FRITTO DA SOLO

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il farro che, grazie all’IGP ottenuta nel 1997, è stato il primo prodotto della zona a riscuotere consensi a livello nazionale. Oltre ai frutti della terra, trovano origine in Garfagnana anche alcuni salumi straordinari, in grado di coniugare tipicità, genuinità e qualità, come la mondiola, caratterizzata dalla forma circolare e dalla foglia di alloro che le dona l’inconfondibile profumo. All’impasto di carne rossa magra si aggiunge la pancetta o il grasso di gota, aromatizzato con chiodi di garofano e altre spezie. Squisito anche il prosciutto bazzone, ottenuto da maiali cresciuti allo stato semibrado, con ghiande e castagne. Meno noto, ma di grande valore storico e culturale è, invece, il biroldo, ancora preparato nel rispetto di una tradizione centenaria. Divenuto Presidio Slow Food nell’anno 2000, il biroldo è un sanguinaccio dal gusto particolare, non sempre facile da apprezzare. Qui le persone più anziane non vogliono neanche sentirlo nominare, perché per loro rappresenta il cibo povero, dei tempi grami. Eppure la sua unicità è tale da essere orgogliosamente prodotto da pochissimi artigiani, con lo scopo di farlo conoscere e apprezzare fuori da un mercato prevalentemente locale. Per preparare il biroldo vengono utilizzate la testa del maiale e la lingua. La ricetta è molto semplice, ma la lavorazione è parecchio laboriosa: si fa bollire la testa per tre ore circa in acqua, la si disossa e si tagliano le carni grossolanamente. La carne viene, quindi, amalgamata con una modesta quantità di sangue di maiale e arricchita di spezie toscane, con una prevalenza di finocchio selvatico; sono tassativamente esclusi i pinoli, che caratterizzano, invece, il biroldo di Lucca. Un tempo le varianti per preparare questo sanguinaccio erano pressoché infinite e ogni famiglia custodiva con orgoglio un ingrediente segreto che rendeva speciale il suo biroldo. Oggi i norcini rimasti a prepararlo sono pochissimi ed ognuno di loro lo fa seguendo la propria ricetta: con noce moscata, chiodi di garofano, cannella, anice stellato, aglio, sale e pepe. Le quantità cambiano in funzione della mano e del gusto di chi lo produce.

Ottenuto l’impasto di carne, sangue e spezie, lo si insacca in budello o nella vescica e lo si fa bollire per altre tre ore. Alcuni lo insaccano a mano nello stomaco del suino perché, grazie allo spessore delle pareti, si conserva meglio e più a lungo. Dopo l’insaccatura lo si lascia raffreddare lentamente all’aria, sotto la pressione di un peso per farlo spurgare della parte più grassa. Il biroldo è quindi pronto per essere consumato entro 15 giorni dalla data di produzione. Il periodo migliore per cucinarlo va da ottobre ad aprile e le quantità ottenute sono molto limitate. Per consentirne una prolungata conservazione può essere messo sotto strutto e così mantenuto a temperatura ambiente fino a 5-6 mesi. Generalmente il biroldo viene tagliato a striscioline, alte circa un centimetro, e accompagnato ai tipici pani della Garfagnana: quello di castagne e quello di patate. Al palato la consistenza è morbida, il gusto armonioso ed equilibrato: sangue e spezie non prevaricano il sapore della carne magra della testa del maiale, ma gli conferiscono sentori delicati e persistenti. Può essere consumato anche caldo, saltato a fette in padella per pochi secondi e servito con la polenta o fritto nell’aceto. Il presidio ha riunito i pochi norcini rimasti e li ha raggruppati in un’associazione per salvaguardare il rito della produzione tipica e tradizionale del biroldo della Garfagnana. Nonostante la ricetta sia di per sé molto semplice, occorre una grande manualità e un saper fare attento per ottenere il giusto equilibrio di sapori, che contraddistingue questo sanguinaccio. Lo si può trovare in macellerie, agriturismi e ristoranti di alcune città della Toscana, quali il capoluogo Lucca, e le vicine Pisa, Livorno e Massa. In Garfagnana il concentrato di eccellenze e presidi Slow Food è davvero ricco; il merito della valorizzazione dei sapori garfagnini si deve all’attività della comunità montana, alle associazioni e ai Consorzi di tutela dei prodotti, ma soprattutto, all’appassionato lavoro degli artigiani del gusto che vivono questa terra dal fascino e dalle risorse inesauribili. Chiara Papotti

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Il salame con la lingua mantovano Salame da cuocere tipicamente consumato in occasione della Festa dell’Assunta, è riconosciuto come PAT lombardo di Roberto Villa

Photo © www.porcalora.it

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Mantova, Castello San Giorgio (photo © flyluca – stock.adobe.com).

l territorio di Mantova è ricco di acque e, di conseguenza, ha da secoli sviluppato l’allevamento bovino da latte e, di riflesso, l’allevamento dei suini: molte sono infatti le specialità lattiero-casearie e i derivati di carne suina prodotti nell’estrema punta meridionale della Lombardia percorsa da Oglio, Adige e Po. Nei poco meno di quattrocento anni sotto il dominio dei Gonzaga — dal 1328 al 1708, sebbene dal 1627 alla guida del Ducato ci fosse, per estinzione della linea maschile diretta, il ramo cadetto dei GonzagaNevers — Mantova e il suo contado vissero un periodo di straordinario sviluppo che ne fece, soprattutto durante il periodo rinascimentale, una delle corti più importanti d’Europa nonostante la ridotta estensione territoriale. Il salame con lingua è un particolare salame di puro suino tipico della provincia di Mantova e più precisamente della zona dell’Oltrepo intorno al piccolo centro di San Benedetto. Il nome ne spiega piuttosto bene la composizione.

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Come si produce Occorre innanzitutto effettuare la cosiddetta salmistratura della lingua del maiale: trattata con sale e salnitro, questa è lasciata a marinare per alcuni giorni in salamoia insieme a chiodi di garofano, cannella, ginepro, macis, alloro. A parte si prepara il classico impasto del salame: il trito, localmente detto pistume, è costituito per circa il

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70% da carne magra di seconda scelta e per il restante 30% da grasso corposo di gola o di pancia. Condito con sale, pepe e spezie (nell’Alto Mantovano si usa anche la cannella), è insaccato in una vescica o in un budello del diametro non inferiore a 15 cm. Solo a questo punto si introduce nel budello anche la lingua. Un tempo, questa era inserita nella sua interezza o semplicemente tagliata in due nel senso della lunghezza: oggi, per una maggiore rapidità e praticità della lavorazione, si preferisce tagliarla a dadini prima di incorporarla nell’impasto. Il salame con lingua va lasciato maturare per alcuni giorni in ambienti freschi e aerati. La stagionatura dura circa due mesi e si effettua generalmente in estate, in modo che si concluda all’incirca il 15 agosto, Festa dell’Assunzione di Maria, giorno in cui questo prodotto è tradizionalmente consumato dopo essere stato bollito. Come si consuma e dove si può trovare Va preparato, prima della cottura, mettendolo in acqua fredda per alcune ore, per fare in modo che il budello torni tenero ed elastico, bucherellandolo con le punte della forchetta o meglio ancora con uno spillo. La tecnica di cottura è quella del cotechino, ma c’è anche chi, al posto dell’acqua, utilizza il vino bianco, similmente alla tecnica di stufatura impiegata per lo Stracotto di bue alla mantovana. Sino alla fine

del Novecento questo salume è andato declinando come produzione, slegato dai riti del governo delle campagne e delle solennità religiose che lo connotavano. Ad inizio degli anni Duemila c’è stata una sua riscoperta, con la creazione della Strada dei vini e dei sapori mantovani e molti ristoranti e trattorie impegnate nel riproporre la gastronomia della tradizione. La produzione rimane pur sempre ridotta ed anche nei negozi più specializzati e nei ristoranti della zona è difficilmente reperibile al di fuori del ristretto periodo attorno alla festività dell’Assunta. Con cosa abbinarlo Una buona mostarda, preferibilmente di mela cotogna o di pera mantovana IGP, e il tiròt, tipica focaccia morbida con le cipolle, prodotta in particolare a Felonica di cui è rinomata la varietà dorata dei bulbi, ora presidio Slow Food, rappresentano un abbinamento senza pari del salame cotto con lingua. Il Lambrusco Mantovano DOP servito ben fresco è il compagno territorialmente più affine per questa tipologia di salume prettamente estivo. Ma anche servito freddo con Melone mantovano IGP, verdure grigliate e un calice di Lugana DOP o di Bianco di Custoza DOP può essere un gustoso secondo o un aperitivo di tutto rispetto nella calda stagione padana. Roberto Villa

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Photo © www.iltermopolio.com

STREET FOOD

Quando la povertà alimentare diventa ricchezza gastronomica

LA MOZZARELLA VA IN CARROZZA Nato come piatto di riciclo, entrato nella tradizione dello street food e degli antipasti da ristorante, deve i propri natali a Napoli, da cui poi si è diffuso con grande successo in tutta Italia di Nunzia Manicardi

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a definizione affascina subito: “in carrozza”… Cosa mai vorrà significare? L’immediata spiegazione è che voglia indicare che la mozzarella in questione, tagliata a fette spesse di circa 1 cm, viene adagiata fra due fette di pane come se, appunto, andasse “in carrozza”. Ma c’è chi sostiene che la definizione derivi dal fatto che nell’800, quando la ricetta sarebbe nata, la forma del pane utilizzato fosse rotonda come le ruote di una carrozza. O che il formaggio fresco non fosse altro che la conseguenza della cagliatura del latte che in quell’epoca era trasportato su carrozze…

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Qualunque sia l’origine del nome, la mozzarella in carrozza nasce come piatto tipico della tradizione napoletana, un piatto di riciclo, domestico e da strada, estesosi poi a tutt’Italia dove è entrato anche nei menu dei ristoranti. Nei decenni scorsi, dagli anni Sessanta agli Ottanta, era più diffuso di oggi, ma nelle friggitorie e pizzerie partenopee e di altre località campane è tuttora facile trovarlo. Oltre che come street food, si presta ottimamente per un pasto veloce e gustoso e come antipasto sostanzioso (presentato anche in formato ridotto, a bocconcini), spesso con altri frittini tipici napoletani.

Il sontuoso riferimento alla carrozza non deve far dimenticare che si tratta, come già ricordato, di un piatto di recupero: sia del pane raffermo, o comunque avanzato e non più fresco di giornata, che della mozzarella, anch’essa rimasta in dispensa. La sua funzione, dunque, è originariamente quella di “piatto povero”, anche se poi si dovevano aggiungere altri ingredienti che lo rendevano un po’ meno povero: uova, innanzitutto, e poi farina, latte e olio per friggere, oltre all’immancabile pizzico di sale. In altre successive versioni regionali si aggiungono acciughe e/o prosciutto cotto

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(Lazio, Veneto e soprattutto Venezia) o besciamella e pangrattato (Sicilia, in particolare Messina). Il pane da utilizzare dovrebbe essere quello chiamato in Campania “pane cafone”, cioè il pane casereccio di grano duro preparato senza lievito e cotto nel forno a legna. Siccome deve essere tagliato a fette che poi vengono private della crosta, può essere sostituito, come alcuni fanno, col pane carré che però, al di là dell’indubbia praticità di utilizzo, non è in grado di conservare quella rusticità che è una delle caratteristiche della preparazione anche dal punto di vista estetico. La mozzarella sarà fiordilatte vaccino, perché è meno acquoso e più grasso e per questo aderisce meglio al pane colando di meno. Si usa anche la mozzarella di bufala, ancora più grassa e gustosa. In ogni caso le fette di formaggio, per ridurne al massimo l’acquosità, devono essere scolate ben bene prima di essere adagiate tra le fette di pane, altrimenti la successiva impanatura potrebbe aprirsi durante la cottura. Una volta terminata l’imbottitura è consigliabile premere con una certa decisione per far aderire ancora di più le due parti tra loro ed eliminare gli ultimi residui di siero. Dopo di che, si passano queste fette imbottite nella farina, facendo molta attenzione a coprire bene tutti i bordi per impedire la fuoriuscita del ripieno durante la frittura. Si procede poi all’impanatura, per la quale nel frattempo si saranno sbattute in una ciotola le uova col latte e la presa

La mozzarella in carrozza nasce come piatto di recupero in Campania nei primi dell’800 come soluzione per poter riusare ingredienti non più freschi come pane raffermo e mozzarella non di giornata (photo © denio109 – stock.adobe.com). di sale. Anche in questa fase bisogna stare attenti che le fette si imbibiscano ben bene e da tutte le parti. Il prodotto finito, infatti, deve risultare perfettamente sigillato, avvolto strettamente all’interno della sua crosta di frittura. Non resta che friggere e consumare immediatamente: il piacere maggiore deriva dall’effetto filante evidenziato al massimo quando la mozzarella in

carrozza è calda, appena cotta. Si formano così quei lunghi fili che, a loro volta, ricordano proprio le briglie delle carrozze. Il piatto ottenuto è sicuramente molto gustoso ma non propriamente dietetico. Chi volesse rimanere più leggero può optare per la versione al forno. Anch’essa, vedrete, non vi deluderà. Nunzia Manicardi

“La mozzarella in carrozza” (come viene ricordato nel sito www.gusto.it) è anche il titolo di una famosa opera d’arte di Gino De Dominicis, uno dei protagonisti dell’arte italiana del secondo dopoguerra che ha esposto nei principali musei del mondo (è scomparso nel 1998). È una delle sue prime opere, apparsa nel 1970 in una mostra collettiva nell’Attico di Fabio Sargentini, in Via del Paradiso a Roma, e composta da una carrozza vera e propria con all’interno una mozzarella anch’essa vera e propria (sostituita ogni giorno dai curatori degli spazi in cui l’installazione viene ospitata per garantirla sempre fresca). L’allusione è fortissima: è quella dell’eternità, dell’immortalità. Una vera carrozza con all’interno una vera mozzarella, entrambe ferme nel tempo, cristallizzate nel loro essere immobili all’interno dell’incessante fluire. Ma anche un modo per restituire realtà concreta all’immagine metaforica della crosta che avvolge il formaggio, quella “carrozza” rimasta altrimenti nel regno della fantasia. Neanche il cinema è rimasto immune al fascino di questo piatto. Sempre nel sito www.gusto.it, si ricorda la mozzarella in carrozza come protagonista di una scena del film neorealista “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica del 1948. Con un’amara riflessione: “Qui — in un momento triste e toccante — il protagonista e suo figlio si consolano dalle loro sfortunate vicissitudini mangiando al ristorante una filante mozzarella in carrozza. Per loro unico pasto e cibo prelibato mentre per gli altri avventori del ristorante solo un piccolo antipasto in attesa di altre portate”.

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WEEK-END

NELLE TERRE DELLO SPECK STORIE DI PICCOLI E GRANDI ALLEVAMENTI IN ALTO ADIGE di Massimiliano Rella

torie di piccoli e grandi allevamenti in Alto Adige, a Bressanone, nelle Terre dello Speck, il salume più noto della provincia di Bolzano. Siamo andati a curiosare in Valle d’Isarco, nei dintorni della cittadina un tempo dei Principi Vescovi e oggi meta gourmet per i suoi vini, i formaggi, la cucina di malga e naturalmente speck e würstel. L’azienda più nota è Vontavon (www.vontavon.it), storico prosciuttificio di Bressanone nato come evoluzione

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di una ex macelleria di paese fondata nel ‘57 da PAUL VONTAVON e lentamente diventata un punto di riferimento in Alto Adige soprattutto per la produzione di speck in diverse tipologie, a partire dalla materia prima, e di würstel (ben 15 tipi). Il signor Vontavon fu tra i promotori dell’IGP allo Speck dell’Alto Adige. Da qualche mese l’azienda ha investito sull’ampliamento degli spazi situati alla periferia di Bressanone, acquisendo alcuni piani superiori dello stabilimento di trasformazione e conservazione.

Un’operazione che amplia anche il potenziale produttivo e le possibili produzioni conto terzi. Vontavon ha investito anche sulla gestione degli impianti, l’automazione e la logistica: ci sono oltre 40 celle di stagionatura monitorate a distanza attraverso un software gestionale che da remoto consente la tracciabilità dei lotti produttivi, di conoscere il numero dei pezzi in cella, il peso e ogni altra informazione utile. Per l’efficientamento energetico, infine, ha un impianto di

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Val d’Isarco (photo © Riccardo – stock.adobe.com).

cogenerazione e, essendo produttore d’acqua calda tramite i processi di raffreddamento degli impianti, la cede alla municipalizzata ASM in cambio d’energia elettrica. Tra i prodotti a marchio Vontavon troviamo anche pancette, guanciali, coppe. Lo Speck Riserva Nazionale è prodotto con cosce pesanti, la carne ben marezzata, che conferisce dolcezza. La marezzatura è favorita dall’ingrasso lento dei suini.

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I guanciali e i würstel nelle celle di stagionatura dell’azienda Vontavon di Bressanone (photo © Massimiliano Rella).

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A sinistra: i fratelli Hannes e Georg Jocher, nel maso di famiglia, il Frötscherhof. A destra: il produttore di vino ed enologo Johannes Messner, proprietario del maso con cantina e allevamento Burgerhof Meßner (photo © Massimiliano Rella). Un’altra realtà di territorio è Frötscherhof (www.froetscherhof.com), uno storico maso che affonda le radici nel XII secolo e da oltre cent’anni è di proprietà della famiglia Jocher, alla quarta generazione. A guidarla ci sono i tre giovani fratelli GEORG, HANNES e PHILIPP, con 13 ettari coltivabili e 20 di bosco. I tre ragazzi non solo gestiscono un allevamento con una ventina di vacche nutrici e di vitelli, al pascolo e in malga d’estate, con vendita di carne su ordinazione, ma offrono ai propri ospiti prodotti biologici fatti in casa: pane cotto in forno a legna e fatto con farine biologiche di loro grano, farro e segale. Inoltre, sciroppi e marmellate, yogurt e formaggio cremoso, fiocchi di farro appena pressati, ecc… Coltivano anche piccoli frutti di bosco, mirtilli, lamponi, fragole e il sabato mattina partecipano al mercato contadino in piazza Hartmann, a Bressanone. Ultimo in ordine di apparizione è il Burgerhof Meßner, il Maso del Castello (www.burgerhof-messner.com). Menzionato per la prima volta in un documento nel XIII secolo, in origine fu probabilmente il cosiddetto Mairhof, scalo di approvvigionamento del castello Pfeffersberg, costruito alla fine del XII secolo e poco dopo rettificato e

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abbandonato. Le fondamenta e alcune mura del castello ricordano l’edificio. Dal 1843 il Burgerhof è a conduzione familiare e qui viene coltivato in modo biologico dal 1983. Cosa? Vino biologico da varietà di uve resistenti ai funghi (PIWI): Johanniter, Solaris, Muscaris, Souvignier gris, Regent e Cabernet cortis. Ma hanno anche un piccolo allevamento di vacche nutrici di Grigia alpina, antica razza degna di conservazione, alimentata esclusivamente con foraggi dei loro pascoli, libera di muoversi in stalla nei mesi freddi, altrimenti al pascolo e sugli alpeggi. La macellazione avviene al macello di Bressanone. Dopo due settimane di frollatura, la carne è tagliata e suddivisa in confezioni miste direttamente al maso. La carne per metà è assorbita dall’osteria stagionale di cucina altoatesina del maso, l’altra è in vendita diretta ai privati. La macellazione si fa Bressanone, però con piccoli allevatori locali il proprietario JOHANNES MESSNER sta comprare un box di macellazione, per evitare lo stress del trasporto dell’animale, che verrà così macellato direttamente nelle aziende, poi portato in mattatoio per i controlli veterinari. Massimiliano Rella

Circondato da vigneti e frutteti, che crescono grazie al clima mite della Valle Isarco, Bressanone, ex sede vescovile, è la cittadina più antica del Tirolo. Il suo territorio vanta una cultura contadina che si tramanda con orgoglio da generazioni e da cui deriva un’altissima qualità dei prodotti tipici come vino, mele, speck e prodotti lattiero-caseari

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SAPORI MEDITERRANEI

Calcidica BIO Dalla penisola greca nella regione della Macedonia centrale, ci arrivano due originali esperienze d’agricoltura biologica, che sanno di uva sultanina e miele di Massimiliano Rella

ue originali esperienze d’agricoltura ci arrivano dalla Calcidica, la penisola greca dalla forma a “tre dita”, nella regione della Macedonia centrale, bagnata dal mar Egeo. Tra le foreste immacolate di Taxiarchis, area considerata in Grecia la “riserva” del miele, ai filari di uva sultanina delle campagne pianeggianti di Nea Gonia, c’è solo qualche chilometro di distanza ma una differenza notevole in termini

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di paesaggio, sapori, storie d’impresa ed esperienze di agricoltura e turismo enogastronomico. Due ambiti dello stesso comparto possono diventare esempi distinti di come reagire alla crisi innescata dalla pandemia e avvicinare il consumatore alla terra, alla sostenibilità, ai prodotti genuini. Marianna’s (www.mariannas.eu) è un’azienda biologica con 14 ettari di vigne di sola uva sultanina e laboratori di trasformazione dove ogni giorno sono

prodotti artigianalmente i dolmades, tipici involtini di foglie di vite ripieni di riso, verdure e altre farciture, anche carne e pesce. I dolmades hanno la dimensione di un sigaro, quelli più grandi si chiamano dolmadakia. Erano cibi ricchi in epoca bizantina, poi diventati popolari e “cristianizzati”; ad esempio nei giorni di quaresima prevedono solo il ripieno di erbe e riso. L’azienda Marianna’s nasce come evoluzione di un’idea della signora

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A pagina 88: i dolmades, involtini di foglie di vite, riso ed erbe. In alto: grappolo di uva sultanina nel vigneto dell’azienda Marianna’s di Teo e Sakis Kazakis (in foto). A destra: la preparazione dei dolmades.

Marianna, origini armene e marito greco. Era il 1987, poi l’idea è diventata impresa e oggi a dirigerla ci sono i figli SAKIS e TEO KAZAKIS; quest’ultimo specializzato nella produzione di un brandy affinato in legno. «Siamo biologici dal ‘97 e il nostro motto è produrre tutto con l’uva eccetto il vino» tiene a precisare Sakis Kazakis. «Oltre ai dolmades, con le foglie delle viti facciamo le cimature di vite marinate, appassiamo l’uva sultanina e facciamo

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visite con dimostrazioni pratiche. Chi viene da noi impara a fare i dolmades. Non è difficile, ci vogliono gli ingredienti giusti e un po’ di pratica». Tutto fuorché il vino: ad esempio, tra fine aprile e maggio, c’è la raccolta delle foglie di vite della sultanina; foglie abbastanza grandi, di forma circolare, con poche venature e tenere, molto tenere. Sono messe in salamoia e cotte a fuoco lento, pastorizzate in giare fino ad una temperatura di 92 gradi centi-

gradi. Saranno usate per “avvolgere” i dolmades. Invece con le cimature di vite, i germogli, si fa una marinatura in barattolo, un prodotto originale e poco diffuso. Ad agosto, infine, si raccoglie l’uva fresca, che in parte viene appassita per farne uvetta sultanina. Se il turista che visita Marianna’s a seconda della stagione può partecipare ad una delle suddette attività, quelli che invece si aggirano tra i boschi di conifere di Taxiarchis possono

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In alto: l’esperienza di apicoltore per un giorno nelle foreste di Taxiarchis. In basso: creazione di candele di cera d’api a mano con Passion Forest Honey. diventare apicoltori per un giorno con le esperienze di Passion Forest Honey (www.passionhoney.gr). La signora ATHINA APOSTO ha cominciato nel 2014. Oggi conduce 300 alveari biologici nella foresta a 1.174

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metri slm e fa cinque tipi di miele: di fiori della foresta, di pino, castagno, erica e quercia; a volte anche di lavanda. Produce inoltre oximili, un condimento a base di miele e aceto da cospargere su carne e verdure.

La giornata delle api, il Bee Day, dura tre ore e comprende attività a partire da un’introduzione esplicativa fino alla visita alle arnie con tute protettive, alla raccolta del miele e alla creazione di candele usando fogli di cera avvolti a mano. Naturalmente tutto finisce in bellezza con una degustazione di miele (di cinque mieli), abbinato ai formaggi e altri prodotti locali. «Siamo la principale regione produttrice di miele in Grecia — racconta la signora Aposto — e questa è una prova della qualità ambientale dei nostri territori. Partendo da qui, da un grande prodotto e da un bel contesto naturale, ci siamo detti: perché non mostrare alle persone cosa facciamo? È nata così l’esperienza dell’apicoltore per un giorno. Funziona, piace e di questi tempi sono in tanti che cominciano a guardare con rinnovato interesse le attività che si possono fare all’aperto, in natura» (info: www.visit-halkidiki.gr/ portfolio-view/become-a-beekeeper e www.greecetherapy.com). Massimiliano Rella Nota Photo © Massimiliano Rella.

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A B/Open la crescita del bio passa da dialogo di filiera e mercato «Servono strumenti coerenti per la crescita del biologico e una nuova consapevolezza delle filiere, per mantenere coerenza di visione e declinare i nuovi orizzonti di sviluppo utilizzando le risorse disponibili, evitando approcci disarticolati e in contraddizione fra loro. Il biologico richiede in questa fase un passaggio epocale da produttori a imprenditori, perché sul mercato non ci si improvvisa più». È un appello quello che il prof. Gabriele Canali, docente di Economia agraria all’Università Cattolica di Piacenza, rivolge agli operatori presenti al convegno su “PAC e biologico: l’impatto sul mercato”, organizzato in occasione di B/Open, rassegna B2b dedicata al bio-food organizzata da Veronafiere il 9 e 10 novembre scorsi. Le opportunità di crescita del comparto sono offerte da una contingenza particolare, che si inserisce in un grande cambiamento da affrontare con responsabilità da parte delle catene di approvvigionamento e delle istituzioni, «dal Regolamento comunitario 848 del 2018, che entrerà in vigore da gennaio e che ci vede preoccupati, perché ad oggi mancano ancora i decreti attuativi, alla riforma della PAC che sarà applicata da gennaio 2023 e dalle strategie europea Farm to Fork e nazionale del Piano nazionale di ripartenza e resilienza, in cui all’interno delle azioni dedicate all’agricoltura sostenibile potrebbero trovare spazio elementi di rafforzamento dell’agricoltura biologica», spiega Fabrizio Piva, AD del CCPB. Il futuro del bio è emerso anche durante il convegno su “Le filiere del grano biologico italiano”, promosso da CIA in collaborazione con Bioagricoop. Futuro che sarà «impegnarsi in filiere multiprodotto, favorire la diffusione di veri contratti di filiera di durata almeno triennale, definire gli strumenti e le modalità di determinazione del prezzo, programmare le semine e adeguare l’assistenza tecnica, la gestione del rischio, i progetti di ricerca e innovazione, così da realizzare un modello integrato e organizzato del sistema agricolo e alimentare italiano, per una filiera che sia allo stesso tempo finalizzata a migliorare le produzioni, le competenze, la redditività». Per maggiori informazioni su questa e la prossima edizione della fiera si rimanda al sito: www.b-opentrade.com


RASSEGNE

Udine, città di gusto: la XXII edizione di Ein Prosit di Riccardo Lagorio

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Cultura, cibo, vino e territorio sono i temi centrali di Ein Prosit 2021. La manifestazione, giunta alla XXII edizione, è stata animata come di consueto dai “laboratori dei sapori” e da degustazioni guidate, eventi e cene speciali e itinerari del gusto. L’obiettivo di Ein Prosit? Raccontare il territorio in maniera immersiva attraverso i piatti di chef affermati e grandi vini (photo © Fabrice Gallina).

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ittà di gusto, Udine ha ospitato dal 20 al 24 ottobre scorsi la XXII edizione di Ein Prosit (einprosit.org), uno degli eventi simbolo dell’enogastronomia in Italia. Il calendario fitto di appuntamenti è un viaggio alla scoperta dei prodotti più caratteristici della tradizione in cui si affollano degustazioni guidate di formaggio, miele e olio extravergine. Ovviamente la parte del leone la fa il vino, a cui sono stati dedicati ben 30 appuntamenti spalmati tra sabato e domenica in alcuni dei più bei palazzi del centro della città friulana. Durante questa ventiduesima edizione si è concentrata particolare attenzione sulle grandi annate, come la 2016 di Verdicchio DOC, dei Nebbioli e di Brunello di Montalcino DOCG. Gli amanti del genere hanno affollato l’appuntamento della mattina di domenica 24, dedicato alle 7 cantine del Collio orientate a promuovere in piena autonomia il Pinot Bianco, una delle impronte enoiche di questa terra di confine. Ma Ein Prosit è anche un appuntamento imperdibile per chi intende conoscere la cucina di affermati cuochi che rappresentano il futuro dei fornelli italiani. Gli appuntamenti ai tavoli sono cominciati mercoledì 20 ottobre al ristorante Agli Amici di Udine dove

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EMANUELE SCARELLO ha brandito l’Adriatico e l’entroterra friulano insieme a VALERIO SERINO, del Tèrra di Copenhagen. In generale, l’attuale tendenza della cucina d’autore è di privilegiare avventate fermentazioni, utilizzo spregiudicato di quinti quarti, azzardati accostamenti e su tutto abbinare vini ossidati o che hanno sostato sulle fecce per settimane. Il consumatore che si può permettere di sedersi a questi tavoli si sente parte di un nuovo corso. In verità, per chi scrive, si tratta di una moda transeunte. Al pari della cucina molecolare, fenomeno degli anni Novanta di cui sono perse le tracce. Mode sulle quali ci permettiamo di dissentire a favore di una cucina moderna, ma che sappia valorizzare i gusti e modalità di preparazione ai quali, per antica tradizione, la popolazione italica è abituata. Traduzione: un conto è l’utilizzo della brovada, che con il suo caratteristico pizzicorio di fermentato aiuta il consumo di cotechini e musetti e appartiene a pieno titolo alla tradizione locale, altro preparare un piatto di animelle con miele e senape dolce, che contraddice ogni sistema organolettico a noi noto. Chi ha tenuto fede a questa nostra aspirazione è FRANCESCO VINCENZI della Franceschetta 58 di Modena tenuto presso L’Alimentare di Udine. Che me93


In alto: Francesco Vincenzi e i suoi tortellini con crema di Parmigiano Reggiano DOP. In basso: la Contaminazione di gambero di Francesco Sodano. raviglia il gusto del risotto all’anguilla affumicata, dai chicchi ben separati e cremosi, aromi che si arrotolano intorno al gusto ittico, sapidi e univoci. Chiunque vorrebbe ripetere l’ancestrale gusto del patè di fegato di faraona che si amalgama con l’Albana sovramatura! Nessuno potrebbe eccepire sul piatto dove i gusti accompagnano verso l’origine di tutto, Terra: una terrina di funghi in varie preparazioni ricoperta da scaglie di tartufo nero. Il tocco da maestro finale, Maybe a surprise, una sorpresa, infatti: la generosa porzione di tortellini sodi e genuini con crema di 94

Parmigiano Reggiano DOP servita dopo il dolce, la zuppa inglese. Un altro esempio: venerdì 22 ottobre, presso la trattoria Antica Maddalena, con la sapida cucina di FRANCESCO SODANO de Il Faro di Capo d’Orso a Maiori (SA). I piatti che di lui ci ricordiamo con piacere sono la bistecca di ricciola frollata 18 giorni servita con ricci di mare (Ric & Ric) e la contaminazione di gambero. Qui i gamberi bianchi sono stati serviti con gazpacho d’arancia, lembi sottilissimi di ostrica con un’emulsione di burro al prezzemolo. Finale che ha voluto

riportare gli orologi degli ospiti indietro di qualche decennio con il negativo di pane e Nutella: crema bianca di nocciole servita su pane nero. In programma alcune curiosità, come l’appuntamento dedicato alla conoscenza della cipolla rossa di Cavasso e il velo alzato sulla vicenda umana di HAMED BAH, pastore somalo sfuggito alla guerra che, sulle colline di Castelcerino poco distanti da Soave nel Veronese, incanta i palati con i suoi formaggi caprini e il suo miele. Iniziativa che lancia Udine tra le città capitali di eventi enogastronomici. Riccardo Lagorio Premiata Salumeria Italiana, 6/21


IPSOS: al ristorante il cliente chiede più certezze su qualità e provenienza del formaggio A Identità Golose 2021 il Consorzio Parmigiano Reggiano ha presentato i risultati della ricerca Ipsos sulle preferenze espresse dai clienti della ristorazione nei confronti dei formaggi. Gli Italiani sono sempre più attenti all’origine dei prodotti che vengono serviti a tavola. I risultati delle risposte delle circa 1000 persone intervistate, identificate fra coloro che abitualmente frequentano i ristoranti, hanno infatti confermato l’attenzione crescente verso i formaggi e, in particolare, l’interesse a conoscere i luoghi e le filiere da cui provengono, le stagionature e il nome dei produttori. Alla domanda “Quanto apprezzerebbe che in menu fosse indicata la stagionatura del prodotto?”, le risposte positive sono state l’87% del totale, con una media di 7,6 punti su 10. Una percentuale che sale L’analisi Ipsos evidenzia come l’89% dei frequentatori di ristoranti all’89% con il quesito successivo: apprezzerebbe che in menu fosse indicato il nome del produttore e il “Quanto apprezzerebbe che in menu luogo d’origine del formaggio, l’87% la stagionatura del prodotto. Alla fossero indicati nomi dei produttori domanda aperta “Quale formaggio DOP vorrebbe trovare al ristorane luoghi nel quale viene prodotto il te?”, il maggior numero di preferenze è andato al Parmigiano Reggiano. formaggio?”. Un’altra indicazione emersa dall’analisi è che il 77% degli intervistati (un campione rappresentativo per fasce d’età, sesso e provenienza geografica) apprezzerebbe la presenza di un menu dedicato ai formaggi. Quasi otto intervistati su dieci (79%) affermano di apprezzare il carrello dei formaggi. Per il 73% è inoltre importante la presenza di personale esperto in grado di presentare i formaggi proposti, una sorta di “sommelier del formaggio”. Ma quali sarebbero i vantaggi per il ristorante? Secondo il campione intervistato, un ristorante che offre il carrello dei formaggi dà innanzitutto l’idea di un ristorante di qualità. La presenza del menu dei formaggi fa pensare a un ristorante con un’offerta completa, mentre la presenza di un esperto di formaggi trasmette un’idea di maggiore attenzione al cliente. Al quesito “E che tipi di formaggi vorrebbe trovare al ristorante?”, il maggior numero di voti è andato ai Formaggi del territorio e ai Formaggi italiani, seguiti dai Formaggi con certificazione DOP e dai Formaggi stagionati (47%). Alla domanda aperta “In particolare quale formaggio DOP?”, il numero maggiore delle preferenze è andato al Parmigiano Reggiano. «Questi risultati — ha commentato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano — vanno a corroborare l’esito dell’indagine dello scorso marzo in cui il 90% degli intervistati aveva chiesto di voler sapere il tipo o la marca di formaggio utilizzato nella preparazione dei piatti, il 91% di conoscere il formaggio usato per condire il piatto e il 77% di grattugiare il formaggio direttamente al tavolo al momento della consumazione. Ora è ancora più evidente che, chi frequenta i ristoranti, è interessato a conoscere il nome e la filiera dei formaggi che consuma: in particolare il luogo di produzione, il nome del produttore e la stagionatura. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano è al fianco dei ristoratori per soddisfare queste curiosità. L’obiettivo, dopo un anno e mezzo terribile, è quello di portare le persone al ristorante e contribuire al rilancio di questo settore strategico per tutte le produzioni agroalimentari di qualità». >> Link: www.parmigianoreggiano.com

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FIERE

Tuttofood e HostMilano 2021, MILAN L’È ON GRAN MILAN assa pur ch’el mond el disa ma Milan l’è on gran Milan… Lassa pur ch’el mond el disa, ma a Milan se stà benon: prendiamo in prestito il testo di una popolare canzone in dialetto milanese della prima metà del ‘900 per parlarvi di contemporaneità e di futuro dell’ecosistema agroalimentare, raccontandovi in queste pagine, attraverso le parole, qualche numero ma, soprattutto, attraverso le immagini, come è andato l’atteso ritorno in presenza delle due manifestazioni di Fiera Milano dedicate al mondo del food e a tutto quello che

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ci gira attorno. Tuttofood e HostMilano (22-26 ottobre) hanno infatti richiamato a Rho oltre 150.000 visitatori professionali, superando ogni aspettativa di organizzatori e partecipanti. «La scommessa di tornare a incontrarsi di persona si è rivelata vincente» ha commentato Luca Palermo, AD e direttore generale di Fiera Milano. «C’era grande voglia di fare business dal vivo, come dimostrano gli incontri degli oltre 150.000 visitatori con più di 2.700 aziende presenti in fiera. Questa vivacità rafforza l’approccio di filiera che occorre all’ecosistema italiano

dell’agroalimentare e dell’ospitalità e fuoricasa per presentarsi all’estero in maniera organica». Con questa edizione Tuttofood e HostMilano si sono confermate come piattaforme non solo di business, ma anche di presentazione di dati e ricerche, condivisione di conoscenze, competizioni internazionali e scoperta di nuove tendenze: sono stati oltre 800 gli appuntamenti del palinsesto di eventi tra momenti formativi e dimostrazioni. Le corsie gremite e la soddisfazione degli espositori non fanno poi che consolidare il ruolo di fieramilano come hub fieristico europeo

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Alcuni scatti in giro per i padiglioni di Tuttofood e HostMilano 2021 (photo © Fiera Milano); in basso, lo spazio espositivo della San Vincenzo di Fernando Rota di Spezzano Piccolo (CS).

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1) La nostra Gaia Borghi con Andrea e Sergio Falaschi, superlativi macellai e norcini dal 1925 in quel di San Miniato (PI). 2) Vito Arra, titolare dell’azienda I Sapori dell’Ogliastra, ha trasformato la sua passione per la pasta in una attività imprenditoriale che ha fatto scoprire il gusto della Sardegna a tutti, con i Culurgiones IGP e le Sebadas. 3) La dott.ssa Daniela Murgia, del Consorzio del Pecorino Romano DOP, tra i protagonisti di Tuttofood 2021. 4) Greta Pavan con la nonna Augusta Lissoni nello stand dei salumi d’oca Quack.

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A sinistra: il Trullocchiato pugliese stagionato in grotta firmato Delizia Spa di Noci (BA). A destra: Acetaia Giusti di Modena, tra l’ampia linea di aceti, ha presentato il Vermouth Giusti, la prima riserva di Vermouth rosso invecchiata in antiche botti di Aceto Balsamico i cui legni ne hanno assorbito aromi e profumi. e volano di internazionalizzazione per le imprese italiane di ogni dimensione. La sostenibilità incontra l’export e le filiere Le aziende italiane, e non solo, hanno ben compreso che la sostenibilità non è e non può essere “greenwashing” ma è un investimento in innovazione che permette di sviluppare il business e far crescere le esportazioni. Soprattutto se si ragiona in un’ottica di filiere. È questo il forte messaggio lanciato dal convegno Innovazione e Sostenibilità per l’industria del Food che ha inaugurato Tuttofood e HostMilano. Secondo dati DOXA commentati durante il convegno, il 50% degli Italiani si dichiara disposto a pagare di più per acquistare un prodotto sostenibile. Ma, mentre il 91% conosce il concetto di sostenibilità, solo il 34% ritiene di averne una conoscenza efficace. Il

72% dei consumatori, inoltre, considera importante il ruolo dell’innovazione nel facilitare soluzioni più sostenibili. Esistono quindi ampi spazi di crescita per le aziende che investono per innovare e creare prodotti che portano al consumatore un reale valore di sostenibilità. Dalla materia prima al prodotto, dai macchinari ai servizi fino al digitale, nei padiglioni delle due manifestazioni è stato possibile toccare con mano l’importanza di agire in un’ottica di filiere, le cui manifestazioni di riferimento generano un valore aggiunto pari a 11,3 miliardi di euro per l’economia del Paese. Novità per la promozione del made in Italy nel mondo In tema di accordi, la nuova partnership con Filiera Italia e Coldiretti promoverà il made in Italy agroalimentare nel mondo con modalità innovative, con l’obiettivo

«C’era grande voglia di fare business dal vivo» ha commentato Luca Palermo, AD e direttore generale di Fiera Milano. «Questa vivacità rafforza l’approccio di filiera che occorre all’ecosistema italiano dell’agroalimentare e dell’ospitalità e fuoricasa per presentarsi all’estero in maniera organica»

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di raddoppiare il valore dell’export. Il recente accordo con Informa Markets, invece, tra i leader mondiali nel settore fieristico con oltre 450 eventi in portafoglio, porterà in modo ancora più capillare in aree estere strategiche le aziende presenti alle manifestazioni di Fiera Milano. «La collaborazione tra Fiera Milano e Informa Markets — sottolinea Luca Palermo — prende avvio dai settori Food&Hospitality, dove siamo leader a livello internazionale, per poi proseguire in altri settori. Siamo certi che questa alleanza possa rappresentare un’ulteriore opportunità di internazionalizzazione da offrire alle aziende che partecipano alle fiere». Le prossime edizioni Già comunicate le date per la prossima edizione delle manifestazioni, che torneranno ad essere divise nel corso dell’anno, mentre gli spazi resteranno quelli di Fiera Milano, Rho: 08-11 maggio 2023 Tuttofood e 13-17 ottobre 2023 HostMilano. Nota Per avere maggiori informazioni sulle manifestazioni si possono consultare le pagine web dedicate: • www.tuttofood.it @TuttoFoodMilano • host.fieramilano.it @HostMilano

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Per Tuttofood degustazione speciale da Carni&Co con Salumificio San Michele, Bresaola Bordoni e Terre de la Custodia Una degustazione molto speciale in occasione di una delle fiere più importanti dell’agroalimentare italiano, Tuttofood. Presso Carni&Co (www.carnieco.it), nuovo locale/macelleria inaugurato lo scorso settembre a Milano, Bresaola Bordoni, Salumificio San Michele e Terre de la Custodia si sono uniti per offrire ad operatori e stampa di settore una “Pausa Gourmet” con i loro prodotti di eccellenza. Il marchio Bordoni (www.bresaolabordoni.it) nasce nel 1964, con la piccola macelleria di famiglia, in un paesino delle Alpi centrali italiane. In Valtellina il clima è secco, la temperatura è costante e l’aria è fresca e tersa: non manca nulla per garantire un futuro molto più che roseo alla bresaola Bordoni. La famiglia Bordoni, nel 1997, trasforma il piccolo salumificio nel suo primo stabilimento produttivo. In pochi anni l’impegno nell’attività di produzione, la collaborazione con i più grandi marchi della salumeria e l’esportazione del prodotto all’estero permettono al salumificio di ottenere il riconoscimento di membro del Consorzio di tutela della Bresaola della Valtellina. In degustazione da Carni&Co è stata proposta la bresaola La Storica, che valorizza al 100% la tradizione valtellinese. Salumificio San Michele (www.san-michele.it) nasce nel 1978 a San Michele Tiorre, Felino, come prosciuttificio. La visione sul futuro della famiglia Cremonesi, ancora oggi proprietaria, ha consentito una crescita costante dell’azienda. Nel corso degli anni allo stabilimento storico si sono infatti aggiunti due stabilimenti a Langhirano, poi quello di Offanengo, dedicato, al disosso e alla logistica. Infine, è arrivato anche un terzo secondo impianto di Langhirano, dedicato esclusivamente all’affettamento. San Michele produce oggi circa 800.000 prosciutti l’anno ed è presente nei principali mercati nazionali ed esteri. All’evento milanese ha proposto il proprio fiore all’occhiello, il prosciutto di Parma 24 mesi. Dal 1780 la famiglia Farchioni di Terre de la Custodia (www. terredelacustodia.com) è un punto di riferimento nel settore agricolo dell’Umbria attraverso la produzione di olio extravergine di oliva, birre artigianali con Mastri Birrai Umbri e di vino con la cantina Terre de la Custodia. La viticoltura ha radici profondamente intrecciate con quelle della famiglia e si è evoluta, completando la filiera, con l’acquisto di quote per la produzione di Sagrantino DOCG e con la realizzazione della nuova cantina, nei primi anni 2000. Oggi la cantina può contare su più di 160 ettari di vigneti di proprietà, tra i quali spiccano le varietà autoctone regionali come Sagrantino e Grechetto. Presso Carni&Co erano in degustazione il Metodo Classico a base Grechetto e Pinot nero, Gladius, e il bianco Grechetto Montefalco.

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FORMAGGIO 76a assemblea di Assolatte: i dati del comparto

LATTIEROCASEARIO, pilastro dell’economia italiana Photo © Studio KIVI – stock.adobe.com

di Riccardo Lagorio

à lavoro a 100.000 addetti, realizza 16,2 miliardi di giro d’affari e acquista tutto il latte disponibile in Italia: è il lattiero-caseario, un pilastro dell’economia italiana. E se i consumi interni ristagnano, l’export non tradisce: si vende all’estero il 40% dei formaggi italiani, si consolidano i mercati storici (come Francia e Germania) e se ne aprono di nuovi (come la Cina). La 76a assemblea di ASSOLATTE, l’associazione che rappresenta e tutela 250 imprese del settore lattiero-caseario attive in

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UNO DEI PROBLEMI MAGGIORI CHE IL SETTORE DEVE AFFRONTARE È LA MALA INFORMAZIONE. LO HA SOTTOLINEATO PAOLO ZANETTI, PRESIDENTE ASSOLATTE: «ANCHE SE ABBIAMO RAGGIUNTO TRAGUARDI IMPORTANTI, DOBBIAMO CONTINUARE LA NOSTRA BATTAGLIA CONTRO LE FAKE NEWS SUI NOSTRI PRODOTTI E L’UTILIZZO IMPROPRIO DELLE NOSTRE DENOMINAZIONI»

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Italia (cioè il 90% del fatturato del settore), ha reso palesi alcune tendenze e mostrato l’importanza del comparto nell’anno più difficile dal dopoguerra. Smart working e didattica a distanza, ma anche sospensione di alcune attività come bar e ristoranti, hanno favorito un consumo casalingo della colazione, creando l’occasione per porre maggiore cura e attenzione a questo importante momento della giornata e dell’alimentazione in generale. Come conseguenza, secondo i dati diffusi da ASSOLATTE, il mercato del latte UHT ha registrato un +5,1% a volume, con un incremento delle importazioni (+5,2%). Complessivamente, nel 2020 le imprese italiane hanno prodotto 2,2 miliardi di litri di latte confezionato, 267 milioni di chili di yogurt, 159 milioni di chili di burro e 1,1 miliardi di chili di formaggi, il 50% dei quali DOP. Leader della produzione di formaggi, col 29% sul totale, si conferma la mozzarella, seguita da Grana Padano (18%), Parmigiano Reggiano (14%), Gorgonzola e mozzarella di bufala campana, entrambe col 5%, crescenza (4%) e Provolone Valpadana (2%). Anche i formaggi DOP hanno registrato ottimi risultati. La produzione complessiva ha superato le 570.000 tonnellate. Grana Padano e Parmigiano Reggiano si confermano i formaggi DOP che i consumatori hanno più a cuore: 203.606 e 159.271 le tonnellate prodotte rispettivamente. Anche il Gorgonzola DOP nel 2020 ha avuto una performance di tutto rispetto con più 61.000 tonnellate rispetto all’anno precedente. I tassi di crescita più significativi sono stati registrati dal Pecorino Romano (+14,7%, ovvero 4.000 tonnellate), dall’Asiago (+11,6%) e dal Montasio (+10,7%%). «Risultati notevoli, se si pensa alle complicazioni sanitarie ed economiche causate dall’emergenza pandemica, che ha messo a dura prova la tenuta del settore» ha sottolineato il responsabile del Comitato, ANTONIO AURICCHIO. Tendenze che anche nell’anno in corso hanno trovato conferma, con l’incremento di Gorgonzola (+3,84%), Taleggio (+3,77%) e Parmigiano Reggiano (+3,45%). Nonostante la paralisi mondiale da Covid-19, l’export dei formaggi tricolore ha retto l’onda d’urto: i volumi sono aumentati dell’1%, arrivando a

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Per la prima volta in Francia i consumi di mozzarella (vaccina e bufala insieme) hanno superato quelli del Camembert. Lo scrive il quotidiano francese “Le Figaro”, secondo cui, a settembre 2021, le vendite del comparto mozzarella sono state superiori per la prima volta a quelle del re dei formaggi francesi (photo © Natasha Breen – stock.adobe.com). 463.000 tonnellate, pur sacrificando parte del valore (3.1 miliardi di euro, in calo di quasi il 3%). I numeri del 2021 confermano la ripresa: la produzione è in crescita, le vendite si riassestano e l’export decolla. Grazie all’azzeramento dei dazi aggiuntivi trumpiani e alle minori restrizioni anti-Covid, i formaggi italiani hanno ripreso la loro corsa: il dato relativo alle vendite all’estero nel primo semestre 2021 evidenzia, infatti, un interessante +12%, con risultati positivi per tutte le categorie di prodotto. In particolare, ottime le performance registrate da Francia (+13,8%), Belgio (+20,8%) e Paesi Bassi (+15,6%). Al di fuori degli scambi con l’UE, si consolida la ripresa negli Stati Uniti: le esportazioni sul suolo americano hanno messo a segno un incoraggiante +27,3%. Uno dei problemi maggiori che il settore deve affrontare è la mala informazione. Lo ha sottolineato il presidente PAOLO ZANETTI: «Anche se abbiamo già raggiunto importanti traguardi dobbiamo continuare la nostra battaglia contro le fake news che coinvolgono i nostri

prodotti e contro l’utilizzo improprio delle nostre denominazioni. Altro capitolo fondamentale è il nostro deciso no al Nutriscore (il sistema a semaforo che si vuole proporre da parte di alcuni Paesi, Francia in testa: ad ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su una base di riferimento di 100 grammi di prodotto i cibi con semaforo verde sarebbero da preferire rispetto a quelli rossi) e a qualunque sistema di etichettatura che penalizzi gli alimenti più semplici e naturali come il latte e i suoi derivati». Infatti, pur essendo straordinariamente ricchi di micro e macronutrienti, i prodotti lattiero-caseari sono realizzati a partire da un unico e genuino ingrediente: il latte. Non sono quindi riformulabili, mentre su altri prodotti, frutto di ricette e processi anche molto complessi, è possibile intervenire facilmente: «Qualsiasi sistema di etichettatura che non consideri, e premi, le specificità di alimenti basilari della dieta, non ha alcuna ragione d’esistere» ha rincarato Zanetti. Riccardo Lagorio

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Malga sette Caliere – Primo lotto Valmaron, Altopiano di Asiago

ASIAGO DOP PRODOTTO DELLA MONTAGNA: NASCERE E VIVERE IN MALGA di Gian Omar Bison

ono nato in malga e faccio il malghese e il casaro da quasi 70 anni. Non ho rimpianti e se tornassi indietro rifarei tutto esattamente com’è stato fatto. I boschi, le vacche, la transumanza e il formaggio sono la mia vita». Partiamo dalla fine, quasi commovente. Parole pesanti come pietre, privilegio per pochi. Il settantatreenne ANDREA DALLA

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PALMA ha sempre avuto le idee chiare ed è innanzitutto un montanaro calmo e loquace. La sua storia e quella dei suoi avi è la storia della Malga “7 Caliere” – I lotto Valmaron in Marcesina, località Stazio di Enego, Altopiano di Asiago. Ed è una storia costellata dalla fatica, dal sacrificio, calda come la cagliata che ancora lo emoziona. «Sono nato ed ho sempre vissuto in malga ad Enego. La

mia famiglia è di tradizione malghese e abbiamo sempre lavorato come casari. L’azienda — puntualizza Andrea — si chiama 7 Caliere perché mio nonno Valerio, classe 1867, ha fatto il capo delle sette malghe in Marcesina, che ora sono sei. Coordinava le sette malghe che conferivano tutto il latte in un’unica malga per la caseificazione, prima della grande guerra a cavallo del ‘900. Non

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si raggiungevano le quantità di latte di oggi, nonostante le vacche fossero un centinaio per malga, metà da latte e metà da carne. Il totale raccolto nelle sette malghe era come il quantitativo di una dei giorni nostri». Razze come la Burlina, le Brune alpine o le Rendene anche morfologicamente non erano strutturate come le vacche di adesso e non si alimentavano come ora. «Bestie che pesavano 5 quintali — sottolinea Andrea — mentre oggi arrivano anche ad 8. Il conferimento del latte ad un’unica malga era una consuetudine accettata da tutti. Non c’erano regole scritte ma in proporzione alla quantità di latte conferito in una determinata giornata, dopo cinque giorni, si portavano via burro e formaggi. Era un’economia agricola di sussistenza ed è durata così fino alla guerra del 1915-18, quando i nonni sono andati via profughi a Campobasso. Una volta tornati, trovarono tutto distrutto e il vecchio sistema di raccolta e produzione finì per sempre. Fu in quel momento che mio nonno prese in concessione dal comune di Enego la cosiddetta malga terzo lotto Valmaron; successivamente, prese in gestione il primo lotto dal quale non siamo più andati via. A mio nonno

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subentrò mio padre Rinaldo e poi io, che ho sempre svolto questa attività. Mai pensato di fare altro, nonostante mio padre per un certo periodo gestì anche una trattoria in centro ad Enego. Con mio papà avevamo 14 vacche da latte di razza Bruna e adesso ne ho più di 80. Ai tempi di mio padre la transumanza iniziava ai primi di giugno e si raggiungevano grosso modo 10 litri di latte a capo. Adesso si parla di 22/23 litri». Nonno Valerio lo chiamava Andreino e nei ricordi del nipote ha tutte le sembianze del nonno di Heidi. «Mi invitava a mettere la mano dentro la caliera (paiolo, grande pentola in rame battuto) per tastare la consistenza della cagliata con i suoi granellini che dovevano essere fini, asciutti. È lì che mi sono appassionato. All’epoca di mio nonno i formaggi venivano venduti per lo più alle famiglie del posto e bastava per sopravvivere. Dopo un po’ di anni si è iniziato a vendere a grossisti che acquistavano tutto e poi distribuivano ai negozi. Commercianti che cercavano la testa e la coda del formaggio, cioè quello fatto a giugno e a settembre perché dicevano fosse di qualità superiore il che, secondo me, è vero, essendo prima e dopo i due mesi centrali più caldi».

In prima pagina: Andrea Dalla Palma. In alto: Malga “7 Caliere” produce formaggi tipici della zona Asiago, occupandosi direttamente della stagionatura dei prodotti. I formaggi possono essere più o meno stagionati a seconda delle richieste dei clienti. Asiago DOP, ma anche ricotta e burro. Tra tutti naturalmente primeggia l’Asiago DOP di malga, vincitore del primo premio come prodotto della Montagna Italiana 2016 (photo © www.facebook.com/ aziendaagricola7caliere).

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Tagliere di salumi nell’agriturismo della malga. I Dalla Palma hanno sempre fatto formaggio Asiago, con stagionature diverse. Allora non c’era la DOP ma la tipologia di formaggio era quella.

«Io ho continuato questa tradizione e la produzione di formaggio d’allevo, da invecchiare, è diventata la mia passione. L’Asiago si è sempre fatto nelle malghe».

Da 15 anni i Dalla Palma conducono in malga anche un’attività agrituristica. Si possono consumare oltre ai formaggi anche affettati misti, verdure e polenta. E poi dolci come la torta di mele, torta cioccolato e ricotta, panna cotta, yogurt. «Uno dei piatti che va per la maggiore è tosela, tipico formaggio fresco che facciamo fondere, e polenta». Non manca una selezione di birre artigianali e agricole e vino di Valdobbiadene. Il tutto funziona da giugno a settembre. «Da settembre si ferma l’attività in malga e consegniamo il latte raccolto dalle nostre ottanta vacche stabulate nella nostra azienda agricola di Enego ad un caseificio privato». In periodo pre-pandemia la transumanza delle vacche dei Dalla Palma addobbate con collari colorati fatti di frasche di abete, nastri e campanacci, ovvero la demonticazione delle bestie che nei mesi estivi hanno vissuto in alpeggio, era una sorta di festa che coinvolgeva migliaia di persone. Era prassi fare festa, mangiando tutti

La produzione Asiago DOP è il simbolo vivente di una millenaria storia casearia che è nata nell’Altopiano di Asiago e si è storicamente radicata nelle province di Vicenza, Trento e in parte di quelle di Padova e Treviso. Ad oggi sono 35 le aziende produttrici e 6 quelle di stagionatura socie del Consorzio Tutela Formaggio Asiago, nato nel 1979 per promuovere, valorizzare e tutelare la denominazione d’origine protetta. Con oltre 2.100.00 quintali di latte certificato per questa produzione e 1.733.824 forme prodotte nel 2020, Asiago DOP rappresenta un prezioso volano di sviluppo del territorio. Ogni giorno, la filiera delle 1.236 aziende di allevamento e 8.500 addetti contribuisce a rafforzare il benessere locale e a preservare l’unicità del territorio montano della denominazione d’origine. Proprio la nascita, nel 2006, dell’Asiago DOP Prodotto della Montagna, istituito dal Consorzio Tutela Formaggio Asiago e riconosciuto dall’Unione Europea, ha reso possibile il mantenimento di un’agricoltura in zone altrimenti a rischio d’abbandono. In questi anni, la produzione Asiago DOP Prodotto della Montagna, basata interamente sulla valorizzazione del latte prodotto in stalle di montagna, sopra i 600 m d’altezza, e da vacche la cui alimentazione proviene direttamente dalla zona, si è confermata un importante presidio di biodiversità contribuendo a preservare il delicato equilibrio naturale montano. Il 2020 è stato un anno di resilienza per il Consorzio, durante il quale l’Asiago DOP ha offerto al mercato italiano una garanzia di presenza su cui il consumatore ha potuto contare. Grazie agli sforzi dei soci, in un momento di grande incertezza, la produzione è aumentata dell’11%, rappresentando la scelta sicura di un prodotto garantito, sinonimo di altissima qualità, premiato dalla fiducia di quasi dieci milioni di famiglie, con un +2,2% a volume e un +3,4% a valore. Anche i primi mesi del 2021 hanno segnato un aumento a doppia cifra per l’export, con un +16,7% rispetto allo stesso periodo del 2020. Svizzera, Germania USA, Canada e Messico sono i Paesi a maggiore crescita. In questo scenario di rinnovata fiducia, il Consorzio ha scelto di cogliere tutte le opportunità della ripresa con una nuova azione per consolidare, in particolare, la presenza in Sud America ed Estremo Oriente. «Per la prima volta è in corso un ambizioso progetto di crescita che coinvolge, oltre ai soci, anche i principali esportatori nazionali» afferma Flavio Innocenzi, direttore del Consorzio (in foto). «Oggi i benefici delle dinamiche attivate dal Consorzio, con l’impegno all’apertura di nuovi mercati, le registrazioni di diritti di proprietà intellettuale, la tutela e l’utilizzo di strumenti promozionali europei permettono di garantire una visione ampia delle occasioni di sviluppo e di ragionare su una dimensione di sistema. Con questo impegno puntiamo a realizzare azioni mirate e coordinate destinate ad incrementare in maniera significativa la quota delle nostre esportazioni». >> Link: www.asiagocheese.it

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assieme, i malghesi, i familiari e tutti coloro che avevano collaborato alla transumanza. Oltre ai bovini nell’azienda agricola di Enego si allevano maiali e pollame. «Per quanto riguarda i maiali — afferma Andrea — ne processiamo una quindicina all’anno. Non li lavoro io perché ci vuole l’apposito bollino CE. Li portiamo in laboratori autorizzati e poi salumi e insaccati li facciamo stagionare nella nostra cantina a norma. Facciamo salami, soppresse, pancette, filoni, coppe e altro». Ad aiutare l’attività di famiglia la moglie, la figlia LAURA, il figlio MATTEO e le nuore VALENTINA e SARAH; LUCA, il secondogenito, si occupa d’altro. «Inoltre, abbiamo un dipendente fisso che segue la stalla e poi degli stagionali. Vedo continuità nella tradizione casearia e agricola di famiglia tanto più che adesso abbiamo anche un negozio a metà strada tra la malga e l’azienda agricola, cosiddetta Casa Tombal, dove vendiamo esclusivamente i nostri prodotti ed è aperto tutto l’anno». Al di la dell’Asiago DOP, il formaggio prodotto 40 anni fa è lo stesso di adesso? «È cambiato leggermente, soprattutto a causa dell’industria che per fare grandi quantità tende un po’ ad omologare i sapori. Il formaggio di malga è ancora fedele ai gusti e ai profumi di una volta perché dipende dall’alimentazione delle vacche. Da quello che brucano al pascolo». Come detto, la stragrande maggioranza del latte raccolto dai Dalla Palma va al Consorzio di tutela e diventa Asiago DOP, compreso quasi tutto quello che trasformano direttamente d’estate. Il solo quantitativo di un mese di raccolta all’anno va in burro, yogurt, tosela e formaggio burlino e marcesina a marchio “Dalla Palma”. La malga è associata al Consorzio Tutela Formaggio Asiago DOP e il loro Asiago ha vinto il primo premio come Prodotto della Montagna Italiana 2016. Un sistema consolidato di produzione di latte e di Asiago che Andrea immagina ancora più evoluto da qui a 30/40 anni: «Avrei piacere che prendesse ancora più considerazione e importanza l’Asiago DOP fatto in malga perché li si riescono ad ottenere ancora i veri sapori della montagna. Credo sarà così». Gian Omar Bison

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Pecorino Sardo DOP, dai nuraghi ai mercati esteri

Il più noto formaggio da tavola isolano si appresta a fare grandi passi in ambito internazionale, anche grazie ad azioni importanti di tutela, promozione e informazione di Sebastiano Corona

on poteva trovare una sede maggiormente rappresentativa, il Consorzio di tutela del Pecorino Sardo DOP, che quella di Villa Muscas a Cagliari. Nel cuore del capoluogo sardo, in un’antica dimora a qualche passo dal Mercato di San Benedetto (uno dei più grandi mercati civici al chiuso d’Europa), il Conservatorio di musica e il Teatro lirico, il Tempio del Pecorino condivide

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i suoi spazi con il Centro della Cultura Contadina, un ricco museo che raccoglie attrezzi e macchinari agricoli, oltre a manufatti di pregevole fattura, un tempo in uso nelle abitazioni sarde di campagna. Quel luogo, oggi in ristrutturazione, conserva del mondo rurale isolano gli utensili indispensabili ad agricoltori e pastori. Gli stessi pastori che per secoli, addirittura millenni, hanno perpetuato i riti della produzione del formaggio

ovino per eccellenza, il pecorino. Quel prodotto che, oltre ad essere gradevolissimo al palato, affonda le sue radici nei tempi della popolazione nuragica, quando l’economia era più rivolta alla pastorizia che all’agricoltura. Nei secoli molti aspetti relativi alle tecniche di allevamento e lavorazione del prodotto sono ovviamente mutate, ma si può sostenere con certezza che il pecorino sardo che oggi conosciamo,

Pecorino Sardo DOP.

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e che vanta il maggior riconoscimento europeo per un prodotto alimentare, è lo stesso di cui molte fonti storiche trattano già nel ‘700. I formaggi ovini richiamati erano denominati i Bianchi, la Fresa, lo Spiatatu, i Rossi Fini, gli Affumicati e, tra questi, gli ultimi due possono essere considerati i progenitori del pecorino sardo. Inutile sottolineare che col passare dei secoli le tecniche di lavorazione si sono affinate e gli insegnamenti della tradizione man mano si sono fusi con nuove e più innovative pratiche di trasformazione. Sono nettamente migliorate le condizioni igieniche di lavoro, sono stati razionalizzati i trattamenti termici, i tempi e le modalità di semi-cottura della cagliata, l’uso degli innesti naturali di batteri lattici e del caglio, sempre mantenendo fede a rigorosi standard qualitativi. Si sono conseguentemente aperti nuovi e più ampi mercati, ma senza mai tradire la tradizione produttiva, il gusto e la storia di un prodotto unico. Un prodotto che dal 1991 vanta orgogliosamente la Denominazione di Origine Protetta. Oggi il Consorzio di tutela, riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, associa tutte le 25 aziende iscritte al sistema dei controlli della DOP e rappresenta i più prestigiosi e strutturati caseifici sardi. Oltre 21.000 quintali di prodotto marchiato, che nel 2020 ha preso la direzione dei principali mercati di riferimento: per l’89% nella Penisola — nelle regioni del Settentrione in particolare —, e la percentuale restante divisa tra mercati classici comunitari e a seguire Stati Uniti, Giappone e Cina, dove la presenza è ancora modesta ma il Pecorino Sardo DOP inizia a farsi strada. Un risultato raggiunto a seguito di grandi sforzi e con un impegno che non è mai mancato. Lo stesso lavoro che oggi il Consorzio realizza in termini promozionali, soprattutto all’estero, oltre che in Italia, con la partnership degli omologhi dell’Asiago DOP, del Gorgonzola DOP, del Taleggio DOP, nella convinzione che l’unione faccia la forza e che presentarsi coesi e non come antagonisti, sia un vantaggio in più per tutti. Con gli altri Consorzi, quello del Pecorino Sardo DOP ha realizzato di recente numerose campagne di edu-

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cazione al gusto, molte delle quali nelle scuole. Allo stesso tempo, e sempre con gli stessi partner, ha avviato costanti azioni di promozione in Italia e all’estero e in particolare in Gran Bretagna, in Belgio, in Francia, negli Stati Uniti e in Giappone. Nel Sol Levante, complice il riconoscimento della IGP con la seconda call dell’Unione Europea, il Pecorino Sardo DOP inizia a farsi spazio, soprattutto nelle tavole della ristorazione, dove i tanti chef italiani danno a questo meraviglioso formaggio l’occasione di essere apprezzato laddove sino a ieri ancora non lo si conosceva. «Si tratta di mercati remunerativi, che offrono ulteriori possibilità di espansione e che non temiamo di affrontare, considerato che abbiamo un potenziale doppio rispetto a quello che attualmente riusciamo ad esprimere» dichiara ANNALISA UCCELLA, direttrice del Consorzio, che aggiunge: «Gli attuali soci possono aumentare notevolmente l’offerta, ma ci sono anche molti altri caseifici che potrebbero entrare nel sistema di controllo della DOP e non escludiamo che, anche a seguito dell’apertura di nuovi mercati, decidano di farlo». D’altronde grazie agli accordi bilaterali, la IG è al momento protetta anche in Canada, oltre che in Giappone. E il Consorzio, nel 2019 e nel 2020, si è premunito di registrare logo e nome anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, dove il prodotto italiano è talmente ricercato da essere frequentemente vittima delle peggiori imitazioni possibili. «Il problema, all’estero ma anche Italia, e persino a casa nostra, in Sardegna, è la riconoscibilità del prodotto. Il mercato offre tanto, talvolta prodotti discutibili, talvolta discreti, ma non sempre il consumatore è in grado di distinguere, individuare e scegliere quello a Denominazione di Origine Protetta. Si rischia così di portare a casa un qualunque formaggio ovino, che non vanta la stessa garanzia di qualità dell’autentico Pecorino Sardo DOP. Su questo stiamo lavorando da tempo, su questo continueremo ad operare, convinti che un’azione informativa nei confronti del mercato sia importante, tanto per i produttori, quanto per i consumatori» sottolinea la direttrice Uccella. Eppure bastano alcuni elementi per riconoscere il più importante

Dolce o Maturo: il Pecorino Sardo DOP si riconosce dal logo della DOP e dalle due etichette del Consorzio, verde (Dolce) o blu (Maturo).

formaggio isolano da tavola: oltre al logo della DOP, presente nell’etichetta del produttore, bisogna cercare quello del Consorzio, l’inconfondibile bollino verde che contraddistingue le forme di Pecorino Sardo Dolce o quello blu del Pecorino Sardo Maturo. Tutte le forme hanno un loro indice identificativo univoco. Ma dal 2014 il prodotto può essere venduto, oltre che in forma intera o a spicchi, anche grattugiato, in scaglie, cubetti, petali, fette e snack. Il Pecorino Sardo Maturo è di forma cilindrica a facce piane con scalzo diritto. La crosta è liscia, consistente, di colore bruno nelle forme più stagionate. La pasta è bianca, tendente al paglierino con il progredire della stagionatura, compatta o con rada occhiatura, dal gusto forte e gradevolmente piccante. Il Pecorino Sardo Dolce ha ugualmente una forma cilindrica a facce piane con scalzo diritto o leggermente convesso e presenta una crosta liscia, sottile e di colore bianco o paglierino tenue. La pasta è bianca, morbida, compatta o con rada occhiatura, dal sapore dolce e aromatico. Tutto merito delle essenze spontanee di cui si nutrono in prevalenza le pecore sarde al pascolo brado. Nel dubbio per riconoscere il Pecorino Sardo DOP c’è sempre l’etichetta. Fuori c’è l’etichetta, dentro c’è la Sardegna, quella più autentica. Sebastiano Corona Nota Immagini concesse dal Consorzio del Pecorino Sardo DOP.

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World Cheese Awards: al Parmigiano Reggiano 126 medaglie Il Parmigiano Reggiano ha vinto 126 medaglie e centra un risultato mai raggiunto al World Cheese Awards di Oviedo, un record storico di 7 medaglie Super Gold, 6 delle quali vinte dai caseifici aderenti alla Nazionale. Ma i record non si fermano qui: quest’anno, infatti, la Nazionale del Parmigiano Reggiano — composta da 96 caseifici provenienti da tutte le province del comprensorio, 10 in più rispetto al 2019 — è arrivata ad essere la più grande missione collettiva mai intrapresa da un formaggio italiano all’estero. Uno sforzo di gruppo che ha fruttato alla Nazionale 111 medaglie: 6 Super Gold (miglior formaggio del tavolo), 28 d’oro, 50 d’argento, 41 di bronzo. Le Super Gold sono state vinte dall’Azienda Agricola Grana D’Oro di Reggio Emilia, dalla Latteria Collina di Reggio Emilia, dal Caseificio Rosola di Zocca di Modena, dal Caseificio Punto Latte di Modena, dalla Latteria Sociale La Nuova 2000 di Reggio Emilia, dal Caseificio Sociale Canevaccia di Bologna. La settima Super Gold è andata al Consorzio Latterie Virgilio, presentatosi fuori dalle fila della Nazionale. «La Nazionale del Parmigiano Reggiano — ha affermato Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano — ha dimostrato ancora una volta le qualità di un formaggio unico al mondo. Torniamo in Italia a testa alta. Un successo che è motivo d’orgoglio per tutta la nostra filiera che ogni giorno impegna migliaia di allevatori di 307 caseifici artigianali nella ricerca dell’eccellenza assoluta». «Festeggiamo nel modo migliore i 20 anni di attività» ha commentato da Bergamo Gabriele Arlotti, ideatore della Nazionale. «Il Parmigiano Reggiano è stato premiato dall’Appennino alla pianura, in tutte le province dell’area di origine e nelle sue biodiversità: di Frisona, Vacche Rosse, Bianca Modenese e Bruna alpina». Il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha inoltre patrocinato un nuovo premio alla miglior produttrice di formaggi che è andato alla vincitrice del World Cheese Awards 2021, Silvia Peláez, della Quesería Quesos y Besos, per l’intensa attività di innovazione e qualità delle sue produzioni (in foto, gli Azzurri del Parmigiano Reggiano La Nazionale del Parmigiano Reggiano è un progetto di promozione del formaggio in Italia e all’estero nato 20 anni fa durante una riunione tra caseifici. Fu nel 2001, infatti, che uno sparuto gruppo di produttori dell’Appennino unì le forze per partecipare insieme a un concorso nazionale, Formaggi d’Autore, in Valle d’Aosta. Per la sua attività, la Nazionale è stata insignita nel 2015 del Primo Tricolore consegnato nella Sala Tricolore del Comune di Reggio Emilia, là dove nacque la nostra bandiera nazionale). >> Link: parmigianoreggiano.it

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Il Fiorino ha “sbancato” il World Cheese Awards in Spagna: con 14 medaglie è l’azienda italiana più premiata La stagione delle grandi rassegne internazionali dedicate al mondo lattiero caseario si chiude con “il botto” per il Caseificio Il Fiorino, che torna dal World Cheese Awards di Oviedo con 14 medaglie. L’azienda maremmana ha fatto strike di ori, conquistandone ben 6, ha ottenuto 5 argenti e 3 bronzi affermandosi come la realtà italiana produttrice di formaggi di pecora più premiata al mondo. Il concorso e i formaggi premiati Il World Cheese Awards è il concorso caseario più grande al mondo: nasce nel 1988 e oggi, che siamo giunti alla 34a edizione, rimane uno degli eventi più prestigiosi e importanti al mondo per il riconoscimento della qualità e dell’eccellenza nella produzione casearia. Un contest che, a ogni edizione, richiama i migliori produttori ed esperti di formaggio dai cinque continenti. Il Fiorino è sempre stato protagonista di questo evento: dalla prima partecipazione a Londra, nel 2012, a oggi ha ottenuto oltre 50 medaglie. L’edizione 2021 si è svolta nella regione spagnola delle Asturie, a Oviedo. La giuria, composta da circa 250 esperti, fra rivenditori, acquirenti, produttori e critici gastronomici, ha assegnato le medaglie d’oro al Cacio di Caterina, al Fior di Natura, al Cacio di Afrodite, al Cacio di Venere e due al Pecorino Toscano DOP stagionato. Due medaglie d’argento sono state conferite al Caterina, una al Grotta del Fiorini, al Venere e alla Riserva del Fondatore. Tornano in Maremma con la medaglia di bronzo l’Afrodite, la Riserva del Fondatore e il formaggio erborinato Fiorin blu. «Riconoscimenti come quelli che abbiamo ottenuto a Oviedo —sottolinea Angela Fiorini, che insieme al marito Simone Sargentoni guida il Caseificio Il Fiorino — lasciano senza parole. Siamo molto felici perché i numeri e le medaglie dicono che siamo la prima azienda privata italiana come quantità e qualità di premi. Avevamo iscritto i formaggi con poca fiducia di poter portare a qualche risultato, perché credevamo non fossero all'altezza. La risposta della giuria ci fa capire che forse siamo fin troppo critici nel giudicare i nostri formaggi. Ma è questo atteggiamento che ci ha portato fino qua e ci fa ben sperare per il futuro, perché vogliamo ancora migliorare. Passo dopo passo, come facciamo ormai da più di sessant’anni. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno condiviso con noi questa soddisfazione esprimendo vicinanza e apprezzamenti. Sono loro che, ogni giorno, ci danno carica ed energia». >> Link: caseificioilfiorino.it

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DOLCI

Panettone:

STORIA, CONSUMI E IMPORTANZA DEI REQUISITI DI SICUREZZA ALIMENTARE Cosa tenere in considerazione nel percorso d’acquisto e consumo

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In basso: ottenuto da un impasto lievitato a base di acqua, farina, burro, uova o anche tuorli, cui si aggiungono frutta candita, scorzette di arancio e cedro in parti uguali e uvetta, il panettone è oggi un dolce tipico Italiano tutelato dal DM 22/07/2005 che ne specifica gli ingredienti e le percentuali minime per poter essere definito tale (photo © CreateLab – stock.adobe.com). A destra: goloso panettoncino monoporzione con marron glacé e confetti dorati (photo © Fausta Lavagna – stock.adobe.com).

l consumo del panettone durante le festività di fine anno è un’usanza a cui milioni di Italiani, e non solo, non possono assolutamente rinunciare. Oltre al suo valore storico e simbolico, anche gli aspetti della sicurezza alimentare, però, sono importanti e da tenere in assoluta considerazione nel nostro percorso di acquisto e consumo. La storia del panettone ha origini antiche: una prima testimonianza scritta risale al 1470 ed è da parte di GIORGIO VALAGUSSA, precettore degli Sforza, che narra il cosiddetto “rito del ciocco”. Secondo questa usanza, il 25 dicembre, in ogni casa, si metteva un grosso ceppo di legno sul fuoco su cui tutti i commensali avrebbero abbrustolito delle fette di pane di frumento distribuite dal capofamiglia. Si trattava di un pane speciale: diversamente dal

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resto dell’anno, infatti, le Corporazioni milanesi avevano deciso che a Natale tutti — ricchi e poveri — mangiassero lo stesso pane, detto Pan de Sciori o Pan de Ton, cioè il pane dei signori, di lusso, che veniva perciò arricchito con zucchero, burro e uova. La prima definizione ufficiale di panettone risale al 1606: il Panaton, nel Dizionario milanese-italiano, era “un Pan grosso, qual si suole fare il giorno di Natale…; di pari o simil pasta ma in panellini si fa tutto l’anno dagli offellai e lo chiamiamo Panattonin”. In questi secoli i panettoni sono ancora molto bassi, simili a focacce, il lievito fa la sua comparsa nel ricettario Nuovo cuoco milanese economico del 1853 di GIOVANNI FELICE LURASCHI. Di canditi (di cedro) si parla l’anno successivo, nel Trattato di cucina, pasticceria moderna di GIOVANNI VIALARDI.

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Il panettone è uno dei prodotti dolciari più caratteristici del Belpaese e protagonista indiscusso delle nostre tavole natalizie, insieme al suo “cugino-antagonista” veronese, il pandoro, col quale si contende il primato di dolce più amato delle festività di fine anno (photo © August Columbo – stock.adobe.com). È proprio nella seconda metà dell’Ottocento che le testimonianze di panettoni si moltiplicano, mentre nel secondo dopoguerra, con l’aggiunta di lievito madre e più uova e burro, acquisisce l’aspetto che tutti oggi conosciamo. Il valore iconico che ha assunto questo dolce è confermato anche dal fatto che la ricetta originale del panettone è tutelata dalla legge italiana ed esattamente dal Decreto 22 luglio 2005 che ne disciplina la produzione e la vendita fino al Decreto Ministeriale del 16 maggio 2017 che fa alcune precisazioni in merito agli ingredienti. I consumi in Italia Pur essendo nato a Milano, il panettone è oggi dolce tipico per tutta l’Italia e non mancano pasticceri specializzati nell’intera Penisola. Secondo un’indagine condotta da NIELSEN volta ad approfondire le abitudini di consumo degli Italiani in merito al panettone, tra il 2019 e il 2020 sono state oltre 26.000 le tonnellate di pezzi venduti

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per un valore di 209 milioni di euro. Il dato più interessante riguarda il comparto artigianale che ha segnato una crescita del 5,3%. Panettone e sicurezza alimentare Come i dati testimoniano, il consumatore è sempre più attento a ricercare un prodotto di qualità. Ma cosa significa qualità? Certamente, un panettone, come qualsiasi prodotto alimentare, non deve essere solo buono. La sua qualità è dettata anche da altri fattori che ne determinano la sicurezza, ossia la garanzia che il prodotto alimentare sia privo di contaminazioni e risulti conforme agli standard igienici nazionali e internazionali. Una base importante per la legislazione alimentare a livello europeo è data dal Regolamento (CE) n. 178/2002, il quale stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e fissa le

procedure nel campo della sicurezza alimentare. La normativa europea si prefigge primariamente di definire il temine “alimento”, stabilendo l’importanza della tracciabilità dei prodotti e di proteggere i consumatori. A parlarne con competenza è PH LABS che su richiesta offre servizi analitici, nei cui laboratori food in Italia capita che anche i panettoni vengano sottoposti a test agroalimentari affinché sia garantita la sicurezza per il consumatore finale. «Sui prodotti da forno effettuiamo giornalmente svariati test sia per garantire la sicurezza alimentare del prodotto che gli aspetti merceologici» afferma SILVIA ARRIGONI, sales area manager Food Contact di pH Labs, Gruppo TÜV SÜD. «Tra i test di sicurezza alimentare effettuiamo quelli relativi alla parte microbiologica come la carica microbica totale, miceti, E. coli, ma anche la Salmonella per i farciti, ai contaminanti chimici come metalli pesanti, micotossine, fitofarmaci, IPA. Tramite i test condotti si valuta l’igienicità delle materie prime e la sua

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Pur essendo nato a Milano, il panettone si consuma oggi in tutta l’Italia e non mancano pasticceri specializzati in tutta la Penisola. Secondo un’indagine Nielsen, tra il 2019 e il 2020 sono state oltre 26.000 le tonnellate di panettoni venduti, per un valore di 209 milioni di euro. Il dato più interessante riguarda il comparto artigianale, che segna una crescita del 5,3%

sanità ambientale con il filth test, oltre alla qualità delle materie prime, individuando composti come perossidi o anidride solforosa sui canditi. L’etichetta che presenta il prodotto al consumatore viene verificata secondo i parametri e le informazioni obbligatorie che per legge devono essere contenute nella tabella nutrizionale, e misurate con ceneri, proteine, grassi e acidi grassi, fibra e sodio». Con i test organolettici e di individuazione di difetti nelle percentuali di componenti (glassa, uvetta, farciture) vengono invece valutati gli aspetti merceologici. Sempre di più inoltre l’attenzione è rivolta al confezionamento e ai possibili contaminanti che si possono ritrovare anche nel panettone se non ben gestiti, come oli minerali MOSH e MOAH e le sostanze organiche perfluoroalchiliche (PFAS) da carte trattate per la cottura in forno. Per questo è importante anche un’attenta analisi del packaging. Fonte: EFA News European Food Agency

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VINI DI NATALE

Brindiamo con sincerità Photo © Zamurovic Brothers – stock.adobe.com

di Riccardo Lagorio

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er riprendere il cammino e avere davanti a sé un orizzonte limpido e un futuro tutto da godere, servono vini che colpiscono l’intelletto, prodotti da uve ben mature, lontani dalle mode più commerciali e industriali che utilizzano termini equivoci e talvolta dannosi per reclamizzarsi. Ci hanno abituato a vini “freschi”, “di buona acidità”, “naturali”. Nel migliore dei casi si tratta di vini mediocri, da vendemmie tanto antici-

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pate da sembrare fuori stagione, vini bruschi o dalle evidenti note squilibrate e sovente disgustose. La chiave non è, sia chiaro, affidarsi ai “principi delle bustine”, gli enologiaggiusta-tutto (che peraltro creano e accondiscendono le mode di cui sopra), ma cercare nei micro-mercati quelle realtà che sono sempre uguali a se stesse, non inseguono le mode, sono creatrici di bottiglie che nessuno potrebbe osare definire inappropriate.

Con queste premesse il nostro ormai rituale percorso lungo la Penisola alla ricerca di vini adatti a celebrare le prossime feste può cominciare. Tessére, Sant’Egidio (BG) Basterebbe il loro motto, Ama la terra che abiti, per premiare l’Azienda Agricola Sant’Egidio (www.sant-egidio.it) di Sotto il Monte Giovanni XXIII, Bergamo. Chi può, quindi, per Natale faccia rifornimento di bontà grazie al Tessére, il

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NIHIL EST IN INTELLECTU QUOD NON PRIUS FUERIT IN SENSU: È TEMPO DI VINI CHE FANNO BENE ALL’INTELLETTO. VINI PRODOTTI DA UVE BEN MATURE, DA REALTÀ SEMPRE UGUALI A SE STESSE, SCOVATE IN MICROMERCATI CHE NON INSEGUONO LE MODE, LE LOGICHE COMMERCIALI E INDUSTRIALI

IL NOSTRO PERCORSO RITUALE LUNGO LA PENISOLA TOCCA LOMBARDIA E PIEMONTE, LIGURIA E CALABRIA, SENZA DIMENTICARE TRENTINO ALTOADIGE, PUGLIA E FRIULI. BOTTIGLIE PER CELEBRARE QUESTE E TUTTE LE ALTRE FESTE DEL NUOVO ANNO

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Merlot Bergamasca IGT 2015, profondo rosso dove la susina matura e dolce sale al naso, come quando s’addenta, in un impasto di spezie: noce moscata, cannella e pepe nero. Poi il bicchiere si fa viscoso, di liquido sapido, fecondo di piacere vinoso di anguria, di rivoli di pesca che ricordano l’estate. Doi Raps 2018, Russolo (PN) Tra i vini bianchi podio a Doi Raps 2018 dell’Azienda Vinicola Russolo (russolo.it) di San Quirino (PN). Porta nell’anima Pinot grigio, Pinot bianco e Sauvignon. Il colore solidago invita l’occhio a distendersi dopo che il fluido ha risuonato nel bicchiere. Il profumo di albicocca, basilico e ortica affoga in un mare di ginestra. La bocca è già pronta ad assaporare la piacevole oleosità, la pienezza, l’esuberanza. A differenza di quanto si potrebbe pensare, dà il meglio di sé quando si serve a 18 gradi. Al di là degli abbinamenti consueti, va provato con battuta di carne cruda o vitello tonnato. Caluso Metodo Classico Extra Brut, Orsolani (TO) Un omaggio alle uve locali arriva da San Giorgio Canavese (TO), dove è l’Erbaluce Extra Brut Metodo Classico Caluso DOCG di Orsolani a meritarsi la prima citazione tra gli spumanti (orsolani.com). Color aureo, bollicine continue e incalzanti, profumo di erbe aromatiche e anice, bocca ampia e secca. La bottiglia è messa in vendita 42 mesi dopo la vendemmia ed è un’ottima accompagnatrice di piatti a base di pesce crudo, verdure e salumi. Matiné, Fratelli Grasso (CN) Treiso, nel Cuneese, è casa dei fratelli LUIGI e ALFREDO GRASSO, vignaioli d’antan che imbottigliano i propri vini solo quando, a lor giudizio, meritano (grassofratelli.com). Al di là dei disciplinari e delle regole imposte da un mercato narcotizzato da dannosi uffici stampa. Ecco allora la Barbera d’Alba DOC Matiné, una meraviglia che accarezza il palato, lo stimola ad assaporare un altro poderoso sorso da bere con il sorriso stampato in volto. Carillon Rosé, Bertoli (BG) C’è poi chi con uve Merlot prepara un gustoso Carillon Spumante VSQ

Brut rosato, pluripremiato nei concorsi internazionali ma pressoché ignoto tra le terre domestiche. ANGELO BERTOLI (agricolabertoli.it), vignaiolo in Castelli Calepio (BG), instancabile lavoratore della terra, dirada manualmente i grappoli e a perfetta maturazione vinifica in bianco il mosto. L’affinamento avviene per almeno 24 mesi sui lieviti, la sboccatura almeno 3 mesi prima della commercializzazione. Bollicine sottili e persistenti che accompagnano l’intero pranzo, dall’antipasto al dolce, carne inclusa. Da provare! Cosmì, Cosimo Murace (RC) Dall’altro capo d’Italia gli risponde, per amorevolezza verso la terra, COSIMO MURACE, enologo per anni presso la Cantina Sociale di Bivongi (RC), ora produttore in autonomia di Cosmì, che porta come cognome DOC Bivongi (muracevini.it). Unica cantina, peraltro, a vantare la DOC nel Comune che la DOC ha fatto nascere, Cosmì è frutto di Gaglioppo, Greco Nero e Calabrese Nero in regime di agricoltura biologica. Accostarsi a Cosmì è fare un viaggio in un bicchiere austero, intenso e persistente per olfatto, colore e gusto. La scelta ideale, insomma, per banchettare tra carni e salumi. La figlia VALENTINA fa scelte azzeccate nel vestire le bottiglie e completa l’opera ammirevole di Cosimo. Lucraetio, Mammoliti (IM) Pazienza e ricerca muovono EROS MAMMOLITI sulle sponde del torrente Armea, poco distante dal borgo antico di Ceriana (IM), dove il sole a fatica s’infiltra tra archi e passaggi sospesi, creando chiaroscuri e giochi di luce (mammoliti.wine). Sul versante destro della valle alcuni ceppi nei suoi vigneti di Moscatello di Taggia Lucraetio, Riviera Ligure di Ponente DOC, esistevano già all’arrivo della filossera. Giallo citrino, profuma d’incenso ed erbe officinali: la tavola del 24 dicembre, quando la cena con base il pesce è d’obbligo, troverà il suo miglior posizionamento. Cirò, Calabretta (KR) Li hanno definiti Cirò Boys. È la nuova generazione di vignaioli nelle terre del Cirò, una delle più note aree di produzione vinicola del Meridione, nel Crotonese. Qui CATALDO CALABRETTA, quarta generazione di una famiglia di

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Photo © Gregory Lee – stock.adobe.com

viticoltori, dopo la laurea in Enologia e Viticoltura alla Facoltà di Agraria di Milano è tornato nella terra d’origine, nell’azienda di famiglia condotta secondo i dettami dell’agricoltura biologica. Niente lieviti selezionati né attivanti di fermentazione di alcun genere; ridotto al minimo l’impiego di diossido di zolfo; filtrazione prima dell’imbottigliamento. Il Rosso Classico Superiore, annata 2018, è da leccarsi i baffi: rubino acceso, di corpo, intenso negli aromi e nel gusto. Mitterberg Muga, Tenuta Spitalerhof (BZ) A Chiusa (BZ), estremo opposto della Penisola, un sublime vignaiolo albergatore, MICHAEL OBERPERTINGER, mette sul mercato per i propri ospiti e i pochi fortunati acquirenti di passaggio nel suo rinnovato Spitalerhof (spitalerhof.it) alcune etichette di grande pregio. Tra queste Muga, nomignolo che gli amici hanno affibbiato a Michael, pietra angolare per la comprensione degli altri vini altoatesini: genuinità, semplicità, ingegnosità. L’IGT Mitterberg Muga, di Grüner Veltliner, è il prodotto di due ven-

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demmie, che avvengono solitamente a distanza di 15 giorni l’una dall’altra nel mese di novembre. Colpisce per il naso vulcanico e di erbe aromatiche essiccate, miele di rododendro e mela cotta. Uso? Ovunque si trovi buon cibo, che la moglie CLAUDIA sa proporre dalla cucina, ma soprattutto con le paste al ragù di selvaggina. Santa Justa, Paglione Azienda Agricola Biologica (FG) Santa Justa è il nome di un Robin Hood lucerino del Duecento e della quercia monumentale distrutta da maltempo e incuria una decina d’anni fa in agro lucerino. Prende a prestito questo gravoso appellativo l’Azienda Agricola Paglione (agricolapaglione.com) per il suo Nero di Troia in purezza. C’era da aspettarsi un grande vino, in virtù delle precedenti uscite enoiche. In effetti Santa Justa sorprende con il suo colore amaranto, vi si fondono effluvi di chiodi di garofano e susina matura, avvolgono il palato tannini gentili nella bottiglia del 2017. Ora si potrà scrivere che a Santa Justa sono legate tre, non due, incantevoli verità di Lucera: l’eroe, la quercia, il vino.

Adelchi, Venica (GO) e Roero Arneis, Poderi Gallina (AT) Due bianchi posizionati al termine del viaggio solo per ragioni di spazio, entrambi giganti nel panorama vinicolo e negli assaggi 2021: Adelchi, la Collio DOC Ribolla Gialla di Venica (venica. it) in Dolegna del Collio (GO) e l’Arneis Roero DOCG dei Poderi Gallino (poderigallino.com) in Cisterna d’Asti (AT). Del primo l’affabilità di GIANNI e ORNELLA VENICA fa il paio col bouquet d’ortica, pesca e fiori d’acacia. Asciutto e agrumato in bocca, vuole le crudità di mare e le battute di carne. Del secondo l’amorevolezza verso la terra di LEONARDO GALLINO e del figlio GIANLUCA non lascia ombra di dubbio: l’erta collina ricambia le cure che le si assicurano con un vino vigoroso, profumato di gladiolo, esasperato nel gusto vinoso con note di selce e di straordinario desiderio di essere bevuto. Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu: è tempo di vini che fanno bene all’intelletto, non alle tasche di discutibili uffici stampa, enologi tuttofare, produttori senza anima. Il Natale più bello lo si trascorre anche così. Riccardo Lagorio

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Alla scoperta dei prodotti spagnoli con Raffaele Bertolini Si è svolta lo scorso 8 novembre a Milano, presso l’Hotel Westin Palace Milan, una Giornata di promozione dei prodotti alimentari gourmet spagnoli in Italia organizzata dall’Ufficio Economico e Commerciale di Milano dell’Ambasciata di Spagna in Italia. Una bella occasione riservata ai visitatori professionali per degustare tapas elaborate con i prodotti alimentari spagnoli in esposizione, tra salumi, formaggi, conserve ittiche, oli e vini. Nel corso dell’evento Raffaele Bertolini (in foto), tagliatore professionista e per passione, ha curato una masterclass su come tagliare, servire e impiattare il jamón ibérico. Una lezione che fornito tante informazioni utili ai partecipanti per conoscere meglio il prosciutto ibérico e valorizzare al meglio il prodotto con il taglio a coltello.

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TECNOLOGIE

PIATTI PRONTI E PRONTO-CUOCI: L’ERP CSB-SYSTEM AL SERVIZIO DELLA GASTRONOMIA tempi cambiano e con loro anche le abitudini alimentari: il tempo da dedicare ai fornelli è sempre meno, ma nessuno vuole rinunciare ad una dieta salutare e variegata. Con questa breve premessa è già chiaro come mai la richiesta di piatti pronti e pronto-cuoci sia in costante crescita. In questo settore, però, la competizione è molto forte: le aziende di specialità gastronomiche devono utilizzare i migliori ingredienti, gestire in modo economicamente vantaggioso una grande varietà di prodotti con numerosi livelli di lavorazione, offrire la massima qualità, trovare nuovi canali

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di vendita e adempiere a severe richieste legislative. Le sfide da affrontare sono tante ma la digitalizzazione può aiutare a semplificare i processi più complessi. La soluzione CSB-System, software ERP completo, modulare e integrato, è ottimale per il settore delle specialità gastronomiche e copre tutte le richieste del settore già nello standard: dal produttore al consumatore e dalle macchine al controlling. Freschezza, sicurezza alimentare, rintracciabilità senza lacune, velocità ed efficienza nella logistica, ottimizzazione di costi e risorse non saranno più un problema.

Il cuore del sistema I moduli degli Acquisti, del Magazzino, della Produzione con distinte base e ricette e delle Vendite sono il cuore dell’ERP CSB-System, perché rappresentano i capisaldi della gestione di una qualsiasi azienda alimentare. Tutte le aree aziendali sono collegate in rete, tutte le informazioni sono a disposizione in tutte le aree. Si crea così una base dati unitaria per tutti i reparti che migliora la trasparenza, il flusso delle informazioni e la comunicazione. Grazie alla struttura modulare del CSB-System, l’azienda è libera di implementare le funzionalità che

Pianificazione menu (immagine d’archivio).

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Pesatura in uscita produzione al CSB Rack (immagine d’archivio). recano il maggiore valore aggiunto, in modo totalmente flessibile e per step liberamente definibili. Il CSB-System è idoneo al collegamento in rete di più stabilimenti produttivi. Gestione personalizzata di etichette e imballaggi Per quanto riguarda la necessità tipica del mercato dei piatti pronti e prontocuoci di gestire diversi tipi di packaging per ottemperare alle diverse richieste della clientela, il CSB-System offre un’ampia gamma di soluzioni: • gestione personalizzata dei layout di tutti i documenti comprese etichette, private label, packing list, schede tecniche, catalogo pubblicitario; • calcolo e gestione dei valori nutrizionali in base alle quantità dei componenti utilizzati in produzione, con relativa gestione degli allergeni e successiva stampa in etichetta o scheda tecnica; • collegamento con le linee di pesoprezzatura; • gestione dei codici a barre e dei codici SSCC;

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• tracciabilità e rintracciabilità del prodotto tramite Sistema Informativo Lotti; • collegamenti attraverso il CIM con bilance, scanner, magazzini automatici, pallettizzatori, muletti. Semplice da usare Al fine di promuovere l’utilizzo del gestionale anche tra gli utenti meno propensi all’uso di un software, tramite l’M-ERP di CSB-System è possibile personalizzare l’interfaccia grafica utente per semplificare l’inserimento dei dati da parte del personale di produzione. Il CSB Rack, PC industriale specifico per il settore alimentare, rappresenta un ulteriore supporto. M-ERP semplifica inoltre l’uso dei palmari, strumenti indispensabili per la gestione di magazzini che movimentano grossi volumi di merci e per svolgere il picking in maniera mobile e svincolata da una postazione fissa. M-ERP di CSBSystem è comunemente utilizzato anche per la gestione del ricevimento merce, movimenti tra magazzini, gestione inventari.

Il mio ERP. Fornisce gli indici migliori. L’istinto aiuta, ma oggi contano i fatti. Che si tratti di margini di contribuzione, costi delle materie prime, giacenze di magazzino o semplicemente dei prezzi giusti: con il CSB-System gestirete la vostra azienda sulla base degli indici. In questo modo avrete una visione chiara anche in situazioni non chiare.

Per saperne di più sulle nostre soluzioni per il settore Carne: www.csb.com


Gestione delle vendite Poiché, anche dal punto di vista commerciale, il mercato della gastronomia richiede la massima flessibilità, l’ERP CSB-System consente non solo di gestire condizioni commerciali specifiche per cliente (listini, sconti, promozioni, premi fine anno, ecc…), ma è un valido strumento di lavoro anche per l’agente che, attraverso una semplice connessione a internet, può collegarsi in remoto con la propria azienda e avere a disposizione dati sempre aggiornati su prodotti e clienti, evitando così doppi inserimenti. Anche lo scambio dati tramite EDI, molto usato dalla GDO, riduce i costi amministrativi perché il CSB-System è in grado di ricevere e inviare ordini di acquisto, di vendita e qualsiasi altro tipo di file, attraverso dei tracciati, pubblici o proprietari. Poiché il CSB-System è un gestionale multilingua, tutti i documenti associati ad un cliente estero, cioè bolle, fatture, lista degli ordini, etichette, ecc… sono stampati automaticamente nella lingua richiesta. CSB Key Performance Monitor Aumentare la produttività e contenere i costi a parità di risorse è possibile. I cosiddetti Key Performance Indicators (KPI) comunicano se ci sono scostamenti rispetto a quanto pianificato. Grazie al rilevamento e al confronto degli

indici dei dati aziendali forniti dal CSB-System, i responsabili di reparto sono in grado di reagire senza perdite di tempo a situazioni critiche, evitando o quantomeno riducendo al minimo i tempi di fermo della produzione e delle macchine. CSB-KPM è uno strumento per la valutazione di tutti i parametri di processo è si adatta pertanto alle specifiche esigenze di ogni azienda. Pianificazione dei menù Per le aziende di gastronomia che integrano la preparazione di piatti pronti col lavoro della ristorazione collettiva (mense scolastiche/aziendali/ospedali, catering) è sicuramente di grande utilità il modulo della Pianificazione dei Menù, anch’esso integrato nel sistema gestionale. Questo modulo consente di creare e gestire vari menù, evitando doppi inserimenti e ottimizzando l’uso delle risorse necessarie, ovvero materie prime, personale, tecnologie e impianti. Controllo Qualità fin dall’inizio Il CSB-System mette a disposizione in modo automatizzato, all’interno dei processi, un manuale di Controllo Qualità, a supporto anche delle varie certificazioni. I controlli qualità sono illimitati e possono essere eseguiti in modo personalizzato. La presenza di una base dati unitaria comporta notevoli

vantaggi come la riduzione dei tempi d’inserimento del tipo di controllo da effettuare, la gestione rapida delle “non conformità”, la visualizzazione veloce e razionale dei dati attraverso report e statistiche e l’eliminazione del supporto cartaceo. Altri moduli come la Contabilità Generale e Industriale, il CRM, l’archiviazione elettronica dei documenti, la gestione del Carbon Footprint, rendono l’ERP CSB-System un software completo in grado di gestire un’azienda alimentare a 360°; disponendo di una soluzione pre-configurata e specifica per le aziende della gastronomia, i tempi d’implementazione sono rapidi e la razionalizzazione dell’intero processo produttivo è assicurata.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

MEAT-TECH: protagoniste le tecnologie per il mondo carni, salumi, piatti pronti Con 114 espositori, il 15% dei quali provenienti dall’estero, 120 buyer, provenienti da 27 paesi e oltre 11.000 visitatori si è conclusa l’edizione 2021 di MEAT-TECH (22-26 ottobre, www.meat-tech.it), svoltasi in concomitanza con Tuttofood e HostMilano, che hanno accolto oltre 150.000 visitatori con un successo oltre le aspettative. Per la prima volta Ipack Ima ha sperimentato un evento ibrido che ha amplificato i risultati della manifestazione grazie agli oltre 560 meeting registrati sulla piattaforma MYipackima ed alla diretta streaming di tutti gli eventi, che ha aumentato l’audience in presenza e la diffusione dei numerosi contenuti proposti. Numeri che confermano MEAT-TECH come punto di incontro per i fornitori di soluzioni di processing, packaging ed ingredienti che guardano al comparto del fresco. MEAT-TECH è stata l’occasione per fare il punto sui trend di un settore — quello del fresh food che include meat, fish e dairy —, che esprime, a livello mondiale, un volume di 937 miliardi di euro e nel quale il segmento processed meat è al primo posto, occupando il 76%, con un valore di 700 miliardi di euro. In questo quadro la tecnologia, di cui l’Italia è leader nel mondo, vale 49,9 miliardi di euro nel food processing e 15,3 miliardi nel food packaging. Visione internazionale e apertura a nuovi mercati hanno reso MEAT-TECH 2021 un momento importante per la community del processing & packaging che guarda con ottimismo alla prossima edizione di IPACK-IMA in programma dal 3 al 6 maggio 2022.

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le più importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre più all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

spa

41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 www.haripro.it e-mail info@haripro.it


SONO 180 GRAMMI, LASCIO? Misery is a Butterfly, Blonde Redhead

Cavallo di Giovanni Papalato

a presenza di botteghe dove comprare e degustare carne di cavallo in Italia, ma non solo, è una questione culturale e quindi anche territoriale. In alcune regioni è particolarmente radicata, mentre in altre è praticamente bandita. In Lombardia e Veneto, rispettivamente nella provincia di Sondrio (Valchiavenna e Valtellina) e in quelle del triangolo composto da Padova, Venezia e Treviso, si produce una bresaola di cavallo prelibatissima lavorando noce o lombata e sottofesa con la dosa, una mistura di sale, pepe e spezie scelta dal norcino. A Padova e provincia sono molto diffusi gli sfilacci equini mentre in provincia di Sondrio si può trovare la slinzega, una bresaola di dimensioni ridotte ricavata da spalla o fesa, con alcune varianti che comprendono ritagli di muscoli posteriori, come collo e ganascino. Dopo essere salata a secco, la carne viene messa in salamoia per poi essere insaporita con aglio, pepe, ginepro, alloro e infine lavata con il vino. Affinché la concia sia distribuita uniformemente, ogni pezzo viene rivoltato periodicamente. Trascorsi due mesi, la stagionatura porta il salume ad essere rosso mogano, di consistenza compatta e dal sapore deciso. Altri salumi molto diffusi in queste regioni come anche in Piemonte, sono il salame e la soppressa di cavallo. Misto di carne equina (coscia, collo, spalla, pancetta e gola), a cui si aggiunge pancetta suina tritata (20/30% a grana fine per il salme, 35% a grana media per la soppressa). Conciature simili e stagionature piuttosto lunghe servono per ottenere entrambi i salumi. Le luganiche di cavallo del Trentino Alto Adige sono più magre e con un sapore più delicato rispetto alle classiche di maiale. Anche il principe di questi

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territori, lo speck, ha una variante equina, ottenuta disossando la coscia e poi salandola e aromatizzandola prima di stagionarla per 4/5 mesi. Meno nota e prodotta in quantità ridotta a Rovereto, è la carne affumicata. A seconda dei tagli utilizzati, fesa e girello o pezzi anteriori e spalla, si ottengono due versioni differenti. Aromatizzata per 25 giorni con una salamoia di spezie e stivata in fusti coperti su cui vengono sistemati dei pesi che la pressano, la carne viene poi arrotolata, insaccata, legata e appesa in forno, dove viene affumicata a caldo prima essere lasciata a riposare a bassa temperatura. Scendendo al centro della Penisola, nel Lazio, troviamo le coppiette che nascono come metodo di conservazione delle parti magre del cavallo. Si ottengono pulendo la carne dal grasso e tagliandola a strisce lunghe 10-15 cm e larghe circa 1 cm, che vengono poi condite con sale, pepe macinato, peperoncino, semi di finocchio e rosmarino. Servono poi due cotture in forno intervallate tra loro: la prima di 30 e poi di 20 minuti. Essiccate per 12/24 ore, vengono infine fatte stagionare per circa 2 mesi. Il colore può quindi risultare tra il rosso vivo o il marrone scuro ma il sapore in entrambi i casi risulta molto deciso. Ci sono banchi ricolmi di salumi equini anche in Emilia-Romagna, Puglia, Sardegna e Sicilia, ma è un contesto frammentato, un consumo diviso e divisivo. Più che divisivo, impensabile per KAZU MAKINO, cantante di Blonde Redhead, trio newyorchese che nasce sotto l’influenza di band come Sonic Youth (il batterista STEVE SHELLEY li noterà producendone il debutto) prendendo il nome da un brano dei DNA. Equus, che chiude il loro sesto album “Misery is a

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I Blonde Redhead. Gruppo indie rock italo-giapponese naturalizzato statunitense formatosi nel 1993 a New York, è composto dalla giapponese Kazu Makino, voce e chitarra elettrica, e dai gemelli italiani Amedeo, voce e chitarra, e Simone Pace alla batteria (photo © interruptingcowwho.wordpress.com). Butterfly”, è solo uno dei tributi a questo animale presenti nella loro discografia. Penny Sparkle, anni dopo, sarà il disco dedicato ad uno dei cavalli della musicista giapponese che, appassionata di equitazione, ha spesso dichiarato di ispirarsi ai loro movimenti per spunti compositivi in ambito ritmico. Come i due precedenti album prodotti da GUY PICCIOTTO,“In an Expression of the Inexpressible” e “Memory of a certain damaged lemon“, questo lavoro rappresenta un acme e contestualmente una svolta stilistica per la band di base newyorchese e completata dai gemelli Pace.

È il loro debutto su 4AD, esce dopo 4 anni segnando un intervallo mai così lungo fino ad allora ed è chiaro da subito con Elephant Woman come siano perfettamente in sintonia con l’etichetta di Cocteau Twins e Pale Saints. Si schiude come un fiore tra intrecci di tastiere, archi e una chitarra acustica pizzicata. Dentro la voce emozionata della Makino, completa un’architettura sonora intimamente barocca. Messenger si avvolge sulla spirale costruita sulla splendida melodia di pianoforte, su cui entra obliqua e fuori tono la voce di Amedeo Pace. È un contrasto che potrebbe sviare, smarrendo così un

La presenza di botteghe dove comprare e degustare carne di cavallo in Italia è una questione culturale e territoriale. In alcune regioni è particolarmente radicata, mentre in altre è praticamente bandita. Ci sono banchi ricolmi di salumi equini soprattutto in Lombardia, Veneto e in Trentino, ma anche in Emilia-Romagna, Puglia, Sardegna e Sicilia. Un contesto frammentato, un consumo diviso e divisivo

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Carne di cavallo affumicata. In Trentino viene spesso servita come piatto unico con pane di segale o pane casereccio oppure come secondo piatto, accompagnata da contorni quali patate o verdure (photo © it.wikipedia.org) motivo centrale della poetica di Blonde Redhead. Una sorta di equilibro tra estremi spinti al limite in ambito di melodia e intensità, dove distacco e intimità sono parte dello stesso animo. È qualcosa che lega ogni loro disco, costituendo un filo rosso netto e decisivo. Melody è una partita a scacchi tra tastiere lounge che qui suonano decadenti e un ritmo sincopato mid-tempo che sembra singhiozzare come la voce, in un gioco di mosse dove vince la malinconia. Ancora un’alternanza, ma questa volta ancora più marcata, quella di un saliscendi perpetuo di accordi minori e maggiori, un valzer dove il cantato maschile stavolta è in totale armonia con la struttura del brano: Doll is mine è danzare senza che qualcuno che ti guardi. Non sempre, a dispetto della volontà dell’autore, il brano con cui viene intitolato il disco trova concreta identificazione. Misery is a Butterfly riesce perfettamente in questo senso, incarnando la decadente nostalgia che lega le canzoni

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tra loro. Traccia ipercinematografica, è come un piano sequenza in cui archi e una ritmica soffice ma decisa sono il movimento dentro cui la voce, centrale, si fa accarezzare. Un noir sonoro, echi di SERGE GAINSBOURG e di una Francia retro ma sempre contemporanea, due Italiani e una Giapponese che sognano l’Europa da New York. Girando lato del vinile, con Falling Man si torna indietro stilisticamente, ma grazie all’arrangiamento questa indolente filastrocca che trattiene senza nascondere i nervi che la agitano si inserisce perfettamente in questo contesto. Si rallenta con Anticipation, che a partire dall’utilizzo di percussioni, si spinge in un territorio estraneo per la band che così si scopre rendendosi vulnerabile. Se il disco è uno spartiacque, un punto di non ritorno, qui ci troviamo in uno dei suoi momenti più emblematici In questo senso, è addirittura precursore di ciò che a distanza di anni arriverà

attraverso altri lavori, in termini di eterogeneità stilistica e di intimità espressa. Questa libertà non spaventa e se in Maddening Cloud sembrano ricalcare Melody Of Certain Three dall’album precedente contaminandola con chitarre acustiche e cori armonizzati, in Magic Mountain le chitarre quasi si nascondono, dando ancora più importanza alla voce di Kazu. È invece di consapevolezza che sa Pink Love, brano a due voci che si compie nel percorso di emancipazione da territori ormai limitanti, in un crescendo pop. In questo senso, l’ultimo brano prima di togliere la puntina, sembra quasi un colpo di coda. Ponte ideale verso “Melody of Certain Damaged Lemons”, album che a sua volta aveva mostrato un processo di cambiamento, Equus è un altro dei brani migliori di questo lavoro. I quattro anni per arrivare a “Misery is a Butterfly“ sono anche dovuti alla caduta da cavallo che costrinse la Makino ad una degenza di molti mesi.

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Gli sfilacci di cavallo o sfilacci di equino sono un prodotto tipico del Padovano, dove l’industria di trasformazione delle carni equine ha una lunga tradizione. Leggenda narra che il prodotto sia nato casualmente dopo che un contadino, avendo messo sul focolare alcune fette di carne di cavallo e sbagliando i tempi dell’asciugatura, si sia ritrovato con un prodotto troppo secco. Pur di non buttare la preziosa carne, l’aveva battuta e sfilacciata, accompagnandola con l’immancabile polenta e scoprendo così un nuovo prodotto. È probabile che gli sfilacci siano nati davvero casualmente, anche se col tempo è andata affinandosi la tecnica di affumicatura migliorando il sapore della carne oggi molto apprezzata. La carne magra del cavallo (solitamente la coscia) viene tagliata in fette sottili e lasciata in salamoia per circa 8 giorni. Trascorso questo periodo le fette sono cotte a vapore e fumo in apposite stanze (o appese al camino di casa per le produzioni familiari), dagli 8 ai 30 giorni. Una volta asciutte, si battono con un martello e si sfilano manualmente in tanti piccoli tranci, o sfilacci, avviati poi alla commercializzazione con confezionamento sottovuoto oppure in atmosfera modificata. Gli sfilacci si presentano come filamenti di carne di colore rosso scuro. Al palato presentano una leggera affumicatura e gusto saporito.Vengono solitamente consumati assieme alla classica polenta o conditi con olio, sale e limone in insalata. In alternativa sono utilizzati come ingrediente per salse, sughi o sulla pizza (fonte: www. venetoagricoltura.org; photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).

Questo è una celebrazione, un atto d’amore capace di smuovere emozioni che fino ad ora non era stato possibile vivere, rinnovare. Si muove di elettrica passione, la voce dallo stomaco ricalca ed eleva le geometrie concretamente essenziali urlate da chitarre e batteria. Un disco che è una linea d’ombra coraggiosa, perché non c’è incoscienza ma metodo. Costruito, nel senso più nobile del termine, non artefatto. Raccolse plausi e stroncature come solo un’opera rivoluzionaria può fare. Non è un’iperbole, di fatto stravolse una comfort zone costituendo un affrancamento consapevole da forme espressive che erano

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mutate e che sarebbero risultati limiti e bugie a se stessi prima che ai propri ascoltatori. Cosa rimane a distanza di quasi vent’anni? Un capolavoro. Al pari del precedente “Melody of a certain damaged lemon” e del successivo “23”, una ideale trilogia testimonianza di una rinnovata e irrefrenabile maturità compositiva. Brilla di una luce opaca e affascinante, come certe mattine oblique viste con le persiane abbassate per far filtrare il mondo fuori senza farsi travolgere, per ascoltare quello che si ha dentro. Restituisce a chi lo ascolta la bellezza di ciò che più non scompare. Giovanni Papalato


TRE LIBRI

Colazione italiana Collana: Bullipedia Editore: Giunti, 2021 416 pp. – € 80,00

MARCO BOLASCO, EUGENIO SIGNORONI (a cura di) Osterie d’Italia 2022 Sussidiario del mangiarbere all’italiana Editore: Slow Food, 2021 940 pp. – € 22,00

FRANCESCO ZANOT, TOMMASO MELILLI Foto/Industria 2021 | Food V Biennale di fotografia dell’industria e del lavoro Editore: Fondazione Mast, 2021 304 pp. – € 25,00

La “tipica colazione italiana” rappresenta un fenomeno che, da rito quotidiano, si è trasformato in simbolo di un intero paese. Questo volume, parte della collana Bullipedia, analizza l’oggetto colazione da diversi punti di vista: umanistico, economico e scientifico. Partendo da come il primo pasto della giornata cambia in base ai luoghi di consumo o alla posizione geografica, e grazie al metodo Sapiens, ELBULLIFOUNDATION e LAVAZZA analizzano molti altri fattori che riguardano le molteplici articolazioni e i cambiamenti del fare colazione nella storia e nella società, con le sue evoluzioni, i suoi piatti tipici e le sue ripercussioni sociali nel tempo. Indirizzato all’universo B2B — professionisti del settore HO.RE.CA., come baristi, ristoratori e pasticcieri con spirito imprenditoriale —, grazie al suo linguaggio divulgativo è adatto a tutti gli appassionati del settore e non.

Rispetto all’edizione precedente, pubblicata a cavallo di un periodo profondamente segnato dai cambiamenti e dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria, Osterie d’Italia 2022 testimonia uno scenario incoraggiante. Innanzitutto, nella crescita dei numeri: su 1713 locali recensiti (1697 in Osterie d’Italia 2021), la guida di Slow Food conta ben 120 novità, tra cui compaiono molte nuove attività aperte proprio negli ultimi due anni. Qui sono incluse anche realtà di ristorazione di simile impianto e offerta, ma con specifiche peculiari di ogni regione: ne sono esempio le pizzerie in Campania, i fornelli in Puglia e le piadinerie in Emilia-Romagna e, da quest’anno, i forni e gli indirizzi dove acquistare le focacce di Genova e Recco. A questo si aggiunge un dato altrettanto interessante su quei locali che, per chiusura o cambiamento del proprio percorso, sono usciti dalla guida, e che sono un numero decisamente moderato. Segni evidenti, questi, che dimostrano come le osterie abbiano retto il colpo. Le regioni che contano più osterie rappresentate sono la Campania (177), la Toscana (145) e il Piemonte (136), seguite da Emilia-Romagna (124) e Puglia (111).

Se, come si sente ripetere spesso, l’essere umano è ciò che mangia, non è tanto o solo perché le sostanze che incorpora vanno a costituire la sua materialità fisica, quanto perché il cibo che prepara e ingerisce lo rappresenta, lo significa, contribuisce a costituirne l’identità individuale e collettiva. La fotografia ha la capacità di mettere in evidenza questa funzione significante degli alimenti e si configura come uno strumento ideale per indagare gli uomini e le donne, il mondo, la società, l’ambiente. Il volume accompagna la V edizione della Biennale Foto/Industria organizzata da Fondazione MAST e dedicata al tema dell’industria alimentare. Food è un libro ibrido: può essere riposto di fianco alla dispensa o nello studio. Serve a mettere insieme un banchetto speciale per gli ospiti, ma anche per esplorare, a partire dalle immagini, passato e presente di una materia che ci riguarda tutti i giorni della nostra vita. Secondo un progetto di campionatura: ogni lavoro presentato costituisce un caso-studio. Non si mangia soltanto con la bocca e lo stomaco. Si mangia anche con il cervello e tutti i sensi. E questo è un libro da mangiare con gli occhi.

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