Tipologie testuali
Il testo descrittivo IL DOTTOR HAMILTON
Era una viuzza indaffarata, un po’ maltenuta, ma allegra. Le case erano in lieve discesa verso il Tamigi e verso la cupola della cattedrale di Saint Paul, che nelle giornata serene si riusciva a vedere dalle finestre delle soffitte. C’era una fila di negozi e al fondo della via un piccolo parco con uno stagno leggermente fangoso in cui nuotavano alcune anatre. Dall’altro lato rispetto ai negozi c’era una schiera di casette. Al numero 14 vi era una casa alta e affusolata, con un balcone di ferro battuto e con annesso un ambulatorio di mattoni a vista, dove aspettavano i pazienti. Era la casa del dottor James Hamilton. Per farsi visitare da lui, piuttosto che da altri medici più in voga, la gente di East Stanford avrebbe camminato anche per miglia e miglia. I suoi pazienti erano poveri e lui chiedeva loro solo ciò che potevano permettersi. Ecco perché in casa sua la moquette era lisa, i caminetti venivano accesi il più tardi possibile nel pomeriggio e c’era solo una cuoca generica a servire, invece della domestica, della cuoca e del tuttofare che le altre famiglie tenevano. Ma niente di tutto ciò importava a chi frequentava casa Hamilton. Il dottor Hamilton era un uomo magro, dai capelli scuri, con la fronte alta e occhi castani, perennemente preoccupati. Aveva l’aria molto stanca. I suoi venerdì erano sempre lunghi: l’ambulatorio restava aperto fino alle otto, perché i pazienti che venivano dalle fabbriche o dal porto non perdessero ore di lavoro. Il dottore mangiava velocemente tra i turni in ambulatorio e quelli in ospedale, dove presenziava due giorni alla settimana; usciva per chiamate notturne che spesso si rilevavano non necessarie e restava sveglio fino a tardi per aggiornarsi sulle ultime ricerche nel suo campo. E. Ibbotson, Lo specchio delle libellule, Salani
70