FUTURI POSSIBILI SCENARI D’ARTE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Rebecca Pedrazzi
Indice
Introduzione
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PARTE PRIMA L’Intelligenza Artificiale oggi
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Intervista a Piero Poccianti
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L’IA come strumento nel mondo dell’arte
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I musei: verso nuove frontiere
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Chatbot e Intelligent Personal Assistant Case Study: un chatbot per le Case Museo di Milano
67 80
Le nuove guide robotiche Case Study: BrainControl Avatar
87 97
Il potere dei social (e il loro lato oscuro)
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La catalogazione delle collezioni: la blockchain
117
Intervista ad Andrea Concas
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Il mercato dell’arte e le nuove applicazioni Wondeur, il valore dell’opera d’arte
137 144
Neuroscienza e neuroestetica al servizio del museo
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Case study: la codifica della percezione della bellezza
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La conservazione di opere d’arte con IA
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Case study: Conservation Lab @ Colección SOLO
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PARTE SECONDA AI artists
205
La creatività nell’arte e il ruolo dell’AI artist
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INTERVISTE E RITRATTI
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Mario Klingemann
223
Mike Tyka
245
Memo Akten
265
Anna Ridler
271
Robbie Barrat
287
Mauro Martino
295
Jake Elwes
309
Refik Anadol
315
Sofia Crespo
325
Helena Sarin
333
Harshit Agrawal
341
Tom White
349
Sougwen Chung
355
Note e bibliografia
363
Ringraziamenti
381
«Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.» Arthur C. Clarke
Introduzione
Prima di iniziare a scrivere questo libro ho voluto fare un sondaggio sulla conoscenza dell’Intelligenza Artificiale come nuova frontiera nel mondo dell’arte. Le risposte che ho raccolto su un campione di 200 persone1 mi hanno fatto riflettere: – il 68% degli intervistati aveva visitato una mostra virtuale o aveva visto opere d’arte sul web nell’ultimo mese. – il 51% sapeva che erano state già create opere con Intelligenza Artificiale ma solo il 24% sapeva la differenza tra Digital Art e arte generata con IA (Intelligenza Artificiale).
NOTA DI LETTURA Nella colonna a lato del testo il lettore può trovare il riferimento alle immagini con una freccia che indica il numero di pagina. Per i numerosi rimandi ad articoli scientifici, filmati, interviste, contributi su siti e riviste on line, oppure ai video di artisti e opere presenti nel libro, abbiamo scelto i QRCode per la loro immediatezza (sono disponibili molte applicazioni gratuite per scansionare i QRCode con il telefono cellulare). Per chi non utilizzasse i QRCode, i link sono scritti sotto ai QRCode stessi o nelle note. V. M.
Alla domanda «che cos’è l’Intelligenza Artificiale?» ho ricevuto una serie di risposte molto creative ma non così lontane dalla realtà: «Una tecnologia che automatizza» o «le nuove macchine che si sostituiscono all’uomo». Ma la domanda che mi ha spinta a scrivere questo libro è stata: «Ti piacerebbe sapere come viene impiegata l’Intelligenza Artificiale oggi nell’arte?». Il 94% degli intervistati ha risposto «Sì». Parlando di IA non possiamo che porci tante domande per analizzarla e tentare di comprenderla nel suo stato attuale e anche nella 7
prospettiva di sviluppi futuri. Per questo motivo, nel libro troverete tanti interrogativi che io stessa mi sono posta e ai quali ho cercato di dare una risposta semplice e per quanto possibile esaustiva. Con quali modalità l’Intelligenza Artificiale sta cambiando il mondo dell’arte? Come si genera un’opera d’arte con l’Intelligenza Artificiale e può una macchina “creare” un’opera d’arte? Cos’è il machine learning? In che modo gli artisti usano le GAN (reti generative avversarie) per realizzare un’opera d’arte e cos’è il deep learning? E ancora: per quanto riguarda la fruizione, quali sono le ultime tecnologie impiegate nei musei? Può l’Intelligenza Artificiale offrire una soluzione in termini di inclusività nei musei? Come si conserva un’opera realizzata con Intelligenza Artificiale? Quali sono le nuove frontiere nella catalogazione delle opere? Scopo del libro è rispondere a queste e altre domande offrendo al lettore un’ampia panoramica di come l’Intelligenza Artificiale sia diventata uno strumento nella produzione di opere d’arte così come un alleato nel mondo dell’arte, dalla ricerca alla catalogazione, fino alla fruizione nel percorso di visita di una mostra o di un museo. Come storica dell’arte il mio approccio è stato quello di andare alla fonte, indagare, conoscere e confrontarmi con gli esperti del settore e con gli AI artists. Pertanto, nel realizzare il presente volume ho coinvolto storici dell’arte, scienziati, studiosi, ingegneri, artisti e professionisti del settore, ai quali va il mio sentito ringraziamento per la loro collaborazione.
anche per le opere d’arte e il ruolo sempre più indispensabile dei nuovi algoritmi nell’analisi dei trend di mercato. Nella seconda parte del libro si invita alla scoperta degli AI artists, che possiamo definire veri e propri pionieri nell’applicare l’Intelligenza Artificiale nella creazione delle loro opere. Il loro percorso estetico è indagato attraverso una serie di interviste, raccolte appositamente per questo volume. Un capitolo introduttivo a questa seconda parte è dedicato all’analisi del ruolo personale, e in alcuni casi anche sociale, dell’artista di fronte alla “creatività” delle macchine. Allo stato attuale, l’uso dell’Intelligenza Artificiale nel mondo dell’arte è cresciuto in misura esponenziale ed è ormai una presenza costante. In questo contesto risulta indispensabile conoscerne le diverse applicazioni e implicazioni, ed esplorare gli scenari dell’oggi che sono già “futuri possibili”.
Il libro è strutturato in due parti. Nella prima parte racconto come viene impiegata oggi l’Intelligenza Artificiale nel mondo dell’arte, accompagnando alla scoperta di cos’è il machine learning, di come si “addestra” una macchina al linguaggio umano e quindi come funziona un chatbot, spingendomi fino agli ultimi studi sul rilevamento delle nostre reazioni a livello cerebrale di fronte a un’opera d’arte. Vedremo come i musei siano passati dal digitale all’uso dell’Intelligenza Artificiale senza escludere la fruizione fisica sia delle opere sia del percorso, anzi, al contrario, potenziandola con i robot che oggi incontriamo a supporto del visitatore o da remoto anche per le persone diversamente abili. E infine si evidenzia l’importanza della blockchain, nuova frontiera della catalogazione 8
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PARTE PRIMA
L’Intelligenza Artificiale oggi
«L’Artificial Intelligence è il ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di specifiche capacità tipiche dell’essere umano (interazione con l’ambiente, apprendimento e adattamento, ragionamento e pianificazione), capaci di perseguire autonomamente una finalità definita, prendendo decisioni che fino a quel momento erano solitamente affidate alle persone.»1
www.youtube.com/ watch?v=3SbYKMhgZvkd Intelligenza Artificiale, la realtà e il sogno, superando le paure, Paolo Traverso, TEDxTrento.
Dove troviamo applicata oggi l’Intelligenza Artificiale2? Ovunque. Nelle nostre case, negli ambienti di lavoro, banche, ospedali, musei, in qualsiasi settore dell’industria, e ovviamente sul web. È presente nelle applicazioni dei nostri smartphone e tablet. È l’Intelligenza Artificiale che ci suggerisce quale film guardare la sera o quale libro comprare su Amazon in base alle nostre precedenti scelte. L’impiego dell’Intelligenza Artificiale nella nostra vita quotidiana è andato così crescendo in questi ultimi anni che forse non ci rendiamo conto di quanto sia tangibile la sua presenza attorno a noi. Perché l’IA è qualcosa che spesso non si vede, è una sorta di tecnologia nascosta che “fa qualcosa”: è l’algoritmo che ci suggerisce la pubblicità su Instagram ed è la GAN usata dagli artisti per generare opere d’arte. 13
L’Intelligenza Artificiale ha come scopo la realizzazione di programmi e sistemi tecnologici in grado di svolgere compiti normalmente riconducibili alla mente e alle capacità umane attraverso la realizzazione di macchine – hardware e software – in grado di operare autonomamente.
1. Dall’invenzione dell’Intelligenza Artificiale al deep learning. Courtesy AIxIA.
MACHINE LEARNING
Machine earning begins to flourish.
1950’s
La differenza sostanziale tra una macchina del caffè e un’auto di ultima generazione dotata di IA è che la prima è configurata per eseguire uno o più comandi, mentre la seconda è dotata di una tecnologia superiore che la rende in grado di intelligere fino a permettere l’automazione di azioni e decisioni, come valutare se frenare o sterzare per evitare un oggetto sulla strada. C’è un programma sul computer di questa macchina che è stato ideato, creato, addestrato e testato dai programmatori per evitare l’ostacolo.
14
Early artificial intelligence stirs excitement.
DEEP LEARNING
Deep learing breakthoughs drive AI boom.
«Pensare all’IA» qualcuno potrebbe dire, «è pensare ai computer». Beh, sì e no. Il punto non sono i computer in sé, quanto piuttosto ciò che i computer fanno. In altri termini, sebbene l’IA non possa fare a meno delle macchine fisiche (cioè dei computer), è più corretto dire che essa ha a che fare con ciò che gli informatici chiamano macchine virtuali. Una macchina virtuale3 […] è il sistema di elaborazione dell’informazione che il programmatore ha in mente quando scrive un programma, e che le persone hanno in mente quando lo usano. Margaret A. Boden
Sono in corso progetti di ricerca che cambieranno il nostro futuro grazie proprio all’IA e a quei ricercatori che guardano avanti, sperimentano e creano, grazie a un’evoluzione tecnologica dei computer e delle macchine e della loro capacità di analisi senza precedenti. Vediamo alcuni esempi. I ricercatori di Pfizer e IBM4 stanno lavorando con il machine learning per riuscire a diagnosticare il morbo di Alzheimer prima ancora che si manifestino i sintomi, con l’obiettivo di prevenire l’insorgere della malattia. Sempre in campo medico: l’Intelligenza Artificiale unitamente a tecniche di neuroimaging sono attualmente impiegati in una ricerca5 come strumenti per rilevare, in modo non invasivo, i tre principali tipi di tumori pediatrici6.
ARTIFICIAL INTELLIGENCE
vimeo.com/192179726 Autopilot Full Self-Driving Hardware.
www.youtube.com/ watch?v=1oK_W3R9Y0w What’s New in AI? Helping Predict Alzheimer’s.
www.youtube.com/watch?v=ycLOu8Gi4Sc Meet the Experts: Robots in space. European Space Agency, ESA.
1960’s
1970’s
1980’s
1990’s
2000’s
2010’s
In campo automobilistico, Elon Musk, CEO e product architect di Tesla Motors, l’azienda statunitense specializzata nella produzione di auto elettriche, sta finanziando un progetto di ricerca per creare la guida autonoma sulle sue autovetture elettriche7. La strada da percorrere è lunga, ma è stata imboccata con l’Autopilot, che consente alla vettura di sterzare, accelerare e frenare automaticamente nella propria corsia di marcia8. Un altro esempio è BrainBox AI, un sistema per gestire uno dei più grandi consumatori di energia ed emettitori di gas serra al mondo: gli edifici. La sua avanzata tecnologia permette di ottimizzare in modo autonomo e in tempo reale i sistemi HVAC (Heating, Ventilation and Air Conditioning, ovvero riscaldamento, ventilazione e aria condizionata) per ridurre il consumo energetico. BrainBox AI9 è stata inclusa dal Time tra le migliori invenzioni del 2020 nella sezione Intelligenza Artificiale. E ancora: ci sono robot incredibili10 impiegati per esplorazioni sulla Luna o su Marte che ci hanno permesso di raggiungere e studiare zone lontane e impraticabili per l’uomo. Dallo spazio ai fondali del mare: ci sono robot sottomarini impiegati sia per esplorazioni sia per lavori di ispezione e manutenzione. E ancora, robot per i salvataggi d’emergenza e robot spazzini per la pulizia delle strade. Oggi i robot sono impiegati in più larga scala nell’industria per innumerevoli mansioni, dalle più semplici e ripetitive alle più complesse e strategiche.
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Siamo giunti alla Quarta rivoluzione industriale11, che risponde a una crescente richiesta di rinnovamento e innovazione. I progressi ingegneristici, la robotica, le nuove tecnologie come la stampa 3D e i nuovi computer quantistici, Internet delle Cose e l’Intelligenza Artificiale, tutto questo ci ha portato a uno straordinario balzo tecnologico che ha dato inizio a una nuova era. Nel 2020 il mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia vale 300 milioni di euro e segna una crescita del 15% rispetto al 201912. In una ricerca pubblicata nel giugno 2021 condotta da Google Cloud13 viene evidenziato che in seguito alla pandemia da Covid-19 nel settore manifatturiero il 76% delle aziende ha fatto ricorso a tecnologie disruptive, dirompenti, come IA, analisi dei dati e cloud (la percentuale sale all’81% se si considerano le aziende manifatturiere italiane). Il 66% dei produttori che utilizzano l’Intelligenza Artificiale nelle proprie attività ha riferito che il suo impiego è in aumento. Nel corso degli ultimi anni, l’evoluzione di reti neurali e l’impiego di sempre più sofisticati e complessi algoritmi hanno prodotto sistemi intelligenti in grado di prendere decisioni ottimali in tempi più brevi dei nostri: un veicolo senza conducente dotato di IA può decidere in caso di imminente pericolo se sia più indicato frenare o sterzare con un calcolo immediato della percentuale di sicurezza per ciascuna opzione possibile. Oggi con l’IA abbiamo la possibilità di esplorare, creare ed essere assistiti nel nostro quotidiano ordinario o straordinario. Oggi si parla anche molto di disruptive innovation, letteralmente “innovazione dirompente”, sostanzialmente un’innovazione che segna un cambiamento radicale rispetto al passato e genera un nuovo mercato. Il termine disruptive Innovation è stato introdotto nel 1995 da Clayton Christensen nel suo articolo «Disruptive Technologies: Catching the Wave»14, per descrivere quello che stava avvenendo nel mondo delle imprese: realtà imprenditoriali emergenti erano in grado di superare aziende consolidate che non si erano rinnovate e messe al passo con i tempi. Un classico esempio di disruptive innovation è il computer che ha sostituito la vecchia macchina da scrivere. L’Intelligenza Artificiale è una nuova tecnologia che di fatto nasce nel 1943 con Warren McCulloch e Walter Pitts e che oggi 16
www.youtube.com/ watch?v=AmK4N3X4zTY “Nuova rivoluzione industriale”. Cosa significa e perché se ne parla tanto?
www.youtube.com/ watch?v=0CaAGI0Rw-k “L’Intelligenza Artificiale ha il nome sbagliato”. Mario Rasetti, Presidente ISI Foundation.
si sta imponendo con un’evoluzione rapidissima e rivoluzionaria in diversi settori, dalle grandi industrie alla medicina, fino al mondo dell’arte che, come vedremo, sta sperimentando nuove frontiere. E come per ogni evoluzione necessita di tutta la nostra intelligenza, conoscenza storica e sociale, etica e pensiero critico, perché sia condotta nella giusta direzione. Un tema su cui si discute è proprio l’uso corretto dell’Intelligenza Artificiale15: il riconoscimento facciale, ad esempio, se usato impropriamente può ledere l’individuo e il suo diritto alla privacy; di contro, può permettere di rintracciare un pericoloso killer a piede libero. E ancora: un robot di ultima generazione può essere impiegato in missioni di salvataggio ma anche in azioni di guerra e non solo per rilevare mine antiuomo. Siamo lontani dall’idea di robot autonomi dotati d’intelligenza e coscienza come il replicante Roy Batty di Blade Runner, che lotta per la sua imminente “data di termine” o WALL•E, il robot spazzino che sviluppa una propria personalità e sogna di innamorarsi. Ancora non abbiamo i mezzi e le conoscenze per creare J.A.R.V.I.S, l’assistente virtuale di Tony Stark, un sistema basato sull’Intelligenza Artificiale che sviluppa una propria autocoscienza e si innamora di Pepper. A questo proposito, una rassicurazione arriva da Mario Rasetti, presidente del’ISI Foundation: «Quante strutture semantiche diverse il nostro cervello è in grado di concepire? Un numero sterminato, un numero di 700 cifre. Nessuna macchina costruita dall’uomo arriverà mai a fare questo»16. Potremmo pensare che la definizione “Intelligenza Artificiale” sia sopravvalutata e fondamentalmente sbagliata. L’Intelligenza è una caratteristica degli esseri umani e del mondo vivente in generale, e una macchina che abbia le capacità che contraddistinguono l’uomo può spaventare, ma l’unico pericolo è che l’uomo faccia un uso improprio delle nuove tecnologie che lui stesso ha creato e programmato. Tuttavia, le nuove sperimentazioni e l’attuazione di progetti visionari con IA possono comunque avere significative implicazioni filosofiche e sociali. Le riflessioni e gli approfondimenti sulle interconnessioni tra l’uomo e l’Intelligenza Artificiale sono aperte. È 17
Intervista a Piero Poccianti
un tema delicato e complesso e i governi di molte nazioni si sono già attivati per regolamentare situazioni e prospettive fino a ieri inimmaginabili. Il tempo di farlo è adesso. Perché adesso è in corso la ricerca, la sperimentazione e la realizzazione di nuove applicazioni dell’Intelligenza Artificiale. Si stanno esplorando territori sconosciuti. E già si delineano i futuri possibili.
www.aixia.it L’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA).
18
Chi ha creato l’Intelligenza Artificiale? Che cosa può fare l’Intelligenza Artificiale oggi? Quanto è importante oggi investire in questo settore? Che cos’è il Machine Learning? Per rispondere a queste domande mi sono rivolta alla Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, AIXIA, e ho incontrato Piero Poccianti, che ne è attualmente il presidente. AIXIA è un’associazione scientifica senza fini di lucro, fondata nel 1988, con lo scopo di promuovere la ricerca e la diffusione delle tecniche proprie dell’Intelligenza Artificiale, ed è collegata all’EURAI (l’Associazione Europea per l’Intelligenza Artificiale). Piero Poccianti si occupa di informatica dal 1970. Ha realizzato sistemi di cartografia tematica, controllo di processo e automazione industriale. Negli anni ’80 ha lavorato presso il Gruppo MPS in ambito informatico occupandosi di innovazione e dei canali telematici, e nel 2000 ha realizzato il primo internet banking di gruppo. Uomo di grande intelligenza e profondo conoscitore dell’Intelligenza Artificiale, ci ha consentito di approfondire alcune tematiche fondamentali, aprendo un’importante e necessaria riflessione sull’intelligenza umana e su quanto sia importante avvalersi delle nuove tecnologie per migliorare la nostra società. 19
1. Ritratto di Piero Poccianti realizzato grazie all’IA. Courtesy AIxIA.
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R. P.: Che cos’è l’Intelligenza Artificiale? P. P.: È un vecchio mito che troviamo già nell’antichità, da Galatea, bellissima statua di donna che si trasforma e diventa una donna vera, dal Golem o da Frankenstein: una massa inanimata che prende vita. E tanti altri miti parlano di macchine che diventano intelligenti. Nell’Ottocento vi sono innumerevoli realizzazioni meccaniche, orologi che fanno cose straordinarie e robot che ripetono sempre la stessa azione, come gli scrivani. Quella che invece chiamiamo Intelligenza Artificiale moderna nasce nel 1943 a opera di due ricercatori americani, Warren McCulloch e Walter Pitts, l’uno neurofisiologo e l’altro matematico, che descrivono come potrebbe funzionare un neurone artificiale, ovvero una macchina più semplice del neurone del nostro cervello, ma che ha, più o meno, le stesse funzioni. Nel 1950, in un famosissimo articolo, Alan Turing si chiede se una macchina possa pensare. Per rispondere, cerca di spiegare cosa voglia dire “macchina” e cosa invece “pensiero”. Per definire la macchina crea un algoritmo matematico di base, che oggi chiamiamo Macchina di Turing, che descrive in forma semplificata qualsiasi computer che oggi riusciamo a costruire. Per comprendere se una macchina è intelligente inventa l’Imitation Game, un gioco dove ci sono tre entità – due uomini e una macchina – che, oggi diremmo, “chattano” da stanze diverse, e ne conclude che se dopo un po’ di tempo non si riesce più a riconoscere chi sia l’uomo e chi la macchina, ciò significa che la macchina è intelligente. Come definizione però lascia abbastanza asciutti. Basta guardare la televisione la sera: a volte ci sorge il dubbio se siamo davvero intelligenti. Alla Conferenza di Dartmouth del 1956 partecipa la maggior parte dei ricercatori che si occupano di Intelligenza Artificiale – matematici, fisici ed informatici –, e ipotizzano che in 10 anni avrebbero sicuramente riprodotto, all’interno di una macchina, qualsiasi facoltà dell’intelligenza umana. Sarà McCarthy a inventarne il nome: Intelligenza Artificiale. Possiamo dire che questi ricercatori sono stati un tantino ottimisti. Ci sono stati diversi momenti di grande entusiasmo e altrettanti di forte delusione nella storia dell’Intelligenza Artificiale: a un nuovo paradigma, a un nuovo strumento, si diceva: «Con questo facciamo l’intelligenza». Non è mai stato così, anche perché probabilmente l’intelligenza è qualcosa di più diversamente sfaccettato. 21
Nello specifico, possiamo distinguere due tipologie di Intelligenza Artificiale. Da un lato, quella che chiamiamo General Artificial Intelligence, l’Intelligenza Artificiale generale, che ha l’obbiettivo di creare esseri senzienti, con sentimenti e autocoscienza. Dall’altro, quella che definiamo Narrow Artificial Intelligence, l’Intelligenza Artificiale ristretta – che io chiamo Savant Artificial Intelligence –, che ha capacità straordinarie ma in campi specifici.. Sono macchine specializzate. Per capirci: nel film Odissea 2001 nello Spazio c’è una macchina intelligente – in senso generale –, che a un certo punto si ribella ai due astronauti che vogliono spegnerla perché preoccupati di come si comporta. Quella macchina riconosce il labiale, tanto che, quando gli astronauti si chiudono in una stanza per parlare aspettandosi che lei non riesca a sentirli, effettivamente non li sente, ma riesce a decifrare il loro labiale e a capire quindi che la vogliono spegnere. Noi oggi disponiamo di macchine in grado di interpretare il labiale, ma non hanno un’autocoscienza e quindi non possono ribellarsi se ne parliamo male. R. P.: Che cosa si è in grado di fare oggi grazie all’impiego dell’Intelligenza Artificiale? P. P.: All’interno dell’Intelligenza Artificiale ristretta, si distinguono 5 capacità. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne cita 4, io preferisco considerarne 5. Innanzitutto la capacità di percepire la realtà: vuol dire riuscire a vedere, a riconoscere immagini ma anche azioni in tempo reale. Poi, la capacità di imparare: le macchine sono in grado di imparare da sole tramite degli esempi, ma per apprendere, per esempio, cos’è un gatto devono vedere qualche migliaio di immagini del gatto. Questo perché sanno fare poca astrazione: se a un bambino mostriamo venti immagini di gatto, egli astrae il concetto di “gattitudine”, cioè intuisce cos’è un gatto in generale. A una macchina dobbiamo fornire tantissimi esempi diversi perché non arriva a questo livello di astrazione e non ha la capacità di fare analogie. Noi acquisiamo conoscenze diverse in contesti differenti e riusciamo a spostarle dall’uno all’altro. In questo, invece, le macchine se la cavano male. Sono intelligenti, ma anche un po’ “limitate”, e per permettere loro di compiere questa attività dobbiamo impiega22
re grandi quantità di energia. Abbiamo però macchine che sanno ragionare – e anche molto bene. Le tecniche di ragionamento sono tecniche abbastanza antiche che si stanno raffinando, ma ad oggi la macchina che sa fare percezione non sa fare ragionamenti, tantomeno astrazioni. La ricerca sta lavorando per creare una macchina che sappia percepire la realtà e anche ragionarci sopra, e questa integrazione potrebbe risolvere alcuni problemi sull’astrazione. È quello che il Ministero della Difesa degli Stati Uniti chiama Contestual Adaptation, cioè la capacità di adattarsi a un contesto, anche mai visto prima, perché proprio a partire dall’astrazione e dalla capacità di fare analogie si possono superare situazioni che nessuno ha mai spiegato o insegnato ad affrontare. Questo è un punto importante, sempre nel campo dell’Intelligenza Artificiale ristretta, perché ci consentirebbe di diminuire l’effort – sia da un punto di vista di tempo che di risorse impiegate – per imparare. Oggi abbiamo macchine che consumano in un mese più o meno quello che consuma la città di Boston a livello elettrico, e questa non è una strada percorribile. Dobbiamo rimediare. Infine le macchine sanno fare creatività, cioè sono capaci di inventare. Come fanno? O imparano dei pattern oppure usano dei metodi che consentono di “creare” nuove realtà da situazioni date. Ultimamente abbiamo macchine che riescono a realizzare creazioni artistiche, nell’ambito della pittura e della musica. Chiaramente prendono come esempio le immagini che forniamo noi, e imparano un certo pattern. Se poi possiamo definirla arte oppure no ci dobbiamo ragionare, ma è sicuramente un processo creativo. Manca tuttavia un fattore indispensabile per l’arte: il sentimento. Queste macchine non sono classificabili come General Artificial Intelligence: sono macchine e al contempo riescono a completare un processo meccanico di creatività. Potrebbe sembrare un ossimoro, ma in realtà non lo è, perché non hanno le sensazioni che invece l’artista prova. Finché la macchina non ha sentimenti propri e autocoscienza, resta pur sempre tale – sicuramente, però, risulta molto efficace ed efficiente, capace di sostituirci in tanti campi. Il discorso sarebbe diverso se un giorno – e non è detto che sia impossibile – riuscissimo ad inventare una macchina che si sveglia e dice: «Oggi non ho voglia di lavorare». A quel punto, godrà di un livello di autonomia non 23
più circoscritto a quello che gli abbiamo imposto, ma più ampio, e avrà capacità indipendenti. R. P.: Cosa invece l’Intelligenza Artificiale non è ancora in grado di fare? P. P.: Oggi una macchina non è capace di astrarre e di fare analogie, se non in parte, ma si sta cercando di sviluppare nuovi metodi per raggiungere questo obbiettivo. Inoltre, a oggi non abbiamo macchine coscienti di sé, né in grado di provare sentimenti, secondo me non tanto perché non sia possibile realizzarle, ma piuttosto perché noi stessi non sappiamo cosa sia davvero l’intelligenza. Stefano Mancuso parlava di intelligenza delle piante, illustrando come il mondo vegetale manifesti livelli di collaborazione straordinari. Noi invece abbiamo ancora molto da capire. Intanto, non sono convinto che l’uomo sia davvero così intelligente: come sostiene lo stesso Mancuso, se misuriamo l’intelligenza di una specie sulla base di quanto essa è in grado di sopravvivere, le piante sono più brave di noi, anche nella capacità di adattamento. Magari si adattano lentamente, ma lo fanno in modo brillante. Se domandiamo a qualcuno se tra due milioni di anni si immagina che l’umanità ci sia ancora, magari ci guarda perplesso, perché di fatto noi ci stiamo facendo del male, e non è un atteggiamento intelligente. C’è tanta strada da percorrere per comprendere cosa voglia dire intelligenza, capacità di adattarsi, di migliorare l’ambiente e di utilizzarlo a nostro vantaggio in modo non distruttivo. Sull’autocoscienza, su che cos’è il sentimento e cosa vuol dire provare emozioni, per quanto esistano tanti studi anche di ricercatori nel campo dell’Intelligenza Artificiale, il cammino è ancora lungo. R. P.: Cos’è il Machine Learning? P. P.: Il Machine Learning è una sotto-area dell’Intelligenza Artificiale che fa sì che le macchine, a partire dalla loro esperienza, migliorino il proprio comportamento. È composto da diverse tecnologie: dagli algoritmi genetici – Genetic Programming –, come anche dalle tecniche simboliche, cioè quelle tecniche che, a partire da regole date o da esempi simbolici (cioè scritti in linguaggio formale), sono capaci di inferire nuove regole. Diciamo che anche 24
le reti neurali fanno parte del Machine Learning, e in questo momento stiamo avendo grandi successi proprio impiegando quello che chiamiamo Deep Neural Network, le reti neurali approfondite. È una nuova primavera, o forse addirittura estate, per l’Intelligenza Artificiale. Tuttavia dobbiamo stare attenti: il Deep Neural Network è molto utile in alcuni casi, ma in altri dobbiamo usare strumenti diversi. Ho detto prima che nel 1943 McCulloch e Pitts inventano il neurone artificiale. Negli anni ’60 Frank Rosenblatt crea un dispositivo fantastico, che si chiama Perceptron, che sa imparare dalla visione: per esempio riesce a riconoscere i caratteri. È una macchina, non un programma, ed è piuttosto rudimentale. Nel 1969 Marvin Minsky e Seymour Papert, due ricercatori famosissimi, pubblicano il libro Perceptron, in cui viene distrutto tutto il discorso relativo alle reti neutrali, perché viene dimostrato che quelle reti riescono a realizzare alcune cose ma non altre. Ad esempio non sanno svolgere alcune funzioni matematiche molto semplici, come la funzione XOR, abbastanza banale. Tutta la ricerca sulle reti neurali si ferma fino a metà degli anni ’80, quando un gruppo di ricercatori del MIT – il Parallel Distributed Processing Group – inventa gli algoritmi di apprendimento, che funzionano su reti a multistrato. È la Bad Equalization: il primo algoritmo funzionale, la propagazione all’indietro dell’errore lungo tanti strati di neuroni. Riparte quindi la ricerca: dal 2005 in poi a livello accademico, dal 2015 anche a livello mediatico. Questi algoritmi funzionano, sono stati ottimizzati e ora disponiamo di una potenza elaborativa che prima non avevamo. Lo ripeto: non bisogna confondere il Machine Learning con il Deep Neural Network perché è vero che stiamo avendo grandi successi ma si tratta di una disciplina vasta. Ad esempio, stiamo usando algoritmi genetici per ottimizzare le reti neurali. Non è vero che funziona solo un paradigma. Pensiamo ad AlphaGO, la macchina che fa planning e gioca, vincendo, contro il grande campione di Go. Il gioco del Go è particolarmente complesso, tanto che, secondo diversi matematici, il numero delle posizioni sulla scacchiera del Go supera il numero di atomi che esistono nell’universo. Nel Go si usano le strategie di planning per trovare il modo di esplorare questo numero infinito di possibili stati e trovare la mossa migliore. Al 25
posto di impiegare un algoritmo matematico si usa il Deep Neural Network, che impara dall’esperienza, giocando prima contro gli umani e poi contro se stessa. Anche in questo caso si uniscono più paradigmi insieme. In realtà, non è corretto dire che nel Machine Learning e nell’Intelligenza Artificiale ci sono solo le reti neurali approfondite. La sfida più grande è integrarle, perché l’errore che spesso si è compiuto in Italia è stato quello di dividere la cultura umanistica da quella scientifica, separare il campo artistico dalla matematica. La cultura però è cultura a 360° ed è solo combinando le più diverse discipline che vengono fuori le innovazioni più interessanti. Pensiamo a Cornelius Escher: è un esempio che tutti i matematici usano. R. P.: Perché bisogna investire nell’Intelligenza Artificiale? P. P.: Ci sono 3 ragioni, legate a tre diversi ambiti. La prima è che l’Intelligenza Artificiale sta trasformando il mondo e la nostra società, e per questo tutti dovrebbero sapere, almeno in parte, come funziona. Non si tratta solo di parlare ad un’assistente vocale con il telefono, ma di essere consapevoli di cosa c’è dietro a tutto questo, anche per evitarne un uso improprio. In sostanza, il primo motivo ci riguarda tutti. Occorre impiegare l’Intelligenza Artificiale per favorire l’aumento del livello di democrazia e di partecipazione sociale evitando però effetti distopici – che ci sarebbero anche senza l’Intelligenza Artificiale –, spingendola verso un’intenzione benefica. La seconda ragione è più profonda. In questo momento abbiamo un modello socio-economico, almeno a livello di tradizione, secondo il quale il capitale e il lavoro sono risorse scarse, mentre le risorse ambientali sono illimitate: è evidente che non è vero. Il problema è complesso: se vogliamo aumentare il benessere del genere umano e al contempo evitare di distruggere il pianeta e tutte le altre specie che lo abitano, abbiamo bisogno di parecchia intelligenza. Parliamo quindi di sostenibilità, dei 17 obbiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, ma dobbiamo stare molto attenti, perché il conseguimento di un obbiettivo potrebbe metterne a rischio altri. Per esempio, se per eliminare la fame si aumentano gli allevamenti intensivi e le monocolture, da un lato si produce più 26
cibo, ma dall’altro si procura un danno spaventoso all’ambiente. Sono quindi necessari strumenti che aiutino a modellare la realtà – che è molto complessa – e a trovare soluzionia problemi molto difficili. Bisogna far emergere le problematiche che richiedono di essere affrontate in modo multidisciplinare e in questo l’Intelligenza Artificiale può dare un grande contributo. La terza ragione è legata alle aziende. In Italia ci sono per lo più piccole e medie imprese, distretti industriali e centrali, che hanno bisogno di strumenti di Intelligenza Artificiale non solo per essere competitivi sul mercato, ma anche per migliorare l’ambiente di lavoro e i propri obbiettivi: quindi se ne servono non solo per una questione di business, ma anche per il valore che apportano alla società. Gli strumenti di Intelligenza Artificiale possono essere utili a tantissimi scopi all’interno dell’ecosistema aziendale. Secondo me non risolveranno tutti i problemi, ma sono mezzi importanti, direi indispensabili, soprattutto se li puntiamo nella direzione giusta. In caso contrario potrebbe verificarsi quello che tutti noi temiamo, e cioè che l’umanità si autodistrugga. Eliminare la vita sul pianeta è difficile, nel senso che la vita è un fenomeno molto robusto, ma cambiare le condizioni che ne permettono la sopravvivenza è abbastanza facile. Pensiamo al paradosso di Fermi. Si dice che Fermi, mentre costruiva la bomba atomica, si sia chiesto: «Esistono altre civiltà? Quante potrebbero essere le civiltà nella nostra galassia? Quanti pianeti ci potrebbero essere dentro la fascia abitabile – che è la fascia in cui l’acqua è allo stato liquido? Ma dove sono tutti quanti?». Molte le risposte: una è che se ci sono altri esseri intelligenti sono così distanti che non possono comunicare con noi o semplicemente non sono interessati a farlo. Un’altra spiegazione è che quando una civiltà raggiunge un certo livello di tecnologia, che è quella che le permetterebbe di lanciare dei segnali nello spazio o di riceverli, con una certa facilità si autodistrugge. La nostra intelligenza, secondo me, sta nel fatto che possibilmente riusciamo a superare questo momento e cerchiamo di non autodistruggerci. Ma per raggiungere questo obbiettivo dobbiamo sviluppare tante culture diverse, compresa l’intelligenza delle macchine.
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L’IA come strumento nel mondo dell’arte
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Che la tecnologia sia entrata nelle nostre vite, rivoluzionandole, è un dato di fatto. La Quarta rivoluzione industriale ci ha travolti con ondate di innovazioni e una di queste è l’Intelligenza Artificiale. L’IA è entrata nel nostro quotidiano proprio come altre tecnologie hanno fatto anni prima, dalla fotografia al cinema a Internet, e nel mondo dell’arte continua ad aprire nuovi territori da esplorare. La storia insegna che quando si creano nuove connessioni interdisciplinari, possono nascere progetti realmente innovativi: unendo la scienza, la neuroscienza, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), l’informatica, l’IA, l’ingegneria, e ancora altre discipline al mondo dell’arte, oggi si stanno creando nuovi strumenti al servizio dell’arte e dell’uomo. Siamo in un’era in cui la tecnologia può essere “sfruttata” per creare e sperimentare nuove applicazioni a supporto delle collezioni d’arte e nuovi strumenti per realizzare opere. E quando si tratta di musei, proprio l’Intelligenza Artificiale può essere usata a 360°: vedremo nei prossimi capitoli come viene impiegata oggi nelle varie realtà del mondo museale per organizzare internamente spazi, percorsi e collezioni, cercare nuove interconnessioni tra le opere, e come è diventata strumento al servizio del 29
1. Borderless World, Untitled, courtesy Mori Building Digital Art Museum / TeamLab Borderless.
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visitatore per aumentare la user experience. Analizzeremo come sta cambiando la comunicazione con i social e quali sono gli ultimi studi sulla percezione delle opere d’arte grazie all’impiego di sofisticate strumentazioni che usano l’IA. E infine valuteremo anche come ha portato a nuove definizioni funzionali nel mercato dell’arte. Per quanto riguarda la produzione artistica, gli artisti, storicamente sempre in prima linea nella sperimentazione di nuovi strumenti, hanno creato opere d’arte usando algoritmi di IA, esplorando e mostrandoci una nuova dimensione estetica – aprendo così un dibattito molto vivace sulla creatività legata al ruolo dell’artista e della macchina. Per renderci conto di quanto si stia discutendo sul tema “arte e nuove tecnologie” basta consultare la rete. Dai più importanti musei del mondo, alle gallerie d’arte locali, dalle grandi aziende private alle istituzioni culturali pubbliche, e ancora mostre, eventi, tavole rotonde: il tema è attualissimo. Il 2018 è stato un anno ricco di eventi che hanno messo al centro delle discussioni il tema arte&IA. Nell’ottobre 2018 la nota casa d’aste Christie’s ha venduto per la prima volta un quadro generato con l’ausilio dell’IA, il ritratto di Edmond de Belamy di cui tratteremo. E nel dicembre 2018 il Metropolitan Museum (The Met), insieme a Microsoft e al Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha organizzato un Hackathon, una maratona di idee creative volte a esplorare come l’Intelligenza Artificiale possa connettere le persone all’arte. Sono nati tanti progetti che utilizzano algoritmi e Intelligenza Artificiale in generale e sono stati creati altrettanti seminari, talks ed eventi dedicati ad approfondire le intersezioni nascenti tra l’arte e le nuove tecnologie. La vendita del ritratto di Belamy ha dato il via a convegni come Art + Tech Summit 2019: The A.I. Revolution1, che ha riunito accademici, artisti, esperti del settore, rappresentanti di istituzioni globali, tra cui Google, Hyundai, MIT Technology Review, Pace Gallery e The Met in una serie di conferenze e tavole rotonde che hanno esplorato l’impatto dell’Intelligenza Artificiale su tutti gli aspetti del mondo dell’arte2. E ancora: i convegni e congressi tenuti da Museum Next, dall’ICOOM, dai musei internazionali, dalle associazioni pubbliche e private dedicate che hanno esposto e ana31
lizzato il nuovo impiego dell’Intelligenza Artificiale sia nel mondo museale sia nella produzione artistica. Il primo volume italiano a fare il punto su questo dibattito, con artisti e studiosi della scena internazionale, è Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN, pubblicato nel 2020 per Jaca Book a cura della filosofa dell’estetica Alice Barale. Anche in Italia si è aperto il dibattito: un esempio tra tutti sono gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano che organizzano workshop e seminari dedicati al mondo dei Beni Culturali, sempre coinvolgendo professionisti e figure di spicco del settore, oltre ad aver creato una piattaforma multimediale interattiva con interessanti contributi fruibili, report e approfondimenti per il pubblico, un valido e ben costruito riferimento per sviscerare diverse tematiche legate all’IA, dalle questioni etiche agli aspetti sociali legati all’arte. L’Intelligenza Artificiale può rappresentare un’opportunità largamente fruibile da cui trarre grandi benefici in termini di creazione di nuovi strumenti nel mondo della cultura, sempre considerando le responsabilità etiche a essa correlate, come ad esempio il rispetto della privacy. In Italia, il 21 marzo 2018, è stato presentato dall’Agenzia per l’Italia digitale il Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale al servizio del cittadino che contiene «raccomandazioni e indicazioni su come sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale, limitandone criticità e aspetti problematici, per sviluppare servizi pubblici sempre più a misura di cittadino»3. Le tematiche etiche sono state oggetto di discussione da parte di un gruppo di esperti della Commissione Europea che ha redatto un nuovo regolamento sull’IA e sul suo utilizzo, per garantire «la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone e delle imprese, rafforzando nel contempo la diffusione dell’IA, gli investimenti e l’innovazione in tutta l’UE»4:
possiamo aprire la strada a una tecnologia etica in tutto il mondo e garantire che l’UE rimanga competitiva lungo la strada. A prova di futuro e a misura di innovazione, le nostre regole interverranno dove strettamente necessario: quando sono in gioco la sicurezza e i diritti fondamentali dei cittadini dell’UE. Margrethe Vestager Commissario europeo per la concorrenza e vicepresidente esecutivo per un’Europa pronta per l’era digitale5
L’Intelligenza Artificiale è uno strumento potente in mano all’uomo: spetta quindi a noi usarlo con le corrette finalità. In questa direzione, nel mondo dell’arte si sono avviati tanti progetti di grande utilità e attualità: gli scenari d’arte e Intelligenza Artificiale che esamineremo nei prossimi capitoli.
Parlando d’Intelligenza Artificiale, la fiducia è un must, non un valore aggiunto. Con queste regole fondamentali, l’UE sta guidando lo sviluppo di nuove norme globali per garantire l’affidabilità dell’IA. Fissando gli standard,
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I musei: verso nuove frontiere
«Un museo è un luogo dove si dovrebbe perdere la testa.» Renzo Piano
1. Il robot umanoide Pepper creato per testare come la tecnologia robotica possa migliorare le esperienze dei visitatori nei musei. Courtesy Smithsonian Institution / Photo Sarah Sulik.
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Parlando di musei, gallerie e luoghi d’arte, l’Intelligenza Artificiale è e può essere ancor più largamente impiegata: è una tecnologia disponibile in diverse forme e applicabile per molteplici usi e in diversi contesti. Quello cui si pensa spesso parlando di IA sono i nuovi robot. È un’idea molto diffusa, un immaginario collettivo maturato dopo decenni di film e libri che associano un futuro ipertecnologico ai robot. In realtà oggi nei musei vi sono robot straordinari in grado di leggere le emozioni dei visitatori e di interagire con loro per supportarli a livello informativo ed educazionale nel percorso di visita. Un esempio è Pepper1, il robot umanoide tanto amato dal pubblico, o i robot del progetto BrainControl Avatar, teleguidati da remoto anche da persone disabili. Il coinvolgimento e la user experience sono temi attuali con cui alcuni musei si interfacciano in maniera innovativa. Ne sono un esempio i chatbot2 (chat + bot abbreviazione di robot), realizzati per dialogare con il pubblico e dare informazioni utili ma anche atti a conquistare i fruitori più giovani. Vi sono chatbot molto evoluti come IRIS+ del Museu do Amanhã (Museo del Domani) di Rio de Janeiro che conversano con i visitatori tramite grandi touch screen e li coinvolgono in iniziative ambientali rispondenti ai loro interessi. 35
Questa è solo una parte delle risorse offerte dall’IA di cui possiamo avvalerci in ambito museale: quella che possiamo toccare con mano. Vi sono oggi programmi con IA – e questi faranno sempre più la differenza – volti per esempio ad analizzare i consumi energetici all’interno degli edifici3 o a prevedere il numero di visitatori di una mostra4, altri volti a migliorare gli allestimenti degli spazi espositivi attraverso il supporto di studi neuroscientifici sulla percezione delle opere d’arte5 da parte dei visitatori. C’è anche tutto un mondo nascosto che non vediamo, un “dietro le quinte” fatto di algoritmi e programmi che supportano il processo di catalogazione, la gestione delle collezioni, la ricerca di nuove interconnessioni tra le opere d’arte e ancora altre funzioni, e in questo capitolo avrete una panoramica su alcuni progetti che attraverso l’uso dell’IA hanno esplorato nuove frontiere. Sono progetti di grande utilità per i musei e ci svelano quei “futuri possibili” in cui l’IA rivela di poter andare ben oltre l’immaginario collettivo. Considerate che oggi siamo solo in una fase embrionale delle sue possibilità d’impiego nel mondo dell’arte. Prima di illustrare alcuni di questi progetti pionieristici, vi racconto brevemente come si è attuata l’innovazione digitale partita negli anni ’90 soffermandomi su tre punti: dapprima consideriamo che in questi ultimi anni, di fronte a un vertiginoso crescendo nell’impiego delle nuove tecnologie, si è creata confusione tra quello che è l’uso del digitale e l’impiego delle IA nelle istituzioni museali e nel mondo della cultura in generale, almeno per quanto ho potuto rilevare dal sondaggio di cui vi ho parlato all’inizio del libro. Come secondo punto consideriamo che l’Intelligenza Artificiale lavora bene quando può disporre di molti dati, di molte immagini su cui poter addestrare un algoritmo. Sono nati tanti progetti con IA negli ultimi anni proprio perché i musei hanno reso disponibili online le loro immense collezioni. Terzo punto: con la Quarta rivoluzione industriale il ruolo del museo si è evoluto6 in seguito allo sviluppo tecnologico e vedremo che persino la sua stessa definizione storica è in un momento di riformulazione. L’innovazione tecnologica, partendo dalla realtà digitale, ha coinvolto tutte le realtà museali apportando sostanziali cambia36
menti e ha aperto la strada all’uso della IA come supporto del museo e della gestione e fruizione delle collezioni d’arte. La digitalizzazione delle collezioni d’arte: verso una nuova fruizione online. Quando i musei diventano digital?
www.youtube.com/ watch?v=EKBKqcaHOIg The future of museums in a big data world.
Partendo dagli anni Novanta, le innovazioni in campo informatico e lo sviluppo delle ICT (Tecnologie di Informazione e Comunicazione) hanno fortemente cambiato la nostra comunicazione sia a livello sociale che culturale. Era il 1991 quando il ricercatore Tim Berners-Lee del CERN di Ginevra lanciò il primo protocollo HTTP7 (HyperText Transfer Protocol): un’invenzione che avrebbe cambiato il mondo. Alcuni musei, inizialmente soprattutto quelli dedicati alla scienza, comprendono subito le potenzialità di Internet e come questa rivoluzione avrebbe cambiato l’approccio con il pubblico. Siamo nel 1993 quando vengono lanciati sul web i primi siti dei musei come lo Smithsonian o il Museo di Paleontologia (UCMP) dell’Università della California a Berkeley. Arriviamo nel 1997 e alla prima conferenza Museums and the Web8, tenutasi a Los Angeles, in cui si espone e si analizza la creazione di reti di musei virtuali: la strada da percorrere è tracciata. La realtà fisica del museo viene codificata per creare un nuovo ecosistema digitale che comunica con modalità differenti, e oggi con molteplici canali: l’esperienza museale non finisce più quando si esce da un museo, ma può continuare – o iniziare – online, per esempio, con approfondimenti delle opere esposte. Con questo incredibile processo di digitalizzazione culturale, agli inizi del nuovo millennio i musei si sono dotati di un sito web, di schermi touch screen all’interno delle esposizioni e di installazioni interattive sicuramente nuove e coinvolgenti. Scriveva Hazan nel 2003: [...] nuove tecnologie che lavorano fianco a fianco con, o sostituendo semplicemente, il vecchio, rappresentano una naturale progressione delle strategie espositive che servono a valorizzare e contestualizzare le collezioni nello stesso modo in cui i musei fanno da decenni se non secoli9.
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I musei e le istituzioni culturali hanno come scopo primario la tutela e l’esposizione al pubblico del patrimonio che custodiscono. Con l’impiego delle ICT si è potuto creare una versione digitale, ovvero “immortale”, di tutte le opere, dai manoscritti antichi alle creazioni contemporanee. L’ICOM (International Council of Museums), durante la conferenza tenutasi nel 2007 a Vienna, definisce cos’è un museo e quali siano le sue finalità: Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto10.
In questo senso, il processo di digitalizzazione delle opere d’arte, oggi fruibili anche in gigapixel grazie a sofisticati scan, ha dato un grande aiuto a tutte le istituzioni culturali nel conseguimento dei loro obiettivi. Possiamo osservare il più piccolo dettaglio del dipinto di Johannes Vermeer Ragazza col turbante11 grazie all’immagine fruibile online realizzata con una risoluzione di circa un miliardo di pixel. Si è aperta la strada per nuove ricerche, per nuovi studi interconnessi tra le opere nei diversi musei. E ancora: si continua a implementare la comunicazione, coinvolgendo sempre più il visitatore che negli anni ha imparato a usare Internet per reperire informazioni e approfondimenti su vari temi e tematiche del mondo dell’arte. Così le persone di tutto il mondo possono ora scaricare e condividere gratuitamente i contenuti di Smithsonian Open Access: dai ritratti storici di illustri americani alle scansioni 3D di fossili di dinosauri. Nello specifico, possiamo sfogliare online – e usare liberamente! – 3 milioni di immagini digitali 2D e 3D, dai dipinti ai fossili, provenienti dai diciannove musei dello Smithsonian12,13, da nove centri di ricerca, biblioteche, archivi e dallo zoo nazionale. E ancora con Google Art & Culture possiamo fare visite virtuali nei grandi musei del mondo, approfondirne la storia così come 38
2, 3. Elaborazione del dipinto di Johannes Vermeer, Ragazza col turbante, 1665-1666 ca., Museo Mauritshuis, Amsterdam.
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shorturl.at/knEH1 Smithsonian Secretary Launch event for #SmithsonianOpenAccess.
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ammirare i più piccoli dettagli delle pennellate delle opere che più ci piacciono. A oggi non tutti i musei hanno messo online le loro collezioni complete perché alcuni ritengono che questo possa invogliare il visitatore a recarsi a visitarla di persona. In realtà, pur nell’era del web 3.0, è chiaro che il digitale e nuove tecnologie come l’IA non possono comunque sostituire l’esperienza fisica, ma piuttosto incentivarla e aprire discussioni sui social, favorire l’interazione con il museo e con gli artisti: il museo è diventato così anche il luogo dello storytelling del passato, del presente e del futuro oggi più che mai, grazie alla nuova potente comunicazione con l’esterno che il digitale unitamente a Internet ha reso accessibile. [...] Museums keep reinventing themselves in their quest for becoming more interactive, audience focused, community oriented, adaptable and mobile. [...] Peter Keller intervento al Museum Day 201914
Oggi attorno al visitatore si articola una narrazione, fisica e virtuale, che lo porta alla scoperta delle opere d’arte, alla riflessione, alla condivisione e quindi all’interazione. Il museo e l’esperienza museale stanno cambiando e su questo occorre riflettere. Lo sta facendo ovviamente l’ICOM, International Council of Museum, che a fronte di queste innovazioni digitali ha compreso di dover rivedere la definizione attuale di “museo”. In occasione della Conferenza Generale di Kyoto 201915 l’ICOM ha invitato tutti i suoi membri internazionali ad aggiornare, pur nel rispetto delle sue finalità, la definizione di museo del 2007 e sono state raccolte 267 proposte dai diversi stati nel mondo16. La proposta dell’Italia è stata la seguente:
4. Robert S. Duncanson, Loch Long, 1867, olio su tela, 17,7 × 30,3 cm, Smithsonian American Art Museum, donazione di Donald J. Shein, Washington.
www.youtube.com/ watch?v=fSDP8DXdwrA 25° ICOM General Conference, Kyoto 3 settembre 2019.
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Il Museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, accessibile, che opera in un sistema di relazioni al servizio della società e del suo sviluppo sostenibile. Effettua ricerche sulle testimonianze dell’umanità e dei suoi paesaggi culturali, le acquisisce, le conserva, le comunica e le espone per promuovere la conoscenza, il pensiero critico, la partecipazione e il benessere della comunità17.
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Il museo, da sempre scrigno di cultura, preservazione e ricerca, si apre sempre più verso la società, ne diviene una parte pulsante; non solo racconta la nostra storia, ma la amplifica acquisendo un ruolo fondamentale nel migliorare il nostro mondo attraverso la cultura e con importanti riflessioni e rimandi a tematiche sociali. Se nello scorso millennio i musei hanno esplorato le funzioni di un mondo digital, oggi applicano le tecnologie di ultima generazione unitamente all’IA, non più solo per comunicare ma anche per interagire con i visitatori offrendo loro nuovi scenari di fruizione culturale, virtuale e fisica, migliorando a tutto tondo la user experience.
5. Tour virtuale del Dalí Theatre Museum, Figueres, Girona, Spagna.
La grande rivoluzione museale di questo millennio sta proprio nell’uso delle nuove tecnologie che non sono un fine ma uno strumento di supporto interno per la propria organizzazione ed esterno per la diffusione della cultura in maniera digitale e innovativa. La fruizione fisica del patrimonio non viene meno con la tecnologia: al contrario, occorre cogliere l’opportunità comunicativa e di coinvolgimento che questi nuovi strumenti offrono:
osservare le opere esposte in uno spazio 3D e fruire di approfondimenti a portata di click.
Il museo prende voce, diventa narratore e trascende la propria dimensione fisica: il museo diventa virtuale, impalpabile, e ci raggiunge nelle nostre case su computer, cellulari e palmari. Il “museo sensibile” è ora capace di ascoltare, di modificarsi, di recepire i contributi dei visitatori che divengono essi stessi curatori e creatori di contenuti: nell’era del web collaborativo esso diventa creatura condivisa e si plasma su molteplici apporti, mitigando l’aura contemplativa di tempio della conoscenza tra i visitatori per i visitatori18.
In poco tempo i musei si sono trovati di fronte a una grande opportunità e hanno saputo coglierla – almeno la maggior parte di loro. Tra le istituzioni che hanno impiegato con successo l’Intelligenza Artificiale nella creazione di una realtà virtuale troviamo il Dalí Theatre Museum19, a Figueres, che offre ai visitatori nuove e coinvolgenti esperienze di virtual tour: grazie alla piattaforma Matterport è stato riprodotto un ambiente online, che è l’esatta copia del museo dal vero, entro il quale ci si può muovere liberamente, 42
www.youtube.com/ watch?v=9kDRsKy-3YU&t=116s La Maratona Creativa “ARTathlon – Arte in Movimento”.
rb.gy/pdukze Virtual Tour – Dalí’s Theatre-Museum in Figueres.
Nel Libro Bianco sull’Intelligenza Artificiale20 pubblicato a febbraio 2020 a cura della Commissione Europea sull’Intelligenza Artificiale si incentiva l’utilizzo dei sistemi di IA in diversi settori compreso quello culturale. In Italia si è ben avvertita la necessità di guardare al futuro in particolar modo dopo i diversi lockdown dovuti alla pandemia da Covid-19 che hanno coinvolto anche i luoghi d’arte. Il 23 e il 24 marzo 2021 è stato realizzato l’evento ARTathlon – Arte in Movimento21, una maratona creativa nata dalla collaborazione tra il Ministero della Cultura, attraverso la Direzione generale Musei, EY22 e Invitalia (Agenzia Nazionale per lo Sviluppo)23. Scopo di questo ARTathlon era selezionare i migliori progetti che sfruttando tecnologie d’avanguardia quali Blockchain, AR/VR, AI e IoT, andassero a supportare il Ministero nel duplice obiettivo di abilitare una narrazione dell’esperienza museale innovativa e avvicinare i giovani al mondo dell’arte24. Creare nuove narrazioni e innovativi percorsi di valorizzazione attraverso il coinvolgimento di diverse competenze e professionalità per ampliare le modalità di fruizione, digitale oltre che fisica, del patrimonio culturale, esigenza che si sta rafforzando in tempi emergenziali. Ampliare il target dei pubblici a favore delle nuove generazioni nell’ottica di una
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politica culturale inclusiva e partecipativa, incrementando la loro presenza sui canali di comunicazione social e creando una community, grazie a strumenti stimolanti come la gamification e l’interattività. Talitha Vassalli di Dachenhausen Dirigente del Servizio II, Sistema museale nazionale del MiC25
Il progetto vincitore è stato Museo Aperto creato da Skylabs. La sua missione è quella di offrire ai musei la possibilità di creare percorsi formativi e interattivi ai giovani visitatori. Il progetto coniuga l’Intelligenza Artificiale in una rete di conoscenza tramite un Knowledge Graph: dati provenienti da fonti differenti vengono interconnessi per fornire un unico layer. Al secondo posto si è presentato Museo Zeta, la proposta di Art Rights e Lieu.City. Questo progetto è incentrato sul concetto di community e di condivisione: è la prima piattaforma digitale che unisce la realtà fisica e quella virtuale dando la possibilità a tutti gli appassionati di creare il proprio museo personale selezionando le opere preferite dai vari musei italiani, nella loro fisicità e in versione virtuale. I team vincitori sperimenteranno i loro progetti in vari siti: Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini, Parco Archeologico dell’Appia Antica con la Direzione regionale musei della Toscana e con il supporto del MiC, Invitalia e EY. L’IA nei musei: dal digitale all’IA Il museo, sappiamo essere uno straordinario “contenitore” di cultura, che si tratti di dipinti antichi o opere digitali, e l’identità museale è fortemente e indissolubilmente legata alla propria collezione. L’Intelligenza Artificiale oggi può essere un valido supporto nell’organizzazione, categorizzazione delle opere, nella creazione di un database della collezione o di musei virtuali per analisi interna. È importante sottolineare che proprio la proliferazione di vaste – vastissime! – collezioni di opere online è un terreno fertile per nuove applicazioni tecnologiche, nuovi algoritmi che permettono di studiare, catalogare, esplorare, creare interconnessioni semantiche. 44
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Questo è un punto essenziale: vi ho parlato della rivoluzione digitale nei musei perché gli algoritmi hanno bisogno di dataset, archivi digitali, in questo caso di immagini di opere d’arte e di tutte le informazioni correlate su cui addestrarsi per creare connessioni e interconnessioni. Molti progetti che vi illustrerò di seguito nascono proprio dalla disponibilità di intere e grandi collezioni d’arte in digitale o sul web: senza la rivoluzione digitale questi progetti non sarebbero mai nati. La grande potenzialità, oggi sfruttata, dell’IA è che questa non riconosce solo i dati ma per esempio può analizzare le immagini, leggerne i dettagli e le caratteristiche e potenziare, meglio ancora approfondire al massimo l’analisi. La tecnologia di apprendimento automatico, il deep learning, può essere addestrata per identificare processi e schemi complessi, classificare le fotografie delle opere ed elaborare previsioni sui dati esistenti. Un sistema di deep learning può riconoscere antichi documenti scritti a mano in latino e renderli digitali in base alla banca dati di memoria di cui dispone. Per comprendere l’incredibile progresso nell’analisi delle collezioni d’arte e cosa si stia realizzando oggi, ho incontrato Giovanna Castellano, professore associato e coordinatore del Laboratorio di Intelligenza Computazionale (CILab)26, e Gennaro Vessio, ricercatore universitario, entrambi afferenti al dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Mi hanno illustrato come l’Intelligenza Artificiale possa essere un valido alleato quale strumento per condurre un’analisi automatica del patrimonio artistico digitalizzato. Questo nuovo impiego dell’IA può permettere a curatori e storici dell’arte di indagare, scoprire e approfondire nuove interconnessioni tra opere d’arte e artisti di periodi storici differenti. Il loro lavoro di ricerca parte dall’uso delle cosiddette deep neural network (reti neurali profonde), una classe di modelli di apprendimento automatico che, sulla base di collezioni di opere d’arte digitalizzate, permette fra l’altro di scoprirne le interrelazioni, offrendo così una nuova conoscenza utile per studiare interconnessioni tra artisti, opere, stili e movimenti artistici. L’obiettivo è proprio questo: aprire la strada a nuovi percorsi di studio dell’arte. Per uno storico può essere davvero complesso studiare nel dettaglio le diverse influenze di uno stesso artista o tra diversi artisti attraverso le loro opere: 45
Determinare similarità visive tra dipinti così come influenze tra artisti è intrinsecamente soggettivo per gli esperti e dipende da diversi fattori, in particolare la loro percezione estetica. Per aiutare gli esperti con un metodo automatico e più oggettivo, abbiamo affrontato il problema di creare una macchina in grado di imitare questo complesso meccanismo di percezione27.
tro lato, l’applicazione di tecniche tradizionali [...] si rivela spesso del tutto inefficace. Per affrontare questi problemi, proponiamo di utilizzare un modello di rete neurale profonda per il raggruppamento automatico di opere d’arte digitalizzate [...]. Risultati sperimentali quantitativi e qualitativi hanno mostrato l’efficacia del metodo proposto [...]. Tale metodo può essere utile per diverse attività legate all’arte, in particolare il ritrovamento di opere simili visivamente e la scoperta di nuova conoscenza storica in database culturali28.
L’indagine dell’intero corpus di opere di un artista o di una corrente artistica, che fino ad anni fa era svolta prevalentemente su base fotografica, è un lavoro lungo e macchinoso e anche al più esperto studioso può sfuggire il rimando stilistico di un piccolo oggetto, una piccola traccia che si presenti in un dipinto. Avere oggi disponibile uno strumento che permetta di indagare nuove connessioni tra opere, stili e artisti è un grande passo avanti. La ricerca di Castellano e Vessio si è poi spostata sul problema di sviluppare algoritmi che “raggruppino” opere d’arte automaticamente, in base alle loro similarità visive:
Grazie alla crescente disponibilità di grandi collezioni d’arte digitalizzate, come quelle rese fruibili da WikiArt o dal Metropolitan Museum of Art di New York, unitamente ai recenti progressi nel campo del pattern recognition e della computer vision, Castellano e Vessio hanno utilizzato “un modello di clustering convoluzionale profondo” che si basa solo su caratteristiche visive apprese automaticamente dal modello di rete neurale. In pratica hanno creato un modello di Intelligenza Artificiale in grado di riconoscere attributi stilistici o semantici utili a raggruppare dipinti simili, senza alcun intervento umano nel processo di apprendimento della macchina:
Raggruppare automaticamente opere d’arte simili è difficile per diversi motivi. Da un lato, è estremamente difficile riconoscere regolarità, schemi significativi sulla base della conoscenza di dominio e della percezione estetica. Dall’al-
6. A sinistra esempi di immagini di dipinti fornite in input, come query/ interrogazioni, al sistema sviluppato. A destra, le tre opere “visivamente” più simili a ciascuna query, prodotte da artisti differenti, ritrovate dal sistema all’interno dello stesso database di opere d’arte digitalizzate.
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Sebbene questo modello non sia del tutto innovativo, siamo riusciti a trovare una variante idonea del modello originale che, una volta estratte automaticamente le caratteristiche più significative dalle immagini dei dipinti, possa aiutare ad acquisire nuova conoscenza sulle relazioni tra dipinti – utili per diverse applicazioni – in modo completamente non supervisionato. […] I risultati ottenuti superano gli studi precedenti, poiché abbiamo preso in considerazione la capacità dei modelli di rete neurale di sfruttare complesse relazioni non lineari all’interno dei dati29.
Attraverso la supervisione di una recente tesi di laurea magistrale in Data Science sull’argomento, sempre Castellano e Vessio hanno anche realizzato un knowledge graph (un grafo di informazioni e di relazioni), utilizzando sia le immagini delle opere d’arte sia metadati testuali a esse associati30. L’utilizzo di questa tecnica, volta a sfruttare informazione non soltanto visuale ma anche “contestuale”, relativa per esempio al luogo in cui un’opera è conserva47
ta, al materiale con cui è stata realizzata, o addirittura all’emozione suscitata dall’opera nell’osservatore, può fornire una base di conoscenza ancora più ricca per sviluppare sistemi automatici sempre più accurati ed efficaci. Di grande interesse è il percorso che la ricerca ha condotto negli ultimi anni per avere l’IA a supporto degli esperti d’arte. In Deep learning approaches to pattern extraction and recognition in paintings and drawings: an overview Castellano e Vessio presentano un approfondimento sulla sperimentazione e sulla evoluzione dell’uso del deep learning per il riconoscimento di pattern nei dipinti e nei disegni. Nel Sommario della pubblicazione si legge: Recenti progressi nel campo del deep learning e della visione artificiale, insieme con la crescente disponibilità di grandi collezioni di opere d’arte digitalizzate, hanno aperto nuove opportunità ai ricercatori in questi settori per assistere la comunità artistica con strumenti automatici che aiutino ad analizzare e a meglio comprendere le arti visive. La ricaduta applicativa è la possibilità di rendere il patrimonio artistico accessibile a una popolazione sempre più ampia, favorendo, in ultima analisi, la diffusione della cultura31. 7
Gli studi di Castellano e Vessio ci permettono di comprendere quanto intense e promettenti siano la ricerca e la sperimentazione nell’applicazione dell’Intelligenza Artificiale al mondo dell’arte. Dall’uso di reti neurali per trovare connessioni tra opere, ora la meta è arrivare a creare sistemi che permettano di esplorare ancor più a fondo pattern nascosti nella ricchezza del patrimonio culturale attraverso sistemi sempre più sofisticati ed efficienti. I Musei non sono solo pronti a usare l’IA ma hanno già cominciato a sperimentarne l’utilità. Ci vorrebbe un libro per raccontare tutti i nuovi progetti realizzati negli ultimi anni a supporto della gestione e organizzazione delle collezioni. Mi limiterò a descriverne alcuni tra i più rappresentativi.
7. Qui è possibile individuare alcune delle opere conservate in una nazione diversa da quella in cui le stesse opere sono state create. È possibile notare come molte opere siano state realizzate in Italia, in particolare a Venezia, ma siano conservate in altri Paesi, come per esempio il Regno Unito e gli Stati Uniti.
Statens Museum for Kunst, Copenaghen
8. Qui è mostrata una parte delle opere conservate in Italia, consentendo di individuare alcuni centri culturali italiani, nello specifico Venezia, e alcune fra le gallerie più importanti, tra cui la Galleria degli Uffizi a Firenze.
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Nella gestione delle collezioni l’uso della IA è un valido aiuto, sia per una questione di catalogazione interna32, con applicazioni di art-management sempre più all’avanguardia, sia dal punto di vista della creazione della collezione digitale destinata alla fruizione pubblica, quindi online. Il 29 novembre 2019, lo Statens Museum for Kunst33 – il Museo d’arte nazionale della Danimarca – ha reso disponibile una nuova e user-friendly collezione online. Circa quarantamila opere digitalizzate della collezione del Museo sono state suddivise in categorie per mezzo dell’Intelligenza Artificiale. Impiegare persone che classificano tutte le opere sarebbe incredibilmente costoso e avrebbe richiesto molto tempo. Inoltre, sarebbe molto complicato modificare la procedura in un secondo momento: si dovrebbe passare nuovamente attraverso l’intera collezione. Con l’Intelligenza Artificiale, possiamo portare a termine il lavoro rapidamente in modo da poterci concentrare su compiti più complicati e creativi34. Jonas Heide Smith Head of SMK Digital
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Metropolitan Museum, New York «The MET is not just a place that you visit but it’s really a great service to an audience all around the world.» Max Hollein Director of The Metropolitan Museum of Art35
www.youtube.com/ watch?v=GnYAz6sJK_0 Art exploration with AI The Met launched an Open Access Program.
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9. Il lavoro di digitalizzazione del patrimonio artistico dello Statens Museum for Kunst, Copenaghen. Courtesy SMK.
Il Metropolitan Museum36 (MET) si posiziona a tutto titolo in quella fascia di musei che guarda al futuro: ha esplorato le potenzialità della IA in tanti modi sia internamente sia per offrire al pubblico nuovi strumenti per esplorare la sua collezione. Il 7 febbraio 2017, il MET ha adottato una nuova politica nota come Open Access, rendendo di pubblico dominio, e liberamente disponibili per un uso illimitato e senza alcun costo, in conformità con il Creative Commons Zero (CC0), più di 375.000 immagini di opere d’arte delle sue collezioni37. Il 25 ottobre 2018, il MET lancia una nuova API38 (Application Programming Interface) pubblica per la sua collezione e una grande prima implementazione con Google Arts & Culture (GA&C). Da questa condivisione e successiva partnership con Google A&C sono partiti molti progetti volti a migliorare la fruizione e l’interazione con la collezione grazie all’aiuto delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza Artificiale. Questo è stato possibile perché si è andato a creare un data-set, un archivio virtuale di opere per il pubblico, su cui poter lavorare per creare nuovi progetti sfruttando algoritmi e AI. Ne è un esempio l’Hackaton organizzato nel 2018 da The Met, Microsoft e il Massachusetts Institute of Technology, la maratona di idee e sviluppo di programmi software, per dare spazio a nuovi progetti e strumenti di interazione in relazione alle ormai quattrocentomila immagini digitalizzate e per esplorare come l’Intelligenza Artificiale possa connettere le persone all’arte. Utilizzando le immagini API, i dati e un nuovo dataset di parole chiave, il nostro obiettivo era immaginare e sviluppare nuovi modi percorribili per consentire al pubblico globale di scoprire, apprendere e creare con una delle collezioni d’arte più importanti al mondo attraverso l’Intelligenza Artificiale39.
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10. Jan van Eyck e bottega, La Crocifissione e Il Giudizio finale e particolare 1390-1441 ca., olio su tele trasferite da tavole di legno, 56,5 × 19,7 cm ciascuna, Metropolitan Museum of Art, New York.
11. Un esempio del progetto Artwork of the Day, Metropolitan Museum of Art, New York.
Da questa collaborazione interdisciplinare sono nati progetti come Artwork of the Day, Gen Studio, My Life, My Met, Storyteller, Tag, That’s It!40, sostanzialmente “applicazioni” che permettono di interagire, a volte anche in maniera molto divertente, con le opere d’arte.
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Il MET continua tutt’oggi a sperimentare in che modo la tecnologia e l’IA possano aiutare il pubblico a stabilire connessioni e sperimentare in tutta la loro portata le opere d’arte Open Access del museo. La collaborazione con il team Applied IA di Microsoft ha portato alla creazione di un progetto proof-of-concept chiamato Art Explorer41, uno strumento che sfrutta la capacità di ricerca cognitiva di Azure Search’s per arricchire l’esperienza di un visitatore virtuale. In pratica, Art Explorer presenta all’utente una serie di opere simili a quella che egli sta visualizzando. Ad esempio se sta osservando l’opera Olive Trees di van Gogh, verranno suggerite opere raffiguranti alberi con colori simili come I cipressi di van Gogh o View from the Artist’s Window, Grove Street di Robert Frederick Blum, ma verrà anche visualizzato il dipinto indiano del XVII secolo Demons Fighting over an Animal Limb. 53
Da spettatore, l’utente è chiamato a partecipare, a scegliere il proprio percorso e a interagire con le opere. In un articolo del Washington Post pubblicato nel 2011 si legge:
12. L’Intelligenza Artificiale seleziona opere d’arte visivamente simili selezionandole dalla collezione The Met Open Access in Art Explorer. Dall’alto: Vincent van Gogh, Ulivi, 1889. In basso, da sinistra a destra: artista sconosciuto, Demoni in lotta per un arto animale, fine del XVII secolo, India; Robert Frederick Blum, Vista dalla finestra dell’artista, Grove Street, ca. 1900; Vincent van Gogh, Cipressi, 1889.
Molti importanti musei d’arte hanno già prodotto vasti database delle loro collezioni e forniscono accesso ad alcune delle loro collezioni online. Il Google Art Project si differenzia per la sua combinazione di una funzione walk-through, che consente ai visitatori di vedere come i dipinti sono appesi e organizzati mentre si muovono virtualmente attraverso la collezione, con la possibilità in alcuni casi di vedere immagini ad alta risoluzione di specifiche opere. Riunisce inoltre importanti musei di tutto il mondo attraverso un’unica interfaccia, con la straordinaria portata online di Google44.
13. Google Art & Culture.
Dopo oltre dieci anni le collaborazioni con i musei e i progetti avviati sono in un crescendo continuo. Oggi con Google Arts & Culture si può far suonare un dipinto di Kandinskij45, un progetto
Normalmente non si associa il lavoro di van Gogh né ai demoni né all’India, ma guardando entrambe le immagini fianco a fianco, possiamo vedere somiglianze nel colore e nella forma degli alberi raffigurati in entrambe le opere. Questo è il potere dell’Intelligenza Artificiale: può rilevare modelli non prontamente notati dagli esseri umani42. Google Arts & Culture Google Arts & Culture – precedentemente Google Art Project – è un progetto lanciato il 1º febbraio 2011 da Google. Nel lancio del progetto erano inclusi diciassette musei partner. Oggi su Google Arts & Culture43 troviamo le opere digitalizzate in alta definizione delle collezioni dei maggiori musei del mondo e in questo vasto – enorme – mondo digitale parallelo, le applicazioni che utilizzano IA permettono all’utente di ottimizzare la propria ricerca, interagire con le opere, approfondire la conoscenza – anche in questo caso divertendosi – di un patrimonio artistico a portata di click. 54
shorturl.at/cpuDQ Amit Sood, director of Google’s Cultural Institute and Art Project.
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realizzato con IA, ed esplorare le opere in tanti modi: dallo stile al colore e persino in base alle emozioni che suscitano. Come abbiamo visto, molti sono i avviati da Google Arts & Culture che includono l’uso di Intelligenza Artificiale applicata al mondo dell’arte47. Sono inoltre disponibili alcuni esperimenti come Paint with music48 che permettono all’utente di esplorare in modo ludico il mondo del machine learning, o Art Palette49 dove l’esplorazione avviene attraverso una scelta cromatica. Non solo musei: Google Arts & Culture e Google Research supportano gli artisti contemporanei che lavorano con l’IA nelle loro pratiche artistiche. Ne è un esempio Artists + Machine Intelligence Grants50, un progetto che ha coinvolto sei artisti internazionali da gennaio a maggio 2020, che hanno collaborato con i tecnici creativi di Google per esplorare le tecniche di machine learning in film, poesia, sound art e narrazione interattiva, progetto presentato in occasione dell’evento inaugurale della collaborazione tra Google Research e Google Arts & Culture.
Il MoMA, The Museum of Modern Art, New York51
progetti46
shorturl.at/elsHU Google Arts & Culture Unlock Culture at Home With Machine Learning.
www.moma.org/calendar/exhibitions/ history/identifying-art MoMA: Identifying art through machine learning. A project with Google Arts & Culture Lab.
www.youtube.com/ watch?v=SLBqVOnn9Mo Identifying art through machine learning at MoMA The Art Recognizer.
Il MoMA è un museo che si pone all’avanguardia nella ricerca e progettazione di nuovi strumenti con l’ausilio delle ultime tecnologie a supporto del visitatore. Tra i tanti progetti degni di nota, ho trovato particolarmente interessante Identifying art through machine learning, perché sfruttando un sistema di identificazione automatica, si è riusciti a trasformare l’enorme archivio fotografico delle mostre del MoMA realizzate dal 1929 a oggi, in un archivio interattivo aperto al pubblico. Identifying art through machine learning è stato sviluppato da un team digital media del MoMA in collaborazione con Google Arts & Culture Lab. Il MoMA voleva cercare le corrispondenze tra le opere presenti nell’archivio fotografico delle mostre: un lavoro che un curatore può sicuramente fare, ma in questo caso c’erano decine di migliaia di foto di mostre ed esposizioni realizzate dal 1929 in poi. Hanno quindi deciso di impiegare il machine learning e la computer vision technology per svolgere questo ingente lavoro. I nostri collaboratori di Google Arts & Culture Lab hanno utilizzato un algoritmo per setacciare oltre 30.000 foto di mostre, cercando corrispondenze con le oltre 65.000 opere della nostra collezione online. In totale, sono state riconosciute oltre 20.000 opere d’arte in queste immagini e abbiamo usato quei risultati per creare una vasta rete di nuovi collegamenti tra la nostra storia espositiva e la collezione online. Queste connessioni rafforzano una risorsa già senza precedenti per i milioni di visitatori di moma.org52.
14. Dal progetto Art Palette.
L’algoritmo sviluppato dal Google Arts & Culture Lab ha cercato nelle foto d’archivio e ha trovato le connessioni tra le opere della collezione online del MoMA, ed è stato particolarmente efficace nell’identificare le opere visive e le sculture.
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Ad esempio nella foto della mostra Cézanne, Gauguin, Seurat, van Gogh è stato riconosciuto il dipinto The Bather di Paul Cézanne e cliccando sull’opera si accede a tutte le informazioni re57
porta un’innovazione nel percorso di fruizione dell’arte britannica della collezione Tate. Nel 2016 era rivolto a progetti con IA:
recognition.tate.org.uk/#intro Recognition, winner of IK Prize 2016 for digital innovation.
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▷ pp. 59, 60
15. La mostra Cézanne, Gauguin, Seurat, van Gogh, 7 novembre 1929 – 7 dicembre 1929, The Museum of Modern Art Archives, Photographic Archive, New York, Photo Peter A. Juley.
lative. Si può fare anche il contrario: partendo da un’opera nella collezione online del MoMA si può vedere in quali mostre sia stata esposta e cliccare sulle corrispettive foto d’archivio. Il lavoro iniziato con questo progetto d’impiego del machine learning è stato ripreso dallo staff del MoMA. Sicuramente con questo progetto pionieristico sono stati resi disponibili al pubblico nuovi dati e strumenti per fruire della collezione e approfondire la storia espositiva delle opere.
L’IK Prize 2016, in collaborazione con Microsoft, ha sfidato i creativi digitali a utilizzare una forma di Intelligenza Artificiale per permettere al pubblico di esplorare, indagare o capire l’arte britannica nella collezione Tate attraverso nuovi modi. Una giuria di esperti ha selezionato quattro idee in risposta a un brief sull’Intelligenza Artificiale. Hanno incluso una proposta per dare alle opere il potere di sognare a occhi aperti, una macchina intelligente che confronta le opere d’arte con l’incessante flusso di immagini provenienti da Internet, un AI artist-in-residence che impara a creare arte, e un esperimento per vedere se una macchina può imparare a descrivere opere d’arte così come gli esseri umani53.
Vince il progetto italiano Recognition54 di Fabrica55: un algoritmo complesso che svela i legami nascosti e le connessioni visive tra le foto che rappresentano avvenimenti e notizie attuali relazionate alle opere d’arte della Tate56. Recognition used four different algorithms to analyse images. Artworks and news images with a high similarity in one (or more) of these categories were selected as a match.
www.youtube.com/ watch?v=Z1_iEbwWdIU Recognition – The A.I. Connecting Art to Everyday Life.
In pratica un dipinto antico può essere messo in relazione con una foto contemporanea sulla base di somiglianze visive e tematiche che li accomuna. Il riconoscimento si basa su quattro categorie: volti, oggetti, contesti, composizioni. Recognition è un ottimo esempio per farvi comprendere quali nuove frontiere si
Tate Gallery, Londra Anche la Tate Gallery di Londra è in prima linea nella sperimentazione e ricerca di nuovi strumenti realizzati con le nascenti tecnologie. La Tate organizza annualmente l’IK Prize: un concorso di idee in cui viene premiato il progetto che usando le nuove tecnologie 58
16. Esempio di applicazione del progetto Recognition di Fabrica.
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18, 19. Interfacce SAS per colori e per temi.
possono esplorare con l’impiego di IA: un modo innovativo e sicuramente interessante per mettere in relazione le opere d’arte della Tate con immagini del presente, con il fotogiornalismo. Recognition è rimasto attivo dal 2 settembre al 27 novembre 2016 come sito web e come installazione alla Tate Britain.
17. Esempio di applicazione del progetto Recognition di Fabrica.
Polo del ’900, Torino Nel 2018 il Polo del ’900 ha avviato SAS – Smart Archive Search57: un progetto che ha dato luogo a una nuova interfaccia per fruire in modo innovativo degli archivi digitali del Polo. SAS – Smart Archive Search si propone di costruire un nuovo rapporto fra i cittadini e i beni archivistici. Nella relazione con gli archivi entrano in scena gli smart agent: software intelligenti che, utilizzando tecniche come l’Analisi di Linguaggio Naturale e la computer vision, navigano gli archivi e ne “leggono” automaticamente i contenuti (testi, audio, video) imparando progressivamente a riconoscere forme, colori e concetti ricorrenti.
Questo progetto merita di essere segnalato per due motivi: SAS offre la possibilità di accedere ai beni archivistici disponibili nella nuova piattaforma attraverso nuove modalità di interazione, per 60
esempio la ricerca per colore, forme, concetti. Questa modalità permette il coinvolgimento dei giovani e per la sua facilità di utilizzo anche degli over 60. Ed è importante che, oltre alle collezioni d’arte, anche gli archivi storici siano fruibili online in modalità aggiornate, accessibili e più coinvolgenti. Inoltre, per addestrare l’IA a riconoscere e classificare diversi tipi di soggetti e argomenti, e quindi a migliorare le sue prestazioni, è stato coinvolto il pubblico: un inedito esperimento di formazione esterna che ha permesso di mostrare il funzionamento dell’IA in questo progetto. È stato dunque creato un workshop ad hoc per il pubblico condotto da Salvatore Iaconesi e Oriana Persico che hanno commentato: 61
Il nostro rapporto con l’Intelligenza Artificiale e i dati è una questione esistenziale: ci riposiziona nel mondo. Viviamo in ecosistemi complessi in cui organizzazioni, esseri umani e non umani coesistono e producono dati ogni giorno, entrando in relazione. La maggior parte delle volte in modi opachi, tanto da non arrivare alla nostra percezione. Usando l’arte e il design posizioniamo i dati e gli algoritmi nella sfera pubblica: SAS si colloca in questo spazio. Da un lato la possibilità di ripensare il senso, l’uso e i confini dell’archivio, generando nuove interfacce online e offline a disposizione dei fruitori del Polo. Dall’altro, la possibilità di esplorare la nostra relazione con l’IA insieme agli abitanti di Torino. È un passaggio fondamentale. Generalmente questi temi, che ci coinvolgono tutti, sono trattati nel chiuso dei laboratori. Con SAS li portiamo nel cuore della città, grazie a un’istituzione culturale che ha compreso profondamente il proprio ruolo di attore dell’innovazione consentendo questa sperimentazione.
rb.gy/zgcbrm Artificial Intelligence From the series Operation Night Watch
Grazie alla copia commissionata dal capitano Frans Banning Cocq, probabilmente dipinta da Gerrit Lundens nel periodo dal 1642 al 1655, si sapeva com’era il dipinto originale di Rembrandt. Questa copia è servita come base per la ricostruzione realizzata con l’impiego dell’Intelligenza Artificiale. Nella prima fase, il team ha insegnato la tecnica e lo stile di Rembrandt alle cosiddette “reti neurali artificiali”. Una volta completata questa fase, il computer ha ricreato le parti mancanti nello stile di Rembrandt.
Nella fase iniziale del progetto SAS, la piattaforma 9centRo contava circa 85.000 report e 16.000 oggetti digitali; in seguito, i record archivistici sono passati da 85.000 a 256.000, i media digitali da 16.000 a 74.000; i record bibliografici sono 354.700. Nel 2020, con 9centRo, il Polo del ’900 si è aggiudicato il Premio Gianluca Spina per l’Innovazione digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e attività culturali del Politecnico di Milano. SAS-Smart Archive Search è stato sviluppato dal Polo del ’900 insieme al centro di ricerca HER – Human Ecosystems Relazioni – fondato dai due artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo.
I visitatori del Rijksmuseum possono ora godersi Ronda di notte nella sua forma originale, per la prima volta in 300 anni. Diverse sezioni sono state tagliate dal dipinto in passato. Il team di Operation Night Watch ha ricreato con successo questi pezzi mancanti, che ora sono stati montati attorno al famoso lavoro di Rembrandt. Questa ricostruzione basata sulla copia del XVII secolo attribuita a Gerrit Lundens è stata realizzata con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. Il risultato è una componente significativa della ricerca storico-artistica condotta nell’ambito dell’Operazione Night Watch59.
Oltre a questo progetto, il Rijksmuseum di Amsterdam sta usando l’IA e, insieme ad altre istituzioni, ha fondato il Cultural AI Lab:
Rijksmuseum, Amsterdam Un progetto realmente straordinario è Operation Night Watch, il più ampio, e aggiungerei complesso, progetto di ricerca e conservazione nella storia dei capolavori di Rembrandt. L’obiettivo dell’Operazione Night Watch è la conservazione a lungo termine del dipinto. All’interno di questa pioneristica impresa, i pezzi mancanti di Night Watch (La ronda di notte), sono stati ricostruiti con l’impiego dell’Intelligenza Artificiale. 62
Questo progetto testimonia l’importanza fondamentale della scienza e delle tecniche moderne nella ricerca condotta su Night Watch. È grazie all’Intelligenza Artificiale che possiamo ricreare nel dettaglio il dipinto originale e l’impressione che avrebbe fatto. Robert Erdmann Senior Scientist, Rijksmuseum58
20, 21, 22 ▷ pp. 64-65
Dipinti, manoscritti, fotografie, video, articoli di giornale: gli istituti possiedono un enorme patrimonio di collezioni digitalizzate. L’Intelligenza Artificiale gioca un ruolo cruciale nell’analizzare queste collezioni e renderle accessibili. Ciò ha portato alla fondazione del Cultural AI Lab, una collaborazione tra Centrum Wiskunde & Informatica (CWI), il KNAW Humanities Cluster, la National Library of the Netherlands (KB), il Netherlands Institute for Sound
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20, 21, 22. Il lavoro di ricostruzione dell’opera di Rembrandt Night Watch.
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Chatbot e Intelligent Personal Assistant
and Vision, il Rijksmuseum, TNO, l’Università di Amsterdam e la Vrije Universiteit Amsterdam. Questi partner hanno unito le forze per sfruttare il potenziale dell’IA per la ricerca culturale e rendere la tecnologia consapevole del contesto culturale60.
Con il Cultural AI Lab sono stati quindi avviati progetti molto interessanti volti a esplorare l’utilità dell’IA e le sue applicazioni nel panorama museale e artistico. Concludendo questo capitolo, desidero ancora sottolineare che oggigiorno un museo o un qualsiasi luogo d’arte dovrebbe considerare l’utilizzo delle risorse scientifiche comprese le innumerevoli applicazioni dell’Intelligenza Artificiale non come un mero fine di autodefinizione storica, ma anche e soprattutto come un mezzo per ampliare le finalità della propria identità spazio-temporale e per aumentare la portata della propria missione al servizio del visitatore, dell’uomo, consolidando in termini anche futuristici il binomio Uomo-Cultura. Nei prossimi anni ci verranno proposti progetti ancora più innovativi, volti ad affrontare ed elaborare le nuove realtà e le tematiche di un mondo in continua evoluzione tecnologica, e non solo, nel quale l’uomo cercherà e possibilmente troverà nuove e stimolanti connessioni con la cultura e le sedi della cultura.
«Voi vedete questa creatura col suo inglese da marciapiede, l’inglese che si terrà in gola sino alla fine dei suoi giorni. Il tipo di ragazza che si serve della parola è tanto lontano da lei quanto la corona di Russia è vicina a voi o a me. Ebbene, signore, in tre mesi io posso far passare questa ragazza per una duchessa a un garden party di qualche ambasciatore.» Pigmalione, George Bernard Shaw Cos’è un chatbot?
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Un chatbot è un software in grado di conversare con un essere umano in tempo reale e di rispondere a specifiche domande in base ai dati di cui dispone. Il chatbot è quella finestra di chat che si apre quando visitiamo una pagina web per chiederci: «Hai bisogno d’aiuto?». Sono i moderni assistenti vocali come Siri, Google Home e Alexa Amazon Echo. Probabilmente la maggior parte di noi ha parlato con un chatbot già almeno una volta. Il chatbot è ad esempio l’assistente virtuale dotato di IA che ci supporta quando facciamo acquisti online o quando chiediamo informazioni sugli orari di apertura di un museo. Sono oggi strumenti molto utili e largamente impiegati nel customer care, nel settore bancario per assistere i clienti nella gestione dei conti online e in moltissimi altri ambiti. Nel settore del turismo aereo, per esempio, vi è BB – abbreviazione di Blue Bot – il chatbot della compagnia KLM che aiuta i clienti a prenotare voli on line. BB è stato progettato con DialogFlow e funziona sulla base di Facebook Messenger e Google Assistant. Questo chatbot è in grado di imparare migliorandosi, conversazione dopo conversazione, 67
preposto a conversazioni nell’ambito finanziario. Questa personalizzazione è una delle chiavi del suo successo. I chatbot sono oggi strumenti sempre più sofisticati, e il loro impiego è in continua crescita. Secondo un’indagine di Grand View Research1, si stima che il mercato globale dei chatbot raggiungerà un valore di 1,25 miliardi di dollari entro il 2025, con una crescita annuale del 24,3% dal 2017 al 2025. L’uso di un chatbot, o di un Intelligent Personal Assistant come Siri, sta diventando per molte persone un’abitudine. Solo negli Stati Uniti si è stimato che:
1. Blue Bot, il chatbot della compagnia KLM.
e ha imparato davvero bene: è competente – consiglia anche al cliente cosa indossare prima di partire in base al meteo –, gentile, e in grado di fare qualche battuta. L’utilità del chatbot è ormai indubbia: ha una disponibilità continua, può assisterci h24 sette giorni su sette e gestire più conversazioni simultaneamente, ed è utilissimo per la riduzione dei costi del personale operativo di un’azienda. Può darci informazioni, può guidarci negli acquisti online, può migliorare la user experience, cioè la qualità dell’esperienza di visita di una persona sia durante la navigazione su un sito web sia durante una visita virtuale, o fisica, in un museo. Un punto di forza di questa tecnologia è la sua facilità di fruizione: di base è uno strumento di messaggistica intuitivo che tutti sono in grado di usare poiché spesso sfrutta piattaforme già esistenti e note agli utenti come Messenger di Facebook. Dato il loro impiego in diversi settori, oggi si cerca sempre più di “personalizzare” i chatbot dando loro una specifica connotazione attraverso il tono di voce, calibrandolo sia in modo da dare all’interlocutore una percezione di “umanizzazione” sia in modo da simpatizzare con il diverso tipo di interlocutore: un chatbot per giovani adolescenti dovrà risultare più “smart” e vivace rispetto a un chatbot 68
128 milioni di persone negli Stati Uniti utilizzeranno un assistente vocale almeno una volta al mese nel 2020, in aumento dell’11,1% rispetto ai 115,2 milioni del 2019. Ciò rappresenta il 44,2% degli utenti di Internet e il 38,5% della popolazione totale2.
Come si insegna a parlare a una macchina? Le macchine hanno un linguaggio ben lontano dal nostro e per ottenere una conversazione uomo-macchina la simulazione del nostro linguaggio è il punto di partenza, l’abc per costruire un dialogo. Questo abc è il Natural Language Processing, un procedimento in cui si insegna alla macchina a riconoscere e imitare il nostro linguaggio: le parole, la grammatica, la sintassi, le relazioni semantiche. Il Natural Language Processing (NLP) si riferisce quindi alla capacità di una macchina di riconoscere il nostro linguaggio “naturale” e di riprodurlo semplicemente simulandolo. Per andare oltre questo livello e arrivare alla comprensione, dobbiamo passare a un concetto più ampio di elaborazione del linguaggio naturale, ovvero al Natural Language Understanding (NLU) che permette alla macchina di arrivare alla comprensione di un testo, o di rispondere a specifiche domande come un chatbot. NLP e NLU condividono l’obiettivo di dare un senso al concetto di linguaggio naturale come comunicazione verbale uomo-macchina. Negli ultimi decenni sono stati fatti grandi passi in questo settore: dal pioneristico lavoro di Alan Touring siamo 69
arrivati all’applicazione di algoritmi di Deep Learning che permettono alle macchine una “comprensione” del nostro linguaggio naturale.
Quando nasce la “tecnologia chatbot”? Per comprendere un chatbot inteso come forma di Intelligenza Artificiale dobbiamo fare un passo indietro negli anni. Nel 1950 Alan Turing pubblica un famoso articolo sulla rivista Mind3 dal titolo «Computing Machinery and Intelligence». Turing si chiede: «Una macchina può pensare?». E per rispondere a questo importante quesito crea l’Imitation Game, oggi definito il “Test di Turing”, che consiste nel mettere in tre stanze due persone e una macchina che parlano tra loro tramite un’interfaccia. Quando l’interrogante non è più in grado di distinguere se sta parlando con la macchina o con l’altro essere umano vuol dire che il Test è stato superato. Al di là dell’importanza del Test di Touring nella storia della ricerca per definire l’intelligenza di una macchina, ci troviamo di fronte a un primo chatbot. Il precursore del moderno chatbot è ELIZA4, creato nel 1966 da Joseph Weizenbaum e messo a punto dal MIT (Istituto di Tecnologia del Massachusetts), in grado di simulare una conversazione con
www.youtube.com/ watch?v=r7E1TJ1HtM0 How does IBM Watson work?
2. Il precursore dei moderni chatbot ELIZA.
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www.youtube.com/ watch?v=P18EdAKuC1U Watson and the Jeopardy! Challenge IBM Research.
uno psicoterapeuta rogersiano. ELIZA era stato programmato per riconoscere parole chiave, le cue-words5, che le permettevano di centrare il senso della frase – o della domanda – e di poter quindi formulare risposte in linea con il senso del discorso. Il nome ELIZA fa riferimento alla popolana fioraia Eliza Doolittle, che troviamo nella commedia Pigmalione di George Bernard Shaw, in cui il professor Higgins, grande esperto di fonetica, scommette che sarebbe riuscito a trasformare ELIZA in una raffinata dama insegnandole il corretto linguaggio e l’accento dell’alta società. Il lavoro per creare un chatbot non è così lontano da quello del professor Higgins perché anche il chatbot necessita di conoscere – e usare – il giusto linguaggio – quello umano ovviamente – per essere in grado di colloquiare correttamente. Nel 1995 viene creato A.L.I.C.E. (Artificial Linguistic Internet Computer Entity), un chatbot “open source” programmato con il linguaggio A.I.M.L. (Artificial Intelligence Markup Language). Rispetto a ELIZA, A.L.I.C.E. è un chatbot più evoluto e il risultato finale è una migliore qualità della narrazione e del dialogo. Lo scienziato e programmatore Richard S. Wallace, che lo ha creato, è stato insignito ben tre volte del premio Loebner nel 2000, 2001 e 2004: questo ambito premio viene assegnato al Bot che riesce meglio a dialogare come un umano ed è basato sull’esecuzione del test di Turing. Con il nuovo millennio sono stati fatti passi da giganti nello sviluppo di chatbot. Nel 2006 arriva IBM Watson6 – sviluppato all’interno del progetto DeepQA di IBM – e creato per sfidare i concorrenti del programma americano Jeopardy!7, un quiz televisivo molto in voga al tempo. Con la sfida Jeopardy!, abbiamo realizzato ciò che si pensava fosse impossibile: costruire un sistema informatico che opera nel regno quasi illimitato, ambiguo e altamente contestuale del linguaggio e della conoscenza umana. Dr. David Ferrucci IBM Fellow e scienziato a capo del team di ricerca IBM che ha creato Watson8
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Watson riuscì a vincere a Jeopardy!. Oggi IBM Watson è stato potenziato con le più recenti innovazioni del machine learning9 – in realtà è diventato molto più di un semplice chatbot – ed è impiegato in diversi contesti compreso il settore sanitario per il quale è utilizzato in progetti realmente innovativi. Dove siamo arrivati oggi? Negli ultimi 10 anni l’evoluzione di queste nuove tecnologie è stato rapidissimo. Oggi i chatbot sono in grado di apprendere autonomamente e migliorarsi – grazie al machine learning continua a imparare (continuous learning). Un esempio è dato dagli assistenti vocali come Siri, Google Home e Alexa Amazon Echo. In realtà questi tre dispositivi sono qualcosa in più di una chatbot: non solo parlano e interagiscono con l’utente, ma eseguono comandi come accendere luci, impostare la temperatura in casa o mandare una e-mail. Il primo Intelligent Personal Assistant su smartphone è stato Siri, introdotto nel 2011 – un’innovazione tecnologica rivoluzionaria. L’algoritmo di Intelligenza Artificiale di questi assistenti virtuali è in grado di comprendere il linguaggio naturale dell’utente, di fornire la risposta più pertinente e, come abbiamo detto, di eseguire comandi. Ogni volta che poniamo una domanda a questi dispositivi interagiamo direttamente con l’Intelligenza Artificiale. Oltre che per la rapida evoluzione, questi tre prodotti sorprendono anche per la sempre più ampia diffusione sul mercato, e non solo per il loro utilizzo all’interno delle nostre case. Questi assistenti virtuali sono in grado oggi di comprendere il contesto di riferimento di una domanda o di una richiesta sfruttando la comprensione della lingua naturale (NLU), del NLP e del Machine Learning per continuare a imparare, e quindi a migliorarsi. Musei e tecnologia chatbot: perché i musei dovrebbero usarla? Rispondo a questa domanda con tre parole: coinvolgimento, utilità, fidelizzazione. In ambito museale l’uso di un chatbot può aiutare nel processo di coinvolgimento del visitatore lungo il percorso di visita di una mostra o di un museo. La chiave del successo 72
dei chatbot nei musei è che con questa tecnologia si offre ai visitatori un servizio atto a migliorare l’esperienza museale consentendo di esplorare le tematiche di maggiore interesse, ed è il visitatore a scegliere quale tematica approfondire. Con lo sviluppo e l’uso di tecnologie chatbot si è trovato quindi un modo – nuovo ed educativo – per coinvolgere il pubblico e in particolare, attraverso progetti orientati alla gamification e allo storytelling, si è ottenuto il coinvolgimento del pubblico più giovane. I musei sono stati in prima linea nello sviluppo della “personalità” dei chatbot che non solo “chattano” e forniscono informazioni, ma lo fanno con uno stile, a volte con un “volto” che li rende più interessanti, e divertenti, in breve riescono a “coinvolgere” il pubblico creando nuove esperienze di fruizione. E non solo. Il chatbot è utile per diversi motivi. Abbiamo visto che può essere un assistente virtuale di grande supporto durante la visita virtuale di un sito: infatti può suggerire percorsi di visita online in base ai propri interessi, o dare informazioni pratiche su quando aprirà una mostra o sul costo di un biglietto. L’utilità di un chatbot è ancor più rilevante in quei musei che, per propria conformazione storica o architettonica, non possano stravolgere il percorso di visita installando pannelli informativi fisici o multimediali. In questi casi è quanto di più utile poiché è in grado di offrire le informazioni aggiuntive sul percorso di visita in modo non invasivo, semplicemente a portata di smartphone. Il chatbot infine può fidelizzare il pubblico che ha imparato a conoscere questo strumento e ne ha esplorato già l’utilità. A questo scopo il Maxxi proponeva un incentivo: più si chattava con il Bot, più si accumulavano monete virtuali da spendere nel museo, le Museum Coins, per ottenere ad esempio sconti sul biglietto d’ingresso. Un’ultima considerazione: il chatbot continua ad assistere il visitatore e a essere uno strumento informativo anche dopo la visita fisica al museo. Poter chattare per chiedere informazioni su un dipinto che abbiamo visto esposto a distanza di giorni dalla nostra visita e in qualunque posto noi ci troviamo è sicuramente un valore aggiunto. Vediamo ora alcuni esempi di successo dell’uso del chatbot nei musei. 73
La Casa di Anna Frank10 Nel 2017 la casa Museo di Anna Frank ha lanciato il suo primo chatbot basato su Intelligenza Artificiale e progettato per fornire sia informazioni pratiche sia informazioni specifiche sulla vita di Anna Frank. La Casa di Anna Frank è il primo museo al mondo a utilizzare questa tecnologia sulla piattaforma Messenger. Con l’introduzione del Bot Anna Frank House per Messenger, i visitatori possono ricevere risposte personalizzate e immediate alle domande, 24 ore al giorno. Ronald Leopold, amministratore delegato della Anne Frank Foundation ha illustrato lo scopo di questo Bot:
3. Interfaccia del Bot Anna Frank House.
www.youtube.com/ watch?v=YPH4vUWcN2U Anne Frank House bot for Messenger launch.
Vogliamo condividere la storia della vita di Anna Frank con il maggior numero possibile di persone. Persone provenienti da tutto il mondo possono ora ricevere risposte istantanee alle loro domande su Anna Frank, la sua famiglia, il diario di Anna e l’era in cui vivevano. Con questo bot, Facebook Netherlands ci offre una possibilità innovativa di raggiungere un grande pubblico, in particolare i giovani11.
Il museo Anna Frank raggiunge 1,3 milioni di visitatori ogni anno e la metà dei visitatori ha meno di 30 anni. Basato sull’Intelligenza Artificiale di deep learning di MSG.AI, il bot impara a comprendere il contesto delle domande per fornire contenuti, dare informazioni, e coinvolgere. «L’esperienza del consumatore digitale è sull’orlo del cambiamento più significativo dopo lo smartphone. La messaggistica sta diventando il nuovo browser e il gateway on-demand per la vita dei consumatori, con l’Intelligenza Artificiale che è la nuova interfaccia utente» ha dichiarato Puneet Mehta, Fondatore e CEO di MSG. AI, e ha aggiunto: «Con il nuovo bot, Anne Frank House offre ai consumatori l’esperienza digitale del futuro: personalizzata, informativa, immediata [..]. Siamo entusiasti che la piattaforma MSG.AI di deep learning sia parte di un programma così rivoluzionario»12. Nel video che trovate cliccando sul QR code aggiunge: «Artificial intelligence is all about humanizing technology and the Anne Frank House is all about that human connection». 74
Chattare con un dinosauro13
rb.gy/359t0t Message Máximo the Titanosaur, The Field Museum.
Nel 2018 il Field Museum of Natural History a Chicago in Illinois ha introdotto un chatbot davvero originale che ha avuto un grande successo: è Máximo, che permette di parlare con Máximo il Titanosauro. Bisogna dirlo: è un chatbot davvero ben studiato e molto divertente ed è ancora disponibile online – bisogna parlargli in inglese. Sulla pagina web dedicata a Máximo leggiamo: Attraverso la chat online puoi chiedere al nostro simpatico titanosauro com’era la vita durante il Periodo Cretaceo, come è arrivato al museo e persino il suo colore preferito o cosa gli piace mangiare.
Attraverso un’interfaccia molto semplice l’interlocutore di questa chat, il dinosauro Máximo, è in grado di rispondere a tutte le domande sulla sua vita, il periodo storico in cui è vissuto, i suoi gusti. E non solo. Ho provato più e più volte questo chatbot e dopo aver esaurito tutte le mie possibili domande, gli ho chiesto se per rispondermi usava l’Intelligenza Artificiale, e Máximo mi ha risposto: «Personalmente non sono abbastanza sicuro di come funzioni. Sono affascinato dalla tecnologia, soprattutto dopo essere stato sottoterra per 101 milioni di anni». Oltre a essere in grado di dare – tante! – informazioni, è anche simpatico. Il chatbot 75
Máximo è uno strumento valido e utile per avvicinare i più piccoli alla scoperta della storia di questo nostro mondo, e alla tecnologia contemporanea.
4, 5. Il chatbot del Field Museum of Natural History a Chicago in Illinois e una delle sale del museo.
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Il Chatbot che ti premia: il Museo Maxxi14
7. Il chatbot del Museo Maxxi.
Maxxi chatbot: «Ciao, sono il chatbot del museo e posso accompagnarti alla scoperta del Maxxi. Cercami su Facebook Messenger digitando @museomaxxi. Con me potrai accumulare Museum Coin. Ti aspetto!». Nel marzo del 2018, il Maxxi di Roma ha messo a disposizione un chatbot per andare alla scoperta delle collezioni ospitate in questo straordinario edificio progettato da Zaha Hadid. Chattando su Facebook Messenger si potevano avere risposte a tante domande pratiche: «Quali giorni è aperto il museo?», «Quali sono le mostre in corso?». Non solo. Durante la visita virtuale, si potevano accumulare i Museum Coin, le monete virtuali da spendere all’interno del Maxxi.
www.youtube.com/ watch?v=M3l4d18aXfI Maxxi chatbot.
I Museum Coin sono la moneta che puoi accumulare interagendo con il chatbot del Maxxi durante la tua visita al museo. Lungo il percorso puoi decidere se spendere Museum Coin al raggiungimento di tre livelli differenti: 300, 600 o 1.000 richiedendo, direttamente nella chat, il codice di utilizzo.
in base al proprio stato d’animo. Questo chatbot è stato realizzato in collaborazione con Engineering, leader italiano nella Digital Transformation, ed è rimasto attivo fino a giugno 2021.
Il progetto ha avuto una sua seconda release a maggio 2020: In base alle emozioni comunicate – rabbia, tristezza, gioia, paura etc. – il chatbot ti accompagnava a esplorare le opere del Maxxi suggerite
Il Museo del Domani che guarda al Futuro15
6. Il chatbot del Museo Maxxi.
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www.youtube.com/ watch?v=os_shHyK3-0 Museu do Amanhã, presentazione di Iris+.
Il Museu do Amanhã a Rio de Janeiro16 si definisce come «a Singular Museum in search of a plural future». Il curatore Luiz Alberto Oliveira ben descrive la mission del museo come la realizzazione di «una serie di esperienze in cui i visitatori possono gradualmente acquisire i mezzi e le risorse per vivere le possibilità del domani che si presentano già oggi». Non poteva mancare in questo museo un chatbot realizzato con l’Intelligenza Artificiale. IRIS+ è il progetto che permette ai visitatori di approfondire la loro esperienza al Museo del Domani. Costruito con IBM Watson, è stato sviluppato non solo per rispondere ai visitatori, ma anche per fare domande. 79
Nello specifico, IRIS+ è stato creato per interagire con il visitatore durante il percorso di visita alla Mostra Principale del Museu do Amanhã, con lo scopo di incoraggiare la riflessione sul ruolo della società di oggi e agire per un domani più consapevole e sostenibile. All’ingresso di questo museo – uno “spazio scientifico” che esamina il passato, illustra le tendenze del presente ed esplora possibili scenari per i prossimi 50 anni – il visitatore riceve la carta dell’assistente virtuale. Alla fine del percorso sono ubicati sei totem self-service, due dei quali sono a uso prioritario di persone su sedia a rotelle e di bambini. Il dialogo inizia quando il visitatore indica la sua principale preoccupazione in relazione a quanto ha visto e approfondito nel percorso di visita. IRIS+ presenterà progetti di varie organizzazioni, fondazioni e istituzioni brasiliane, previamente catalogati dal team del Museo di Domani, che potranno condurlo a un impegno sociale. Per realizzare IRIS+ è stata utilizzata l’API di programmazione delle applicazioni Watson Conversation Service (WCS) ospitata su IBM Cloud. L’applicazione è stata addestrata a rispondere alle domande e anche a porre domande, guidando un dialogo con i visitatori sui due principali assi tematici del Museo del Domani: supporto e convivenza.
8. Il chatbot delle Case Museo di Milano.
espone un prezioso corpus di opere: da Sandro Botticelli al Pollaiolo, da antichi arredi ottocenteschi ai pregiati orologi meccanici. La sfida che si sono proposte le Case Museo è stata quella di avvicinare e invogliare alla visita il pubblico adolescente. Coinvolgere i giovani è sempre un progetto ambizioso per un museo e lo è ancora di più se la realtà museale è costituita da realtà storica con opere che spaziano dai Fondi Oro al Novecento. Per raggiungere questo obiettivo le Case Museo hanno contattato la società di innovazione culturale, InvisibleStudio18 con sede a Londra, fondata da Giuliano Gaia e Stefania Boiano.
*** Quale progetto può coinvolgere un pubblico adolescente?
Case Study: un chatbot per le Case Museo di Milano Dopo aver visto come l’impiego di chatbot all’interno dei musei rappresenti uno strumento estremamente utile, versatile e attuale, vediamo ora nel dettaglio un progetto di successo che ha coinvolto e motivato i più giovani nella visita e scoperta delle Case Museo di Milano17. Una piccola premessa: le Case Museo di Milano sono costituite da quattro realtà: Museo Poldi Pezzoli, Museo Bagatti Valsecchi, Villa Necchi Campiglio e Casa Boschi di Stefano. Questi meravigliosi luoghi d’arte sono storiche case di collezionisti privati che hanno aperto le loro porte al pubblico. L’impianto è classico, spesso con muri importanti – da tener conto per la portabilità di Internet –, come ad esempio il Museo Poldi Pezzoli, aperto al pubblico sin dal 1881, che 80
www.invisiblestudio.net/museumchatbot-game Museum Chatbot Game.
Per rispondere a questa domanda il team di InvisibleStudio ha adottato un metodo di problem solving creativo – il Design Thinking –‚ studiando i punti di forza e di debolezza del pubblico giovane per individuare e creare un progetto ad hoc. Hanno tenuto conto di due fattori fondamentali: gli adolescenti sono un pubblico con alti livelli di distrazione e molta dimestichezza con l’uso dei social media. Una proposta interattiva come la gamification, attraverso lo sviluppo di un gioco con l’impiego di chatbot studiato e rivolto agli adolescenti, si è rivelata la scelta vincente. Il team di InvisibleStudio aveva sperimentato la tecnologia dei chatbot con un progetto pioneristico nel 2002, al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, quando 81
ancora la tecnologia non ne supportava bene l’uso – non c’erano ancora gli smartphone! Forti dell’esperienza maturata negli anni, per le Case Museo InvisibleStudio ha realizzato un gioco: una caccia al tesoro. Il chatbot è diventato quindi lo strumento per aiutare il pubblico a risolvere un gioco ambientato negli spazi fisici dei musei. Per partecipare si necessita solo di uno smartphone e attraverso Facebook e Messenger si può interagire con un personaggio virtuale, una giovane ragazza, che guida gli utenti alla scoperta di una serie di indizi nascosti per sconfiggere un misterioso mago del Rinascimento, realmente esistito. Il chatbot è diventato così un “compagno virtuale” in un percorso di gioco e scoperta che implica la visita nei musei. Prima del lancio finale, InvisibleStudio ha condotto un test operativo coinvolgendo adolescenti di età compresa tra i 16 e i 18 anni delle scuole superiori di Milano: Se i test avranno successo, nell’autunno 2016 offriremo ai musei la possibilità di provare le nostre chat. Pensiamo che i musei potrebbero essere attratti dall’idea di testare il potenziale delle piattaforme di messaggistica, sia come nuovo modo di coinvolgere il pubblico che come strumento di marketing per attirare nuovi visitatori19.
Ecco i risultati20: • Il 90% degli studenti è riuscito a completare il gioco • Il 30% ha avuto problemi di connessione • Il 34% era preoccupato per il traffico dati • L’88% ha scoperto che la lunghezza del gioco era giusta • Il 72% ha valutato il gioco come altamente divertente • Il 66% lo ha trovato un utile strumento di apprendimento, soprattutto se utilizzato insieme a un altro studente o condiviso in piccoli gruppi Il Gioco è stato completato da nove adolescenti su dieci e sette ragazzi su dieci si sono molto divertiti. Oltre al risultato positivo del test, gli sviluppatori hanno tenuto conto di due fattori: in primis agli studenti piaceva usare il chatbot in piccoli gruppi, poiché 82
9. Visita al Museo Poldi Pezzoli di Milano con l’assistenza del chatbot di InvisibleStudio.
il gioco andava a innescare una competizione amichevole con gli altri team (Boiano & Gaia 2017b). Il secondo punto riguarda il livello di narrazione con il chatbot che è stato reso più realistico e coinvolgente attraverso riferimenti diretti a oggetti e opere presenti nei Musei. Un “punto di debolezza” è stata la qualità della connessione: non sempre uniforme all’interno delle Case Museo che con le antiche e spesse pareti non permettono una buona qualità del wifi – problema oggi superato con gli ultimi modem disponibili sul mercato. Come hanno sottolineato gli autori di questo progetto, «altre sfide devono ancora essere affrontate»21: con la possibilità di API più aperte, i chatbot potrebbero essere migliorati e sviluppati per un pubblico potenzialmente più ampio e rivelarsi uno strumento utile per implementare il coinvolgimento nel percorso museale. Conclusione e riflessioni Per il Case Study sul chatbot ho selezionato il progetto delle Case Museo Milanesi per due motivi. Il primo: la società InvisibleStudio con l’approccio metodologico Design Thinking ha effettua83
to un’attenta analisi sul tema “portare i giovani al museo” trovando come soluzione – e sperimentandolo con successo – il progetto del chatbot sviluppato come caccia al tesoro. I giovani oggi hanno molta dimestichezza con tutte le nuove tecnologie ed è difficile – direi impossibile – trovare in un museo un solo adolescente che non usi il suo smartphone. Trasformare quindi uno strumento, lo smartphone, che potrebbe essere solo una “distrazione” nel percorso museale, in uno strumento di supporto e di coinvolgimento per la visita stessa, è un importante punto di riflessione. Tuttavia, sebbene vi siano stati molti casi di successo di questa tecnologia, deve ancora essere migliorata. Una prossima evoluzione di un chatbot con migliore qualità narrativa e con l’inserimento della realtà aumentata potrebbe rivelarsi vincente, coinvolgente e soprattutto educativa. Arriviamo al secondo motivo: ci sono realtà museali che per la loro struttura consentono l’inserimento fisico di pannelli interattivi e guide robotiche all’interno del percorso di visita. Pensiamo ai grandi musei americani di recente costruzione con ampi spazi espositivi e percorsi moderni: in questi ambienti è facile introdurre una tecnologia fisica – già c’è! – come un grande totem multimediale che interagisce col pubblico o una guida robotica che accompagna il visitatore. Ma quando si parla di piccole realtà museali e nello specifico di antica costruzione, oltre all’impossibilità concreta di introdurre interfacce fisiche, si rischia di snaturare e alterare la conformazione di una struttura espositiva che per la sua storicità è già un’attrazione. In Europa abbiamo tantissime piccole realtà artistiche: un esempio ne è la miriade di meravigliose chiese ubicate in piccoli paesi che ospitano al loro interno preziose pale o straordinari affreschi. Non possiamo certo alterare l’impianto strutturale di grande pregio storico e artistico di queste realtà, ma dobbiamo studiare un percorso di visita ad hoc per valorizzarle. Sempre in questa analisi includo i parchi e i giardini storici laddove l’installazione è il giardino stesso e, per queste realtà, un supporto per approfondirne il percorso di visita sarebbe davvero importante. Una proposta per valorizzare queste realtà e coinvolgere anche i più giovani potrebbe essere proprio un chatbot inteso in un’ottica di sviluppo con la realtà aumentata o un assistente virtuale intelligente. Il chatbot ha la potenzialità di 84
unire una componente sociale, culturale e tecnologica, e di offrire un percorso di scoperta sotto forma di gioco come la caccia al tesoro, o di approfondimento. Immagino un percorso di visita nelle chiese piemontesi sotto forma di caccia al tesoro supportata dalle scuole locali. Oppure una visita a un giardino alla francese nella campagna fuori Parigi con la possibilità di conoscere la storia delle sue essenze botaniche attraverso una chat. Vorrei sottolineare che una visita in un museo è un’esperienza unica, preziosa, emotiva, personale e sempre educativa. La contemplazione fisica, l’intima emozione e la riflessione personale davanti a un’opera d’arte è insostituibile. Nessun mezzo potrà mai sostituire quel coinvolgimento dato dalla contemplazione della Gioconda di Leonardo, delle Tre Grazie di Canova, di un grande dipinto di un artista della Hudson River School o di un ritratto di Botticelli. Il chatbot va quindi inteso come uno strumento di supporto al coinvolgimento e come uno strumento di approfondimento – che reputo possa essere ben impiegato anche a livello scolare, visto il risultato positivo raccolto dal progetto della InvisibleStudio. Oltre a queste due importanti considerazioni ne aggiungo una terza: dobbiamo sempre pensare che il museo è un’istituzione volta alla fruizione pubblica e la nostra popolazione è composta da un’alta percentuale di persone disabili. Il chatbot potrebbe rivelarsi uno strumento utile per il percorso di inclusione di persone con disabilità. Pensiamo per esempio a integrare il percorso di visita museale con persone non vedenti che possono conoscere le opere d’arte con un assistente vocale connesso a un pannello che prenda la forma 3D delle opere esposte – una visione, ma ci arriveremo. Il Museu do Amanhã a Rio de Janeiro ha messo a disposizione due dei suoi totem del chatbot IRIS+ per persone su sedia a rotelle, e la possibilità di parlare – oltre che scrivere – lo rende accessibile anche ai non udenti. Ricordiamolo sempre: la cultura è per tutti, deve essere inclusiva, e l’Intelligenza Artificiale si sta dimostrando una valida risorsa in questo percorso di sviluppo e inclusione.
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Le nuove guide robotiche
«I robot erediteranno la terra? Sì, ma saranno i nostri figli.» Marvin Minsky Creare sistemi meccanici autonomi e intelligenti, un alter ego vivente, è sempre stato un desiderio dell’uomo. Dai miti antichi alla letteratura più recente, troviamo un’infinità di racconti di esseri “artificiali” che prendono vita: dal Golem, il gigante d’argilla della tradizione ebraica, al Pinocchio di Collodi, il burattino di legno che diventa un bambino, fino a Roy Batty nel film di fantascienza Blade Runner, tratto dal romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
1. RoboThespian, Engineered Arts Ltd, Falmouth.
In questo capitolo espongo in estrema sintesi la storia della nascita dei robot, la loro evoluzione nel corso dei secoli fino alle nuove tipologie attualmente impiegate nel mondo museale. La robotica moderna affonda le sue radici in un’affascinante storia di ardite invenzioni meccaniche e oggi è arrivata a coinvolgere molteplici discipline quali l’informatica, la cibernetica, la meccanica, l’elettronica, la meccatronica e l’Intelligenza Artificiale – per citarne solo alcune. Ma cos’è un robot? Tra le tante definizioni, Hans Moravec, Principal research scientist presso il Carnegie Mellon University Robotics Institute, in un’intervista del 1997 definiva il robot universale come: 87
Una macchina che può essere programmata per svolgere molti lavori diversi. È analogo a un computer, che è un processore di informazioni universale, tranne per il fatto che le sue capacità si estendono al mondo fisico1.
Mi piace questa definizione perché sottolinea la peculiarità della fisicità del robot ovvero la caratteristica che lo contraddistingue dalle altre macchine. E ancora per raffinare la definizione di robot, Michael Brady, fondatore del Robotics Research Group dell’Università di Oxford scrive che «la robotica è quel campo che si occupa della connessione della percezione all’azione»2, e prosegue: «L’Intelligenza Artificiale deve avere un ruolo centrale nella robotica se la connessione vuole essere intelligente». Chi ha inventato la parola “robot”? La parola robot è stata usata per la prima volta nel romanzo R.U.R. (Rossum’s Universal Robots) dello scrittore ceco Karel \apek, un romanzo di fantascienza pubblicato nel 1920. Nel libro lo scrittore usa la parola robota per descrivere l’operaio artificiale: la macchina che svolgeva il “lavoro faticoso”. R.U.R. ottiene un grande successo e viene rappresentato in molti teatri da New York a Praga ed ecco la rapida diffusione del termine robot, assimilato in quasi tutte le lingue del mondo. In realtà, il vero inventore della parola fu il fratello di Karel, Josef – scrittore e pittore cubista – che suggerì robot al posto dell’originario “labor”. Troviamo il termine inglese robotics per la prima volta nel racconto di fantascienza Bugiardo! (Liar!, 1941) dello scrittore Isaac Asimov. Sempre ad Asimov si deve l’invenzione delle Tre Leggi della Robotica3 enunciate nel racconto Runaround (1942)4 incluso anche nell’antologia Io, Robot. Quando è stato creato il primo robot? Dalle creazioni meccaniche ai robot L’uomo si è cimentato nella creazione di macchine in grado di eseguire specifiche funzioni fin da tempi antichissimi. In que-
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Le tre Leggi della robotica scritte da Isaac Asimov 1.
Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
3.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
sta sede accenno solo alcuni dei momenti di questa lunga storia. I primi esperimenti hanno dato origine a ingegnose realizzazioni meccaniche in grado di compiere specifici movimenti. Già nel I secolo d.C. il matematico e fisico greco Erone di Alessandria ideava e costruiva automi, invenzioni visionarie per l’epoca. Ancora più indietro nel tempo, nel IV secolo a.C., Aristotele ci parla di automi e ci racconta di una visione: Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo e, come dicono che fanno le statue di Dedalo o i tripodi di Efesto, i quali, a sentire il poeta, “entrano di proprio impulso nel consesso divino”, così anche le spole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi5.
Tra il 1204 e il 1206 lo scienziato arabo Al-Jazari scrive il Libro della conoscenza dei meccanismi ingegnosi dalla cui lettura possiamo comprendere quanto fosse avanzata la ricerca tecnologica nel Vicino Oriente. Nel XVI e XVII secolo vengono realizzati straordinari orologi che sono veri capolavori di ingegneria e oreficeria. Proprio mentre scrivevo questo capitolo sono andata al MUDEC di Milano per la mostra Robot. The Human Project e ho potuto ammirare oggetti meccanici antichi tra cui anche la ricostruzione di un primo progetto di un automa a opera di Leonardo da Vinci:
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Alle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, mi ha stupito l’incredibile automa seicentesco dello schiavo incatenato6: ha le sembianze di un diavolo ed è in grado di agitarsi e urlare terrorizzando gli ospiti. Percorrendo la storia degli automi arriviamo in Giappone, forte di una tradizione e cultura ingegneristica che affonda le sue radici nel XVII secolo quando gli artigiani-meccanici giapponesi crearono le Karakuri, straordinarie bambole meccaniche in grado di compiere azioni finite: per esempio potevano danzare o servire il tè, oltre a essere esteticamente molto ricercate. Tra il ’600 e il ’700 abbiamo svariate realizzazioni di animali meccanici e automi, ma dobbiamo aspettare il 1738 per vedere il primo automa funzionante in senso moderno: creato da Jacques de Vaucanson, questo robot era in grado di suonare il flauto, ossia di eseguire autonomamente una serie di movimenti complessi.
un leone meccanico semovente, presentato nel 1515 in segno di omaggio al nuovo re di Francia Francesco I in occasione del suo ingresso a Lione. In mostra, tra le creazioni meccaniche antenate dei robot, c’era il “Gioco potorio a forma di Diana Cacciatrice a cavallo di un cervo”. Si tratta di un Trinkspiele, ossia un congegno pensato per divertire i commensali: di certo riusciva nel suo intento grazie a un meccanismo che gli permetteva di muoversi ruotando su sé stesso.
2. Ricostruzione funzionante del leone meccanico semovente progettato da Leonardo da Vinci. Luca Garai e Opera Laboratori fiorentini, 2005. © Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
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Dopo tante e strabilianti realizzazioni meccaniche nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, arriviamo ai nostri anni ’60 quando, grazie a un’avanzata evoluzione tecnologica, i robot vengono largamente impiegati come supporto nella produzione industriale: nascono i robot della prima generazione, non più creazioni meccaniche ma veri e propri dispositivi robotici. Siamo nel 1961 quando la General Motors introduce il primo robot industriale produttivo nella sua fabbrica di automobili in New Jersey. Questi robot erano sostanzialmente macchine programmabili che non comunicavano con l’esterno. Erano soprannominati “robot fracassoni” per il rumore che emettevano poiché i loro bracci meccanici urtavano contro dei fermi posti per limitarne i movimenti. Dalla prima alla seconda generazione di robot il passo è molto breve. I robot di seconda generazione sono più evoluti rispetto ai primi: compiono azioni specifiche e strutturate, interagiscono con l’ambiente esterno e hanno una migliore strategia di controllo – alcuni sono dotati anche di servocontrollo. Per arrivare ai robot della terza generazione il passo è stato invece molto grande. Questi robot, infatti, sono macchine evolute che possiedono un’Intelligenza Artificiale: hanno la capacità di agire in autonomia e di elaborare dati acquisiti a livello sensoriale 91
al fine di regolare il loro movimento. Alcuni sono in grado di migliorarsi per eseguire nuovi compiti e possono superare l’uomo in efficienza in determinate azioni come il processo di saldatura. È importante rilevare che i robot, a differenza dei computer, sono dotati di capacità percettiva che attraverso dei sensori permette loro di percepire la propria posizione: dispongono infatti di sensori tattili o di telecamere per la percezione visiva. I robot di terza generazione, databili dalla fine degli anni Ottanta, possono svolgere già operazioni altamente sofisticate: dalle ispezioni spaziali alla saldatura ad arco adattiva. E i robot di oggi?7 Arriviamo ai robot 4.0 ossia i robot della Quarta rivoluzione industriale di cui fanno parte i robot industriali tecnologicamente più avanzati: “gli umanoidi”, ossia robot autonomi molto sofisticati, e infine “gli androidi” che differiscono sostanzialmente nell’estetica: gli umanoidi replicano infatti le fattezze umane somigliando a tutti gli effetti a delle persone.
www.youtube.com/ watch?v=U7jf3MYL3Xg&t=17s Shimon the robot jamming with a human marimba player at Moogfest.
shorturl.at/epPX6 Robots: from programming to learning. Torsten Kröger, TEDXKIT.
I robot industriali e i cobot – robot collaborativi – sono stati utilizzati inizialmente nei settori produttivi al fine di automatizzare le
4. Il robot Shimon suona la marimba combinando la modellazione computazionale della percezione musicale, dell’interazione e dell’improvvisazione, con la capacità di produrre risposte acustiche melodiche.
industrie per accelerarne i tempi di produzione abbattendone i costi: sono robot i moderni bracci meccanici che troviamo sulle linee di assemblaggio o di immagazzinaggio delle più svariate aziende. Ma i robot di oggi sono utilizzati in molteplici settori: nel campo della medicina come ausilio, tra i tanti, in interventi chirurgici complessi fino a sostituire i medici in specifiche operazioni di alta precisione. Nelle missioni esplorative, dallo spazio ai fondali marini grazie alla capacità di muoversi su terreni accidentati, o sono utilizzati per intervenire in supporto all’uomo in pericolosi casi d’emergenza: li abbiamo visti all’opera tra macerie e tetti in fiamme nel rovinoso incendio di Notre Dame de Paris nell’aprile 2019. Per finire esistono robot musicisti8 in grado di suonare improvvisando come Shimon con la sua marimba, perché i robot 4.0 sono autonomi, collaborativi, interagiscono con l’uomo: sono “robot sociali”, e così il robot è diventato anche uno strumento a supporto dell’interazione riprendendo la tradizione antica degli automi di intrattenimento. Per questa loro funzione specifica di interazione sociale li troviamo oggi anche a interagire e supportare il pubblico durante il percorso di visita nei musei. Dalla visione di Aristotele, con la quarta generazione di robot siamo giunti al futuro: i robot oggi imitano e riproducono sempre
3. Sophia, l’androide sviluppato dalla compagnia di Hong Kong Hanson Robotics Limited.
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5. Il robot Pepper.
più efficacemente le azioni e le funzioni umane. E si apre un grande dibattito sulla questione etica. I robot nei musei Molti musei nel mondo si sono affidati alle ultime tecnologie robotiche e con successo. Nei luoghi d’arte possiamo incontrare due diverse tipologie di robot: le guide robotiche che accompagnano il visitatore alla scoperta delle collezioni e i robot teleguidati. Entrambi svolgono funzioni a supporto del visitatore per coinvolgerlo, per fornire informazioni aggiuntive o per permetterne una visita da remoto. Uno degli esempi di successo è Pepper9, un robot umanoide progettato nel 201410 dalla SoftBank Robotics con la capacità di leggere le emozioni, di coinvolgere il visitatore e di supportarlo nel percorso di visita. Pepper è il primo robot emotivo, progettato per essere un assistente in grado di comprendere e reagire alle principali emozioni umane e di comprendere anche il messaggio sotteso a un diverso tono di voce: è realmente sorprendente! Guardando Pepper di primo acchito sembra d’interfacciarsi con un semplice robot ma non lasciatevi ingannare dalla sua sim94
www.youtube.com/ watch?v=N9aeg4PUxZI After Dark at Tate Britain. www.youtube.com/ watch?v=AHZ1AhdUS_M The Smithsonian’s newest guide is the robot Pepper.
patia e dalla sua estetica. Pepper è un robot estremamente sofisticato soprattutto nella sua ultima versione: nel 2016 IBM e SoftBank Robotics11 hanno siglato un accordo per integrare in Pepper il sistema di Intelligenza Artificiale IBM Watson – ne abbiamo parlato nel capitolo sui Chatbot – consentendo agli sviluppatori e ai clienti di personalizzare l’esperienza d’interazione. Cosa fa Pepper? Fornisce informazioni aggiuntive sulle opere poiché dispone di uno schermo di supporto integrato, risponde alle domande e intrattiene i visitatori. La sua semplicità a livello di interazione è sicuramente il suo punto vincente. Pepper non nasce per sostituire le guide museali ma per offrire al visitatore uno strumento di maggiore godimento, personale e culturale, nel percorso di visita. La seconda tipologia di robot che possiamo incontrare nei musei è il robot teleguidato che permette la visita al museo da remoto. Qual è la differenza tra una visita virtuale e una visita con un robot teleguidato? La risposta è semplice ma non scontata. Con i virtual tour si può accedere online alle collezioni di un museo seguendo uno schema di visita specifico e regole di fruizione predefinite: manca l’elemento sociale che è una caratteristica intrinseca di una visita in un luogo d’arte. Con un robot teleguidato si ha la possibilità di guidare un avatar all’interno del museo scegliendo il percorso che si preferisce e si ha l’opportunità di interagire con il pubblico fisicamente presente in loco. L’esperienza rimane sicuramente virtuale ma è interattiva, personalizzata e “umanizzata”. Nel 2014 il museo Tate Britain12 ha messo a disposizione quattro robot controllati a distanza per cinque notti dalle 22 di sera alle 3 del mattino. Il pubblico ha potuto accedere a un’applicazione chiamata Web After Dark per seguire un tour del museo da remoto a luci spente. Migliaia di persone in tutto il mondo hanno partecipato a questo evento. Nel video Web After Dark, l’astronauta Chris Hadfield – che ha guidato i robot Canadarm e Canadarm III nello spazio – ci racconta: Il robot e le tue mani diventano un’estensione della tua mente: è così che dovrebbe essere la tecnologia.
Quando nel 2020 la pandemia da Covid-19 ha imposto un lockdown mondiale, molti musei hanno introdotto i robot per offrire al 95
Double 3 è stato usato in Italia dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma ed è attualmente impiegato al MUDEC per visitare le collezioni. È stato usato anche dagli apparati scolastici che, in Italia e in Europa, hanno dovuto gestire la didattica a distanza durante i periodi di lockdown nel 2020, così come da tutte le persone impossibilitate a recarsi fisicamente in un museo ma desiderose di visitarlo. Personalmente credo che la pandemia ci abbia portato a riflettere su quanto, per molti di noi, la fruizione della bellezza anche solo attraverso la visita virtuale di un museo, sia un bene necessario. E questa riflessione mi porta a introdurre un tema tanto importante e sempre attuale: l’inclusione in ambito museale. Se le guide robotiche possono offrici l’opportunità di visitare musei ubicati in città lontane, per le persone disabili costituiscono un nuovo strumento utile, se non indispensabile, per accedere ai musei, vicini o lontani che siano. Questa è una grandissima opportunità offerta dai robot: persone impossibilitate a muoversi per malattie o problematiche fisiche che ne limitano la mobilità, possono accedere a una esperienza museale che, pur virtuale, con queste tecnologie risulta completa e coinvolgente. Grazie all’impiego delle tecnologie di ultimissima generazione e dell’Intelligenza Artificiale, questa opportunità è estendibile anche a persone colpite da malattie fortemente o purtroppo totalmente invalidanti come vedremo nel prossimo case study.
pubblico l’opportunità di visitare le collezioni senza uscire da casa. Ad esempio, l’Hastings Contemporary, un museo nel sud dell’Inghilterra vicino a Brighton, ha messo a disposizione dei robot teleguidati che accompagnati da un membro dello staff potevano muoversi lungo i percorsi interni e visionare la maggior parte delle opere esposte nei suoi spazi. Il robot teleguidato usato all’Hastings Contemporary è Double 3, realizzato dalla californiana Double Robotics13. È un robot dotato di uno schermo, di microfoni e altoparlanti, e che grazie a particolari sensori può essere teleguidato dal PC o dal cellulare. La possibilità di muovere questo robot liberamente e scegliere dove andare e cosa vedere, ci permette di realizzare e seguire un percorso individuale. Quando sono andata al MUDEC per l’inaugurazione della mostra sui Robot ho potuto parlare con uno dei curatori, che non poteva essere fisicamente presente, proprio tramite robot: io passeggiavo mentre il curatore mi illustrava gli oggetti esposti parlandomi dallo schermo di Double 3 che mi camminava a fianco.
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Case Study: BrainControl Avatar Crediamo che l’innovazione tecnologica debba innanzitutto portare un miglioramento nella qualità di vita delle persone. BrainControl Avatar14
6. Il robot teleguidato Double 3 nella Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma. Courtesy Beyond International.
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Molte ricerche hanno ampiamente dimostrato come la presenza umana quindi la socialità costituisca una delle motivazioni che porta l’uomo a visitare un museo o una mostra. La cultura è anche aggregazione, lo è sempre stata. Secondo i dati Istat, in Italia ci sono 3,1 milioni di persone disabili che costituiscono il 5,2% della popolazione15. È importante sottolineare che: 97
Una ricca vita culturale può avere impatti significativi sulla soddisfazione delle persone per la vita nel suo complesso. L’effetto positivo della partecipazione culturale sulle persone con limitazioni gravi è rilevante. Infatti, tra coloro che, nonostante gravi disabilità, sono attivi nell’andare al cinema, al teatro, ai concerti o a frequentare luoghi del patrimonio, una persona su tre si dichiara molto soddisfatta della vita16.
Abbattere le barriere e dare accesso ai luoghi d’arte alle persone diversamente abili è un passo necessario e irrinunciabile per una piena inclusione sociale. L’art. 6 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.L. 42/2004) ribadisce che la valorizzazione del patrimonio culturale consiste anche nell’«assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili al fine di promuovere lo sviluppo della cultura [...]». La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, rettificata dal Parlamento italiano nel 2009, impegna gli stati membri a rimuovere ogni ostacolo per permettere alle persone con limitazioni una partecipazione attiva alla vita culturale. Attualmente si sta lavorando per abbattere queste barriere, tangibili e intangibili, ma ancora nel 2015 solo il 37,5% dei musei pubblici e privati italiani erano attrezzati con strutture idonee per disabili. Se il tema dell’accessibilità ai luoghi d’arte per le persone diversamente abili è oggi di estrema attualità, ancora poco si parla di accessibilità per quelle persone affette da disabilità gravi o limitazioni fisiche tali da essere costrette all’immobilità. Parliamo per esempio di persone che soffrono di malattie neuromuscolari degenerative come la sclerosi laterale amiotrofica o la sclerosi multipla, o che presentano danni cerebrali di origine ischemica o traumatica. L’abbattimento delle barriere architettoniche in questi casi non è certo sufficiente per consentire loro l’accessibilità ai luoghi di cultura. Può l’Intelligenza Artificiale essere d’aiuto per le persone diversamente abili nel percorso di accessibilità ai luoghi d’arte e cultura? La risposta è sì. Un progetto di successo che utilizza proprio l’IA al servizio dell’inclusione sociale è BrainControl Avatar17. 98
www.youtube.com/ watch?v=SMEUUsALXYw BrainControl Avatar – Inclusione sociale senza limiti.
Si tratta di un progetto tutto italiano realizzato dalla società Liquidweb S.r.l. operativa nel settore HCI (Human Computer Interface), fondata dall’Ingegnere Pasquale Fedele che me ne ha illustrato il funzionamento: BrainControl Avatar è un robot teleguidato utilizzabile da persone diversamente abili, persino da persone affette dalla sindrome Locked-In completely (LIS). È un alter ego in grado di muoversi all’interno degli spazi di un museo in modo del tutto autonomo, di osservare gli oggetti in maniera ravvicinata e interagire con il pubblico presente. Recentemente alcuni musei nel mondo si sono dotati di alter ego robotici teleguidati. Ne è un esempio il Van Abbemuseum di Eindhoven nei Paesi Bassi: oltre a essere davvero ben organizzato per l’accoglienza delle persone diversamente abili, offre la possibilità di una visita con un robot da remoto alle persone che non possono accedere fisicamente per disabilità o per lontananza. Al momento della prenotazione sul sito del museo viene inviato all’utente un programma per teleguidare il robot. Il Van Abbemuseum si è posto all’avanguardia nel campo dell’inclusione e con una particolare nota d’attenzione al tema della socialità e dell’interazione poiché sarà una guida ad accompagnare il robot, e quindi l’utente, durante tutta la visita. BrainControl Avatar ha fatto un ulteriore passo avanti in questa direzione perché è in grado di integrare differenti modalità di interazione, ed è proprio qui l’innovazione di maggior rilievo di questo progetto: l’alter ego robotico può essere guidato da un simulatore di mouse, da un puntatore oculare, e dalla modalità BCI (Brain-Computer Interface) che interpreta e classifica le onde cerebrali generate dal movimento immaginato. In pratica il dispositivo offre modalità di interazione atte a essere gestite da persone che possono muovere anche solo una piccola parte del corpo, le palpebre o un dito, e che conservano intatte le facoltà cognitive. Lo scopo di BrainControl è aiutare le persone con deficit fisici tali da precludere ogni movimento ad accedere a musei, mostre e luoghi d’arte, che come abbiamo detto sono attività che migliorano, o contribuiscono a migliorare, le condizioni di vita. 99
Con BrainControl Avatar, siamo in grado di creare esperienze di visita e di interazione sociale completamente da remoto. L’avatar si muove negli spazi reali, guidato dal paziente che può così vivere un’esperienza sociale e culturale totalmente immersiva e senza precedenti18.
Attraverso questo robot è possibile visitare una mostra o un luogo d’arte: si può regolare autonomamente l’audio e l’altezza del campo visivo per osservare i dettagli di un’opera o leggerne le didascalie. Il visitatore da remoto può inoltre rendersi visibile per relazionarsi e interagire faccia a faccia con il pubblico o con la guida.
7. BrainControl Avatar, nelle stanze del Museo Civico di Siena.
che può fare delle nuove tecnologie. È stata coniata una parola per indicare l’etica applicata alla robotica ed è la “roboetica”19, ovvero la disciplina che studia le implicazioni morali, etiche, sociali, umanitarie, culturali ed ecologiche della robotica. Ricordiamo che l’etica è un valore umano: è l’etica degli uomini, è quel cielo stellato che gli occhi di un robot non potranno mai vedere. Forse.
La storia di questo progetto ha inizio nel 2014, quando l’ingegnere Pasquale Fedele vede per la prima volta Surrogates, un film di fantascienza in cui gli uomini si trovano a guidare avatar robotici. Assistendo alla nascita di questi avatar, creati inizialmente per aiutare persone con difficoltà motoria, nasce l’idea di BrainControl Avatar, che rappresenta oggi una realtà di rilevante portata nel campo dell’inclusione sociale attraverso l’innovazione tecnologica. Presentato con successo al Museo Santa Maria della Scala di Siena nel 2020, è un esempio di come l’uso dell’Intelligenza Artificiale applicata alle guide robotiche porti a risultati straordinari a supporto dell’inclusione per persone con gravi e gravissime disabilità. Un alter-ego robotico che ci auguriamo di vedere sempre più presente nei musei di tutto il mondo. Riflessione Due cose riempiono la mente con sempre nuova e crescente ammirazione e rispetto, tanto più spesso e con costanza la riflessione si sofferma su di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. dalla Critica della ragion pratica, epitaffio sulla tomba di Immanuel Kant
Quali discussioni etiche possono scaturire dal fatto che oggi i robot non hanno coscienza? Alla base delle riflessioni etiche che in questo millennio si stanno affrontando c’è l’idea dell’uomo e l’uso 100
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Il potere dei social (e il loro lato oscuro)
«Il computer più nuovo al mondo non può che peggiorare, grazie alla sua velocità, il più annoso problema nelle relazioni tra esseri umani: quello della comunicazione. Chi deve comunicare, alla fine, si troverà sempre a confrontarsi con il solito problema: cosa dire e come dirlo.» Bill Gates L’uso dei social
1. La visita nei musei supportata dallo smartphone.
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Negli ultimi anni la comunicazione è cambiata in moltissimi ambiti, dal mondo dell’industria al mondo culturale. Per promuoversi e promuovere i propri prodotti, oltre alla strategia pubblicitaria tradizionale della carta stampata o del digitale, le aziende devono fare i conti con i social media la cui portata oggi è assolutamente impossibile ignorare. Perché? Rispondo con i dati. Secondo uno dei più importanti report1 circa la metà della popolazione mondiale, ossia 3,8 miliardi di persone, utilizza regolarmente i social media. Una persona d’età compresa tra i 16 e i 64 anni mediamente è collegato online per 6 ore e 43 minuti al giorno. Questo significa che nel 2020, collettivamente, abbiamo trascorso online l’equivalente di 1,25 miliardi di anni. Più di un terzo di questo tempo, 2 ore e 24 minuti al giorno, viene speso sui social. L’uso dei social2 è un trend in crescita. Il numero degli utenti attivi nel 2020 è aumentato del 9,2% rispetto all’anno precedente. Sul podio delle piattaforme più usate troviamo Facebook con 2.449 milioni di utenti seguito da YouTube (2.000 milioni), 103
Il grande cambiamento dovuto allo sviluppo dei social riguarda soprattutto gli utenti che da fruitori di informazioni diventano produttori di contenuti e hanno inoltre la possibilità di divulgare il o i contenuti – dalla foto alla notizia – di altri utenti, creando così un effetto di visualizzazione pluri-condivisa. I social costituiscono quindi delle reti partecipate in cui gli utenti non solo condividono i contenuti pubblicati ma interagiscono tra loro e in tempo reale.
2. La diffusione nel mondo dei supporti di telefonia mobile e l’utilizzo di Internet e dei social media. Screenshoot dal report Digital 2020, Global Digital Overview by We are Social & Hootsuite.
In quale modo i social utilizzano l’Intelligenza Artificiale?3
WhatsApp (1.600 milioni), FB Messenger (1.300 milioni), WeChat (1.151 milioni), Instagram (1.000 milioni) e TikTok (800 milioni). Con questi dati alla mano, dobbiamo ben riconoscere quanto sia importante oggi la comunicazione specifica sui social. Come è cambiata la comunicazione virtuale con i social? Prima della nascita dei social un utente visualizzava i contenuti di proprio interesse unicamente sui siti Internet: era un semplice fruitore di informazioni online. Con la nascita del web 2.0 abbiamo assistito alla nascita dei social ovvero di piattaforme di interazione sociale e condivisione di informazioni, foto, video e audio. SixDegrees, il primo social, nasce nel 1997 e pur senza raggiungere il successo desiderato, aprirà le strade alle piattaforme basate sulla registrazione di un utente che crea il proprio profilo personale online per comunicare con altri utenti. Negli anni ’90 le connessioni Internet non erano ancora largamente diffuse e questo fattore non contribuì allo sviluppo di SixDegrees. Diversamente pochi anni dopo il numero degli utenti con accesso a una rete Internet si era implementato e quando Mark Zuckerberg, il 28 ottobre 2003, mise online Facemash, l’antenato di Facebook, per connettere gli studenti di Harvard, nelle sole prime quattro ore registrò 450 visitatori. Il 4 febbraio 2004 nascerà la prima versione di Facebook destinato a diventare una delle piattaforme digitali più visitate al mondo. 104
www.youtube.com/ watch?v=H7MG2AIFoIg Bernard Marr: how Facebook is using Artificial Intelligence (AI).
Per capire come i social media utilizzino l’Intelligenza Artificiale dobbiamo parlare di Big Data e come abbiamo visto tanti dati costituiscono il terreno fertile per gli algoritmi. Nel 2001 Doug Laney, Vicepresidente e Service director della Meta Group, introduce e descrive in un report le 3V dei Big Data: Volume, Velocità, Varietà4. Un modo semplice per descrivere grandi “masse” di dati estesi in termini di volume, velocità e varietà generati dall’evoluzione delle tecnologie e ovviamente dallo sviluppo del digitale e di Internet. Con il passare degli anni alle 3V sono state aggiunte due nuove V volte a indicare nel dettaglio come questi nuovi dati dovrebbero essere. Le due nuove V sono Veridicità – «Bad data is worse than no data (I dati sbagliati sono peggio di nessun dato)» – e Variabilità, intesa anche come formato: dall’immagine all’informazione scritta. A queste 5V vorrei aggiungere anche la V di Valore, poiché oggi i dati rappresentano un nuovo “oro”. Possiamo immaginare i social, da Facebook a Instagram, come contenitori di Big Data. Vediamo quali sono gli scopi delle diverse piattaforme social – per piattaforme social media mi riferisco a Twitter, Facebook, Instagram, TikTok e Linkedin – per poi andare a vedere come funzionano i loro algoritmi: INSTAGRAM:
il suo scopo è creare e condividere contenuti accattivanti e decisamente personali tra utenti con interessi analoghi e nella connessione raggiungere ed esercitare un potere fortemente influente. TIKTOK: è la piattaforma leader dei video brevi ed è rivolta soprattutto ai teen-ager. La sua missione è ispirare creatività e portare buonumore. 105
TWITTER: rappresenta l’attualità “in diretta”: gli utenti, spesso in dialo-
go tra loro, forniscono un aggiornamento personale, live e non-stop, su cosa sta succedendo – chi come cosa dove e perché. FACEBOOK: lo scopo è dare alle persone l’opportunità di porsi personalmente in contatto con chiunque nel mondo e il potere di costruire o costituire una comunità pur virtuale ma con scopi o interessi condivisi. LINKEDIN: è una piattaforma di presentazione e collegamento tra professionisti di tutto il mondo per agevolare le opportunità di contatto e di successo in ambito lavorativo. Se i social sono dei contenitori di Big Data, come gestire tutto questo flusso di informazioni, foto, post e video, creando per ogni utente la possibilità di vedere ed esplorare contenuti che siano il più pertinenti possibile ai suoi propri interessi? Attraverso gli algoritmi. Uno dei più famosi è l’algoritmo di Instagram, e quello di TikTok per i più giovani. Adulto o adolescente, l’utente può non sapere cosa sia oggi l’Intelligenza Artificiale ma se è un utente attivo di Instagram, sa perfettamente quanto sia importante quell’algoritmo. Gli algoritmi giocano infatti un ruolo chiave nel selezionare le informazioni che ci raggiungono sui social, e se pur funzionano in modo diverso tra loro, hanno tutti molto in comune: in base alle azioni che compiamo sui social, l’algoritmo ci suggerisce stories, post e video da visualizzare e con cui interagire. Per esempio, l’algoritmo di Facebook valuta ogni post che viene pubblicato assegnandogli un punteggio e disponendolo seguendo un ordine di interesse crescente o decrescente per ogni utente. Lo scopo di questo algoritmo è che l’utente trovi sempre contenuti pertinenti, inclusi inserti pubblicitari rispondenti ai suoi interessi. Quali sono i fattori che determinano il posizionamento di un post? Anzitutto la relazione tra gli utenti: il post è stato pubblicato da una persona con la quale interagiamo? Che sia un amico o un personaggio pubblico, vengono prese in considerazioni anche le interazioni passate: dal like (“mi piace”) al follow (“segui”). Si considera poi il tipo di contenuto: è un media che prediligiamo? La novità: il post è recente? La popolarità: è un post che ha coinvolto anche i nostri amici? 106
Un esempio: se il direttore di un museo che io seguo e di cui spesso commento i post, pubblica una foto – che tra i media è quello che prediligo – e io interagisco, Facebook mi proporrà quel post tra i primi da visualizzare. Nel mio caso seguo molte pagine dedicate all’arte sulle quali interagisco e, puntualmente, i post e le stories che i social mi presentano, nel 90% dei casi, provengono dal mondo dell’arte: dai post degli artisti alle stories dei musei che i miei contatti hanno apprezzato. Lo stesso vale per le pubblicità: dalla sponsorizzazione di una mostra a un nuovo libro d’arte spesso con richiesta call to action ovvero sollecitando l’acquisto di un biglietto o del volume poiché – ricordiamolo – uno scopo dei social è sottoporci anche offerte pubblicitarie in linea con i nostri gusti o i nostri interessi. Con i media tradizionali tutte queste possibilità di contatto diretto e immediato con l’utente o il suo target di riferimento non esistono, esistono invece con i social media proprio grazie a questi algoritmi e alla possibilità di creare advertising o sponsorizzazioni di post e stories selezionando a priori il pubblico. Questo vale sia per i brand privati sia per le istituzioni pubbliche come ad esempio un museo. Sostanzialmente, gli algoritmi che lavorano sui social sono ottimizzati in base alle preferenze dell’utente che si esprime attraverso i post che pubblica: i like, le visualizzazioni, i commenti, le foto e i video. Facebook oggi è in grado di sapere anche il mio stato d’animo, che posti frequento se ho attivato il GPS e con chi li frequento se anche gli altri utenti hanno Facebook sullo smartphone. Per vedere come Instagram usa l’IA possiamo andare alla pagina “Esplora” in cui troveremo post e storie di tendenza selezionati in base ai nostri gusti o in base all’hashtag utilizzato. I social possono essere uno strumento d’ausilio per la comunicazione nel mondo dell’arte? La risposta è: eccome! In queste reti sociali partecipative i musei si inseriscono come promotori di cultura oltre che della propria immagine. Questo dialogo tra istituzioni culturali e utenti ha creato una relazione di comunicazione diretta tra i luoghi d’arte e il pubblico. Si è andata così a costituire una serie di canali di promozione e condivisione culturale che sta creando delle communities, 107
una rete partecipativa di utenti che interagiscono, condividono e ampliano l’eco comunicativa dei musei stessi. Inoltre, anche sui social vale quello che personalmente auspico e sostengo da sempre ovvero: «Cultura chiama Cultura». I musei, le gallerie d’arte, i parchi storici ora sono presenti sui social nella maggior parte dei casi con grande successo. Parallelamente sono presenti tanti artisti e profili di esperti o appassionati d’arte che amplificano l’effetto della condivisione culturale. Gli stessi social si sono resi conto che l’arte è un trend in crescita, e si sono fatti promotori di iniziative legate al mondo dell’arte e dei musei. Un esempio da TikTok: l’interesse e la diffusione dei contenuti legati al mondo della cultura è inoltre dimostrata dall’incredibile crescita che gli hashtag tematici hanno registrato nell’ultimo anno. I contenuti con gli hashtag più popolari in questa categoria – #FineArt, #ArtHistory e #ArtOnTikTok – hanno raccolto fino a oggi, a livello globale, oltre 2 miliardi di visualizzazioni al mese, crescendo di oltre il 3000% nell’ultimo anno5. TikTok, la piattaforma social più giovane in tutti i sensi, ha rilevato quanto i contenuti culturali siano cresciuti e il 18 maggio scorso, in occasione della Giornata Internazionale dei Musei, ha lanciato il #MuseumMoment: un evento globale live non-stop che ha coinvolto grandi istituzioni quali la National Gallery di Singapore e gli Uffizi di Firenze con il suo Travel-Creator Giovanni Arena (@giovanniarena_), ambassador dell’iniziativa #tiraccontolitalia insieme al Direttore Eike Schmidt. Per Instagram i dati sono ancora più rilevanti: secondo il Report di Wearesocial.com6, nella classifica degli hashtag più usati di sempre al sesto posto troviamo #Art con un numero di post pari a 583.900.000. I social per gli artisti e le gallerie d’arte7 Il mondo che ruota attorno all’arte, non solo i musei ma certo anche gli artisti e i galleristi, hanno ormai ben chiaro che le dinamiche del mercato stanno cambiando. 108
www.youtube.com/watch?v=is02kewy80 “Young Money: Understanding Millennial Collectors”.
Una delle novità è che i giovani sono entrati in modo massiccio nel mondo del collezionismo. Nel report di Deloitte 2021, Il mercato dell’arte e dei beni da collezione. Nello stato dell’arte ai tempi del Covid-198, viene sottolineato il progressivo aumento dei giovani e dei millennials nell’acquisto di beni da collezione. La cronaca e i dati lo confermano: la casa d’aste Christie’s ha reso noto che il 32% degli acquirenti delle vendite online-only sono stati millennials (23-38 anni)9 e Sotheby’s ha dichiarato che il numero di buyers under 40 è raddoppiato nell’ultimo anno10. Parallelamente, e significativamente durante la pandemia da Covid-19 con gallerie e case d’aste fisicamente non accessibili, i social hanno messo in comunicazione gli artisti con i potenziali collezionisti che hanno iniziato ad acquistare online. In particolare, Instagram ha visto nella pubblicazione di immagini di opere d’arte un suo nuovo punto di forza, e Art Trade Report di Hiscox e ArtTactic ci informano che il 69% di tutti gli intervistati ha affermato che Instagram è stata la loro piattaforma di social media preferita per l’arte e il 35% dei compratori millennials ha affermato di aver acquistato opere d’arte tramite Instagram11. Leggendo altri report sull’arte è chiaro che Instagram è oggi la piattaforma social che offre la migliore visibilità e possibilità d’interscambio tra artisti e collezionisti. E stanno già nascendo nuove piattaforme di condivisione per l’arte. Inoltre, molte figure che ruotano attorno al mondo dell’arte come nuovi curatori, divulgatori, riviste e testate giornalistiche, oggi hanno il loro profilo sui social permettendo agli utenti di fruire di una più vasta informazione sul panorama artistico. Oltre a una maggiore informazione, i potenziali acquirenti possono trovare sui social i profili degli artisti, interagire direttamente con loro e comprare le loro opere. Parimenti i curatori e i galleristi possono entrare in contatto con gli artisti per divulgarne o presentarne le opere. È quindi importante sottolineare che i social non sono solo una piattaforma di contatto o di ampia visibilità per il mondo dell’arte, ma stanno diventando un punto d’incontro concreto tra artisti, collezionisti e figure che operano in questo mercato, e un mercato – mi piace ricordarlo – in cui sono sempre più presenti 109
i millennials che hanno ben imparato a usare i social come strumento utile per interagire con i protagonisti di questo mondo e acquistare opere d’arte. La figura del Social Media Manager Per un’istituzione culturale oggi è fondamentale iniziare a pensare digital e valutare l’uso dei social e delle nuove tecnologie come veicolo di comunicazione e incontro con il pubblico. In quest’ottica una delle figure professionali sempre più ricercata nel sistema museale è il Social Media Manager, incaricato di gestire la comunicazione sui social del museo o della galleria. La strategia di social media marketing comprende diversi punti specifici che vanno definiti braccio a braccio con il museo, la galleria e l’artista. Ecco alcune delle domande che devono trovare risposta per stabilire una strategia operativa: quali sono gli obiettivi da raggiungere? Cosa necessita comunicare? Si desidera fidelizzare il pubblico o raggiungere un pubblico sempre più vasto? Creare una community, condividere messaggi culturali, promuovere mostre ed eventi? Creare o accrescere la brand reputation? Una volta definito “il” o “i” punti di partenza, si passa a definire il target che si vuole raggiungere e come lo si vuole raggiungere. Si procede quindi con il “come comunicare” e si crea un piano editoriale studiato per ogni singolo social: per esempio un video per i giovanissimi su TikTok, dei post informativi su Facebook, o immagini di alto coinvolgimento su Instagram. Per monitorare i risultati, i social mettono a disposizione strumenti di analisi utili a valutare l’efficacia di ogni contenuto pubblicato e la sua portata. Oggi non basta “essere” su un Social per avere successo nella propria mission: bisogna essere interattivi ed esserlo costantemente. L’interazione con i commenti degli utenti è di estrema importanza così come le collaborazioni con altri utenti o con le istituzioni. Gli errori sui social non sono ammessi: un post sbagliato può ledere la brand reputation di un museo e il diritto all’oblio viene meno da quando esiste l’opzione di poter fare screenshot. 110
Sottolineo l’importanza delle immagini da utilizzarsi: oggi gli utenti sono attratti dalle immagini prima ancora che dai contenuti. Ho cercato di riassumere alcuni dei compiti del social media manager per sottolineare che oggi essere presenti sui social è un lavoro e richiede l’intervento di professionisti del settore. Cosa succede quando i social sono ben gestiti da un’istituzione museale? Crescono i followers, si crea una community che a sua volta condividerà i contenuti culturali che altri utenti potranno vedere, aumenterà il traffico verso il sito web istituzionale. Aumenterà la notorietà – quella che i marchi chiamiamo brand awareness – e migliorerà l’engagement. Infine, si arriverà a incrementare il ROI, quel ritorno sugli investimenti che per un museo è rappresentato in primis da un incremento dei visitatori e per un artista o una galleria è costituito dalle vendite di opere d’arte. Il lato oscuro dei Social: una Doomsday Machine? «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.» Zio Ben, Spiderman
Parlando di social non potevo non porre questa domanda la cui risposta meriterebbe una trattazione a parte. Qui cerco di rispondere senza andare fuori tema, cioè parlando d’arte. In un articolo pubblicato dal The Atlantic nel dicembre 2020, Adrienne LaFrance definisce Facebook come una Doomsday Machine, una macchina dell’Apocalisse, e scrive: Facebook è uno stato-nazione senza confini, con una popolazione di utenti grande quasi quanto la Cina e l’India messe insieme, ed è governato in gran parte da algoritmi segreti12.
Con questa affermazione LaFrance denuncia e accusa l’enorme e sconfinata portata che può avere un social sugli utenti: «La megascala di Facebook conferisce a Zuckerberg un grado di influenza senza precedenti sulla popolazione globale. Se non è la persona più potente del pianeta, è molto vicino al vertice». Ricor111
diamo che gli utenti di Facebook sono 2.449 milioni (!!!) ovvero circa un terzo della popolazione mondiale, considerando anche che l’accesso diretto a Facebook in Cina è bloccato. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se Zuckerberg modificasse un algoritmo per fare in modo che durante un’elezione politica venissero messi in risalto notizie di carattere positivo riguardo a un candidato, nascondendo quelle del suo oppositore. Sono ovvie le conseguenze penali che questo comporterebbe, ma consideriamo che potenzialmente su Facebook vi sono i mezzi per poter sovvertire decisioni politiche o sociali, o creare un immaginario collettivo distorto e alterato. È davvero pazzesca la portata della sua capacità di influenzare l’opinione pubblica. E come gestire il post di un alto esponente politico che per esempio incita al razzismo? Censurarlo per non influenzare gli utenti o lasciarlo per stimolare l’indignazione generale? Censura o libertà di parola? A mio avviso entrambe le risposte – censura o libertà – sono sbagliate: se il potere decisionale che va a influenzare milioni di persone è lasciato all’arbitrio di un team di moderatori cui fa capo una sola persona, è sbagliato, e anche pericoloso. Gli artisti stanno portando ai nostri occhi le loro riflessioni sul mondo dei social, su come anche l’IA possa essere usata per secondi fini eticamente scorretti. Parlando di artisti che usano l’Intelligenza Artificiale, nel capitolo dedicato a Mike Tyka, vedremo come la sua opera-installazione Us and Them13 denunci questo tema riflettendo sui fake profiles, i finti profili presenti sui social e il loro impatto se strumentalizzati: La tendenza dei faking individuals su larga scala nei media sta avendo una profonda influenza sulle nostre convinzioni collettive, sia che ci muoviamo verso sinistra o verso destra nello spettro politico. Mike Tyka
3. Mike Tyka, Us and Them, Kinetic Installation 2018, Mori Art Museum, Tokyo. Courtesy Mike Tyka.
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La riflessione di Mike Tyka ruota anche attorno ai deep-fake: oggi con il machine learning si possono creare volti artificiali, in pratica un algoritmo impara a mappare nel dettaglio un volto e le sue espressioni e può realizzare un vero e proprio innesto facciale virtuale. Questa tecnica si è diffusa su Reddit e sui siti pornografici, tanto che nel 2018 Google ha incluso queste involuntary synthetic pornographic imagery nella sua Ban List – la lista delle attività proibite. Rebor, ovvero Marco Abrate, un artista torinese definito come “lo street artist gentile”, ha creato con l’Intelligenza Artificiale un personaggio immaginario che vive nei social: è Chiara Ascioni14 che in pochi mesi ha raggiunto 10k follower. Tramite un chatbot Chiara poteva interagire con gli utenti e in pochi si sono accorti che lei non era vera. È incredibile, ma molto spesso sono proprio gli artisti che usano l’Intelligenza Artificiale come medium per creare opere d’arte a denunciare il lato di strumentalizzazione sbagliata che può verificarsi con un uso improprio della stessa. Riprendendo ora le considerazioni di LaFrance, faccio un’ultima riflessione su come sia difficile moderare questo continuo fluire di informazioni e profili fake. C’è un dilagante fenomeno che definisco “comparse e primi attori”: sui social alcune persone pensano di poter acquisire un ruolo che di fatto nella vita reale non hanno e si sentono protagonisti – è come se in un teatro una comparsa si sentisse d’un tratto primo attore. Ma nella vita come sui social non diventi qualcun altro con un click; tuttavia, nell’ego profondo questa possibilità stravolge le dinamiche. Vi sono molte persone con questa mania di protagonismo che sciorinano commenti e giudizi a sproposito sui social e soprattutto c’è un mondo di haters sempre pronti a denigrare o a fare critiche che danno origine a fenomeni corrotti come il cyberbullismo o il razzismo. Su Facebook seguo una pagina che pubblica sempre post inerenti all’arte e alla cultura. Una delle fan più attive era una straordinaria ragazza tetraplegica che chiameremo “C” e che usava il puntatore ottico per scrivere. Nonostante sia sempre stato segnalato il fatto che i post di questa ragazza potessero 114
rb.gy/9rteai Chiara Ascioni: la creazione dell’artista Rebor realizzata con l’Intelligenza Artificiale. Rebecca Pedrazzi, Notiziarte. com, 26 Maggio 2021.
https://scl.io/l/zd6UdxXI Mark Zuckerberg annuncia il nuovo marchio Meta, 28 ottobre 2021
non essere grammaticalmente corretti per ovvi motivi, apparivano sempre commenti d’odio verso “C” a tal punto che si è dovuto procedere con denunce alle autorità competenti. Oggi si studiano nuovi algoritmi per prevenire i commenti d’odio, ma evidentemente non è sufficiente: la moderazione dell’intelligenza umana è ancora una volta l’elemento necessario e determinante. È utile ricordare che purtroppo, quando si è sui social, si è sempre e comunque esposti: da un lato il grande pubblico interessato ai contenuti culturali, dall’altro, anche se è fortunatamente una minoranza, ci sono soggetti che, e chissà se solo per amor di protagonismo, arrivano a insultare. Oggi eliminare i social non è certo una strada praticabile: se ne creerebbero immediatamente altri, ma bisogna ragionevolmente alzare il livello di moderazione, il che non vuol dire affatto censura, e in questo senso l’Intelligenza Artificiale con i suoi algoritmi si sta affinando e potrà esserci sempre più d’aiuto. Quando si usano i social occorre intelligenza, e consapevolezza. Dobbiamo essere consapevoli che ogni volta che facciamo clic su un pulsante di reazione su Facebook, un algoritmo lo registra e va a integrare il nostro “profilo utente”: chi siamo, cosa ci piace. Non sempre siamo noi a decidere cosa vedere: il suggerimento è una costante ed è per questo che si auspica una politica sempre più chiara su quali algoritmi e su come vengono usati nei social. Fra l’altro, proprio mentre questo libro sta andando in stampa, Mark Zuckerberg ha annunciato che la “galassia Facebook” – che comprende fra gli altri Instagram e WhatsApp – punta a diventare un “metaverso”: ci si immergerà ancor di più nella nuova piattaforma, afferma Zuckenberg, un “meta universo” in cui si avrà la sensazione di essere in presenza. Si apre un nuovo capitolo per la social technology dalle molteplici implicazioni.
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La catalogazione delle collezioni: la blockchain
«The problem is to time-stamp the data, not the medium.» Stuart Haber & W. Scott Stornetta1
rb.gy/66mifm “Getting serious about blockchain”. Interview with Don Tapscott.
Una delle grandi rivoluzioni tecnologiche realizzate nell’industria 4.0 è rappresentata dalla blockchain2. E nelle sue più diverse applicazioni la blockchain con l’Intelligenza Artificiale integrata – questo straordinario sistema di security – ha già generato, e in costante evoluzione continuerà a generare, innovazioni nei più diversi settori: dal mondo finanziario a quello dell’advertising al mondo dell’arte, e vedremo come nello specifico quando applicata nel mercato delle opere d’arte digitali. Cos’è la Blockchain? La blockchain è un registro condiviso e immutabile che facilita il processo di registrazione delle transazioni e di tracciamento degli assets in una rete di business. Un asset può essere tangibile (case, automobili, soldi, terre) o intangibile (proprietà intellettuali, brevetti, copyright, marchi). Praticamente qualsiasi cosa che abbia un valore può essere rintracciata e scambiata su una rete blockchain, riducendo i rischi e i costi per tutti gli interessati. IBM.com3
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La blockchain è un insieme di tecnologie volte a creare un registro digitale decentrato in cui i dati inseriti vengono archiviati in blocchi crittografici – block – che vanno a creare una catena – chain – tracciabile, verificabile, sicura e che salvaguarda la privacy. Possiamo immaginarla come un libro mastro: un enorme database digitale distribuito, quindi non centralizzato, e questo è un suo punto di forza, con specifiche caratteristiche.
ri – che dispongono di computer potenti. Gli algoritmi usati in questo processo permettono di verificare che ogni nuovo elemento aggiunto alla blockchain rispetti determinati criteri e che non ne vengano manomessi i dati. Potremmo definire questi miners come degli attenti supervisori che ricevono un premio per il loro lavoro – per esempio una remunerazione in bitcoin. Ci sono intere reti di miners che agiscono da diverse parti del mondo e validano i blocchi contenuti in questo enorme registro le cui copie vengono salvate su diversi dispositivi nel mondo: un database digitale distribuito. I dati inseriti, per esempio i dati relativi a una transazione, vanno a formare nuovi blocchi di una catena incorruttibile, tracciabile e trasparente in cui la verifica gioca un ruolo fondamentale. La sicurezza è garantita anche perché basata sulla crittografia.
Cercando di esporre quanto più semplicemente possibile, vediamo come funziona. Per prima cosa per accedere a una blockchain un utente dovrà registrarsi e ottenere un’identità virtuale. Qualsiasi operazione l’utente andrà a effettuare nella blockchain, verrà registrata e approvata. I nuovi dati inseriti e quindi archiviati in un blocco della catena di archiviazione virtuale, dovranno essere validati. La validazione dei nuovi blocchi che formano la catena è essenziale – ed è qui l’innovazione della blockchain. La creazione di un nuovo blocco si chiama mining (estrazione) e ogni volta che ne viene creato uno bisogna creare una proof of work, appunto una prova o verifica realizzata con un algoritmo. A effettuare questo processo di validazione ci sono i miners – letteralmente estratto-
Quando nasce la blockchain?4
1. Immagine stilizzata della blockchain technology.
bitcoin.org/files/bitcoinpaper/bitcoin_it.pdf “Bitcoin: un sistema di moneta elettronica peer-topeer”, Satoshi Nakamoto.
La storia della nascita della blockchain ci permette di comprendere meglio la sua funzione, la sua struttura e il suo sviluppo attuale. La sua origine va ricondotta agli studi di W. Scott Stornetta e Stuart Haber i quali cercarono un sistema per assegnare un parametro univoco e non modificabile a un file digitale. Nello studio «How to Time-Stamp a Digital Document»5 pubblicato nel 1991 nel Journal of Cryptology, Stornetta e Harber illustrano le basi della tecnologia blockchain: The problem is to time-stamp the data, not the medium. We propose computationally practical procedures for digital time-stamping of such documents so that it is infeasible for a user either to back-date or to forward-date his document, even with the collusion of a time-stamping service. Our procedures maintain complete privacy of the documents themselves, and require no record-keeping by the time-stamping service.
A fronte della grande digitalizzazione in corso negli anni ’90, i due studiosi cercano di creare un nuovo metodo per crittografare il digitale (time-stamp). I sistemi di archiviazione a loro coevi erano 118
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inadatti a supportare un sistema nascente di crittografia informatica e Stornetta e Harber definiscono quindi un nuovo modello, una sorta di “cassetta di sicurezza digitale”. Introducono l’hash che gioca un ruolo decisivo nella blockchain. Semplificando: l’hash è una funzione che a partire da una stringa di input A, produce una corrispettiva stringa B che ha una lunghezza fissa, indipendentemente dalle dimensioni di A. Praticamente l’hash è l’impronta, l’estensione digitale della transazione online, e la sua peculiarità è di essere irreversibile: pur conoscendo l’hash, è matematicamente impossibile ricostruire il testo originale. In alcuni casi viene anche aggiunto il nonce, un numero arbitrario che rappresenta un ulteriore elemento di controllo in questo processo di crittografia. Per un malintenzionato è praticamente impossibile trovare la giusta combinazione per alterare le informazioni una volta che siano state crittografate. Le informazioni crittografate relative a un’ipotetica transazione verranno poi archiviate in un blocco insieme ad altre, e in seguito distribuite su tanti computer nel mondo, chiamati nodi, e validate. I nodi vanno a costituire la blockchain. Se un malintenzionato provasse a modificare una transazione, gli altri nodi – che hanno copia dell’hash originale – non approverebbero la modifica. Dopo l’introduzione dell’hash, viene fatto un ulteriore passo in avanti nel 2004 quando l’informatico e crittografo Hal Finney6 crea il sistema RPoW – Reusable Proof of Work: il protocollo di verifica per le transazioni che andranno a costituire i nuovi blocchi della catena. Oggi la blockchain è spesso associata alle criptovalute perché la sua fama nasce proprio con queste. La Blockchain Bitcoin (con la b maiuscola), la mamma di tutte le blockchain, nasce il 31 ottobre 2008 quando Satoshi Nakamoto pubblica il protocollo Bitcoin: un sistema di moneta elettronica peer-to-peer su The Cryptography Mailing List sul sito metzdowd.com. In questo documento leggiamo: Una versione puramente peer-to-peer7 di denaro elettronico permetterebbe di spedire direttamente pagamenti online da un’entità a un’altra senza passare tramite un’istituzione finanziaria8.
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2. Esempi di criptovalute: Bitcoin ed Ethereum.
Potremmo dire che a Satoshi Nakamoto va il merito di aver dato una prima concreta applicabilità della tecnologia blockchain grazie all’introduzione, o meglio l’invenzione di una nuova moneta: il Bitcoin. Era solo il 2008 e la blockchain è ancora una tecnologia giovane, ma già si possono distinguere tre generazioni. Per le sue caratteristiche così come le abbiamo descritte – ossia decentramento, privacy, possibilità di crittografia e verifica – oggi questa nuova tecnologia è stata già impiegata anche in diversi settori compreso il mondo dell’arte. La blockchain nel mondo dell’Arte Se Dio esistesse, sarebbe una biblioteca. Umberto Eco
Quando lavoravo come art-advisor ho dovuto catalogare molte collezioni d’arte: un lavoro complesso e non poco macchinoso perché per ogni opera dovevo creare il suo “passaporto personale”. Ogni opera d’arte va sempre corredata da un “passaporto”, un insieme di documenti costituito da: • Il certificato di autenticità che viene rilasciato dalla fondazione di riferimento, dall’artista (se ancora vivo) o dall’esperto di riferimento riconosciuto anche dal mercato. 121
• Il condition report, ossia il documento che registra lo stato di conservazione di un’opera d’arte e include informazioni su eventuali restauri effettuati. Deve essere compilato da professionisti: restauratori o laboratori di restauro e conservazione. Ed è indispensabile per spostare un’opera in caso di esposizione o vendita o per assicurarla. • La letteratura dell’opera: pubblicazioni in cataloghi ragionati, monografie o libri d’arte. • L’elenco dettagliato delle esposizioni dell’opera con annesso riferimento nell’eventuale catalogo. Perché è necessario un passaporto dell’opera? Senza una certificazione che ne attesti l’attribuzione, l’opera non potrebbe, o non dovrebbe essere venduta (si veda l’art. 64 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio9 – D.L. n° 42, 22 gennaio 2004). Il certificato di autenticità che accompagna l’opera è costituito da: foto dell’opera, nome dell’artista, titolo, anno di realizzazione, tecnica e dimensioni, numero di copie – in caso di opera multipla come le stampe –, provenienza, firma e/o timbro di chi rilascia la certificazione, numero di archivio se si autentica tramite archivio d’artista o fondazione. La creazione di questo passaporto veniva fatta un tempo su carta stampata – e quanti documenti persi! – e fino a qualche anno fa in analogico. Ogni volta che il proprietario faceva “qualcosa” con un’opera – un restauro o un prestito per una mostra o una vendita – si doveva recuperare il dischetto, aprire il file word, modificare e rimasterizzate il dischetto e restituirlo. Immaginate il lavoro di un art-advisor che segue tante collezioni o di un collezionista senior che vent’anni fa cercava di masterizzare i file della sua stessa collezione su un dischetto! E, sottolineo, i collezionisti che volevano catalogare le proprie collezioni erano una piccola percentuale. Spesso i giovani che ereditavano una collezione d’arte non sapevano nemmeno dove e quale documentazione cercare e si presentavano a un consulente o a un esperto con una miriade di fogli, note, foto, copie di stampe in cui raccapezzarsi era davvero un impegno improbo. Non ultimo il tema privacy: vi ricordate quanti virus entravano nel PC quando è arrivato Internet? Avreste tenuto copia digitale della vostra preziosa 122
collezione sul PC? Ecco perché c’erano i dischetti che spedivi o consegnavi brevi manu al collezionista o al suo erede. Perché vi ho raccontato tutta la macchinosa trafila su come si faceva una catalogazione vent’anni fa? Per farvi capire quanto la digitalizzazione delle collezioni e la blockchain oggi siano un’innovazione incommensurabile per chi vive e opera in questo settore. Oggi esistono piattaforme online che supportano il cliente in tutto quello che è il processo di catalogazione digitale e gestione online della documentazione – il passaporto di cui parlavo – e che semplificano con un click di mouse eventuali richieste del collezionista, che sia un grande museo o un piccolo privato, o dell’artista. Il collezionista, o l’artista, ha ora un nuovo strumento che può supportarlo, in sicurezza e nel rispetto della privacy, in tutto il processo di archiviazione digitale. Aggiungo una considerazione importante: in questi anni in cui la digitalizzazione è un dogma, digitalizzare la propria collezione è diventato, non dico una moda, ma un’attitudine sempre più diffusa grazie alla nascita di molte piattaforme, da quelle private a quelle bancarie, che inoltre hanno costi davvero contenuti. Solo vent’anni fa un art-advisor faceva salti mortali per convincere i propri collezionisti a digitalizzare la loro collezione. Oggi sono i collezionisti a cercare online la migliore offerta per fare questo passaggio e comprendono sempre più il valore del “passaporto” dell’opera d’arte. Si va verso la creazione di un mercato più trasparente e in particolare proprio il 2020 è stato un anno di grande accelerazione digitale. Questo è un punto davvero importante contando che nel 2004 gli esperti del Fine Art Expert Institute (FAEI) di Ginevra hanno stimato che più della metà delle opere d’arte in circolazione sul mercato erano false. Legare l’opera al suo apparato di certificazione, o andare a crearlo laddove manca, è quindi una necessità in un mercato in cui falsi e attribuzioni erronee hanno dilagato e dilagano sempre più. Oggi stanno creandosi anche realtà “ibride” molto interessanti tra le quali alcune piattaforme per l’archiviazione digitale di collezioni con tecnologia blockchain che da una parte permettono di usufruire di tutto il processo di crittografia e validazione e dall’al123
tro forniscono una serie di servizi dedicati al management. Queste nascenti piattaforme offrono inoltre agli artisti la possibilità di creare il proprio archivio digitale in un’ottica di vendita sempre più legata all’autenticazione delle opere. La direzione è quindi verso la crescita di un mercato dell’arte più regolamentato e consapevole. La mia attenzione va proprio a queste tipologie di piattaforme che incentivano e aiutano il processo di verifica di autenticità e supportano il proprietario di un’opera sia nel processo di creazione del corrispettivo passaporto sia nel management delle collezioni. In chiusura del capitolo troverete l’intervista con Andrea Concas, fondatore di Art Rights, la piattaforma che coniuga i servizi di gestione e certificazione alla tecnologia blockchain.
3. Beeple, Everydays: The First 5000 Days, @ Christie’s 2021, 21,069 × 21,069 pixels (319,168,313 bytes). © Beeple
Crypto art, blockchain e NFTs: le nuove frontiere del mercato dell’arte10 Uno dei grandi punti di forza della blockchain è di poter creare assets digitali unici. Per questo motivo siamo in una primavera che va forse verso l’estate (o verso una grande bolla speculativa?) della vendita dei NFTs. Il mercato della Crypto Art è al centro dell’attenzione. L’opera Everydays: The First 5000 Days11 realizzata dall’artista digitale Mike Winkelmann12, alias Beeple, è stata battuta in asta da Christie’s nel marzo 2021 per oltre sessantanove milioni di dollari.
Secondo il Report14 NFTs 2020 della Non Fungible Corporation e l’Atelier BNP Paribas, nel 2020 il mercato dei NFTs aveva già triplicato il proprio valore: +299%, arrivando a duecentocinquanta milioni di dollari. Secondo la piattaforma Cryptoart, il Total Crypto Art Value è di 201,212.386 ETH – la cryptomoneta Ethereum – che equivale a 367,067,730.66 dollari con 132.289 opere vendute (dati del 17 marzo 2021). Con questo aumento esponenziale dell’interesse e del volume d’affari, è scattata una vera e propria corsa all’oro per i NFTs.
www.youtube.com/ watch?v=sWUa6Jn_Veo Gordon Berger, Blockchain Artwork Series (NFT) 14 aprile 2020.
NFTs: che cosa sono?15 «Christie’s non aveva mai offerto una nuova opera mediatica di questa portata o importanza prima d’ora»13, ha detto Noah Davis, specialista in Post-War & Contemporary Art presso Christie’s di New York. Con questa vendita milionaria l’attenzione di tutti si è spostata sulla Crypto Art che senza troppo rumore si è fatta strada prendendosi, o meglio guadagnandosi un’interessante fetta del mercato dell’arte. Un mese dopo, nel giugno 2021, Sotheby’s ha realizzato online Natively Digital la prima asta interamente dedicata alla vendita di NFTs, e i collezionisti hanno avuto la possibilità di pagare sia in denaro sia in criptovaluta, Ethereum o Bitcoin. 124
www.youtube.com/ watch?v=DBk69WnPmk4 Andrea Concas: “Che cos’è la Crypto Art?”, 29 marzo 2021.
Un NFT, ossia un Non Fungible Token, è fondamentalmente un certificato di autenticità digitale. Partiamo dalla parola fungibile, ovvero un “bene fungibile” che indica un oggetto, un qualcosa di sostituibile: per esempio una moneta da 1 euro può essere sostituita con un’altra moneta da 1 euro, il valore resta 1 euro. Al contrario i “beni non fungibili” hanno una specifica individualità: per esempio un’opera d’arte autentica non è sostituibile con una sua copia. Prima dell’avvento della tecnologia blockchain e dei NFTs, il grande problema nella vendita di un’opera digitale era dato dalla 125
e già affermati, sotto invece tanti artisti che potrebbero – o non potrebbero – accedere all’Olimpo. Non è semplicemente comprando opere su blockchain che si fa il buon affare: come in ogni mercato, a maggior ragione in questo che è in una fase evolutiva. Se volete investire in un Crypto Artist affidatevi a un professionista o a chi ne ha competenza, o al vostro cuore se l’opera vi piace e non avete pretese di investimenti redditizi.
facilità di duplicazione. Semplificando molto: un artista realizza un’opera digitale e la invia in visione a 5 potenziali acquirenti. Ora sei persone possiedono il file dell’opera: chi ha l’originale? L’artista ovviamente, ma come lo si può dimostrare? E come si può certificare il passaggio di proprietà dell’opera digitale dall’artista al nuovo acquirente in maniera univoca e sicura? La risposta è la “tokenizzazione” dell’opera e la sua immissione nella blockchain. Per essere venduta, un’opera d’arte digital viene “tokenizzata” ossia viene creato uno smart contract che certifica i diritti sull’opera e la sua autenticità. A un NTF può quindi essere associato un certificato elettronico che ne attesta la proprietà e la provenienza. In questo modo può essere immessa su una blockchain per essere venduta. Quando l’opera viene venduta il token passa all’acquirente che ne diventa proprietario, e tutta l’operazione viene registrata su piattaforma blockchain. Il passaggio in piattaforma blockchain è fondamentale perché il token venga registrato così come vengono registrati e approvati tutti i passaggi a esso legati. Il focus di questa grande evoluzione nel mercato della Crypto Art ruota attorno al concetto di unicità tramite tokenizzazione, e di proprietà. Con l’uso dei token si ha la certificazione della proprietà di opere digitali – non solo d’arte: è stato tokenizzato anche il primo tweet della storia! È questo che ha creato il valore e ha fatto schizzare in alto questo mercato negli ultimi mesi: è la monetizzazione dell’arte digitale.
Anche gli AI artists usano i NFTs e la tecnologia blockchain? Sì. Recentemente diversi AI artists hanno tokenizzato le loro opere, ad esempio Mario Klingemann16, un artista e un’autorità nell’uso di algoritmi e Intelligenza Artificiale per realizzare opere d’arte, ha tokenizzato la sua Mitosis: un loop video di due minuti composto da oltre 750.000 ritratti generati con l’impiego d’Intelligenza Artificiale che lo stesso Klingemann ci spiega rappresentare «sfide, speranze e paure che stiamo affrontando in un momento in cui l’Intelligenza Artificiale sta diventando sempre più parte della nostra vita quotidiana». L’artista indiano Harshit Agrawal ha organizzato e curato la prima NFT Art Exhibition in India Intertwined Intelligences17. An-
Tutti possono comprare opere d’arte tokenizzate? Tutti possono comprare opere su piattaforme dedicate come https://superrare.com o OpenSea ma attenzione: è un settore e un mercato che facilmente può ammaliare sia artisti sia collezionisti. È un mercato tanto di moda oggi dopo che Christie’s ha superato i 69 milioni di dollari con la vendita dell’opera di Everydays: The First 5000 Days di Beeple! Ma è un mercato e come tale ha le sue dinamiche. E vi ricordo che il simbolo dell’unità di conto della valuta di Ethereum – l’Ether – è una piramide. E proprio la piramide rappresenta questo mercato: sulla cima gli dei dell’Olimpo, pochi 126
4. Mario Klingemann, Mitosis, particolare. © Mario Klingemann / Courtesy Onkaos.
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Intervista ad Andrea Concas
che Helena Sarin e Sofia Crespo sono presenti in questo mercato con i loro NFTs. Considerazioni tra proprietà e fruizione oggi Quando nel 1936 Walter Benjamin scrisse L’opera d’arte nell’era della riproducibilità tecnica, ovviamente il digitale non esisteva, ma era bastata l’invenzione della stampa, della fotografia e del cinema a far riflettere il nostro Benjamin sull’hic et nunc dell’opera d’arte, sul suo valore di unicità: la sua aurea. Nel 1936 il mercato dell’arte non era come lo intendiamo oggi, non c’erano le aste online, la blockchain e le moderne fiere, e soprattutto non c’erano i computer quindi la tecnologia per creare opere digitali o opere con IA. Probabilmente, al nostro caro visionario Benjamin oggi sarebbe venuto un infarto vedendo Internet. Eppure, il suo concetto di “aura” dell’opera a mio avviso è attualissimo. In un mondo che ruota sempre più nel virtuale e nel digitale, vorrei invitarvi a riflettere sul concetto di fruizione. Quando si parla di un’opera d’arte è fondamentale che a essa sia connessa la possibilità di vederla, di fruirne in modo fisico. Parlando di opere in formato digitale è ovvio che queste non hanno la fisicità del classico dipinto a olio perché per loro natura non sono “fisiche”, ma credo che non vada perso il concetto di contemplazione fisica di un’opera. Anche le opere d’arte digital devono essere esposte per essere contemplate. In questo senso i musei18 sono al passo coi tempi ed espongono opere digitali da quando la Digital Art è nata. Ma anche i collezionisti, che oggi possono comprare opere di Crypto Art, dovrebbero riflettere che non basta possedere il file dell’opera – bisogna esporla altrimenti la sua “aura” intrinseca si perde nel PC.
www.andreaconcas.com Website di Andrea Concas.
Cagliaritano, classe 1982, Andrea Concas1 è fondatore e CEO della startup dell’arte Art Backers, di Art Rights – una piattaforma per la gestione e la certificazione delle opere d’arte, e di Art Backers. Agency – un’agenzia di Marketing Culturale e Comunicazione dedicata al mondo dell’Arte 3.0. È coordinatore scientifico del master in Marketing e digital innovation per l’arte e la cultura della 24Ore Business School, e collabora attivamente con importanti università di Milano come docente in numerosi corsi e master specialistici. Ha dato vita alla galleria d’arte The AB Gallery e fondato ProfessioneARTE.it, la prima community online per la formazione, aggiornamento e orientamento verso le professioni dell’arte. Ha pubblicato già vari libri, compresi i Libri ChatBOT. Ho conosciuto Andrea Concas nel 2019, quando in Italia si iniziava a indagare l’interconnessione tra arte e Intelligenza Artificiale. L’ho poi incontrato per una prima intervista in occasione del workshop Exploring artificial intelligence in art a cui ha partecipato come relatore, in qualità di professionista ed esperto di tematiche legate all’Arte & Innovazione, e l’ho incontrato per l’intervista che
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1. Andrea Concas. Courtesy Andrea Concas © Luigi Corda.
segue nel luglio del 2021: abbiamo parlato di blockchain, IA, libri chatbot e del ruolo dell’artista 3.0. Da oltre quindici anni Andrea Concas opera nel settore dell’arte e della cultura. Instancabile e appassionato innovatore, ha sempre avuto chiara la sua missione: ideare e creare nuovi strumenti e nuovi scenari nel mondo dell’arte. R. P.: Come funziona Art Rights2, la piattaforma di supporto alla gestione e certificazione di opere d’arte? A. C.: Art Rights offre la possibilità ad artisti, collezionisti e professionisti del settore di inserire tutte le informazioni che hanno disponibili a corredo di un’opera, come la sua provenienza, il condition report, informazioni che concorrono a determinarne la valenza economica e culturale, ovvero tutto il suo storico. Per le opere, una volta immesse, viene creato un certificato che ha una sua validazione temporale nella blockchain. La peculiarità di Art Rights è che gli utenti possono convalidare le informazioni tra loro e avere quindi la possibilità di tracciare e avere diverse conferme sull’autenticità delle opere stesse. 130
R.P.: In che modo l’Intelligenza Artificiale è applicata in Art Rights? A. C.: In questo momento abbiamo bisogno di tanti dati, in questa fase di e-learning sta acquisendo tutti i dati sui comportamenti dell’utente e su quali caratteristiche hanno le loro collezioni. La utilizzeremo fondamentalmente in due modi: da un lato per determinare le peculiarità delle collezioni che a occhio nudo non sono sempre percettibili fino alla verifica dell’autenticità, quell’insieme di più fattori che concorrono alla determinazione dell’autenticità o meno di un’opera in riferimento al suo corredo documentale, compresa la relazione di chi carica i dati e la capacità di rapportarsi alla community. R. P.: È fondamentale che ogni opera sia corredata da tutta la sua documentazione – dal suo “passaporto” – costituito in primis dal certificato d’autenticità. Quanto le piattaforme di art-management hanno contribuito a creare una maggiore consapevolezza verso una corretta catalogazione delle opere di una collezione in ambito privato? A. C.: Sicuramente tutto ciò che riguarda la digitalizzazione delle collezioni e di conseguenza anche questi strumenti, per lo più software gestionali che permettono la catalogazione delle opere, costituiscono un sistema che oggi possiamo definire cruciale, fondamentale per quanto riguarda la gestione di collezioni pubbliche e private. Ovviamente quando il sistema gestionale inizia a dialogare con altri professionisti o con altri sistemi gestionali e database può essere condiviso, seppure in privacy, secondo una propria scelta di necessità e d’opportunità. È facile allora capire la grande portata della digitalizzazione. Questo significa che l’utente che possiede una raccolta d’arte, inserendo i dati delle opere sulla piattaforma in completa privacy e sicurezza, decide anche con chi poter condividere queste informazioni: è possibile dare accesso temporaneo oppure può decidere di inviarle in visione ad altri professionisti ed esperti. Tutto questo a tutela dai falsi perché se un’opera non è autentica, anche tutto il suo corredo documentale e i certificati d’autenticità saranno di conseguenza falsi: ogni qualvolta viene inviata una e-mail con più allegati, questi possono poi essere soggetti a eventuali modi131
fiche o integrazioni o cambiamenti. Sistemi come Art Rights permettono invece di creare un “passaporto dell’opera d’arte” che possa essere sempre in qualche modo verificabile. Il tutto nel rispetto della privacy che è una tematica di grande importanza per gli utenti, collezionisti in primis. R. P.: Se da un lato il numero di collezionisti che gestiscono le proprie collezioni online è in costante aumento, in che misura gli artisti hanno compreso l’importanza di usare le piattaforme digitali per gestire e certificare le proprie opere? A. C.: A differenza di qualche anno fa, oggi c’è molta più sensibilizzazione quindi si riesce fin da subito a far comprendere anche agli artisti, seppur in una fase emergente della loro carriera, il valore di possedere un archivio ordinato della propria produzione, l’importanza del fatto che un gallerista, nel momento in cui deciderà di lavorare con loro, come prima cosa chiederà: «Dove hai venduto?» e «A chi hai venduto?». Oggi più che mai l’archivio d’artista è fondamentale, soprattutto per poter predisporre e tracciare il futuro. Infatti sempre più artisti – anche viventi e nelle fasi più established della loro carriera – scelgono di dare vita al proprio archivio per tutelare la loro memoria storica avendo un controllo sull’archiviazione stessa e diventando punto di riferimento per i collezionisti e il mercato, oltre ad avere pieno controllo di decidere come vogliono essere raccontati, compresa l’arbitrarietà di non riconoscere opere di alcuni periodi per loro non validi dal punto di vista artistico, come nel caso del tedesco Gerhard Richter, ad esempio. Credo non si possa più sottovalutare l’importanza dell’archivio. Da un’analisi che abbiamo fatto, con oltre 200 gallerie, è emerso con Art Rights che uno dei fattori principali al momento dell’acquisizione di un’opera da selezionare è proprio la presenza o meno dell’archivio e/o il tracciamento delle vendite da parte di una galleria. R. P.: Questo è un tema importantissimo per un mercato sempre più trasparente ed è determinante che la creazione di un archivio sia ben recepita dagli artisti di oggi. E passiamo a un altro 132
tema che rappresenta un nuovo scenario: ultimamente ti sei dedicato al mondo della Crypto Art che vede il suo crescente sviluppo nella creazione dei token unitamente all’uso della blockchain. Credi che nei prossimi anni l’impiego e lo sviluppo della tecnologia blockchain avrà un posto insostituibile nell’ambito della gestione e compravendita di opere d’arte? A. C.: Sicuramente quello che è successo con la Cripto Arte, i NFTs – Non Fungibile Tokens – negli ultimi mesi è stato incredibile: ha creato una forte accelerazione di mercato, ma è notevole che dal punto di vista tecnologico tanti operatori oggi non si pongano più la domanda di cosa siano queste nuove tecnologie bensì decidano in qualche modo di far parte di questo nuovo scenario che comprende anche le opere di Intelligenza Artificiale sempre più soggette e legate agli smart contracts, NFT. Quindi credo che ci sia assolutamente una grande opportunità. Quanto avvenuto è un fenomeno più rivolto alla community Crypto che effettivamente a quello dell’arte. Quello che è stato il “battesimo” di Christie’s, se ne parla anche nel mio ultimo libro, ha destato l’interesse da parte degli operatori i quali ancora devono prendere le misure, ma questo non può avvenire in pochi mesi del 2021. L’asta di Christie’s è arrivata a marzo: il mercato della Crypto arte e degli NFT è passato da venti milioni a oltre cento in un mese e ora ha superato i settecento. Pensiamo quindi che, dopo un normale calo di assestamento, ci dovrà essere assolutamente tempo per ripartire: ci saranno nuovi equilibri nel mondo dell’arte dove si stanno ancora prendendo le misure per determinare nuove regole di acquisizione, esposizione, curatela e valorizzazione delle opere. Meritano quindi ragionamenti a sé stanti. R. P.: È rilevante anche il tema della fruizione, perché queste blockchain ci rimandano sempre ad avere il possesso di un’opera digitale sul nostro computer ma in realtà è importantissimo anche tornare al concetto di fruizione, al concetto dell’aura di un’opera. A. C.: Questa è una delle tante questioni aperte in questo momento. L’arte digitale esiste dagli anni Cinquanta: è stata esposta, è stata musealizzata, è stata conservata ed è stata in parte collezionata. Quindi ora c’è bisogno sicuramente di adattare strumenti che 133
siano anche di valutazione di un mondo e di un sistema. Hanno esposto le opere dove la community Crypto era più presente: parliamo di Metaverse e di altre piattaforme di realtà aumentata. Non è giusto o sbagliato: semplicemente quello era il loro mezzo. Ora i musei stanno iniziando ad acquisire queste opere e troveranno sistemi di esposizione con tutti i canoni del sistema e del mondo dell’arte. Per me la partita è lì, si giocherà su un altro livello e con nuove regole. Da lì in poi si determinerà se questo mercato reggerà o meno, come testimonia anche l’ultimo caso Damien Hirst con il suo progetto The Currency: è qualcosa che merita grande attenzione. R. P.: Art Rights, libri chatbot, NFTs, blockchain, soluzioni innovative per i musei. Stai usando tante nuove tecnologie che rappresentano una nuova frontiera nel mondo dell’arte. Secondo te quanto il pubblico è predisposto o pronto a recepire queste novità? A. C.: Ci vuole tempo. Abbiamo iniziato a parlare di arte digitale, non siamo stati i primi ma nemmeno gli ultimi, e lo abbiamo fatto in tempi non sospetti. Ovviamente quello che è avvenuto prima con il Coronavirus e con l’accelerazione di questi strumenti dovuta alla fisicità perduta, e adesso con i NFTs ha influito. Il tutto è sicuramente un chiaro segnale che il mondo dell’arte è pronto, nonostante i cambiamenti in questo settore arrivino con grande calma. Prima c’era un ritardo di cinque anni, questo per alcuni versi è stato accelerato dal Coronavirus, dalla pandemia. Quindi oggi parlare di realtà virtuale, di realtà aumentata o di blockchain è relativamente più facile. Prima bisogna educare e far capire come si può supportare l’arte attraverso le nuove tecnologie a disposizione. Anche i libri chatbot sono una vera visione in un settore: l’editoria, che al pari dell’arte non era prettamente digitalizzato. Le interazioni e gli utilizzi di questi strumenti altamente innovativi per migliorare la fruizione artistica sono solo la chiave. Abbiamo realizzato Art Rights Prize a dicembre 2020 quando i Metaverse erano ancora poco utilizzati: è stato il primo premio d’arte digitale dove sono state disegnate e realizzate sei sale con oltre trecento opere esposte. Tutto questo perché la tecnologia può supportare, 134
ma non sostituire l’aspetto fisico. È una grande soluzione che può migliorare alcune dinamiche e avvicinare nuovi utenti. Questa è stata una visione e sarà sempre la nostra vocazione: cercare di capire come le tecnologie possano supportare gli artisti, i collezionisti e i professionisti nel mondo dell’arte. Su questo si lavora quotidianamente ed è la nostra mission. R. P.: Ci sono tanti progetti legati ad Art Rights che esplorano un mondo moderno... A. C.: È il frutto di tanta passione. È stato difficile quello che si è fatto in passato, per tanti anni è stato come “predicare” nel deserto. Oggi è un po’ più facile aver ascolto e credito parlando di certi argomenti. In questi giorni presenteremo Phygi: questa volta portiamo il digitale nel fisico, permettiamo la stampa dei NFTs su vari supporti: dai quadri alle stampe e alle magliette, in cui è possibile rendere fisici gli oggetti comprati “virtualmente”. Il futuro sarà sempre più “phygital”: ci sarà un asset fisico e un asset digitale. Inseriremo anche gli NFT: fondamentalmente sarà possibile comprare le opere d’arte sia fisiche che digitali. È una naturale evoluzione, e come sempre c’è Art Rights alla base. Felici di questa naturale evoluzione perché crediamo sarà la tendenza per gli assets di beni digitali collezionabili.
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Il mercato dell’arte e le nuove applicazioni
«I’ve decided now to buy paintings by all the painters who were on Herbert Read’s list. Having plenty of time and all the museum’s funds at my disposal. I put myself on a regime to buy one picture a day.» Peggy Guggenheim1 Cosa è cambiato nel mercato dell’arte in questo nuovo millennio?
1. Asta online di Sotheby’s.
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La rivoluzione digitale ha travolto tutto e tutti compreso il mercato dell’arte cambiandone alcune peculiarità. Le case d’asta, dalle più grandi come Sotheby’s e Christie’s alle più piccole e nazionali, hanno iniziato a organizzare sempre più aste online. Anche le fiere, le gallerie e tutte le manifestazioni si sono dotate di una “versione online” rendendosi accessibili al grande pubblico. La tecnologia ha sicuramente aiutato ad accorciare la distanza tra i collezionisti sia privati sia pubblici portando potenzialmente alla portata di molti un mercato che era elitario. Il mercato dell’arte continua a essere un asset culturale complesso ma è sempre più accessibile e comprensibile. Questo grazie anche alla nascita di molte piattaforme online volte a creare maggiore trasparenza e a offrire ai collezionisti, ai mediatori e ai professionisti di questo mercato una nuova strumentazione per analizzarlo e seguirlo, e possibilmente renderlo più equamente proficuo. Con un mercato sempre più digital si è andata a creare una nuova generazione di collezionisti che sono molto confidence con 137
le nuove tecnologie e le nuove opportunità che il digitale offre oggi: sono i millenials, la generazione nata tra il 1981 e il 1996. Accanto ai collezionisti baby boomers, ossia i nati tra il 1945 ed il 1964, i millenials costituiscono i collezionisti del futuro insieme alla generazione Z, i nati dalla metà degli anni 90 al 2010. I millenials interagiscono sui social, contattano direttamente gli artisti, sono informati e aggiornati, comprano opere anche sul web – dal dipinto alla video-art – e spesso usano applicazioni e piattaforme online quali strumenti di supporto di analisi. Sono inoltre ben attenti a tutta la questione etica e sociale che ruota attorno alle opere d’arte. Ci sono stati dei cambiamenti nella panoramica mondiale del mercato di opere d’arte con la pandemia da Covid-19? La risposta ovviamente è sì. Durante i lockdown c’è stata una vera esplosione digitale causata dall’inaccessibilità fisica alle aste, fiere e gallerie d’arte. Le case d’aste, che già prima del Covid-19 si erano rese più digital, hanno intensificato le aste online. Le fiere e le gallerie d’arte che ancora non si erano “modernizzate” con una versione online si sono velocemente aggiornate, in alcuni casi offrendo ai nuovi visitatori delle opzioni di interazione virtuale innovative. Le grandi fiere internazionali, come Art Basel, hanno creato le Online Viewing Rooms2, precedentemente sperimentate da David Zwirner, gallerista e filantropo, proprietario della David Zwirner Gallery di New York e in seguito da Larry Gagosian3, il noto gallerista statunitense. Guardando i numeri: nel 2020 le vendite globali di arte e antiquariato hanno raggiunto una cifra stimata di 50,1 miliardi di dollari, in calo del 22% rispetto al 2019, ma al contempo le vendite online di arte e antiquariato hanno raggiunto il record di 12,4 miliardi di dollari raddoppiando di valore rispetto al 20194. Tutti hanno fatto i conti con la pandemia da Covid-19. Anche chi era più restio alle nuove tecnologie ha dovuto utilizzarle per rimanere “connesso” e forse proprio questa forzatura ne ha fatto comprendere la grande potenzialità, e spesso la facilità d’utilizzo. 138
www.youtube.com/watch?v=_ dW-v-NxqSg Behind Gagosian’s Online Viewing Room: Sam Orlofsky and Alexander Wolf.
2. Interni del Tefaf, New York, primavera del 2019. Photo Mark Niedermann.
Il 90% dei collezionisti HNW – High Net Worth Individual ovvero “individuo ad alto patrimonio netto” – ha visitato una fiera d’arte o una galleria OVR (Online Viewing Rooms) nel 20205. Ora che si sta possibilmente tornando a una vita normale, tutto questo mondo digital non sarà protagonista come nell’anno nero della pandemia ma continuerà a essere presente come strumento di supporto per i collezionisti, gli art-advisor, e tutti i professionisti e le istituzioni che ruotano attorno al mercato dell’arte. Nonostante sia plausibile attendersi, per il futuro, un graduale ritorno all’esperienza fisica, in un mondo che non può basarsi soltanto sull’esperienza virtuale, permarrà una nuova percezione dei canali digitali, che continueranno a rappresentare efficaci punti di contatto tra operatori, collezionisti, appassionati e semplici curiosi6.
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Queste le tre principali minacce per la reputazione del mercato dell’arte secondo wealth manager, operatori di settore e collezionisti
I report di analisi dei trend del mercato dell’arte7 hanno già sottolineato l’uso crescente di piattaforme virtuali e come le ultime tecnologie digitali stiano entrando sempre più vivacemente in questo mercato. Deloitte, da sempre voce autorevole e di riferimento con i suoi report di analisi del mercato dell’arte, ha redatto quest’anno Il mercato dell’arte e dei beni da collezione – Report 2021 – Speciale. Lo stato dell’arte ai tempi del Covid-198 in cui ci offre un’articolata panoramica sull’impatto della pandemia nel settore artistico e culturale.
Autenticità
Manipolazione dei prezzi
Il trasferirsi in rete ha costituito sicuramente una forma di sopravvivenza, ma ciò che si è verificato è destinato a incidere parecchio sulle dinamiche future, in cui auspicabilmente online e offline coesisteranno, arricchendosi a vicenda9.
Mancanza di trasparenza
Come l’Intelligenza Artificiale può supportare i collezionisti? Vediamo quali sono i punti critici del mercato dell’arte per capire come le applicazioni con IA possano essere d’aiuto. Nel report di Deloitte del 201910 vengono evidenziate le tre principali criticità: autenticità, manipolazione dei prezzi e mancanza di trasparenza. I tre attori coinvolti nel report (collezionisti, operatori di settore e gestori patrimoniali) sono concordi e allineati quando si tratta di individuare i temi che costituiscono una vera minaccia per la reputazione e il funzionamento del mercato dell’arte. Queste preoccupazioni, che comprendono in particolare problemi di autenticazione e provenienza, manipolazione dei prezzi, conflitti di interesse, mancanza di trasparenza, sono condivise da quasi tre quarti dei gestori patrimoniali, dei collezionisti e dei professionisti di settore.
Sebbene l’IA non rappresenti la soluzione a tutti i problemi che ruotano attorno a questo mercato, il suo crescente impiego si sta dimostrando sicuramente utile. 140
3. Report Deloitte sul mercato dell’arte nel 2019.
Abbiamo visto nel capitolo dedicato alle blockchain quanto sia importante digitalizzare una collezione d’arte e corredare ogni singola opera del suo “passaporto”, dal certificato di autenticità a tutti quei documenti che ne raccontano la storia. Il mondo dell’art-management è in forte sviluppo da un lato grazie all’impiego di nuove tecnologie a supporto del collezionismo e dall’altro grazie a una crescente consapevolezza da parte dei collezionisti nella creazione e gestione delle loro collezioni. Si sta tracciando la strada verso un mercato più trasparente e consapevole. Oggi il mercato dell’arte ha puntato verso una direzione che guarda alla gestione online delle collezioni, alla trasparenza e all’accuratezza dell’investimento. Piattaforme virtuali di art-management, blockchain, dispositivi e applicazioni online a supporto dei collezionisti e operatori del settore sono i lampioni di questa nuova strada. 141
Il tema dell’autenticità è storicamente una grande criticità nel mondo della compravendita di opere d’arte. In un futuro prossimo l’IA potrebbe essere un alleato nell’identificazione dei falsi. La circolazione di opere contraffatte o con attribuzione erronea riguarda tutto il mondo dell’arte: dai privati alle istituzioni culturali e ai fondi d’investimento che acquistano e vendono. Riconoscere un falso così come attribuire correttamente un’opera a un artista è un lavoro complesso e in alcuni casi lungo e costoso: se vi sono dubbi, quando l’esperienza, gli occhi e gli strumenti dell’esperto, come la luce di Wood, non sono sufficienti, ci si affida a laboratori specializzati che effettuano test specifici. Per aiutare gli esperti a riconoscere le opere false sono stati avviati progetti realmente interessanti che impiegano l’Intelligenza Artificiale. Una delle ricerche più promettenti porta la firma di Ahmed Elgammal11, professore presso il Dipartimento di Informatica della Rutgers University, fondatore e direttore dell’Art and Artificial Intelligence Laboratory di Rutgers, che si occupa di data science nel campo delle digital humanities. Insieme ad alcuni ricercatori della Rutgers University, ha addestrato un algoritmo di apprendimento automatico su un ampio dataset per “insegnargli” le caratteristiche specifiche del tratto pittorico di alcuni artisti. Con questo metodo si raggiunge un’identificazione dei disegni falsi in misura dell’80%: This paper proposes a computational approach for analysis of strokes in line drawings by artists. We aim at developing an AI methodology that facilitates attribution of drawings of unknown authors in a way that is not easy to be deceived by forged art. The methodology used is based on quantifying the characteristics of individual strokes in drawings. We propose a novel algorithm for segmenting individual strokes. We propose an approach that combines different hand-crafted and learned features for the task of quantifying stroke characteristics. We experimented with a dataset of 300 digitized drawings with over 80 thousands strokes. The collection mainly consisted of drawings of Pablo Picasso, Henry Matisse, and Egon Schiele, besides a small number of representative works of other artists. The experiments shows that the proposed methodology can classify individual strokes with accuracy 70%-90%, and
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aggregate over drawings with accuracy above 80%, while being robust to be deceived by fakes. Questa pubblicazione propone un approccio computazionale per l’analisi dei tratti nei disegni degli artisti. Puntiamo a sviluppare una metodologia IA che faciliti l’attribuzione di disegni di autori sconosciuti in modo da non essere ingannati dalle contraffazioni. La metodologia utilizzata si basa sulla quantificazione delle caratteristiche dei singoli tratti nei disegni. Proponiamo un nuovo algoritmo per segmentare i singoli tratti. Proponiamo un approccio che combina diverse caratteristiche manuali e assimilate con il compito di quantificare le caratteristiche del tratto pittorico. Abbiamo sperimentato un set di dati di 300 disegni digitalizzati con oltre 80 mila tratti. La collezione era costituita principalmente da disegni di Pablo Picasso, Henri Matisse ed Egon Schiele, oltre a un piccolo numero di opere rappresentative di altri artisti. Gli esperimenti mostrano che la metodologia proposta può classificare i singoli tratti con una precisione del 70%, 90% e raggiunge per i disegni una precisione superiore all’80%, dimostrandosi affidabilie nell’individuazione dei falsi.
In un domani quanto più prossimo avere disponibile uno strumento di facile utilizzo che supporti gli esperti, dalle fondazioni agli storici dell’arte, nell’identificare i falsi con una precisione vicina al 100%, non è più un’utopia. Un altro settore in cui l’IA può essere un valido alleato è nella valutazione di un’opera d’arte. I collezionisti possono essere tali per passione ma sono sempre attenti anche al valore dell’investimento. Nel report che Deloitte ha condotto con ArtTactic12 leggiamo: Circa due collezionisti su tre dichiarano di comprare arte o oggetti da collezione per passione, ma con attenzione al valore dell’investimento. Dell’importanza del valore finanziario associato all’acquisto d’arte sono ancora più convinti gli operatori di settore. Circa nove su dieci infatti affermano che i propri clienti acquistano arte e oggetti da collezione per passione, ma con una dichiarata attenzione agli aspetti legati all’investimento.
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Dalle prime applicazioni di IA nell’analisi dei trend di mercato basati sui risultati d’asta internazionali – ricordiamo che gli algoritmi lavorano bene laddove ci sono dataset (tanti dati) – la direzione da seguire è verso la creazione di strumenti ancora più innovativi. ***
Wondeur, il valore dell’opera d’arte Recentemente sono stati avviati alcuni progetti che utilizzano l’IA, in particolare il deep learning, per creare nuovi strumenti di analisi e verifica a supporto del collezionista oltre che dei professionisti del settore, dall’art-advisor allo storico dell’arte. Una delle applicazioni che ha più suscitato il mio interesse è Wondeur13. Oggi, grazie a grandi database che raccolgono i risultati d’asta è possibile quotare un’opera analizzando i risultati delle opere precedentemente vendute. Ma come si può quotare l’opera di un artista che non ha mai venduto un suo lavoro attraverso una casa d’asta? Sono tantissimi gli artisti contemporanei che non si affidano alle aste per vendere le proprie opere, e quantificare il valore di un’opera, senza conoscere le quotazioni delle opere precedenti, è molto complesso. Wondeur sposta l’attenzione dall’opera all’artista. Gli algoritmi di Wondeur analizzano il percorso di un artista, partecipazioni a fiere internazionali, esposizioni importanti e così via, per determinare il valore dell’opera. La novità sta nel non utilizzare le banche dati dei risultati d’asta: questa applicazione può dare indicazioni anche sul valore delle opere di tutti quegli artisti che non hanno mai venduto in asta. Sono venuta a conoscenza di Wondeur in occasione di un webinar online di Arte Generali14 che in questo 2021 ha avviato con loro una collaborazione includendo questo strumento nella loro app Generali dedicata ai clienti in modo da poter quantificare un’adeguata copertura assicurativa e monitorare il valore delle opere nel tempo. Non solo privati: Wondeur può essere un utile strumento anche per un museo che vuole acquisire opere di artisti emergenti e necessita di quantificarne il valore nel tempo. 144
wondeur.ai Website Wondeur.
4. Olivier Berger e Sophie Perceval, cofondatori di Wondeur.
Ho contattato Olivier Berger e Sophie Perceval, cofondatori di Wondeur, per comprendere il funzionamento di questa innovativa piattaforma. Ne è nata un’intervista che ci offre interessanti spunti di riflessione sul mercato dell’arte. R. P.: Quando si parla di Wondeur, per quanto semplici possano essere le domande, non altrettanto semplici possono essere le risposte ai temi tanto complessi di questo progetto veramente pioneristico. O. B.: È un grande progetto di ricerca avviato tre anni fa e non ancora completato. L’ultima rivoluzione dell’IA, la rivoluzione del deep learning, è nata nei laboratori dell’Università di Toronto, ed è la ragione per cui la nostra sede è proprio qui a Toronto. Wondeur è costituito da un’équipe di ricercatori realmente straordinari che sono stati affiancati da un gruppo di ricercatori del MIT – Massachusetts Institute of Technology – per analizzare insieme il mondo dell’arte, perché il mondo dell’arte è un mondo complesso che richiede ancor oggi un approccio quotidianamente aggiornato per comprendere cosa accade nel mondo dell’Intelligenza Artificiale. 145
R. P.: Solo tramite una ricerca straordinaria si possono comprendere i diversi fattori che hanno un impatto determinante sulle opere d’arte. S. P.: La maggior parte delle tecnologie attualmente disponibili lavorano sulla fisicità dell’opera per rilevare i falsi o per dare suggerimenti sul valore di un’opera, per fare un’analisi o formulare una previsione sui risultati di vendita all’asta. O. B.: Sfortunatamente non si può formulare una vera e propria previsione. Quando si prendono in considerazione i milioni di transazioni del mercato auction nell’ultimo decennio, non vi si trovano che tre, quattromila artisti che abbiano avuto più di cinque transazioni, tutti gli altri artisti hanno avuto una sola transazione se non nessuna. Quel che noi facciamo specificatamente è prendere in osservazione quei segnali e fattori che permettono di creare un prezzo seguendo gli stessi principi e gli stessi segnali degli esperti d’arte. È la fundamental analysis. E lo facciamo a livello mondiale per circa il 95% degli artisti nati dopo il 1900. S. P.: È importante segnalare che lo spirito con cui lavora la nostra équipe è molto specifico. Quando si lavora su risultati di vendite all’asta e si cerca d’anticiparne i risultati successivi, ovviamente ci si trova a fare un esercizio speculativo. Queste tecnologie costruite allo scopo di pronosticare il prossimo record, non spiegano nulla: il loro scopo non è comprendere il valore di un’opera ma di poter dire, ecco, a quanto la si vende. Per formulare un’opinione su un prezzo – è troppo alto o troppo basso – gli esperti fan ricorso a un considerevole numero d’informazioni e possono quindi ragionevolmente formulare un’opinione. Abbiamo anche intervistato molti compratori e ci siamo resi conto che non comprendere o non poter giustificare un prezzo, infine non poter formulare un’opinione su un prezzo, costituisce per tutti loro un grave problema. O. B.: Si dice spesso che vi è un gran problema di trasparenza nel mondo dell’arte ed è vero. S. P.: Ed è altrettanto vero che per noi il tema della trasparenza è ancora un tema irrisolto perché non è sufficiente enunciare il prezzo di un’opera. Il punto davvero importante è spiegare il prez146
zo: è un prezzo troppo alto o troppo basso: perché? Su cosa ci si basa? Come giudicare quel prezzo? E per rispondere a queste domande si rende necessaria un’analisi fondamentale, come ha detto Olivier, ovvero una vera e propria analisi del valore intrinseco e non speculativo dell’opera. O. B.: Quel che maggiormente manca in questo mondo è poter valutare il rischio sul valore, il rischio passato, presente e futuro. E questo riguarda tanti altri casi quali gli alternative assets, ovvero i patrimoni alternativi come Real Estates, le proprietà immobiliari, o i mercati obbligazionari. Tutti questi mercati sono stati rivoluzionati quando si è finalmente avuto accesso all’informazione e alla comprensione del rischio perché è questo che crea fiducia. E finché non vi sarà fiducia, anche questo mercato rimarrà estremamente imperfetto e difficile per gli artisti, per i galleristi così come per gli assicuratori. È un mercato superbo reso improduttivo dalla mancanza di valutazione del rischio che ne influenza tutti gli operatori, anche lo stesso collezionista che non azzarda il rischio se non può comprendere il valore di un’opera. E la scommessa che abbiamo fatto io e Sophie è che quando si arriva alla comprensione del prezzo, all’explainability in inglese, si può avere un mercato più fair e più vasto, perché l’assunzione del rischio sarà meglio compresa e la decisione sarà di conseguenza più facile. Questo sarà d’impatto non solo per i grandi artisti, ma anche per gli artisti emergenti, le artiste donna, gli artisti afro-americani, e così via… S. P.: È la grande questione dell’asimmetria di questo mercato. Vi sono molte persone che giudicano il mercato dell’arte corrotto e decisamente mal funzionante: un mercato opaco dove nulla ha senso e i cui valori sono assurdi. Noi non crediamo affatto che sia così: crediamo al contrario che all’interno di questo mercato vi sia molta autoregolamentazione. Questa autoregolamentazione riposa sulle spalle degli esperti, dei professionisti che hanno un concreto codice di condotta, meraviglioso e ben visibile nei dati: noi lavoriamo con scienziati che non vengono dal mondo o dal mercato dell’arte, e ci confermano che questo è un mondo e un mercato straordinariamente strutturato. No, il mondo dell’arte non è il Far West. Vi sono anomalie dovute all’asimmetria dell’informazione, perché l’informazione non è distribuita in modo uniforme 147
e corretto e quindi vi sono degli inconvenienti. Ma il mercato nel suo insieme è estremamente ben strutturato e regolamentato dal comportamento dell’insieme dei suoi operatori che non compiono assurdità. È un mercato molto bello, e i dati lo dimostrano, e dimostrano anche che ogni elemento del mondo dell’arte è necessario per il suo funzionamento. È come un organismo vivente, e una piccola abitazione d’artista a San Gimignano è tanto importante nella carriera di un artista quanto lo è una grande Galleria a Milano perché ogni nodo della rete contribuisce a fabbricare il valore e la struttura di un ecosistema dove tutto è interdipendente, dove tutti gli elementi sono utili e necessari. Non si può dire che tutto questo mondo sia diretto da cinque mega gallerie e che tutto il resto non serva a nulla. I dati ci provano il contrario. Possibilmente la cosa fondamentale oggi nel mercato dell’arte è proprio quel resto: le associazioni no profit che costruiscono le carriere degli artisti, le piccole gallerie commerciali, i musei e i programmi specifici dei musei per l’acquisizione di artisti all’inizio della loro carriera, e così via. È tutto questo a far girare il mondo dell’arte. Vi è una struttura, una congruenza molto interessante, affidabile e rassicurante. Di conseguenza il corretto accesso all’informazione cambia completamente il giudizio sulla fairness. E questa è la nostra filosofia perché ci siamo resi conto che molte delle percezioni negative del mondo dell’arte sono un mito che non resiste all’osservazione dei dati. O. B.: Uno dei motivi per cui lavoriamo con Generali, per esempio, è che la comprensione del valore è molto importante per questo assicuratore. Per tutelare i clienti occorre stipulare una polizza assicurativa adeguata al valore. Questo è qualcosa che non si può fare manualmente, su grandi volumi; quindi, noi forniamo loro delle segnalazioni d’allerta sistematiche, automatiche, atte a supportare i loro team interni. Ma la volontà di Generali è anche visionaria: hanno compreso che non bisogna tenere interna quest’informazione ma bisogna parteciparla ai clienti e rassicurarli adeguatamente per permettere loro di comprendere quel che accade. Quello di cui parlava Sophie: l’asimmetria dell’informazione rovina il mercato. Quando invece si permette all’informazione di circolare liberamente, accade qualcosa di magico. È questa la scommessa che abbiamo fatto. Per il momento i nostri clienti sono 148
le grandi assicurazioni e i grandi istituti bancari. La ragione di questa scelta è che vogliamo che il nostro prodotto sia utilizzato dagli esperti prima di essere offerto al resto della popolazione. S. P.: Relativamente al modo in cui funziona l’algoritmo, non scendiamo in dettagli tecnici. R. P.: Quel che interessa è permettere al lettore di capire il focus, i punti che l’algoritmo analizza per valutare le carriere degli artisti, le loro opere. S. P.: Quel che è importante sapere, per la comprensione dell’evoluzione del valore o dei rischi sul valore di un’opera, è seguire le tappe della carriera di un artista e come analizzare l’impatto di ogni tappa sul valore dell’opera. È un meccanismo per confrontare e valutare l’impatto delle diverse istituzioni sulla carriera di un artista. Noi lo applichiamo su scala mondiale poiché le carriere sono sempre più internazionalizzate, e su un arco di 100 anni quindi con un’ampia visuale storica per poter rilevare con precisione quali traiettorie hanno seguito gli artisti che successivamente ritroviamo in una o in un’altra istituzione. E questo, se volete, è un enorme esercizio di confronto. Confrontiamo, misuriamo, osserviamo tutti gli elementi che vanno a costituire una carriera e vediamo quanto velocemente progredisce. E proprio in questo consiste il misurare il successo di stima. Quando parliamo della velocità di avanzamento di una carriera, non stiamo parlando di quanto risulta poi visibile nelle vendite all’asta. Vi possono essere artisti che per un certo periodo hanno forti accelerazioni di carriera, ma poiché non realizzano opere facili da vendere sul mercato, non producono pittura, fotografia, o scultura ma realizzano installazioni video o performance, non si hanno dati di vendita pubblica del loro lavoro, e tuttavia noi siamo in grado di determinare la velocità con cui le loro carriere si sviluppano attraverso la misura del successo di stima e del riconoscimento culturale delle loro opere che è il criterio fondamentale per spiegarne l’evoluzione del valore finanziario nel tempo. O. B.: Questo ci permettere di comprenderne il valore intrinseco. Prendiamo per esempio un artista le cui opere si vendono oggi a parecchi milioni sul mercato auction. Capiremo dove è ancorato 149
il valore e qual è la parte volatile a causa di un’imperfezione del mercato o di una frenesia del mercato per questo artista. E proprio questa parte rappresenta un rischio d’erosione. Inoltre la nostra ricerca consiste in gran parte nel comprendere come il mercato abbia influito sulle carriere delle artiste donna o degli artisti appartenenti a minoranze, sulle loro traiettorie e sui loro valori, e quanto velocemente il mercato recupererà questo ritardo. È una vera e propria analisi della volatilità, del rischio sul valore che tiene conto degli stessi fattori che gli esperti d’arte considerano a livello globale, oltre a fattori difficili da reperire perché nascosti nell’insieme dell’informazione. Quindi noi non ci sostituiamo all’esperto. L’esperto è insostituibile ma noi gli permettiamo di ampliare il campo di applicazione della sua competenza. L’esperto è fondamentale come lo sono gli altri operatori di questo mercato. Non c’è da sostituire i galleristi, o i musei, o gli esperti e i consulenti. Tutti questi operatori hanno un ruolo fondamentale nel mercato. Il problema è aumentare la quantità d’informazione per consentire a questa asimmetria di informazioni di scomparire. S. P.: Del resto è un problema relativamente nuovo, cioè degli ultimi trent’anni, perché l’internazionalizzazione delle carriere ha seguito l’internazionalizzazione dei mercati. Questo significa che oggi un esperto che per esempio lavora sulla collezione di una società, una collezione che può essere una raccolta globale, mondiale, con artisti che provengono dall’Asia, dal Sud o dal Nord America, o dall’Europa, per poter comprendere veramente a fondo ciascuno di questi artisti e la loro carriera dovrebbe avere una conoscenza approfondita di ciascuna di queste scene locali, il che è impossibile, perché un esperto d’arte trae la propria forza dalla profondità della propria conoscenza. Un esperto è tale proprio non perché sa un po’ di tutto, ma perché sa tutto di qualcosa di specifico. Sa tutto dell’arte italiana dagli anni ’40 a oggi, dell’arte europea, forse non nel suo insieme, forse dell’arte tedesca, francese e svizzera da tale a tale anno, o sull’arte cinese dal ’400 al 1800, ma la precisione del suo campo di dominio fa parte delle condizioni necessarie per accumulare competenze sufficienti. E oggi un esperto ha bisogno di avere cognizioni in campi molto diversi perché queste collezioni sono molto diversificate. Questo è impossibile senza il supporto 150
di una macchina. Ed è qui che noi possiamo aiutare l’esperto dicendogli: «Ecco, voi non potete obbligatoriamente diventare un esperto della scena emergente cilena perché non avete contatti in Cile, non conoscete le gallerie cilene, ecc., ma possiamo già dirvi in generale dove situare questo o quell’artista e qual è l’impatto relativo delle diverse istituzioni in Cile». E lo facciamo su una base oggettiva. O. B.: È la macchina a estrapolare queste informazioni dai dati. La macchina confronta 245.000 artisti quotidianamente. Quindi immaginatevi un enorme spazio multidimensionale nel quale la macchina mette a confronto artisti e istituzioni in modo permanente e quotidiano. Questo è molto importante perché il mercato ha bisogno di fiducia, ha bisogno di un approccio che ne rispetti la complessità e prenda in considerazione quegli stessi segnali che prendono in considerazione gli esperti. R. P.: Olivier, parlando di cifre, quanti artisti annoverate nel vostro sistema? O. B.: Oggi si analizzano 345.000 artisti. In più vi sono diverse decine di migliaia di artisti che analizziamo ma che non abbiamo pubblicato. Per il momento ci concentriamo sugli artisti nati dopo il 1900, se pur lavoriamo anche su qualche decina di migliaia di artisti nati prima del 1900. L’analisi si sviluppa su diversi livelli: a livello dell’artista, dell’opera, di intere collezioni e anche di portfolio. Oggi si può redigere un elenco di artisti tramite un drag and drop nel sistema interno e ottenere un’analisi istantanea. Si può analizzare gruppi d’artisti e di istituzioni a livello città, nazione, e mondo. Tutto dipende dalla domanda cui si deve rispondere. R. P.: È davvero importante. Peccato che in Italia l’esportazione delle opere d’arte, a volte anche solo la loro autenticazione, sia un problema. Senza polemizzare, la situazione data dalle leggi che regolano il mondo dell’arte in Italia è un po’ difficile. O. B.: Stiamo lavorando in via riservata a un piano d’analisi e confronto sul posizionamento di diverse città europee e americane nello spazio culturale internazionale, e sulle potenziali dinamiche di queste città in rapporto ad altre per fare emergere gli artisti se151
condo diversi criteri. La motivazione di questa pubblicazione è di sollecitare il risveglio culturale di quelle città che vogliono comprendere di poter avere delle grandi risorse e che gli eventuali impedimenti possono essere corretti. S. P.: Ci occupiamo principalmente dell’arte della seconda parte del XX secolo e dell’arte contemporanea, periodi in cui si trova la maggior parte degli artisti in attività. È per questo che abbiamo sviluppato il sistema di drag and drop con cui è possibile prendere una collezione di duemila opere, inserirla nel sistema e dire dove sono i punti d’interesse, di dinamicità e di stabilità, quali sono gli artisti in lenta progressione o che sono rimasti indietro, e gli artisti sui quali focalizzare lo sguardo perché presentano una dinamica d’accelerazione. In pochi secondi possiamo dare un’idea di come si sta comportando una collezione. E questo è nell’ordine di una funzionalità del software e non è certo un gadget perché è proprio qui quel che si ha bisogno di sapere. Dove sono i rischi? Come sono distribuiti? Il rischio principale è su 10 o su 500 opere? Questo può cambiare tutto, e permette anche di gestire le possibilità finanziarie di un patrimonio artistico. O. P.: Rebecca, l’ultima domanda riguarda i nuovi media. Noi abbiamo inserito i NFTs nella nostra ricerca sin dall’inizio del nostro progetto, ben prima che giungessero alla ribalta della cronaca. R. P.: Olivier, vi ho posto la questione dei NFTs poiché è un nuovo movimento artistico, piccolo o grande che sia, rappresenta comunque l’attualità, ma vi è molta speculazione attorno e dentro al mercato dell’arte degli NFTs. Queste nuove collezioni rappresentano delle realtà ibride soprattutto in termini di proprietà. E Wondeur può analizzarle ed essere di grande aiuto. O. B.: Gli NFTs sono un buon esempio perché sono arrivati sul mercato come una bomba, almeno agli occhi del pubblico. Molte persone hanno faticato a capire cosa succedesse, ma se torniamo indietro di qualche anno anche la fotografia è stata una rivoluzione. La fotografia non era affatto considerata una Fine Art, ci sono stati momenti di speculazione, d’incomprensione, e vi sono ancor oggi persone che valutano che la fotografia non possa essere una Fine Art, un’opera d’arte. Gli NFTs, sono un’onda – ce ne saran152
no altre, ed è un nuovo medium, ma i principi fondamentali che spiegano la creazione del valore non cambiano. Sono anni ormai che studiamo gli NFTs. Ne comprendiamo il valore e la dinamica del valore. Oggi è un mercato completamente speculativo per la maggior parte degli artisti, il 98% è completamente speculativo, vale a dire che non vi è alcuna stabilità del loro valore. Abbiamo ultimato questa analisi circa due mesi fa, nel momento del boom, permettendo oggi agli operatori del mercato di poter ben comprendere quali parti degli NFTs siano opere d’arte, e quali parti degli NFTs siano ancora puramente speculative e rappresentino un grosso rischio. La ragione per cui abbiamo svolto questa analisi è che se il mercato continua a esplodere ci sarà un vero e proprio bagno di sangue e molte persone perderanno una gran quantità di soldi. Tutto questo costituisce un pericolo per gli artisti digitali, per il mondo dell’arte e la sua reputazione. Per noi è importante aver fatto questa analisi e aver fornito una spiegazione sui punti dove è o non è fissato il valore e aver reso il compratore informato e consapevole prima di assumere il rischio dell’acquisto. Oggi nessuno comprende il rischio che ci si assume con l’acquisto di un NFTs e non è accettabile. Non è accettabile né per l’artista, né per il collezionista né per il mercato. Ci possono essere altre onde, ma i principi fondamentali dei valori non cambiano. S. P.: Inoltre quel che si rileva nella sua domanda, Rebecca, è che i comportamenti cambiano. Le nuove generazioni si interessano ad altri generi d’arte, altri artisti, altri tipi di media, altre forme artistiche. Quel che di fatto osserviamo è che il mondo dell’arte è sempre in ascolto. La maggior parte delle persone che lavorano nel mondo dell’arte hanno il compito di stare all’ascolto dell’arte e partecipare alla creazione e alla protezione della cultura. Quindi alla produzione della cultura partecipano tutti i produttori culturali, le istituzioni il cui dovere è di permettere che gli artisti possano realizzare le loro opere, esibirle, condividerle. Poi per la protezione della cultura ci sono degli operatori patrimoniali per esempio i musei, ma anche le grandi collezioni private, che si impegnano a preservare queste produzioni per l’importanza che avranno per le generazioni future, e a proteggerle poiché rappresentano la nostra cultura o la cultura del luogo o di una certa generazione in una 153
data epoca. Quando un’opera è diventata un simbolo, l’immagine di una generazione o di un paese o di un modo di vedere il mondo, qualcuno vorrà certamente proteggerla. La dinamica della produzione e promozione della cultura e quindi della protezione della cultura, non cambia. Le onde vanno e vengono, i contenuti cambiano. I nuovi collezionisti, le nuove generazioni possono avere altri gusti, ma quel che è certo è che ci saranno sempre dei segnali. E sono questi segnali che noi osserviamo: i segnali che indicano in un preciso momento se un’opera è passata da un semplice oggetto a un oggetto culturale, e da un oggetto culturale a un oggetto patrimoniale. È una progressione graduale nel tempo. Per questo torniamo indietro nel tempo fino al 1900 e prima ancora perché infine si tratta di dinamica. Sono dinamiche umane, collettive, e in continuo cambiamento. O. B.: E Rebecca, come lei ben sa, l’arte contemporanea è uno dei pilastri delle nostre democrazie liberali. La maggior parte dei cambiamenti sociali sono passati attraverso l’arte contemporanea anzitutto come espressione politica. Una bella evoluzione è permettere di comprendere il valore per creare fiducia e consentire quella dinamica di mercato che permette agli artisti con idee innovatrici di vivere del loro lavoro ed esprimere la loro opinione. Quindi il progetto Wondeur è un progetto scientifico, economico, ma anche culturale e sociale. È anche un progetto che ha chiamato a sé grandi talenti del mondo dell’IA. La nostra è una dimensione davvero importante. Toronto, 2 maggio 2021
Neuroscienza e neuroestetica al servizio del museo
«Dissi nel Dorian Gray, che i grandi peccati del mondo vengono consumati nella mente; ma tutto vien consumato nella mente. Sappiamo ora che non vediamo con gli occhi e non udiamo con le orecchie. Questi in realtà sono canali di trasmissione, adeguati o no, delle impressioni sensoriali. Solo nella mente il papavero è rosso e la mela è profumata e l’allodola canta.» Oscar Wilde, De Profundis1 Mi muovo in punta di piedi in questo capitolo, perché sono una storica dell’arte e non una neuroscienziata, ma proprio come storica dell’arte reputo di notevole interesse e attualità alcuni studi di neuroscienza e neuroestetica, un po’ ostici forse ma che ci permettono di indagare come funzioni l’esperienza estetica nel nostro cervello quando ci troviamo a contemplare un’opera d’arte. Come percepiamo la bellezza? Cosa succede a livello cerebrale quando ammiriamo un’opera d’arte come la Venere di Botticelli, la Gioconda di Leonardo o un dipinto astratto di Kandinskij? Già gli studi di psicologia della percezione applicata all’arte hanno portato alla pubblicazione di testi riferimento in questo ambito. È del 1954 Art and Visual Perception. A Psychology of Creative Eye dello psicologo dell’arte Rudolf Arnheim, mentre pochi anni dopo, nel 1960, lo storico dell’arte Ernst Gombrich pubblicherà Art and Illusion. A Study in the Psychology of Pictoral Representation. Il tema è ripreso in modi innovativi dagli sviluppi recenti delle neuroscienze. Le neuroscienze hanno una storia antica e complessa, che ha molteplici radici. Un passo importante
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I neuroscienziati di oggi hanno fatto tesoro degli studi dei loro predecessori e in questi ultimi venticinque anni hanno ottenuto straordinari risultati interdisciplinari relativi al funzionamento del nostro sistema nervoso, e per quanto direttamente ci interessa, su come il cervello si attivi quando ci troviamo di fronte a un’opera d’arte.
rb.gy/8v8zvf “A neural portrait of the human mind”, Nancy Kanwisher, TED2014.
nella loro fondazione come disciplina avviene nel 1962 con la nascita del NRP – Neuroscience Research Program – presso il Massachusetts Institute of Technology – il famoso MIT. Il NRP è stato fondato da Frank O. Schmitt, a cui si deve anche la creazione del termine “neuroscienze”, e da un gruppo di scienziati – fisici, biologici, medici e psicologi – interessati a unire le loro competenze per indagare il comportamento e il funzionamento del cervello. Nei vent’anni a seguire questo team di ricercatori ha certamente contribuito allo studio e alla definizione delle neuroscienze. Lo studio del funzionamento del cervello è stato inoltre supportato nel XX secolo da tutta una serie di progressi in diverse discipline, dalla biologia molecolare all’elettrofisiologia, e con l’innovazione tecnologica si sono andate a creare nuove tecniche di brain imaging: strumentazioni sofisticate che hanno permesso di monitorare il cervello dall’interno. Per comprendere l’incredibile livello di ricerca raggiunto2 vi invito a vedere i QR code di questo capitolo. 156
1. Visitatori del Musée du Louvre ammirano il capolavoro vinciano, Gioconda.
www.youtube.com/ watch?v=Jyc7FIglkHI Eric Kandel at TEDxMet, 18 dicembre 2013.
rb.gy/xqidtj “Could future devices read images from our brains?” Mary Lou Jepsen, TED2013.
Tra i tanti recenti studi di quei visionari neuroscienziati che si sono dedicati allo studio della percezione3 dell’arte, vi propongo tre brevi sintesi che per il mio percorso di studio sono state fondamentali: Eric Kandel, premio Nobel nel 2000, Semir Zeki, fondatore della Neuroestetica e Vittorio Gallese dell’équipe di Giacomo Rizzolatti che ha scoperto i neuroni specchio. Eric Kandel: un ponte tra arte e neuroscienze4 Eric Kandel è uno dei neuroscienziati più influenti del XX secolo. È stato il primo psichiatra statunitense ad aver vinto il Nobel per la medicina grazie ai suoi studi sui meccanismi biochimici che portano alla conservazione della memoria nei neuroni – premio Nobel nel 2000 condiviso con i colleghi Arvid Carlsson e Paul Greengard. Abbiamo visto che i successi della neuroscienza derivano da un approccio di studio interdisciplinare. Di fatto Eric Kandel si rifà al saggio5 di Charles P. Snow, famoso fisico molecolare, che sosteneva come si stesse creando una frattura tra la cultura scientifica e quella umanistica e quanto fosse necessario che questi due mondi si connettessero l’uno con l’altro per far progredire la conoscenza umana. Con questo scopo nel 2017 Eric Kandel scrive il libro Arte e Neuroscienze. Le due culture a confronto e ci porta alla scoperta dei meccanismi di elaborazione dell’informazione visiva a livello cerebrale, arrivando a spiegarci quali siano i passaggi che avvengono nel cervello dalla visione di un’immagine – o di un’opera – fino alla sua elaborazione e quindi alla comprensione o all’interpretazione dell’opera stessa, sempre dal punto di vista neuroscientifico. Il punto di partenza del percorso di ricerca di Kandel è la risoluzione del problema ottico inverso, identificato la prima volta 157
esperienze a fronte delle ambiguità percettive che deve risolvere. Come diceva Galileo Galilei: «Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono». Eric Kandel prosegue nella sua ricerca portandoci a scoprire quei meccanismi della memoria che ci permettono di conservare la nostra conoscenza, ovvero le nostre esperienze. Ed ecco che si fa strada quel ponte tra cultura umanistica e cultura scientifica che Kandel vuole costruire.
da George Berkeley nel 1709 e incentrato sul fatto che la retina oculare percepisce un’immagine bidimensionale e non tridimensionale. Come può il nostro cervello comprendere un’opera d’arte se i nostri occhi percepiscono un’immagine bidimensionale? Anche se il nostro cervello non riceve informazione sufficiente per ricostruire con precisione un oggetto, noi lo facciamo di continuo, e con una sorprendente coerenza da persona a persona. Come avviene6?
Kandel riprende gli studi di Hermann von Helmholtz, fisico e medico vissuto nel XIX secolo che aveva risolto il problema ottico inverso introducendo i concetti delle funzioni bottom-up e topdown. Kandel procede nella ricerca sui processi cognitivi, emotivi e mnemonici che si attivano quando guardiamo un’opera d’arte dimostrando che il nostro cervello è in grado di completare e interpretare ciò che vediamo. L’informazione bottom-up «è fornita dalle computazioni che sono implementate nel nostro cervello» (Kandel, 2016): acquisiamo quindi fin dalla nascita la capacità di individuare gli elementi chiave di ciò che vediamo come linee o contorni. In pratica siamo biologicamente in grado di acquisire visualmente le informazioni essenziali che ci permettono di riconoscere oggetti e persone. Ma per “risolvere” le ambiguità percettive non basta l’informazione bottom-up. È necessario che il nostro cervello si attivi a un secondo livello per decifrare e risolvere completamente l’informazione ricevuta dai sensi: questa è l’elaborazione top-down. L’elaborazione top-down è un processo più complesso volto a dare un senso alle immagini che vediamo sulla base della nostra esperienza, e quindi differenti da individuo a individuo. La percezione integra l’informazione che il nostro cervello riceve dal mondo esterno con la conoscenza appresa sulla base delle esperienze precedenti e della verifica delle ipotesi7.
Una persona che osserva un’opera d’arte elabora le informazioni ricevute e crea ipotesi o trova soluzioni in base alle proprie 158
La neuroestetica: Semir Zeki8. Vedere la bellezza.
youtu.be/_j5GKszeiyE Semir Zeki, “Neuroaesthetics: How the Brain Explains Art”, 21 aprile 2021.
La neuroestetica studia quei meccanismi neurali che si attivanodi fronte alla bellezza, e il neurobiologo Semir Zeki, considerato il padre della neuroestetica, ci spiega come la visione sia un processo attivo e non passivo9, e come la fruizione della bellezza sia un’esperienza che può essere scientificamente studiata anche in termini di attività cerebrale. Nei suoi scritti ci racconta come negli ultimi venticinque anni sia stata avviata questa interessante analisi e ci illustra il funzionamento del cosiddetto “cervello visivo” nel processo percettivo dell’opera d’arte. Ci racconta gli “eventi cerebrali” che si manifestano di fronte a un’opera di Vermeer o di Michelangelo e mostra come il cervello «ha adottato la soluzione di lavorare in parallelo, di elaborare i diversi attributi della scena visiva procedendo simultaneamente e in parallelo»10. Oggi siamo arrivati a monitorare la reazione delle cellule della corteccia cerebrale il cui metabolismo si attiva di fronte a un’opera d’arte. Questa attivazione può essere registrata con le nuove tecniche di brain imaging: a seconda di quello che guardiamo, un dipinto monocromatico o un ritratto, si attivano aree diverse del nostro cervello che agendo in parallelo ci permettono di vedere e comprendere un particolare specifico della scena visiva11. Se da un lato Semir Zeki e con lui gli studiosi di neuroestetica non ci nascondono che a oggi non conosciamo abbastanza il nostro cervello per poter capire appieno come funziona, tuttavia in termini di esperienza estetica Zeki ne scopre le specifiche funzionali di fronte alle opere d’arte: è il “cervello visivo”. Nel nostro cervello vi sono numerose aree visive – non solo una 159
2. Jan Vermeer, Veduta di Delft, 1660-1661 ca., olio su tela, 96,5 × 115,7 cm, Mauritshuis, L’Aia.
3. Michelangelo Buonarroti, Diluvio universale, particolare, 1508 ca., affresco, Cappella Sistina, Musei Vaticani, Città del Vaticano.
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come si supponeva in passato – e ogni area visiva ha una specifica funzione a seconda che si osservi una diversa caratteristica di un dipinto, ora la forma ora il colore o altro. Attraverso la rete ottica i nostri occhi “trasportano” le diverse percezioni o segnali alla corteccia visiva primaria (V1) che, dopo una prima elaborazione le invia ad altre zone del cervello, ad altre aree visive. Alcune cellule reagiscono a un colore, altre alla dimensione: è la teoria della specializzazione di Semir Zeki che suppone che «attributi diversi della scena visiva vengano gestiti in zone del cervello topograficamente distinte». Semplificando molto possiamo immaginare il nostro cervello come una grande stazione di smistamento delle informazioni percettive che vengono inviate ed elaborate in altre stazioni preposte del lobo temporale.
livello cerebrale è costituito dall’importante ruolo svolto dai nostri “neuroni specchio” che ci portano alla moderna neurofisiologia dell’empatia. Ogni giorno vediamo altre persone compiere diverse azioni: il compagno che rientra a casa e ci saluta sorridendo, la mamma che prepara la cena, o il collega che esce pensieroso per una riunione con il suo direttore. Come essere umani abbiamo la capacità di comprendere il significato delle azioni compiute da altri individui, ma non sono assolutamente scontati i meccanismi neurali che stanno alla base di questa capacità. Con la scoperta dei neuroni specchio ci si è resi conto che in realtà si va ben oltre la semplice comprensione delle azioni compiute da terzi: c’è una partecipazione più complessa che chiama in gioco il nostro cervello e la cosiddetta “consonanza intenzionale”, la base neurofisiologica dell’empatia.
La funzione principale del cervello visivo è quella di acquistare la conoscenza del mondo che ci circonda12.
Siamo negli anni ’90 nel dipartimento di fisiologia dell’Università di Parma. Un gruppo di ricercatori, coordinato da Giacomo Rizzolatti e composto da Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe Di Pellegrino, stanno studiando l’area della corteccia premotoria dei macachi: l’area F5. L’area F5 è specializzata nel controllo ed esecuzione delle azioni motorie in particolare della mano, per esempio afferrare una banana. I ricercatori avevano collocato degli elettrodi a un macaco per studiare i neuroni di quest’area del cervello che però si attivarono del tutto inaspettatamente allorquando la scimmia, che non stava compiendo alcuna azione, osservò il gesto di un ricercatore che stava prendendo del cibo. Com’era possibile che quei neuroni si fossero attivati anche se la scimmia non stava compiendo alcuna azione? Si era sempre pensato che i neuroni legati al movimento si attivassero allo svolgere di un’azione fisica. Non si trattava di un errore di rilevazione: nella scimmia si erano attivati i neuroni specchio che si erano attivati involontariamente osservando l’azione compiuta da un altro soggetto.
Se, come afferma Semir Zeki, oggi non è ancora possibile collegare l’esperienza estetica con ciò che avviene nel nostro cervello, attraverso la ricerca sulle funzioni e le modalità d’azione del cervello visivo possiamo “vedere” come percepiamo un’opera d’arte e quali siano i meccanismi neurali che si attivano di fronte alla bellezza. Con la neuroestetica inizia un percorso di studio della mente umana che nei prossimi anni non mancherà di stupirci con grandi scoperte, fermo restando che l’esperienza estetica e la sua comprensione non si possono comunque ridurre alle mappature del brain imaging. I neuroni specchio: tra empatia ed esperienza estetica13 Abbiamo considerato l’attivazione del nostro cervello per leggere visivamente e interpretare, bottom up e top down, un’opera d’arte, sia un quadro astratto del ’900 o un ritratto antico. Con Semir Zeki abbiamo accennato alla specialistica funzionale delle aree del cervello e introdotto il “cervello visivo”. Un altro tassello fondamentale per comprendere la percezione di un’opera d’arte a 162
We describe here the properties of a newly discovered set of F5 neurons (“mirror neurons”, n = 92) all of which became
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active both when the monkey performed a given action and when it observed a similar action performed by the experimenter. Mirror neurons, in order to be visually triggered, required an interaction between the agent of the action and the object of it14. Descriviamo qui le proprietà di un insieme di neuroni F5 appena scoperto (“neuroni specchio”, n = 92) che sono diventati tutti attivi sia quando la scimmia ha eseguito una determinata azione sia quando ha osservato un’azione simile eseguita dallo sperimentatore. I neuroni specchio, per essere attivati visivamente, hanno richiesto un’interazione tra l’agente dell’azione e l’oggetto di essa.
youtu.be/yOZeAWtQh6k Vittorio Gallese, “Empatia ed esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica”.
Con la pubblicazione Action recognition in the premotor cortex, l’équipe di Parma illustra gli studi sui neuroni specchio presenti nell’area F5 della corteccia premotoria della scimmia che si attivano quindi sia quando la scimmia compie un’azione finalizzata, per l’appunto afferrare una banana, sia quando osserva un terzo soggetto compiere la stessa azione per una sorta di riflesso alle azioni altrui: da qui il nome “neuroni specchio”. Dopo anni di ricerca e sperimentazione, nel 1995 Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti dimostrarono l’esistenza dei neuroni specchio anche nell’uomo grazie all’impiego della tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI), che ha permesso di rilevare e localizzare le aree cerebrali coinvolte quando si attivavano i neuroni specchio che aumentando il metabolismo richiamano una maggiore quantità di sangue. Molti studi hanno poi dimostrato che questi neuroni non si attivano solo quando osserviamo un’azione compiuta da terzi ma anche quando semplicemente assistiamo a esperienze emozionali e sensoriali altrui. Qual è la connessione dei neuroni specchio con la fruizione e percezione di un’opera d’arte? Come possono attivarsi i neuroni specchio se guardiamo un’opera e non un’azione? Partendo dagli studi sull’area F5, Vittorio Gallese e lo storico dell’arte David Freedberg analizzano le connessioni tra i neuroni 164
youtu.be/WY5wlOMBiTo Vittorio Gallese, “Il ruolo dell’intersoggettività: neuroni mirror e comunicazione”.
specchio e la percezione dell’arte. Ho trovato molto interessante la conferenza Empatia ed Esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica tenuta da Vittorio Gallese nel 2018 a Ferrara. Per i dettagli vi rimando al QR Code di questo capitolo, e qui di seguito ne riassumo alcuni punti salienti. Vittorio Gallese riprende quei visionari studi dell’800 che ripercorrevano la storia dell’estetica secondo l'etimologia originaria di “estetica”, aisthesis, ossia la percezione del mondo con e attraverso il corpo. Le sue ricerche sono volte a indagare i correlati neurobiologici dell’esperienza estetica, come il nostro corpo reagisca in un rapporto “empatico”, rapporto in cui l’empatia è da intendersi come il “sentire con l’altro”. Ricollegandosi alla storia dell’empatia e dell’intersoggettività, da Theodor Lipps a Edith Stein e Adolf von Hildebrand, Gallese specifica che l’empatia è da intendersi come reazione di fronte a qualcosa o qualcuno e implica una ricezione fisica, perché una parte del cervello si attiva quando creiamo un’opera (indubbiamente) ma anche quando la osserviamo. L’empatia non è una semplice partecipazione alle emozioni altrui. Per empatia Vittorio Gallese intende: «Un accesso diretto non mediato al mondo delle esperienze dell’altro che comprende le emozioni e i sentimenti ma anche qualcosa di più, cioè le azioni e entro certi limiti le intenzioni che promuovono il comportamento altrui»15. Quindi la capacità di comprendere – e non necessariamente di condividere – quell’azione o quel sentimento. Ed ecco come è possibile applicare il concetto di empatia all’arte: L’esperienza estetica delle immagini la possiamo quindi vedere come una forma mediata di intersoggettività. Ogni volta che mi pongo di fronte a un quadro, una scultura o un affresco non mi relaziono esclusivamente con un oggetto del mondo fisico che ha alcune caratteristiche formali – colori, forme, fattezze, masse, volume – ma mi relaziono ogni volta anche con un altro essere umano – colui o colei che quelle immagini le ha realizzate. Quindi l’opera d’arte diventa il mediatore di una relazione interpersonale tra me e quello che oggi, dal Rinascimento in poi abbiamo imparato a chiamare come artista16.
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In breve, oggi sappiamo che osservando un’opera d’arte non è solo il “cervello visivo” a essere chiamato in gioco, non stiamo semplicemente guardando ma attiviamo anche la parte motoria emozionale del nostro cervello. Quali possono essere le strade da percorrere per usare le neuroscienze e l’Intelligenza Artificiale nel mondo dell’arte? Leggendo i testi di Kandel, Zeki, Gallese e di altri neuroscienziati, si comprende quindi quanto e come il nostro cervello, il nostro corpo, si attivino durante la fruizione di opere d’arte. Mi preme però sottolineare che la neuroestetica o gli studi sui neuroni specchio non “spiegano” la complessità, la ricchezza e l’unicità dell’esperienza estetica. Del resto, basta pensare che l’esperienza che si fa di fronte a I mangiatori di patate di van Gogh non è certo la stessa di quando si osserva un commensale in trattoria che mangia un piatto di patate! È importante ricordarlo, in particolare in un volume come questo che tratta di arte e Intelligenza Artificiale, perché la tentazione di ridurre l’esperienza estetica al suo mero correlato neurobiologico e neurofisiologico per certi aspetti è paragonabile a un uso improprio dell’Intelligenza Artificiale, al suo utilizzo per omologare, ridurre, condizionare. Eccoci arrivati alla “simulazione incarnata”, momento cruciale nell’esperienza estetica delle opere d’arte, che presenta due componenti. La prima porta l’osservatore a entrare in empatia con l’opera, con il suo contenuto. Quindi se per esempio osserviamo l’opera I mangiatori di patate17, di Vincent van Gogh, si attiveranno le aree motorie del cervello come se compissimo noi stessi le azioni rappresentate nel dipinto. La seconda riguarda invece il tema della “intersoggettività” ossia una relazione tra l’osservatore e l’artista autore dell’opera. Così, di fronte a un “taglio” di Fontana si attiveranno nel cervello dell’osservatore anche le aree motorie relazionate al gesto che l’artista ha compiuto per realizzare quel “taglio”. L’osservatore simulerà interiormente ciò che vede rappresentato nell’opera incluso la gestualità dell’artista. 166
4. Vincent van Gogh, I mangiatori di patate, 1885, olio su tela, 82×114 cm, Museo Van Gogh, Amsterdam.
La frase di Semir Zeki «noi vediamo per acquisire una conoscenza del nostro mondo» mi offre l’opportunità di aprire una riflessione decisamente cruciale sulla funzione dell’IA nel nostro sistema culturale globale. Un algoritmo per sua natura può essere un decodificatore delle nostre attività cerebrali, ma non può – e potremmo dire non deve – conoscere le sfumature della nostra mente. Per crescere dobbiamo esplorare nuovi cammini al di là dei suggerimenti o indicazioni di percorso, al di là delle nostre preferenze acquisite per uno stile o per un artista. Oggi Internet e le nuove tecnologie danno l’opportunità di aprirci a nuove esperienze estetiche solo se le sappiamo usare con intelligenza – la nostra intelligenza – e con discernimento. Dobbiamo continuare a plasmare la nostra mente, non a farcela plasmare. 167
Lev Manovich lo ha sottolineato bene nel suo ultimo saggio L’estetica dell’Intelligenza Artificiale. Modelli digitali e analitica culturale: Invece di configurarsi come uno strumento al servizio di una singola immaginazione creativa, l’IA si è trasformata in un meccanismo per influenzare l’immaginazione collettiva. I dati raccolti e aggregati relativamente ai comportamenti culturali di questa moltitudine di persone sono finalizzati a modellare il nostro “sé estetico”, predicendo le nostre future decisioni estetiche e i nostri gusti, orientandoci potenzialmente verso le opzioni preferite dalla maggioranza18.
sere utilizzati per migliorare per esempio la user experience nel percorso di visita di un museo. In questo senso, e con questa chiave interpretativa, vi invito alla lettura del prossimo case study: «Come viene percepita la bellezza».
L’esperienza estetica è un cammino di crescita e porta la nostra mente alla ricerca di nuovi significati. Qualcuno ha detto stay hungry. Sì, siate curiosi, l’arricchimento culturale avviene quando allarghiamo i nostri orizzonti. La suggestione mediatica, a cui siamo sottoposti costantemente, e che non potrà che essere sempre più diffusa, non è un dogma. È un momento creativo per la storia dell’uomo da un punto di vista tecnologico, ma anche culturale e morale. È importante che non venga mai a mancare il pensiero critico profondo. Non abbiamo bisogno che l’Intelligenza Artificiale condizioni le nostre scelte, abbiamo invece bisogno di impiegare l’Intelligenza Artificiale per scopi utili, ad esempio, per rendere i percorsi museali sempre più fruibili e a misura d’uomo. Ben venga quindi l’impiego dell’Intelligenza Artificiale come supporto nella progettazione e nella gestione di una collezione d’arte pubblica o privata, nel percorso di organizzazione o nella scelta delle opere d’arte da esporre, perché una collezione segue un fil rouge dettato dal collezionista o dal curatore e in quest’ottica una strumentazione ausiliaria che fa uso dell'Intelligenza Artificiale può risultare uno strumento di grande utilità. La strada da percorrere è stata già tracciata da alcuni lavori volti a raccogliere informazioni su come il nostro corpo reagisca di fronte a un’opera d’arte e su come i dati raccolti possano es168
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Case study: la codifica della percezione della bellezza
Il focus di questo capitolo è l’impiego delle più recenti tecnologie (compresa l’IA) nella strumentazione a supporto della “lettura” del coinvolgimento umano di fronte a un’opera d’arte, finalizzato tra le varie cose anche a portare migliorie nel percorso di visita di un museo. Nel capitolo precedente è stato esposto come la contemplazione di un’opera d’arte vada ad attivare più parti del nostro cervello. A questo punto ci poniamo nuovi interrogativi: è possibile raccogliere i dati delle nostre reazioni di fronte a un’opera d’arte e codificarli? Queste informazioni possono essere utili nella gestione di un museo? L’Intelligenza Artificiale ci può aiutare? 1. Il progetto neuroscientifico ArtTech al Cenacolo Vinciano. Photo courtesy Emanuele Zanardo.
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Questi sono alcuni dei quesiti che hanno costituito il punto di partenza delle attività di Intesa Sanpaolo Innovation Center1 rispettivamente con il progetto ArtTech realizzato nel 2018 presso Intesa Sanpaolo – Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano, e al successivo progetto del luglio 2019 realizzato con il Polo Museale Lombardia rivolto al Cenacolo Vinciano.
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Per comprendere nel dettaglio questi progetti di grande attualità – come e quali siano stati i dati raccolti, come e quale sia il loro utilizzo finale – ho incontrato Luigi Ruggerone, director of trend analysis and applied research – Intesa Sanpaolo Innovation Center, che con Sonia D’Arcangelo, head of Neuroscience Lab Intesa Sanpaolo Innovation Center, e Christian Caldato, head of research presso TSW2, che hanno realizzato entrambi i progetti. A loro va il mio ringraziamento per aver reso possibile la realizzazione di questo case study che qui di seguito vi propongo.
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Martirio di Sant’Orsola Caravaggio
Il progetto ArtTech presso Intesa Sanpaolo – Gallerie d’Italia Piazza Scala, Milano, 20183 Nel 2018 Intesa Sanpaolo Innovation Center e Intesa Sanpaolo Gallerie d’Italia Piazza Scala – Milano, con la collaborazione della società TSW, hanno avviato un progetto per valutare e registrare, su un campione di trenta volontari – colleghi Intesa Sanpaolo e anche giornalisti –, l’impatto emotivo di quattro opere d’arte esposte a Milano presso le Gallerie di Italia nell’ambito della mostra L’ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri. Le opere presentate in questo esperimento erano il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio, il Martirio di Sant’Orsola di Bernardo Strozzi, il Martirio di Sant’Orsola e l’Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini. Ai trenta volontari4 è stato chiesto di indossare tre differenti device:
• Eye tracking: per studiare i comportamenti oculari dei volontari verso le opere d’arte e comprendere le zone di maggiore interesse dei dipinti; • EEG 14 channel: per analizzare il coinvolgimento e la piacevolezza delle opere sulle persone; • Stress bracelet: per tracciare il cambiamento di conduttanza cutanea rilevato a causa della sudorazione involontaria determinata dal sistema simpatico.
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Martirio di Sant’Orsola Bernardo Strozzi
www.youtube.com/ watch?v=Wq7cE56xIkE&t=35s ArtTech, quando arte e innovazione si incontrano.
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Martirio di Sant’Orsola Giulio Cesare Procaccini
3 ▷ p. 174
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Ultima Cena Giulio Cesare Procaccini
2. Le opere al centro del progetto ArtTech.
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Sono stati rilevati e registrati i parametri fisiologici5 a riposo – la baseline dei partecipanti. Successivamente è stato chiesto loro di visionare le quattro opere d’arte secondo uno schema prestabilito: prima per trenta secondi da seduti, poi liberamente per un minuto, e sono state rilevate le loro risposte psicofisiologiche. Vediamo i risultati: le risposte psicofisiologiche raccolte con lo stress bracelet permettono di monitorare l’aurosal, termine mutuato dalla neuroscienza, che definisce il livello di intensità emotiva di fronte a un’opera. Le opere maggiormente impattanti in termini di intensità emotiva, quindi più emozionanti per i partecipanti, sono state l’Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini e il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio. Di notevole interesse sono i dati ottenuti tramite l’analisi del comportamento oculare che ha permesso di individuare le AOI – Area of Interest – e di creare le heatmaps ossia le mappe di calore in cui vengono indicati con i colori, dal rosso al giallo al verde, le figure o gli elementi oggetto di maggiore concentrazione dei partecipanti. Vediamo nel dettaglio i dati raccolti relativamente al Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio: nei primi trenta secondi le persone si sono soffermate a osservare i volti dei protagonisti, in particolare di Attila, e la ferita inflitta dalla freccia; meno impattanti da un punto di vista visivo sono stati i restanti volti e solo con il passare del tempo l’attenzione si è spostata verso gli altri personaggi del dipinto. Le indicazioni date dalle AOI relativamente all’ordine di 174
3. Strumentazione ArtTech: Emotiv Epoc +, 14 channel wearable EEG; SMI ETG 2W, wearable eyetracker; Empatica E4, SCL bracelet.
5, 6 ▷ pp. 176, 177
4. L’Ultima cena di Giulio Cesare Procaccini si dimostra come l’opera in grado di generare il maggior livello di engagement – EEG (coinvolgimento).
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5. Eye tracking: risultanza sul Martirio di Sant’Orsola del Caravaggio.
sequenza e al tempo dedicato per analizzare i dettagli dell’opera, hanno evidenziato che il primo volto visualizzato è stato quello di Attila seguito da quello di Sant’Orsola, e che solo successivamente l’attenzione si è spostata sulla visione della ferita. Attraverso un confronto delle analisi raccolte con l’eye tracking su queste quattro opere, si nota che l’attenzione nell’osservare i diversi personaggi e la lettura dell’opera è cambiata da dipinto a dipinto – anche se tre delle opere, pur diverse, rappresentano lo stesso identico tema ossia il Martirio di Sant’Orsola. Di seguito il risultato:
• Il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio: in evidenza le tre componenti fondamentali: Sant’Orsola, Attila (con particolare attenzione) e il momento dell’uccisione. • Il Martirio di Sant’Orsola di Bernardo Strozzi: in evidenza la figura di Sant’Orsola nella sua interezza. Il ruolo di Attila e dell’uccisione risultano messi in secondo piano. • Il Martirio di Sant’Orsola di Giulio Cesare Procaccini: si rileva un’esperienza gerarchica che attribuisce un ruolo fondamentale a 176
6. Eye tracking: risultanza sul Martirio di Sant’Orsola del Caravaggio.
Sant’Orsola. L’attenzione si sposta successivamente sull’espressione di Attila e infine sul momento dell’uccisione. • L’Ultima Cena di Giulio Cesare Procaccini: si rileva un’esperienza oculare distribuita orizzontalmente partendo dal centro – interazione di Gesù. Gli elementi alla destra e alla sinistra nel quadro hanno generato comportamenti uniformi. A cosa possono servire tutti questi dati? L’analisi psicofisiologica ha permesso di accedere a dati importanti e soprattutto non scontati: come vengono lette le opere, quali sono gli elementi o i personaggi più impattanti e che catturano più intensamente o più a lungo l’attenzione dei visitatori, e non ultimo, l’impatto emotivo di fronte a quattro diversi capolavori. Queste informazioni sono elementi utili e oggi imprescindibili per l’organizzatore di una esposizione che voglia realizzare un percorso di fruizione ottimale e tale da facilitare anche il processo di memorizzazione delle opere esposte, come viene ben sottolineato nel report di ArtTech all’interno dell’Innovation Trend Report6: 177
naturale lettura del visitatore o per evidenziare quei punti di rilevanza nel dipinto che non sono stati colti come avrebbero dovuto. Valorizzare l’esperienza di visita e di fruizione è una mission fondamentale per un museo – e oggi abbiamo a disposizione nuovi strumenti – come questi – che sicuramente offrono un grande contributo.
In generale si suggerisce di strutturare un’esperienza di fruizione che faciliti i processi di memorizzazione. Da questo punto di vista si consiglia di privilegiare l’uso di opere ad alto impatto emotivo, con elevato engagement e motivation nella parte iniziale (effetto primacy) e finale (effetto recency) del percorso.
In questo caso l’opera di Caravaggio e l’Ultima Cena di Leonardo, quali effetto primacy ed effetto recency nel percorso museale, potrebbero rispondere ai requisiti fondamentali per il successo di questa esperienza. Inoltre, le informazioni raccolte attraverso l’analisi del comportamento oculare, che indicano in quale ordine i personaggi e gli elementi visivi sono letti e per quanto tempo, sono i dati da tenere in considerazione per la creazione di contenuti e di audio-guide atti a costituire supporti informativi in linea con la
Il progetto neuroscientifico presso il Cenacolo Vinciano7 Cosa si prova ammirando l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci? Quali elementi di questo monumentale capolavoro colpiscono maggiormente il visitatore? Come viene percepito il percorso di visita del Museo Cenacolo Vinciano?
7. Leonardo da Vinci, Ultima cena, 1495-1498, dipinto murale a secco, 460 × 880 cm, refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano. www.youtube.com/ watch?v=gU1ZvJ22roU Il progetto neuroscientifico presso il Cenacolo Vinciano.
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Nel luglio 2019 Intesa Sanpaolo Innovation Center e TSW hanno realizzato un secondo esperimento di analisi dell’esperienza sensoriale presso il Cenacolo Vinciano su idea della direzione del museo che fa parte della Direzione regionale Musei della Lombardia del Ministero della Cultura. L’obiettivo di questo progetto è stato l’analisi della dimensione esperienziale dei visitatori nel percorso di visita del museo e nella fruizione delle opere l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e la Crocifissione di Donato Montorfano. Un gruppo di trentotto partecipanti – età media trentotto anni e di diverse nazionalità –, reclutati dal Museo con la supervisione di Intesa San Paolo Innovation Center / Neuroscience Lab, comprendeva sia persone che fruivano per la prima volta dell’opera d’arte sia persone già avvezze alla sua visione. Una volta posizionati i sensori e registrati i parametri psicofisiologici a riposo, la baseline, dal team di TSW, i partecipanti hanno iniziato l’esperimento seguendo un percorso di visita prestabilito ivi incluso il camminamento che conduce alle stanze dove sono esibite le opere e la lettura dei pannelli informativi. Il test si è svolto sia a museo aperto sia a museo chiuso al pubblico, per una durata massima di trentacinque minuti. L’esperienza di fruizione e di coinvolgimento è stata valutata attraverso la registrazione e l’analisi dei diversi elementi e indici psi179
cofisiologici che hanno permesso di rilevare queste informazioni: • l’impatto emotivo risultante dall’esposizione all’opera; • il livello di piacevolezza di fronte all’opera; • gli elementi che hanno catturato l’attenzione; • l’ordine di lettura degli elementi dell’opera e il tempo dedicato ad analizzarli.
8. Scan Path medio dei partecipanti a museo aperto. A museo chiuso non vi sono distinzioni sostanziali8.
9. I risultati dello studio mostrano il livello di intensità emotiva di fronte alle due opere del Cenacolo.
I risultati raccolti sono certamente innovativi nel loro ambito. Vediamoli nel dettaglio. Per quanto concerne l’arousal9, che definisce il livello di intensità emotiva di fronte alle due opere del Cenacolo, si è potuto rilevare una grande attivazione in termini di risposta all’esposizione dell’Ultima Cena di Leonardo: è un’esperienza impattante. Diversamente per l’opera della Crocifissione non sono stati rilevati significative attivazioni da parte dei partecipanti: l’impatto emotivo qui è stato registrato come debole. Anche il rilevamento del livello di piacevolezza10 ha evidenziato una netta differenza tra le due opere: l’Ultima Cena si è rilevata un’esperienza piacevole mentre la Crocifissione si è dimostrata un’esperienza di valore variabile. Le considerazioni sull’Ultima Cena riguardano i primi 5 minuti di osservazione. Da sottolinea180
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re che dal punto di vista psicofisiologico mantenere un risultato di “piacevolezza” per oltre 5 minuti è un risultato decisamente positivo. Passiamo ora alle AOI: le “aree d’interesse”, rilevate attraverso l’analisi del comportamento oculare, hanno fornito informazioni utili per comprendere l’ordine di lettura visuale dei personaggi dell’Ultima Cena e il rispettivo tempo dedicato ad analizzarli – il Dwell Time. Gesù, al centro del dipinto, è la figura che viene fissata per prima e per più tempo: 16,4 secondi, seguita dagli apostoli seduti a lato di Gesù. La lettura dell’opera prosegue mediamente con l’analisi degli elementi presenti nella parte sinistra e successivamente nella parte destra. La lettura si conclude con l’apostolo Tommaso che viene fissato per ben 9,8 secondi. Dall’analisi del comportamento oculare sono stati invece evidenziati gli elementi dell’opera che hanno suscitato maggiore attenzione. Nella heatmap, la mappa del calore, si può osservare la rappresentazione del comportamento oculare dei visitatori e su quali elementi/figure questi si sono maggiormente concentrati. Nella foto possiamo osservare il confronto tra i partecipanti che si sono dichiarati esperti (X – heatmap in alto) con quelli non esperti (Y – heatmap in basso). Si evidenzia che gli esperti hanno esaminato più elementi e si sono soffermati più a lungo sui dettagli mentre i non esperti si sono soffermati principalmente sulla figura di Gesù per poi osservare l’opera senza ricercare dettagli specifici. Gli elementi informativi che sono posti in basso all’opera hanno catturato l’attenzione prevalentemente degli esperti mentre non sono state oggetto di analisi le tre lunette autografe che contengono gli stemmi degli Sforza. Per questo progetto neuroscientifico presso il Cenacolo Vinciano, TSW ha potuto avvalersi di una strumentazione per la rilevazione psicofisiologica-comportamentale più avanzata rispetto al precedente progetto realizzato per Gallerie d’Italia, con device di ultimissima tecnologia atti a fornire una qualità delle informazioni cerebrali nettamente superiore. 182
X
Y
10. Heatmap che aggregano i focus dell’attenzione dei partecipanti che si sono dichiarati esperti (X) e non esperti (Y).
Per curiosità ecco i nuovi device: - Smi ETG 2W: eye-tracking glasses per il tracciamento oculare - Cognionics 2011 EEG a secco e portatile per il monitoraggio dell’attività cerebrale - Shimmer 3 GSR+: Galvanic skin response sensor per la rilevazione dell’attivazione del sistema nervoso riverberata dalla sudorazione della pelle12 Torniamo ora alla nostra Intelligenza Artificiale: tutti questi device utilizzano il machine learning – ossia gli algoritmi per la raccol183
ta dei dati, ma il dato elettroencefalografico è estremamente complesso da elaborare e la stessa elaborazione potrebbe comportarne una manipolazione. Inoltre, ottenere dati utili significa eliminare quelli che possono essere elementi di “disturbo”. Un esempio utile per comprendere questa specifica ce lo fornisce Christian Caldato parlandoci della pulizia dei Blinks: i battiti di ciglia. I blink sono un’attività muscolare, e per questo elettrica. L’analisi del segnale elettroencefalografico, quindi, può essere “sporcata” dalle contrazioni involontarie dettate dai battiti di ciglia. Non pulire il dato in modo adeguato significa rischiare di arrivare a conclusioni sbagliate. Oggi la nostra machine learning è addestrata a rimuoverli per offrire i dati “puliti”. Altro punto da sottolineare è che questo esperimento comprendeva l’analisi sia della fruizione del percorso, sia delle opere e di una serie di elementi che andavano a influenzare l’esperienza di visita quali: l’illuminazione, le caratteristiche della pittura murale e la lettura dei pannelli illustrativi. Uno degli obiettivi del Museo del Cenacolo era di andare a raccogliere e analizzare non solo i dati relativi alla percezione delle opere, ma anche esplorare l’esperienza di fruizione di tutti gli ambienti: dal primo corridoio di camminamento fino all’uscita. Di grande interesse i dati raccolti nelle sale antecedenti il Cenacolo che testimoniano come l’attesa per la visione di un’opera costituisca essa stessa un’esperienza. La raccolta di queste preziose informazioni è utile al Museo per apportare migliorie determinate e determinanti a supportare il visitatore e amplificare la user experience. A conclusione di questo case study affrontiamo un ultimo tema importante. Questo lavoro è stato realizzato su richiesta del Museo del Cenacolo. Attraverso l’innovativo progetto di analisi di Intesa Sanpaolo Innovation Center / Neuroscience Lab e TSW, il Museo ha voluto esplorare i risultati delle nuove ricerche nel campo della neuroestetica per rilevare dati utili alla fruizione delle opere, del percorso e altri elementi che abbiamo elencato. Questo dovrebbe essere a prospettiva di tutti i musei, custodi del nostro patrimonio, che guardano alle nuove tecnologie per migliorarsi. In questo caso 184
11. Le heatmap sulla base della presenza di elementi informativi in piantina a museo aperto (A) e a museo chiuso (C)13.
l’esigenza di esplorare nuovi percorsi che possono portare a nuovi scenari innovativi legati alla fruizione è nata dal Museo che espone due capolavori della storia dell’arte di cui una è tra le opere più famose al mondo. Riprendiamo alcune considerazioni affrontate in questo libro nel capitolo Musei come l’appello del Direttore generale dell’International Council of Museums (ICOM), Peter Keller: [...] Museums keep reinventing themselves in their quest for becoming more interactive, audience focused, community oriented, adaptable and mobile. [...]. Peter Keller intervento all’International Museum Day 2019, Rabat, Marocco, 18 maggio 201914
In questo caso la necessità di esplorare nuove strade e nuovi scenari è partita da un museo e sottolineo che si tratta non di una realtà contemporanea, ma di un luogo d’arte la cui struttura è meravigliosamente antica: le due opere si trovano infatti nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, completata nel 1497. È importante che anche i musei più antichi, scrigni di straordinari capolavori, cerchino di rinnovarsi per offrire ai visitatori una fruizione al passo coi tempi. Ecco, quindi, come l’uso dell’Intelligenza Artificiale nel campo delle Neuroscienze deve essere subordinata e sfruttata per offrire 185
una serie di accorgimenti atti a migliorare il percorso di visita con il fine di ottimizzare la user experience nel museo. Mi riferisco a quegli accorgimenti tecnici e pratici come l’uso della luce, il tempo medio di fruizione di un’opera d’arte per calcolare il tempo di visita di una mostra o lo studio del posizionamento delle opere in base al loro coinvolgimento emotivo. E ancora: raccontare al pubblico una storia – quella delle opere – in linea con la lettura che si fa naturalmente.
come ArtTech e il progetto neuroscientifico presso il Cenacolo Vinciano: un connubio che porterà a innumerevoli migliorie nei luoghi d’arte, anche arricchendo la nostra esperienza estetica.
L’innovazione è il motore del cambiamento e le neuroscienze rappresentano un ambito di ricerca in cui l’innovazione progredisce inarrestabile15
Concludo rifacendomi a Semir Zeki, che con i suoi studi ha gettato le basi della neurologia dell’estetica – la neuroestetica – per sottolineare che la ricerca in questo settore è in continua evoluzione e bisognerà esplorare, studiare e sperimentare ancora molto per poter cogliere il funzionamento del cervello di fronte all’opera d’arte. Oggi la ricerca scientifica applicata al mondo delle arti sta seguendo un percorso molto rapido e ben definito che non mancherà di sorprenderci e questi progetti, per certi aspetti apripista, ne sono già un esempio. E l’Intelligenza Artificiale, nelle sue molteplici applicazioni è e continuerà a essere l’alleato primario nella creazione della strumentazione e nell’analisi dei dati. In quest’ottica, già nel 2017 il Peabody Essex Museum16 (PEM) ha annunciato la nomina di Tedi Asher come neuroscience researcher. Per la prima volta un museo d’arte ha assunto una figura specializzata in Neuroscienze: Tedi Asher ha conseguito il dottorato di ricerca alla Harvard Medical School e ha trascorso gli ultimi dodici anni acquisendo esperienza in una vasta gamma di campi, tra cui neuroscienze e psicologia. Il suo lavoro al PEM è volto a studiare e creare soluzioni su come i musei possono migliorare e arricchire l’esperienza dei visitatori. In un futuro prossimo vedremo sempre più figure specializzate in neuroestetica o neuroscienza lavorare all’interno dei musei e parallelamente assisteremo a una crescita di progetti
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La conservazione di opere d’arte con AI
«L’opera d’arte non è eterna, nel tempo esiste l’uomo e la sua creazione, finito l’uomo continua l’infinito.» Lucio Fontana Manifesto tecnico dello spazialismo, Milano 19511
1. Mark Napier, Net.flag, 2002, codice di rete interattivo (applet Java con database del server), Solomon R. Guggenheim Museum, New York.
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La conservazione delle opere d’arte realizzate con Intelligenza Artificiale è un tema estremamente attuale e altrettanto spinoso che ci è d’obbligo affrontare in queste pagine dedicate ai nuovi scenari, ai futuri possibili del mondo dell’arte. Ora, quando un restauratore o un conservatore si trovano di fronte a una tela di Rembrandt o a una scultura di Michelangelo, sanno benissimo come intervenire avvalendosi sia di tecniche consolidate sia di tecniche innovative, quindi dalla semplice e classica pulitura dei dipinti di Rembrandt al bio-restauro dei capolavori di Michelangelo con l’uso di microrganismi2. Ma di fronte a un’opera in cui l’IA gioca un ruolo determinante, il tema della conservazione non è affatto scontato. Gli AI artists non usano pennello o scalpello ma si avvalgono di tecniche computazionali, algoritmi, hardware e software; da Anna Ridler a Jake Elwes, molte delle opere hanno forti connotazioni temporali, presentano variazioni attraverso gli algoritmi e si basano su apparecchiature che funzionano in un continuum infinito. Altre opere create con IA condividono molto con l’arte digitale e in questo caso fanno scuola le metodologie e le pratiche di conservazione di quel settore. Altre ancora, pur create con IA o 189
computer-based, sono opere fisiche, materiali come un disegno, un dipinto o una scultura. Ma con quali tecniche procedere alla conservazione e al restauro di un’opera d’arte generata per esempio con un algoritmo e racchiusa in un software?
2. Douglas Davis, The World’s First Collaborative Sentence.
Nuovi strumenti per gli artisti e nuove sfide per i conservatori3 Sicuramente i musei – proprio per la loro missione primaria di tutela di un patrimonio –, sono sempre stati all’avanguardia nello studio e ricerca della conservazione delle opere d’arte, un tempo solo fisiche, poi digitali e ora generate con IA. Facciamo un passo indietro nel tempo e consideriamo alcune metodologie di conservazione della New Media Art perché le ritroveremo attualizzate per opere create con IA. Nel 1999, infatti, il Guggenheim Museum4 crea Variable Media Initiative5, una nuova strategia di conservazione non tradizionale per opere mediabased: The idea to describe a work of art, not only as a list of components and materials, but by the way it behaves, is crucial to the Variable Media methodology. L’idea di descrivere un’opera d’arte non solo come un elenco di componenti e materiali, ma anche per il modo in cui si comporta, è cruciale per la metodologia dei Variable Media6.
Per preservare nel tempo le opere della New Media Art, alla fine degli anni ’90 si fa strada questo approccio conservativo focalizzato non solo sulle parti prettamente fisiche, ma anche sulla sua identità, sul metodo di funzionamento e sul suo messaggio: tre componenti fondamentali da considerare anche a fronte di una eventuale re-installazione dell’opera a distanza d’anni. Nel 2005 nasce poi un progetto di collaborazione tra La Tate Gallery e il New Art Trust (NAT) con i suoi due musei partner – Museum of Modern Art di New York e San Francisco Museum of Modern Art – per aiutare i collezionisti nella conservazione di media art work quali video, film, audio e installazioni basate su 190
www.youtube.com/ watch?v=ZUwN8zREn-8 Handling Digital Artworks: Acquisition, Registration, Preservation.
software, e vengono dettate le linee guida per la cura delle opere d’arte digitali: Guidelines for the care of media artworks, in Matters in Media Art7. Ed è qui che il tema si fa, come ho detto, un po’ spinoso: le opere che possiamo definire digitali, Net Art o New Media Art, ci fanno scontrare per la prima volta con il termine obsolescenza, termine che ritroveremo anche trattando le opere create con IA e che indica purtroppo la perdita progressiva di efficienza, di accessibilità o di funzionalità dell’opera in parte o in toto, resa appunto obsoleta dall’evoluzione della tecnologia che non può più renderla usufruibile, o fruibile. Un esempio di obsolescenza di un’opera d’arte che ha portato a un’interessante riflessione sul tema della conservazione, riguarda The World’s First Collaborative Sentence8: un lavoro di Internet Art di Douglas Davis datato 1994, la cui copia è custodita al Whitney Museum of American Art. Quest’opera è quello che oggi definiremmo un blog, ossia un sito dove gli utenti sono invitati a contribuire con commenti, fotografie, video. Un progetto che allora ebbe un esito positivo poiché vi parteciparono molte persone da ogni parte del mondo che contribuirono commentando l’impianto testuale di base creato da Davis, a significare come l’interattività tramite Internet stesse crescendo fino a raggiungere il clamoroso successo che conosciamo. 191
Nel 2012 il Whitney decise di far rivivere l’opera ma non fu possibile poiché i codici e i collegamenti erano diventati obsoleti e inutilizzabili. La domanda che qui ci si pone è: For instance, when a Web-based work becomes technologically obsolete, does updated software simply restore it? Or is the piece fundamentally changed?9
ne ottimale di conservazione, facendo tesoro di quanto appreso con la conservazione delle sue “antenate” opere della New Media Art. In questi ultimi anni, i curatori e conservatori dei Musei si sono scontrati con l’obsolescenza di varie opere e installazioni d’arte, ritrovandosi in alcuni casi a dover adottare la strategia più radicale: la reinterpretazione che implica la ri-creazione dell’opera.
In pratica, per far funzionare nuovamente The World’s First Collaborative Sentence bisognava aggiornare parti integranti dell’opera andando a modificare l’opera originale così come pensata dal suo creatore, che ormai ultraottantenne non fu nemmeno possibile interpellare. Per un anno, al Whitney un team di programmatori e curatori discusse su come procedere: questo caso era diventato un dibattito concettuale, anche il New York Times10 gli dedicò un bellissimo articolo, e Christiane Paul, curatrice aggiunta dei new media al museo Whitney, ne evidenziò il nodo cruciale: «Una delle più grandi domande filosofiche è stata: lasciamo questi collegamenti non funzionanti come testimonianza del web e del suo rapido sviluppo?». Ma testimoniare la rapida obsolescenza di questo lavoro significava impedire ai visitatori di fruire l’opera nella sua forma originaria. Dopo molte perplessità i curatori optarono per una soluzione nuova: duplicare l’installazione di Mr. Davis e presentarne sia la versione originale con i codici non funzionanti, mantenendo così un approccio classico del restauro, sia una versione aggiornata traducendo il lavoro di Davis in un linguaggio attuale, mantenendo comunque l’assetto il più possibile simile all’originale. Quest’ultima versione attualizzata, chiamata dai curatori del museo live version, è stata sottoposta a un restauro continuo: i codici di questo lavoro sono stati messi in open source in modo da permettere anche a persone esterne al museo di contribuire alla manutenzione e all’aggiornamento dell’opera senza “tradire” la parte storica originale. Questo caso di restauro ci porta a riflettere su quanto sia complessa la conservazione di opere d’arte create con i BIT, e di conseguenza anche la conservazione delle recenti opere con Intelligenza Artificiale rientra appieno in questa nuova ricerca di una dimensio-
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Case study: Conservation Lab @ Colección SOLO
«The Key is documentation but first the most important thing is the Artist’s Voice». Julia Betancor
coleccionsolo.com Colección SOLO, Madrid
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1. Museo Colección SOLO, Madrid.
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Pensando alla conservazione di opere create dagli AI artists, realizzate con la materia o elaborate con le GAN, nascono subito specifici interrogativi: come si conservano queste opere con IA nel tempo? Dove devono essere conservate? L’algoritmo usato per crearle è parte dell’opera? Quale manutenzione necessitano per continuare a funzionare? Di fronte a questi e a molti altri interrogativi mi sono rivolta al Museo Colección SOLO1 di Madrid, al suo direttore Oscar Hormigos e a Julia Betancor, Head of art conservator Colección SOLO. Colección SOLO non è semplicemente un museo d’arte contemporanea: è un progetto artistico internazionale con sede a Madrid che mira a promuovere, sostenere e condividere le opere d’arte di oggi. La collezione, che conta quasi ottocento opere, e il Museo Espacio SOLO costituiscono i pilastri di questo polo fondato oltre cinque anni fa dagli imprenditori spagnoli Ana Gervás e David Cantolla. Colección SOLO presenta oggi oltre centottanta artisti provenienti da diversi Paesi e contesti artistici, e vi possiamo ammirare opere che spaziano dalla pittura figurativa alla new media e alla AI Art. SOLO gestisce inoltre una vasta gamma di programmi 195
È importante considerare la storia e la missione di questa realtà anche perché al suo interno è stato costituito un Conservation Department e un Media Art Conservation Lab dove sono state affrontate con un approccio e metodo innovativi le problematiche inerenti alla conservazione delle nuove opere d’arte contemporanea. Julia Betancor, l’head del Media Art Conservation Lab, dopo gli studi a Palazzo Spinelli a Firenze e anni di esperienza nell’ambito della conservazione delle opere d’arte, ha saputo affrontare le sfide che le nuove opere di AI Art pongono ai conservatori di oggi. Durante una piacevolissima e quanto più interessante conversazione, le ho posto queste domande: quale strategia bisogna oggi adottare per conservare opere d’arte create con Intelligenza Artificiale? Come conservare un AI artwork come Memories of Passersby I 2 di Mario Klingemann che ha parti materiali e immateriali? La documentazione è cruciale, ma anzitutto la cosa più importante è la voce dell’artista. Julia Betancor
a sostegno degli artisti, incluse residenze loro riservate a Madrid e 2. Museo Colección SOLO, in Cantabria, e ha creato un premio internazionale per la Sound Madrid. Art. Oscar Hormigos, il direttore di Colección SOLO, è anche il direttore di ONKAOS, un progetto collaterale che supporta gli artisti nella concettualizzazione, produzione, finanziamento e promozione delle loro opere, compresa la diffusione e commercializzazione, anche con supporto legale, monitorando la tracciabilità delle loro vendite con i certificati blockchain. Espacio SOLO si trova nel cuore di Madrid, parte dell’art mile della città che comprende i musei del Prado, il Reina Sofia e il Thyssen-Bornemisza. Questa location riflette l’impegno di SOLO nel difendere l’arte e gli artisti di oggi, un luogo eccezionale progettato per promuovere e condividere l’arte contemporanea.
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Julia Betancor ci spiega che due anni fa con l’appoggio della Colección SOLO è stato realizzato il primo caso di studio di conservazione di un’opera creata con Intelligenza Artificiale. Nello specifico, l’opera oggetto di studio era proprio Memories of Passersby I di Mario Klingemann. Le questioni da affrontare erano molte: possiamo conservare l’algoritmo? Come conservare un’opera che ha componenti fisiche e non fisiche? Come conservatori, ci poniamo una doppia sfida: non solo dobbiamo preservare la parte intrinsecamente fisica dell’opera, ma è anche essenziale preservare il non materiale, l’informazione generata dalla rete neurale immateriale3.
La risposta è: ascoltare l’artista con un approccio olistico e transdisciplinare. Per questo case study sulla conservazione, Julia Betancor ha lavorato fianco a fianco con Mario Klingemann chiedendogli come avrebbero dovuto lavorare nel rispetto della filosofia dell’opera da lui creata. A fronte dell’inevitabile obsolescenza, bisogna parlare con l’artista, ascoltare la sua voce e comprendere 197
A questo primo e pionieristico case study sulla conservazione di un’opera di Klingemann hanno partecipato Julia Betancor, Dan Finn, Media Conservator, Smithsonian American Art Museum (SAAM), Ana Lizeth Mata del Laboratorio sul Restauro dell’Opera Moderna e Contemporanea presso l’ENCRyM-INAH, e Alvar García, IT professional and developer. Insieme hanno creato il team del TBM5 Art Conservation Lab al Museo Reina Sophia di Madrid in occasione delle Jornadas de Conservación de Arte Contemporáneo 2020. La conservazione e il restauro della Time Based Media Art è un lavoro molto articolato e include la comprensione e l’applicazione di metodi di conservazione sia fisici che digitali. In questo senso, e per raggiungere obiettivi tangibili, come ha sottolineato Julia Betancor un lavoro di squadra con figure professionali che provengono da diversi settori è l’arma vincente. Per esempio, Dan Finn ha portato tutta la sua esperienza acquisita con la manutenzione e conservazione di installazioni complesse presenti allo Smithsonian: Il concetto di identità è stato molto importante nel nostro campo […]. L’identità di un’opera è costituita da tutte le caratteristiche significative che devono essere mantenute in una iterazione di successo. In generale, i report includono una descrizione di base dell’opera, una dichiarazione di significato in cui inseriamo le dichiarazioni dell’artista o dei curatori sul significato e il contesto dell’opera, la storia della mostra, diagrammi, piani, istruzioni dell’artista e una valutazione generale di rischio6.
il suo punto di vista per capire come vuole che la sua opera d’arte “invecchi”. Il mio compito come Direttore della Conservazione e Restauro della Colección SOLO è identificare, consigliare e ricercare le migliori strategie di conservazione per le opere d’arte che la compongono, in conformità con i criteri e gli standard internazionali, secondo il nostro codice etico. Questo Dipartimento di Conservazione è aperto alla diffusione in modo sostenibile, alla connessione di pensatori e ricercatori, in un ambiente inclusivo, diversificato e accessibile4.
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3. Museo Colección SOLO, Madrid.
Il confronto diretto con l’artista resta lo strumento fondamentale per conoscere l’intento dell’autore e tutelarne il lavoro e il suo significato. E se è vero che l’artista può dettare le linee guida da seguire per preservare le sue opere, è compito poi del curatore o meglio del team curatoriale, includendo possibilmente anche tecnici specializzati, fornire soluzioni affinché l’opera non subisca alterazioni del suo significato originale e si possa preservare il funzionamento delle sue parti materiali nel tempo. L’innovazione costante apportata dagli artisti di oggi e di domani supererà rapidamente le risorse tecnologiche di cui possono disporre i musei per la conservazione e il restauro. Difficile dire quando 199
avrà luogo l’obsolescenza delle opere create in questi anni, e proprio per questo bisogna tutelare l’opera di oggi per sapere quale sarà la sua strada domani. Sono convinta che l’approccio tailormade – e decisamente innovativo – adottato da Julia Betancor e dal suo team rappresenti il profondo rispetto nei confronti dell’artista e della sua produzione che ogni concezione curatoriale dovrebbe avere, se pur dobbiamo riconoscere quante effettive difficoltà comporti il creare un’adeguata documentazione e un’adeguata strumentazione per la corretta conservazione di opere tecnologiche con riferimento agli elementi che la compongono e alla loro manutenzione. Il nuovo Time Base Media Art Conservation Lab (TBMACL), della Colección SOLO/Onkaos, continua a lavorare sulle nuove sfide di conservazione e restauro delle opere d’arte generate dalla tecnologia.
Accanto ai musei, è rilevante anche il ruolo delle gallerie d’arte e delle case d’asta che propongono la vendita di opere degli AI artists: come ai musei, anche a loro spetta il compito di creare la documentazione completa dell’opera da consegnare al compratore per preservare l’opera nel rispetto della volontà dell’artista e del suo significato.
Continuiamo a crescere, responsabilizzando le persone e senza accettare un “no” come risposta, in linea con il progetto e nel più puro spirito Onkaos7.
Riflessioni Riprendo per l’ultima volta l’appello del Direttore Generale dell’ICOM Peter Keller, per sottolineare l’importanza del ruolo del museo in un momento storico di grande rinnovamento tecnologico e il ruolo fondamentale della nuova generazione di curatori e conservatori che hanno accettato le odierne sfide di preservare le opere create dagli AI artists: [...] Museums keep reinventing themselves in their quest for becoming more interactive, audience focused, community oriented, adaptable and mobile. [...] Peter Keller, intervento all’International Museum Day 2019, Rabat, Marocco, 18 maggio 2019 8
Poiché l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale nella produzione artistica internazionale continuerà a essere utilizzata, è certo importante che le pratiche di conservazione dei musei si evolvano. 200
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PARTE SECONDA
AI artists William Wright: «Pollock, gli artisti classici avevano un mondo da esprimere, e lo facevano rappresentando gli oggetti del loro mondo. Perché l’artista moderno non fa la stessa cosa?». Jackson Pollock: «Mah, l’artista moderno vive in un’epoca meccanica e abbiamo mezzi meccanici per rappresentare gli oggetti della natura: il film, la foto. L’artista moderno, mi pare, lavora per esprimere l’energia, il movimento e altre forze interiori». Intervista a Jackson Pollock, radio Sag Harbor, 1951
1. Refik Anadol + Mike Tyka, Responsive Environment Experience, 2017.
L’artista moderno oggi vive in un’epoca tecnologica. Mario Klingemann, Anna Ridler e Mike Tyka, Helena Sarin, Memo Akten sono alcuni degli artisti pionieri nella creazione di opere d’arte con Intelligenza Artificiale. Hanno deciso di usare e creare con i mezzi che la nostra società ha messo a loro disposizione. Lo scorso secolo, Pollock abbandona l’uso del pennello per usare un bastoncino e il colore liquido per fare il suo dripping, per esprimere l’energia e il movimento proprio della sua epoca. Allo stesso modo gli AI artists hanno usato le reti neurali per creare le loro opere. In questa sezione del libro dedicata agli AI artists ho selezionato 13 artisti che hanno sperimentato con successo l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale nella loro produzione artistica. Mi scuso in anticipo per non aver potuto includere tutti gli artisti1 che avrei voluto e spero di poter presentare un giorno un libro a loro dedicato. Troverete alcune interviste perché se il mio percorso di ricerca è volto a indagare e raccontarvi questa avanguardia artistica, non si può prescindere dal confronto diretto con gli artisti stessi. Lo
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storico dell’arte cerca sempre risposte, spero di aver posto le giuste domande in modo di farvi partecipi del mondo e della visione del mondo di questi artisti. Studiandone il percorso, la storia, filosofia ed estetica, ho avuto la felice conferma di un tema comune a tutti loro: la produzione artistica parte sempre da una profonda riflessione interiore che viene espressa con forza e tenacia e con grande chiarezza. L’Intelligenza Artificiale guarda al futuro ma gli artisti non perdono la loro connessione con la storia o la tradizione e ne fanno un punto di forza per esplorare nuovi percorsi creativi verso una nuova estetica. Non vi sono virtuosismi fini a sé stessi, e la ricerca estetica viaggia in parallelo al messaggio dell’opera. Oggi l’impegno degli storici dell’arte che si confrontano con gli AI artists è doppio. Da un lato si trovano a osservare e analizzare opere computazionali spesso senza la preparazione specifica per poter valutare in modo completo la AI Art che ha di fatto una componente tecnica complessa. Dall’altro lato non devono venir meno a certi parametri e cadere nella trappola di confondere il vero artista con l’artista improvvisato o l’emulatore. Cinque anni fa creare un’opera con IA era molto complesso. Crearla oggi è ancora complesso ma già ci sono programmi che includono l’Intelligenza Artificiale e che sono accessibili. Come dice Mauro Martino nell’intervista che trovate nel capitolo dedicato: «Tutto quello che oggi è IA avanzata, domani sarà un nuovo filtro in Photoshop. Nel senso che sarà disponibile a tutti e nuove frontiere della “vera” IA nasceranno». Anch’io posso usare un algoritmo preso online e creare la mia AI Art e iniziare a pubblicare questi lavori sui social o promuoverli su Internet e ottenere un buon riscontro. Questo non fa di me un artista. Per lo storico e il critico d’arte il potere mediatico è un’arma a doppio taglio da tenere in considerazione. Allo stesso modo se taglio una tela non sono il nuovo Lucio Fontana ma il grande pubblico conosce Fontana e sa subito riconoscere un emulatore, mentre con la nascente AI Art non tutti sono aggiornati su questo nuovo e affascinante panorama artistico fatto di GAN, IA, sperimentazione, e tanto lavoro. Riprendo questo estratto dell’articolo 206
di Jason Bailey pubblicato su Artnome, dedicato all’artista Helena Sarin per porre l’attenzione sull’uso delle nuove tecnologie: Inseguire le nuove tecnologie per differenziare la tua arte premia la velocità, il denaro e la potenza di calcolo rispetto alla creatività. Mentre trovo la nuova tecnologia eccitante per l’arte, sento che l’uso della tecnologia in sé e per sé non rende mai un’opera d’arte “buona” o “cattiva”. Sia Sarin che io condividiamo l’opinione che la tecnologia non può essere l’unico aspetto interessante di un’opera d’arte perché abbia successo e rimanga inalterata2.
L’AI Art non è una corsa all’uso dell’ultima “BiggerGAN”, una sfida a chi usa la più recente tecnologia. Non è l’uso dei GAN che crea l’opera d’arte. L’IA è uno strumento e come tale deve essere un’estensione del processo creativo, un pennello tecnologico che ci porta a esplorare una nuova estetica, sicuramente con sfaccettature inedite. Come ho precedentemente scritto: l’IA si inserisce in un processo creativo che parte dall’artista. Nel mondo della critica della AI Art ci sono già dei punti di riferimento, per citarne alcuni: Luba Elliot3, Arthur Miller e Jason Bailey. Luba Elliot è una curatrice specializzata in AI Art, organizza mostre e talk dedicati agli AI artists: un punto di riferimento per i curatori e il pubblico che desiderano conoscere il panorama artistico dell’Intelligenza Artificiale. Arthur Miller, autore del libro The Artist in the Machine – e del relativo sito – è stato definito da Walter Isaacson come uno dei più influenti pensatori sull’intersezione tra arte e scienze. Jason Bailey è famoso per il suo blog di arte e tecnologia artnome.com ed è stato uno dei primi collezionisti di NFTs. Possiamo definire Luba Elliot, Arthur Miller e Jason Bailey come alcuni dei pionieri della critica dell’AI Art.
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La creatività nell’arte e il ruolo dell’AI artist
«Arte è quando la mano, la testa, e il cuore dell’uomo vanno insieme.» John Ruskin «La creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte.» Albert Einstein Il 23 ottobre 2018, la casa d’aste Christie’s1 vende per l’incredibile cifra di 432.500 dollari il dipinto Portrait of Edmond de Belamy2: è la prima opera generata con IA venduta in asta. Le luci si accesero sul palcoscenico degli AI artists e si aprirono importanti discussioni sul peso specifico del fattore umano dinnanzi alla macchina nella creazione artistica. Nei giorni successivi tutto il mondo dell’arte era in fermento e due erano le domande che in molti si sono posti: Chi è l’autore: l’artista o l’algoritmo? Può l’Intelligenza Artificiale creare opere d’arte?
1. Edmond de Belamy, Obvious 2018. Algoritmi GAN, stampa inkjet su tela, 70 × 70 cm. In asta da Christie’s New York a ottobre 2018.
Per rispondere a queste domande analizziamo come è stato realizzato il ritratto di Edmond de Belamy. Quest’opera fa parte di un gruppo di ritratti della Famiglia de Belamy creati da Obvious, un collettivo con sede a Parigi composto da Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier. Il ritratto di Belamy porta come firma l’algoritmo che lo ha generato. L’Algoritmo è composto da due parti», afferma Caselles-Dupré. «Da una parte c’è il Generatore, dall’altra il Discriminatore.
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Abbiamo alimentato il sistema con un set di dati di 15.000 ritratti dipinti tra il XIV e il XX secolo. Il generatore crea una nuova immagine basata sul set, quindi il discriminatore cerca di individuare la differenza tra un’immagine creata dall’uomo e quella creata dal generatore. L’obiettivo è ingannare il discriminatore facendogli pensare che le nuove immagini siano ritratti di vita reale»3. Per realizzare il ritratto di Edmond de Belamy il team di Obvious ha usato una GAN (Generative Adversarial Network – Rete Generativa Avversaria) oggi largamente usata dagli AI artists per creare opere d’arte. Sull’uso delle GAN nella produzione artistica e musicale, rimandiamo anche alla lettura di Arte e intelligenza artificiale. Be my GAN (Jaca Book).
2. Architettura base di una GAN.
La competizione in questo gioco spinge entrambe le squadre a migliorare le proprie tecniche fino a quando le contraffazioni non sono più distinguibili dagli originali.
Che cos’è una GAN? 4 Una rete generativa avversaria, GAN, è composta da due reti neurali antagoniste che in un certo senso giocano l’una contro l’altra. Da una parte abbiamo il “Generatore” che sfrutta un database di immagini o di fotografie su cui è stato addestrato per generare output sempre più convincenti. Dall’altra parte troviamo il “Discriminatore” che cerca di distinguere le immagini reali da quelle generate artificialmente dal Generatore. All’inizio entrambe le reti sono carenti nei loro rispettivi compiti ma col tempo il Generatore impara a creare immagini sempre più realistiche e il Discriminatore migliora la sua tecnica per riconoscere le immagini vere da quelle fake. Le due reti neurali si correggono – migliorano il loro lavoro. L’inventore delle GAN è Ian Goodfellow, informatico e ricercatore statunitense che nel 2014 pubblica l’articolo Generative Adversarial Networks 5 con un gruppo di studiosi dell’Università di Montréal. Nel suo paper ci spiega come lavorano le due reti neurali usando una semplice metafora: Il modello generativo può essere pensato come una squadra di falsari che cerca di produrre banconote false e di usarle senza essere scoperti, mentre il modello discriminativo è simile alla polizia, che cerca di rilevare la valuta contraffatta.
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L’invenzione delle GAN è sicuramente una scoperta straordinaria che ha portato con sé una grande innovazione nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Il Foreign Policy 6 ha incluso Ian Goodfellow nella lista dei Top Global Thinker nella sezione Tecnologia spiegando la portata della sua scoperta: www.youtube.com/ watch?v=Z6rxFNMGdn0 Ian Goodfellow: Generative Adversarial Networks (GAN) Lex Fridman Podcast.
Ian Goodfellow è una delle figure più importanti al mondo nel campo Machine Learning. Nel 2014, mettendo l’uno contro l’altro due sistemi di Intelligenza Artificiale (IA), ha scoperto che insieme potevano creare nuove immagini e suoni, qualcosa che l’Intelligenza Artificiale non era mai stata in grado di fare prima.
Cosa si può creare con una GAN? Dall’invenzione di Ian Goodfellow la ricerca sulle GAN continua a progredire verso nuove e inedite sperimentazioni. Oggi usando una GAN si possono creare opere d’arte, musica, video, ritratti fotografici realistici fino a testi scritti. Mettendo a confronto le prime opere d’arte realizzate con l’uso di GAN con le ultimissime realizzate si possono già notare evidenti evoluzioni estetiche. Per realizzare il ritratto di Edmond de Belamy è stato usato un database di circa 15.000 foto di ritratti dipinti tra il XIV e il XX se211
colo per addestrare il Generatore. Nel dettaglio l’algoritmo qui impiegato non è stato creato dal gruppo Obvious ma è stato usato un algoritmo ideato dall’artista americano Robbie Barrat che come vedremo è stato tra i primi a usare le GAN in campo artistico. Fondamentalmente il gruppo Obvious ha “preso in prestito” un algoritmo da un altro artista7, lo ha addestrato e ha creato il ritratto di Belamy, opera che, stando al parere di chi s’intende di artisti computazionali – che usano IA – è il risultato di un lavoro di scarsa qualità. Nel 2018 la vendita di questo ritratto ha fatto davvero molto scalpore e l’asta di Christie’s ha il merito di aver attirato l’attenzione del pubblico e dei media sulle nuove frontiere della produzione artistica: le opere create con Intelligenza Artificiale. Il 6 marzo 2019 la casa d’asta Sotheby’s mette all’incanto l’opera Memories of Passersby I di Mario Klingemann8, un’opera sicuramente innovativa e affascinante che presenta al pubblico una nuova estetica (si veda il capitolo dedicato a Mario Klingemann). Il biennio 2018-2019 rappresenta quindi l’ingresso degli AI artists nel mercato dell’arte: hanno l’attenzione – e l’interesse – del grande pubblico. Parlando ora di arte, di fronte a queste opere create con l’ausilio dell’Intelligenza Artificiale ci poniamo la domanda: le macchine sono creative? La risposta è che dovremmo fare un passo indietro e chiederci: cos’è la creatività? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare dieci passi indietro. Grandi filosofi, scienziati, matematici e neuroscienziati hanno fatto studi e approfondite riflessioni per spiegare cos’è la creatività, come funziona il processo creativo nella nostra mente. Ci sono sterminate monografie sul tema e qui mi limito a fare una breve considerazione senza digressioni filosofiche. La parola “creatività” deriva dal latino cràare: far nascere dal nulla, inventare. Una delle più belle definizioni di creatività viene data da Henri Poincaré (1854-1912), matematico, fisico teorico francese ed eccelso pensatore che ci spiega che «la creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili»: C = n u. 212
Questa definizione proposta da Poincaré può essere estesa a discipline quali la scienza, l’arte, la tecnologia. Henri Poincaré affronta il tema della creatività descrivendo le quattro fasi del processo creativo, riprese poi da Graham Wallas, psicologo ed educatore inglese che nel 1926 scrive The Art of Thought con Richard Smith. Il processo creativo secondo Wallas è costituito da quattro stages: preparation, incubation, illumination, and verification. Le macchine allora sono creative, nel senso che creano e hanno già creato molte cose in tanti e diversi campi: dai libri alla musica. Ma non possiamo genericamente paragonare la creatività della macchina con il processo creativo dell’artista. Dietro la creazione realizzata dalla macchina, dalla GAN, dall’IA in generale, c’è un processo creativo complesso che coinvolge il fattore umano e che è la condizione sine qua non per la creazione della macchina. A oggi la macchina non è un essere senziente che – “eureka!” – crea qualcosa come una melodia musicale o un dipinto. Una GAN che non è stata addestrata su un dataset scelto da un umano non crea immagini. Un software che non è stato programmato non fa nulla. C’è indubbiamente una parte nel processo creativo che coinvolge l’IA che a volte può sfuggire al controllo o all’aspettativa umana – la serendipità –, ma questo rientra in uno schema più grande che richiede la programmazione umana e parte quindi dall’intelletto umano. L’“Eureka!”, l’illuminazione di Graham Wallas, il lampo di creatività o di genio fino a oggi rimane una peculiarità dell’uomo. E se una macchina fa “eureka” è perché è stata addestrata a farlo. In breve, la creatività dell’IA ha molte applicazioni, e qualche volta è in grado di raggiungere o addirittura di superare gli standard umani in qualche piccolo settore della scienza e dell’arte. Ma eguagliare la creatività umana in generale è tutta un’altra faccenda; qui l’AGI 9 è più lontana che mai. Margaret Boden
Una GAN viene programmata con immagini, con dati che non fanno parte della sua esperienza. In pratica crea sulla base di informazioni che non ha acquisito in prima “persona” – sono input 213
esterni. Una GAN non ha il libero arbitrio. È programmata per creare qualcosa in base ai dati che le sono forniti. E se in futuro potrà ricercare autonomamente input per addestrarsi, questi non saranno elaborati da una coscienza e con l’etica propria dell’uomo. Il punto non è definire la creatività quanto definire l’atto creativo? Siamo abituati a pensare a Leonardo che dipinge la Monnalisa con tavolozza e pennello, a Bernini che con lo scalpello crea il Ratto di Proserpina, a Mozart che compone le sue sinfonie cercando le note perfette sul pianoforte. Fino a pochi anni fa pensare che una macchina potesse creare arte o musica lo avevamo solo immaginato guardando i film di fantascienza. Oggi non abbiamo un Roy di Blade Runner o un Terminator che fanno gli artisti o i musicisti. Oggi non abbiamo ancora creato robot coscienti. Ma ci sono artisti che producono opere con l’Intelligenza Artificiale, senza pennelli e scalpelli ma usando algoritmi e reti neurali che loro stessi addestrano. Per gli AI artists l’algoritmo è il nuovo pennello, o un mezzo per esplorare nuovi mondi. La creazione di un’opera d’arte è frutto di un ego, di tutte le esperienze che lo hanno formato, ed è tesa a sublimare la realtà e a creare la bellezza sia solo la bellezza di un pensiero. La valenza morale della creatività, dal momento in cui l’artista è l’uomo che crea, comporta tutta la testimonianza consapevole e inconsapevole del suo io – l’io storico, filosofico, civico, critico, sociale. Se l’artista non dà alla macchina l’input del suo io creativo, l’opera d’arte creata dalla macchina resterà avulsa da ogni contesto relazionale. Gli AI artists hanno ben chiaro questo punto tanto che dedicano moltissimo lavoro alla preparazione del dataset per addestrare la GAN: Anna Ridler ha usato 10.000 foto di tulipani per Mosaic Virus, Harshit Agrawal ha impiegato figure artistiche indiane come i dipinti buddhisti di Thangka per realizzare Machinic Situatedness, Robbie Barrat ha usato i dipinti di teschi del pittore Ronan Barrot per Infinite Skulls e Mauro Martino ha usato milioni di foto per Strolling Cities. In alcuni casi l’IA può essere un supporto parteci214
pativo inteso come collaboratore, in quanto partecipa alla creazione di un’opera che il suo artista – quello fisico per intenderci – sta creando come i robot: i “D.O.U.G” di Sougwen Chung. […] la macchina non ha una sua motivazione naturale per creare e di fatto siamo noi a doverle fornire gli elementi affinché possa creare qualcosa di rilevante o qualsiasi cosa possa rappresentare una motivazione. Sinceramente non voglio fare congetture su come e perché una macchina dovrebbe avere una qualche sorta di motivazione. Alla fine è un Golem, la macchina che abbiamo costruito per il nostro intrattenimento intellettuale o emotivo. È come uno schiavo. E non ci preoccupa certo che una macchina possa star bene o divertirsi. E la domanda è: dovremmo forse preoccuparcene? Pensare a una macchina in termini antropomorfici potrebbe non essere saggio. Infine, una macchina non soffre come un essere umano. […] Mario Klingemann10
La creatività nasce dall’ego – da tutto quello che si è vissuto e che si sta vivendo, e anche dal suo essere in relazione a un determinato momento storico. La Gioconda ha un suo specifico valore anche in riferimento al contesto storico e artistico in cui è stata dipinta, e la perfezione di una scultura di Fidia trova corresponsione nei canoni greci dell’epoca in cui è stata creata. L’ego in senso filosofico – quel cogito ergo sum che porta alla consapevolezza della creazione – è una visione intima nella quale è rappresentata anche la storia dell’artista. La macchina da sola non ha una visione intima, e non crea opere d’arte, semplicemente, se pur straordinariamente, elabora gli input che l’artista gli dà. E tramite l’input crea. Quindi non confondiamo la creazione fisica, la realizzazione di qualcosa con quel processo creativo atto a far nascere un’opera d’arte che in nuce parte da un pensiero, dall’idea di un artista. E qui dovremmo chiamare in campo tanti filosofi, a cominciare da Aristotele. E cos’è un’opera d’arte se non la creazione di un artista? Per creare, l’artista congloba valori, storicità, libero arbitrio, conoscenza, sperimentazione, abilità, pensiero critico, genialità… 215
Oggi vi sono robot chiamati “Robot-Artisti”. In realtà li definirei robot che realizzano creazioni più o meno artistiche, ma la definizione d’artista va oltre al mero atto di una qualsivoglia produzione sia pur scientificamente straordinaria. Non basta aggiungere un sofisticato chatbot per permettere al robot di parlare d’arte o un braccio meccanico per fargli compiere un’azione come dipingere. Quando sarà creata la Superintelligenza – se mai sarà creata – ovvero un robot in grado di emozionarsi, avere idee, creare attingendo dalla propria storia e dalle proprie emozioni, allora si apriranno nuovi interrogativi. Quando un robot si alzerà la mattina e dirà «oggi non ho proprio voglia di dipingere, preferisco una passeggiata nel bosco», allora saremo di fronte a nuovi quesiti che ci porteranno a discutere e riflettere su coscienza, morale, valori, diritti umani, e molto altro. A oggi solo l’artista in quanto essere umano può alzarsi e decidere di passeggiare nel bosco a cercare l’ispirazione. A oggi l’unico vero artista è l’uomo e l’Intelligenza Artificiale è ancora uno strumento in mano all’uomo, in mano all’artista. Siamo in grado oggi di apprezzare l’arte, la musica e le poesie che sono create con l’uso di Intelligenza Artificiale? La storia dell’arte ci insegna che gli artisti hanno da sempre sperimentato nuovi media e inseguito l’innovazione nella realizzazione delle loro opere, e quando hanno fatto ricorso a nuovi strumenti o ad ardite soluzioni, le reazioni del pubblico e della critica non sono state sempre positive. Le prime esposizioni degli Impressionisti furono un totale insuccesso. Dopo aver visto in mostra l’opera Impression, soleil levant di Claude Monet, il critico Louis Leroy scriveva in un articolo sulla rivista Le Charivari: […] Impression, soleil levant. Impressione, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancora più curata di questo dipinto.
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3. Claude Monet, Impression, soleil levant, 1872, olio su tela, 48 × 63 cm, Musée Marmottan Monet, Parigi.
Una critica famosa perché gli Impressionisti adottarono ironicamente l’appellativo negativo di Impressionisti che da lì a poco avrebbe indicato uno dei movimenti artistici di indiscusso successo. Quando nel 1859 fu autorizzato dal Governo francese il primo Salon di fotografia ci furono molte recensioni favorevoli e altrettante critiche durissime. Quel “nuovo mezzo” non era più un mero strumento per documentare la realtà e per molti questo era inaccettabile. Includere la fotografia nel mondo della produzione di opere d’arte portò a un processo davanti al tribunale francese nel 1861. La fotografia può essere definita arte? Il 4 luglio 1862, il procuratore generale dichiarò infine che la fotografia è un’arte. E ancora: l’esposizione di Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso al Salon d’Antin non incontrò il favore della critica. Il 23 luglio 1916 viene pubblicata una recensione su Le Cri de Paris: I cubisti non aspettano la fine della guerra per riprendere le ostilità contro il buonsenso. Espongono alla Galerie Poiret donne nude le cui parti sparse sono rappresentate
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in tutti e quattro gli angoli della tela: qui un occhio, là un orecchio, là una mano, un piede in alto, una bocca in basso. M. Picasso, il loro capo, è forse il meno spettinato di tutti. Ha dipinto, o meglio imbrattato, cinque donne che sono, a dire il vero, tutte fatte a pezzi, eppure le loro membra riescono in qualche modo a tenere insieme. Hanno inoltre delle facce da maiale con gli occhi che vagano insensatamente sopra le loro orecchie. Un appassionato d’arte ha offerto all’artista 20.000 franchi per questo capolavoro. M. Picasso voleva di più. L’amante dell’arte non ha insistito11.
stessi. È solo un tema semantico? Credo che in un futuro possibile, se ci sarà una superintelligenza in grado di produrre arte, dovremo coniare una nuova parola per le opere d’arte prodotte dalle macchine. L’opera d’arte è una creazione dell’artista in quanto uomo. Un domani, forse lontano e forse ipotetico, avremo anche delle “meccanicopere” o come più ci piacerà chiamarle – e dovremo anche rivedere il tema del diritto d’autore perché i robot oggi non hanno personalità giuridica.
Le novità, i nuovi strumenti che troviamo attorno a noi, spesso portano una rottura col passato. Gli artisti da sempre semplicemente guardano al futuro e utilizzano ciò che la ricerca e la società offre loro. La nostra è l’era della scienza e della tecnica. Non dobbiamo stupirci quindi se gli artisti del nuovo millennio usano l’Intelligenza Artificiale. Non dobbiamo stupirci se oggi gli artisti sono anche programmatori, informatici, matematici o hanno studiato biochimica e biotecnologia. Ma se i nuovi movimenti pittorici hanno spesso portato a una grande rottura con il passato e il pubblico ha faticato a comprenderli, oggi grazie a un mondo digitale che punta sulla comunicazione abbiamo la possibilità di comprendere e approfondire come mai prima. Gli artisti non sono più nella loro torre d’avorio: ci parlano, ci spiegano e ci raccontano il loro punto di vista, la loro visione dell’arte. Picasso non aveva YouTube per raccontare quella nuova visione artistica che l’ha portato a creare la prima opera cubista. E in un futuro possibile? In un libro di Paul Auster, Trilogia di New York, il signor Stillman gira per Manhattan raccogliendo oggetti rotti. Il suo scopo è creare un nuovo dizionario per gli oggetti che hanno perso la loro funzione che ne identifica l’essenza. Un ombrello è un riparo portatile contro la pioggia, se è rotto non è più un ombrello, diventa qualcos’altro e Stillman gli dà un nuovo nome. Questa ricerca dell’essenza degli oggetti legata alla loro funzione mi ha fatto riflettere sull’importanza della parola come definizione degli oggetti
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INTERVISTE E RITRATTI
Mario Klingemann Mike Tyka Memo Akten Anna Ridler Robbie Barrat Mauro Martino Jake Elwes Refik Anadol Sofia Crespo Helena Sarin Harshit Agrawal Tom White Sougwen Chung
Mario Klingemann Vivida vis animi 4.0
quasimondo.com Sito ufficiale di Mario Klingemann.
Mario Klingemann al Museo Espacio SOLO, Madrid. Courtesy Colección SOLO.
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Classe 1970, Mario Klingemann è nato a Laatzen in Germania e vive e lavora a Monaco di Baviera, È un artista che usa reti neurali e algoritmi ed è riconosciuto come uno dei pionieri nella creazione di opere d’arte con IA. La sua ricerca artistica ci porta a indagare e a riflettere su tematiche quali la percezione umana dell’arte e della creatività. Ha lavorato con prestigiose istituzioni tra cui la British Library, la Cardiff University e la New York Public Library, ed è stato Artist in Residence presso Google Arts & Culture. Le sue opere sono state esposte al MoMA e al Metropolitan Museum of Art di New York, alla Photographers’ Gallery di Londra, allo ZKM Karlsruhe e al Centre Pompidou di Parigi. Klingemann ha ricevuto il British Library Labs Artistic Award 2016 e nel 2018 ha vinto il Lumen Prize Gold Award, dedicato alle opere d’arte realizzate con le nuove tecnologie. Nel 2020 è stato premiato con la Menzione d’Onore del Prix Ars Electronica. A marzo 2019 la sua installazione Memories of Passersby I ha fatto la storia come la prima opera di IA autonoma messa all’asta con successo da Sotheby’s. Da sempre Klingemann si inoltra in territori inesplorati per scoprire una nuova estetica e per sorprendere sé stesso e il pub223
Con la loro presenza onirica, le forme strutturate e gli artefatti visivi, queste stampe della serie Imposture sono autentici momenti salienti del viaggio artistico di Klingemann, una celebrazione di ciò che i modelli di Intelligenza Artificiale sono stati in grado di produrre nel 2017.
blico. Attraverso l’IA ha creato opere che riflettono una nuova dimensione della scrittura, della Visual Art, e recentemente della Video Art con la sua opera Mitosis. Opere e progetti
Con Uncanny Mirror1 del 2018, ci ritroviamo a “riflettere” e a confrontarci con una capacità tipicamente umana ossia quella di riconoscere la nostra immagine. Klingemann ha creato un’installazione interattiva che produce i ritratti digitali degli spettatori in tempo reale.
Alla fine del 2014 Mario Klingemann lavora alla classificazione della collezione di oltre un milione di immagini che i British Library Labs hanno reso di pubblico dominio. Se da un lato usa il machine learning per aggiungere i tag alle immagini, dall’altro inizia a creare opere d’arte con il materiale scoperto: nasce così uno dei suoi primi sorprendenti e pionieristici lavori. Nel 2017 realizza Imposture Series, una raccolta di sei stampe che include The Butcher’s Son premiata con il Lumen Prize Gold Award nel 2018. Questa serie è incentrata sul corpo umano: addestra le sue GAN e aggiunge nuove informazioni ai contenuti a bassa risoluzione utilizzando un metodo noto come transhancement: la trama della pelle, i capelli o altre forme “pixelate” completano l’immagine. Il risultato è pittorico ed etereo, la visione di una rete neurale della forma umana.
vimeo.com/onkaos/ uncannymirror Uncanny Mirror, Mario Klingemann.
2. Uncanny Mirror, Mario Klingemann 2018. Hek Basel 2019. Courtesy Onkaos.
Utilizzando l’IA vengono analizzati i marcatori biometrici del viso e le informazioni sulla postura e sui movimenti delle mani dello spettatore riflesso in questo “specchio” che restituirà un’immagine pittorica elaborata sui dati raccolti della persona che ha di fronte. Uncanny Mirror è inoltre in costante apprendimento (constantly learning): ogni nuovo ritratto, ogni nuovo riflesso che produce contiene qualcosa delle persone che si sono precedentemente specchiate. «Abbiamo tutti visto il nostro riflesso migliaia di volte.
1. Morgan le Fay – Imposture Series, Mario Klingemann 2017. Stampa giclée con pigmenti minerali di lunga durata su carta di cotone «Hahnemühle Museum Etching» 350 g. Courtesy Onkaos.
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zando migliaia di ritratti dal XVII al XIX secolo e ha creato un’applicazione simile a Tinder per accelerare il processo di apprendimento insegnando alla macchina anche le sue preferenze estetiche.
Eppure l’opera di Klingemann offre una nuova prospettiva. Riconosceremo il nostro?». Memories of Passersby I2 utilizza un complesso sistema di reti neurali per generare un flusso infinito di ritratti. L’opera è composta da un mobiletto in legno di castagno realizzato su misura, collegato a due schermi incorniciati. A differenza dei precedenti lavori di arte generativa, Memories of Passersby I non contiene alcun database. È un cervello artificiale, sviluppato e addestrato da Mario Klingemann, che crea ritratti inediti, pixel dopo pixel e in tempo reale.
vimeo.com/298000366 Memories of Passersby I, Mario Klingemann. vimeo.com/394544451 Appropriate Response, Mario Klingemann.
Gli output che visualizziamo sui due schermi non sono combinazioni programmate di immagini esistenti, ma opere d’arte uniche generate dall’Intelligenza Artificiale: nessuna immagine verrà mai ripetuta. Memories of Passersby I contiene tutti gli algoritmi e le GAN necessarie per produrre una successione infinita di nuove immagini fin quando ovviamente “la macchina” è accesa. Per realizzare quest’opera, Klingemann ha addestrato il suo modello di IA utiliz-
«Le parole sono probabilmente gli strumenti più potenti a disposizione dell’umanità. Le parole possono far fare molte cose alle
3. Memories of Passersby I – Version Companion, Mario Klingemann 2018. GAN multiple, due schermi, console realizzata a mano in legno di castagno che ospita il cervello dell’intelligenza artificiale e ulteriore hardware. Console: 70 × 60 × 40 cm. Schermo: 82,9 × 145 × 3,8 cm (cornice su misura). Lanciata nel 2018, quest’opera è un’edizione di 3, più 2AP. Courtesy Onkaos.
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Dalla Visual Art verso una nuova definizione estetica alla riflessione sulle parole e i messaggi dietro a esse: con Appropriate Response3 del 2020 ci troviamo di fronte a un’installazione che comporta una riflessione sul potere delle parole. La domanda che Mario Klingemann si pone è: «Quanto significato può essere espresso in sole 120 lettere?». Appropriate Response è un’installazione composta da un inginocchiatoio in legno e un espositore a ribalta diviso a parete, che mostra una selezione casuale di lettere in continuo cambiamento. Quando una persona usa l’inginocchiatoio, compare una breve frase sul display. Ogni frase è scritta dalle reti neurali della macchina ed è unica: non ci saranno mai due visitatori che leggeranno la stessa frase.
4. Mario Klingemann, Appropriate Response Cyberarts, Prix Ars Electronica 2020 Linz © Mario Klingemann, courtesy Otto Saxinger, vista dell’installazione OÖ LandesKultur GmbH. Courtesy Onkaos. Klingemann ha arricchito questa installazione con altre 60.000 citazioni reperite online per creare un modello in grado di produrre testi coerenti che sembrino aforismi.
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persone, possono cambiare le loro vite», afferma l’artista. Non servono molte lettere per creare una frase che sia fonte di ispirazione. La tecnologia sta raggiungendo un punto in cui può essere difficile discernere se certi testi sono stati prodotti da autori umani o da macchine. In questo caso la “risposta appropriata” proviene da una macchina, nello specifico proviene da una rete neurale GPT2 addestrata su diversi testi: dalle enciclopedie ai libri di poesia ai ricettari. Il risultato è una macchina in grado di produrre una serie di testi che sembrano aforismi e che appaiono su un display fisico a doppia ribalta, un display che appartiene al nostro passato.
5. Processo di creazione di Mitosis. Courtesy Mario Klingemann.
Da un lato temiamo l’IA, ma speriamo anche che possa aiutarci a risolvere alcuni problemi […]. Questo equilibrio tra speranza e paura è strettamente correlato all’esperienza religiosa; quindi, ho sentito che inginocchiarsi era molto appropriato. Contesto e aspettativa sono al centro di quest’opera interattiva. Ogni spettatore partecipa all’opera d’arte, non solo inginocchiandosi, ma anche elaborando e trasformando il testo mostrato sul display. Mentre la risposta appropriata genera aforismi apparentemente coerenti, è lo spettatore umano che fornisce loro significato.
imparano da noi e dai nostri dati, quindi alla fine, quando il ciclo si chiude, potremmo aver imparato qualcosa su noi stessi». ***
Mario Klingemann è stato insignito della Menzione d’Onore al Prix Ars Electronica 2020 per questa opera d’arte. Il suo ultimo lavoro Mitosis è stato “tokenizzato” e venduto da Sotheby’s4 all’asta Natively Digital: A Curated NFT Sale del 10 giugno 2021 per 75.600 dollari. Mitosis è un loop video di due minuti composto da oltre 750.000 ritratti generati con l’impiego d’Intelligenza Artificiale che Klingemann spera simboleggi le «sfide, speranze e paure che stiamo affrontando in un momento in cui l’Intelligenza Artificiale sta diventando sempre più parte della nostra vita quotidiana». E prosegue suggerendo che «i cambiamenti che ha sul nostro mondo sono spesso sottili e impercettibili e notiamo solo col senno di poi che siamo in un posto diverso. Nel nostro obiettivo di scoprire qualcosa di nuovo, ci dirigiamo in direzioni diverse. Allo stesso tempo, tutti i modelli neurali che alleniamo 228
rb.gy/elwglm Mitosis, Mario Klingemann Natively Digital: A Curated NFT Sale, Sotheby’s.
Quando nel marzo 2019 Sotheby’s ha battuto in asta l’opera Memories of Passersby I, Mario Klingemann ha giustamente avuto tutta la mia attenzione. Già scrivevo e indagavo sul tema dell’IA applicata al mondo dell’arte, e quest’opera ha avuto il merito di farmi appassionare e indurmi ad approfondirne la conoscenza. Nel preparare le domande da sottoporre a Klingemann per l’intervista, mi sono resa conto di avervi riposto aspettative molto alte. Lo ringrazio perché con le sue risposte è andato ben oltre le mie aspettative. Con questa intervista non solo ci ha permesso di introdurci alla sua visione come AI artist e di comprendere la rilevanza della sua produzione artistica, ma ci ha dato modo di apprezzare la sua “eleganza mentale” e il suo personale approccio storico, oggi anno 2021, dell’uomo con la “macchina”: naturale conseguenza della sua inesauribile sete di conoscenza che lo porterà sempre oltre i confini del mondo conosciuto. 229
«Ergo vivida vis animi pervicit et extra processit longe flammantia moenia mundi atque omne immensum peragravit mente animoque, unde refert nobis victor quid possit oriri, quid nequeat, finita potestas denique cuique qua nam sit ratione atque alte terminus haere.» «Così trionfò la vigorosa forza del suo ingegno e si spinse lontano, al di là delle fiammanti mura del mondo e percorse con la mente e col cuore tutta l’immensità, da cui, vincitore, riferisce a noi che cosa possa nascere, che cosa non possa, e, infine, per quale legge ogni essere abbia un potere definito e un termine fisso.» Lucrezio, dal Primo Elogio di Epicuro, De Rerum Natura, Libro I, vv. 62-67
R. P.: Mr Klingemann, lei è il vero pioniere dell’AI Art, ed è il primo nella lista degli AI artists di questo libro. Ho davvero apprezzato molto la sua opera, e vorrei esplorare con lei il potere ottenuto dalla IA nei diversi campi: dall’arte visiva al linguaggio fino alla musica. M. K.: La musica, finora l’ho appena sfiorata, ma ho voluto provare. Tutto rientra nel concetto di avere dati d’informazione a disposizione per creare qualcosa dal nulla. In un certo senso tutti i media giocano la stessa partita, tutti si intrecciano nel nostro campo cerebrale e infine non vi è più una netta demarcazione tra testo, immagine o musica. È un tutt’uno. E non trovo debba esserci alcuna restrizione del tipo “come artista devo produrre solo arte visuale”, e per me questo è proprio uno dei motivi per cui mi avvalgo dell’AI: mi permette di muovermi tra le diverse discipline e combinarle in modi nuovi. R. P.: Come artista, perché ha voluto sperimentare e acquisire l’IA nelle sue opere? M. K.: Questo fa parte della mia personalità, della mia inclinazione naturale che mi accompagna fin da bambino quando smontavo radio e macchine per guardarci dentro, vedere come fun230
zionavano e poi rimetterle insieme. In questo modo dai semplici meccanismi, con il tempo ho cercato di risalire al tutto. Tutto è un sistema per me. Ovviamente quanto più complesso il sistema, tanto più è interessante e forse anche misterioso, ma ho sempre voluto sapere: come funziona? E dai meccanismi sono risalito alla programmazione perché solo con una programmazione si costruisce un sistema con le sue regole. Se consideriamo il mondo intero, possiamo definirne ogni parte come un sistema, lo stesso se consideriamo il nostro cervello o il modo in cui interagiamo con la società, e tutta l’intera civiltà: cultura, arte, religione, politica, sono tutti sistemi, e sistemi all’interno di sistemi. E più un sistema è complesso, più è difficile smontarlo e analizzarlo. Quando smontiamo questi sistemi così complessi in tutti i loro piccoli componenti, probabilmente non troviamo quel che abbiamo sperato poiché la magia dei sistemi sta nel fatto che funzionano solo quando sono assemblati. È difficile analizzarli, per quanto si sia sempre tentato: gli storici cercando di analizzare le complessità della storia, così come i sociologi nel loro campo. Generalmente usiamo la parola per descrivere il tutto, scriviamo libri, e questo è il nostro modo di analizzare qualcosa di complesso, e ora arriva l’IA, o quella che chiamiamo IA, con i suoi strumenti di deep learning. Ora abbiamo un meccanismo che può tradurre in numeri i fenomeni più complessi e analizzare schemi. Con i numeri possiamo misurare quanto fino a ieri potevano descrivere solo con le parole. Ora possiamo misurare i sentimenti e anche l’estetica. Considero molto interessante avere a disposizione questo strumento universale, come un microscopio o un telescopio a seconda di come lo si usa e potersi calare nel profondo del sistema per coglierne i dettagli, o osservarlo da lontano nel suo complesso. E ne otteniamo dei numeri. E con questi numeri possiamo lavorare, formare categorie, o costruire un sistema in grado di orientare questi numeri verso un risultato ottimale avvicinandolo o allontanandolo, perché quando volessi creare un’opera d’arte, fare un quadro, potrei voler stare ben lontano da qualcosa che mi è già noto. Quindi una volta costruita la mappa con le sue misure, posso decidere di mettermi al centro della mappa e creare un’opera d’arte, un ritratto di un certo stile che possa rendere felice chi lo guarda. E posso misurare tutto questo 231
in base a delle statistiche. Ma posso anche decidere di tenermi lontano da tutto questo perché sono un outsider e confido di trovare qualcosa di nuovo e diverso, e usando l’IA posso programmare ciò che spero di ottenere. Vado nello spazio più remoto, dico “adesso forniscimi i numeri: quanto sono vicino a un ritratto, a uno stile che ricorda un dipinto, a una sensazione generale di positività, o al contrario di inquietudine e oscurità” e proprio come una triangolazione su una mappa posso dire “se mi sposto un po’ a sinistra, mi avvicino o mi allontano dalla mia meta?”. In questo modo posso far sì che la macchina trovi automaticamente il percorso ottimale per raggiungere il mio obiettivo. È una forma di controllo che contemporaneamente mi permette di misurare le cose in modo diverso: posso guardare il dipinto e dire “bene, ma non è esattamente quel che voglio”. Quindi, come decidere che direzione prendere? Se dipingo fisicamente, posso aggiungere una pennellata qua o là, ma è un gesto intuitivo, basato sull’esperienza. Con una macchina ho maggior controllo, posso pensare razionalmente: è come in un laboratorio dove posso fare diversi test in breve tempo, mentre con il lavoro fisico sono vincolato al tempo e alla fisicità. Non si può dipingere un quadro più velocemente di quanto la pittura impieghi ad asciugare. Io credo che la creatività sia ricerca, ma anche la ricerca richiede tempo. Se utilizzo mezzi fisici, ho meno tempo per testare varie possibilità, mentre la macchina può offrirmene molte, tutte plausibili e rispondenti ai miei desideri, escludendo quelle che non reputo interessanti, permettendomi di vagliare più opzioni e avere rapidamente un’idea di ciò che sto effettivamente cercando, poiché a volte nemmeno io so cosa sto cercando. R. P.: Una specie di creatività interattiva… M. K: Proprio così. È un feedback loop dove costruisco un sistema con la macchina al cui interno inserisco le mie idee su un’opera o sul mondo. Il sistema non è mai perfetto, passo quindi al livello successivo: vedo come interagire con il sistema che ho costruito nel modo appreso dalla mia esperienza per ottenere infine ciò che voglio. Nel contempo imparo a migliorare il sistema a diversi livelli, e così riesco a costruire sistemi in grado di darmi soluzioni che non conoscevo: penso proprio di poter avere qualche buona 232
idea, ma non ho un obiettivo prestabilito. Ho una direzione, un punto di riferimento, ma le soluzioni sono talmente tante, e così come un flâneur cammino attraverso questo interspazio di possibilità con gli occhi ben aperti per cogliere quelle opportunità che non mi aspettavo di trovare. Questo è l’elemento “sorpresa”. Se avessi troppe aspettative, restringerei il mio campo visivo, i miei filtri, che voglio invece mantenere il più aperto possibile senza preclusioni e preconcetti. E l’IA me lo consente. Come esseri umani siamo inclini a percorrere sentieri già battuti e ben tracciati, per questo molte cose e pensieri si assomigliano. È più difficile seguire un nuovo percorso, pensare fuori dagli schemi come mi permette l’IA. Penso sia un meccanismo biologico quello che ci lega a ciò su cui ci focalizziamo, ma con questa seconda entità come l’IA non sono più legato a quel meccanismo d’attenzione: ci rende liberi e ci permette di vedere quanto con il pensiero naturale non potremmo mai automaticamente concepire. È uno strumento davvero utile, con un’offerta di elementi che diventano parte del mio repertorio e che, come pezzi di un puzzle o di un Lego, posso ricombinare in modi diversi, in nuovi concetti. R. P.: Le sue opere ci portano a esplorare una nuova estetica. Siamo di fronte a un’avanguardia che utilizza le nuove tecnologie. Quale sarà il prossimo futuro per gli artisti dell’IA? M. K.: La prima fase iniziò nel 2015 quando le tecniche di deep learning arrivarono nel campo delle arti visive come un’esplosione cambriana nella nuova estetica, perché questa tecnologia ha permesso nuove ri-combinazioni di pixel. Ovviamente tutto ebbe inizio con i pixel. Abbiamo avuto così tanti modi per ottenere combinazioni di pixel che creavano immagini nuove e differenti e che non potevamo ancora classificare. Fu come un ibrido tra realtà pittorica e fotografica, foto realistica e qualcosa di simile. A mio parere questo momento durò circa tre anni in cui abbiamo dovuto fare un grande sforzo di adattamento, ma ora abbiamo fatto il punto e abbiamo capito cos’è questa nuova estetica con i suoi tipici manufatti che stanno lì tra qualcosa nello spazio: abbiamo una nuova categoria, possiamo darle un nome e riconoscerla come AI Art. Mi piacciono questi momenti in cui qualcosa è ancora misterioso e 233
indefinibile. Ma qualcosa si è affermato, proprio come l’Impressionismo, o l’Espressionismo: è stato scioccante a suo tempo, ma non lo riterremmo tale se qualcuno ce lo proponesse oggi. Dubito che avremo ancora un altro tipo di quell’estetica, potrebbe essere stata l’ultima. Al giorno d’oggi queste macchine lavorano per esplorare le possibilità all’interno dell’immagine digitale in uno spazio in cui ogni immagine può essere realizzata. Potremmo trovarci un sacco di cose lì dentro: a un’estremità dello spettro potrebbe esserci solo rumore, un rumore statico, e poi forme geometriche come immagini fotografiche e digitali riconoscibili come dipinti. E ora abbiamo le GAN che possono per così dire riempire quasi tutti i buchi di un immaginario conosciuto che non è ancora stato contemplato dagli esseri umani o da tecniche fisiche. E questo è il punto cui siamo arrivati. Personalmente sono al punto in cui non riesco più a vedere se c’è ancora qualche possibilità, qualche realtà sconosciuta come alcuni piccoli dettagli, che potrebbe portare nuovamente a un passo così gigantesco come questo. Per questo credo che il prossimo focus sull’AI Art dovrebbe essere a un livello più profondo. Il primo livello era su un piano stilistico o strutturale, soprattutto estetico, ma ovviamente l’AI Art non si ferma qui, approfondisce la semantica e i significati e la storia, cercando di trovare nuove composizioni, nuovi modi di raccontare qualcosa. R. P.: È un punto d’arrivo importante. M. K.: E la mia domanda è: possiamo trovare nuove combinazioni a cui relazionarci? E infine l’IA diventerà come un autore o un artista con una sua visione del mondo? In questo modo oltre alle opere potrebbe sviluppare la storia della sua vita, uno sviluppo da poter seguire e a cui rapportarci. E questo sarà il prossimo passo per gli artisti dell’IA: creare un complesso di ambientazioni relazionate tra loro, e qualsiasi estetica producano, dipenda pure dalla macchina, dovranno studiare il mondo, prenderne una sezione che ne diventi il tema. Ne potremo avere a centinaia di questi artisti, e ognuno di loro cercherà di arrivare a un suo pubblico. Si tratta nuovamente di ottimizzazione. Avremo robot-artisti che dipingono solo cani perché alla gente piacciono i cani, o i fumetti, altri focalizzati su questioni sociali, altri su banalità o su temati234
che specifiche, tutti in cerca di una nicchia, di un pubblico che li apprezzi. Non so fino a che punto sia auspicabile, ma penso che potrebbe essere così, esattamente come gli artisti umani: ci sono quelli che seguono solo la loro inclinazione indipendentemente dal successo, altri che cercano solo di servire un mercato: si rendono conto di ciò che piace alla gente, approfondiscono il tema, trovano il modo di proporlo da varie angolazioni e renderlo riconducibile al loro stile. Se trasformate un fumetto in un dipinto, farete la fine di Roy Lichtenstein – alla fine ognuno deve pagare l’affitto di casa, quindi perché mai non ottimizzare un mercato e guadagnarsi da vivere con la propria arte? Come artista è da considerare anche questo: non si è mai totalmente liberi, bisogna adattarsi alle ristrettezze del mondo. R. P.: Qual è il lavoro, o il progetto, che ha realizzato e che più la emoziona? M. K.: Penso sia un lavoro che ho fatto l’anno scorso e che si chiama Appropriate Response. Ne sono molto soddisfatto perché è un tutto tondo, è omogeneo in tutte le sue parti che si incastrano armonicamente in una bella composizione. C’è l’IA che crea testi basati sul sapere umano, ma c’è anche l’elemento aptico, fisico dato dal display, dal suono che produce, e l’intero meccanismo scorre bene. Inoltre c’è l’esperienza di come il pubblico interagisce con l’opera e nasce un breve momento di contemplazione come se ci si trovasse in uno spazio sacro. E dalle reazioni che ho notato credo che il pubblico lo percepisca, quindi c’è una connessione, e quel senso di stupore che tutti abbiamo per l’IA in un modo molto ludico. Io mi entusiasmo ogni volta che lo uso. Quando tutti gli elementi si uniscono correttamente e al momento giusto, e il modo in cui il tutto appare e lo si percepisce, questo è il tipo di lavoro che preferisco e in cui non riesco a trovare un solo difetto nemmeno in seguito. Voglio dire, troverò sempre un difetto in qualsiasi cosa, ma tra tutte le mie opere, questa ha la minima probabilità che io possa rilevarvi dei difetti. R. P.: Non posso fare a meno di chiederle di illustrarci il procedimento che sta dietro la creazione di Memories of Passersby. 235
M. K.: Ci provo. Nel cuore, al centro di Memories of Passersby vi è un feedback loop perché sono davvero innamorato dei feedback loop nei quali di norma si ha un sistema complesso ma in conclusione si reinserisce l’output del sistema nell’input. In questo modo si ottiene un ciclo chiuso, ma poiché il sistema è complesso, il risultato non può essere realmente previsto. È come tendere un microfono verso un altoparlante: sai che tutto ciò che ottieni è quel brutto tono acuto, ma la cosa affascinante dei moduli di feedback è che vi è sempre una piccola zona ristretta in cui se si sintonizzano i parametri in modo corretto, il sistema quasi prende vita. È un modo per non spegnersi quando il sistema potrebbe azzerarsi o sovraccaricarsi e saturarsi, come con il microfono e l’altoparlante, ma qui vi è una zona “agibile” dove accadono cose interessanti e imprevedibili. Sono sempre alla ricerca dell’imprevedibilità. Al centro di Memories of Passersby ho due GAN, due modelli addestrati entrambi sulle basi della ritrattistica classica come i dipinti della Storia dell’Arte europea. Un modello è addestrato a prendere un dipinto o un’immagine e cercare un viso, ed ecco praticamente quello che fa: quando riconosce elementi appartenenti a un viso, dove si può individuare un occhio, una bocca, la pelle, tracciando alcune linee creerà un disegno molto semplice, una mappa semantica in cui un naso diventa un triangolo in rosso, una bocca diventa un’altra forma in verde, fino a ottenere la mappa completa di ciò che vede. L’altro modello farà il contrario: si aspetta una mappa, e cercherà di ricreare ciò che ha imparato, e in questo caso cercherà di ricreare qualcosa che assomiglia a un dipinto. Allora, cosa succede adesso? Li metti tutte e due insieme e chiudi il loop e lo lasci scorrere, e questa è la parte affascinante: non gli dai un volto, gli dai solo rumore. Per il modo in cui funzionano, questi modelli non possono vedere l’intero lavoro come se fosse costituito solo da volti e ritratti, ma al minimo accenno nel rumore produrranno una qualsiasi configurazione, proprio come accade quando due pixel neri e due pixel bianchi si incontrano, e un modello pensa che potrebbe essere un occhio e lo enfatizza, e poi nel feedback loop questo occhio si fa sempre più evidente finché improvvisamente si delinea un occhio e tutto il viso inizia a prender forma. Contemporaneamente c’è rumore nel sistema, quindi i minimi cambiamenti 236
in quella configurazione finiranno con avere un impatto maggiore. Ecco perché il sistema non diventa mai statico. Entrambi i modelli commettono lievi errori, questi errori si aggiungono l’uno all’altro e così non si vedrà mai lo stesso ritratto due volte: sarà sempre diverso perché alla minima perturbazione si avrà un risultato diverso. E la domanda è: questo sistema può rimanere interessante nel tempo? Perché non creerà mai né paesaggi né altro, continuerà a creare solo ritratti. Non sai cosa aspettarti da un meccanismo a lungo termine, senza fine, potrebbe addirittura diventarti familiare poiché sai cosa ti aspetti, tuttavia spero che, proprio per il suo stesso meccanismo, un bellissimo viso o una particolare composizione o una strana distorsione possa sorprenderti anche solo occasionalmente, e non necessariamente in senso positivo perché a volte succede che un modello si interrompe e l’altro non riconosce più nessun viso e produce uno spazio rumoroso dove appaiono solo degli artefatti pixel, ma dopo un minuto o due, inevitabilmente i volti tornano e “wow”! Straordinario! È come ritrovare qualcosa dopo averla persa, è un’emozione. R. P.: Il sistema può sopravvivere all’artista? M. K.: Sì! Questo è l’altro punto. È un modo per diventare immortale! Se non io, qualcosa che ho fatto continuerà a creare qualcosa di nuovo anche dopo la mia morte. In generale la grande differenza tra artisti umani e futuri artisti robot è che sfortunatamente o forse fortunatamente ci viene dato solo un certo tempo per creare mentre la macchina non morirà mai. Non corre quel pericolo del tipo “non c’è più” e una volta spenta andrà tutto perduto. Una macchina può darti una copia perfetta di ciò che vuoi realizzare, e se la programmi in modo corretto, puoi spegnerla e accenderla il giorno successivo e riprenderà esattamente da dove si è fermata. Ovviamente questo non è possibile con gli esseri umani. L’altra grande differenza sta nel fatto che la macchina non ha una sua motivazione naturale per creare e di fatto siamo noi a doverle fornire gli elementi affinché possa creare qualcosa di rilevante o qualsiasi cosa possa rappresentare una motivazione. Sinceramente non voglio fare congetture su come e perché una macchina dovrebbe avere una qualche sorta di motivazione. Alla fine è un Go237
lem, la macchina che abbiamo costruito per il nostro intrattenimento intellettuale o emotivo. È come uno schiavo. E non ci preoccupa certo che una macchina possa star bene o divertirsi. E la domanda è: dovremmo forse preoccuparcene? Pensare a una macchina in termini antropomorfici potrebbe non essere saggio. Infine una macchina non soffre come un essere umano. Probabilmente no. R. P.: Lei ha detto «I’m addicted to surprise», e ha parlato spesso del fattore sorpresa nella produzione delle sue opere d’arte con IA. Sappiamo che si può “addestrare” una macchina con una serie di immagini specifiche ma il risultato finale può sorprendere anche l’artista e portarci a scoprire qualcosa di realmente nuovo? Come può un artista gestire una parte di creatività che sfugge al suo stesso controllo? M. K.: Prima di tutto cos’è una sorpresa? Penso che una sorpresa sia un effetto collaterale del nostro costante tentativo di prevedere il futuro, a breve o a lungo termine. Per esempio se ho in mano una penna, posso prevedere che aprendo la mano, la penna cada sul tavolo, ma se aprendo la mano la penna restasse sospesa in aria, sarebbe una grande sorpresa! E in totale contraddizione con il modello di mondo così come lo conosco e così come funziona. Lo stesso vale se vado in una galleria d’arte con un’aspettativa basata sulla mia esperienza e improvvisamente mi imbatto in opere che non rientrano affatto nelle mie previsioni, questa è una sorpresa. La sorpresa è ciò che cerco sempre di ottenere, e penso sia un elemento umano naturale perché se non ci sono sorprese, se le cose accadono sempre come ce lo aspettiamo, ci annoiamo e cerchiamo qualcosa di nuovo e diverso. È quasi un meccanismo biologico. Con la macchina dobbiamo prima analizzare i dati di training derivanti da pittura, scultura o musica, così la macchina avrà un modello generale basato su ciò che le abbiamo insegnato: in questo tutti i dati si combineranno ma è prevedibile che quanto creerà non sarà che una rassomiglianza. Tuttavia proprio perché è una macchina, posso costringerla a uscire dalla distribuzione standard, andare oltre i confini dell’universo conosciuto che generalmente è molto rumoroso. E questo è l’altro punto: tutto ciò che non rientra nella ripartizione standard, noi lo percepiamo come rumore perché è così che interpretiamo quanto non riu238
sciamo a comprendere, finché finalmente lo comprendiamo e non è più rumore, possibilmente è un’opera d’arte impressionista o una moderna composizione musicale. Ci vuole un po’ di tempo perché le novità siano accettate e diventino parte del nostro code-book o del repertorio che ci permette poi di procedere oltre. Noi non possiamo immetterci immediatamente nel rumore, ed è un problema con questo tipo di sorprese. Per esempio, ciò che era nuovo con l’estetica della GAN, dopo un po’ è diventato normale e l’effetto sorpresa è svanito. Così posso solo creare tanti ritratti GAN perché conosco già il gioco, ma devo cercare sempre una nuova direzione – forse volare in verticale – ed è una ricerca senza fine. La cosa ingiusta di ogni sorpresa è che non riesci a trovarne la ricetta perché una volta trovata la ricetta, non è più una sorpresa. Ecco perché vado a un livello più profondo e cerco di configurare sistemi che possano sorprendere e non diventare mai noiosi. Vi è un enorme spazio là dentro ed è qui che l’IA è molto utile, ma in uno spazio enorme il problema è che le cose più interessanti sono come piccole isole: potremmo passarci accanto nella nebbia senza nemmeno vederle perché sono appena un po’ fuori vista; tuttavia, proseguiamo perché speriamo sempre di trovare qualcosa. Altro punto, la sorpresa è anche una questione personale: cosa hai visto? Cosa hai conosciuto? Ciò che è eccitante per una nuova generazione, potrebbe essere obsoleto, una sorta di “eccolo di nuovo!” per la precedente. Le mode vanno e vengono in ogni campo e da un lato è una sorta di salvezza per la conoscenza umana altrimenti tutto andrebbe perduto, d’altro lato è terribile poiché non potremmo più creare nulla di nuovo che non fosse già stato fatto da qualche altra parte in qualche altra epoca: ormai sono state piantate tutte le bandierine sulla mappa della creatività umana. Lo stesso accade nel campo dell’arte. Ma è un terreno scivoloso. Gli esseri umani che vogliono creare la propria arte devono trovare un modo per sopravvivere mentalmente in uno spazio in cui tutto quanto possibile verrà fatto sempre più rapidamente da un’IA o da persone che sanno come applicare un’IA. Semplicemente le macchine sono più veloci di noi. Quindi è meglio coalizzarsi con loro come faccio io, e così utilizzo la velocità della macchina che mi permette di ottenere la mia visione del mondo e contemporaneamente di trovare qualcosa che sia mio almeno per un po’. 239
R. P.: Nel 1950, in un’intervista per Radio Sag Harbor, William Wright chiese a Jackson Pollock: «Sarebbe corretto dire che un artista dipinge con l’inconscio, e la tela deve rappresentare l’inconscio della persona che la guarda?» e Pollock rispose: «L’inconscio è un lato importante dell’arte moderna, e penso che le pulsioni inconsce abbiano molta importanza quando guardiamo un quadro». Ora, data l’importanza che l’IA ha storicamente assunto nel mondo dell’arte, le domando: pensa che le pulsioni inconsce possano avere un significato guardando un’AI work of art? M. K.: Uno degli aspetti più interessanti del funzionamento di questi modelli è che devi considerarli come un imbuto in cui entrano un sacco di informazioni, per esempio un dipinto che consiste di milioni di pixel, e con questi learning models l’IA lo fa con vari passaggi: prima condensa e riduce l’intera informazione a pochi numeri in modo da posizionarli in uno spazio latente o presumibilmente tale. In questi passaggi ogni livello ne gestisce diversi aspetti e quanto più si scende in profondità, tanto più ci si addentra nell’inconscio della macchina, perché i livelli più profondi sono una sorta di mondo semantico dove è persino possibile dare un nome a cose che non hanno più nome, né hanno etichette e nemmeno sanno cos’è un’etichetta. Si potrebbe aggirare l’ostacolo e dare un nome a qualsiasi cosa si trovi in questo livello secondo un certo grado di somiglianza. Come essere umano puoi guardare le immagini, rifarti a uno schema che descriverai non solo con una semplice parola ma con una frase intera, per esempio «queste immagini comportano un certo sentimento di mistero» o «mi danno una sensazione di solitudine o di felicità». E la cosa affascinante con queste macchine è che, poiché sono state addestrate sull’immaginario umano, di solito catturano qualcosa anche della condizione umana perché, pur dal punto di vista di una “macchina” hanno potuto dare un’occhiata al genere umano, creare degli stereotipi, mostrarci perfino quanto siamo limitati. È spaventoso, e ovviamente a qualcuno non piace, ma in realtà la macchina estrae sicuramente qualcosa che ci riguarda e lo rende riconoscibile perché è stata in grado di vedere certi schemi che non abbiamo a livello superficiale bensì a 240
livello profondo, e ciò che crea è come uno specchio in cui possiamo riconoscere qualcosa che personalmente associo all’inconscio. Non succede a caso. La macchina riproduce quanto è riconoscibile e riconducibile a ciò che chiamiamo inconscio perché è stata capace di toccarlo con mano. Non può dargli un nome, ma controlla tutti questi diversi elementi che diventano poi parte del dipinto. Così come persone diverse possono provare medesimi sentimenti o fare medesime associazioni, lo stesso accade con le macchine perché alla fin fine sono state addestrate in base a creazioni umane e su input umani. Tutto questo è ancor più rilevante con gli ultimi modelli: questi sono in grado di sezionare la nostra psiche, ed è spaventoso vedere cosa possono trarne. C’è un nuovo modello chiamato Clip, è uscito a gennaio su OpenAI, che è stato addestrato contemporaneamente su immagini e testi, un testo composito non didascalie. La macchina è stata interfacciata a una pagina web dove c’era una foto e un articolo correlato, e ha imparato ad associare l’una all’altro. E dopo aver visto milioni di esempi, riesce a fare queste associazioni estremamente bene. Mi piace tutto questo perché io sono molto razionale, e mi piace che la macchina possa mostrarmi qualcosa sul modo in cui sia noi sia il mondo funzioniamo. Qualcuno pensa che si stia andando su un terreno dove è pericoloso addentrarsi e chissà scoprire che anche noi siamo come macchine. Di fatto credo che noi siamo macchine computazionali, siamo più complessi, e abbiamo connessioni biologiche non ancora pienamente comprese, ma non siamo esseri magici. Possiamo riprodurre schemi che possono essere analizzati, e l’inconscio ne è una parte importante. Inizialmente la macchina replicava ciò che era simile a un sistema visivo umano. Il modo in cui la macchina vede un’immagine si avvicina sorprendentemente al modo in cui funziona il nostro sistema visivo. Quando li mettiamo a confronto, la macchina, anche se non hard-coded, arriva alle stesse soluzioni d’analisi dell’immagine. A un livello più profondo, credo che la macchina possa arrivare alle stesse soluzioni inconsce che il nostro cervello ha trovato per spiegare il mondo, interagire e far di noi degli esseri sociali. È ancora un territorio sconosciuto, ma dato che non credo nella magia, scommetto che c’è una spiegazione. 241
R. P.: Considerando i diversi sviluppi dell’uso dell’IA, quali sono i suoi prossimi progetti? Qualcosa di nuovo da sperimentare? M. K.: Sto sperimentando qualcosa che è proprio appena uscito. Sto aspettando un braccio robot, un robot professionale industriale, e sto cercando di tornare dal digitale al fisico, e iniziare a sperimentare, ovviamente con l’IA, ma tornando al fisico, e avere un robot che fa artefatti o dipinti e interagisce con il mondo fisico. La parte difficile è che non desidero usare il robot come una sorta di plotter che segue rigorosamente le mie istruzioni. Spero che utilizzando macchine fotografiche in cui la macchina osserva i propri progressi, la macchina stessa possa arrivare a produrre dipinti non solo come copie o come una trasposizione diretta di immagini note. Idealmente il processo fisico diventerà parte del feedback loop, un processo fisico in cui il robot semplicemente disegna una pennellata; quindi, l’IA la analizza e la definisce, e in base a misure che ancora non conosco, valuta se e come proseguire. Sto anche considerando l’approccio di Francis Bacon di lasciare che gli incidenti accadano, per esempio si versa una boccetta di inchiostro, si guarda quel che si è fatto, e poi si usa il processo di associazione per interagire con ciò che si è fatto. Ovviamente cercherò di guidarlo, ma gli lascerò anche possibilità d’azione. Mi piacerà usarlo come un altro modo per esplorare questa intersezione fisico-digitale perché c’è ancora qualcosa di molto speciale negli oggetti fisici e nelle infinite risoluzioni della natura. Con il digitale si è in qualche modo limitati dalla quantizzazione, mentre qui si hanno tutti questi effetti che arrivano spontaneamente come gli effetti reali che sono inimitabili. Cercherò di ottenere il meglio da entrambi i mondi, e spero di produrre qualcosa di cui essere soddisfatto e che potrebbe valere la pena esporre. L’intero processo di un robot in azione è molto piacevole in sé, e potrebbe esserci un’installazione in cui il processo del robot che produce qualcosa sia il focus dell’attenzione, non come singolo risultato, ma piuttosto del tipo: possiamo relazionarci? C’è qualcosa nel modo in cui si muove che sembra giusto o diverso? In realtà sono andato al seminario d’apprendimento del robot solo la scorsa settimana, e la macchina arriverà la prossima settimana, e poi beh, sono di nuovo in questo genere di mondo, continuerò a occuparmi di IA, ma 242
sento di essere arrivato a un punto da dove altri possono ripartire. Questo campo è ormai esploso e ora tutti se ne stanno occupando. Inizialmente è stato un nuovo territorio, un nuovo continente da esplorare e tenerne per me una parte. Con questo nuovo progetto spero di continuare a lavorare in solitudine almeno per un po’. E sarà di nuovo IA, più vicina al mondo fisico. R. P.: Ha proprio lo spirito del pioniere… M. K.: Penso che questo sia ciò che mi sprona. Mi piace addentrarmi in un luogo deserto sperando di trovare qualcosa, una nuova specie di funghi o piccoli animali che non ho mai visto prima. 30 marzo 2021
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Mike Tyka L’IA: un nuovo mezzo da esplorare come strumento artistico
miketyka.com Sito ufficiale di Mike Tyka.
Mike Tyka
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Mike Tyka1, nato e cresciuto in Germania, dopo essersi trasferito in Inghilterra ha studiato biochimica e biotecnologia all’Università di Bristol dove nel 2007 ha conseguito il PhD in biofisica. Oggi vive negli Stati Uniti, dove lavora come ricercatore presso l’Università di Washington, dedicandosi in particolare allo studio della struttura e della dinamica delle molecole proteiche. Nel 2012 inizia anche una collaborazione con Google, dove applica computer vision e machine learning a studi di mappe cerebrali a livello neuronale, e dove nel 2015 è cofondatore del programma Artists and Machine Intelligence. Mike Tyka si definisce prima di tutto uno scienziato e sono stati proprio i suoi cstudi sulle proteine a ispirare le sue prime opere d’arte: le sculture, realizzate in vetro fuso, bronzo, acciaio e legno, sono create in base a specifiche coordinate molecolari. Esposte in tutto il mondo, mostrano la bellezza nascosta delle nanomacchine. La sua produzione artistica si concentra da un lato sulla scultura tradizionale e dall’altro sull’impiego della tecnologia moderna: crea così opere generate con reti neurali artificiali che per lui rappresentano un mezzo e uno strumento artistico. 245
Nel 2009 partecipa alla realizzazione del progetto Groovik’s Cube, una scultura alta trentacinque piedi, la più grande struttura funzionale al mondo del cubo di Rubik2, collocata a Reno, Seattle e New York. Nel 2015 crea alcune delle prime opere d’arte su larga scala utilizzando Iterative DeepDream: anche Mike Tyka è sicuramente un pioniere nella produzione di opere d’arte con Intelligenza Artificiale e tra i primi ad aver esplorato le potenzialità di DeepDream3 e delle GAN in questo campo. Nel 2017 collabora con Refik Anadol per creare Archive Dreaming, un’installazione di proiezione immersiva realizzata utilizzando le GAN. La sua serie Portraits of Imaginary People è stata esposta all’ARS Electronica di Linz, da Christie’s a New York e al New Museum di Karuizawa in Giappone. La sua scultura cinetica Us and Them, un’installazione realizzata con l’applicazione di IA, è stata presentata alla Mediacity Biennale 2018 al Seoul Museum of Art e nel 2019 al Mori Art Museum di Tokyo.
1. Mike Tyka, Angel of Death, rame, oro, acciaio, 9”× 9”× 16”, 2011. Courtesy Mike Tyka. www.youtube.com/ watch?v=uLXxwpYrPBQ Designing of the Groovik’s cube, Mike Tyka.
Opere e progetti Mike Tyka è un artista e uno scienziato multidisciplinare che, con una straordinaria capacità di sperimentare ed esplorare nuovi media e nuovi mondi4, è riuscito a coniugare in opere d’arte l’oggetto dei propri studi. Con la serie Molecular Sculpture, le strutture proteiche molecolari, oggetto dei suoi studi scientifici, prendono forma attraverso vetro, bronzo e acciaio e si trasformano in sculture di gran fascino che ci mostrano la bellezza di un microcosmo invisibile all’occhio umano ma che costituisce la base della vita. Dell’opera Angel of Death – Ubiquitin Mike ci racconta:
2 ▷ p. 248 rb.gy/33l8qm The art of neural networks, Mike Tyka, TEDxTUM.
la vita è un equilibrio dinamico di creazione e distruzione. All’interno delle nostre cellule le nanomacchine proteiche, che ci permettono di distinguerci dal mondo inorganico, vengono perennemente riciclate e ricostruite, combattendo per sempre l’inevitabile destino del decadimento entropico5.
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3 ▷ p. 248
Dalle affascinanti forme sviluppate da una dimensione microscopica, con la serie AI: Deepdream Mike Tyka ci accompagna alla scoperta di un nuovo mondo, nuove immagini generate con le GAN. Quest’opera è il risultato della fusione di due concetti espressi simultaneamente da una rete neurale artificiale: Bacchus, per esempio, nasce dell’unione dei due concetti brocche e fiori, espressi simultaneamente da una rete neurale. Il risultato viene generato nello spazio latente all’interno della rete neurale che ha unito i due concetti. Con AI: Deepdream Mike Tyka ha esplorato il potenziale delle creazioni di immagini nuove, quasi oniriche, che a volte possono ricordare immagini frattali o psichedeliche. Sempre usando le GAN, nel 2017 Mike Tyka realizza la serie Portraits of Imaginary People in cui esplora lo spazio latente dei volti umani allenando una rete neurale per immaginare e poi raffigurare ritratti di persone che non esistono. Per realizzare questa serie e per addestrare le GAN sono state usate migliaia di fotografie di volti scattate da Flickr. È bene sottolineare quanto pionieristico sia stato questo lavoro: è una delle prime serie di opere in cui si esplora l’estetica 247
2. Mike Tyka, Bacchus, rete neurale, stampa d’archivio, 11,75”× 11,75”, 2016. Courtesy Mike Tyka. 3. Mike Tyka, I see you, stampa d’archivio, 20”× 20”, 2017. Courtesy Mike Tyka.
delle GAN in una dimensione e con una definizione ancora lontane da quella risoluzione realistica che oggi è possibile ottenere. Nel 2017 Mike Tyka in collaborazione con Refik Anadol, realizza Archive Dreaming, una delle prime installazioni artistiche su larga scala – straordinaria e realmente innovativa – che usa le GAN per portarci in un mondo immaginario ma basato su immagini reali e strutturate in un’architettura fino ad allora solo sognata. Insieme i due artisti hanno usato le GAN sulle collezioni SALT Research, un archivio di 1.700.000 documenti storici, creando un progetto visionario: un ambiente onnicomprensivo tra storia e apprendimento automatico verso una nuova visione della percezione museale. Dalla riflessione sulla portanza delle reti neurali che possono creare contenuti come tweet in modo automatizzato, nasce Us and 248
4. Mike Tyka e Refik Anadol, Archive Dreaming, installation view, Salt Galata, 2017. Courtesy Mike Tyka.
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Them, un’installazione multimodale che coniuga Portraits of Imaginary People con testi generati e la scultura cinetica. Una ventina di stampanti, basate sull’apprendimento automatico sfruttando l’Intelligenza Artificiale, generano tweet e falsi tweet manipolando l’opinione pubblica. I visitatori sono invitati a entrare nello spazio interno dell’installazione e a prendere posto su due sedie per conversare, circondati da un fiume inarrestabile di propaganda. Una grande riflessione sulla manipolazione politica e sociale attraverso la propaganda automatizzata. L’installazione esamina il nostro nuovo mondo che abbiamo creato, un’economia dell’attenzione digitale, in cui siamo costantemente distratti, connessi digitalmente e tuttavia desiderosi di connessione umana6.
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5, 6. Mike Tyka, Us and Them, installazione cinetica e dettaglio, 2018, commissionata dal Seoul Museum of Art 2019, Mori Art Museum, Tokyo. Courtesy Mika Tyka.
Ho avuto il piacere di intervistare Mike Tyka nell’aprile 2021. È stato un incontro e un confronto molto interessante perché Mike non è semplicemente uno scienziato di alta levatura e un artista d’ingegno, è anche e soprattutto una persona di grande profondità d’animo e acume di pensiero. Conversando con lui ho avuto da subito la netta sensazione di trovarmi con un artista che è sì consapevole di essere espressione della nostra avanguardia, ma anche uno tra i pochi in grado di coniugare con estrema lucidità le varie manifestazioni e problematiche dell’attuale condizione umana. La sua ricerca estetica parte dai suoi studi scientifici, come ne fosse un’estensione artistica, per mostrarci la bellezza di quanto è oggetto delle sue ricerche come per la serie Molecular Sculpture, o si realizza come una sperimentazione innovativa su temi di grande attualità con l’uso di Deep Dream per la serie Portraits of Immaginary People. È stato uno dei primi e dei pochi a realizzare un’installazione impiegando l’Intelligenza Artificiale per invitare il pubblico a riflettere sull’impatto che possono avere la tecnologia e i social se strumentalizzati per secondi fini deontologicamente scorretti: con l’opera Us and Them invita lo spettatore a riesaminare il proprio rapporto con la macchina e a cercare una vera connessione tra esseri umani. Terminata l’intervista, dopo che Mike aveva risposto a tutte le mie domande, ho avuto la sensazione che fosse incompiuta: la verità è che lo avrei ascoltato per ore. Questo perché Mike fondamentalmente è un innovatore, sempre in cerca di nuovi orizzonti nei quali la sua ricerca può dare qualcosa e lo fa con una naturalezza incredibile – ed è proprio la sua essenza che lo porta lì, sul giusto cammino da percorrere. Non è un caso che ora il suo lavoro sia incentrato sui cambiamenti climatici, tema di estrema attualità imprescindibile per noi tutti. R. P.: Una delle caratteristiche che la contraddistingue è la multidisciplinarità, come un moderno Leonardo. Se non sbaglio
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lei ha studiato biochimica e biotecnologia, ed è rimasto affascinato dalle proteine e dalla loro bellezza strutturale, così ha creato straordinarie sculture di proteine molecolari – sculture che hanno un fascino “magnetico”, poi è passato a un nuovo campo utilizzando l’Intelligenza Artificiale. Poiché vi è un enorme salto tra la realizzazione di sculture molecolari e le opere d’arte create con IA, vorrei comprendere questo passaggio. Ma prima ho una domanda personale perché non ho trovato risposta nella sua biografia: lei dove è nato? M. T.: Sono nato e cresciuto in Germania e ho studiato per molti anni in Inghilterra, poi circa quattordici anni fa mi sono trasferito a Seattle negli Usa come biochimico e ho svolto ricerca in biochimica computazionale all’Università di Washington. Trattando argomenti di biochimica stavo già avvalendomi dell’uso dei computer, e quando poi sono andato da Google sono stato letteralmente esposto alle machine learning e all’Intelligenza Artificiale. Ora ho cambiato nuovamente campo e mi occupo di ricerca sui cambiamenti climatici. Sono mentalmente connesso con tutti questi temi: tutto è scienza e tutto è riconducibile all’uso dei computer così come ai più diversi tipi di simulazione. In una certa misura tutto è simile, le specifiche sono di facile apprendimento e i principi sono trasferibili; pertanto, è facile lavorare con dei data e analizzare data e trasformarli poiché si possono applicare queste proprietà o esperienze a qualsiasi soggetto. R. P.: Come artista, perché ha scelto di utilizzare l’Intelligenza Artificiale per creare le sue opere d’arte? M. T.: La risposta è già insita in questo inizio di conversazione poiché anzitutto sono uno scienziato quindi nella mia mente elaboro ciò su cui sto lavorando. Ho studiato a lungo le proteine, ho osservato un’infinità di proteine e la loro struttura, la struttura molecolare, ma ho anche interessi artistici e i miei interessi artistici sono legati a ciò su cui sto lavorando come scienziato. Così mentre studiavo le proteine, nella mia mente non vi erano che proteine e ne ho fatto un oggetto scultoreo: hanno strutture interessanti e bellissime, ed esistono realmente. Ho pensato che potesse essere curioso renderle visibili ad altri, poiché generalmente gli altri non 252
Mike Tyka, Style Is Violins, rete neurale, stampa d’archivio, 21”× 21”, 2016. Courtesy Mike Tyka.
sanno come sono, a cosa assomiglino, a meno che non lavorino nel mondo delle scienze proteiche: rappresentandole con una scultura, le rendi accessibili e qualcun’altro può gettare uno sguardo in questo mio mondo. Quando ho iniziato a lavorare con il machine learning, la mia mente è stata automaticamente portata a realizzare arte con o per mezzo del machine learning poiché era esattamente ciò che avevo in mente. È stata una transizione naturale e proprio mentre lavoravo in quel campo le reti neurali cominciarono a essere in grado non solo di analizzare data, ma di generare qualcosa. Quando le reti neurali cominciarono a essere in grado di creare, di generare immagini, fu un momento ovviamente molto interessante poiché si poteva scoprire quel che accadeva al loro interno. Deepdream fu un esempio di come, facendo scorrere la rete neurale all’indietro, si potevano scoprire le diverse stratificazioni 253
della rete neurale, o i diversi neuroni rappresentati in quella rete, e che cosa captavano nei termini degli schemi che captavano. Formavano anche immagini molto belle, interessanti, e con una estetica insolita. È così che ho cominciato a occuparmene. R. P.: Come un vero e proprio pioniere, lei ha esplorato una nuova dimensione e ha trasformato una proteina molecolare in un’opera d’arte mostrandoci così la bellezza di qualcosa di puramente scientifico. È alla ricerca della bellezza? M. T.: Una bellezza nascosta, e non così palese. La si può vedere solo attraverso lo strumento scientifico, un microscopio non è sufficiente poiché è più piccola della lunghezza d’onda della luce. «A cosa assomiglia?» non è una domanda ragionevole: non assomiglia a nulla poiché è più piccola di quel che possiamo anche solo pensare di vedere. Quindi si tratta sempre di una rappresentazione, un’immagine sullo schermo del computer o una scultura o un modello. Vi è la possibilità di scoprirne la struttura, ma poi come la visualizzi, come la rappresenti è essenzialmente un gesto artistico. Devi procedere con una scelta arbitraria per rappresentare questa informazione, questa cognizione della sua struttura, e vi sono un’infinità di modi diversi per farlo, e non c’è un modo migliore o peggiore per farlo – dipende solo da ciò che vuoi enfatizzare. E realizzare una scultura in metallo è tanto ragionevole quanto qualsiasi altra visualizzazione, e personalmente lo considero davvero interessante. R. P.: È davvero interessante anche per noi perché è la rappresentazione di qualcosa che è vita. M. T.: Ed è anche molto intrigante: queste cose sono proprio lì davanti a te ma sono invisibili. Non possiamo toccarle, ma possiamo vedere che hanno la bellezza della vita. R. P.: Nei suoi Commentari lo scultore Lorenzo Ghiberti ha scritto: «La scultura e la pittura sono scienze multidisciplinari. Consiglio agli artisti di specializzarsi in diverse arti liberali dalla geometria all’astrologia perché cultura e immagine necessitano la conoscenza di più discipline». E oggi più che mai torniamo a questa filosofia multidisciplinare. Ora, dalla biologia all’uso dell’IA, po254
trebbe darmi i suoi Commentari? Inoltre, per quanto la concerne, in quale misura lo scienziato coinvolge l’artista o viceversa? M. T.: Questa è una domanda plurima. Penso che la specializzazione come l’approccio multidisciplinare siano interessanti. La totalità della conoscenza e della ricerca umana è così vasta oggigiorno che non si può essere un esperto in tutto. Questo è stato possibile nel ’400 quando c’erano solo scienziati e questi si occupavano di biologia, chimica, fisica e quant’altro. Ma oggi i confini della conoscenza umana sono talmente estesi da non poter nemmeno comprendere quali siano gli attuali problemi scientifici. Bisogna studiare dieci, quindici anni anche solo per capire in cosa consista un ultimo problema o anche solo per cominciare a risolverlo. Ecco perché le persone che si applicano in campo scientifico devono specializzarsi a fondo per contribuire con qualcosa di nuovo che diversamente sarebbe già stato scoperto o risolto. Tuttavia, a volte il progresso si fa strada proprio quando ci si applica a due diverse specializzazioni come una profonda conoscenza dell’IA e una profonda conoscenza nella scienza delle proteine, e si può applicare l’una all’altra competenza e utilizzarle come in un AlphaFold, ossia la svolta di DeepMind nel ripiegamento delle proteine. C’è ovviamente un contrasto tra queste due opzioni. Da un lato il tempo di una vita non è sufficiente per imparare tutto, e dall’altro devi cercare di mediare con una qualche soluzione. Quindi per me, per tornare al tema dell’arte, collegare diverse discipline è un modo per trovare qualcosa di nuovo e scoprire nuovi panorami o suggestive visioni su qualunque cosa mi interessi. Penso che sia una soluzione praticabile, ed è quel che sta succedendo con l’Intelligenza Artificiale di cui molte persone hanno detto: questo è un nuovo strumento nella cassetta degli attrezzi che prima non c’era, adesso vediamo cosa succede quando lo utilizziamo per qualcosa di diverso. Ma ecco che poi penso sia del tutto ragionevole scavare a fondo in un solo ambito, focalizzarsi proprio su una sola area e non essere affatto multidisciplinari. Non so quale sia la soluzione migliore. Alcune persone sono maggiormente portate alla connessione tra ambiti diversi, e altre sono più interessate a comprendere incredibilmente a fondo qualcosa fino a diventarne totalmente esperti. Penso che questo valga anche per l’arte, puoi scegliere un 255
soggetto o una tecnica e semplicemente diventare molto abile in ciò che hai praticato. L’interazione scienzato-artista è interessante. Lei ha citato Leonardo da Vinci, un esempio davvero classico, e mi sembra che negli ultimi cent’anni artisti e scienziati abbiano discusso se si debba essere uno scienziato o un artista, ma penso che questo sia un errore: gli scienziati fanno affidamento sull’arte perché è davvero importante, e ne abbiamo già accennato: se si raccolgono solo dati, semplici numeri, non vi è possibilità di comprensione per gli esseri umani. Bisogna avere in mente un’immagine di riferimento per poter comprendere, e l’atto artistico può trasformare una cruda informazione in un concetto comprensibile soprattutto per coloro il cui ambito è estraneo a una data specializzazione scientifica. E qui torniamo alle considerazioni che abbiamo fatto sulla conoscenza, la sfera della conoscenza umana è così vasta oggi che se ci occupassimo di una scienza e al mondo ci fossero solo cinque persone in grado di comprenderla potrebbe sì essere interessante o importante ma, se non fosse possibile comunicarla al resto del genere umano, il suo valore ne verrebbe grandemente sminuito, sarebbe quasi inutile. La comunicazione è la parte artistica, bisogna estrapolare l’essenza di un argomento e renderlo comprensibile: perché è importante? Come funziona? Se si vuole attirare quante più persone possibile in un campo specifico e renderlo accessibile, e permettere ad altri che sono esperti in altri campi di mettersi in contatto con te e incontrarsi su uno stesso livello. Vi è molto lavoro da fare per visualizzare i concetti scientifici, e credo che l’arte sia un grande mezzo per realizzarlo: vedi una scultura interessante e cominci a porre domande. E penso questo sia il modo in cui lo scienziato incontra l’artista. E d’altra parte gli scienziati sono proprio coloro che scoprono le novità. Ricorro sempre volentieri all’esempio della fotografia. La fotografia fu sviluppata come un processo chimico: dapprima furono i chimici a trovare le corrette trasformazioni chimiche per ottenere un composto fotosensibile e il giusto sedimento su una lastra e l’esposizione e l’ottica. Si trattava solo di chimica e fisica. Ed ecco che si ha un nuovo strumento, e gli artisti lo provano per esplorare diversi modi di utilizzarlo anche se questi modi non si rivelano d’immediata utilità forse nemmeno in senso economi256
Mike Tyka e Refik Anadol, Archive Dreaming, installation view, Salt Galata, 2017. Courtesy Mike Tyka.
co, ma scoprono qualcosa di nuovo che cambia la visuale artistica, proprio come l’avvento della fotografia ha cambiato il mondo della pittura. Questo è sicuramente un processo interscambiabile, poiché allo stesso modo si può dire che non fu l’artista a inventare l’IA, fu lo scienziato, ma infine ecco un nuovo strumento, qualcosa di nuovo da utilizzare e l’artista lo ha sperimentato. R. P.: Oggigiorno nel mondo dell’arte l’IA è considerata uno strumento, come un pennello per il pittore. Nella sua opera Deepdream lei ha sperimentato qualcosa di nuovo: ha creato un’opera d’arte che è il ritratto di un ritratto, lo ha reinventato ed è passato alla fase successiva creando un’istallazione quale Us 257
and Them. Mi piacerebbe conoscere il processo mentale, l’idea che l’ha portata dal realizzare sculture in metallo che sono comunque un oggetto fisico in termini tradizionali, al creare opere d’arte, ritratti e installazioni generate da IA. Per lei come artista c’è una differenza sostanziale tra l’idea e la forma finale di una scultura, di un’opera realizzata secondo il metodo tradizionale e un’opera generata con IA? M. T.: Vi è una grande differenza. Per la scultura molecolare parto con un’idea specifica da realizzare e ho già in mente una specifica immagine di ciò che deve rappresentare. Può non essere perfetta ma è molto accurata. Voglio realizzare una determinata immagine, ne proietto il disegno nella mente e procedo a dare forma al metallo o al vetro o a qualsiasi altro materiale seguendo l’idea che ho avuto. Con l’IA è diverso perché si tratta soprattutto di una interazione con il mezzo, un’esplorazione dello strumento, e quindi non parto affatto da un’idea preconcetta. Potrei dire che avevo in mente di creare ritratti ma senza avere in mente uno specifico ritratto o una specifica persona da ritrarre. Così raccolgo dati da Internet, essenzialmente fotografie, avvio il sistema su quei dati e poi lo lascio libero di agire. A questo punto si produce un’oscillazione altalenante in cui si genera qualcosa e tu osservi e reagisci – questo mi piace, questo no, e ottimizzi l’algoritmo: cambi qualcosa, trattieni qualcos’altro, e rigeneri andando avanti e indietro. Infine, qualcosa lentamente si evolve, qualcosa che tu non avevi previsto, ti piace, interagisci. In un certo senso è come schizzare della pittura su una tela: non sai esattamente come e dove andrà a cadere. Infine, recuperi il controllo e lo passi al sistema. In questo caso il sistema è lo schizzare della pittura, l’atto fisico. E nel mio caso è un sistema computerizzato, un sistema che ha dinamiche sue proprie e fuori dal mio controllo. Lasci che proceda e poi intervieni con le tue scelte, scelte artistiche, ne cambi le traiettorie ma senza mai avere un controllo totale. Con il sistema di IA, così come con una pennellata, il risultato finale è una specie di scoperta, ma il rapporto con l’IA è molto diverso perché non potrai mai sapere esattamente quale sarà il risultato finale, tuttavia, vi è un gran processo artistico dietro le scelte che man mano vengono fatte. Ho generato migliaia, letteralmente migliaia di ritratti, alcuni brutti e confusi, 258
altri semplicemente che non mi piacevano. Alla fine, ne ho scelti tra venti e venticinque che realmente mi piacevano, con i quali interagire, e una parte importante del processo artistico è costituito proprio da questa scelta. R. P.: Scienze e tradizione. In questa prospettiva, quale è la differenza sostanziale tra creare una scultura in ottone e un’opera con IA? M. T.: Quando creo una scultura è una scultura scientifica, ed è sicuramente molto più tradizionale in termini storici. Ma nessuna scultura generata con IA è scientifica. R. P.: So che tutti glielo chiedono, ma vorrei avere il suo contributo diretto: può illustrarci la procedura nella creazione di Us and Them? M. T.: Come lei ha già accennato, Us and Them è stata la continuazione di un’opera precedente. Mentre stampavo tutti quei ritratti pensavo alle implicazioni della tecnologia in campi non artistici e consideravo l’abilità di generare immagini che rappresentano esseri umani e testi che sembrano realmente scritti da esseri umani, e tutto questo ha avuto e continua ad avere effetti gravi sulla politica. È già successo con Internet e in occasione delle elezioni USA del 2016 con una gran manipolazione dell’opinione pubblica. Questo non accadde con l’uso dell’IA, non ancora, ma c’erano persone su Internet che si fingevano reali, esprimevano opinioni personali e semplicemente twittando hanno usato i social media per fare propaganda. Così il punto di vista di una minoranza ha potuto avere una grande risonanza. Una volta era possibile fare propaganda solo top-down, così un governo che poteva vantare un certo potere sugli organi di stampa, poteva diffondere le proprie idee, per così dire, dall’alto in basso. È del tutto plausibile che vi siano stati anche casi di propaganda bottom-up – dal basso in alto, ma Internet ha creato tutto un nuovo metodo per farlo. Puoi fare propaganda bottom-up in un’altra nazione, per esempio, semplicemente creando account che sembrano corrispondere a persone reali. E tu sei portato a pensare di poter condividere quelle idee – e tutto questo influenza il tuo pensiero e il tuo voto. È un nuovo meccanismo molto potente, nel bene e nel male, ed è un modo 259
completamente nuovo di plasmare l’opinione pubblica. Ne abbiamo avuto un primo esempio nel 2016, ma oggi con l’IA questo meccanismo può essere automatizzato e si possono creare milioni di finti account – falsi individui capaci di creare empatia e di utilizzare una narrativa totalmente simile a quella umana. Tutto questo consente a piccoli gruppi di creare identità artificiali in grado di influenzare un numero sempre più vasto di persone. E ora questa tecnologia sta già funzionando, è in azione. Us and Them fu un’anticipazione di questi avvenimenti. Oggi su Twitter vi sono account che nel loro profile esibiscono foto generate da reti neurali. E sicuramente su Twitter vi sono account che generano tweets completamente falsi. “Deepfake” è un altro esempio del vero e proprio e molteplice abuso di questa tecnologia. Purtroppo la situazione sta peggiorando, e il mondo della politica, i governi, le leggi e i regolamenti sono molto indietro rispetto alle possibilità ormai raggiunte dalla tecnologia. Us and Them è un’opera d’arte che rispecchia questo stato di fatto. È costituita da un insieme di fogli stampati che creano opinioni con immagini di avatar come fossero ritratti di persone reali. Da un punto di vista pratico, volevo scostarmi dal generare arte digitale e farne delle stampe non mi sembrava così interessante. Volevo rendere quest’opera più fisica per uscire dal mondo unicamente digitale perché il mondo reale in cui viviamo è un mondo fisico. E volevo creare qualcosa di reale che fosse possibile toccare e volevo creare qualcosa con cui si potesse interagire e che occupasse un suo spazio nel mondo fisico. R. P.: Us and Them. Come funziona: le persone possono entrarci o semplicemente girarvi attorno? M. T.: Si può girarvi attorno e si può entrare. Il foglio scende lentamente. È cinetico ma è molto lento perché se fosse veloce riempirebbe di carta l’intera stanza in una sola settimana, e l’esposizione durava due mesi. E così l’ho realizzata con un tempo abbastanza lento. Ogni foglio scende ogni dieci secondi e poi se ne va e quindi ne arriva un altro e se ne va, e lo spazio interno è fatto in modo che le persone siano portate a riflettere sull’inaffidabilità, sulla menzogna. In Internet le interazioni sono anonime, e l’unica realtà è costituita da due persone che siedono insieme e parlano 260
faccia a faccia in modo tradizionale. È solo tra esseri umani che si crea una vera fiducia. Dobbiamo chiudere per un po’ la nostra connessione Internet e connetterci invece tra noi, gli uni con gli altri perché infine trascorriamo troppo tempo online e dovremmo invece trascorrere più tempo tra noi e in uno spazio reale. R. P.: Us and Them è un titolo perfetto per quest’opera. Nel mondo dell’arte questi significati profondamente sociali si fanno di giorno in giorno più importanti, e ancor più quando parliamo di IA. Spero proprio sia possibile vedere Us and Them in un’esposizione qui in Italia. E tra ricerca, arte e sperimentazione, quali sono i suoi prossimi progetti? Quali sono le nuove sfide della sua produzione artistica con o senza Intelligenza Artificiale? M. T.: Appunto, la ricerca sempre. Come le ho detto ho già cominciato a occuparmi del cambiamento climatico e del riscaldamento globale che sono, a parer mio, l’unica grande sfida che il genere umano deve affrontare oggi. È una questione di vita o di morte. Essenzialmente è in gioco l’estinzione della civiltà così come noi la conosciamo, e abbiamo pochissimo tempo a disposizione per rimediare a questa situazione. D’ora in poi, a ogni decade il mondo subirà enormi cambiamenti in termini climatici e ne stiamo già vedendo gli effetti e questa evoluzione andrà sempre più accelerando. Per quanto mi concerne questo è il tema più importante da analizzare e portare avanti oggi. Per dedicarmici ho cambiato settore, e trovo interessante approfondire queste tematiche e affrontare queste sfide. Così per quanto riguarda la ricerca, e poiché mi conosco bene, sicuramente vedrete mie opere d’arte influenzate da quel che ho in mente ora ossia il clima. Ho già fatto un’opera d’arte chiamata Eons realizzata con una machine Intelligence: riguarda proprio il riscaldamento globale, il cambiamento climatico, e illustra quanto noi siamo piccoli, e quanto poco tempo abbiamo trascorso su questo pianeta paragonato all’arco temporale geologico. La Terra ha cinque bilioni d’anni, e noi siamo qui, in termini di civiltà moderna, da solo un paio di migliaia d’anni. Emozionalmente gli esseri umani non possono comprendere quanto infinitamente insignificanti siamo, ma questo è quel che sta succedendo ed è possibile che tra diecimila anni non vi sarà 261
nemmeno più un essere umano. Per quanto questo possa essere inimmaginabile per noi, è comunque una possibilità reale ed è certo che tra un milione d’anni non vi sarà più un solo essere umano perché se anche fosse sopravvissuto, sarebbe tanto cambiato da essere irriconoscibile. E quest’opera d’arte rappresenta quanto sia breve il nostro tempo: un “blip”. Eons è alquanto relazionata con l’utilizzo dell’IA, e probabilmente produrrò altre opere relazionate al cambiamento climatico. Attualmente sto lavorando a una nuova scultura di una proteina e a un paio di progetti ancora incompleti, e voglio proprio portarne a termine uno sul quale sto già lavorando. Abbiamo parlato di come vi siano diversi modi di visualizzare una proteina, tutti validi, così questa scultura attualmente è costituita da due rappresentazioni della stessa proteina con uno specchio in mezzo e quando la guardi le puoi vedere entrambe sovrapposte l’una all’altra. È un progetto divertente. Ci sono stato su per quasi un anno, ed è quasi finito R. P.: Speriamo di vederlo presto! Lei vive a Seattle. Ha in programma un viaggio in Europa? M. T.: Mi piace molto l’Europa. Ho in programma di venirci tra un paio d’anni. R. P.: Allora aspettiamo lei e le sue opere anche qui in Italia. Intanto mi permetta di dirle che è stato affascinante conoscerla come artista e come scienziato, e avere una visione completa della sua creatività e del suo impegno sociale. Seattle, 2021
Mike Tyka, The Babylon Of The Blue Sun, rete neurale, stampa d’archivio, 66”× 50”, 2016. Courtesy Mike Tyka.
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Memo Akten «My biggest inspiration is trying to understand the world around me»
www.memo.tv/info/ Sito ufficiale di Memo Atken.
vimeo.com/500024622 Memo Akten, a selection of (camera friendly) work in 4 minutes with voice-over.
Memo Akten
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Memo Akten1, 2 è un artista computazionale, ingegnere e informatico originario di Istanbul, Turchia. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca presso la Goldsmiths University di Londra in Intelligenza Artificiale e Interazione espressiva uomo-macchina (Meaningful Human Control of Generative Deep Neural Networks) è entrato a far parte del dipartimento di Arti Visive dell’Università della California San Diego (UCSD) come Assistant Professor di Computational Art & Design. Memo Akten usa tecnologie emergenti e computazionali per creare immagini, suoni, film sperimentali, installazioni e performance reattive su larga scala. Nella sua produzione artistica è imperante il tema della comprensione della natura e della condizione umana nella loro accettazione più ampia: dalla Terra alle tradizioni, dalla mente all’antropologia. I diversi campi che Akten esplora con la sua arte sono in dialogo tra loro: l’intelligenza biologica e artificiale, la creatività computazionale, la percezione, la coscienza, le neuroscienze, la fisica fondamentale, il rituale e la religione. Ne risultano opere che accompagnano l’osservatore alla scoperta di immagini cariche di contenuti e riflessioni. Akten ha ricevuto il Prix Ars Electronica Golden Nica per il suo lavoro Forms nel 2013. Ha esposto e si è esibito a livello in265
ternazionale in luoghi come The Grand Palais (Paris), The Barbican (London), Victoria & Albert Museum, Moscow Museum of Modern Art (Mosca), Shanghai Ming Contemporary Art Museum (Shanghai) e molti altri. Ha anche collaborato con celebrità come Lenny Kravitz, U2, Depeche Mode e Richard Dawkins. Opere e progetti Per comprendere la sua profonda ricerca dobbiamo comprendere la filosofia di Memo Akten. Questo artista, infatti, ci accompagna per mano a scoprire infiniti nuovi punti di vista della relazione che intercorre tra noi e il mondo che ci circonda. C’è molta riflessione e una grande carica di spiritualità nelle opere di Akten volte a esplorare temi come la natura, la tecnologia, l’arte e la loro percezione. Partendo dal progetto Learning to See3 realizzato nel 2017, Akten ci invita a riflettere sul tema della percezione e su come la nostra personale visione sia fortemente influenzata dalle nostre pregresse esperienze e aspettative.
1. Memo Akten, Learning to See, installazione realizzata con Software personalizzato, PC, fotocamera, proiezione, cavi, stoffa, fili, ed esposta durante la mostra AI / More than Human, The Barbican, Londra, 2019. Courtesy Memo Akten.
An artificial neural network looks out onto the world, and tries to make sense of what it is seeing. But it can only see through the filter of what it already knows. Just like us. Because we too, see things not as they are, but as we are4.
Learning to See è un’installazione interattiva in cui una serie di reti neurali analizzano le immagini ricavate da una telecamera dal vivo direzionata su un tavolo coperto di oggetti di uso quotidiano. Il pubblico può manipolare gli oggetti sul tavolo con le mani e osservare sul display, in tempo reale, l’immagine corrispondente reinterpretata dalle reti neurali. Ogni trenta secondi la scena cambia. Le reti neurali sono state addestrate su cinque diversi set di dati che costituiscono i quattro elementi naturali: l’acqua (oceano e onde), l’aria (nuvole e cielo), il fuoco e la terra/ vita (fiori) più le immagini dal telescopio Hubble Space che rappresentano l’universo, il cosmo, la quintessenza, l’etere, il vuoto, la casa di Dio. 266
Il pubblico può decidere quanto tempo vuole interagire con la manipolazione degli oggetti per osservare la proiezione che si crea sul video: qualche istante oppure ore, alla ricerca dell’onda perfetta o della forma del fuoco che più preferisce. Lo scopo non è solo interagire ma indurre un ragionamento sulla “percezione”, e anche la macchina qui ci porta la sua visione basata sulla sua personale “esperienza” ossia i data-set su cui è stata addestrata.
vimeo.com/260612034 Memo Akten, Learning to see: Gloomy Sunday.
vimeo.com/486087661 Memo Akten, “Deep Meditations” .
Spirituale, intenso e immersivo è Deep Meditations: A brief history of almost everything in 60 minutes5, un’installazione video e sonora su larga scala. Memo Akten ha creato un film astratto mul267
2. Memo Akten, Deep Meditations, installazione, Sonar+D, Barcellona 2019. Courtesy Memo Akten.
ticanale che vuole essere un inno alla vita attraverso la celebrazione della natura, dell’universo e l’esperienza soggettiva che ne deriva. Questo video è un viaggio realmente immerso tra immagini e suoni che evolvono e cambiano continuamente, frutto del sapiente uso di una deep artificial neural network. L’artista ci invita a riconsiderare e apprezzare il nostro ruolo nel mondo, nell’ecosistema e nell’interconnessione con altri esseri umani e non umani – una connessione continua con il tutto: dal piccolo microbo alla galassia verso una coesistenza equilibrata.
vimeo.com/569253469 “The Awesome Machinery of Nature: We are all connected”, Memo Akten, 2021.
Siamo invitati a riconoscere e apprezzare il ruolo che svolgiamo come esseri umani come parte di un ecosistema complesso fortemente dipendente dalla coesistenza equilibrata di molte componenti. L’opera abbraccia e celebra l’interconnessione di tutti gli esseri umani, non umani, viventi e non viventi su diverse scale di tempo e spazio, dai microbi alle galassie6. Nel 2019 Akten collabora con l’artista di musica elettronica Max Cooper per la performance audiovisiva Yearning for the infinite al Barbican di Londra creando un adattamento di Deep Meditations7 per uno spettacolo che risultò essere per il pubblico “un’esperienza completamente avvolgente e ipnotica”. 268
3. Memo Akten, The Awesome Machinery of Nature, 2021. Courtesy Memo Akten.
Nel 2021 realizza The Awesome Machinery Of Nature8 un corto astratto, una simulazione sperimentale e una composizione computazionale9, commissionata dal Center for Practice & Research in Science & Music (PRiSM) presso il Royal Northern College of Music (RNCM) di Manchester. Memo Akten qui vuole celebrare l’interconnessione delle cose viventi e non viventi: una sinfonia cosmica che ci porta all’evoluzione della vita, della materia, in una danza musicale che unisce e plasma oltre lo spazio e il tempo. Questo lavoro è un’evoluzione della sua precedente serie Simple Harmonic Motion ed è stato presentato in anteprima al Future Music #3 Festival10. Memo Akten ci racconta di tutto un mondo attorno a noi e delle sue infinite connessioni attraverso strumenti nuovi. Questo suo legame e connessione con la natura va al di là della sua produzione artistica. Oltre l’arte, Memo Akten ha condotto una ricerca sul costo ambientale e sull’inquinamento generato dal sistema che ruota attorno alla Crypto arte11 promuovendo una riflessione sui consumi di CO2 emessa con le transazioni su blockchain.
www.youtube.com/ watch?v=7oWjgbCXp-o Max Cooper, Morphosis (Official Video by Memo Akten).
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Anna Ridler L’importanza del dataset nella creazione di un’opera con IA
annaridler.com Sito ufficiale di Anna Ridler.
Anna Ridler. Photo Bella Riza, 2020
Nata a Londra nel 1985, Anna Ridler1, 2 trascorre l’infanzia tra Atlanta in Georgia, USA, e il Regno Unito. Nel 2007 consegue il Bachelor of Arts in English Literature and Language all’Università di Oxford, e nel 2017 ottiene il Master of Arts in Information Experience Design presso il Royal College of Art di Londra. Ha ricevuto inoltre la borsa di studio presso il Creative Computing Institute dell’University of the Arts London (UAL). Artista e ricercatrice, Anna Ridler attualmente vive e lavora a Londra. Con la sua arte illustra un concetto della dimensione del tempo basato sui ritmi della natura presentandolo con un dinamismo di delicata bellezza, contemporaneamente esplora l’applicazione delle nuove tecnologie realizzando personalmente i dataset che costituiranno il punto di partenza per la realizzazione delle sue creazioni e per nuove narrazioni non scevre da un profondo senso critico nei confronti del mondo dell’arte generato con IA. Le sue opere sono state esposte e sono presenti in importanti musei internazionali, tra cui il Victoria and Albert Museum e il Barbican Centre di Londra, il Centre Pompidou a Parigi, l’HEK Ba-
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sel, lo ZKM Karlsruhe, l’Ars Electronica di Linz, lo Sheffield Documentary Festival e il Leverhulme Center for Future Intelligence a Cambridge. È stata la vincitrice del DARE Art Prize 2018-2019 e ha anche ricevuto commissioni dalla Salford University, dalla Photographers Gallery, dall’Opera North e dall’Impakt Festival. È stata segnalata da Artnet come una dei nove “artisti pionieristici” che esplorano il potenziale creativo dell’IA e ha ricevuto una menzione d’onore nel premio Ars Electronica Golden Nica 2019 per la categoria AI & Life Art. Nel 2019 è stata nominata per il premio Beazley Designs of the Year dal Design Museum di Londra per il suo lavoro sui set di dati e la categorizzazione. Opere e progetti Con la produzione di Anna Ridler ci ritroviamo a esplorare un’affascinante dimensione e una nuova tipologia di creazione d’opere d’arte generate con IA. Tra natura, tempo, storia, narrazione e training set creati ad hoc, quest’artista è una pioniera sotto tanti punti di vista. Per capire la filosofia e la ricerca estetica che la contraddistinguono, entriamo nel vivo della sua produzione artistica con Fall of the House of Usher I3, un film d’animazione di dodici minuti realizzato nel 2017 che rimanda al film muto Fall of the House of Usher del 1928 ispirato al noto racconto di Edgar Allan Poe. Il lavoro di Anna Ridler inizia con la creazione del database per addestrare la GAN: se molti artisti usano database preesistenti e facilmente reperibili in Internet, Anna ha deciso di dare la propria matrice creativa all’opera in nuce, creando il suo personale insieme di immagini e per questo scopo ha realizzato duecento dipinti a inchiostro. Con questi dipinti la macchina ha imparato a generare immagini che portano la matrice, lo stile dell’artista: ogni fotogramma è generato da una GAN addestrata sulla base dei suoi disegni. Il risultato finale è un corto che esplora la memoria di un film classico in chiave moderna portando agli occhi dello spettatore immagini che evocano una dimensione onirica sospesa nei toni dark e fluttuanti di una storia di decadenza, quella degli Usher e anche del mondo dell’IA. 272
1. Fotogrammi, disegni e immagini generate dalle GAN, tratte dal film del 1929 Fall of the House of Usher. Courtesy Anna Ridler.
vimeo.com/217670143 Anna Ridler, Fall of the House of Usher.
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Questo lavoro è il predecessore di Fall of the House of Usher II del 2017: la raccolta dei disegni a inchiostro dell’artista utilizzati come set di dati per l’animazione è stata esposta ad Ars Electronica (2017), V&A Museum (2018), Nature Morte (2018) e Centraal Museum (2018). Dai toni cupi di Fall of the House of Usher I passiamo ai vibranti colori di Myriad (Tulips) mantenendo il fil rouge della creazione di un dataset personale. Myriad (Tulips) è un’installazione di migliaia di fotografie di tulipani che l’artista ha scattato, stampato e infine etichettato a mano: nel dettaglio Anna Ridler ha scattato diecimila fotografie di tulipani nel corso di tre mesi trascorsi a Utrecht, nei Paesi Bassi, ultimando il lavoro in concomitanza della fine della stagione di fioritura. Scegliendo di realizzare l’installazione fisica di un dataset come Myriad (Tulips), si comprende l’incredibile mole di lavoro affrontata: l’installazione di tutte le fotografie è di oltre cinquanta metri quadrati e rende così l’idea del tempo, dell’impegno, anche economico, e dello sforzo necessari per costruire un simile set di dati. Queste fotografie sono state utilizzate come set 273
2. Installazione di Myriad (Tulips), 2018, stampe digitali C-type con annotazioni scritte a mano, vernice magnetica, calamite. Courtesy Anna Ridler.
3. Anna Ridler, Mosaic Virus, 3-screen GAN, video installazione, 2019. Courtesy Anna Ridler.
di dati per Mosaic Virus 2018 e successivamente per il video Mosaic Virus 20194. Mosaic Virus del 2018 è un’installazione video su schermo singolo che mostra una griglia di tulipani in fiore mentre Mosaic Virus del 2019 consta di tre schermi ognuno dei quali mostra un singolo tulipano. I tulipani sono in continua evoluzione e fioritura – grazie all’impiego dell’Intelligenza Artificiale – in diretta relazione con le fluttuazioni del valore del bitcoin. Anna Ridler riprende la storia della Tulipmania olandese, il fenomeno del XVII secolo che ha visto il prezzo dei bulbi di tulipano aumentare in modo esponenziale per poi crollare rovinosamente: uno dei primi casi registrati di bolla speculativa che qui viene rapportata alla speculazione in corso sulle criptovalute. Le due opere Mosaic Virus prendono il nome da un particolare virus che causava peculiari e ricercate striature sui petali dei tulipani e che aumentandone la rarità ne aumentava anche il prezzo. Una narrazione visuale di rara bellezza che rappresenta e accusa la vile speculazione rimandando anche visivamente alle nature morte olandesi al tempo della Tulipmania 5: vanitas che racconta la fugacità delle cose. Il parallelo storico ha un ulteriore 274
riferimento: è bello notare che i pittori dell’epoca dipingevano tulipani tutto l’anno, anche quando non reperibili perché fuori stagione. L’abilità del pittore stava nel ricreare il tulipano attingendo alla memoria o a immagini disponibili, similmente la GAN che Anna Ridler ha realizzato crea l’immagine non di un tulipano ma dell’idea di tulipano che la GAN stessa ha appreso attraverso il dataset.
vimeo.com/338726032 Anna Ridler, Mosaic Virus.
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Ritroviamo ancora il tema della natura e della sua ciclicità nell’opera Circadian Bloom (2021): un orologio visuale indica l’ora attraverso i fiori. Riprendendo il lavoro di Carl Linnaeus, Anna Ridler ci mostra come i fiori sbocciano in un determinato momento della giornata utilizzando una serie di algoritmi complessi per permettere all’osservatore di contemplare altri modi di raccontare il tempo. Nuovamente i tulipani diventano parodia della denuncia degli aspetti negativi dell’applicazione dell’IA nel mondo dell’arte: dietro l’immagine dei tulipani in movimento vi è una GAN che può generare fiori all’infinito, vi sono le vendite all’asta, i contratti con Ethereum, le blockchain, e una grande rete distributiva che viene utilizzata con enorme costo delle risorse ambientali. 275
R. P.: Ed eccoci qui. Anzitutto voglio dirle che quando ho visto le sue opere per la prima volta anni fa, sono rimasta incantata dalla sua estetica, dal suo tocco quasi pittorico, e dal senso dell’opera nel suo insieme. In seguito sono rimasta letteralmente affascinata dal sapere che lei crea i suoi propri dataset per la realizzazione delle sue opere. Forse solo una donna può avere una visione tanto completa dell’insieme da realizzare fin nei dettagli, ovvero realizzare ogni singola parte del lavoro. A. R.: Mi piace questa definizione del mio lavoro, perché per me è davvero importante percorrerne l’intero processo e dedicare tempo anche a pensare a quanto succede quando viene presentato in una galleria o in uno spazio o online, e pensare a come tutti questi diversi elementi si assemblino in continuum e a come ognuno di loro così come l’intero processo diventi parte dell’opera stessa.
*** Anna Ridler è un’instancabile sperimentatrice e ci presenta con le sue opere una nuova estetica. La sua produzione artistica include anche importanti messaggi morali ed etici: dalle riflessioni sull’impiego dei dataset alla speculazione sui Bitcoin. Intelligenza Artificiale, pittura, riflessioni su temi attuali e natura si fondono insieme dando come risultato opere inedite di grande attualità e bellezza. Ho sempre ammirato il lavoro di questa visionaria artista e sono stata entusiasta di poterla intervistare per conoscere meglio alcune specifiche del suo lavoro e della sua ricerca artistica. Un’artista straordinaria, di grande creatività nell’uso della IA nell’arte. 276
4. Anna Ridler, Recording Nature – Riprodurre la linea della storia naturale con l’uso della tecnologia. Courtesy Anna Ridler.
R. P.: Ho sempre pensato che l’Intelligenza Artificiale sia uno strumento, come un pennello nelle mani dell’artista, ma nel suo caso lei ha prodotto il suo personale pennello. Questo è un punto molto interessante, e sicuramente il lettore è curioso quanto me di investigare, sapere direttamente da lei come questo accada, Per cominciare, nella sua produzione artistica lei ha toccato vari temi quail la letteratura, la natura, l’attualità, la dimensione del tempo. Che ruolo ha l’uso dell’Intelligenza Artificiale nel suo lavoro? A. R.: Penso che il machine learning copra un vasto range di diversi utilizzi e diverse tipologie di processi e quindi costruendo il dataset produco un’immagine possibilmente generativa e quel che trovo eccitante è che ognuna di queste parti mi permette di esplorare qualcosa a diversi livelli di profondità, così quando lavoro con i data il tutto può acquisire molto in termini di linguaggio e significato, e quando lavoro con qualcosa di generativo, lavoro con la materialità: quel che è diventa qualcosa di diverso, e posso cominciare a estrapolare cose e concetti relazionati a quel particolare modo in cui la materialità sta lavorando. Ed è proprio considerando le qualità intrinseche che ogni parte elabora, che posso utilizzarle e collegarle a dei concetti. Per me è molto bella questa connessione tra l’idea che sto elaborando e il modo in cui la sto 277
realizzando. Voglio dire: i miei lavori, i più significativi, sono stati il risultato di questa connessione perché io non utilizzo il processo tecnologico fine a se stesso, ma considero ciò che la tecnologia può elaborare con le GAN. Quando inizio un progetto, penso spesso a come tutte queste parti si scompongano e a come si connettano a temi ben più ampli di quanti posso esplorare con le GAN. Spesso quando ho in mente un lavoro che poi diventa un progetto, per esempio La casa degli Usher, o Circadian Bloom che sto realizzando ora, non vi è un unico lavoro ma ve ne sono diverse parti, e queste diverse parti sono connesse a diverse parti del processo che sto elaborando. È un modo di lavorare lungo ma interattivo e che mi soddisfa, ed è anche un processo molto lento. Sono sempre consapevole di questa connessione e pensare, comprendere e cercare di rendere le mie idee valide tanto concettualmente quanto visivamente.
5. Anna Ridler, Mosaic Virus, particolare, 3-screen GAN, video installation, 2019. Courtesy Anna Ridler.
R. P.: Per l’opera Caduta della casa degli Usher lei ha realizzato personalmente duecento disegni come training set per far apprendere alla macchina il suo stile, e per Mosaic Virus ha creato un dataset di fotografie di tulipani che ha scattato personalmente. Diecimila fotografie, quindi un lavoro lungo e oneroso. Molti AI artists utilizzano fotografie già esistenti o immagini di dataset disponibili mentre lei ha preferito realizzare un suo proprio dataset così che la GAN lavori sulla sua stessa ricerca e con la matrice del suo stile. Qual è la ragione di questa scelta? A. R.: Quel che ho sempre desiderato è essere in grado di creare qualcosa che rifletta la mia vita creativa, la mia vita artistica, e pure tutto il processo creativo nella sua totalità. Penso che una delle ragioni stia nel fatto che se usi qualcosa che qualcun altro ha realizzato, ti affidi a quella definizione delle cose o a come qualcun altro ha percepito le immagini, unitamente a tutti i temi etici e morali relativi all’uso di quelle immagini. Quando pensi a come sono state realizzate quelle immagini, a come sono state remunerate, da dove provengono, con quali autorizzazioni, chi sa cosa vi è rifluito quando usi il dataset di qualcun altro? Questo non significa che non si possa fare un lavoro interessante. Alcune opere sono state fatte utilizzando dataset preesistenti e alcune persone hanno messo 278
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in discussione il tipo di scelta alla base della loro realizzazione, ma per quanto mi riguarda non sono affatto interessata a tutto questo perché una delle cose che mi interessa è realizzare le idee che ho in mente avendone un controllo totale. Voglio che il dataset diventi un’opera in sé e per sé in ragione del tempo e dello sforzo necessari per crearlo. E voglio che sia così. Trovo che mi dia maggior controllo sull’eventuale risultato. Ho realizzato un paio di progetti utilizzando immagini di altri che erano a libera disposizione, ma l’ho trovato frustrante perché non sono mai riuscita a ottenere i risultati che desideravo. Ed anche quando uso immagini che già esistono, svolgo un gran lavoro per esaminare ogni singola immagine che uso ed accertarmi di averla ricategorizzata. R. P.: Un lungo lavoro. A. R.: E un gran lavoro. E voglio anche accertarmi di aver ben ripulito i data perché a volte anche in questi dataset preesistenti vi sono errori che potrebbero non essere posizionati dove io specificatamente desidero. E penso che solo quando entri in una connessione molto intima con questo genere di materiale generativo come i data, allora puoi lavorarci. Inoltre questa connessione mi permette di avere una profonda comprensione di quanto sta accadendo dentro e dietro l’algoritmo. R. P.: Un lungo lavoro con il quale lei dà la propria matrice, il proprio stile alla macchina, ed è molto importante nella realizzazione di un’opera di IA. In una conferenza che lei ha tenuto al Creative Computing Institute, ha detto di voler escludere il realismo fotografico dalla sua produzione artistica, e al contrario di cercare che ogni lavoro finale non si presenti impeccabile e privo di tracce di quel processo che lei ha definito come «la qualità che preferisco». Nella storia dell’arte abbiamo innumerevoli esempi di dipinti che nascondono ripensamenti, ritocchi di artisti alla ricerca della perfezione nelle loro opere finali, mentre lavorando con l’Intelligenza Artificiale questo tipo di “noise” è una peculiarità e una cifra stilistica dell’opera finale. A questo riguardo può dirci qualcosa in più sulla sua ricerca estetica e sulla sua scelta? 280
A. R.: Quel che volevo far notare in quella conferenza è che sto cercando di rifarmi al realismo per connettere le GAN e le altre tecniche di computer vision, ed una delle cose che mi interessano, o che più mi piacciono, è tracciare il processo e gli artefatti come parte stessa dell’opera. Penso che se qualcosa sembra eccessivamente perfetto, se sembra propriamente realistico, può sorgere la domanda: «Perché mai usare il machine learning?». Soprattutto se si sta realizzando un oggetto realmente esistente in questo mondo, e la domanda è: «Perché mai usare questa particolare tecnologia per realizzare un’immagine e non usare semplicemente una fotografia?». Come ho detto considero l’intero processo come parte integrante del lavoro. Vi penso dall’inizio alla fine e non cerco di creare qualcosa di luminoso, bello e pulito. Ne ho parlato alla conferenza perché considero che se qualcosa è troppo pulito, troppo luminoso, neutralizzerebbe il disordine del mondo e il tocco umano nel prendere decisioni e nella sua imprevedibilità. Mi interessa l’opposto, e voglio mantenerlo nel materiale e trattenerne gli errori e rilasciarli piuttosto che fingere che non siano mai esistiti. R. P.: Nel 1735 Carl Linnaeus pubblicò Philosophia Botanica, dove ha elencato quarantasei piante che si aprono a una specifica ora del giorno e ha creato un orologio floreale o horologium florae come lo ha chiamato. Può illustrarci il suo Circadian Bloom e la percezione del tempo attraverso la GAN? A. R.: Carl Linnaeus e quel particolare orologio floreale sono state di grande ispirazione per Circadian Bloom. Penso sia così interessante il sistema su cui regoliamo il tempo e sul quale il tempo è costruito, e inoltre credo che questo connetta il tempo, e ciò che è il tempo, a una considerazione ricorrente che ho sempre fatto in relazione al denaro, perché entrambi i sistemi sono costruzioni umane in quanto opposte al mondo naturale, e a entrambi è stato assegnato un valore umano. Per esempio anche l’idea di un secondo è stata inventata, non è naturale: è stata inventata nel diciassettesimo secolo. Quindi l’idea del tempo non è statica. E mi ha sempre interessato il fatto che in natura tutti gli orologi hanno metodi propri di segnare il tempo. E mi sono imbattuta nell’orologio floreale di Linneo, e una delle cose che ho trovato più interes281
santi è che nessuno ha mai potuto realizzarlo perché i fiori hanno bisogno di molto tempo per sbocciare, e non sbocciano in tutte le stagioni. E se lo facessero, sarebbe davvero irregolare: potrebbero catturare qualcosa del mattino, qualcosa della sera, alcuni sboccerebbero solo in primavera, altri sboccerebbero solo in estate, e così non si potrebbe mai vedere l’orologio funzionare in tempo reale, e inoltre i fiori non crescono tutti nello stesso luogo: quindi l’orologio floreale di Linneo è un’idea che appartiene al mondo concettuale. E quando lavori con la tecnologia, hai la possibilità di prendere queste idee, questi giochi concettuali, realizzarli e vedere se funzionano. È una specie di gioco. Circadian Bloom funziona in tempo reale, quindi l’immagine scomparirà sempre subito dopo essere stata vista, l’orologio va sempre avanti e mai indietro, ed è stato disegnato per stare in un luogo pubblico, non in una galleria, perché l’idea è anche far riflettere il pubblico sul tempo e sulla natura in un modo diverso, e ricondurlo a un metodo naturale di leggere il tempo, e così se gli passi davanti ogni giorno alla stessa ora, andando al lavoro o andando a pranzo, incomincerai ad accorgerti dei cambiamenti e imparerai a leggere l’ora attraverso questi fiori. Saprai che è l’inizio del giorno perché vi è una certa fioritura, e saprai che si sta avvicinando la fine del giorno perche alcuni fiori si sono richiusi, e cominci a trovarci un senso. E mi piace anche l’idea di utilizzare macchine che possono leggere l’ora in modo esatto e creare qualcosa che è difficile e quasi illeggibile. Ma sai che potrebbe essere mattino, anche se non sai se sono esattamente le dieci. Mi piace creare qualcosa che funziona e cela qualcosa di misterioso. R. P.: Penso che lei sia la prima AI artist a esplorare la percezione del tempo attraverso la natura. Ho ripercorso le sue opere e attraverso esse il suo particolare rapporto con la natura. Per quanto riguarda Mosaic Virus, è un’opera che apprezzo molto e in una certa misura mi ricorda The Garden di Andrew Marvell, una poesia che lei certo conosce. Penso di includerne qualche verso nell’introduzione alle sue opere. A. R.: Mi piacerebbe davvero perché ho studiato Letteratura inglese, ho amato il periodo della Restaurazione e me ne sono occupata molto. 282
R. P.: Attraverso le sue opere ci porta a riflettere su temi importanti: dalla percezione del tempo con Circadian Bloom a temi sociali con Mosaic Virus usando spesso elementi naturali: qual è la sua relazione con la natura in rapporto alla sua produzione artistica con IA? A. R.: Penso che il mio interesse per la natura così come per la storia naturale riguardi il modo in cui noi umani interagiamo con la natura. Per me è sempre molto interessante prendere un oggetto naturale, o un oggetto organico, particolarmente fiori e conchiglie, e scomporlo per vedere la sua diversa cronistoria, quale l’economia, il commercio che ne è stato fatto, il colonialismo, tutte quelle idee importanti delle quali puoi trovare traccia quando inizi a concentrarti davvero su qualcosa. Io credo che il mondo naturale mi dia molto, davvero molto. Ma per tornare alla domanda su quale sia il mio rapporto con la natura, il mio rapporto o attrazione artistica, io penso vi sia insita anche una tensione reale poiché lavorare con questi grandi modelli creativi per ottenerne raffigurazioni costituisce un intenso processo computazionale che per essere messo in funzione richiede un importante consumo di energia. Io sono perfettamente consapevole del problema delle energie rinnovabili in relazione al mio lavoro, e nel mio lavoro è presente questa tensione tra creare qualcosa di naturale e utilizzare costose risorse naturali per realizzarlo. C’è sempre questa tensione nel lavoro di un artista digitale. E in relazione a questi temi, sto proprio ripensando a come poter realizzare quello che ho in mente e renderlo in un’opera. R. P.: Cosa vorrebbe sperimentare con il suo lavoro a fronte del continuo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale? A. R.: È una domanda difficile. Ho lavorato molto con le GAN, ma ora sto valutando l’utilizzo di sistemi che si possono incorporare in sistemi di gioco, disegnandoli e elaborandoli maggiormente con la narrativa, e a come addestrare le macchine a comportarsi in un certo modo e infine inscatolarle e vedere se hanno imparato bene. Questa è un’area sulla quale mi interessa ragionare. Inoltre vi è sempre un interruttore che accende il mio pensiero per la natura, e comincio ad occuparmi di temi quali la modificazione genetica, che è un tema di grande ispirazione. 283
R. P.: E relativamente al suo lavoro, quali sono i progetti futuri? A. R.: Come ho detto sto lavorando, cercando di capire come costruire questi sistemi per farli funzionare. Ho portato a temine un progetto, The Shell Record, che ho realizzato recentemente. Ho alcune idee, che sono ancora in embrione, e accadrà che come sempre finirò con il lavorare su progetti multipli, facendo test e sperimentazione e ricerca. E poi accadrà che un progetto decolli e prenda il sopravvento e quindi di fatto verrà realizzato mentre altri fluttueranno sullo sfondo, e alcuni non vorrebbero, si fa per dire, “moriranno”, ma ovviamente svaniranno, perché talvolta anche se sono interessanti sono però troppo difficili da articolare: quando si lavora con tecnologie innovative non è sempre scontato che tutto funzioni. In passato ho lavorato a lungo con un gruppo di persone per far funzionare un progetto ma non ci siamo riusciti. Semplicemente non funzionava. A volte bisogna stare a vedere come il tutto si evolve e si ricostruisce naturalmente. R. P.: Come critico d’arte ho sempre fatto ricerca: è sempre interessante, e si può comunque apprendere e ottenerne qualcosa. A. R.: Anch’io amo la ricerca, che deve essere continua, ed è importante. Le idee che mi sorgono oggi possono rifarsi a letture lontane, come l’idea dei tulipani: risale a una conversazione avvenuta anni fa tra me e mia mamma, che è un’amante della natura, e sono trascorsi quindici anni prima che quest’idea diventasse un’opera.
How vainly men themselves amaze To win the palm, the oak, or bays, And their uncessant labours see Crown’d from some single herb or tree, Whose short and narrow verged shade Does prudently their toils upbraid; While all flow’rs and all trees do close To weave the garlands of repose.
Quanto vanamente stupiscono gli stessi uomini Per vincere la palma, la quercia o l’alloro, E le loro incessanti fatiche vedono Incoronate da qualche singola erba o albero, La cui corta e stretta ombra orlata Rimprovera prudentemente i loro affanni; Mentre tutti i fiori e tutti gli alberi si chiudono Per tessere le ghirlande del riposo. Andrew Marvell, The Garden 22 giugno 2021
R. P.: Lei ha uno studio a Londra. Vive anche a Londra? A. R.: Sì, vivo qui e mi piace essere nata e cresciuta qui. Penso che sia anche un buon posto per il mio lavoro: c’è un gran numero di esposizioni d’arte e vi sono ricercatori e scienziati. R. P: Pensa di recarsi in Italia in futuro? A. R.: Lo spero. Mi piace l’Italia e vorrei tornarci. Devo solo trovare il momento giusto.
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Robbie Barrat Oltre le regole dell’apprendimento verso una nuova sperimentazione
robbiebarrat.github.io Sito ufficiale di Robbie Barrat.
Robbie Barrat1 è un enfant prodige della tecnologia e un talentuoso AI artist, nato a Dublino nel 1999. Trasferitosi ancora bambino in West Virginia (Usa), nel maggio del 2017 si diploma al liceo di Shenandoah Junction mentre nel tempo libero elabora neural networks per creare musica rap sullo stile di Kanye West. Questo suo progetto gli vale l’attenzione di NVIDIA Corporation che elabora network per la guida automobilistica autonoma che lo chiama a collaborare nella sua sede di Santa Clara, California. Entra poi come ricercatore nel laboratorio di bioinformatica della Stanford University. Successivamente è a New York, dove lavora come artista indipendente, e infine è in Francia dove frequenta l’École des Beaux Arts di Nantes Saint-Nazaire. Più di recente ha aperto uno studio di arte/design a Parigi. Poco più che ventenne Barrat ha già iniziato a esplorare vari campi: dalla moda con Balenciaga e Acne Studio all’architettura e infine all’arte attraverso le applicazioni del machine learning e delle GAN.
Robbie Barrat
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Opere e progetti Nel 2018 Robbie Barrat2 inizia a creare opere usando una GAN. I primi risultati sono immagini paesaggistiche in stile quasi realistico. La sua ricerca continua con nuove sperimentazioni poiché impiegare nuovi strumenti quali gli algoritmi per ripetere quanto è già stato realizzato negli ultimi secoli è, come lo stesso Barrat afferma, «un po’ cinico». La sua seconda produzione è Landscapes e presenta infatti immagini più surrealistiche. Con la successiva produzione Nude Portraits Barrat abbandona totalmente le regole di un’estetica formale e realistica. Questo AI artist si spinge oltre i confini delle reti neurali verso nuove interpretazioni visive, in pratica rompe o interrompe la convenzionale produzione di immagini della GAN addestrata su specifiche immagi-
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www.youtube.com/ watch?v=rue8Q8Cw6ho Robbie Barrat et Constant Dullaart, explorateurs de l’art par algorithme.
1. Robbie Barrat, AI Generated landscapes, si noti la differenza tra i primi due Landscapes, più realistici, e l’ultimo Landscape più surrealistico. Courtesy Robbie Barrat.
ni – nudi e poi teschi – alla ricerca di quella differenza estetica che potesse contraddistinguersi con un risultato e uno stile a sé stanti. Dopo aver lavorato con i paesaggi, mi sono reso conto che era molto più interessante quando la rete non imparava correttamente le regole. Ho cercato di generare ritratti nudi – e massimizzare la “errata interpretazione” da parte della rete3. Robbie Barrat
Per la serie Nude Portraits, Barrat ha fatto in modo che la macchina apprendesse solo quelle regole che le consentivano di riprodurre alcune parti di un corpo, il seno per esempio, mentre altre regole riguardanti la struttura generale della figura umana le venivano sottratte. In questo modo ha generato immagini tra l’onirico e il surreale che evocano il nudo umano reinterpretandolo.
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dotte immagini davvero strane che non ti aspetteresti mai. Li puoi definire teschi, ma in realtà non sono così usuali.
Una volta generata l’immagine, il lavoro non finisce: Ronan Barrot interviene dipingendoci sopra, per “correggere” il lavoro o per reinterpretarlo.
Il 7 febbraio 2019, presso L’Avant Galerie Vossen di Parigi, viene presentata una mostra che nasce da un incontro4 tra Robbie Barrat e l’artista francese Ronan Barrot. Ronan è un pittore che ha l’abitudine, una volta terminato un quadro, di usare la pittura rimasta sulla tavolozza per dipingere un teschio. Un’abitudine sicuramente originale, che negli anni lo ha portato a realizzare migliaia di dipinti di teschi di dimensioni simili tra loro. Senza volerlo, l’artista francese stava preparando un dataset perfetto per addestrare una GAN. Nasce tra i due artisti una collaborazione profonda e fruttuosa che scaturisce nella creazione delle serie Infinite Skulls.
2. Robbie Barrat, AI Generated Nude Portraits, 2019. Courtesy Robbie Barrat.
rb.gy/uwybav Artnome: AI artist Robbie Barrat and Painter Ronan Barrot collaborate on “Infinite Skulls”.
Nell’articolo di Bailey7, Robbie Barrat chiarisce che per Ronan Barrot le immagini generate con IA sono «immagini d’opere d’arte» mentre per lui «l’opera d’arte vera e propria è la GAN addestrata; gli output sono in realtà solo frammenti o piccoli scorci di questo (la GAN addestrata è quasi una versione compressa di tutti i possibili teschi AI)».
3. Robbie Barrat/Ronan Barrot, Infinite Skulls, 2019, olio su tela, stampa UV su plexiglass. Courtesy Robbie Barrat
Con queste parole Barrat fa un’analisi profonda della produzione artistica. Riprendendo le Rules Cards di Sol LeWitt, intende che la singola opera d’arte è parte di qualcosa di più grande, l’ombra della rete è l’opera d’arte vera e propria. Sicuramente la colla-
Per Epoch One, la prima serie di Infinite Skulls, la GAN è stata addestrata con i dipinti di teschi di Ronan Barrot e le opere generate sono abbastanza simili agli originali. A questo punto Barrat e Barrot si spingono oltre il punto di vista della macchina: in pratica “giocano” con la GAN aumentando il numero dei dipinti da usare come dataset cambiandone la rotazione, creando così la seconda serie di Infinite Skulls: Epoch Two5. In un bellissimo articolo scritto da Jason Bailey e pubblicato su Artnome6, Robbie Barrat racconta: Per Epoch Two, mi sono divertito immettendo nella macchina i teschi senza tener conto della rotazione o prospettiva, quindi la macchina si è trovata a vedere i teschi capovolti e allungati. Sto usando lo stesso modello, ma il numero di teschi del training set è passato da 500 a 17.000. E i risultati sono davvero, davvero ottimi. Vengono pro-
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4. Robbie Barrat e Ronan Barrot lavorano insieme al progetto Infinite Skulls.
borazione tra i due artisti ha portato gli stessi Barrat e Barrot, e noi insieme a loro, ad approfondite riflessioni sull’interazione tra l’opera d’arte classica e l’opera generata con Intelligenza Artificiale. Riprendendo il lavoro di “correzione dei dipinti” di Ronan Barrot per Infinite Skulls, Robbie Barrat ha addestrato una rete neurale a fare una cosa simile. Nella serie Corrections, l’IA lavora per ricostruire le parti oscurate di ritratti nudi fino a quando emerge una nuova immagine. Il giovane Robbie Barrat è un artista che sta esplorando con creatività e originalità il mondo dell’IA e il suo potenziale sviluppo artistico, e in questa sua sperimentazione è stata inclusa anche la moda. Barrat ha usato le immagini di sfilate, cataloghi e campagne di Balenciaga8 per addestrare una rete Pix2PixHD per ricostruire gli abiti Balenciaga dalle sagome di DensePose9. Il risultato finale è costituito da outfit nuovi ispirati agli ultimi anni di Balenciaga, gli anni che lo hanno visto affiancato dallo stilista Demna Gvasalia. La rete non ha la capacità di contestualizzare tutti gli oggetti indossati dai modelli e dalle modelle: per esempio non riesce a individuare la borsa come accessorio separato dal 292
5. Robbie Barrat, Neural Network Balenciaga, 2020. Courtesy Robbie Barrat.
www.vogue.com/fashion-shows/fall-2020menswear/acne-studios Acne Studios & Robbie Barrat: l’articolo su Vogue.
pantalone, quindi, genera un insieme che ne ignora la specifica funzione. Recentemente Barrat ha collaborato con Acne Studios10 per le sue collezioni AI20, realizzando progetti che usano l’Intelligenza Artificiale e l’apprendimento automatico. 293
Mauro Martino Dalla scultura alla Visual Poetry
www.mamartino.com/index. html Sito ufficiale di Mauro Martino.
Mauro Martino alla presentazione di Forma Fluens all’Ars Electronica Center, Linz, Austria, maggio 2019. Photo Florian Voggeneder.
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Tra gli artisti italiani che applicano le tecnologie d’avanguardia alla realizzazione delle loro opere, una figura di spicco è Mauro Martino1. È stato Assistant Research Professor presso la Northeastern University di Boston, ricercatore all’Institute for Quantitative Social Science ad Harvard e al Senseable City Lab del Mit con Carlo Ratti, ed è il fondatore e direttore del Visual Artificial Intelligence Lab presso IBM Research con sede a Cambridge, MA. Utilizzando l’Intelligenza Artificiale, tra Big Data e innovazione, e integrando la ricerca della bellezza con il valore della conoscenza, per realizzare le proprie opere Mauro Martino ha sperimentato nuovi modi per esplorare il mondo dell’arte. Pioniere nell’uso dell’IA e delle reti neurali artificiali per la creazione di opere scultoree, ha realizzato il suo David. Recentemente ha ultimato Strolling Cities, un’opera visuale che è ora esposta alla XVII Biennale Architettura di Venezia 2021. I progetti e i video che ha ideato e sviluppato sono visualizzati da milioni di utenti ogni anno e sono stati presentati a festival internazionali tra cui Ars Electronica, TEDx Cambridge THRIVE, RIXC Art Science Festival, TEDx Riga. 295
Nel 2017 con il progetto Network Earth ha ottenuto il premio Best Scientific Video al Vizzies Visualization Challenge della National Science Foundation, e nel 2019 il progetto AI Portraits gli è valso il Webby People’s Voice Award per la categoria NetArt.
1. Mauro Martino, David, 2018, generato da una pix2pix GAN modificata, Vox2Vox, in grado di convertire tra loro diverse rappresentazioni 3D di un oggetto 3D. Courtesy Mauro Martino.
Oltre a essere un pioniere nell’uso della IA nel mondo dell’arte, Mauro Martino è un designer pluripremiato, e recentemente è stato membro di giuria del contest Re:Humanism Art Prize al Maxxi di Roma. Opere e progetti Artista e scienziato, con le sue opere Mauro Martino ci accompagna a scoprire un mondo in cui IA, Big Data e sperimentazione scientifica si fondono in una nuova estetica di suggestiva bellezza: è una «poesia visuale», come lui stesso la definisce in Strolling Cities, poesia che ritroviamo come fil rouge in tutta la sua produzione. Nel 2017 Mauro Martino2 inizia a lavorare per il David3, una scultura realizzata con l’uso dell’Intelligenza Artificiale in dimensione 3D che nella sua essenzialità presenta un affascinante equilibrio tra la sperimentazione tecnologica e i canoni armonici della bellezza classica. Qui introduciamo una GAN pix2pix modificata, che chiamiamo Vox2Vox, che è in grado di convertire tra loro diverse rappresentazioni 3D di un oggetto 3D. In particolare, insegniamo a Vox2Vox a costruire una rete 3D come un modo astratto per rappresentare una scultura, una costruzione che chiamiamo Vox2Net. L’input di Vox2Net è una nuvola di punti della scultura 3D e il suo output sono nodi sferici e collegamenti tubolari che insieme imitano la forma astratta della scultura originale. Vox2Vox consente all’utente di convertire forme 3D in qualsiasi rappresentazione astratta della forma, nonché stili diversi utilizzando i dati di allenamento appropriati4.
Quest’opera ci rimanda all’essenza del David di Michelangelo: è una scultura rispettosamente costituita dai suoi “punti” cardine, gli elementi essenziali di una struttura simbolo di perfezione, e alla 296
cui origine non troviamo la mano di uno scultore ma l’Intelligenza Artificiale che diventa così lo scalpello di un’innovativa opera d’arte.
/www.youtube.com/ watch?v=VbKZTEqlzAc Mauro Martino, David, 2018, The first art sculpture made with a generative adversarial network (GAN).
www.youtube.com/ watch?v=GW4s58u8PZo&t=81s A network of science: 150 years of Nature papers.
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Partendo dai Big Data, nel 2019 Mauro Martino ha realizzato il video A network of science: 150 years of Nature papers5: A snapshot of the ever growing web, un progetto di grande rilevanza tecnologico-scientifica per celebrare i centocinquant’anni della rivista Nature, in cui ci mostra quanto la scienza sia una enorme e affascinante rete interconnessa, e scrive: Questa rete mi ha ricordato l’espressionismo astratto di Pollock, la varietà dei colori e la loro distribuzione ci racconta la vivacità della scienza, sempre più multidisciplinare. È anche un invito a superare le barriere che a volte esistono nella ricerca, solo così la conoscenza avanza.
In questo video, ogni pubblicazione è rappresentata da una singola sfera. Tutti gli articoli, i papers editi dalla rivista Nature, sono raggruppati in campi e cluster contraddistinti da colori diversi, a ogni colore è associato un campo di studio, per esempio il verde alla fisica, il giallo alle scienze della terra e dello spazio e così via. Nella rete due sfere, ovvero due articoli vengono collegati quando un terzo articolo li cita entrambi, e la diversa dimensione di ogni sfera rappresenta il numero di collegamenti di co-citazione. 297
È un’opera che stupisce per la complessità della sua costruzione e per la semplicità della consultazione6: una user experience nel museo della pubblicazione scientifica. Nel 2019 Mauro Martino con Luca Stornaiuolo, ricercatore presso il Politecnico di Milano, ha realizzato AI Portraits, ritratti generati dall’Intelligenza Artificiale, ottenendo un enorme successo con ben otto milioni di ritratti eseguiti al giorno. L’applicazione AI Portraits Ars permette di trasformare la fotografia di una persona in un ritratto rinascimentale. 298
2. Mauro Martino, A network of science: 150 years of Nature papers: A snapshot of the ever growing web, 2019. Courtesy Mauro Martino.
3. Mauro Martino, AI Portraits Pro, 2019. Courtesy Mauro Martino.
Per questa applicazione è stato addestrato un algoritmo (GAN) su un dataset costituito da 45.000 ritratti prevalentemente di stile rinascimentale. L’ultimo lavoro di Mauro Martino è Strolling Cities – Visual Poetry generated by Artificial Intelligence7 esposto alla XVII Biennale d’Architettura a Venezia.
strollingcities.com/index. html#VoicetoCity Mauro Martino, Strolling Cities.
Strolling Cities ci mostra un modo nuovo di vedere dieci città italiane: Milano, Como, Bergamo, Venezia, Genova, Roma, 299
si inseriscono perfettamente in questo percorso di riscoperta, una Visual Poetry ricca di associazioni visive ed emozionali. Quando arrivi alla fine del video ti sembra di aver vissuto un sogno, di aver camminato fluttuando tra strade e parole. Il video si conclude con una citazione: Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Italo Calvino, Le città invisibili, 1972
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Catania, Palermo, Bologna e Firenze. Il video è stato realizzato impiegando milioni di foto scattate durante i recenti lockdown 2020/2021. L’IA addestrata su queste immagini crea un video in continuo movimento, i cui contorni indefiniti suggeriscono una potenziale trasformazione di luoghi urbani, un tempo ascritti a specifiche funzioni sociali, in spazi aperti a disposizione di innumerevoli (ri)scritture. Ritornate all’immanenza della loro materialità, le città abbandonano i loro contenuti semantici stereotipati, per abbracciare una nuova dimensione di estrema elusività.
Ci ritroviamo a osservare e visitare le nostre città italiane in una dimensione nuova e al contempo estremamente intima. Le città, i suoi muri, le strade e gli edifici non perdono la loro specificità ma vengono reinterpretati in una dimensione onirica. Le parole
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4. Mauro Martino e Politecnico di Milano, Strolling Cities – Visual Poetry generated by Artificial Intelligence, 2020-2021. Courtesy Mauro Martino.
Le valenze artistiche e scientifiche si fondono costantemente nelle opere di Mauro Martino oggi ben note a livello internazionale, ma nel corso di una lunga conversazione che ha preceduto l’intervista, Mauro mi ha generosamente aperto la porta del suo mondo, un mondo non più di valenze bensì di valori che determinano la statura di un uomo. Tra importanti ricerche, complessi progetti, nuove sperimentazioni con l’applicazione dell’IA e creatività, Mauro Martino è un uomo che vive con consapevolezza la realtà della nostra era tecnologica e che con lucidità la giudica, ora avvicinandosi con lo spirito indagatore dell’artista, ora allontanandosene con il profondo senso critico dello studioso, dell’uomo di pensiero. È un uomo dall’animo “romantico” nell’accezione letteraria del termine: ai miei occhi, infatti, la sua narrazione non è lontana da quell’epos cavalleresco in cui l’ideale della libertà individuale e del genio si fonde con il carattere fantastico della creazione artistica e lo stupore per la natura. L’intervista che ha rilasciato è uno sguardo sulla sua produzione artistica e un’importante riflessione su temi di grande attualità. R. P.: Tra ricerca, sperimentazione, arte, insegnamento e partecipazione a importanti mostre internazionali sia come artista sia come giudice per la selezione di opere realizzate con le nuove tec-
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nologie. Stai esplorando il mondo dell’Intelligenza Artificiale applicata all’arte a 360°. Quale prevedi sia il futuro prossimo dell’Intelligenza Artificiale nella creazione di opere d’arte? M. M.: Viviamo in un mondo complicato, e abbiamo conoscenze limitate per poterlo comprendere. Abbiamo bisogno di sperare in un futuro migliore. Esigenza che cresce con l’aggravarsi della crisi climatica, l’aumento dell’inquinamento, e la distruzione della biodiversità. In questo contesto è molto facile credere che presto andremo a colonizzare Marte, che siamo vicini a sconfiggere tutte le malattie, che l’Intelligenza Artificiale esiste, o sta per essere creata. Queste grandi promesse della scienza sono dei simulacri, speranze lontane dalla realtà effettiva. L’Intelligenza Artificiale intesa come simile a quella umana, non esiste e non credo esisterà mai. Quello che vedremo in futuro saranno modelli matematici sempre più capaci di convincerci che l’Intelligenza Artificiale esiste. Pupazzi sempre più convincenti. A un certo punto la simulazione dell’intelligenza sarà cosi efficace che ci dimenticheremo della differenza tra vero e falso, tra autentico e rappresentato. Credo che l’artista oggi possa giocare su due fronti: alimentare la fede verso tecnologie sempre più potenti e capaci di risolvere ogni problema; oppure scuotere gli abitanti della terra, farli sentire soli e abbandonati a un destino incerto. Un’immagine di riferimento se si sceglie il secondo percorso è Earthrise, una fotografia della terra e di parte della superficie lunare. Venne scattata il 24 dicembre 1968 da William Anders, che era in orbita lunare durante la missione Apollo 8. Galen Rowell l’ha definita «la più influente fotografia ambientale mai scattata». Earthrise è un’immagine super tecnologica, scattata grazie al programma Apollo. Le immagini che gli artisti AI generano sono altrettanto supertecnologiche. Spero abbiano lo stesso fortunato destino di Earthrise, e ci spingano ad avere più cura del nostro pianeta e delle altre specie viventi che lo abitano con noi. R. P.: L’Intelligenza Artificiale per creare un’opera d’arte: un nuovo strumento o una nuova fonte di creatività? 302
5. Earthrise, Apollo 8, la prima missione con equipaggio sulla luna che entrò nell’orbita lunare la vigilia di Natale, il 24 dicembre 1968. Quella sera, gli astronauti, il comandante Frank Borman, il pilota del modulo di comando Jim Lovell e il pilota del modulo lunare William Anders, tennero un live trasmesso dall’orbita lunare, in cui mostravano immagini della Terra e della luna viste dalla loro navicella spaziale. Queste le parole di Lovell: «La vasta solitudine è impressionante e ti fa capire cosa hai laggiù sulla Terra». Courtesy NASA.
M. M.: Tutto quello che oggi è AI avanzata, domani sarà un nuovo filtro in Photoshop. Nel senso che sarà disponibile a tutti e nuove frontiere della “vera” AI nasceranno. Oggi spesso facciamo riferimento alle reti neurali artificiali profonde quando parliamo di AI. L’aspetto indeterministico di queste complesse architetture le rende imprevedibili e quindi fonte di ispirazione. Non penso ci troviamo di fronte a un semplice mezzo espressivo come il pennello, lo scalpello, la macchina fotografica, la cinepresa. I modelli generativi sono indomabili, hanno una loro estetica a cui dobbiamo adeguarci, e con grande difficoltà stiamo imparando come addolcirli e fargli fare più o meno quello che vogliamo. Se si passano 10 anni ad addestrare modelli si può capire quanto sia inappropriato il raffronto con i mezzi espressivi utilizzati fino a oggi. La cinepresa ha un suo linguaggio espressivo, ma è un oggetto statico che maneggio e guido. L’AI non è un oggetto, è un flusso costante di nuovi modelli matematici. Più in dettaglio l’AI generativa va addestrata a rappresentare qualcosa, e una volta arrivati al latent space di questo modello non si sa più come muo303
versi, dove andare, cosa si nasconde all’orizzonte. Non si sa neppure quanti orizzonti esistono perché nel latent space ci possono essere migliaia di dimensioni. Per concludere, penso che l’AI sia uno strumento espressivo fatto di incertezza e indeterminazione. R. P.: Come è nata l’idea di creare David, una scultura realizzata con l’Intelligenza Artificiale? M. M.: David è il mio primo progetto AI a uscire completamente dagli schemi. Nato nel 2017, e presentato al pubblico nel 2018 durante la conferenza NeurIPS a Montréal. È difficile parlare di questo progetto perché non è finito, sto cercando tempo ed energie per chiudere questa fase lunghissima di gestazione e iniziare una produzione di AI Sculture. Il via a questa nuova fase arriva dalla richiesta di IBM di creare una scultura all’interno del laboratorio MIT-IBM Watson AI Lab. Una scultura di oltre 2 m di diametro, tutta in alluminio, la prima nel suo genere. Sto lavorando a questo progetto da diversi mesi ed è quasi pronto. A partire da ottobre sarà visibile a tutti. L’idea di creare sculture con le ultime tecnologie di AI non è originale oggi. Pensiamo ai lavori di Meredith Thomas and Christian Mio Loclair, vincitori del Lumen Prize 2020, Egor Kraft, Ben Snell, e gli ultimissimi lavori di Sofia Crespo esposti al Maxxi di Roma. Negli ultimi 3 anni c’è stato tantissimo fermento, e i tentativi di mostrare forme nuove sono stati più o meno soddisfatti. La collezione di sculture presentata a NeurIPS 2018 rimane unica per l’estetica scheletrica, i richiami alle opere di Giacometti, l’aspetto di deprivazione a cui sono arrivati. Il network come strumento di comprensione di fenomeni complessi, ma anche come ultima struttura visibile prima del collasso. Network come scheletro della sfera concettuale, culturale, esistenziale dell’uomo. Penso che il progetto sia bello di per sé, e la sovrastruttura di come è stato fatto non sia necessaria per capire il progetto, ma indubbiamente gli dà un tono di modernità e di avanguardia. R. P.: Stai partecipando alla XVII Biennale Architettura di Venezia con Strolling Cities – un’opera di grande impatto emotivo – tra parole e immagini. Ce la puoi raccontare? 304
player.vimeo.com/ video/553613282. Strolling Cities.
M. M.: Penso ci sia della nostalgia dietro questo progetto, nel mio animo l’Italia è la grande assente durante tutta la pandemia. Da qui il desiderio di trasferirla nello spazio multidimensionale di un modello neuronale. Il latent space di Strolling Cities è diventato un’enciclopedia dei miei luoghi di origine. La somma di tutte le enciclopedie possibili delle città italiane, con immagini contrastanti che rappresentano ed esprimono diversi sentimenti. Vivendo a Cambridge, il valore dei miei ricordi di Milano, di Roma, di Venezia, di Cosenza è cresciuto mese dopo mese, nell’isolamento sociale che il Covid-19 ha imposto. Nel Maggio del 2020 ho così deciso che la bellezza e il sentimento, i contenuti sociali, etici, storici e psicologici dei miei ricordi dell’Italia potevano diventare un progetto artistico con cui consolarmi. Dalla nostalgia esce sempre qualcosa di buono. L’idea di generare spazzi urbani capaci di suscitare un’emozione nasce nel 2011, lavorando al progetto del MIT Place Pulse (tool creato per mappare le percezioni delle persone degli ambienti urbani) con il mio amico César Hidalgo. In quel periodo non avevamo immagini di città ad alta risoluzione e potevamo classificare le immagini solo manualmente. Ho dovuto attendere 10 anni per poter utilizzare solamente modelli non supervisionati e automatizzare completamente il processo e creare un zero-shot framework basato sul modello CLIP per generare un’immagine corrispondente a una data didascalia. Didascalie che possono essere anche molto vaghe ed emozionali come i testi di una poesia Sapete qual è la domanda più importante quando si lavora con modelli generativi? Cosa insegno al modello? Che parte del mondo gli faccio riconoscere? L’AI ha bisogno innanzi tutto di imparare guardando la realtà e poi è capace di rigenerare il reale dopo averlo trasfigurato nell’immaginario. Navigo nei latent space da ormai 6 anni, sin dai tempi del DCGAN. Questa estetica del divenire – esempio di un random walk nel latent space di Firenze: https://player.vimeo.com/video/553613282 – non mi ha ancora stancato, la trovo incredibilmente surreale, a volte psichedelica. Ormai abbiamo visto modelli allenati con qualsiasi tipo di immagine: tulipani, coleotteri, funghi, diamanti, ferrai, New York, la luna, tutto. Queste animazioni create da un random 305
walk in the latent space hanno sempre una cosa in comune: sono collezioni più o meno curate di immagini provenienti da Internet, o da vari archivi, o da sequenze di frame di film. Per utilizzare una metafora molto abusata, è come se avessi una macchina fotografica e decidessi di fotografare solo quello che è già stato fotografato. Non c’è coscienza della complessità del linguaggio filmico, non c’è autorialità nella composizione. Quello che vedi di una New York ricostruita da un modello generativo è quello che vedono i turisti se utilizzi le immagini di Flickr. La telecamera salta da un’inquadratura all’altra, le prospettive cambiano continuamente, perché il tuo dataset è incredibilmente variegato. Ancora meno originali sono i risultati dei modelli che utilizzano frame di film di grandi registi, dove si finisce per restituire un distillato “AI” della grande poesia visiva della pellicola di Ingmar Bergman, o di Ridley Scott. La mia decisione di ricostruire le città italiane partendo da una collezione fatta in house nasce dal desiderio di costruire un linguaggio visivo, di avere più controllo sui modelli generativi. Non mi ero mai cimentato prima in questa impresa titanica. Nei miei precedenti progetti ho sempre dedicato tutte le mie forze all’architettura del modello e all’esperienza dell’utente. Facevo finta di non vedere il dataset, probabilmente ne avevo paura. Ho trovato dei partner straordinari al dipartimento di Architettura del Politecnico di Milano: Ingrid Paoletti, Luca Stornaiuolo, Maria Anishchenko, Seyma Adali, Dalila Colucci e tanti altri; la partnership con la startup MindEarth che ha fornito tutta la tecnologia per la mappatura della città tramite fotografie. Abbiamo istruito gli studenti su come utilizzare le apparecchiature, che inquadrature fare ed esattamente che percorso fare e in quali condizioni di tempo e di luce. Senza la collaborazione con gli architetti e gli urbanisti del Politecnico non potreste vedere le città italiane per quello che sono, con un mix di periferia e di centro molto calibrato. C’è autenticità, in Strolling Cities: potete vedere Roma per come la vive un romano. Accade qualcosa di magico, spariscono i Landmark ma le città sono ancora riconoscibili.
grandi Maestri in passato hanno copiato o si sono ispirati a opere di altri artisti per creare a loro volta delle opere d’arte. Oggi può un artista prendere in “prestito” un algoritmo creato da qualcun altro rimanendo autentico? Quanto incide l’originalità di un artista nella scelta dell’algoritmo: siamo forse arrivati a un livello tale di produzione di modelli di algoritmi in cui anche individuare quello giusto per rappresentare il proprio linguaggio estetico è una scelta? M. M.: Nel mondo dell’arte digitale il copia e incolla è l’incubo di ogni curatore. Come distinguere una persona che copia da un artista dotato di un suo linguaggio? Non credo ci sia soluzione, avere l’idea originale, il codice originale, l’estetica originale in un mondo effimero come l’arte digitale è quasi un ossimoro. La grande conquista dell’arte digitale è l’aver reso artisti tutti. È un processo di democratizzazione iniziato con la fotocamera e che sta andando avanti, demolendo i confini tra artista e uomo di strada. Ora sembrano apparire nuove barriere, quelle della programmazione, la necessità di riuscire a leggere Python e a clonare un GitHub repository. Ma queste nuove barriere per l’arte AI sono effimere e prestissimo crolleranno. Usciranno tool che renderanno disponibile a tutti gli algoritmi più trendy.
R. P.: La paternità dell’algoritmo usato per creare opere d’arte con Intelligenza Artificiale è un tema oggi molto discusso. Molti
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R. P.: Quali sono i tuoi progetti futuri? M. M.: In questo momento sto facendo tanti esperimenti con VQGAN e CLIP, penso che la dimensione semantica nella creazione di opere digitali sarà sempre più importante. Creare immagini attraverso i testi è molto facile oggi, sono immagini acide e surreali, capaci di far sognare lo stesso Salvador Dalí. Ho lavorato con questa tecnologia con Strolling Cities, ma con l’intento di non far vedere l’estetica dell’Artificial Intelligence, di rendere tutte le immagini super realistiche. Ora sto lavorando con l’intenzione opposta: lasciare che l’algoritmo esprima la sua estetica. In realtà, non so se c’è un’estetica dei modelli che stiamo creando, ma so che c’è il mio desiderio di scoprire questo lato nascosto, la parte visuale nel campo della ricerca sull’AI.
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Jake Elwes «As an artist, I can take a critical step back and create something that’s not functional – hacking the technology and finding poetry in what it wasn’t intended to do.»
www.jakeelwes.com/index.html Sito ufficiale di Jake Elwes.
Jake Elwes
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Jake Elwes1 è un media artist che vive e lavora a Londra. Classe 1993, ha studiato alla prestigiosa Slade School of Fine Art, UCL. Con le sue opere questo giovane e talentuoso artista parte da una concettualizzazione critica delle nuove tecnologie, che non esita a definire «deep fake technology», per esplorare una nuova narrativa e una nuova estetica tra arte, Intelligenza Artificiale, poesia e riflessioni etiche. Recentemente ha concentrato la propria ricerca sull’apprendimento automatico e sull’Intelligenza Artificiale indagandone le implicazioni filosofiche, sociali e politiche. Il lavoro di Jake è stato esposto in musei e gallerie internazionali, tra cui ZKM, Karlsruhe; Museo SERBATOIO, Shanghai; Today Art Museum, Pechino; CyFest, Venezia; Edimburgh Futures Institute, Edimburgo; Collezione Zabludowicz, Londra; Frankfurter Kunstverein, Germania; Nuovi contemporanei 2017, Regno Unito; Ars Electronica 2017, Austria; Victoria and Albert Museum, Londra; LABoral Centro, Spagna; Natura Morte, Delhi, India; Galleria RMIT, Australia; Centre for the Future of Intelligence, UK. È stato presentato anche in programmi televisivi su ZDF e BBC.
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il sacro e il tecnologico in una narrativa che ci mostra ciò che l’IA non può fare: astrarre il sacro.
Opere e progetti Uno dei primi lavori di Jake Elwes in cui utilizza l’IA è Auto Encoded Buddha: una statua di Buddha osserva il computer che cerca di disegnarne l’immagine. Un modello di Intelligenza Artificiale è stato addestrato su 5000 immagini di Buddha, ma sebbene la macchina sia in grado di generare una sua rappresentazione non arriva alla sua essenza. Questo lavoro è un tributo a TV Buddha (1974) di Nam June Paik, in cui un piccolo Buddha osservava la propria immagine su uno schermo televisivo. La Tv ora è sostituita dall’Intelligenza Artificiale per attualizzare il tema del dialogo tra
vimeo.com/206500912 Jake Elwes, Closed Loop (extract).
vimeo.com/563521786 Jake Elwes, Latent Space 2021.
1. Jake Elwes, Auto Encoded Buddha, 2016, supporti misti (monitor, computer con software IA personalizzato, Buddha), in collaborazione con Roland Arnoldt. Courtesy Jake Elwes. vimeo.com/388245510 Jake Elwes, Zizi, Queering the Dataset.
2. Jake Elwes, Zizi – Queering the Dataset, 2019. Courtesy Jake Elwes.
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La comunicazione è il tema di Closed Loop2: è la registrazione di due modelli di Intelligenza Artificiale che dialogano tra loro, uno con le parole l’altro con le immagini, in un ciclo di feedback senza fine. Qui la comunicazione ha successo: le parole dell’uno descrivono le immagini dell’altro, le due reti neurali conversano creando un gioco e un dialogo infinito. La ricerca di Jake Elwes verso una nuova narrativa ed estetica prosegue nel 2017 con Latent Space3, un video digitale o meglio un video snapshot che produce continuamente nuove immagini. La rete neurale può essere decodificata per creare immagini da questi input – come generalmente avviene – ma qui gli viene data l’opportunità di un nuovo percorso visivo, fluttuante, sospeso in quello spazio latente che non mira alla rappresentazione o interpretazione delle immagini apprese. Gli ultimi lavori di Jake Elwes costituiscono il Zizi Project: un’esplorazione divertente quanto impegnata dei pregiudizi sociali attraverso l’Intelligenza Artificiale. Zizi – Queering the Dataset4 realizzato nel 2019, è un multi-channel digital video di centotrentacinque minuti che ci porta a riflettere sulla mancanza di rappresentazione della diversità nei training datasets largamente impiegati nei sistemi di riconosci-
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un neural network, nel ruolo di Annie, e Me, oggi la più famosa cabaret drag queen di Londra, nel ruolo di Frank. Questa entusiasmante quanto sorprendente Performance Drag è un’opera d’arte che mira a utilizzare il cabaret e il musical per sfidare le narrazioni che circondano l’IA e la nostra società. Siamo di fronte alla prima drag queen deepfake al mondo e non manca quella pungente ironia che porta alla riflessione: la performance ruota sulle note di Anything You Can Do (I Can Do Better) un grande classico oggi più che mai attuale.
mento facciale. Jake Elwes ha aggiunto al dataset i volti di drag queen e gender fluid trovati online. Il lavoro nasce con lo scopo di celebrare la differenza e l’ambiguità e ci invita a riflettere su quei pregiudizi della nostra società che riscontriamo in un sistema di categorizzazione, di dati, di archivi. Nel 2020 Jake Elwes prosegue il suo Zizi project creando Zizi & Me5 un video multimediale in cui assistiamo alla performance di una drag queen “Zizi”, un clone deep fake (IA) creato addestrando 312
3. Jake Elwes, Me & the Drag Queen, Zizi & Me, 2020. Courtesy Jake Elwes.
rb.gy/j5nv6z Zizi & Me, A.I. + drag.
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Refik Anadol La percezione e l’esperienza del tempo e dello spazio
refikanadol.com Sito ufficiale di Refik Anadol.
Refik Anadol
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Refik Anadol1 nasce nel 1985 a Istanbul, Turchia. Trasferitosi a Los Angeles, consegue il Master of Fine Arts all’UCLA dove è docente presso il Dipartimento di Design Media Arts. E a Los Angeles ha fondato il Refik Anadol Studio. È un media artist, regista e pioniere nell’estetica dell’Intelligenza Artificiale, ed è il primo AI artist che ha utilizzato l’Intelligenza Artificiale in un’opera d’arte pubblica immersiva. Proponendo un modello di “architettura post-digitale”, Anadol invita il pubblico a immaginare realtà alternative ridefinendo le funzionalità degli elementi architettonici sia interni che esterni. I progetti di Refik Anadol hanno ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui il Lorenzo il Magnifico Lifetime Achievement Award for New Media Art, Microsoft Research’s Best Vision Award, Lumen Prize Award, iF Gold Award, D&AD Pencil Award, German Design Award, UCLA Art+Architecture Moss Award, Breakthrough in Storytelling Award della Columbia University, University of California Institute for Research in the Arts Award, SEGD Global Design Award e Artists and Machine Intelligence Artist Residency Award di Google. 315
Le performance audio/visive site-specific di Anadol sono state presentate in luoghi iconici, musei e festival in tutto il mondo, quali la 17a Mostra Internazionale di Architettura – Biennale di Venezia, la National Gallery of Victoria, la Walt Disney Concert Hall, l’Hammer Museum, il Dongdaemun Design Plaza, l’Artechouse, il Centre Pompidou, il Portland Building, il Daejeon Museum of Art, la Florence Biennale, l’OFFF Festival, l’International Digital Arts Biennial Montreal, l’Ars Electronica Festival, l’Usine | Genève, l’Arc De Triomf, l’Istanbul Design Biennial, il Sydney City Art. Anadol ha collaborato con i team di Microsoft, Google, Nvidia, Intel, IBM, Panasonic, JPL/NASA, Siemens, Epson, MIT, Harvard, UCLA, Stanford University e UCSF per applicare le ultime scoperte scientifiche, ricerche e tecnologie all’avanguardia al suo corpo di lavoro. Opere e progetti Il lavoro di Anadol affronta le sfide e le possibilità che l’onnipresente computer ha imposto all’umanità e cosa significa essere un essere umano nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Esplora come la percezione e l’esperienza del tempo e dello spazio stanno cambiando radicalmente ora che le macchine dominano la nostra vita quotidiana.
Attraverso la sua produzione artistica, Refik Anadol ci mostra incredibili realtà alternative, opere, performance audio/visive e installazioni immersive che assumono varie forme virtuali e fisiche: Interi edifici prendono vita, pavimenti, pareti e soffitti scompaiono nell’infinito, un’estetica mozzafiato prende forma da ampie strisce di dati e ciò che una volta era invisibile all’occhio umano diventa visibile, offrendo al pubblico una nuova prospettiva e narrativa dei loro mondi.
Tra Intelligenza Artificiale, multimedia e innovazione, il fil rouge dei lavori di Anadol sono i dati: per Quantum Memories sono state utilizzate duecento milioni di foto della Terra e dei suoi paesaggi, oceani e atmosfera per visualizzare una realtà alternativa della natura; per Sense of Space, alla 17a Mostra Internazionale di Archi316
1. Refik Anadol, Machine Memoirs: Space, solo exhibition, Pilevneli Gallery, marzo-aprile 2021, Istanbul.
vimeo.com/562655604 Refik Anadol, Machine Memoirs: Space Exhibition.
tettura alla Biennale di Venezia, sono stati utilizzati circa settanta terabyte di dati MRI multimodali; i dati fotografici d’archivio del nostro universo della NASA/JPL sono alla base di Machine Memoirs: Space 2, la mostra più visitata di sempre a Istanbul. E ancora: per Machine Hallucination ha usato ben centotredici milioni di immagini pubblicamente disponibili di New York City per immaginare il prossimo futuro di una città leggendaria. Per WDCH Dreams sono stati impiegati i cento anni degli archivi digitali della Los Angeles Philharmonic per ispirare le immagini proiettate sull’iconico edificio di Frank Gehry. Con il progetto WDCH Dreams la Los Angeles Philharmonic ha commissionato a Refik Anadol un lavoro volto a esplorare i cento anni di storia dell’orchestra per celebrare il loro centenario. Anadol ha utilizzato una “mente” creativa e computerizzata per imitare il modo in cui gli umani sognano elaborando i ricordi per formare una nuova combinazione di immagini e idee. Per raggiungere questo obiettivo, Anadol ha lavorato con il programma Artists and Machine Intelligence di Google Arts & Culture e con il ricercatore Parag K. Mital per applicare l’Intelligenza Artificiale 317
Composto da dipinti di dati, sculture di dati aumentati e proiezioni di luce, il progetto nel suo insieme presenta nuovi progressi tecnologici che consentono ai visitatori di sperimentare interpretazioni estetiche dei movimenti motori all’interno di un cervello umano. Ogni opera nasce dagli straordinari esperimenti dell’artista con gli strumenti tecnologici avanzati forniti dal Neuroscape Laboratory dell’Università della California, a San Francisco.
2. Refik Anadol, Walt Disney Concert Hall – WDCH Dreams, Walt Disney Concert Hall, Ira Gershwin Gallery, 2018.
agli archivi digitali dell’orchestra – quasi quarantacinque terabyte di dati – 587.763 file di immagini, 1.880 file video, 1.483 metadati file e 17.773 file audio: l’equivalente di 40.000 ore di audio da 16.471 spettacoli. La rielaborazione di questo incredibile patrimonio di dati è diventata una serie di “sculture di dati”. Il lavoro finale è stato proiettato direttamente sull’esterno della Walt Disney Concert Hall per una settimana: dal 28 settembre al 6 ottobre 2018. Questo è stato possibile grazie all’impiego di quarantadue proiettori su larga scala, con una risoluzione visiva di 50k e un suono a otto canali. Parallelamente è stata realizzata una mostra immersiva all’interno della Walt Disney Concert Hall, nella Ira Gershwin Gallery.
3. Refik Anadol, Melting Memories, Pilevneli Gallery, marzo 2018, Istanbul.
Il Neuroscape Laboratory è un centro di neuroscienze per la creazione di tecnologie e per la ricerca scientifica sulla funzione cerebrale di individui sani e con problemi di salute. Anadol raccoglie dati sui meccanismi neurali del controllo cognitivo da un EEG (elettroencefalogramma) che misura i cambiamenti nell’attività delle onde cerebrali e fornisce prove di come funziona il cervello nel tempo. Questi set di dati sono gli elementi costitutivi degli algoritmi unici di cui l’artista ha bisogno per le strutture visive multidimensionali in mostra. Melting Memories ci illustra anche alcuni punti cardine della produzione artistica di Anadol: dalla volontà di esplorare le nuove
Passiamo a Melting Memories presentato dal 7 febbraio al 17 marzo 2018 alla Galleria Pilevneli: uno straordinario lavoro sulla materialità del ricordo. Melting Memories ci porta a esplorare le possibilità rappresentative che emergono dall’intersezione tra le nuove tecnologie e l’arte contemporanea per esplorare il tema del ricordo. Anadol riprende l’affermazione «la scienza afferma significati; l’arte li esprime» del filosofo americano John Dewey, per tracciare un’interessante distinzione tra quelle che egli considera le principali modalità di comunicazione in entrambe le discipline. In Melting Memories lo spettatore si trova di fronte a opere d’arte rivelatrici e contemplative che genereranno risposte alla tesi di Dewey. 318
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tecnologie allo studio della memoria umana, dagli antichi egizi a Blade Runner 2049 coniugando diverse discipline come l’arte, le reti neurali e la neuroscienza per far emergere un’estetica, uno spazio artistico in cui non c’è conflitto tra l’IA e l’essere umano nella sua essenza, nei suoi ricordi. È del 2021 il visionario lavoro Machine Memoirs: Space3 la mostra personale più completa del Refik Anadol Studio tenutasi a Istanbul presso la Istanbul Pilevneli Gallery. Un viaggio immersivo in cui le relazioni tra dati, memoria, conoscenza e storia nelle dimensioni cosmiche, sono alla base della collaborazione con NASA JPL dal 2018. Gli elementi costitutivi principali delle opere sono le fotografie pubblicamente disponibili dello spazio scattate dai satelliti e dai veicoli spaziali dispiegati dalla NASA.
4, 5. Refik Anadol, Machine Memoirs: Space, solo exhibition, Pilevneli Gallery, marzo-aprile 2021, Istanbul.
Attraverso l’utilizzo di algoritmi di apprendimento automatico addestrati su questo enorme set di dati, abbiamo interpretato una speculazione visiva, basata sulla macchina, dei tentativi storici dell’umanità di esplorare le sue profondità, svelando le intricate connessioni tra oscurità e apertura, creando un universo di dati alternativo di forme astratte dove risme di informazioni visive producono possibilità estetiche aperte.
Gli ultimi lavori di questo visionario artista sono Sense of Space: Connectome Architecture + Molecular Architecture4, realizzati per la Biennale di Architettura 2021, Venezia. In queste opere ritroviamo tutte le tematiche care all’artista: dai Big-Data al tema della memoria, dalle nuove tecnologie al rapporto uomo-IA. Comprendere l’architettura come un organismo vivente nell’era dei big data e dei metodi analitici e computazionali avanzati richiede uno sguardo più sfumato sulle complesse relazioni tra il corpo umano e il significato mutevole della struttura.
vimeo.com/571515830 Refik Anadol Sense of Space, Molecular Architecture.
Per rispondere al tema portante della Biennale di Architettura di Venezia 2021, «Come vivremo insieme?», Anadol ci porta a 320
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riflettere sulla relazione tra forma, ossia le connessioni spaziali, e funzione, ossia le relazioni temporali, con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale, incoraggiando lo spettatore a riflettere anche sul ruolo degli strumenti avanzati di IA e della stampa 3D per ridefinire il nostro senso dello spazio. Con la collaborazione tra Taylor Kuhn, coordinatore dello Human Connectome Project (HCP) presso l’UCLA, e il suo Refik Anadol Studio, l’artista ha sviluppato una rete dinamica, un ponte tra neuroscienze e design per studiare questioni fondamentali sull’architettura del cervello umano generando un modello cerebrale 3D completamente immersivo: Sense of Space. In Molecular Architecture vediamo come la forma si collega alla funzione e come l’architettura molecolare determina la salute o la malattia.
6. Refik Anadol e Gökhan S. Hotamisligil, Sense of Space and Molecular Architecture, scultura 3D AI, proiezione, software personalizzato, materiale digitale d’archivio, stampa 3D robotica su larga scala, suono a 4 canali. Biennale di Architettura di Venezia, 2021.
A Milano, il centro internazionale di cultura digitale Meet ospita fino al 31 dicembre 2021, l’installazione site-specific Renaissance Dreams di Refik Anadol.
refikanadol.com/works/ renaissance-dreams-ai-cinema/ Refik Anadol, Renaissance Dreams.
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L’installazione multimediale immersiva presenta quattro capitoli; ciascuno incentrato su datasets di pittura, scultura, testi letterari e opere architettoniche creati tra il 1300 e il 1600. Questi datasets sono stati elaborati attraverso algoritmi (GAN) unici che sono stati specificamente sviluppati per generare una forma multidimensionale dinamica che corrisponde all’architettura e all’infrastruttura del Meet.” Refik Anadol
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Sofia Crespo The intersection of biological processes and machine learning: artificial biodiversity
www.sofiacrespo.com Sito ufficiale di Sofia Crespo.
Sofia Crespo vimeo.com/412296711 KVG Virtual Artist Studio official launch with Sofia Crespo.
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Sofia María Crespo1, 2 è una neural artist di origine argentina. Diplomatasi alla Miami Ad School nell’aprile 2015, ha poi studiato informatica applicata presso la University of Technology and Economics di Berlino dove attualmente vive. Lavorando con le reti neurali e l’apprendimento automatico, Sofia Crespo elabora opere dove è evidente il suo marcato interesse per la tecnologia ispirata alla biologia e ci offre una visione inclusiva della stessa tecnologia nel mondo della fauna e della flora: un ponte tra noi e la natura. Questa visione non manca di stupire per la suggestiva bellezza delle immagini e di farsi apprezzare per l’idea che delicatamente sottende: il tema della salvaguardia della biodiversità. Le opere di Sofia Crespo sono state esposte presso importanti mostre internazionali: dall’AI Art Exhibition curata da Luba Elliot presso The Jam Factory Oxford, UK, all’Art-AI Festival 2019 di Leicester, UK, al New Century New Materials presso l’Heritage Gallery, Whitinsville, MA, USA, e infine nel 2021 a Re: Humanism – Re:define the Boundaries al Maxxi di Roma. Ha partecipato a importanti convegni e talk quali il Women In Data Science Zurich 2019, Deep Learning for Arts, Aesthetics, and Creativity MIT-IAP 2021. 325
In questo nuovo zoo riconosciamo la matrice originaria ma la contempliamo in forme nuove, animali fantastici che si liberano in uno spazio digitale onirico. Sempre al mondo naturale è ispirato Artificial Remnants4: questo progetto nasce per rispondere alla specifica domanda dell’artista: «Come interagiamo con la ricca diversità del mondo naturale nello spazio virtuale e digitale?». Per rispondere Sofia María Crespo ha usato il machine learning per generare nuovi insetti, con tanto di nomi e descrizioni anatomiche.
Opere e progetti Sofia Crespo3 lavora con le tecnologie ispirate alla biologia indagando, come lei stessa afferma, «il modo in cui la vita organica utilizza meccanismi artificiali per simulare sé stessa ed evolversi». Sofia Crespo indaga l’intersezione tra i processi biologici e il machine learning: i suoi lavori ci portano a scoprire una biodiversità artificiale unica nel suo genere. Neural Zoo, ispirato da Parallel Botany di Leo Lionni del 1976 e da The Codex Seraphinianus di Luigi Serafini del 1981, è una serie di opere realizzate nel 2018-2019 atte a esplorare un mondo creativo inedito che coniuga elementi noti in nuove forme e dimensioni: funghi, meduse, rane, falene, fiori, scarabei, pappagalli, le immagini della natura vengono riorganizzate in nuove e affascinanti opere visuali con l’uso di reti neurali artificiali. La nostra corteccia visiva riconosce le trame, ma il cervello è contemporaneamente consapevole che quegli elementi non appartengono a nessuna disposizione della realtà a cui ha accesso. La visione artificiale e l’apprendimento automatico potrebbero offrire un ponte tra noi e una “natura” speculativa a cui è possibile accedere solo attraverso alti livelli di calcolo parallelo.
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www.youtube.com/watch?v=_ mGs3tR-3HM Artist talk with Sofia Crespo.
Artificial Remnants sono nuovi insetti digitali di nascita, creati per celebrare la diversità naturale oltre una sterile riproduzione
1. Sofia Crespo, Organic resonance, 2018, realizzata attraverso la rete neurale CNN (Convolutional Neural Network). Courtesy Sofia Crespo.
3. Sofia Crespo, Artificial Remnants, Nvidia’s GTC AI Art Gallery. Courtesy Sofia Crespo.
2. Sofia Crespo, Micro beauty, 2018-2019. Courtesy Sofia Crespo.
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virtuale e con un’interattiva modalità di fruizione e visione: sul sito online si possono selezionare gli insetti della Crespo ed esplorarne le caratteristiche come se fossimo su una pagina web interattiva del National Geographic nella sua versione artificiale.
Queste meduse sono l’esito di un progetto in collaborazione con Entangled Other per sensibilizzare e supportare la protezione del mondo oceanico.
La loro diversità e qualità decisamente digitali sono in contrasto complementare all’insuperabile creatività della selezione naturale, ma possono fungere da prisma con cui avvicinarsi a nuove prospettive e apprezzare il mondo vulnerabile e non umano che troppo spesso diamo per scontato.
Crespo ha continuato e continua a creare nuove specie artificiali, fruibili digitalmente dagli utenti, e con fini specifici: This Jellyfish does Not Exist5 sono bellissime meduse che non esistono ma che possiamo far muovere sul web passandoci sopra il mouse.
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beneaththeneuralwaves.com Sofia Crespo, Beneath the Neural Waves.
4. Sofia Crespo, This Jellyfish does Not Exist. Courtesy Sofia Crespo.
5. Sofia Crespo, Beneath the Neural Waves, 2021. Courtesy Sofia Crespo.
Dagli insetti digitali, meduse virtuali e anemoni 4.0, il passo successivo di questa straordinaria e giovane artista è stato creare un ecosistema artificiale. Nel 2021 Sofia Crespo realizza Beneath the Neural Waves6: con una 3D GAN ha voluto esplorare la biodiversità creando digitalmente un ecosistema acquatico per confrontarsi con il concetto di relazione. Beneath the Neural Waves ci porta a esplorare un frammento di barriera corallina generato da neuroni insieme ad alcuni degli esemplari che lo abitano. Possiamo muoverci virtualmente in questo ecosistema per esplorarne i dettagli.
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6, 7. Sofia Crespo, Artificial Natural History, 2020. Courtesy Sofia Crespo.
Questi superorganismi e nuove specie artificiali ci portano in dimensioni naturali parallele ma fortemente connesse con la realtà. Sono loro i protagonisti di Artificial Natural History: un libro e un progetto di stampa fine art del 2020. «Un libro di storia naturale che non è mai esistito», così Sofia Crespo descrive questo suo lavoro realizzato con l’impiego di reti neurali artificiali. Nuove specie artificiali di pesci, granchi, farfalle, 330
coralli vanno a costituire una sorta di bestiario, con un lavoro di classificazione e categorizzazione della storia del mondo naturale generato con Intelligenza Artificiale.
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Helena Sarin Playing a game of GANstruction
rb.gy/9lcbgt Helena Sarin·TEDxKonstanz “Making pictures with Artificial Intelligence”.
Helena Sarin
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Helena Sarin1 è un’artista visuale e un ingegnere del software, originaria di Mosca. Ha studiato System Analysis alla Moscow Civil Engineering University e dopo aver vissuto molti anni in Israele, si è trasferita in New Jersey, Stati Uniti. Helena Sarin ha sempre lavorato con tecnologie d’avanguardia, prima presso i Bell Labs e poi come consulente indipendente applicando il machine learning a computer vision software. Appassionata di arti applicate e fotografia, è stato quasi naturale per lei coniugare arte, fotografia computazionale, software e GAN. Oggi è riconosciuta quale una delle artiste più influenti nel mondo della AI Art come lo testimoniano varie pubblicazioni, tra cui Forbes, ArtNet News, Art in America, Interesting Engineer e BBC – FUTURE: The A-Z of how artificial intelligence is changing the world dove è menzionata alla lettera “I” di Immaginazione2! Le sue opere sono state esposte in importanti musei e mostre internazionali: Liminal Territories, Pal Project, Paris 2021, Proof of Art, Linz Austria 2021, VisionarIAs all’ETOPIA Center for Art and Technology, Zaragoza, Spain, 2021, AI Art Gallery, Nvidia GTC Conference, 2021, AI Art Gallery (Nvidia GTC Conference, 2020), CADAF Online 2020, CADAF Miami 2019, AI Art – Jam Facto333
ry Oxford 2019, Man and Machine alla Kate Vass Gallery, Zurich 2019, Future Intelligence al Tank Museum, Shanghai 2019. AI Art Dubai 2019, e NeurIPS Conference, AI Art Gallery 2018 e 2019. Con la chiusura delle istituzioni d’arte durante la pandemia da Covid-19, Helena ha continuato a produrre opere con le GAN e si è dedicata alla stesura di particolari libri d’arte come The Book of veGAN, Artists Book con Kate Ray, “#gen2GAN” con Dmitri Cherniak, e The Book of GANesis.
1. Helena Sarin, Love at the First Checkpoint, GANcollage. Courtesy Helena Sarin.
Tutte le sue opere d’arte, libri inclusi, riflettono il particolare spirito e stile di questa artista che definisce sé stessa come una “GANcomic. Erudita”. Opere e progetti Le opere d’arte di Helena Sarin sono immagini generate usando GAN (Generative Adversarial Network): la sua produzione è caratterizzata da uno stile in evoluzione negli anni che mantiene costante la sua matrice identificativa, infatti, i database di immagini usati per addestrare le sue GAN sono costituite da set di dati, disegni, schizzi e fotografie realizzati dalla stessa artista. Lavorare con le GAN è soprattutto esaltante. Con le GAN c’è l’avventura di nuovi modelli e nuovi dataset. C’è un elemento di sorpresa, a differenza di qualsiasi altro strumento digitale. C’è una certa imprevedibilità che ispira, sblocca e crea qualcosa di speciale, qualcosa che va ben oltre i filtri di Instagram o il normale trasferimento di stile.
Helena ci spiega il suo Playing a Game of GANstruction3 riprendendo la bellissima frase di Jackson Pollock: «It’s all a game of construction – some with a brush, some with a shovel, some choose a pen». Se alcuni artisti usano il pennello, lo scalpello o la penna, Helena Sarin come AI artist usa neural networks e con la sua produzione artistica ci porta a esplorare la sua singolare estetica basata su dataset personalizzati che in questo processo computazionale non perdono tracce del Cubismo sintetico non solo di Picasso e 334
Braque, dell’Astrattismo e Suprematismo di Malevi/, e ancora dell’Espressionismo tedesco e del Costruttivismo russo: un Russian GANstructivism proprio della sua tradizione natale. I suoi lavori riprendono la tradizione delle nature morte addestrando l’IA su immagini di cibo, fiori, vasi, bottiglie e altri “bricolage”, come lei stessa li definisce. Sarin rielabora anche il linguaggio visivo delle avanguardie russe con l’uso di elementi geometrici diagonali per suggerire movimento e dinamismo, accompagnato da un uso prevalente di colori primari che ritroviamo anche nei suoi ultimi lavori.
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preparazione dei set di dati utilizzati poi per addestrare una (SNGAN_projection):
GAN
Il modello viene quindi addestrato fino al collasso completo. Memorizzo e monitoro i campioni generati per timeout predefinito, interrompendo l’addestramento e diminuendo il timeout quando inizio a osservare immagini interessanti. Questo potrebbe anche rivelarsi piuttosto frustrante, poiché ho notato che la legge universale delle GAN è che il modello produce sempre le immagini più sorprendenti nelle iterazioni tra i checkpoint, qualunque sia il valore su cui è impostato l’intervallo di salvataggio – sei stato avvertito.
A questo punto Sarin seleziona alcune delle immagini che a suo avviso hanno un certo potenziale e le usa anche per creare mosaici usando script Python. Successivamente utilizza un CycleGAN per aumentare la risoluzione dell’immagine. 2. Helena Sarin, Rustic Mandala. Courtesy Helena Sarin.
3. Helena Sarin, Shelfie Series, 2018. Courtesy Helena Sarin.
Per comprendere la filosofia di Helena Sarin, riprendiamo un articolo del 2018 scritto da Jason Bailey su Artnome: «Helena Sarin: Why Bigger Is not Always Better With GANs and AI Art», che include il saggio di Sarin NeuralBricolage. […] gli artisti possono proteggersi dall’omogeneità nell’arte dell’Intelligenza Artificiale e ignorare la corsa agli armamenti computazionali e concentrarsi maggiormente sui modelli di addestramento utilizzando i propri set di dati realizzati a mano. Addestrando le GAN sulla tua opera d’arte, puoi essere certo che nessun altro produrrà esattamente gli stessi risultati. Questo approccio è quello adottato da Sarin.
In questo articolo Sarin racconta il suo lavoro per la generazione di output GAN e la post-elaborazione ponendo attenzione alla 336
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4. Helena Sarin, Candy store, 2018. Courtesy Helena Sarin.
latente dall’altro lato lavora affinché il risultato finale rifletta le caratteristiche della sua arte analogica. Recentemente Helena Sarin ha creato una serie di lavori che sono in vendita come NFTs – su Superrare.com la troviamo come @ glagolista –, opere che ci mostrano un’ultima e ulteriore evoluzione nella sua produzione artistica.
Molte delle immagini generate da SNGAN potrebbero avere uno schema sorprendente o una composizione cromatica interessante, ma mancano di contenuti sufficienti per reggersi da sole. Il passaggio finale consiste nell’utilizzare tali immagini come parte del collage. Seleziono quella che chiamo un’immagine di ancoraggio ad alta risoluzione. Ho anche sviluppato una serie di script OpenCV che generano collage basati sulla somiglianza, la dimensione e la posizione delle immagini di ancoraggio con le immagini SNGAN che creano lo sfondo. I miei esempi preferiti sono Egon Envy o Om.
Il lavoro di questa artista consiste nell’organizzare un dataset con le proprie opere e nello sperimentare e trovare il procedimento e le giuste reti neurali che si adattano alle sue esigenze. E le esigenze di Sarin sono complesse: se da un lato esplora lo spazio 338
5. Helena Sarin, Girl in the Room, trasposizione di un’opera di Matisse ad acquerello realizzata attraverso l’utilizzo di AI Garden Views Edition.
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Harshit Agrawal Il continuum della creatività uomo-macchina
harshitagrawal.com Sito ufficiale di Harshit Agrawal.
Harshit Agrawal
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Harshit Agrawal1 è un AI artist indiano e un ricercatore nel campo delle interazioni uomo-computer (HCI). Si laurea al MIT Media Lab (MS in Media, Arts and Sciences) e consegue il Bachelor of Design presso l’Indian Institute of Technology (IIT). Molte le residenze d’arte presso importanti istituzioni quali l’Art Center Nabi di Seoul, Corea, il Museu do Amanhã di Rio de Janeiro, Brasile, Kakehi-Lab di Tokyo/Yokohama, Giappone. Harshit Agrawal è stato l’unico artista indiano ad aver partecipato a una delle prime mostre d’arte d’Intelligenza Artificiale al mondo presso la galleria d’arte contemporanea Nature Morte (Gradient Descent, a cura di 64/1). I suoi lavori sono oggi esposti alla mostra permanente dell’Heinz Nixdorf Museum Forum di Paderborn, in Germania: il più grande museo di informatica del mondo. Ha esposto le sue opere in importanti mostre e musei internazionali: dalla Tate Modern di Londra all’Ars Electronica Festival in Austria; dal Museu do Amanhã in Brasile all’Asia Culture Centre in occasione della mostra Otherly Spaces/Knowledge curata da Kazunao Abe-san, Corea. E ancora: nel 2019 ha partecipato all’AI Everything Art Show a Dubai, curato da Luba Elliott, una delle più famose curatrici di AI Art, e a importanti eventi legati al 341
1. Harshit Agrawal, Latent Landscape 2, guazzo e acquerello su stampa d’archivio su carta, 2019. Courtesy Harshit Agrawal.
mondo della AI Art quale l’Open Lab organizzato da Google Arts&Culture e dal MIT Media Lab. Tra ricerca e creazione, Harshit Agrawal è oggi riconosciuto come uno dei pionieri nel campo della produzione artistica con IA2. Opere e progetti La chiave di lettura per comprendere l’arte e la filosofia di Harshit Agrawal ce la fornisce lo stesso Harshit Agrawal:
rb.gy/8j7q5e Harshit Agrawal, TEDxSurat “Making art with Artificial Intelligence –The evolution of Cyborg Artist”.
Through my practice, I explore what I call the “human-machine creativity continuum” – the melding of human and machine creative agency. I use machines and algorithms and often create them as an essential part of my art process, embracing becoming the cyborg artist. Through my work, I invite people to reflect upon and re-evaluate their ever evolving relationship with technology. I use a.i, drones, sensors, augmented reality technologies creating both extreme and alternate narratives, providing a platform for the audience to explicitly engage and converse with these, than being implicitly steered by them3.
Per creare le sue opere Harshit Agrawal usa diversi media e li mette in dialogo tra loro, similmente ci invita a scoprire e a riflettere sul nostro rapporto con le nuove tecnologie. Ne sono un esempio Emergent Patterns e Latent Landscapes, opere che riprendono i temi classici del paesaggio e delle nature morte e che, sfruttando algoritmi di Intelligenza Artificiale (GAN), Agrawal ci presenta con una nuova estetica dove anche i dettagli, come puntini simili a pixel, vengono inclusi quali elementi testimoni dell’evoluzione dinamica del lavoro. Nel processo di apprendimento non vengono comunicate alla macchina regole esplicite o specifiche sulla composizione o sul colore, in modo tale che apprenda tutto direttamente dal set di dati dei dipinti che le sono forniti. Per la serie Latent Landscapes, una volta selezionato l’output generato dalla macchina, l’artista lo stampa e dipinge direttamente su tutte le aree non “realistiche” a esclusione di quei dettagli singolari e artificiosi ma caratteristici dell’opera. 342
2. Harshit Agrawal, Latent Landscapes 3, codice AI personalizzato, file video digitale e guazzo e acquerello, 2019. Courtesy Harshit Agrawal.
Agrawal spinge oltre i confini del processo creativo sperimentando le nuove tecnologie per creare una sua teoria estetica con algoritmi basati sui dati e sulle immagini. Con la serie Masked Reality, Harshit Agrawal ha saputo coniugare la tradizione con l’IA: partendo dalla cultura delle maschere indiane ha utilizzato l’Intelligenza Artificiale per esplorare il tema 343
3. Harshit Agrawal, Masked Reality 5, stampa d’archivio e carta, 2018. Courtesy Harshit Agrawal.
dell’identità creando sia un’opera interattiva sia dipinti e sculture. Nell’opera interattiva4, il volto di uno spettatore si trasforma in tempo reale in maschere rituali delle danze tradizionali Kathakali e Theyyam tipiche del Kerala, nel sud dell’India: il pubblico può così interagire con la macchina esplorando il concetto di identità e tradizione. Anche i dipinti della serie Masked Reality sono realizzati con IA: la macchina è stata addestrata su una selezione di maschere di provenienza dall’India Centrale. Le sculture sono invece il risultato ottenuto e modellato dall’immagine 2D, stampata in seguito in 3D e dipinta.
vimeo.com/320413126 Harshit Agrawal, Masked Reality.
Con l’AI Art che sta lentamente ma costantemente guadagnando popolarità a livello internazionale, una tendenza visiva difficile da perdere è l’arte creata da essa che riflette principalmente le storie e l’estetica dell’arte europea e americana, sia perché la maggioranza degli artisti dell’Intelligenza Artificiale provengono da quella regione, sia per la migliore disponibilità di archivi d’arte digitale di quelle regioni. Significa quindi che saranno le basi dell’arte dell’Intelligenza Artificiale? Qual è il fondamento culturale di una macchina AI e come possiamo ampliarne la portata? 4. Harshit Agrawal, Masked Reality 3 Sculpture, stampato in 3D con vernice acrilica, 2019. Courtesy Harshit Agrawal.
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5. Harshit Agrawal, Machinic Situatedness 1. Courtesy Harshit Agrawal.
Non mancano nella produzione artistica di Agrawal opere atte ad aprire importanti riflessioni sull’interazione uomo-macchina. Ne è un esempio il suo lavoro (author)rise5 in cui ha coniugato la scrittura (a mano) umana con quella della macchina. Qui è la macchina che muove la nostra mano su una superficie di carta per scrivere i suoi pensieri. Harshit Agrawal ci fa riflettere sulla paternità delle nostre azioni, alla ricerca di una consapevolezza di quanto stiamo delegando alcune delle nostre azioni quotidiane alle macchine. Harshit Agrawal è un pioniere per aver impiegato e sperimentato l’IA nelle sue opere, un artista consapevole e forte della sua tradizione, che si muove verso una nuova estetica ma anche verso importanti e attuali riflessioni. Recentemente Agrawal si è affacciato nel mondo degli NFTs con grande successo e ha curato la prima NFT Art Exhibition in India: Intertwined Intelligences6 (31 luglio-20 agosto 2021), nella quale è stato presentato il lavoro di sei artisti – da Sofia Crespo a Scott Eaton – che lavorano con l’Intelligenza Artificiale.
Essendo tra i pochi artisti indiani a lavorare con l’IA, uno degli obiettivi di Harshit Agrawal è portare l’arte indiana nell’estetica dell’arte computazionale. Con questo scopo nasce Machinic Situatedness: opere create usando come data-set le forme e le figure dell’arte indiana quali i dipinti buddhisti di Thangka. Questi dipinti buddhisti, che costituiscono quindi il database per addestrare le GAN, alludono ai cicli di trascendenza che percorriamo e viviamo, cicli continui alla ricerca di un divenire migliore di noi stessi, un’evoluzione che con questo artista ora possiamo canalizzare nelle nostre vite anche attraverso l’IA. Nella sua ricerca, nella creazione di queste opere computazionali Agrawal torna alle radici della storia indiana e ci presenta una sperimentazione che parte dalle immagini della tradizione del suo paese – la sua Grande Bellezza. 346
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Tom White Come le macchine vedono il mondo: l’Astrattismo Sintetico
drib.net Sito ufficiale di Tom White.
Tom White
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Dribnet, pseudonimo di Tom White1, è un artista neozelandese, docente di progettazione computazionale e Intelligenza Artificiale creativa presso la Victoria University of Wellington School of Design. Tom White usa l’IA per indagare e sperimentare come le macchine vedono e interpretano il mondo e il suo lavoro è volto a dare “voce” ad algoritmi e a collaborare con la macchina per creare un’interpretazione visiva astratta ma riconoscibile: un’astrazione o idealizzazione di un soggetto comune che la stessa macchina è in grado di classificare e riconoscere. Dalla prima serie The Treachery of ImageNet fino all’ultima Perception Engines, Tom White ci accompagna in un mondo ideale raccontato dalle reti neurali in quello che vedremo essere un processo di “astrazione sintetica”. Infatti, se guardiamo le opere di Tom White senza sapere che sono generate da una macchina, siamo indotti a pensare che siano state realizzate da un artista di un nuovo movimento astrattista. Le immagini prodotte sono poi stampate con la raffinata tecnica Risograph o con tecnica serigrafica. White dice che progetta le sue stampe per «vedere il mondo attraverso gli occhi di una macchina» e creare «una voce con cui la macchina parli». 349
Opere e progetti Con la sua produzione artistica Tom White ci porta a scoprire un mondo tutto nuovo elaborato dall’Intelligenza Artificiale: le sue opere sono visioni essenziali quasi astratte, esprimono l’interpretazione soggettiva di una rete neurale addestrata solo su immagini e oggetti del mondo reale. Le linee, i colori, la composizione sono definite da un sistema di IA che attraverso il visuale rappresenta ed esprime un concetto. Dopo aver creato la stampa dell’immagine generata, il disegno generato dal computer, Tom White verifica che queste siano riconosciute da altri sistemi di visione di IA. My artwork investigates the Algorithmic Gaze: how machines see, know, and articulate the world. As machine perception becomes more pervasive in our daily lives, the world as seen by computers becomes our dominant reality. Collaborating with AI systems, I create physical abstract prints that are reliably classified by neural networks. It’s art by AI, for AI. By giving the algorithms a voice to speak in we are better able to see the world through the eyes of a machine2. La mia opera d’arte indaga l’Algorithmic Gaze: come le macchine vedono, conoscono e articolano il mondo. Man mano che la percezione della macchina diventa più pervasiva nella nostra vita quotidiana, il mondo visto dai computer diventa la nostra realtà dominante. Collaborando con i sistemi di Intelligenza Artificiale, creo stampe fisiche astratte classificate in modo affidabile da reti neurali. È arte di IA, per IA. Dando agli algoritmi una voce per parlare, siamo in grado di vedere meglio il mondo attraverso gli occhi di una macchina.
White inizia il suo lavoro artistico con la serie di stampe The Treachery of ImageNet il cui nome rimanda al dipinto di René Magritte La Trahison des Images3 – Ceci n’est pas une pipe. Ma White non va a rappresentare una pipa “che non è una pipa”, un oggetto identificabile o non identificabile come tale, bensì un’interpretazione visiva di un oggetto effettuata da algoritmi addestrati su ImageNet ossia su un enorme database di immagini. 350
1. Tom White, Treachery of ImageNet. Courtesy Tom White.
L’obiettivo di questa serie è di mostrarci il mondo com’è visto dalla macchina, in un certo senso è come se Tom White desse voce e strumenti alla macchina per esprimersi. Quella “voce” Tom White la chiama Perception Engines proprio per la capacità di percezione di queste reti neurali addestrate. 351
2. Tom White, Electic Fan, dalla serie Perception Engines, 2017. Courtesy Tom White.
Le immagini usate in input vengono trasformate in stampe a inchiostro su carta: immagini rappresentative astratte in grado di suscitare una forte risposta classificatoria nelle reti neurali. Queste nuove forme vengono poi reintrodotte negli stessi algoritmi per vedere se sono riconosciute. In caso contrario, l’immagine viene modificata fino a quando l’algoritmo non la riconosce. Il ruolo di White in questo processo creativo è attivo e fondamentale: è lui che imposta i parametri di partenza come il colore o lo spessore delle linee ed è sempre lui che sceglie e supervisiona il lavoro finale ricercando le immagini che lo soddisfano. Dopo questa prima serie, Tom White ha realizzato Synthetic Abstractions, una seconda serie costituita da dieci stampe RISO4 (Risograph). Lo stile è volutamente comune a tutte le stampe: 352
3. Tom White, Jellyfish, dalla serie Perception Engines, serigrafia a 2 colori su carta Colorplan bianca senza acidi, 16 × 16, 2021.
provengono dalla stessa versione del codebase con iper-parametri (hyper-parameters) quasi identici. La differenza sta quindi nel soggetto, “nell’obiettivo creativo” come spiega White, ossia nelle immagini usate del database ImageNet per addestrare l’algoritmo. In questo modo, mantenendo simile lo stile, è più evidente vedere come lavorano i Perception Engines: obbiettivi visivi diversi espressi con stile comune. La risposta immediata della macchina nel riconoscere le immagini astratte generate ha stupito lo stesso White. L’artista, e scienziato, ha ipotizzato che anche le reti neurali possano compiere una sorta di astrazione visiva che ha soprannominato “Synthetic Abstraction” (astrazione sintetica). Tom White ha realizzato l’ultima serie Perception Engines nel 2021 che è costituita da serigrafie 16 × 16.
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Sougwen Chung Esplorando i confini della collaborazione tra uomo e macchina: la creatività collaborativa con IA
sougwen.com Sito ufficiale di Sougwen 愫君 Chung.
Sougwen Chung
Sougwen 愫君 Chung1 è un artista e ricercatrice nata in Cina e cresciuta in Canada, e infine trasferitasi negli Stati Uniti dove consegue il Bachelor of Fine Arts alla Indiana University Bloomington, il Master of Arts alla Hyper Island, e nel 2015 entra al MIT Media Lab come research fellow. Nel 2016 riceve il Japan Media Art’s Excellence Award per il progetto Drawing Operations. Nel 2018, con il progetto Omnia per Omnia, entra tra i primi E.A.T. Artist in Resident al Bell Labs e al New Museum of Contemporary Art di New York. È inoltre insignita Artist in Residence presso Google, Eyebeam, Japan Media Arts, e Pier 9 Autodesk. Nel 2019 è selezionata Donna dell’Anno a Monaco per il successo nelle arti e nelle scienze e riceve il Premio Lumen per l’arte nella tecnologia. Attualmente vive e lavora tra New York, Londra e Basilea. Sougwen Chung ha costruito una serie di robot chiamati D.O.U.G. – Drawing Operations Unit Generation X – coi quali esplo-
ra l’interazione e la collaborazione tra uomo e macchina per creare opere d’arte che spaziano tra performance, installazioni, sculture e disegni, e che raccontano la poetica del segno realizzato a mano e generato con IA. 354
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Le sue opere sono state esposte in musei e gallerie di tutto il mondo: dal National Art Center di Tokyo al ArtScience Museum di Singapore, dal MIT Media Lab di Cambridge al Museum of Contemporary Art di Ginevra. Ha partecipato a conferenze internazionali quali il Global Art Forum di Singapore e il World Science Festival di New York.
1. Sougwen Chung, 2 – Drawning Operations unit generation, 2017. Courtesy Sougwen Chung. D.O.U.G.
Opere e progetti2 Fin dall’esecuzione della sua prima produzione artistica, Sougwen Chung ci porta alla scoperta del potere del segno e dell’interazione uomo/macchina attraverso una serie di creazioni astratte. Con queste ricerche sperimentali, ci illustra già la potenzialità di una collaborazione attiva con le macchine da preferirsi all’applicazione dell’IA come strumento. Crea D.O.U.G.1 – Drawing operation unit generation, il primo di una serie di unità robotiche, con il quale collabora creando opere d’arte, e scrive:
rb.gy/x6a8t6 Sougwen Chung, TED@BCG Mumbai.
La collaborazione è un esercizio di empatia comportamentale. D.O.U.G.1 è un braccio robotico addestrato per eseguire simultaneamente il disegno che Sougwen Chung sta tracciando. In pratica il braccio robotico legge il movimento della mano dell’artista intenta a disegnare per imitarlo in contemporanea. In questo spazio collaborativo artista/macchina i confini non sono definiti: in Drawning Operations il disegno è una fusione del lavoro umano e del lavoro artificiale, nella quale coabita la bellezza, la gestualità, la ricerca di una nuova estetica che lascia spazio all’imprevisto inteso come preziosa opportunità per realizzare inedite sperimentazioni estetiche.
La ricerca di questa pionieristica artista prosegue con D.O.U.G. 2, le cui reti neurali artificiali sono addestrate sui lavori – dipinti e bozzetti – di Sougwen. Il nuovo braccio robotico non emula più il movimento dell’artista nell’atto di disegnare ma genera proprie interpretazioni artistiche del suo lavoro. Il risultato finale raggiunge un livello di collaborazione estremamente interessante con un 356
2 ▷ pp. 358-359
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esito che si basa sempre sulla interazione uno a uno artista/AI in questo caso il nuovo braccio meccanico 2.0. La sperimentazione raggiunge un esito su larga scala quando Sougwen Chung crea una serie di robot di dimensioni più piccole rispetto ai precedenti. I nuovi D.O.U.G 3 si muovono sulla tela provvisti di pennelli con cui disegnano in continua connessione con la gestualità dell’artista che dipinge, rispondendo agli output generati dal sensore collocato sul pennello usato da Sougwen. Da questa interazione artista/robot nasce una serie di interessanti performance che mettono in luce l’atto creativo nato da questa condivisione gestuale. La ricerca prosegue verso una nuova direzione: Sougwen Chung insieme ai suoi robot ha attinto alle telecamere disponibili in rete per raccogliere i movimenti urbani, dai pedoni ai taxi, e con questi dati ha addestrato un algoritmo visivo usando la tecnica del “flusso ottico” per analizzare la densità collettiva, il suo movimento nelle diverse direzioni e la relativa velocità. Dall’elaborazione di queste informazioni hanno origine i disegni dei robot che interagiscono con l’artista e collaborano alla creazione di un’opera che diventa una nuova interpretazione di una pittura di paesaggio collettiva. Da questa sperimentazione multi-robot nasce Omnia per Omnia, una painting performance volta a reinventare la tradizione della pittura del paesaggio intesa come una collaborazione tra l’artista, uno “sciame robotico” e il flusso dinamico di una città. 357
2. Sougwen Chung, D.O.U.G. 3 – Drawning Operations unit generation, 2018. Courtesy Sougwen Chung.
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3, 4. Sougwen Chung, Velocity Study Omnia per Omnia, 2018. Courtesy Sougwen Chung.
5. Sougwen Chung, Into the Light, 2013. Courtesy Sougwen Chung.
Con i suoi D.O.U.G. quest’artista ha realizzato molte performance sempre diverse e innovative volte a presentare al pubblico quei robot che lei definisce “catalizzatori artistici”, attraverso i quali giunge a esprimere una nuova estetica fatta di eleganza e bellezza originata dall’interazione artista-macchina. Nel 2020 Sougwen Chung ha inaugurato il laboratorio Scilicet volto a esplorare un’ulteriore interazione uomo-macchina, testimone di una collaborazione creativa, artistica e scientifica, sempre in fieri. Le opere di Sougwen Chung, così innovative nella loro progettualità e realizzazione, non mancano comunque di rimandi storici: è la spirale aurea presente nella serie di disegni tridimensionali Into the Light, è lo studio della dinamicità del movimento con immagini che dalla dimensione in 2D si proiettano nella dimensione 3D come nei disegni modulari Chiaroscuro. È la ricerca costante della luce, “la luce dell’universo” che si svela e rivela nella tridimensionalità che contraddistingue tutta la sua opera e che affascina come nei film HD Apolysis e Cardia.
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Note e bibliografia
Introduzione 1
Il questionario era rivolto a un campione di persone dai 15 ai 75 anni.
PARTE PRIMA Marcus Wright: «Che cos’è che ci rende umani? Qualcosa che non si può programmare, che non si può mettere in un chip... È la forza del cuore umano, la differenza tra noi e le macchine». dal film Terminator Salvation
L’Intelligenza Artificiale oggi 1 2 3 4 5
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blog.osservatori.net/it_it/intelligenza-artificiale-funzionamento-applicazioni www.youtube.com/watch?v=3SbYKMhgZvk Margaret A. Boden, L’Intelligenza Artificiale, il Mulino, Bologna 2019 p. 9. www.youtube.com/watch?v=1oK_W3R9Y0w Novak, J., Zarinabad, N., Rose, H. et al. Classification of paediatric brain tumours by diffusion weighted imaging and machine learning. Sci Rep 11, 2987 (2021). doi.org/10.1038/s41598-02182214-3 tech4future.info/intelligenza-artificiale-neuroimaging-tumori/ vimeo.com/192179726 www.tesla.com/it_IT/autopilot www.brainboxai.com www.youtube.com/watch?v=ycLOu8Gi4Sc www.youtube.com/watch?v=AmK4N3X4zTY www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/artificial-intelligence-italia-mercato-progetti-2020 “New research reveals what’s needed for AI acceleration in manufacturing”: cloud.google. com/blog/products/ai-machine-learning/research-on-ai-trends-in-manufacturing J. L. Bower, C. M. Christensen. “Disruptive Technologies: Catching the Wave”, in Harvard Business Review 73, n° 1 (gennaio-febbraio 1995): 43–53. Si sta facendo un grande lavoro per regolamentare l’uso dell’Intelligenza Artificiale nel rispetto della privacy, della sicurezza e della nostra etica.
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In questo senso il 21 aprile 2021 la Commissione Europea ha proposto “Coordinated Plan on Artificial Intelligence 2021” nuove regole e linee guida atte a creare condizioni favorevoli allo sviluppo e all’adozione dell’IA e per garantire che l’IA possa essere considerata affidabile. www.youtube.com/watch?v=0CaAGI0Rw-k
Bibliografia S. Bakers, Final Jeopardy. The Story of Watson, the Computer That will transform Our World, Mariner, Boston MA. A. Barale, Arte e Intelligenza Artificiale, Jaca Book, Milano 2020. M. A. Boden, L’Intelligenza Artificiale, il Mulino, Bologna 2019. M. Boden, Artificial Intelligence. A very short Introduction, Oxford University Press, Oxford 2018. M.A. Boden, E.A. Edmonds (2009) “What is generative art?”, Digital Creativity, 20:1-2, 21-46, DOI: 10.1080/14626260902867915 N. Bostrom, Superintelligenza, Bollati Boringhieri, Torino 2018. L. Bottou, “From machine learning to machine reasoning: an essay”, Machine Learning, 94:133-149, gennaio 2014. (link.springer.com/article/10.1007/ s10994-013-5335-x) J.L. Bower, C. M. Christensen. “Disruptive Technologies: Catching the Wave”, in Harvard Business Review 73, n° 1 (gennaio-febbraio 1995): 43–53. M. Du Sautoy, The Creativity Code. How AI is learning to write, paint and think, Harper Collins, Londra 2019. History of Industrial Robots (PDF), su ifr.org. J. McCarthy, Computer Science Department, Stanford University, Stanford 1998, What is artificial intelligence? A.I. Miller, The Artist in the Machine. The World of AI-powered Creativity, The MIT Press, Cambridge MA 2020. M. Minsky, S. Papert, Perceptrons: An Introduction to
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L’IA come strumento nel mondo dell’arte 1 2
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www.youtube.com/watch?v=_NYaY8rU3h8 www.christies.com/features/Christies-Art-andTech-Summit-2019-9942-3.aspx?PID=mslp_related_features2 libro-bianco-ia.readthedocs.io/it/latest/ Europe fit for the Digital Age: Commission proposes new rules and actions for excellence and trust in Artificial Intelligence, Bruxelles, 21 aprile 2021. ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ ip_21_1682 Europe fit for the Digital Age: Commission proposes new rules and actions for excellence and trust in Artificial Intelligence, Bruxelles, 21 aprile 2021. ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ ip_21_1682
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I musei: verso nuove frontiere
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Si veda il Capitolo dedicato: “Le nuove guide robotiche”. Si veda il Capitolo dedicato “Chatbot e Intelligent Personal Assistant”. Il tema dello sviluppo dell’analisi di possibili risparmi energetici o soluzioni volte a migliorare i consumi all’interno del museo di sicuro rientra tra questi programmi. www.youtube.com/watch?v=EKBKqcaHOIg Per i Robot, Chatbot, Social e i progetti legati alla Neuroestetica, catalogazione su piattaforme online e nuovi strumenti di valutazione dei trend di mercato troverete i capitoli dedicati. www.youtube.com/watch?v=fLPmRVTmk5s datatracker.ietf.org/doc/html/rfc1945 www.museweb.net/bibliography/?by=1997 “[...] new technologies working side by side with, or replacing the old merely represent a natural progression of display strategies that serve to enhance and contextualize the collections in the same way that museums have been doing for decades if not centuries”, Hazan S., (2003), “The virtual Aura: the technologies of exhibition and the exhibition of technologies”, in Museological Review, n° 10, 2003, pp. 16-30. ICOM 2007– “Un museo è un’istituzione senza scopo di lucro e permanente al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone il patrimonio tangibile e immateriale dell’umanità e del suo ambiente ai fini dell’educazione, dello studio e del godimento”. Usando uno scanner 3D Hirox ad altissima risoluzione, sono state scattate circa 9100 foto della superficie del dipinto La ragazza col Turbante che hanno permesso di ottenere un’immagine complessiva di 10.118 megapixel (93.205 × 108.565), con ogni singolo pixel che misura 4,4 micron (35x). www.micro-pano.com/pearl/ whttps://www.youtube.com/watch?v=gOcnplDYHAM&list=PLL71NEDhCwbHCf0gz0U_ XMdnNubAsmTVj&index=2 www.si.edu/openaccess icom.museum/wp-content/uploads/2020/07/2573_ICOM-RA-2019_V14_ web_planches.pdf www.youtube.com/watch?v=fSDP8DXdwrA
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La catalogazione delle collezioni: la blockchain 1
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venterà nel 2026 il nuovo museo dell’arte digitale di Milano e sarà in costante relazione con il Meet Digital Culture Center. Bibliografia M. Amato, L. Fantacci, Per un pugno di bitcoin: Rischi e opportunità delle monete virtuali, Università Bocconi Editore, Milano 2016. B. Carson, G. Romanelli, P. Walsh, A. Zhumaev, “Blockchain beyond the Hype: What Is the Strategic Business Value?”, McKinsey Quarterly, 2018. S. Haber, W.S. Stornetta, “How to time-stamp a digital document”, in Journal of Cryptology 3, 99–111 (1991). doi.org/10.1007/BF00196791 G. Hileman, M. Rauchs, “Global Blockchain Benchmarking Study”, Cambridge Centre for Alternative Finance, Cambridge 2017. R. Morriello, 2020, “Blockchain, intelligenza artificiale e internet delle cose in biblioteca” in AIB Studi, 59(1-2).doi.org/10.2426/aibstudi-11927metzdowd.com M.M. Queiroz, R. Telles, S.H. Bonilla, 2019, “Blockchain and supply chain management integration: a systematic review of the literature”, Supply Chain Management. doi.org/10.1108/ SCM-03-2018-0143 A.Ab. Rahman, U. Zakir, A. Hamid, Ai Chin Thoo, “Emerging Technologies with Disruptive Effects: a Review”, dicembre 2017 (on www.researchgate.net) A.Ab Rahman, “Emerging Technologies with Disruptive Effects: a Review”, in Perintis eJournal, vol. 7, n° 2, 2017. Research from The Forum, Deloitte, and Deloitte/ EFMA Blockchain Report “Out of the blocks: Blockchain, from hype to protoype.”, maggio 2016. www.efma.com/web_v2/public/assets/ content/study/2016/blockchain_out_of_the_ blocks_from_hype_to_prototype/1-29VBM2_ study.pdf D. Tapscott, A. Tapscott, 2016, “The Impact of the Blockchain Goes Beyond Financial Services”, in Harvard Business Review, available at: hbr. org/2016/05/the-impact-of-the-Blockchain-goes-beyond-financial-services D. Tapscott, A. Tapscott, Blockchain Revolution: How the Technology Behind Bitcoin Is Chan-
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Intervista ad Andrea Concas 1 2
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Il mercato dell’arte e le nuove applicazioni 1
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chor Books, Doubleday & Company, Universe Books. Le Online Viewing Room (OVR) sono delle stanze virtuali che consentono ai visitatori di vedere le opere d’arte online. Si possono vedere le opere da diverse prospettive e usare la funzione zoom e avere le informazioni tecniche e di vendita dell’opera. www.youtube.com/watch?v=_dW-v-NxqSg TheArt Market 2021, An Art Basel & UBS Report – Prepared by Dr. Clare McAndrew Founder of Arts Economics. TheArt Market 2021, An Art Basel & UBS Report – Prepared by Dr. Clare McAndrew Founder of Arts Economics. “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione”. Speciale: “Lo stato dell’arte ai tempi del Covid-19”, report 2021, Deloitte. www2.deloitte. com/it/it/pages/private/articles/lo-stato-dell-arte-ai-tempi-del-covid-19---deloitte-italy---private.html - p. 13. ArtTactic, Deloitte, Art Basel & UBS Report per citarne alcuni. “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione. Speciale. Lo stato dell’arte ai tempi del Covid-19”, Report 2021, Deloitte. www2.deloitte.com/it/it/ pages/private/articles/lo-stato-dell-arte-ai-tempidel-covid-19---deloitte-italy---private.html www2.deloitte.com/it/it/pages/private/articles/ lo-stato-dell-arte-ai-tempi-del-covid-19---deloitte-italy---private.html “Il Mercato dell’Arte e dei Beni da Collezione”. Report 2019. Deloitte. www2.deloitte.com/it/it/ pages/financial-services/articles/il-mercato-dellarte-e-dei-beni-da-collezione---deloitte-italy--.html sites.rutgers.edu/ahmed-elgammal/ Ahmed Elgammal con il suo staff di ricerca sta sviluppando progetti pionieristici applicando l’IA al mondo dell’arte: sites.google.com/site/ digihumanlab/home “Il Mercato dell’Arte e dei Beni da Collezione”. Report 2019. Deloitte. www2.deloitte.com/it/it/ pages/financial-services/articles/il-mercato-dellarte-e-dei-beni-da-collezione---deloitte-italy--. html pag.6 wondeur.ai artegenerali.com/it
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Case study: la codifica della percezione della bellezza 1 2 3 4
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www.intesasanpaoloinnovationcenter.com/it www.tsw.it www.youtube.com/watch?v=Wq7cE56xIkE &t=35s Il gruppo di volontari era costituito da giornalisti, neuroscienziati della scuola IMT Lucca e personale di Intesa Sanpaolo e Intesa Sanpaolo Innovation Center. I dati sono raccolti in maniera anonima poiché le informazioni raccolte da ogni singolo individuo, dallo Stress Bracalet al EEG danno informazioni circa i parametri fisiologici.
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Innovation Trend Report, Neuroscience Impact. Brain and Business, Intesa San Paolo Innovation Center & IMT School for Advanced Studies Lucca. www.youtube.com/watch?v=gU1ZvJ22roU Per quanto concerne il comportamento oculare a museo aperto e chiuso: le esperienze sono parificabili per molti aspetti. Nella condizione a museo aperto, i partecipanti dedicano molte fissazioni alle persone presenti, riducendo quindi il tempo dedicato alle informazioni: la presenza di persone funziona da ostacolo dell’elemento informativo (a museo chiuso si evidenziano più fissazioni). L’Arousal è stato ottenuto attraverso il monitoraggio dell’attività elettrodermica e la misurazione della risposta di conduttanza cutanea (fonte: TSW). Il Motivation Index consente di rilevare il livello di piacevolezza di fronte a un’opera attraverso l’uso dell’elettrocardiogramma (ECG) che rileva l’attività prodotta dagli emisferi nella porzione frontale per una specifica banda di frequenza. www.cgxsystems.com/publications Arte e neuroscienze: “Il Cenacolo Vinciano”, Luglio 2019 – TSW. Per quanto concerne il comportamento oculare a museo aperto e chiuso: le esperienze sono parificabili per molti aspetti. Nella condizione a museo aperto, i partecipanti dedicano molte fissazioni alle persone presenti, riducendo quindi il tempo dedicato alle informazioni: la presenza di persone funziona da ostacolo dell’elemento informativo (a museo chiuso si evidenziano più fissazioni). icom.museum/wp-content/uploads/2020 /07/2573_ICOM-RA-2019_V14_web_planches.pdf Innovation Trend Report. Neuroscience Impact Brain and Business. Intesa San Paolo Innovation Center, IMT School for Advanced Studies Lucca. www.pem.org/press-news/pem-appoints-dr-tediasher-as-first-ever-neuroscience-researcher-at-anart-museum
La conservazione di opere d’arte con AI 1 2
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nea-tre-batteri-per-il-restauro-delle-opere-di-michelangelo www.youtube.com/watch?v=ZUwN8zREn-8 Il Guggenheim Museum continua oggi a essere un museo trainante per le lo studio delle tecniche conservative di opere time-based media art (TBMA) e computer-based art nel suo Media Conservation Lab. Iniziativa per la conservazione dell’arte basata su computer.Nel 2013 ha lanciato la Conserving Computer-Based Art Initiative (CCBA ). “Il team di ricerca del CCBA continua a esplorare nuove opere d’arte e nuovi metodi di trattamento e documentazione e continua a diffondere i suoi risultati attraverso pubblicazioni e presentazioni”. www.guggenheim.org/conservation/the-conserving-computer-based-art-initiative www.guggenheim.org/conservation/the-variable-media-initiative www.guggenheim.org/conservation/the-variable-media-initiative mattersinmediaart.org Douglas Davis ha iniziato questo lavoro nel 1994 presso la Galleria d’arte del Lehman College. www.nytimes.com/2013/06/10/arts/design/whitney-saves-douglas-daviss-first-collaborative-sentence.html www.nytimes.com/2013/06/10/arts/design/whitney-saves-douglas-daviss-first-collaborative-sentence.html?ref=todayspaper
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PARTE SECONDA AI artists 1
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Molti altri artisti – oltre ai 13 che qui trovate – si sono distinti negli ultimi anni per la loro produzione artistica con IA: Scott Eaton, David Young, Egon Kraft e Quayola per citarne alcuni. https://www.artnome.com/news/2018/11/14/ helena-sarin-why-bigger-isnt-always-better-with-gans-and-ai-art http://elluba.com
La creatività nell’arte e il ruolo dell’artista 1
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www.christies.com/lot/lot-edmond-de-belamy-from-la-famille-de-6166184/?from=searchresults&intObjectID=6166184 Obvious, «La Famille de Belamy e i Sogni elettrici di Ukiyo: reinterpretazioni e accelerazioni», in A.
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Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, p. 167. www.christies.com/features/A-collaboration-between-two-artists-one-human-one-a-machine-9332-1.aspx?sc_lang=en w w w. y o u t u b e . c o m / w a t c h ? v = Z 6 r x F N MGdn0 I.J. Goodfellow, J Pouget-Abadie., M. Mirza, B. Xu, D. Warde-Farley, S. Ozair, A. Courville, Y. Bengio (2014). “Generative Adversarial Networks” – arxiv.org/pdf/1406.2661v1.pdf foreignpolicy.com/2019-global-thinkers/ hyperallergic.com/468060/christies-sells-ai-generated-art-for-432500-as-controversy-swirls-over-creators-use-of-copied-code/ www.sothebys.com/en/auctions/ecatalogue/2019/contemporary-art-day-auction-l19021/ lot.109.html Artificial General Intelligence. Si veda l’intervista completa nel capitolo “Mario Klingemann”. “Lettres & Art, Cubistes”, Le cri de Paris, 23 July 1916, p. 10, A20, No. 1008, Gallica, Bibliothèque nationale de France – gallica.bnf.fr/ark:/12148/ bpt6k65218498/f1.image
Bibliografia A. Barale, Arte e Intelligenza Artificiale, Jaca Book, Milano 2020. M.A. Boden, L’Intelligenza Artificiale, Il Mulino, Bologna 2019. M. A. Boden, Artificial Intelligence. A very short Introduction, Oxford University Press, Oxford 2018. A. Broeckmann, The Machine as Artist as Myth, Leuphana University, Lüneburg 2019. D. Foster, Generative Deep Learning: Teaching Machines to Paint, Write, Compose, and Play, O’Reilly 2019. I.J. Goodfellow, J. Pouget-Abadie, M. Mirza, B. Xu, D. Warde-Farley, S. Ozair, A. Courville, Y. Bengio (2014). “Generative Adversarial Networks” – https://arxiv.org/pdf/1406.2661v1.pdf Intervista di Jackson Pollock rilasciata nel 1951 a William Wright per la stazione radio Sag Harbor. homepages.neiu.edu/~wbsieger/Art201/201Read/201-Pollock.pdf P. Isola, J.Y. Zhu, T. Zhou, A.A. Efros, “Image-to-Image Translation with Conditional Ad-
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versarial Networks”, in arXiv:1611.07004 [cs], 21 novembre 2016. J. Langr, V. Bok, GANs in Action: Deep Learning With Generative Adversarial Networks, Manning 2019. “Lettres & Art, Cubistes”, in Le cri de Paris, 23 luglio 1916, p. 10, A20, No. 1008, Gallica, Bibliothèque nationale de France – gallica.bnf.fr/ ark:/12148/bpt6k65218498/f1.image A.I. Miller, (1992) “Scientific creativity: A comparative study of Henri Poincare and Albert Einstein”, in Creativity Research Journal, 5:4, 385414, DOI: 10.1080/10400419209534454 A.I. Miller, The Artist in the Machine: The World of AI-Powered Creativity, the MIT Press Cambridge 2019. A.I. Miller, The Artist in the Machine. The World of AI-powered Creativity, The MIT Press, Cambridge 2020. J. O’Connor, F.E. Robertson, Jules Henri Poincaré, University of St. Andrews, Scotland 2002. A.L. Paré, A. Broeckmann, (2020), “Creating in the era of artificial intelligence” in ESPACE Art Actuel. J.H. Poincaré., Scienza e metodo, a cura di Claudio Bartocci, Einaudi, Torino 1997. S. Russell, P. Norvig, Artificial Intelligence. A Modern Approach, Paerson, 2016. G. Wallas, The art of thought, Solis Press, Tunbridge Wells (UK) 2014. P. Weibel, Open codes. Living in digital worlds, Edition Cantz, Esslingen 2019. hyperallergic.com/468060/christies-sells-ai-generated-art-for-432500-as-controversy-swirls-over-creators-use-of-copied-code/ www.artnome.com/news/2018/11/14/helena-sarin-why-bigger-isnt-always-better-with-gans-andai-art www.christies.com obvious-art.com foreignpolicy.com/2019-global-thinkers/ iep.utm.edu/poincare/ www.sothebys.com/ openlibrary.org/works/OL114705A openlibrary.org www.artnome.com aiartists.org elluba.com www.artistinthemachine.net
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www.nvidia.com/en-us/deep-learning-ai/ai-art-gallery/ www.theartnewspaper.com mitpress.mit.edu
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INTERVISTE E RITRATTI
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Mario Klingemann 1 2 3 4
vimeo.com/onkaos/uncannymirror vimeo.com/298000366; quasimondo.com vimeo.com/onkaos; coleccionsolo.com www.sothebys.com/en/buy/auction/2021/natively-digital-a-curated-nft-sale-2/mitosis
M. Klingemann, in A. Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, pp. 75-110. M. Klingemann, «Circuit training» in A. Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, p. 233.
Mike Tyka
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miketyka.com www.youtube.com/watch?v=uLXxwpYrPBQ Deep Dream è un programma di elaborazione di immagini firmato Google. Sfruttando una rete neurale convoluzionale il programma è in grado di trovare dei pattern all’interno di immagini attraverso una pareidolia algoritmica. Il risultato finale è spesso un mix di psichedelico e immaginario onirico. /www.youtube.com/watch?v=0qVOUD76JOg&list=PL7d1002NkTbM-mL6kCTwT1TilPDqMKs37 miketyka.com/?p=ubiquitin miketyka.com/?p=usandthem
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annaridler.com w w w. y o u t u b e . c o m / w a t c h ? v = D p 9 4 f M KDzZk&t=738s vimeo.com/217670143 vimeo.com/338726032 annaridler.com/money-and-value
A. Ridler, «Set di dati e decadenza: Fall of the house of Usher», in A. Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, p. 111.
Mauro Martino 2 3 4
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robbiebarrat.github.io www.youtube.com/watch?v=rue8Q8Cw6ho robbiebarrat.github.io L’Avant Galerie Vossen ha interpellato Robbie Barrat dopo aver visto i suoi ritratti di nudo creati con AI chiedendogli di lavorare con Ronan a Parigi. vimeo.com/302584147 www.artnome.com/news/2019/1/22/ai-artist-robbie-barrat-and-painter-ronan-barrot-collaborate-on-infinite-skulls www.artnome.com/news/2019/1/22/ai-artist-robbie-barrat-and-painter-ronan-barrot-collaborate-on-infinite-skulls
www.mamartino.com/index.html Con Nima Dehmami e Luca Stornaiuolo. www.youtube.com/watch?v=VbKZTEqlzAc Vox2Net: From 3D Shapes to Network Sculptures – nips2018creativity.github.io/doc/vox2net. pdf www.youtube.com/watch?v=GW4s58u8PZo&t=81s Oltre al video visibile con il QR CODE è disponibile la versione per la consultazione: www. nature.com/immersive/d41586-019-03165-4/ index.html strollingcities.com/index.html#VoicetoCity
Jake Elwes
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Robbie Barrat
L’interessante articolo a riguardo: https://www. itsnicethat.com/features/ones-to-watch-2020robbie-barrat-digital-240220 densepose.org https://www.youtube.com/watch?v=Dhkd_bAwwMc www.vogue.com/fashion-shows/fall-2020-menswear/acne-studios
A. Barale, «Infinite Skulls. Robbie Barrat/Ronan Barrot», in A. Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, p. 215.
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www.memo.tv vimeo.com/500024622 vimeo.com/260612034 w w w. m e m o . t v / w o r k s / l e a r n i n g - t o - s e e / Una rete neurale artificiale si affaccia sul mondo e cerca di dare un senso a ciò che vede. Ma può
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Anna Ridler
Memo Akten 1
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A. Barale, «Learning to see. Memo Atken», in A. Barale, a cura di, Arte e Intelligenza artificiale. Be my GAN, Jaca Book, Milano 2020, p. 224.
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vedere solo attraverso il filtro di ciò che già conosce. Proprio come noi. Perché anche noi vediamo le cose non come sono, ma come siamo. vimeo.com/486087661 www.memo.tv/works/deep-meditations/ www.youtube.com/watch?v=7oWjgbCXp-o vimeo.com/569253469 Per realizzare The Awesome Machinery Of Nature Memo Akten ha usato il software personalizzato, openFrameworks/C++, Houdini/VEX/ Python www.youtube.com/watch?v=e-F1WRE1yTQ memoakten.medium.com/the-unreasonable-ecological-cost-of-cryptoart-2221d3eb2053
www.jakeelwes.com/index.html vimeo.com/206500912 vimeo.com/563521786 vimeo.com/388245510 www.youtube.com/watch?v=vtpVr5KVvnk&t=34s
Refik Anadol 1 2 3 4
refikanadol.com vimeo.com/562655604 vimeo.com/562655604 vimeo.com/571515830
Sofia Crespo 1 2
www.sofiacrespo.com vimeo.com/412296711
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www.youtube.com/watch?v=_mGs3tR-3HM artificialremnants.com thisjellyfishdoesnotexist.com beneaththeneuralwaves.com
Helena Sarin
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www.ted.com/talks/helena_sarin_making_pictures_with_artificial_intelligence www.bbc.com/future/gallery/20181115-a-guide-to-how-artificial-intelligence-is-changing-the-world Helena Sarin, “Playing a game of GANstruction”, The Gradient, 2018. thegradient.pub/playing-agame-of-ganstruction/
Harshit Agrawal 1 2
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harshitagrawal.com www.youtube.com/watch?v=yByCfIoCYZk&list=RDCMUC0YIqwnpJCM-mx7-gSA4Q&start_radio=1&rv=yByCfIoCYZk&t=566 harshitagrawal.com/about-updates vimeo.com/320413126 vimeo.com/295783877 www.terrain.art
R INGRAZIAMENTI
Tom White drib.net drib.net/about La Trahison des Images, René Magritte, 1928-29, Los Angeles County Museum of Art. Il nome Risograph deriva dalla parola giapponese “Riso” che vuol dire “ideale”. È una tecnica di stampa inventata nel 1986 dalla RISO Kagaku Corporation.
Sougwen Chung 1 2
sougwen.com www.youtube.com/watch?v=q-GXV4Fd1oA oppure https://www.ted.com/talks/sougwen_chung_ why_i_draw_with_robots?language=it#t-9414
La realizzazione di questo libro è stata possibile grazie alle tante persone che vi hanno contribuito, in modo diverso ma sempre fondamentale, e alle quali va la mia riconoscenza. Ringrazio Marzia, che da sempre mi insegna a inseguire i miei obiettivi con costanza e determinazione e con lei Alberto, Alessandro e Riccardo, le persone a me più care, che mi supportano sempre nei progetti. Un sentito ringraziamento, in rigoroso ordine alfabetico, alle persone che hanno contribuito e partecipato al libro offrendo importanti approfondimenti:
Olivier Berger e Sophie Perceval (Fondatori di Wondeur) Julia Betancor, Head of art conservator alla Colección SOLO Christian Caldato, Head of research presso TSW Giovanna Castellano, professore associato e coordinatore del Laboratorio di Intelligenza Computazionale (CILab) Andrea Concas (fondatore e CEO di Art Backers) e Alessia Cuccu (Project Manager per Art Rights) Sonia D’Arcangelo, Head of Neuroscience Lab Intesa Sanpaolo Innovation Center Ezio Fantuzzi (Head of Communications for Arte Generali) Pasquale Fedele, fondatore e CEO di Liquidweb srl Milena Fernández Eresta, Communications Manager, Colección SOLO
Giuliano Gaia co-founder insieme a Stefania Boiano di InvisibleStudio
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Oscar Hormigos, direttore Colección SOLO Michela Palazzo, direttore del Museo Nazionale del Cenacolo Vinciano Piero Poccianti presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) Luigi Ruggerone, Director of Trend Analysis and Applied Research – Intesa Sanpaolo Innovation Center Gennaro Vessio, ricercatore universitario (Dipartimento di informatica dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro) Un grande grazie agli AI Artists che hanno reso possibile la realizzazione della seconda parte del libro con i loro contributi e la loro preziosa disponibilità: Mario Klingemann, Mike Tyka, Memo Akten, Anna Ridler, Robbie Barrat, Mauro Martino, Jake Elwes, Refik Anadol, Sofia Crespo, Helena Sarin, Harshit Agrawal, Tom White, Sougwen Chung. Alle Istituzioni Museali e culturali citate nel libro e ai loro uffici stampa che mi hanno supportato nella ricerca. A tutti i musei che hanno messo online e Open Access le loro straordinarie collezioni, permettendoci di accedere a un sempre più vasto patrimonio culturale. E infine a tutte le persone che oggi lavorano per realizzare quei futuri possibili verso l’innovazione e il progresso.
Progetto editoriale Vera Minazzi Interviste ad Andrea Concas, Olivier Berger e Sophie Perceval, Mario Klingemann, Mauro Martino, Piero Poccianti, Anna Ridler, Mike Tyka, di Rebecca Pedrazzi © 2021 Editoriale Jaca Book Srl, Milano tutti i diritti riservati novembre 2021 Grafica e impaginazione Jaca Book / Alessandra Prina Stampa e confezione Dedalo litostampa Srl Bari (BA) novembre 2021 ISBN 978-88-16-41707-6 Editoriale Jaca Book via Giuseppe Frua 11, 20146 Milano; tel. 02 48561520 – 342 5084046 libreria@jacabook.it www.jacabook.it ebook: www.jacabook.org foreign rights: www.jacabook.com Seguici su