SANTIAGO

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SANTIAGO SENSO E STORIA DI UN PELLEGRINAGGIO

FERNANDO E GIOIA LANZI


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© Internazionale, 2011 Editoriale Jaca Book SpA, Milano Tutti i diritti riservati

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Prima edizione italiana settembre 2011 Grafica e copertina Ufficio grafico Jaca Book La cartografia è stata realizzata da Daniela Blandino

SAN GIACOMO 9 Giacomo fratello di Gesù 10 Giacomo fratello di Gesù San Giacomo nei Vangeli e negli Atti San Giacomo 12 nei Vangeli e negli Atti San Giacomo e la Spagna San Giacomo 14 e la Spagna La tradizione consegnata La tradizione 15 consegnata Le notizie più antiche Le notizie 16 più antiche La traslazione e il ritrovamento delle reliquie La traslazione 17 e il ritrovamento delle reliquie Da Gerusalemme a Padrón Da Gerusalemme 18 a Padrón La Spagna tra i secoli VIII e IX La Spagna21 tra i secoli VIII e IX Il senso della storia Il senso della 23 storia Una nuova evangelizzazione Una nuova25evangelizzazione La chiesa ad corpus e il monastero La chiesa ad 27 corpus e il monastero Un nuovo sepolcro Un nuovo28 sepolcro San Giacomo in battaglia San Giacomo 28 in battaglia La cattedrale intorno al sepolcro La cattedrale 28 intorno al sepolcro

Segni lungo il Cammino Le vesti Le insegne Iconografia Le feste Concludendo

10 12 14 15 16 17 18 21 23 25 27 28 28 28

IL CAMMINO VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA: SENSO E STORIA 31 Segni lungo 50il Cammino 50 Le vesti 54 54 Le insegne57 57 Iconografia 58 58 Le feste 62 62 Concludendo 62 62 CARTOGRAFIA: I CAMMINI IBERICI 65

ISBN 978-88-16-60432-2 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA - Servizio Lettori Via Frua 11, 20146 Milano, tel. 02/48561520-29, fax 02/48193361 e-mail: serviziolettori@jacabook.it, sito internet: www.jacabook.it

La via di Gotescalco e Roncisvalle Roncisvalle Pamplona Somport Canfranc Jaca Santa Cruz de la Serós San Juan de la Peña Le origini Monastero vecchio Monastero nuovo Monastero di San Salvador de Leyre Sangüesa

DAI PIRENEI A SANTIAGO: IL CAMMINO EUROPEO 71 La via di Gotescalco e Roncisvalle 71 71 Roncisvalle72 72 Pamplona73 73 Somport 74 74 Canfranc 75 75 Jaca 75 76 Santa Cruz81de la Serós 81 San Juan de 81 81la Peña Le origini ?? 81 Monastero?? vecchio 83 Monastero?? nuovo 88 Monastero89di San Salvador de Leyre 89 Sangüesa 94 92 INDICE

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Eunate Puente la Reina Estella Los Arcos Torres del Río Logroño Nájera San Millán de la Cogolla Santo Domingo de la Calzada Burgos Frómista Carrión de los Condes Sahagún León Virgen del Camino Astorga Ponferrada Villafranca del Bierzo Cebrero Triacastela Puertomarín Labacolla

Eunate 100 Puente la Reina 101 Estella 102 Los Arcos103 Torres del104 Río Logroño 104 Nájera 106 San Millán106 de la Cogolla Santo Domingo 107 de la Calzada Burgos 111 Frómista 117 Carrión de120 los Condes Sahagún 120 León 121 Virgen del126 Camino Astorga 127 Ponferrada128 Villafranca129 del Bierzo Cebrero 130 Triacastela134 Portomarín 134 Labacolla 135

La cattedrale Il santo, il rito, la città Anno Santo Compostelano Da Santiago a Padrón

SANTIAGO DE COMPOSTELA 137 La cattedrale 138 Il santo, il 152 rito, la città Anno Santo Compostelano 160 Da Santiago 161a Padrón

94 100 101 102 103 103 105 106 107 110 116 117 120 121 126 127 128 129 130 131 134 135

Laredo Santander Cangas de Onís Gijón Covadonga Oviedo

Barcellona Montserrat Cervera Lérida Monzón Pertusa Huesca Santiago de Agüero Bolea Loarre Saragozza

Bilbao 197 Laredo 198 Santander199 Cangas de199 Onís 200 Gijón 202 Covadonga Oviedo

196Bilbao 197 198 199 199 200 202

IL CAMMINO CATALANO 207 Barcellona207 Montserrat208 Cervera 212 Lérida 212 Monzón 212 Pertusa 212 Huesca 212 Agüero 214 Bolea 215 Loarre 216 Saragozza 220

207 208 212 212 212 212 212 215 215 216 220

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CARTOGRAFIA: I CAMMINI EUROPEI 227 138 152 160 161

NOTE 232 INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI 236

DA SANTIAGO A FINISTERRE 163

Siviglia Mérida Cáceres Plasencia Cáparra Baños de Montemayor Salamanca Zamora Barcial del Barco Benavente Alija del Infantado

IL CAMINO DE LA PLATA O CAMMINO MOZARABICO 171 Siviglia 172 Mérida 174 Cáceres 177 Plasencia 179 Cáparra 180 Baños de Montemayor 181 Salamanca183 Zamora 188 Barcial del190 Barco Benavente190 Alija del Infantado 193

Irun Donostia-San Sebastián

IL CAMMINO DEL NORD O CANTABRICO 195 Irun 195 195 Donostia-San 195 195 Sebastián

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172 174 177 179 180 181 183 188 190 190 193

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1. San Giacomo in trono incorona i pellegrini, particolare della vetrata di un discepolo di Peter von Andlau del 1490 ca. Badisches Landesmuseum, Karlsruhe. Questa iconografia si afferma nel pieno Medioevo ed esprime la certezza che a colui che ha compiuto il pellegrinaggio non mancherà il patronato di Giacomo nel giorno del Giudizio finale. 2. Il busto di san Giacomo ai margini del mondo, particolare del Mappamondo (1086) del Beatus di Burgo de Osma. La collocazione di san Giacomo agli estremi confini delle terre conosciute è dovuta alla vicinanza di Finisterre alla tomba dell’apostolo. I Beatus sono i manoscritti miniati spagnoli, del X e XI secolo, che riportano l’Apocalisse di san Giovanni e i Commentari al testo redatti nell’VIII secolo dal monaco spagnolo Beato di Liébana (730 ca.-798).

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«Chi è dunque questo grande e potente personaggio che i cristiani vengono in massa a implorare, da entrambi i lati dei Pirenei? [...] l’apostolo del nostro Signore e Salvatore, il cui corpo è stato sepolto in Galizia e che tutti i Paesi della cristianità: Francia, Inghilterra, Italia e, in primo luogo, la Spagna, venerano come loro santo patrono e protettore. Spesso la moltitudine di quelli che vanno e vengono sulla strada dell’Occidente è talmente importante che, a volte, vi si trova appena lo spazio per avanzare». Così, di ritorno da Santiago, riferiscono i messi di ‘Ali Ben Yussuf (11061142), secondo emiro della dinastia almoravide in Marocco. Qualcosa era cambiato in Galizia. Non solo una chiesa, ma un paese era nato, intorno a un’arca ritrovata, che conteneva il corpo di san Giacomo, san Jago, il Señor Santiago, «Capo splendente d’oro della Spagna, protettore nostro e patrono del popolo1». A quel corpo accorrevano da ogni parte, e da ciò furono per sempre segnate la geografia e la storia dell’Europa e del mondo. Ci sono spiegazioni del fatto, ma per comprendere un imponente fenomeno di così lunga durata, illuminato ma non esaurientemente spiegato da rilievi di tutte le scienze, si deve partire dalle prime due evidenze, il santo e il fatto, cioè dalla persona di san Giacomo e dal fatto del pellegrinaggio. Chi sia san Giacomo emerge con chiarezza essenziale dai martirologi2. Nell’edizione del Martirologio Romano del 2001, alla data 25 luglio, si legge: «Festa di san Giacomo apostolo, che, figlio di Zebedeo e fratello del beato Giovanni Evangelista, fu testimone con Pietro e Giovanni della Trasfigurazione del Signore e della Sua agonia. Decapitato vicino alla festa di Pasqua da Erode Agrippa, fu il primo degli apostoli a ricevere la corona del martirio»3. In una precedente edizione, quella del 1631 di Urbano VIII, era stato aggiunto: «Le sue sacre ossa, trasportate in questo giorno da Gerusalemme in Spagna, e nascoste in Galizia, agli ultimi confini (della terra di quei tempi), famosissime per la venerazione di quelle genti, e per il concorso di numerosi cristiani, che colà andavano per devozione e per voto, sono piamente venerate»4. Papa Urbano VIII aveva peraltro ripreso praticamente alla lettera quanto compariva in un martirologio del IX secolo, quello di Usuardo di Saint-Germain-des-Prés († 877)5. La redazione di questo testo fu definita dopo un trentennio di polemiche: questo testimonia il fatto che, nella tradizione relativa a san Giacomo, alcuni punti non erano chiari, e tali presumibilmente rimarranno. Nell’edizione del Martirologio del 2004 si legge questa aggiunta, relativa alla tradizione del culto: «In quest’anno 2004 cadendo la festa dell’apostolo di Domenica, a S. Giacomo de Compostela in Spagna, dove si venera secondo la tradizione il suo sepolcro, per un privilegio speciale, si celebra un solenne Giubileo». Nei testi dei martirologi troviamo dunque la via per identificare i tratti essenziali del santo. La sua famiglia innanzitutto; poi la sua vita con Gesù e il suo essere scelto SAN GIACOMO

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insieme al fratello Giovanni e a Pietro per essere testimone privilegiato di eventi significativi; poi il suo martirio, che subì per primo fra gli apostoli; infine il culto delle reliquie in Spagna e il collegato Giubileo. Giacomo fratello di Gesù Intorno a Gesù si ritrovarono i giovani di un coeso gruppo famigliare, i cui tratti ci giungono attraverso una tradizione tarda ma significativa. Il sistema della parentela di Gesù non è del tutto chiaro. Da alcune fonti si riceve che la nonna di Gesù, Anna, figlia del sacerdote betlemita Mathan, aveva due sorelle, Maria e Sobe, che sposarono a loro volta due betlemiti e divennero madri rispettivamente di Maria Salome6 e di Elisabetta. Anna sposò 10

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3. Guarigione della suocera di Pietro, miniatura dell’evangeliario della badessa Hitda, Colonia, 1000-1020 ca. Hessische Landesbibliothek, Darmstadt. Giacomo fu presente ad eventi particolari, cosa che ne testimonia l’importanza fra gli apostoli. 4. Trasfigurazione, icona del XVIII secolo. Arciconfraternita della Purificazione, Livorno. Giacomo, Pietro e Giovanni furono scelti come testimoni di eventi di particolare importanza, atti a confermarli nella fede.

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Gioacchino, forse galileo, da cui ebbe Maria, che fu presentata al Tempio a tre anni. Dopo la presentazione al Tempio di Maria non si hanno più notizie di Gioacchino, mentre testi successivi non canonici parlano ancora di Anna, che, vissuta fino all’età di ottanta anni, nei suoi due matrimoni successivi sarebbe all’origine dei «fratelli» di Gesù. Tale tradizione, tarda, riporta che Anna, avrebbe sposato Cleofa (generando con lui Maria di Cleofa, moglie di Alfeo e madre di Simone, Giuda Taddeo, Giacomo il Minore, Giuseppe il Giusto, che, insieme a Mattia, venne presentato agli undici apostoli quando questi vollero scegliere colui che doveva sostituire nella missione Giuda Iscariota: fu scelto Mattia)7, poi Salome (da cui ebbe Maria di Salome, moglie di Zebedeo e madre di Giacomo il Maggiore e Giovanni Evangelista: questa Maria fu anche suocera degli apostoli Pietro e Andrea). La Madre di Gesù, con queste sue sorelle costituirebbe il gruppo delle Tre Marie: è da notare che tutti questi cugini e parenti di Gesù furono anche suoi discepoli e apostoli. Ripercorriamo dunque la vita di Giacomo, per il quale, come per molti santi, è vero che la vita non si esaurisce con la vicenda terrena. La vita dei santi continua nella loro relazione con quanti li venerano e li prendono a modello, ed essi operano molto dopo la morte terrena, quasi a ribadire quanto afferma la Chiesa, che quello della morte è un dies natalis, giorno della nascita alla vera vita, in Dio. Nella vicenda e nella tradizione di san Giacomo possiamo distinguere quattro momenti: il primo è quello relativo alla vita terrena e al martirio, e di questo troviamo notizie nel Nuovo Testamento; il secondo e il terzo, relativi alla predicazione in Spagna e alla traslazione in Galizia delle reliquie, sono caratterizzati da scarsità di documenti scritti e storicamente attestati, anche se la tradizione, che in se stessa costituisce documento, è ricca; il quarto, quello del ritrovamento del corpo e del culto, con la sua evoluzione, è documentato in maniera storica e attendibile. Tuttavia, non deve sfuggire che sia le vicende più documentate sia quelle dai contorni storicamente più vaghi, sono comunque portatrici di significato e segni di un disegno provvidenziale che si presenta, in simboli e metafore, per farci conoscere che, come direbbe Saint-Exupéry, non si vede bene che col cuore. San Giacomo nei Vangeli e negli Atti Nei Vangeli troviamo notizie del carattere di san Giacomo (detto «il Maggiore» per distinguerlo dall’altro apostolo Giacomo figlio di Alfeo) e dell’amicizia con Gesù. Nato da Zebedeo e Maria Salome, era fratello di Giovanni Evangelista, che era probabilmente abbastanza più giovane di lui, e con Giovanni fu tra i primi a seguire Gesù, essendo stati chiamati immediatamente dopo Pietro e Andrea: abbandonarono un’impresa famigliare di pesca (Matteo 4,21-22: «Movendosi di là, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello: stavano rassettando le reti sulla barca insieme al loro padre Zebedeo. Li chiamò ed essi all’istante, abbandonata la barca con il padre, lo seguirono»; Marco 1,19-20: «Procedendo poco più oltre, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che stavano anch’essi sulla barca rassettando le reti, e subito li chiamò. Essi, lasciato il loro padre con gli operai sulla barca, gli andarono appresso»). Unite nella chiamata, le due coppie di fratelli furono anche pronte a essere piene di salutare stupore davanti ai prodigi di

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5. Cristo invia san Giacomo in Spagna, particolare di una miniatura di un libro d’ore fiammingo, 1512. Sir John Soane’s Museum, Londra. Il singolare gesto di Cristo, che spinge col piede la barca di pietra su cui Giacomo dorme, è la rappresentazione iconografica dell’arrivo prodigioso, via mare, del suo corpo in Galizia.

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Gesù e a seguirlo abbandonando tutto: dopo la pesca miracolosa nel lago di Genezaret8, Pietro, Giacomo e Giovanni, che lavoravano insieme, «riportate la barche a terra, abbandonarono tutto e lo seguirono» (Luca 5,10-11). In seguito, furono eletti fra i Dodici (Marco 3,17; Luca 6,14). Giacomo e Giovanni avevano carattere facile a risentirsi (Luca 9,54) e per questo erano detti da Gesù stesso boanerghés, figli del tuono (Marco 3,17). Essi avevano notevoli ambizioni, o almeno le aveva la loro madre, e si rivelarono profetiche. Infatti, poco dopo la terza predizione della passione, salendo a Gerusalemme, dopo che Gesù aveva annunciato la sua prossima condanna a morte (Matteo 20,18-19) la loro madre li presentò a Gesù, prostrandosi in una richiesta: «Ordina che questi due miei figli siedano uno alla destra e l’altro alla tua sinistra nel tuo regno». Gesù allora si rivolse direttamente ai due fratelli: «Non sapete quello che chiedete; potete bere il calice che io sto per bere?»: essi risposero: «Lo possiamo» (Cfr. Marco 10,35ss.). E Gesù concluse: «Il mio calice, sì, lo berrete; ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo, ma è riservato a coloro ai quali è stato assegnato dal Padre mio». L’intero discorso fu profetico, ed entrambi testimoniarono Gesù: Giovanni per ultimo fra gli apostoli, e Giacomo per primo, col sangue, nel 42 ca., decapitato per ordine di Erode Agrippa. Negli elenchi degli apostoli Giacomo è citato ai primi posti: al secondo posto subito dopo Pietro in Marco (3,17), al terzo posto dopo Pietro e Andrea in Matteo (10,2) e Luca (6,14), al terzo dopo Pietro e Giovanni negli Atti (1,13); e soprattutto è testimone con Pietro e Giovanni della resurrezione della figlia di Giairo (Marco 5,37; Luca 8,51), della guarigione della suocera di Pietro (Marco 1,29; Luca 4,38), della Trasfigurazione sul Tabor (Matteo 17,1ss. e passi paralleli) e della preghiera nell’Orto degli Ulivi (Matteo 26,37 e paralleli): furono cioè scelti a essere testimoni della gloria di Gesù come della sua sofferenza e umiliazione9. Del martirio di Giacomo ci parla Luca negli Atti (12,1-3), riferendo brevemente come, all’inizio degli anni ’40 del I secolo, il re Erode Agrippa10 «cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa, e fece uccidere di spada Giacomo fratello di Giovanni». Il martirio dunque fu una decapitazione, nel quadro di un’azione volta a ingraziarsi i Giudei. Della vicenda abbiamo due racconti. Il primo è la cosiddetta Passio modica (passio è in generale il racconto del martirio di un santo, modica perché misurata sia per la lunghezza sia per il contenuto) che si rifà ai testi di Clemente Alessandrino11 e di Eusebio di Cesarea12, dove si narra che tale era il suo comportamento che pure il carnefice che si accingeva a decapitarlo implorò il suo perdono. Il santo lo abbracciò e lo confortò: «La pace sia con te», così che l’uomo divenne a sua volta martire e morì decapitato come Giacomo. Il secondo racconto è detto Passio magna13 (grande), più ampio e ricco di fatti prodigiosi, come la contesa col mago Ermogene e la sua conversione. Queste, e altre meravigliose vicende, saranno poi narrate e ampiamente diffuse da testi posteriori, quali il Liber Sancti Jacobi e la Legenda Aurea, di cui diremo. San Giacomo e la Spagna Né il Nuovo Testamento né i primi racconti del martirio accennano alla predicazione in Spagna. Ma altri testi ne parlano, e tutti anteriori al ritrovamento delle reliquie, avvenuto all’inizio del IX secolo.

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6. Apparizione della Vergine del Pilar a san Giacomo e ai suoi discepoli a Saragozza, incisione di Diego Astor del libro stampato nel 1610 da Alonso Martín de Balboa, Historia del Apóstol de Jesu Christo Santiago Zebedeo, Patrón y Capitán General de las Españas. Museo de las Peregrinaciones, Santiago de Compostela.

7. Martirio di san Giacomo, Maestro del Retablo di Rajhrad, 1453 ca. Moravská Galerie, Brno. Nelle chiese europee poste sulle vie di pellegrinaggio si trovano numerose rappresentazioni degli episodi principali della vita dell’apostolo, che consentivano ai pellegrini di conoscerne la storia.

La relazione tra san Giacomo e la Spagna può essere distinta in due parti, separate, che a loro volta presentano aspetti certi e aspetti invece vaghi. La prima parte riguarda l’evangelizzazione della Spagna, la seconda la traslazione in Galizia del corpo dell’apostolo. Prima di esaminare queste parti e dare breve notizia delle loro fonti, riportiamo quanto la tradizione, comunque formatasi, ci ha tramandato. La tradizione consegnata Dopo la Pentecoste gli apostoli si divisero il mondo conosciuto per annunciarvi il Vangelo, accordandosi per rincontrarsi in seguito a Gerusalemme rientrando dalle proprie missioni: a Giacomo toccò la Spagna, dove predicò con scarso successo. Afflitto dal fallimento, pensò di tornare anzitempo a Gerusalemme. Presso Caesaraugusta, oggi Saragozza, il 2 gennaio del 40, la Vergine gli apparve, su di una colonna spezzata, pilar in spagnolo, e lo esortò a non preoccuparsi delle apparenze, e a edificarle lì un luogo di culto, promettendo che il pilar sarebbe rimasto in quel luogo fino alla fine del mondo e mai sarebbero mancati in quella città gli adoratori di Cristo. Gia-

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to Erode e fu sepolto in Achaia Marmarica l’ottavo giorno delle calende di agosto (il 25 luglio)»17. Tale notizia si ritrova poi riferita, ancora in una interpolazione dell’VIII secolo, da Vita e morte dei Padri18, testo del VII secolo, attribuito a sant’Isidoro di Siviglia19, dove si legge: «Giacomo, figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni, quarto nell’ordine di chiamata; scrisse (lettere)20 alle dodici tribù (d’Israele) disperse fra le genti, predicò il Vangelo alla Spagna e alle altre terre d’Occidente e diffuse fino all’estremo confine del tramonto (dell’ovest) la luce della predicazione. Morì ucciso di spada (decapitato) dal tetrarca Erode; fu sepolto in ac[h]a Marmarica»21. Nel 709, Aldelmo, abate di Malmesbury22, nelle sue iscrizioni in versi per gli altari degli apostoli, riporta, a proposito di Giacomo: «Per primo convertì al cristianesimo le genti di Spagna»23. Il Beato di Liébana, nel suo Tractatus de Apocalipsis (Commento all’Apocalisse) riferisce la tradizione della divisio apostolorum, cioè della spartizione delle terre da evangelizzare tra i dodici apostoli24, tradizione che è legata a quella della predicazione di Giacomo in Spagna, e che si trova anche nell’inno mozarabico del 786 ca. O Dei Verbum, dove si afferma che Giovanni reggeva (cioè evangelizzava) l’Asia e Giacomo la Spagna25. Nell’inno si riporta che a Pietro fu affidata Roma, ad Andrea la Grecia, a Tommaso l’India, a Matteo Levi la Macedonia, a Giacomo (il Minore) Gerusalemme, a Simone lo Zelota l’Egitto, a Bartolomeo la Licaonia26, a Mattia il Ponto27, a Filippo la Gallia, a Giovanni l’Asia e a Giacomo la Spagna28. La tradizione dunque della predicazione in Spagna fu conosciuta e diffusa anche prima della scoperta del sepolcro, come confermano i racconti locali che vogliono il santo presente soprattutto in Galizia, dove gli vengono attribuiti pochi discepoli, i varones apostolicos (gli uomini dell’apostolo), in numero vario, ma mai più di nove. Dopo questa prima evangelizzazione della Spagna, Giacomo tornò a Gerusalemme e là fu decapitato e sepolto, per essere poi traslato in Spagna. Come possa essere accaduto e come ne abbiamo testimonianza non è irrilevante, perché è in questione l’autenticità delle reliquie stesse del santo.

como fece costruire un piccolo edificio intorno alla colonna: che ancor oggi si vede, ricoperta d’argento, dentro la sua cappella nella grandiosa basilica che è dedicata appunto alla Vergine del Pilar, dove affluiscono i fedeli per toccare la pietra su cui la Madonna aveva posato i piedi14. L’apostolo rimase poi in Spagna, predicò in Galizia, e tornò, quando venne il tempo prestabilito, a Gerusalemme. Qui, primo fra gli apostoli, fu martirizzato. I suoi due unici discepoli, Teodoro e Atanasio, che lo avevano seguito dalla Spagna, disseppellirono nottetempo il suo corpo e lo portarono al porto di Jaffa, dove prodigiosamente approdò un’imbarcazione sulla quale lo caricarono, salendovi anch’essi e affidandosi poi alla Provvidenza. Condotta dal vento e senza timone, la barca fu guidata oltre Gibilterra e risalì le coste del Portogallo, fino al porto di Iria Flavia, alla confluenza dei fiumi Sar e Ulla. Sbarcato il corpo, i discepoli lo posero su di una pietra, che dà il nome gallego alla località (poi città di Iria Flavia): Padrón, grande pietra, la quale subito si fuse come cera, foggiandosi come un sarcofago intorno alle spoglie del martire. Teodoro e Atanasio si recarono poi presso la signora di quelle terre, la regina Lupa (di nome e di fatto), alla quale chiesero il permesso e il luogo per una degna sepoltura del santo. La malvagia donna, per farli perire, li invitò a chiedere il consenso a un signore crudelissimo, che in alcuni testi è detto «re di Spagna», che dapprima li incarcerò, ma fu poi convinto dai prodigi e si convertì con tutto il popolo. Col consenso così ottenuto, i due discepoli si ripresentarono a Lupa: questa cercò ancora di far loro del male, e li mandò a prendere, per il trasporto del corpo, due buoi che disse di avere su di una montagna: si trattava in realtà di furiosissimi tori. Teodoro e Atanasio andarono, sconfissero un drago che sbarrava loro la strada, e ammansirono i tori (in un luogo che fu poi detto «Monte Sacro»): infine, si ripresentarono alla regina, conducendo i tori aggiogati. A tal vista, Lupa si convertì, trasformò il suo palazzo in luogo di culto per san Giacomo, e visse di lì in poi cristianamente. Le reliquie di Giacomo furono esposte in una cappella funeraria, affidata a Teodoro e Atanasio, che dopo la morte furono sepolti accanto al loro maestro, il cui sepolcro divenne il centro di irradiazione del cristianesimo in Spagna.

La traslazione e il ritrovamento delle reliquie Le notizie più antiche 8

All’inizio del VII secolo si hanno le prime notizie. La più antica in ordine di tempo è probabilmente la relazione di Máximo de Zaragoza (606 ca.), che trattando della fondazione della chiesa dedicata alla Vergine nella sua città, parla di un celebre e sacro tempio «dedicato alla Madre di Dio, chiamato della colonna, el Pilar, ed edificato dal divino Santiago». La diffusione della predicazione di Giacomo in Spagna sembra collegata con quella della cosiddetta divisio apostolorum, cioè divisione degli apostoli, secondo la quale essi si divisero le terre da evangelizzare, e si ripromisero di rincontrarsi poi a Gerusalemme. Una notizia esplicita della predicazione di Giacomo in Spagna si trova nel Breviarium Apostolorum, divulgazione del VII secolo di un testo bizantino15, in cui ciò che qui sottolineiamo è stato interpolato dal traduttore (dato che nel testo greco non ve n’è traccia): «Giacomo, che vuol dire colui che soppianta16, figlio di Zebedeo, fratello di Giovanni; questi annunciò il Vangelo in Spagna e nelle terre d’Occidente e morì ucciso di spada (decapitato) sot-

8. Trasporto via mare del corpo di san Giacomo, col cavaliere che emerge accanto alla barca, bassorilievo del XVIII secolo in Plaza de las Platerías, Santiago de Compostela. 9. Traslazione del corpo di san Giacomo, incisa su una moneta coniata durante il regno di Ferdinando II di León (1157-1188). Ben presto anche su oggetti d’uso frequente come le monete vennero rappresentati episodi salienti della vita dell’apostolo.

Si dà, a questo punto della vicenda, un fenomeno che si fatica a comprendere e che tuttavia si incontra spesso nella storia della Chiesa: l’oblio e lo smarrimento di memorie pur carissime. Anche della sepoltura di san Giacomo dunque si persero le tracce, e ne rimase una vaga memoria, orale e custodita con segretezza. Simili vicende risultano però comprensibili se si considera da un lato il continuo scorrere di eserciti e l’avvicendarsi di guerre e razzie nell’Europa, invasa poco dopo questi fatti da popoli germanici e slavi; dall’altro che è sufficiente che una sola generazione non trasmetta la tradizione, che per esigenze di segretezza si debba riservarla a pochi – non dimentichiamo le ondate ricorrenti delle persecuzioni –, che si disperdano pochi preziosi testimoni, per smarrire forse per sempre un ricordo. È incredibilmente facile che si perdano memorie. La storia della Chiesa è piena di reliquie perse e ritrovate. Sulla facilità dello smarrimento di una memoria pur preziosa, soprattutto in tempi difficili, abbiamo già detto: il ritrovamento poi, spesso invocato in momenti perigliosi come aiuto e sostegno alle durezze dei tempi, sia che risulti la confer-

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ma di tradizioni più o meno precise, sia che avvenga in modo del tutto fortuito e inatteso, è sempre vissuto come un segno della benevolenza divina, dell’aiuto nella diuturna lotta contro i nemici interiori della rilassatezza, dell’indifferenza, della tiepidezza, dell’allontanarsi da Dio, e come anche contro nemici esterni quali malattie e contagi, sciagure naturali, e soprattutto contro guerre e invasioni29. Le reliquie e le concrete memorie in genere rivestono per i cristiani – e non solo per essi – una grandissima importanza. Sono il segno tangibile di un fatto storico, sono la testimonianza della materia, della carne, del sangue, delle ossa, del fatto che gente comune può aderire a Cristo e vivere in Dio fino all’estremo confine del sacrificio: e se ciò è stato possibile per loro, perché non per ciascun uomo? Le reliquie attirano i cristiani, che desiderano stare materialmente presso di esse, toccarle e avere così il beneficio di una partecipazione alla vita divina: sono vere ierofanie, e nel tempo sono state provvidenzialmente aumentate, perché alle memorie di Cristo si sono aggiunte le reliquie dei martiri e dei santi, di quanti partecipano alla vita divina, spesso accompagnate da prodigi. Si sente nelle reliquie un «di più» di iniziativa divina che attira le folle. Per il beneficio che donano, le reliquie e la loro autenticità sono importantissime. Ma anche no: perché è la fede che salva, e nella materialità oggettiva della reliquia l’iniziativa divina si pone come in attesa degli uomini. Ricordiamo l’emorroissa di cui parla Marco (5,25-34), che volle toccare Gesù, il quale percepì la potenza trasferita da lui alla donna, e disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata». E uno si chiede sempre: mi avrebbe salvata? Ho fede? Muoverò le montagne? Toccare le reliquie è importante, innanzitutto per il dato oggettivo del contatto: ciò che era distante si è unito, chi era lontano si è fatto vicino. È un incontro: cambia. Si cambia perché si è entrati in contatto con qualcosa da cui non si può più prescindere, è come quando si guarda un caleidoscopio: con un gesto, tutto si sposta e si riorganizza, prende un’altra forma, mostra un’altra immagine. La realtà si riorganizza intorno a un altro centro: intorno al «centro». Da Gerusalemme a Padrón Nel tragitto tra Gerusalemme e la Spagna si incontrano i due momenti fondanti della storia del culto e del pellegrinaggio: quello della vita e del martirio di san Giacomo, e quello dell’identificazione di un sepolcro ritrovato in Galizia con la tomba dell’amato evangelizzatore, di colui che aveva dato, con l’annuncio del Vangelo, nuova e vera vita agli Spagnoli. Ritrovare poi il sepolcro di san Giacomo fu un segno grande, cui si aggiunsero in seguito altri prodigi, e confortò la gente di Spagna nel momento in cui riprendeva coraggio contro l’invasione araba. Ma bisogna sottolineare l’importanza del fatto che la tradizione relativa alla tomba, e quindi l’«attesa» del suo ritrovamento, come evento significativo e fondante per il popolo cristiano, viene prima dell’epopea della Reconquista, e vale proprio perché non nasce da essa, ma la precede30 e la supera. Il ritrovamento fu l’inizio di un culto esteso a tutta la cristianità, per il quale furono prodotte opere materiali e spirituali che ne testimoniano la profondità e il significato, e di cui è difficile sopravvalutare le conseguenze nella cultura europea.

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10. Teodomiro scopre il sepolcro di san Giacomo, particolare di una miniatura del Tumbo A, del 1125 ca. Archivio della cattedrale, Santiago de Compostela. Tumbo è termine che indica il libro dei privilegi di ogni chiesa, monastero, municipio e altre comunità. Nella fattispecie è il primo dei tre conservati (Tumbos A, B e C) presso la cattedrale di Santiago.

I testi fin qui visti ci parlano di una sepoltura di san Giacomo in Achaia Marmarica, luogo che si può identificare con la Marmarica, regione geografica nella parte orientale della Cirenaica. Ma alcune varianti della trascrizione, apparentemente erronee, riportano invece: archis marmaricis, da cui si dedusse che il santo fosse stato posto in una arca di marmo. Ciò è più plausibile e chiarifica tutto il complesso delle tradizioni: inoltre non fu di poco peso nell’identificazione dell’arca, ritrovata in Galizia in seguito a segni prodigiosi, con quella dell’evangelizzatore. Negli anni 812-814, dunque, il sepolcro fu ritrovato. Se possono rimanere incerti i contorni del ritrovamento per i suoi aspetti prodigiosi, la cui rela-

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zione è peraltro più tarda, è un dato di fatto che il ritrovamento ci fu. Il più antico documento che ne parla è di poco posteriore al fatto: si tratta del Martirologio di Floro di Lione31 (808-838), dove si legge: «Le sacre ossa del santissimo apostolo, portate in Spagna, e anzi nella parte più estrema di quelle terre, collocate di fronte al mare britannico, sono onorate di un culto universalmente diffuso»32. Ciò è riportato anche da Adone (850-860) nel Libellus de festivitatibus SS Apostolorum33: in entrambi i testi per la festa del santo si indica il 25 luglio. Altra testimonianza è nel già citato Martirologio di Usuardo († 877), dell’875 ca., che verrà poi sostanzialmente ripreso nell’aggiunta di Urbano VIII del 1631. Singolari conferme a queste testimonianze vennero molto tempo dopo, negli anni 1879-1880, in occasione di lavori di restauro della basilica: si rinvennero tre scheletri, uno dei quali aveva il capo separato dal corpo come per una decapitazione. Si fece in tale occasione un confronto con una reliquia custodita a Pistoia, che sarebbe stata donata, verso il 1350, al vescovo di questa città, Atto, dal vescovo di Santiago, Gelmírez: la reliquia di Pistoia risultò essere la parte mancante di quella di Santiago, e precisamente una parte del capo, l’apofisi mastoidea, che presentava ancora tracce di sangue come se il capo fosse stato staccato con un colpo di spada. In Santiago dunque si trovava il corpo di un decapitato, singolarmente accompagnato da quello di due persone, la qual cosa legava bene con la tradizione dei varones apostolicos sepolti accanto al santo. Papa Leone XIII promulgò allora la bolla Deus Omnipotens (1 novembre 1884), nella quale proclamava solennemente l’autenticità delle reliquie, confermando i privilegi per la basilica dell’apostolo. Chi all’epoca del rinvenimento del sepolcro fu certo che si trattasse di quello di san Giacomo, disponeva evidentemente di riferimenti e memorie che a noi mancano, e alla cui mancanza sopperisce oggi la testimonianza dell’esame delle reliquie. All’obiezione che si potrebbe fare, che cioè non si poteva, all’epoca del martirio, riaprire un sepolcro, si risponde facilmente ricordando le mille volte che alla stessa epoca vennero recuperati corpi di martiri, e che per di più Teodoro e Atanasio agirono di nascosto. Una soluzione poi di compromesso tra la tradizione suggestiva, ma facilmente tacciabile di improbabilità, della barca messa in mare senza guida e affidata ai venti, e l’incredulità, è stata presentata da Robert Plötz che, nel 1985 ha avanzato questa ipotesi: il corpo dell’apostolo venne donato all’epoca dell’imperatore Giustiniano (527-565) a un monastero sul monte Sinai; verso il 700, tre monaci, Atanasio, Teodoro e Pietro lo avrebbero trasportato a Saragozza, dove sarebbe stato sepolto nella basilica della Vergine del Pilar, da dove più tardi, e ancora viventi Teodoro e Atanasio, sarebbe avvenuta una terza traslazione, in Galizia34. Questa ipotesi rende conto di diversi elementi della tradizione: ricorrono i nomi dei discepoli, si conferma la sosta a Saragozza e il legame con la Vergine, e rimane anche l’idea di un percorso complesso. Sta di fatto comunque che all’inizio del IX secolo iniziò la terza fase dell’evangelizzazione di san Giacomo in Spagna, e alla tomba ritrovata cominciarono ad affluire Spagnoli e gente di altri popoli, dando inizio a un flusso ininterrotto di pellegrini a una nuova città costruita come ad corpus intorno al sarcofago e alla chiesa che lo protegge. Un nuovo inizio che fu anche una provvidenziale riposta alla domanda di libertà che veniva dagli Spagnoli, e confermava che il Signore che aveva fatto uscire Abramo da Ur dei Caldei e

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11. Santuario di San Juan de Baños, costruito al tempo di re Recesvindo, testimonianza della presenza cristiana del tardo VII secolo.

Mosè dall’Egitto, e il Figlio di Dio dal suo trono celeste per sollevare gli uomini dalla miseria del male, non mancava di suscitare luoghi di salvezza sperimentabile là dove gli uomini ne avevano bisogno, e che ancora si poteva dire: «Sul monte il Signore provvede»35. La Spagna tra i secoli VIII e IX Siamo qui ormai fuori da tradizioni leggendarie, e però è bello richiamare i prodigi che accompagnarono il ritrovamento. Ed è bene ricordare quali erano i tempi. La Spagna, terra di diversi gruppi celtici, venuta meno la stabilità del dominio romano, del quale peraltro era sempre stata insofferente (con due centri

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di indipendenza, l’uno nella Galizia e nelle Asturie, l’altro nella zona dei Baschi e dei Navarresi), era stata invasa dai Visigoti. Questi, muovendo dalla Scandinavia e dalle rive della Vistola, vi erano giunti nel V secolo. Già evangelizzati dal vescovo Ulfila, seguace dell’eresia ariana, passarono al credo romano per l’azione di Leandro di Siviglia, fratello di Isodoro e suo predecessore sulla cattedra episcopale della città: il re Recaredo, convertito dalla madre e dal vescovo Leandro, proclamò solennemente la sua conversione nel Concilio di Toledo del 589. Iniziò poco dopo la grande avanzata dell’islam36, che in breve guadagnò molte popolazioni: morto Maometto (Muhammad) nel 632, i califfi (vicari) ne avevano raccolto l’eredità spirituale e non solo, iniziando un’avanzata che strinse da est e da ovest la cristianità in una morsa, la cui stretta finale fu evitata in tempi successivi, e sempre in vario modo se ne ringraziò san Giacomo. Gli Arabi musulmani dunque, sotto la guida del condottiero Tarik, nel 711 passarono lo stretto di Gibilterra che da lui prese il nome, Gebel-el-Tarik (monte, rocca, di Tarik) e penetrarono nella Spagna che conquistarono stabilmente, dilagando in tutto il territorio. La dominazione araba in Spagna segnò per il Paese un periodo di prosperità e di splendore artistico e culturale, e non mancano segni di relazioni non solo bellicose ma di reciproca stima e rispetto tra musulmani e cristiani. Questo tuttavia non impedì che gli Arabi venissero sentiti, soprattutto nel Nord, come nemici della fede e conquistatori. Che fossero conquistatori era evidente, e inoltre l’islamismo diverge dal cristianesimo proprio sulla figura di Gesù, di cui nega la morte reale e quindi la resurrezione e infine la reale presenza fra gli uomini e tutto quanto ne consegue. Dopo l’invasione araba, solo alcuni territori del Nord (peraltro già insofferenti dei Romani ed eredi di diverse tradizioni preromane, e cioè la Galizia celtica, le Asturie, la zona dei Baschi e dei Navarresi) conservarono l’indipendenza37. Da qui, da piccoli regni visigotici38 cristiani indipendenti, nei quali ancora il re si nominava per elezione, partì la grande impresa della Reconquista: la terra, già cristiana e divenuta possesso degli Arabi, fu ripresa in una vicenda lunga cinque e più secoli di storia. Nel 718 i nobili cristiani visigoti, esuli dalle terre conquistate degli Arabi, si riunirono nelle Asturie, e si scelsero come re Pelayo, che pose la sede del suo piccolo regno a Cangas de Onís, e nel 722 sconfisse gli Arabi a Covadonga: fu la prima vittoria cristiana, che fruttò al re fama leggendaria e costituì l’inizio dell’epopea che terminò nel 1492. Pochi anni dopo, mentre ancora gli Arabi avanzavano verso est, passati i Pirenei furono fermati nel 732 da Carlo Martello, capostipite della dinastia carolingia, fra Tours e Poitiers: lo scontro, avvenuto il 17 o il 19 ottobre, fu emblematico della felice opposizione di Carlo Martello all’espansione araba. Nel 756 poi ‘Abd al-Rahman, sottraendosi all’autorità dei califfi, creò lo stato indipendente di Cordova. Il famoso e forse leggendario «tributo delle cento donzelle» che doveva essere pagato all’emiro di Cordova dall’epoca del re Mauregato39 esprime il sentire di allora. Tappa importante della liberazione dagli Arabi fu il 1250, quando rimase nelle loro mani solo il regno di Granada: quando poi questa città fu conquistata, nel 1492, sulle torri dell’Alhambra si issò la bandiera di san Giacomo. Troviamo poi Giacomo ancora presente alla battaglia di Lepanto, del 1571: lo stendardo di don Giovanni d’Austria, ha campeggiato come ex voto regale per secoli nella navata della cattedrale di Santiago. Nel 1676 san Giacomo fu proclamato patrono della Polonia nella guerra contro i Turchi, e alla

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12. Mihrab della Grande Moschea di Cordova, la cui costruzione ebbe inizio nel 785. Il mihrab è la nicchia della moschea a cui guardano i fedeli oranti: indica la direzione di Mecca.

sua protezione si affidò Giovanni III Sobieski re di Polonia, che li sconfisse nel 1683 nella battaglia di Vienna, con la quale fu fermata la loro avanzata da est, via terra. Il senso della storia Sarebbe limitativo del valore del culto di san Giacomo e del valore del pellegrinaggio al suo sepolcro vederlo esclusivamente legato alla lunga storia della Reconquista. È, se mai, vero il contrario, ossia che questa si alimentò della venerazione verso il santo.

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Inoltre non bisogna dimenticare che l’annunciatore del Vangelo viene sempre considerato il fondatore della comunità, che un tempo non si distingueva in religiosa e civile. San Giacomo, che aveva portato la luce di Cristo alle genti di Spagna, era considerato il fondatore. Il senso e il fondamento di questa vicenda, il culto universale a san Giacomo, divenne centro originale di riferimento e di identità: fu simbolo di fermezza e di difesa della fede, e trascese per il suo valore le vicende storiche di cui pure fu protagonista. Se esse aggiunsero valore al culto dell’apostolo, questo peraltro le trascese proprio per la ricchezza universale di contenuti e per l’essere divenuto luogo d’incontro – di colloquio, di scambio, di comunicazione – di tutti i popoli d’Europa. 24

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13. Lunetta del portale della chiesa di San Félix de Solovio a Santiago de Compostela, con chiari elementi mozarabici. Secondo la tradizione la chiesa sorge sul luogo legato alla scoperta del sepolcro dell’apostolo: lì viveva l’eremita Pelayo (o Paio). L’attuale chiesa risale alla ricostruzione voluta dal vescovo Diego Gelmírez dopo le distruzioni operate da al-Mansur. Nella lunetta, del 1316, che presenta ancora notevoli tracce di cromia, è raffigurata l’Adorazione dei Magi. Il Magio giovane, che rappresenta l’Africa, è per la prima volta nero.

14. Croce apocalittica asturiana e adorazione di saggi davanti all’Agnello (vedi Ap 5). Dal Beatus di León, f. 6v, opera di Facondo realizzata nel 1047 per il re Ferdinando I e la regina Sancha. Biblioteca Nacional, Madrid. Le croci sono dette «apocalittiche» quando al braccio orizzontale sono appese le lettere Alfa e Omega, prima e ultima dell’alfabeto greco, simbolo dell’inizio e della fine della vicenda terrena.

Una nuova evangelizzazione Quando i piccoli regni si stavano unendo per riconquistare la libertà, nell’812 (e comunque prima dell’814) il vescovo della diocesi della città di Iria Flavia (questo il nome latino di Padrón), Teodomiro, fu avvisato da un eremita (il cui nome, riportato anni dopo, è, secondo la tradizione, Pelayo: aveva cioè lo stesso nome del re delle Asturie che guidò l’inizio della riscossa) di fenomeni luminosi, come l’apparire di una luce, di una stella, che, scendendo dal cielo, indicava una piccola costruzione in un luogo, un campo aperto, che in epoca romana era stato un cimitero, poi abbandonato e dimenticato. Avvicinatosi, Pelayo aveva visto, tra canti angelici, un’arca di marmo. SAN GIACOMO

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Pelayo, che viveva solitario in un luogo chiamato Solovio nel bosco detto di Libredón (attualmente, si trova nella città di Santiago e vi sorge la chiesa di San Félix o San Fizde Solovio), attendendo un qualcosa che non conosceva, ma che sapeva di dover attendere, è come l’incarnazione della Spagna che attendeva di ritrovare il suo primo evangelizzatore. Il vescovo, presago di una scoperta eccezionale, si preparò con un digiuno di tre giorni a seguire le indicazioni dell’eremita, e, «accompagnato da tutti i fedeli, si portò al campo e scoprì il sepolcro di san Giacomo coperto di lastre di marmo»40. Il testo proviene dalla Concordia di Antealtares di cui diremo tra pochissimo. Come è stato rilevato, non è affatto indifferente la relazione di ciò che si presentò agli occhi del vescovo, perché fu il dettaglio di ciò che vide che gli consentì di identificare subito la sepoltura come quella del santo41. Altri testi che riportano il fatto sono sostanzialmente concordi42 con quanto riporta Teodomiro, che riferì di aver trovato una piccola camera funeraria con copertura a volta in marmo, con tombe e un piccolo altare che sormontava quella che era evidentemente la più importante: non esitò dunque a riconoscere la tomba dell’apostolo e i resti dei due discepoli che l’avevano riportato in Spagna. 26

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15. Il sogno di Carlo Magno, particolare di una miniatura del Codex Calixtinus, 1330 ca. Archivio della cattedrale, Santiago de Compostela.

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16. San Giacomo a cavallo, particolare di una miniatura del Codex Calixtinus, 1330 ca., scriptorium della cattedrale di Santiago de Compostela. Biblioteca dell’Università, Salamanca. Questa iconografia dell’apostolo è una delle più antiche fra quelle posteriori al ritrovamento del sepolcro e legate alla sua azione nella Reconquista.

La chiesa ad corpus e il monastero Era allora re di Francia Carlo Magno43 e re delle Asturie Alfonso II il Casto (791-842). Teodomiro fece subito avvertire Alfonso II, che si distingueva per la sua fede ed era detto «religiosissimo»44, il quale subito rese omaggio all’apostolo. Volle inoltre la rapida costruzione di una chiesa per custodirne le reliquie, e intorno a essa definì uno spazio sacro, a forma circolare, di ampiezza determinata secondo le norme canoniche allora in uso: tale spazio venne indicato come il Locus Sancti Jacobi, con una espressione che implica l’idea di un possesso, e fu il cuore della storia che venne dopo. SAN GIACOMO

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Inoltre costituì un monastero, dedicato a san Pietro (san Paio), sotto la guida di Ildefredo, abate di grande santità, con non meno di dodici monaci perché custodissero le spoglie dell’apostolo e «sopra il corpo dell’apostolo cantassero l’ufficio divino e celebrassero assiduamente messe»45. Questo è molto importante per noi sia per la sua evoluzione, che vedremo più avanti, che per un documento, del 17 agosto 1077, che lo riguarda: documento da cui sono tratte le sopra riportate notizie, noto come la Concordia de Antealtares, redatto per fissare gli accordi fra il vescovo di Iria Flavia Diego Peláez e san Fagildo, abate del monastero. Vi si trova il più antico resoconto dell’inventio delle reliquie, e naturalmente documenta quanto allora si sapeva e riteneva di quel ritrovamento e del culto di cui furono subito oggetto. Un nuovo sepolcro Teodomiro volle poi aggiungere la sua personale testimonianza alla tradizione che l’aveva portato ad identificare il sepolcro dell’apostolo: quando morì, il 20 ottobre 847, invece che nella sua sede di Iria Flavia, volle essere sepolto accanto a san Giacomo. Nel 195746 durante gli scavi effettuati nel sottosuolo della cattedrale di Santiago de Compostela, si rinvenne il suo sarcofago, sul quale era incisa, insieme a una croce asturiana, la seguente epigrafe: IN HOC TVMVLO REQUIESCIT / FAMVLVS D(E)I THEODEMIRVS / HIRIENSE SEDIS EP(ISCOPU)S QVI OBIIT / XIII K(A)L(EN)D(A) N(OVEM)BR(I)S ERA DCCCXXXXVII47. San Giacomo in battaglia

17. Giovanni Francesco da Rimini, Miracolo dell’impiccato, prima metà del XV secolo. Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. L’episodio è stato riprodotto in tutta Europa in numerose miniature, affreschi, stampe e dipinti, diffuso anche attraverso il teatro e le sacre rappresentazioni. 18. Veduta posteriore del coronamento a vela della cattedrale di Santiago. La statua di san Giacomo si affaccia su Plaza de Obradoiro.

Nell’842 divenne re Ramiro I, anch’egli impegnato nella lotta contro gli Arabi. Si era prima di una battaglia che il re non si decideva ad affrontare: gli apparve allora in sogno il santo, e gli promise vittoria certa se avesse attaccato per primo il giorno dopo. Il re illustrò la visione ai suoi dignitari, li convinse e attaccò. L’apostolo stesso scese allora in battaglia su di un cavallo bianco, con un bianco vessillo con una croce rossa, impugnando la spada, e facendo strage di Mori. Ciò accadde a Clavijo, diciassette chilometri da Logroño: nacque qui una delle più popolari iconografie del santo, il Santiago Matamoros. La vittoria ebbe anche come esito la sospensione del tributo delle cento donzelle, sostituito da un contributo annuo al santuario, che tuttora viene pagato dal re, dopo una sospensione dal 1812 al 1936. La vittoria, conseguita al grido «Adiuva nos, Deus et Sancte Jacobe!», forse non fu proprio di Ramiro, c’è anche chi considera la battaglia stessa leggendaria, e ne vuol nata la fama da quella di Simancas, del 939, conseguita da Ramiro II e storicamente più certa. Il significato è lo stesso: Santiago non abbandona i suoi, la presenza divina non è un sogno ma un fatto, un’azione nella storia.

go dell’Arca Marmorea», che divenne poco dopo Locus Beati Jacobi, poi Locus Sancti Jacobi, il Possesso di san Giacomo: come una dichiarazione di appartenenza. Una seconda cattedrale fu edificata, sopra la prima, per volontà di Alfonso III (866-910) e del vescovo Sisnando (880-920), e fu consacrata solennemente nell’899. Ciò promosse grandemente il locus, che divenne ormai una villa, un paese, grazie all’insediamento stabile di quanti in qualunque modo si dedicavano alle attività legate al pellegrinaggio, sempre più frequentato. Il suo successore, Ordoño III, fece di Santiago un posto eccezionale: nel 915 promise infatti la libertà a tutti coloro che, uomini o donne, già soggetti a servitù nelle campagne, fossero riusciti a risiedervi quaranta giorni senza che i loro signori li reclamassero. Da allora il territorio di Santiago si allargò sempre di più. Ma verso la fine del secolo al-Mansur48, ministro del califfo di Cordova, che approfittando di un periodo di anarchia fra i piccoli regni del Nord volle consolidare il potere arabo con una serie di gravi razzie, nel 997 giunse fino a Santiago e distrusse la città, ma si fermò davanti al sepolcro del santo: e questo rispetto ebbe grande risonanza. Il vescovo Cresconio (1037-1066) restaurò le mura e costruì un più forte e nuovo sistema difensivo: si parla ormai di una villa burgensis. Nel 1065 compare un nuovo nome: Compostela, la cui etimologia è dubbia. C’è chi vuole farla risalire a Campus stellae, Campo della Stella, e chi invece a Compositum tellus, sepolcro, cimitero. Si comincia a formare il nome completo della città: Villa Sancti Jacobi, città di san Giacomo, di cui trovarono le reliquie nel Campo della Stella (o del cimitero, a seconda dell’etimologia che si sceglie), cioè Santiago de Compostela. Nel 1075 il vescovo Diego Peláez fece iniziare la grandiosa basilica romanica che ancora oggi vediamo, e si accordò nel 1077 con l’abate di San Pedro di Antealtares, monastero che dovette essere in parte abbattuto per far posto alla nuova costruzione, riportando la tradizione nella sopracitata Concordia. Nel 1095 una bolla di papa Urbano II (5 dicembre) trasferisce ufficialmente la sede vescovile da Iria Flavia a Santiago. Col suo successore, Diego Gelmírez, si parla ormai di una civitas: con lui si ha anche la composizione della Historia Compostellana, la cui narrazione è in seguito completata dal Chronicon Iriense (XI-XII secolo), in cui sono riportate nuovamente tutte le tradizioni sul ritrovamento del sepolcro.

La cattedrale intorno al sepolcro Un tradizione, forse solo letteraria, vuole che il primo nome dato al luogo del ritrovamento del sepolcro sia stato Libredón, dal latino Liberum Donum, perché il santo e il suo ritrovamento erano un dono di Dio. Prima ancora il nome accertato era stato Locus Arcis Marmaricis, cioè «luo18

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1. Baldassarre segue la stella, particolare dell’antependium ligneo dell’altare di Mosoll, primo quarto del XIII secolo. Museu Nacional d’Art de Catalunya, Barcellona. Baldassarre, come gli altri due Magi, è il prototipo per eccellenza dei pellegrini.

La storia di un pellegrinaggio nel suo insieme è sempre complessa: non è mai fenomeno isolato, e i protagonisti sono strade, luoghi, edifici, e soprattutto persone ed eventi. Da essa è possibile trarre il «senso» di un pellegrinaggio: la direzione ultima, la meta verso la quale sostanzialmente andavano e vanno coloro che lo compiono. Il pellegrinaggio a Santiago, caratterizzato fin dal suo inizio da una grande rilevanza e da una notevole carica simbolica, si inserisce nella storia dei pellegrinaggi cristiani, come fenomeno di eccezionale portata, per la qualità della meta e per l’afflusso dei pellegrini. A loro volta i pellegrinaggi cristiani fanno parte del più ampio fenomeno dei pellegrinaggi, che si inserisce nel quadro dei grandi gesti religiosi dell’umanità, attraverso i quali gli uomini si mettono in contatto con quel Mistero – che è trascendente e però si rivela in continuazione e si rende presente – che chiamano Sacro1, da cui sentono dipendere la loro vita da quando hanno alzato gli occhi al cielo e hanno visto il firmamento, rivelazione primordiale, ierofania che ha fatto emergere la domanda ed è stato ed è risposta altissima e consolante all’incombente presenza della morte e del male, affermando che essi non sono il destino ultimo, l’ultima parola sull’umanità e su ciascun uomo. È bene qui ricordarlo, perché le stelle sono la guida del pellegrini, e il Cammino di Santiago non a caso porta in sé un costante riferimento alle stelle. Mircea Eliade ha espresso sinteticamente questo evento delle origini che ha lasciato un’impronta indelebile nel modo stesso di pensare degli uomini, che da quel primo ammirare non hanno più potuto neppure pensare il loro destino senza farvi riferimento: «Il cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un’esperienza religiosa [...] La categoria trascendente dell’altezza, del sopraterrestre, dell’infinito, si rivela all’uomo intero, alla sua intelligenza non meno che alla sua anima. Il simbolismo è un dato immediato della coscienza totale [...] queste scoperte primordiali sono legate al suo dramma in modo tanto organico che lo stesso simbolismo determina sia l’attività del suo subcosciente, sia le più nobili espressioni della sua vita spirituale [...] Il cielo “simboleggia” la trascendenza, la forza, l’immutabilità, semplicemente con la sua esistenza. Esiste perché è alto, infinito, immutabile, potente»2. Ai luoghi dei segni, delle ierofanie di questa Presenza, ai luoghi del Sacro, gli uomini hanno iniziato ad «andare», lasciandosi alle spalle ogni sicurezza, in incertezza totale, per trovarvi la propria verità. Ogni pellegrinaggio si inserisce in questo contesto universale, dell’uomo che cerca il Sacro e ogni sua manifestazione per partecipare alla sua vita e superare il male che si presenta, e nella storia delle religioni ogni caduta è l’inizio di un esilio da cui si anela tornare. Lo stare e l’andare, con i connessi simbolismi e la relativa dialettica, intridono la storia delle religioni e la storia del cristianesimo. IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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Il cammino, il camminare, il viaggio, sono divenuti metafora dell’intera condizione umana, con tutto il loro universo e le loro implicanze: percorsi di terra e di mare, tempeste e bonacce, labirinti e deviazioni, mutazioni di tempo, salite e discese, fatica e riposo, soste, osterie e osti, incontri, pericoli e soccorritori, seduzioni e miraggi, partenze, ritorni e ancora partenze e altro ancora. Ciò rende ragione dell’importanza data a tutti gli aspetti materiali di ogni pellegrinaggio, quale che sia il mezzo scelto per effettuarlo. Presso gli Ebrei la via è sinonimo di vita: l’uomo giusto cammina davanti a Dio, e le metafore prese dall’andare si moltiplicano; Adamo ed Eva vengono allontanati dal Paradiso terrestre e iniziano una peregrinazione spirituale in cui appunto il camminare è sinonimo e simbolo del vivere. Gli Ebrei 32

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2. La dimensione della vita come cammino, miniatura fiamminga del XIV secolo, dal Pelerinage de la vie humaine di Guillaume de Diguleville. Bibliothèque Royale Albert I, Bruxelles. Da rilevare che la miniatura mette in guardia il pellegrino, rappresentato a sinistra,contro le tentazioni diaboliche rappresentate dalla figura di destra. L’immagine del fiume ricorda che il loro attraversamento era momento pericoloso e altamente simbolico dell’intero viaggio. 3. Due scene della vita di Raimondo Lullo: il pellegrinaggio alla Vergine di Rocamadour e quello a Santiago de Compostela. Thomas le Myesier, Electorium parvulum. Badische Bibliothek, Karlsruhe. Il beato catalano Raimondo Lullo (1235-1316),che abbandonò una vita licenziosa dopo unpellegrinaggio a Santiago de Compostela, fu uomo di profonda cultura e divenne famoso missionario.

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4. Cristo pellegrino e i discepoli di Emmaus, monastero di Santo Domingo de Silos, XII secolo. Cristo è il primo pellegrino e la conchiglia sulla sua scarsella valorizza l’importanza del pellegrinaggio a Santiago.

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pellegrinavano a tutti i luoghi in cui Jahvè aveva loro parlato direttamente3; Abramo viene invitato a lasciare la sua terra per andare a Canaan; gli Ebrei dovranno lasciare l’Egitto e attraversare il mare per giungere alla terra promessa; il viandante della parabola del Buon Samaritano fa tutti gli incontri del viaggio (i briganti, gli indifferenti e il Buon Samaritano, un oste). Gesù stesso sarà sempre in cammino, e lui, modello dell’umanità, vaga senza luogo ove poter posare il capo, e mostra agli uomini la via per tornare al Padre: anzi, è Lui la Via (Giovanni 14,6), e dei viandanti si fa compagno; nel Codice Callistino leggiamo: «Lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, mentre tornava a Gerusalemme dopo esser risuscitato dai morti, è stato il primo pellegrino»4, e nel monastero di Santo Domingo de Silos è presentato come il primo pellegrino tra i discepoli di Emmaus, ed è identificato come tale per la bisaccia che porta con la conchiglia compostelana. Dopo l’incarnazione i pellegrini cercano Gesù, i suoi luoghi, e i luoghi dei suoi amici. Iniziano così i pellegrinaggi cristiani, verso Gerusalemme dove Cristo stesso fu il primo martire; là lo segue per primo Stefano, il protomartire per eccellenza; con la missione degli apostoli, la scena si allarga, e Roma diviene il teatro della testimonianza di Paolo e di Pietro5 e di tutti gli altri martiri. Dopo il 3136 ebbero nuovo impulso anche i viaggi verso la Terra Santa, e ci piace qui ricordare che fu molto probabilmente dalla Galizia, dove nel frattempo, stando alla tradizione, era giunto il corpo di san Giacomo, che venne 34

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5. Cristo pellegrino sulla via di Emmaus, tavoletta in avorio del XII secolo. Pierpont Morgan Foundation, The Metropolitan Museum of Art, New York. La frequenza delle rappresentazioni della scena di Emmaus sottolinea l’importanza del pellegrinaggio: ospitare un pellegrino è come ospitare Cristo. 6. Cristo pellegrino, particolare dell’affresco della scena di Emmaus raffigurata nella cappella di Saint-Antoine, Bessan.

7. Copia del IX secolo del cosiddetto Itinerarium Aetheriae, racconto di Eteria, o Egeria, del proprio pellegrinaggio in Terra Santa. Questo diario redatto nel IV secolo è importantissimo per le informazioni sul viaggio, gli ambienti e la liturgia in Terra Santa.

in pellegrinaggio a Gerusalemme, verso il 380, una donna, chiamata in modi diversi, Eteria, Egeria, e anche Silvia, che ci ha lasciato un diario di viaggio, Peregrinatio Aetheriae, o Itinerarium Aetheriae, primo esempio cristiano di letteratura odeporica. Eteria, precisa nel resoconto del suo viaggio, fu poi lodata dal monaco galiziano Valerius Bergidensis, cioè Valerio del Bierzo7. Il fenomeno dei pellegrinaggi conobbe da allora una grande evoluzione, ed è evidente che ci si trova davanti a un complesso «vivo»: divennero mete anche i luoghi della memoria di santi monaci in Oriente, i luoghi di reliquie particolarissime come il «Volto Santo» a Edessa8, e i luoghi del martirio di apostoli ed evangelisti9. Ma poco dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, le invasioni dei Goti, la successiva guerra greco-gotica (535-553)10, che contrappose l’Impero d’Oriente ai Goti, portarono al declino di Roma. In seguito si diede l’evento che di nuovo segnò un cambiamento e spostò l’asse dei pellegrinaggi. Dalla metà dell’VIII secolo i seguaci di Maometto conquistarono rapidamente la Palestina, la Siria e l’Egitto, e la Terra Santa divenne meno accessibile. In Europa intanto nuove nazioni si andavano formando, e alle loro origini spesso furono santi martiri, confessori e sovrani, che divennero emblema delle identità nazionali ed esempi di vita. Si affermarono allora, come desiderabili, mete quali la sepoltura di san Martino a Tours (che sarà nei secoli successivi capotesta di uno dei cammini francesi verso Santiago de Compostela), o i luoghi della memoria di san Patrizio in Irlanda (il cosiddetto Purgatorio di san Patrizio) e soprattutto quel grande IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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complesso di pellegrinaggi che prese il nome di «via Michelita», che attraversa tutta l’Europa unendo i diversi luoghi in cui si ricorda la presenza dell’arcangelo Michele11. Comparvero i primi pellegrinaggi mariani: il santuario di Our Lady of Glastonbury in Gran Bretagna (VI secolo) e quello della Madonna degli Eremiti di Einsiedeln. Questo il contesto in cui avvenne il ritrovamento, peraltro atteso, della tomba di san Giacomo, rinvenuta nell’814, che segnò l’inizio di una nuova stagione di pellegrinaggi: le numerose vie verso di essa, che si intersecarono con quelle verso i luoghi di san Michele e in particolare verso la Puglia, ponte verso la Terra Santa, e, successivamente, a partire dal 1087, sede della nuova sepoltura di san Nicola a Bari12, costituirono come le vene in cui dall’Atlantico all’Oriente circolò il sangue di un nuovo organismo che si andava costituendo. La devozione a san Giacomo era diffusa ben prima del ritrovamento del suo sepolcro, come attesta in particolare un inno composto tra il 783 e il 78813, noto con il suo verso iniziale, O Dei Verbum Patris, che definisce Giacomo «il più santo apostolo, che rifulge come capo aureo della Spagna», di cui è protettore (tutor) e patrono (patronus)14. 36

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8. Transetto sud della cattedrale di Chartres, particolare della lunetta del portale destro, con scene della pietà di san Martino. L’episodio qui rappresentato, nel quale Martino divide il suo mantello col povero sulla strada, fa del santo un protettore dei pellegrini.

9. Croce di san Patrizio, XI secolo, Kells. Le croci celtiche si caratterizzano per il cerchio che circonda l’incrocio dei due bracci e che rimanda simbolicamente alla divinità di Cristo e all’universalità della salvezza. 10. Il pozzo di San Patrizio, particolare dell’affresco di scuola senese del 1346, attribuito a Jacopo di Mino del Pellicciaio. Monastero di San Francesco, Todi. Il diffondersi delle iconografie su lunghe distanze è testimonianza della notevole mobilità sulle vie di pellegrinaggio.

Il sepolcro dell’apostolo fu riscoperto l’anno della morte di Carlo Magno, e il legame del re e della Francia con san Giacomo fu in seguito ribadito e strutturato. Subito iniziarono i pellegrinaggi, ampiamente favoriti e protetti: si indica oggi come «Cammino primitivo» la via dei signori asturiani che resero omaggio al sepolcro compiendo come un primo pellegrinaggio. Anche il legame con i sovrani delle Asturie è attestato dal sopracitato inno, in cui l’acrostico presenta il nome di re Mauregato, uno dei sovrani che guidarono la Reconquista. La sepoltura di san Giacomo, che si attestò come una delle tre peregrinationes maiores, insieme a quelle a Roma e a Gerusalemme, era unica per diversi motivi. In essa infatti si trovava, dopo una vicenda abbastanza lineare, il corpo dell’apostolo che per primo col martirio imitò Cristo, cui, secondo il Codice15, è, rispetto agli altri apostoli, più simile nella gloria. Tutto concorre ad assimilare Giacomo a Cristo: il suo corpo poi è eccezionalmente intatto, probabilmente proprio per essere stato così a lungo nascosto (è vanto infatti che nessuna parte ne sia stata asportata, tranne la picIL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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11. San Michele, lamina in rame dorato, VIII-IX secolo, Monte Sant’Angelo (Foggia). È questa una delle più antiche raffigurazioni dell’arcangelo legate al pellegrinaggio michelita. 12. Facciata del santuario di San Michele, Monte Sant’Angelo (Foggia), che costituisce il capotesta meridionale del pellegrinaggio michelita. 13. Santuario di Mont Saint-Michel au péril de la mer, in Normandia. 14. Scorcio del santuario di Mont Saint-Michel au péril de la mer, in Normandia, capotesta settentrionale sul continente della via Michelita, che trova il suo punto più estremo in Saint Michael’s Mount in Cornovaglia.

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15. Complesso della Sacra di San Michele (Torino). È posto circa a metà strada fra gli estremi meridionale e settentrionale nel continente. 16. Portale superiore dello Scalone dei Morti della Sacra di San Michele.

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cola reliquia donata a Pistoia) e giunse prodigiosamente in Galizia, dimostrando la volontà divina che proprio là l’apostolo fosse venerato, volontà ribadita dal ritrovamento miracoloso. Iniziati i pellegrinaggi, almeno per il Cammino che qui chiamiamo europeo siamo di fronte al definirsi di un percorso nuovo – il più breve peraltro dai Pirenei alla Galizia –, che si arricchì di strutture sorte appositamente per la protezione e il sostegno dei pellegrini. Nel 95016 Gotescalco, vescovo di Le Puy in Francia, era alla testa di un folto gruppo di pellegrini, che risulta il primo da fuori Spagna guidato da un vescovo; poco dopo venne Cesario di Montserrat (959 ca.), mentre i pellegrinaggi popolari si susseguivano frequentissimi. Documenti dell’XI secolo mettono inoltre in evidenza il fatto che il percorso univa Roma a Santiago, e il Cammino viene indicato come la strada che da tempi antichi era stata realizzata per coloro che andavano e tornavano da san Pietro a san Giacomo apostolo17. I pellegrini divennero così numerosi e di provenienza così diversa che non solo diedero luogo alla costruzione di molteplici ponti, ospizi e ospedali per il loro sostegno, ma suggerirono un’opera che tra le altre si distingue e aggiunge un ulteriore elemento di eccezionalità a Santiago, e cioè la prima «guida», nata per essere tale, cioè per indicare la strada. IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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17. Veduta da sud-ovest della Lady Chapel nel complesso del santuario di Our Lady of Glastonbury, Somerset, Inghilterra. 18. Fontana dei pellegrini sul grande sagrato del santuario della Madonna degli Eremiti, Einsiedeln, Svizzera. 19. Veduta dall’alto della basilica di San Nicola a Bari, XII secolo. San Nicola è considerato protettore dei pellegrini e dei naviganti; la basilica barese divenne meta di pellegrinaggio e ponte tra Oriente e Occidente dopo il pio furto delle sue reliquie da Mira e il loro trasporto a Bari nel 1087. 20. Carità di san Nicola, che, attraverso la finestra, mette una borsa di denaro nella casa di tre fanciulle per la loro dote. Particolare della lunetta del portale destro del transetto sud della cattedrale di Chartres. Per questo episodio Nicola è patrono della carità anonima. 20

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Il Codice Callistino o Liber Sancti Jacobi18 è un testo monumentale, la cui scrittura e compilazione è stata attribuita in linea di massima all’ambito francese, in particolare cluniacense, e in particolare ad Aymeric Picaud, chierico vagante che ne fece dono alla cattedrale di Santiago. L’opera, in cui traspaiono esperienze personali e risulta dalla compilazione di testi diversi, sapientemente composta probabilmente tra il 1139 e il 1173, testimonia la situazione e la considerazione del pellegrinaggio all’epoca19. La citiamo come Codice Callistino, nome che le deriva dal fatto che il suo autore l’attribuì a papa Callisto, già monaco cluniacense20 e forte fautore del pellegrinaggio. A lui risale, secondo papa Alessandro III il privilegio dell’anno giubilare: ogni volta che il 25 luglio cade di domenica, a Santiago è Jubileo Plenissimo, Año Santo Compostelano, e questo almeno dal 1126, anno in cui se ne ha notizia nella Cronaca di Alfonso VII. Papa Alessandro III nel 1179 confermò il privilegio del Giubileo, e citò i suoi predecessori che l’avevano ratificato e confermato: Callisto II (1119-1124), Eugenio III (1145-1153) e Anastasio IV (1153-1154). Il Codice raccolse ogni tradizione precedente, la conservò e la trasmise: ebbe ruolo importantissimo nel contribuire a definire e fissare l’immaginario 42

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21. San Giacomo appare in sogno a Carlo Magno. Il santo indica al re la via di stelle che conduce al suo sepolcro e gli chiede di liberarlo. Miniatura, Bibliothèque Municipale, Tolosa.

22. Reliquiario di san Giacomo in argento, opera di Lorenzo Ghiberti e collaboratori. Museo Capitolare, Pistoia. Contiene la scheggia dell’osso occipitale, unica parte mancante al corpo conservato in Spagna. 23. Traslatio in Galizia del corpo di san Giacomo. Particolare del dossale argenteo dell’altare della cappella di San Giacomo, cattedrale di San Zeno, Pistoia. L’intero dossale contiene le principali scene della vita del santo.

del Cammino e il legame con Carlo Magno. Nel libro IV, noto come la Cronaca di Turpino, per la prima volta il Cammino sulla terra viene posto in relazione con la Via Lattea: è «un cammino tracciato dalle stelle» che Carlo Magno nota in cielo. Dopo che Carlo l’ebbe osservato più volte, gli apparve san Giacomo come cavaliere di indescrivibile splendore, che gli si manifestò come l’apostolo Giacomo «il cui corpo riposa, all’insaputa di tutti, in Galizia [...] Ti annuncio che il Signore [...] ha prescelto te, tra gli altri, per preparare il mio cammino [...] Il cammino di stelle che hai potuto osservare nel cielo rivela che tu, raggiunta la Galizia [...] riuscirai a liberare il mio cammino e la mia terra e, infine, visiterai la mia basilica e il mio sepolcro. Dopo di te tutti i popoli si recheranno laggiù, dall’uno e dall’altro mare, per implorare il perdono delle proprie colpe e celebrare le lodi del Signore [...] Io sarò al tuo fianco in ogni momento» (cap. I). «Carlo, dopo aver visitato il sepolcro di san Giacomo, poté giungere a Padrón senza incontrare alcuna resistenza; lì scagliò in mare la sua lancia rendendo grazie a Dio e a san Giacomo per averlo guidato sin laggiù, in quel luogo mai raggiunto in passato» (cap. II). Per tre anni l’imperatore rimase in GaIL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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24. Incipit del Codex Calixtinus (XII secolo) con la raffigurazione di papa Callisto II. Archivio della cattedrale, Santiago de Compostela. Il libro V del codice ha costituito per i pellegrini una preziosa guida per alcuni secoli. 25. La torre dell’orologio del grande complesso monastico di Cluny, insieme alla vicina torre del battistero e al sottostante braccio destro del transetto, costituisce tutto ciò che rimane dell’abbazia dedicata ai santi Pietro e Paolo, che è stata la più grande chiesa fino alla costruzione della basilica di San Pietro a Roma.

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lizia, ingrandì e impreziosì la basilica e vi insediò un vescovo e alcuni canonici seguaci della regola di sant’Isidoro; in seguito edificò chiese dedicate a san Giacomo ad Aquisgrana, a Béziers, a Tolosa, in Guascogna, a Parigi (cap. V). Venuto meno per palese falsità storica il legame con Carlo Magno, è rimasto quello con le stelle. Nel libro V, detto Guida del Pellegrino, è riportata la scansione in tappe: Jaca, Monreal, Puente la Reina, Estella, Nájera, Burgos, Frómista, Sahagún, León, Rabanal, Villafranca del Bierzo, Triacastela, Palas de Rey, Santiago. L’indicazione precisa di questo percorso, se pure fu il prendere atto di un fatto, oltre a codificarlo e incrementarlo, lo arricchì di significato, e diede un «senso» a tutto quanto in esso si incontrava, mostrandolo non come un qualunque viaggio, ma come un itinerario verso il sacro, in cui ogni pietra è se stessa, ed insieme più che se stessa, modello di ogni pellegrinaggio. Non simbolo, ma avvenimento del procedere, attraverso incontri, tempi e luoghi, verso una «patria eterna»: così tutto quanto seguì si inserì naturalmente, nelIL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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la forma e nella sostanza, in quel tracciato. I gesti, evidenziandone il fine, divennero ritualità, si fissarono e si arricchirono, sino a fare del Cammino europeo un luogo unico, in cui tutto ciò che è materiale assume un più alto senso. Il modo di andare a Santiago divenne esemplare per ogni santuario e contribuì a definire le ritualità di ogni pellegrinaggio. Mentre il percorso si arricchiva di monasteri, ospedali, ospizi e cattedrali, ogni luogo in esso si avviava a divenire a sua volta meta e luogo di testimonianza per la presenza di santi e protettori dei pellegrini. L’affluenza non conobbe interruzioni: il periodo di maggiore splendore fu nei secoli XII, XIII, XIV. Il tempo della Riforma vide una flessione: ma il flusso riprese con vigore nel XVIII secolo, e conobbe dopo il 1989 un incremen46

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26. Interno della cappella palatina di Aquisgrana; fondata da Carlo Magno (VIII-IX secolo), era punto di riferimento ineludibile per i pellegrini della Germania settentrionale. 27. La Tour Saint-Jacques, del XIV secolo, è quanto resta della grande chiesa giacobea di Parigi, la cui fondazione è fantasiosamente attribuita dalla cronaca di Turpino del Codex Calixtinus a Carlo Magno: in essa si riunivano i pellegrini prima di affrontare la via Turonense, così detta perché passava da Tours, dove si venerano le reliquie di san Martino. 28. San Giacomo Maggiore, miniatura del Codex Calixtinus. Archivio della cattedrale, Santiago de Compostela.

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29. Il santuario di Sainte-Foy, XII secolo, Conques, tappa ambita dai pellegrini per la ricchezza delle reliquie che vi si potevano venerare. 30. Timpano del Giudizio finale, portale del santuario di Sainte-Foy, Conques. Il tema del Giudizio finale, specialmente quando posto in facciata degli edifici, è da considerarsi particolarmente legato al pellegrinaggio, perché costituiva un notevole incentivo a non interrompere il cammino.

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to notevolissimo. Ciò ha portato alla riscoperta e alla protezione del tracciato pedonale più antico, al sorgere di albergues (ostelli per pellegrini) in ogni paese: anzi proprio queste strutture di accoglienza hanno ridato vita a paesi piccoli e disabitati, ma dal passato glorioso. Per cui zone quasi abbandonate vanno ripopolandosi. Il pellegrinaggio sta «rifacendo» la Spagna del Nord creando nuove opportunità di lavoro. Il problema del tempo per effettuare il percorso, vivo soprattutto per i camminanti, è risolto dai pellegrini odierni effettuandolo in più riprese, e aspettando di averlo interamente compiuto prima di farsi dare la Compostela, il documento che attesta il percorso compiuto a piedi e per devozione. IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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Segni lungo il Cammino Le «frecce gialle» che oggi costellano il percorso e sono indispensabile riferimento per ogni viaggiatore e soprattutto per i camminanti, sono state precedute nel tempo da molteplici segni: che rendevano riconoscibile il pellegrino21 a chi lo incontrava, e il Cammino al pellegrino, che aveva e ha continuamente bisogno di conferme dell’essere sulla buona strada. Il pellegrino era riconoscibile anche solo dall’abito: era certo quello più adeguato a un viaggio, e il suo equipaggiamento divenne in breve distintivo della condizione di «povero di Dio», assimilato a Cristo. Il territorio dei cammini si costellò di segni. Il più grandioso è sicuramente la forma delle chiese: è possibile riconoscere una, per così dire, «famiglia» di chiese, dette «di pellegrinaggio». La loro pianta ha forma di croce e sorgono per custodire reliquie; per consentire lo scorrere dei pellegrini che vogliono toccare le reliquie e permettere contemporaneamente le azioni liturgiche, presentano navata e transetto molto ampi, con navatelle laterali percorribili senza disturbare le liturgie; l’abside poi è incoronata di cappelle che a loro volta custodiscono reliquie. Le più im50

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31. Particolare del Timpano del Giudizio finale: i tormenti dei dannati. Portale del santuario di Sainte-Foy, Conques. La rappresentazione dell’Inferno, dal punto di vista artistico molto più dinamica di quella del Paradiso, mettendo in evidenza il castigo, sollecitava i pellegrini a rimanere fedeli alla decisione di raggiungere la meta del pellegrinaggio. 32. Facciata della basilica di Saint-Sernin, inizio del XII secolo, Tolosa.

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portanti di queste cattedrali della cosiddetta «famiglia di San Giacomo» si trovano in Francia, e sono: Saint-Martin di Tours, Saint-Martial di Limoges, Sainte-Foy di Conques, Saint-Sernin di Tolosa22. Queste cattedrali hanno in comune, oltre alla forma, la presenza di sculture nel timpano del portale principale, in cui le figure si distribuiscono come per una teofania, con un preciso intento catechetico. Intento catechetico che è proprio anche di molte altre chiese sul Cammino, forse legato anche al fatto che gli stessi maestri artisti e artigiani passarono di cantiere in cantiere: una certa «intenzione dell’arte», oltre e per mezzo degli stili, è essa stessa «segno» del pellegrinaggio. Lungo la via poi si ritrovano, grigie e spesso un po’ muschiose, come il granito di Santiago, le croci che, innalzate su colonne di pietra, sono senz’altro il segno antico più frequente, e si fanno più ravvicinate mano a mano che ci si avvicina alla meta. Di fronte mostrano il Crocifisso, talvolta un segno eucaristico; dietro o a volte, sotto la croce, la Vergine col Figlio: lo porta, bambino, in braccio, o lo sostiene in una raffigurazione della Pietà. E in molti casi il braccio destro della croce indica la Galizia. 52

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33-35. Bassorilievi in marmo raffiguranti l’arcagelo Michele, la Majestas Domini e l’arcangelo Gabriele. Tornacoro della basilica di Saint-Sernin, Tolosa. 36. Deambulatorio della basilica di Saint-Sernin, Tolosa. Questa basilica, la cui zona absidale è dell’XI secolo, è una delle prime caratterizzate dal deambulatorio e dalle cappelle radiali, che in esso si aprono per consentire ai pellegrini le devozioni personali.

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Le vesti Per le condizioni e la lunghezza dei viaggi, la partenza era un rito solenne: qualunque ne fosse il motivo (voto, penitenza, semplice devozione), il pellegrino partiva dopo aver affidato la famiglia alla comunità (ma non era raro che partisse tutta la famiglia) e nel congedo con la benedizione si consegnavano solennemente le vesti, espressive della condizione del pellegrino. Gli abiti, dettati dalla necessità, assumono valore di simboli. Il cappello a larghe falde, per riparare da sole e pioggia tutta la persona, era detto «petaso» (dal latino petasus, a sua volta dal greco petannymi, allargo). Le mantelle, di panno, erano di due tipi: l’una corta, per non ingombrare il passo, veniva detta anche «sanrocchino», da san Rocco, il santo pellegrino romeo; l’altra era detta «schiavina»23: veste di tessuto spesso, con maniche e 54

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37. Particolare dell’affresco della cappella di Sant’Eraldo, abbazia di Novalesa, fine dell’XI secolo. Sant’Eraldo prima di intraprendere il pellegrinaggio riceve, oltre alla benedizione, il bastone e la bisaccia.

38. Andrea Bonaiuto, Trionfo della Chiesa militante (1366-1367), particolare con le insegne distintive del pellegrino: la conchiglia e l’immagine della Veronica sul cappello. La visibilità delle insegne era incentivo a compiere il relativo pellegrinaggio. Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Firenze.

cappuccio, lunga circa fino ai polpacci. Ma soprattutto diventano simboli la bisaccia (oggi uno zaino), il bastone e la borsa. Il bastone, alto e con puntale di ferro per non consumarlo e per difesa, era detto «bordone» (deve il suo nome a una razza di piccoli muli, incrocio di asina e cavallo, detta in latino tardo burdo, in francese antico bourdon): come a dire che era il mulo del pellegrino e reggeva il fagotto e la borraccia, di solito una zucca scavata. Esso è come un’altra gamba per i pellegrini, e rappresenta la fede nella Santissima Trinità, e difende dai cani (che abbaiando spingono al peccato) e dai lupi (che dopo il peccato divorano l’anima). Così veniva consegnato il bordone: «Ricevi questo bordone, sostegno del cammino e della fatica sulla via del tuo pellegrinaggio, perché tu possa vincere tutte le insidie del nemico e giungere sicuro alla tomba di san Giacomo e, compiuto il tuo cammino, ritorni a noi con gioia, con l’aiuto di Dio che viIL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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ve e regna per tutti i secoli dei secoli»; e così lo zaino: «Ricevi questa bisaccia come abito del tuo pellegrinaggio perché perfezionato e purificato meriti di giungere alla tomba di san Giacomo, che desideri raggiungere, e compiuto il tuo cammino ritorni a noi con gioia, con l’aiuto di Dio che vive e regna nei secoli dei secoli»24. La borsa, «scarsella», o «sporta», o «schirpa», è sacchetto piccolo, perché il pellegrino deve avere poco denaro con sé, e sempre aperto, segno della generosità di chi dà e della mortificazione di chi chiede, nonché del fatto che il pellegrino deve essere sempre pronto a donare e condividere: deve essere fatta di pelle di animale, la cui morte ricorda la mortificazione della carne del pellegrino. 56

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39. Santi Buglioni (1494-1576), Albergare i pellegrini, terracotta smaltata, fregio del portico dell’Ospedale del Ceppo, Pistoia. 40. Zaini di pellegrini davanti al portale della cattedrale di León.

41. Un gruppo di pellegrini francesi che indossano l’abito e le insegne del pellegrinaggio giunge in Plaza de Obradoiro a Santiago de Compostela.

Le insegne I pellegrini cucivano sui propri abiti o sulla falda del cappello le insegne della loro meta. Piccoli oggetti in metallo fuso25, o altri oggetti naturali trovati sul posto, costituivano come un salvacondotto che dichiarava il loro stato di «poveri di Dio» per eccellenza, da accogliere e sfamare, perché affidatisi in tutto alla provvidenza divina e alla carità umana. Le chiavi incrociate, come simbolo della sede di Pietro26, la Veronica27, la Porta Santa (dopo il 1300, istituzione del Giubileo romano) segnalavano i romei, che andavano a Roma; la Santa Casa indicava chi andava a Loreto; la IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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croce o le palme (a ricordo duplice: la palma dell’entrata di Gesù in Gerusalemme e la palma del martirio) chi andava a Gerusalemme. Anche minuscoli bordoni, bordoncillos, furono usati come insegne, e bordoneros erano detti i loro fabbricanti. La conchiglia era l’emblema di chi andava a Santiago e giungeva immancabilmente all’Atlantico: si tratta di un particolare tipo di conchiglia, Pecten maximus L., caratterizzato da nervature ricurve, che si trovava in grande quantità sulle coste atlantiche che i pellegrini raggiungevano dopo esser stati a Santiago, e riportavano come un documento dell’avvenuto viaggio28. In tal modo i pellegrini, ben identificati, avevano anche un proprio appellativo, ed erano jacobei29, palmiti, romei30. Per la frequenza però del pellegrinaggio a Santiago, la conchiglia divenne l’emblema del pellegrinaggio in genere, detta anche Pecten pilgrimea e la portavano tutti i pellegrini. La conchiglia è peraltro oggetto di forte simbolismo: fin dall’antichità alla conchiglia era attribuito il potere di scongiurare malefizi. Legata all’acqua, culla primordiale della vita, nella simbologia cristiana è l’immagine della tomba dalla quale l’uomo risorgerà con Cristo31. Il Codice specifica inoltre che le due valve della conchiglia rappresentano i due precetti della carità, verso Dio e verso il prossimo, e avendo sopra segni come di dita sono invito a perseverare nelle buone opere che le mani compiono: il pellegrino porta la conchiglia nel cammino così come deve portare il giogo del Signore nella vita sottomettendosi ai comandamenti32.

42-43. Miracolo dei galli e Miracolo dell’impiccato, affreschi della Jacobskapelle di Überlingen.

Iconografia Che il pellegrinaggio a san Giacomo sia irrinunciabile e abbia un aspetto penitenziale e purificatorio ineludibile è testimoniato da una tradizione emblematica legata alla Sicilia, e in particolare a Modica, che introduce anche una particolare iconografia. Assimilando l’Occidente estremo alla morte, il viaggio a san Giacomo in Galizia è ritenuto necessario per ciascun uomo: l’anima, emendata, potrebbe così partire serena per il proprio destino (il Giudizio finale). Il pellegrinaggio a Santiago risulta qui preparatorio all’ultimo viaggio, alla morte. È san Giacomo stesso che guida l’anima verso ovest lungo la Via Lattea, detta Viulu di san Jàbbicu, e per compiere il viaggio sceglie il momento dell’agonia, quando l’uomo, persi i sentimenti, è morto pur apparendo vivo. La Via Lattea è per l’occasione costituita da una sequela di spade messe di taglio, su cui l’anima corre, soffrendo, e il sudore del corpo e l’ultima lacrima manifestano il dolore. Per evitare il dolore di un tale viaggio, è bene farlo quando si è in forze: nei pressi di Modica c’è, presso la fiumara di Scicli, una chiesetta dedicata a san Giacomo, e a quella bisogna andare, per il 25 luglio, seguendo un preciso rituale di gesti e preghiere: fatto così lu viaggiu di san Jàbbicu, l’agonia sarà abbreviata e poco dolorosa33. 58

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Questa tradizione, presenta come non evitabile la penitenza purificatrice, sottolinea il carattere penitenziale del pellegrinaggio, e presenta san Giacomo come accompagnatore degli agonizzanti e intercedente per essi. Introduce all’iconografia di san Giacomo «avvocato», poco frequente ma presente, che tra l’altro trova, come molti tratti della tradizione jacobea, conferma nel Codice. Qui, trattando della morte di Carlo Magno, Turpino narra di aver visto, in estasi, una schiera di guerrieri di carnagione scura andare verso la Lorena (oltre la quale si trova Aquisgrana): a uno di essi chiese IL CAMMINO VERSO SANTIAGO

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dove andassero, e quello rispose che, come demoni, andavano a prendere Carlo per portarlo agli Inferi. Gli chiese allora di tornare a riferirgli: quello tornò poco dopo, e riferì che non l’avevano preso: «Un gagliego, privo della testa, ha posto sul piatto della bilancia così tante pietre e travi delle basiliche costruite in suo onore, che il peso delle buone opere di Carlo ha superato quello dei suoi peccati. Ci ha così strappato la sua anima e l’ha rimessa nella mani del sommo Re»34. Raramente comunque san Giacomo è rappresentato senza la conchiglia: la sua iconografia esprime bene come la storia di un santo non termini con la sua vita terrena, ma attinga le sue caratteristiche principali proprio alla vicenda successiva al suo dies natalis. Così l’iconografia di san Giacomo è quasi interamente in riferimento a ciò che accadde dopo il ritrovamento del suo sepolcro. Diversamente dagli altri apostoli, e contro la consuetudine di rappresentare i martiri con gli strumenti del loro supplizio, la rappresentazione più frequente non è quella con la spada della sua decapitazione. Quando è rappresentato come apostolo, è barbato, di età matura, veste una tunica, è scalzo per indicare la missione, e tiene in mano il libro del Vangelo. Poco comune è la rappresentazione del santo come vescovo, con la croce vescovile. Dal XII secolo, in particolare in scultura, san Giacomo viene innanzitutto presentato come pellegrino, non tanto perché lo sia stato lui, quanto perché i pellegrini accorrono alla sua tomba: porta dunque ampio cappello, conchiglie sulle vesti, mantello, pellegrina e bordone con borraccia. Con tutti questi segni, oppure con uno o alcuni di essi, lo si vede moltissime volte lungo il Cammino, e sullo stesso altare del suo santuario la grande statua lo presenta con la mantella del pellegrino, impreziosita di gemme. Molto nell’iconografia di san Giacomo tende ad assimilarlo a Gesù: pensiamo alla sua statua nel Pórtico de la Gloria, alla sua posizione e al suo viso. Cugino di Gesù, e il termine «fratello» con cui gli Ebrei indicavano questa parentela si carica di suggestioni; non solo è il primo a seguirlo nel martirio, ma come Lui fu giudicato all’ora terza e morì all’ora nona35; nella basilica di Compostela i canonici erano settantadue36, come i discepoli che Gesù scelse e inviò (Luca 10,1-20). Così il suo vessillo, con la croce rossa in campo bianco, è assai simile a quello che porta Gesù nella resurrezione. Come Gesù sconfisse la morte, così Giacomo sconfisse i Saraceni: lo vediamo così nella iconografia che lo presenta come Matamoros. È il cavaliere biancovestito e splendente che regge il vessillo e interviene a Clavijo e a Simancas, e i nemici cadono a terra: lo vediamo così, per esempio, sul timpano del seminario davanti alla cattedrale a Santiago, in una delle statue che vengono portate in processione il giorno della sua festa. È una iconografia che, benché non manchino esempi precedenti, viene diffusa dall’Ordine di Santiago; ricorre molto tra il XVI e il XVII secolo, ma viene progressivamente abbandonata nel XIX; è comunque poco frequente fuori dalla Spagna e dai Paesi dell’America Latina. Se ne trova peraltro un esempio notevole a Bolo60

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44. San Giacomo, legno policromo. Collezione del castello, Turku, Finlandia. La diffusione dell’iconografia del santo documenta quella in tutta Europa della devozione e del pellegrinaggio. 45. Friedrich Herlin, Predicazione e cattura di san Giacomo, particolare dell’altare maggiore del 1466 della Sankt-Jakobs-Kirche di Rothenburg ob der Tauber.

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gna in un affresco trecentesco già nella chiesa di San Giacomo Maggiore e ora nella Pinacoteca Nazionale. Altra iconografia tipica è quella che lo vede incoronare i pellegrini che hanno raggiunto la sua tomba. Oltre a queste rappresentazioni simboliche, ci sono poi le rappresentazioni degli episodi della vita del santo: lo troviamo con gli altri presso la tomba aperta della Vergine Maria. Inoltre, vi è la rappresentazione dei suoi miracoli, primo fra tutti quello dell’impiccato di Santo Domingo de la Calzada, in cui appare sostenere, invisibile a tutti, il povero giovane che per trentasei giorni rimase appeso alla forca.

46. In primo piano san Giacomo in trono e, nella strombatura, san Pietro, san Paolo, san Giacomo il Minore e san Giovanni Evangelista. Particolare del Pórtico de la Gloria, cattedrale di Santiago de Compostela.

Le feste L’unicità di san Giacomo compare anche nelle sue feste: infatti se oggi lo si celebra solo il 25 luglio, nel Codice si riporta anche l’antica celebrazione del 30 dicembre come memoria della sua chiamata sulle rive del lago di Genèzaret e la sua traslazione in Galizia. Inoltre il 3 ottobre si festeggiavano i suoi miracoli: il libro II del Codice è costituto dalla narrazione di ventidue miracoli. Concludendo Il pellegrino che oggi, a piedi, compie il Cammino, e al mattino esclama «Hoy, será un buen día» quando i raggi del sole che si leva raggiungono le sue spalle, sa di essere parte di una storia che lo supera, e compagno fraterno non solo delle migliaia di pellegrini che annualmente oggi compiono la sua stessa strada, ma di tutti quelli che l’hanno compiuta come via per giungere alla conoscenza di sé nell’abbraccio col santo. Sa anche, come spesso gli ricordano le scritte negli ostelli e lungo il percorso, che «sul Cammino, anche se parti turista, arrivi pellegrino». Alcuni hanno scritto libri, altri diari, altri ancora hanno realizzato un «sito» o un «blog» nella grande rete: tutti testimoniano che gli uomini sono fatti per la strada, e che la strada, cioè la vita, fa l’uomo, cioè il pellegrino.

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Jacobi Gallaecia / Opem rogat piam / Glebae cuyus Gloria / Dat insignem viam, / ut precum frecuencia / Cantet melodiam. / Herru Sanctiagu / Got Sanctiagu / Eultreja, e sus eja / Deus, adjuva nos. PRIMUS... Jacobo dat parium / Omnis mundus gratis; / Ob cuyus remedium / Miles pietatis / Cunctorum praesidium / Est ad vota satis. PRIMUS... Jacobum miraculis / Quae fiunt per illum, / Aretis in periculis / Acclamet ad illum / Quisquis solvi / vinculis / Sperat propter illum. PRIMUS... O beate Jacobe / Virtus nostra vere, / Nobis hostes remove, / Tuos de tuere, / Ac devotos adhibe / Nos tibi placere. PRIMUS... Jacobi propitio, / Veniam speremus; / Et quas ex officio / Merito debemus / Patri tam eximio / Dignas laudes demus. / Amen. PRIMUS...

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PRIMUS EX APOSTOLIS / MARTIR JEROSOLYMIS / JACOBUS EGREGIO / SACER EST MARTYRIO.

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Dum pater familias / Rex niverso rum, / Donaret provincias, / Jus Apostolurm: / Jacobus Hispanis / Lux ilustrat morum.

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CANTO DE ULTREJA

Guernica Bilbao

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Traduzione del Canto de Ultreja a cura degli Autori, volto a renderne solo il senso: Quando il padre di famiglia / Re di tutte le cose / Distribuì le terre / Giurisdizione degli Apostoli: / Giacomo per gli Spagnoli / Illuminò i costumi (di vita). PRIMO FRA GLI APOSTOLI / MARTIRE DI GERUSALEMME / GIACOMO È SANTO / PER L’ILLUSTRE MARTIRIO. La Galizia di Giacomo / Chiede la pia opera / Di cui la gloria della terra / Segna la via insigne / Affinché lo cantino / Con incessanti preghiere. / Signor Santiago / Divino Santiago / Avanti, Orsù, / Dio, aiutaci! PRIMO... A Giacomo rende grazie / Tutto il mondo / Per il cui rimedio / Soldato di pietà / Difesa di tutti / È risposta esauriente alle richieste. PRIMO... A Giacomo per i miracoli, / Che per suo intervento accadono, / Nei lacci dei pericoli / Si rivolge chiedendo / Ciascuno che spera in lui / Per esser sciolto dai vincoli. PRIMO... O beato Giacomo / Vera nostra forza, / Allontana da noi i nemici, / Proteggi noi che ti apparteniamo. / E fa che noi tuoi devoti / Possiamo esserti graditi. PRIMO... Con la protezione di Giacomo, / Speriamo di ottenere il perdono / E quelle lodi che per il suo intervento / Meritatamente dobbiamo / Rendiamo all’esimio Padre. Amen. PRIMO...

Oviedo

Lugo

1-2. Anziani del Pórtico de la Gloria, seduti attorno al trono di Cristo, accordano gli strumenti per suonare insieme nel giorno del Giudizio. Cattedrale di Santiago de Compostela. «Andando y cantando, camminando e cantando, si fece l’unità dell’Europa, e ciò accadde lungo i cammini che conducevano a Santiago»: così scrisse J.L. Morales nell’introduzione al Cancionerso de los peregrinos de Santiago nel 1964. Nei momenti gravi della vita gli uomini pensano e cantano: chi cammina canta, mentre vive, il suo pensiero lo accompagna col canto. Questo è accaduto e accade: molti inni di vario registro sono nati da e per il cammino a Santiago. Da questo che riportiamo viene il saluto «Ultreja, Ultreja» che ancor oggi i pellegrini si scambiano. Ci sembra bello che l’intero testo – nel suo latino medievale di difficile traduzione, che unisce con disinvoltura espressioni latine e germaniche con grafie incostanti, e che già nel secolo XII è documentato – sia conosciuto col suo intero contenuto, e quindi con il suo intero significato e la sua forza, che rimane al di là delle imprecisioni inevitabili delle traduzioni.

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3. Re Davide, particolare della Puerta de las Platerías (porta sud) della cattedrale di Santiago de Compostela. Immagine famosa perché in essa l’artista è riuscito a rappresentare il re Davide seduto e contemporaneamente in atteggiamento di danza.

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DAI PIRENEI A SANTIAGO: IL CAMMINO EUROPEO

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1. Il miracolo di san Giacomo e i due pellegrini, miniatura del Liber Consortii Sancti Iacopi apostoli de Galitia, 1399. Biblioteca Palatina, Parma. Esempio della solidarietà fra pellegrini, l’apostolo provvede miracolosamente a portare alla meta il pellegrino ammalatosi nel cammino e l’amico che per solidarietà aveva interrotto il viaggio per assisterlo. 2. La conchiglia, simbolo del pellegrino compostelano.

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IL CAMMINO EUROPEO

Questo percorso, diversamente dagli altri che raggiungono Santiago, ha avuto una eccezionale definizione nel libro V del Codice Callistino: Picaud, riportando una scansione in tappe e i nomi dei paesi, contribuì a rinforzare quanto si era naturalmente impostato. La sua testimonianza codificò così il percorso: è evidente che c’erano e ci sono altri luoghi in cui si faceva sosta, ma le indicazioni di Picaud, riportando quelle consuetudini, le perpetuarono. È lui che testimonia che le strade dai Pirenei a Santiago sono quattro, e confluiscono in una a Puente la Reina. Un percorso tocca Saint-Gilles, Montpellier, Tolosa, Le Somport, ed è detto «via Tolosana» (Tolosana); un altro tocca Notre-Dame du Puy, Sainte-Foy di Conques, Saint-Pierre di Moissac, ed è detta «via Podense» (Podensis); un altro Sainte-Madeleine di Vézelay, Saint-Léonard di Limoges, la città di Périgueux, ed è detta «via Limosina» (Lemovicensis); un altro Saint-Martin di Tours, Saint-Hilaire di Poitiers, Saint-Jean-d’Angély, Saint-Eutrope di Saintes e la città di Bordeaux, ed è detta «via Turonense» (Turonensis). Saint-Gilles, Le Puy, Tours e Vézelay risultano così i capitesta di itinerari definiti dall’opportunità di visitare e venerare reliquie e corpi santi. Mentre poi la via Tolosana risale la valle dell’Aspe entrando in Spagna per il passo di Somport, le altre vie, ancora in Francia, si uniscono a Ostabat: da lì il percorso prosegue superando il passo di Cize, passa per Roncisvalle, prosegue verso Pamplona e infine si riunisce all’altra via a Puente la Reina. Passati i Pirenei, le strade sono quindi due, entrambe passano per l’Aragona e sono dette perciò «Cammino aragonese»; quella poi che passa per Roncisvalle è detta «Cammino reale francese», mentre quella che passa per Somport, preferita dagli italiani, è detta «Cammino italiano». Quest’ultima è più lunga di circa cento chilometri dell’altra, e tocca centri di grandissimo interesse artistico e culturale. Tutto il percorso poi, fino a Santiago, per la grande influenza che nel formarlo, nel definirlo e nel proteggerlo ebbero i francesi, era detto in generale Camino francés. Per la sua genesi storica e per le sue peculiarità, per il riconoscimento che ha ottenuto nel 1987, lo chiamiamo Cammino europeo. Queste le tappe secondo Picaud, che parlava di tredici tappe per cavalieri: da Somport: Jaca, Monreal, Puente la Reina; da Roncisvalle: Viscarret, Pamplona, (Puente la Reina) Estella, Nájera, Burgos, Frómista, Sahagún, León, Rabanal, Villafranca, Triacastela, Palas de Rey, Santiago. LA VIA DI GOTESCALCO E RONCISVALLE L’ultima tappa in Francia di questa via è Saint-Jean-Pied-de-Port (DonibaneGarazi in basco), nome significativo, che indica come da lì si salga al valico (portus in latino). Si raggiunge poi il valico di Roncisvalle, o Puerto de Ibañeta, dove il 15 agosto 778 la tradizione colloca la sconfitta e morte di Orlando, paladino di Carlo Magno, e non lontano dal valico si trova il paese: Roncesvalles in castigliano e Orreaga in basco, con le sue suggestive memorie storiche. IL CAMMINO EUROPEO

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RONCISVALLE A Roncisvalle si trovano oggi tre edifici principali: l’abbazia agostiniana del XII secolo con la grande chiesa gotica, del XIII secolo, il santuario dello Spirito Santo, che si vuole edificato come sepolcro per Orlando da Carlo Magno, e l’ospitale per i pellegrini. Il luogo è culturalmente legato a Carlo Magno: la leggenda si sostanzia del racconto dell’arcivescovo Turpino del libro IV del Codice Callistino. Carlo vide più volte in sogno una via di stelle che dal mar di Frisia giungeva in Galizia, dove era ancora nascosto e ignoto il sepolcro di san Giacomo: e mentre Carlo si chiedeva quale fosse il significato della visione, gli apparve in sogno uno splendente cavaliere che gli si manifestò come l’apostolo san Giacomo, e gli rivelò che il cammino di stelle che gli era apparso significava che doveva andare con un esercito a combattere i pagani, liberare il suo cammino e la sua terra e visitare la sua basilica e il suo sepolcro. Tre volte apparve l’apostolo a Carlo, che quindi riunì i suoi eserciti, e andò a combattere gli infedeli in Spagna. La storia ci dice che Carlo fu in Spagna ben prima della scoperta della tomba dell’apostolo, conquistò Pamplona e Barcellona, e pose l’assedio a Saragozza; duramente sconfitto poi dai Mori, si accampò a Valcarlos (Luzeide, in basco), e da lì fu richiamato in Francia a causa di una rivolta dei Sassoni. Partì lasciando il nipote Orlando, duca della marca di Bretagna, alla retroguardia; le popolazioni basche, forse per una grave offesa dei paladini alle donne di Pamplona, aggredirono e annientarono il manipolo di Orlando, e con lui caddero il conte palatino Anselmo e il siniscalco Eginardo1. La leggenda2 si impadronì del fatto: invece che dei Baschi si narrò di 400.000 Saraceni; ne nacque la famosa Chanson de Roland, che, ripetuta di corte in corte e di pellegrino in pellegrino, nonché in numerosi testi successivi, rese immortale la vicenda. Era il 778. Richiamato dal suono dell’Olifante, Carlo, dopo aver dato sepoltura a Orlando, si inginocchiò: era alla sommità del passo, sull’Alto de Ibañeta, e gli apparve un angelo, che gli indicò il cammino delle stelle, che conduce verso il sepolcro di san Giacomo, e porta al perdono. Una croce, la Cruz del Peregrino, indica il posto, e a essa si aggiungono in continuazione altre croci poste dai pellegrini, e ormai sono centinaia. Sulle pendici del monte, nella vicina Roncisvalle, il vescovo Sancho de Larrosa fondò la gotica Real Colegiata de Santa María de Roncesvalles, presso la quale si trovava l’ospizio detto Silo de Carlomagno. Qui è possibile ogni sera partecipare alla messa e ricevere la particolare benedizione dei pellegrini, le cui parole ricongiungono i pellegrini di oggi a quelli del più lontano passato e agli Ebrei in cerca della terra promessa e fidenti in Dio: «O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo / dalla città di Ur dei Caldei, / proteggendolo in tutte le sue peregrinazioni / e che fosti la guida del popolo ebreo / attraverso il deserto, / ti chiediamo di custodirci, noi tuoi servi, / che per amore del tuo nome / andiamo pellegrini a Santiago de Compostela. / Sii per noi compagno nella marcia, / guida nelle difficoltà, sollievo nella fatica, / difesa nel pericolo, albergo nel Cammino, / ombra nel calore, luce nell’oscurità, / conforto nello scoraggiamento / e fermezza nei nostri propositi, / perché con la tua guida giungiamo sani e salvi / al termine del Cammino e, / arricchiti di grazia e di virtù, / torniamo illesi alle nostre case, / pieni di salute e di perenne allegria. / Per Cristo nostro Signore. Amen. / San Giacomo, apostolo di Gesù, prega per noi / Maria Madre di Dio, prega per noi».

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3. Santuario dell’Espíritu Santo, Roncisvalle. La piccola chiesa risale al XII secolo ed è costruita nel luogo in cui caddero i paladini di Orlando. La costruzione sulla destra, anch’essa del XII secolo, è luogo di sepoltura di pellegrini: la tradizione lo retrodata all’VIII secolo, come sepolcro dei cavalieri.

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4. Il Puente de la Magdalena a Pamplona. Il più grande problema, fino al pieno XIII secolo, quando si cominciò a ricostruire sistematicamente i ponti, era costituito dall’attraversamento dei corsi d’acqua, per cui i pochi ponti esistenti o ricostruiti nei secoli X-XII hanno sempre un nome proprio, riferito a un santo, come in questo caso, o a chi ne aveva promosso la costruzione.

Ed è benedizione che chi si ferma presso i rifugi sarà invitato a ricevere più volte lungo il Cammino, riprovando ogni volta una nuova emozione. Non lontana è la cosiddetta «Breccia di Orlando», luogo emblematico della cultura e della tradizione. La leggenda narra che Orlando, ferito a morte, lanciò la sua spada Durlindana3 per metterla in salvo o perché potesse rivedere la sua terra prima della sua morte. La spada, lanciata dal cavaliere con tutte le sue rimanenti forze, oltrepassò la valle di Ordesa e si perse oltre l’orizzonte, lasciando un varco nella parete rocciosa, varco che ancor oggi è detto «Breccia di Orlando». Lo si vede ancor oggi, e i pellegrini compiono volentieri il percorso che li porta in quota, al passo donde si vede la roccia spaccata. PAMPLONA Fondata da Pompeo nel 75 a.C., da lui deriva il nome. Distrutta dalle invasioni barbariche e conquistata nel 466 dai Visigoti, fu presa dai Mori all’inizio dell’VIII secolo. A Pamplona (in castigliano; Iruña in basco) si giunge dopo aver passato un ponte medievale che a un lato presenta un’immagine di san Giacomo, il Puente de la Magdalena: qui è tradizione visitare per prima cosa la cattedrale, presso la quale sorgeva un tempo l’Ospizio di San Miguel: l’edificio attuale, gotico con facciata neoclassica, ne sostituisce uno precedente romanico. È d’obbligo anche la visita alla chiesa di San Cernín4, dove si trova una bella statua di san Giacomo e una cappella dedicata alla Virgen del

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Camino, patrona della città. Pamplona è oggi famosa per los Sanfermines, cioè le feste che si tengono tra il 6 e il 14 luglio in onore di san Firmino di Amiens, compatrono di Navarra e patrono della diocesi di Pamplona. San Firmino (272-303), nato a Pamplona, battezzato da san Saturnino, divenne a ventiquattro anni il primo vescovo di Amiens, di cui fondò la Chiesa, e morì martire, decapitato a trentun anni durante la persecuzione di Diocleziano, nel 303, per essersi rifiutato di desistere dal predicare. La sua festa viene celebrata il 7 luglio, e a Pamplona si tiene un famoso encierro, caratterizzato dal fatto che tutti i giovani vi partecipano: consiste nel correre davanti a una mandria di tori liberati nelle vie della città. Quasi a metà strada fra Pamplona e Puente la Reina, chi va a piedi si trova all’Alto del Perdón, passo del Perdono, luogo assai ventoso, dove è stato eretto nel 1996 un singolare monumento, che si affianca alle numerose pale eoliche, costituito dalle sagome metalliche di molti pellegrini a piedi, in bicicletta, a cavallo: fanno compagnia ai viandanti e li rappresentano nel loro perenne andare. Lo si deve agli Amici del Cammino di Navarra. Porta incise queste parole: «Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas», dove il cammino del vento si incrocia con quello delle stelle. SOMPORT Alla destra della valle del Gave d’Aspe (gave è voce pirenaica per dire torrente), che sgorga dal Pico de Aspe (2.640 metri), una delle cime dei Pirenei5, sorge il colle di Le Somport: è l’antico Summus Portus Asperi (portus, «passo»), l’Alto Passo dell’Aspe (1.632 metri), in aragonese Port d’Urdos: questo è l’unico passo dei Pirenei centrali che resti libero in tutte le stagioni, salvo casi di innevamenti eccezionali, ed è stato preferito da molti nel corso dei secoli. Da qui passarono anche le legioni di Pompeo, e poi gli Arabi e i pellegrini verso Santiago. Gli Italiani in particolare lo preferivano al passo di Roncisvalle, poiché le genti dei dintorni erano meno aggressive dei Baschi, e i pellegrini vi trovavano prima che altrove, a circa un chilometro dal passo, un ospizio, quello di Santa Cristina, retto da agostiniani. Le prime notizie risalgono alla metà dell’XI secolo, quando fu visitato dal re di Aragona Sancho Ramírez; lo troviamo anche citato in una carta di re Pietro I d’Aragona del 1100, dove si dice che l’ospizio aveva il compito di sostenere i poveri pellegrini; Pietro II, un secolo dopo, attesta la buona fama del ricovero. Il Codice Callistino delinea il profilo tipico degli ospedali medievali e riferisce delle «tre colonne molto necessarie per il sostentamento dei suoi poveri»: cioè i tre grandi ospedali, quello di Santa Cristina, quello di Gerusalemme (alludendo probabilmente a quello degli Ospedalieri di San Giovanni) e quello di Mont-Joux del Gran San Bernardo, che erano «luoghi santi, case di Dio, riparo dei santi pellegrini, riposo dei bisognosi, consolazione degli infermi, salvezza dei morti, aiuto dei vivi [...] chiunque abbia edificato questi luoghi santissimi possiederà senza alcun dubbio il regno di Dio»6. In concorrenza con l’Ospizio di Roncisvalle, di fondazione 74

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successiva, fu frequentato soprattutto durante il XII secolo, ed assicurò un vero servizio ospedaliero; conobbe poi un rapido declino e decadde, finché nel 1605 fu soppresso. Oggi non ne rimane che qualche rovina, alla sinistra della strada, dove il Cammino supera il río Astún, che, confluendo poco più avanti col río Candanchú, forma il río Aragón. Poco dopo l’Ospizio di Santa Cristina si trovano le rovine della fortificazione di Candanchú, le cui pietre, come quelle del santa Cristina, sono state utilizzate per i muri di sostegno della strada: secondo l’antico e buon costume di utilizzare per la costruzione del presente le pietre delle rovine, costume che non è senza valore simbolico. La strada bianca è stata selciata nel 1876, e dal 1928 è stato costruito un tunnel per abbreviare il percorso. CANFRANC Nacque come tipico paese di frontiera, i cui abitanti vissero del commercio e del traffico dei pellegrini. L’antica Campus Francus è oggi un piccolo paese, ricostruito dopo la distruzione dell’abitato nel 1940, sede però di stazione ferroviaria internazionale, località turistica soprattutto estiva, dai dintorni boscosi, sovrastata dai resti di un castello del XVI secolo. All’ingresso compare uno dei primi cartelli segnaletici del Cammino, con la caratteristica conchiglia stilizzata, e l’indicazione della distanza da Santiago de Compostela: 865 chilometri. Lungo la strada e nei dintorni si cominciano già a scorgere i segni del Cammino, che sono presenti non solo lungo il tracciato, ma si estendono al territorio circostante, permettendo di individuare la zona d’influenza.

5. San Giacomo pellegrino, particolare della facciata della chiesa di San Cernín (o Sernin, o Firmino, o Saturnino), del XII secolo, Pamplona. La titolarità di questa chiesa, che è la medesima della basilica di Saint-Sernin a Tolosa, testimonia la diffusione dei medesimi culti sulle vie di pellegrinaggio.

JACA La città sorge, a 820 metri, su di un’altura sulle rive del río Aragón, che dà il nome a questa regione storica; il nome, Jaca (Chaca in aragonese), sembra derivare dalla tribù degli Iaccetani stanziati un tempo alla sorgente dell’Ebro, di cui parla Strabone. È forse l’Apriz dei Goti, e fu conquistata nel 716 dagli Arabi, per i quali fu Dyaca; fu ripresa dai cristiani, all’epoca in cui i Banu Qasi, musulmani di origine visigotica, erano in lotta contro l’emiro di Cordova per restarne indipendenti. Il condottiero cristiano Aznar liberò la città e il suo territorio, fondando la contea di Aragona, che diverrà regno nel 1035: prima capitale fu Jaca, che divenne centro propulsore della Reconquista e fu insignita del titolo di «città» da re Ramiro I (1035-1063); divenuta sede episcopale, giunse ad avere cinque chiese parrocchiali e due ospedali. Della liberazione dai Mori si conserva una memoria nei giochi di maggio (Moros y cristianos), che in particolare celebrano il coraggio delle donne e delle fanciulle che vi parteciparono attivamente, e nella Romería de la Victoria, pellegrinaggio all’Ermita de la Victoria che si trova all’uscita della città. Il Codice Callistino situa Iacca al termine della prima giornata di cammino, nella quale il pellegrino era partito da Borce (versante francese dei Pirenei, prima IL CAMMINO EUROPEO

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6. Le Somport, inizia qui (a quota 1.632 metri) la discesa dal passo. 7. Ruderi dell’antico Ospizio di Santa Cristina (XII secolo) a Le Somport: per grandezza, fu secondo solo a quello di Gerusalemme.

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8. Ingresso a Canfranc, con i ruderi della chiesa parrocchiale, Le Somport. 9. Dai colli di Jaca ci si volge a guardare i Pirenei.

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10. Volte gotico-fiorite della cattedrale di Jaca, che hanno sostituito l’originale copertura lignea romanica. 11. Gli apostoli Filippo (col drago) e Giacomo Maggiore nell’endonartece della cattedrale di Jaca.

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12. Particolare della facciata della chiesa del Carmen, Jaca. 13. Zona absidale della chiesa del Carmen, Jaca.

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di Urdos, diocesi di Olorón, 40 chilometri da Jaca) e aveva passato Le Somport. Oltre ai resti delle mura cittadine del X secolo, sono notevoli, a nord, la Ciudadela, il castello costruito nel 1592 a pianta stellare a cinque punte, e il Palacio del Ayuntamiento, della stessa epoca (1546). Ma soprattutto è notevole la cattedrale di San Pietro, romanica, dal caratteristico paramento murario a scacchiera che si ritroverà in altre chiese del Cammino, e da una grande cupola ottagonale, che rappresenta la volta celeste. Tra le più antiche d’Europa, fu iniziata all’epoca di Ramiro I di Aragona: nel 1063 il transetto e le absidi erano già state ultimate, mentre il rimanente della costruzione fu portato a termine nel XII secolo inoltrato: si ritiene abbia fortemente influito sulla diffusione del romanico spagnolo in Europa. Tutta la costruzione è oggi stretta dalle vie; la facciata è volta ad ovest; nell’atrio, sormontato da un’ampia torre campanaria quadrata, sono le statue degli apostoli, del XVI secolo, tra i quali san Giacomo, che vediamo in abito da pellegrino. Entrando da sud, si attraversa un portico notevole per i capitelli istoriati, illustranti scene bibliche, tra le quali si nota il Sacrificio di Isacco. All’interno si trovano tre navate, le cui volte romaniche sono state ricostruite dopo il crollo delle originali, tra il XV e il XVI secolo, in stile plateresco, con le chiavi di volta ornate di rosoni di legno intagliato. Tutto l’interno alterna romanico e plateresco, in un felice saggio di quanto in Spagna a costruzioni romaniche si siano aggiunti elementi e ornamenti rinascimentali e barocchi, senza produrre stonature, in un vigoroso crescendo di un’espressione della fede, specchio di vicende storiche e di climi spirituali. Sotto l’altare maggiore sono custodite le reliquie di santa Orosia; di fronte, entrando, l’altare dedicato alla santa, rappresentata in una grande statua nell’imponente retablo barocco, e, accanto, una piccola immagine della Vergine del Pilar: memorie che legano insieme la tradizione jacobea, la devozione mariana e la Reconquista. Santa Orosia – o Eurosia – è legata in modo particolare sia alla storia spagnola sia all’Italia. Infatti, la giovane nobile di Bayonne (diocesi confinante con quella di Jaca) ricercata per sposa da un moro, fu presa e uccisa nel 714, secondo la tradizione, ed ebbe le mani e i piedi tagliati: divenne uno dei simboli della resistenza ai Mori e della successiva Reconquista. Invocata come protettrice delle messi, il suo culto, diffusosi ampiamente nel XV secolo, si propagò in Italia irraggiandosi dalla Lombardia, e oggi troviamo la sua immagine in buona parte dell’Italia del Nord, su targhe di ceramica apposte alle case, in particolare in campagna. Nella porta occidentale o di San Pedro, si nota un pregevole chrismon, simbolo paleocristiano, qui esplicito richiamo alla Trinità: la P indica il Padre, l’Alfa il Figlio e l’Omega lo Spirito Santo. All’interno, il cerchio è diviso da raggi in otto parti uguali, con fiori a dieci petali che rappresentano il Paradiso terrestre. Ai lati, i leoni dell’Apocalisse, che rappresentano Cristo. L’uno perdona il peccatore pentito, prostrato ai suoi piedi in lotta col serpente diabolico, e l’altro trionfa sulla morte rappresentata dall’aspide e dal basilisco. Presso la chiesa di San Ginés (San Genesio)7, si stabilì nel XVI secolo un monastero di benedettine, dove fu trasportato il sepolcro romanico dell’infanta doña Sancha, morta nel 1095. È interessante anche il Museo de Arte Sacro Diocesano, nel chiostro e nelle sale adiacenti. Girando per la città, al termine dell’omonima via, si trova la chiesa del Carmen, nella quale è possibile ammirare una splendida statua secentesca raffigurante la Vergine in atto di donare a san Simone Stock lo scapolare. La chiesa di Santiago, quasi prospiciente, è stata restaurata nel XVIII secolo.

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14. Il profeta Balaam con l’asina, particolare di capitello del portale meridionale della cattedrale di Jaca, 1100 ca. 15. Sacrificio di Isacco, particolare di capitello del portale meridionale della cattedrale di Jaca, 1100 ca.

16. Doña Sancha (1100 ca.), figlia del primo re d’Aragona, lasciò i suoi beni alla chiesa di Santa María a Santa Cruz de la Serós. Qui il fronte del suo sarcofago: al centro, l’anima della nobildonna, nella nudità della morte, avvolta nella mandorla della gloria, è sollevata al cielo da angeli; sul lato sinistro il vescovo Pedro, che ne celebrò le esequie, con due ecclesiastici; a destra, doña Sancha assisa fra due dame. Santa Cruz de la Serós.

SANTA CRUZ DE LA SERÓS Santa Cruz de la Serós, notevole per le chiese romaniche di San Caprasio e di Santa María, si trova poco dopo Jaca, in una deviazione a sinistra. La chiesa di San Caprasio, o Caprano, presenta elementi romanico-lombardi nella decorazione a bande orizzontali, e una piccola abside bassa, che la fanno datare all’XI secolo, mentre il campanile è probabilmente del XII secolo. La chiesa di Santa María è quanto resta del celebre convento delle benedettine fondato alla fine del X secolo, al quale la figlia del primo re d’Aragona, doña Sancha, morendo nel 1095 lasciò tutti i suoi beni. Il convento fu abbandonato dalle monache nel XVI secolo. Da qui però viene il nome del paese: serós deriva infatti dal latino sorores, sorelle. La chiesa romanica, con tre belle absidi, è circondata da case; il campanile ha base larga ed è coperto da una lanterna ottagonale. È monumento nazionale. San Caprasio è martire di Agen (Francia); la tradizione dice che si consegnò al governatore nel 292 durante la persecuzione di Massimino Daia alla notizia del martirio della giovane santa Fede. SAN JUAN DE LA PEÑA Salendo verso San Juan de la Peña per la medesima strada, ci si lascia alle spalle la valle dell’Aragón e i Pirenei, e si percorre la valle di Atarés, le cui case in pietra viva, con i tetti a lastre e i camini grandi e circolari, sormontati da pietre o da teste scolpite, richiamano le case dell’Appennino tosco-modenese. Attraverso una galleria di pini, si giunge a un’ampia spianata dominata dal Monastero nuovo o alto, costruito tra il XVII e il XVIII secolo, dopo che diversi incendi avevano gravemente danneggiato il più antico Monastero vecchio o basso. Le origini Una tradizione racconta che nell’VIII secolo vivevano a Saragozza due giovani amanti della caccia, Voto e Felice. Inseguendo un cervo, Voto precipi-

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dove ancora oggi è venerato. Attualmente una copia è stata collocata in una teca posta sopra l’altare della chiesa superiore del Monastero vecchio.

18. Pianta del seminterrato del Monastero vecchio (X e XI secolo) di San Juan de la Peña: 1) atrio; 2) scala per il seminterrato del monastero mozarabico; 3) dormitorio del monastero mozarabico, detto «sala del concilio»; 4) locale realizzato ai piedi della chiesa bassa per ampliarla; 5) chiesa bassa con le piccole absidi dei santi Giuliano e Basilissa; 6) scala di accesso al piano superiore.

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tò un giorno in un dirupo, e invocò san Giovanni: il suo cavallo, invece di sfracellarsi, planò a terra senza danno. Proseguendo di lì per un sentiero seminascosto, Voto trovò, in un piccolo eremo, il corpo insepolto di un vecchio eremita, Juan de Atarés. Voto interpretò questo come un segno della chiamata divina, e, tornato a casa, convinse il fratello Felice a vendere i propri beni, per ritirarsi là a vivere da eremiti. Altri «uomini di buona vita» vennero dopo questi, a seguire il loro esempio. Altri racconti collegano questo luogo alla resistenza ai Mori. Al luogo è attribuita anche una memoria graaliana: il Santo Calice, il Graal, era conservato a Huesca, dove era stato portato da san Lorenzo come dono di papa Sisto II, nel III secolo. All’arrivo dei Mori, il vescovo di Huesca lo volle mettere in salvo, e, di rifugio in rifugio, nell’XI secolo i vescovi di Aragona lo collocarono a San Juan de la Peña: con esso officiarono abati e vescovi nelle feste più solenni, fino a quando fu dapprima portato a Saragozza, poi da Alfonso V il Magnanimo donato al tesoro della cattedrale di Valencia, 82

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17. Lunetta del portale: al centro il chrismon apocalittico, a sinistra un vescovo benedicente, a destra l’Annunciazione, XII secolo, San Juan de la Peña.

19. Pianta del piano superiore del Monastero vecchio (X e XI secolo) di San Juan de la Peña: 1) scala di accesso; 2) chiesa alta; 3) Panteón de los Reyes; 4) chiostro romanico del XII secolo; 5) cappella di San Victorián; 6) cappella di San Voto y Félix; 7) sacrestia; 8) riserva d’acqua; 9) cella; 10) celle; 11) refettorio; 12) cucina; 13) forno; 14) granaio; 15) Panteón de los Nobles.

Monastero vecchio Lo si raggiunge scendendo lungo il versante della montagna: la Peña, appunto, la roccia, nella quale il monastero è come incastonato: «pendente come un ricco gioiello dal cerchio della sua catena», come scrisse un suo abate, Briz Martínez, nel 1620. Il monastero fu centro spirituale e simbolo dell’unità della fede cristiana contro i musulmani, e predisposto a panteon dei re e dei notabili del regno di Navarra e Aragona. Per le sue ricchezze artistiche fu dichiarato monumento nazionale. Il monastero ha una struttura inconsueta, dovuta alle peculiarità dell’ambiente in cui sorge. È costituito da una parte sotterranea, con la chiesa bassa, e da una superiore, con la chiesa alta. A causa delle scorrerie e della minaccia musulmana, un gruppo di eremiti si era ritirato qui, costituendo un centro di vita eremitica che si mantenne fino al X secolo. Il conte di Aragona Galindo Aznárez II, nel 920, conquistò le terre a sud del río Aragón fino alla Sierra di San Juan; e, dove vivevano gli eremiti, fondò un monastero di regola benedettina, che dedicò ai santi Giuliano e Basilissa. Nell’XI secolo il monastero abbracciò la regola cluniacense. La chiesa bassa, mozarabica, è quanto ci resta di questo primo impianto; abate del monastero fu il monaco Transirico. Più di un secolo dopo, nel 1071, il secondo re di Aragona, Sancho Ramírez, fece costruire un altro monastero, dedicato a san Juan de la Peña, monastero che inglobò quello precedente. Il 22 marzo dell’anno di fondazione, nel nuovo monastero, venne celebrato per l’ultima volta il rito ispano-visigotico o mozarabico, e venne introdotto per la prima volta in Spagna il rito della Chiesa romana.

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20. Cappella di San Voto y Félix, XVI secolo, San Juan de la Peña. L’intero complesso documenta con il succedersi degli stili, dal mozarabico al barocco, la sua lunga storia. 21. Portale gotico della cappella di San Victorián con evidenti influssi mozarabici, XV secolo, San Juan de la Peña.

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22. Veduta dall’esterno del monastero di San Juan de la Peña con il chiostro protetto dalla roccia, la peña. 23. Lato esterno del chiostro di San Juan de la Peña.

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Appena entrati ci si trova in un atrio, dal quale si scende alla sala detta «del Concilio»: si tratta invece del dormitorio dei monaci. L’ampia sala è divisa in quattro parti da archi che poggiano su pilastri a croce, coperta da volte a botte e illuminata da feritoie. Di qui si accede alla chiesa bassa, una delle poche costruzioni pervenuteci in stile mozarabico altoaragonese. Le due navate sono separate da archi a ferro di cavallo, appoggiati al centro su di una piccola colonna. Le cappelle absidali sono dedicate ai santi Giuliano e Basilissa. Risalendo all’atrio si accede al panteon dei nobili: nel muro di sinistra si vedono due file di sepolture. Le iscrizioni attestano che sono qui sepolti numerosi nobili del regno, fino al 1798. Dal panteon, si passa nella chiesa alta di San Juan, a una sola navata, che termina in tre absidi semicircolari e da qui si accede alla sacrestia, che è stata trasformata nel panteon dei re per volontà di Carlo III nel 1770. La gemma del monastero è il chiostro romanico, costruito nel XII secolo, prospiciente lo sbalzo sulla valle, protetto dalla roccia: vi si accede da una 86

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24. Due lati del chiostro di San Juan de la Peña con la cappella di San Voto y Félix sullo sfondo. 25. Annuncio a Giuseppe, San Juan de la Peña. La pietra, caratterizzata dalla presenza di sali di ferro, cangia colore dal giallo al rosso a seconda del variare della luce.

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porta mozarabica, dalla forma tipica a ferro di cavallo, su cui si legge la suggestiva scritta in caratteri mozarabici: PORTA PER HA(N)C CAELI FIT P(ER)VIA CUIQ(UE) FIDELI + SI STUDEAT FIDEI IUNGERE IUSSA DEI (Questa è la porta per la quale è la via del cielo per ogni fedele che si studi di unire alla fede la pratica di ciò che Dio comanda): come dire di unire le opere alla fede. I capitelli presentano la raffigurazione di momenti dell’Antico e del Nuovo Testamento, tra i quali segnaliamo la Creazione di Adamo, il Lavoro di Eva filatrice, Caino che uccide Abele, l’Annuncio in sogno dell’angelo a Giuseppe, la Pesca miracolosa, la Resurrezione di Lazzaro, il Pantocratore con gli evangelisti. Le figure di questi capitelli presentano uno stile potentemente espressivo, soprattutto per il risalto degli occhi, che, fortemente sottolineati, comunicano l’intensità della vita: sono opera di un artista di cui si ignora il nome e che viene indicato come Maestro di San Juan de la Peña, che lavorò in questa zona alla metà del XII secolo. Sul chiostro si apre il portale gotico della cappella di San Vittoriano, costruita tra il 1426 e il 1433. La cappella è incassata nella roccia, e accanto sgorga la fonte del monastero. Tutto il Monastero vecchio è luogo di grande suggestione, in cui è evidente una spiritualità tutta tesa a esprimere la gloria di Dio, sia per mezzo della solenne semplicità delle architetture come dell’eloquenza delle raffigurazioni di uomini, cose, ornamenti. Stupisce l’armonia degli stili che si intrecciano con rispetto, mantenendo costante la cura a educare lo spirito di chi, vivendo tra queste mura, voleva essere richiamato in continuazione al suo destino e alla storia della salvezza, sia dai fatti narrati dalla Bibbia, sia dalla testimonianza di chi riconduce a Dio una vittoria, o vuol essere sepolto in un luogo santo. Monastero nuovo La sua costruzione si rese necessaria quando, nel 1675, dopo che il Monastero vecchio, già reso insicuro da diverse cadute di frammenti rocciosi, fu gravemente danneggiato da un incendio che durò tre giorni, e nel quale bruciarono il refettorio, l’ospizio e il prezioso archivio. Ottenuto il permesso dal re Carlo II, i monaci iniziarono la costruzione in legno e mattoni, sulla spianata di San Indalecio, sopra la Peña. La comunità vi si trasferì definitivamente nel 1682, col permesso del capitolo generale della Congregazione Benedettina Tarraconense, da cui dipendeva. La casa del priore e la casa abbaziale facevano ala alla grandissima chiesa: la facciata, fiancheggiata da due torri quadrate, sormontata dal timpano, ha linee sobrie in mezzo alle quali campeggiano splendidamente i tre portali barocchi, con le statue di san Giovanni Battista quello centrale e di sant’Indalecio e san Benedetto i laterali. Nella casa dell’abate oggi si trova un locale di ristoro, la grande spianata è meta di gite che godono di un ambiente fresco e verdeggiante; la grande chiesa è ancora notevole all’interno, che, de88

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serto, colpisce per l’imponenza di uno spazio amplissimo. Il monastero fu saccheggiato nel 1809 dalle truppe degli invasori francesi agli ordini del generale Suchet; nel 1835 l’esproprio chiuse la storia della comunità. 26

26. La cripta (XI secolo, edificata su una precedente del IX) dell’abbazia di San Salvador de Leyre. La costruzione, particolarmente massiccia, testimonia l’antichità dell’edificio, eretto in un’epoca nella quale il capomastro affidava la solidità della struttura allo spessore dei muri.

MONASTERO DI SAN SALVADOR DE LEYRE L’imponente complesso che fu cenobio benedettino, sede episcopale, corte e panteon dei re di Navarra, rifugio di re e vescovi di fronte all’avanzare dei musulmani, e, soprattutto, centro propulsore della Reconquista, si trova a mezzacosta della Sierra de Leyre, che si eleva fino a 1.347 metri. I benedettini l’avevano lasciato all’epoca della desamortización, e vi sono tornati dal 1954. L’origine del monastero è probabilmente dovuta, come in altri casi simili, alla presenza fin dai secoli VIII e IX di eremiti, che avevano scelto questo luogo come loro ritiro. Da questo monastero dipesero, nell’XI secolo, le più importanti fondazioni monastiche e ospitaliere del Cammino. Arrivando al monastero, si incontra per prima cosa la grande costruzione del XVII secolo: tra questo e l’antico Palazzo dei Re e dei Vescovi di Pamplona, vediamo le bellissime absidi della costruzione romanica, dedicata al Salvatore che ha il merito di essere stata il primo modello, in un certo senso il prototipo, delle grandi costruzioni romaniche dell’XI secolo in Spagna, poiché fu consacrata nell’anno 1057, prima quindi della cattedrale di Jaca, della chiesa di San Isidro a León e di San Martín di Frómista. La costruzione romanica è inquadrata da quella successiva, che fu terminata nel XIV secolo, e insieme formano un complesso esemplare della migliore arte cisterciense. La parte più antica del complesso corrisponde alla pianta bassa, primo piano dell’attuale foresteria, quella parte che si chiama comunemente Palazzo Reale o Palazzo Vescovile: è la testimonianza più antica della storia di Leyre, ed è stata con sicurezza veduta già da sant’Eulogio di Cordova, che venne qui nell’anno 844, e lasciò la prima notizia storica del complesso. Durante le invasioni dei secoli IX e X, Leyre fu sede dei re di Navarra e del vescovo, di modo che invalse l’uso di scegliere il vescovo tra i monaci. Il monastero conobbe così un primo momento di splendore che portò a importanti ampliamenti, e alla consacrazione del 1057. Quando si entra nella cripta o chiesa bassa, la prima impressione è di un arcaismo pronunciato: lo spazio è tutto strutturato intorno ai pilastri cruciformi, robustissimi, sormontati da grandi e inconsueti capitelli, dall’ornato lineare, che sostengono archi non molto alti. Tutto l’insieme suggerisce l’idea che la costruzione dell’XI secolo sia stata effettuata su una precedente del IX secolo. Uscendo dalla cripta, si passa nella chiesa superiore. Ci troviamo in una costruzione dalle forme agili, tre alte navate convergono nell’abside a pianta semicircolare: è la grande navata gotica del XIV secolo, che tuttavia presenIL CAMMINO EUROPEO

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27. Complesso del monastero di San Salvador de Leyre. Le costruzioni a sinistra e a destra della chiesa risalgono al XX secolo, quando, dopo molti decenni di abbandono dovuti agli espropri statali, i monaci hanno potuto tornare e i pellegrini trovare nuovamente ospitalità. 28. Arco rampante sulla fiancata settentrionale della chiesa del monastero, San Salvador de Leyre.

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29. Lunetta del portale detto Porta Speciosa (XI secolo), San Salvador de Leyre. Si vedono, da sinistra, la figura mutila di un apostolo, san Pietro, la Vergine, Cristo Salvatore, san Giovanni Evangelista, la figura mutila di un secondo apostolo. 30. Porta Speciosa e scalinata d’ingresso, San Salvador de Leyre.

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ta nel muro meridionale una struttura chiaramente romanica: i cisterciensi infatti rispettarono la costruzione precedente. In questo muro si apre la porta che, oggi, comunica con il panteon dei re di Navarra. In essa notiamo i capitelli, del XII secolo, in cui sono chiari i legami con quelli di León, per il tipo di decorazione fitomorfa, a foglie, frutti e rami attorcigliati. I legami con León e Jaca sono forti, e l’origine può essere posta a Jaca o a León, a seconda delle date che si accettano per la cattedrale di Jaca, e che sono controverse. La cappella dei re cui si accede per questa porta è più recente, e custodisce una bella scultura del XII-XIII secolo, una Vergine, sostenuta oggi da un capitello romanico. Al centro della cappella si trova il sepolcro dei re di Navarra. Usciti dalla cappella passiamo per un portale, detto Porta Speciosa. Gli elementi della sua costruzione risalgono a momenti diversi. Le figure della lunetta richiamano alla dedicazione della chiesa: al centro il Salvatore, alla sua destra la Vergine, poi san Pietro; alla sinistra, un giovane apostolo, san Giovanni Evangelista, e altre figure non identificabili perché mutile. È possibile che la lunetta appartenga ad un portale precedente, risalente a una seconda consacrazione della chiesa, dovuta, nel 1098, alle vicende storiche dei re di Navarra. Dopo alterne vicende, i cisterciensi vennero insediati nel monastero. Nei secoli XIII e XIV, infatti, vi erano state le famose lotte fra i monaci bianchi e i neri, ovvero tra i cisterciensi e i benedettini, che si alternarono, spesso in relazione alla politica dei vari re. Ma sopra tutte queste lotte, la leggenda del monaco san Virila dice bene dello sfondo della vita in questo luogo: egli, incantato da un usignolo, lo ascoltò per trecento anni, senza rendersi conto del passare del tempo. Tornato al monastero, vide che i monaci vestivano di bianco: la sua innocenza non gli aveva fatto avvertire le dispute tra gli ordini monastici, e il Signore lo aveva premiato col canto che gli aveva fatto capire come si sta alla Sua presenza. È una leggenda: ma un documento del 928 parla di san Virila, e il calendario cisterciense di Leyre lo include tra i santi. Le sue reliquie si trovano nella cattedrale di Pamplona e nel monte del monastero si vede la fonte di san Virila. SANGÜESA Città medievale, che però non troviamo citata nel Codice Callistino, Sangüesa è una delle città nate dal Cammino, e la sua grande chiesa di Santa María la Real sembra vegliare sul ponte che supera il río Aragón, del quale si trova sulla riva sinistra. Il Cammino fece il ponte e il ponte fece la città. Superato il momento della semplice difesa, per cui gli abitanti si raccoglievano intorno alla piccola altura su cui oggi sorge il villaggio dal significativo nome di Rocaforte, ci si avvicinò al ponte per guarnirlo e difenderlo, col costruttivo incoraggiamento dei re della Reconquista. 92

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31. Chiesa di Santa María la Real, XI-XII secolo, Sangüesa. La città, importante tappa del Camino, era così densamente abitata che la grande chiesa ha solo un portale sul fianco meridionale, mentre la parete occidentale è quasi a strapiombo sul fiume Aragón. Il portale, uno dei più belli dell’arte romanicogotica, presenta un ampio Giudizio universale sormontato dal Paradiso rappresentato come la Gerusalemme celeste.

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Alfonso I il Battagliero, re di Aragona e di Navarra, nel 1122 fece costruire un castello, e dotò il villaggio di un fuero, una carta cioè di libertà comunali. Questo attirò commercianti da ogni parte; il villaggio divenne città, e in breve tempo offrì ben undici ospizi ai pellegrini (contava sei parrocchie). La città si arricchì di eleganti dimore borghesi, mentre Carlo (1421-1461), principe di Viana, si fece costruire una residenza fortificata, nella quale oggi ha sede il municipio; si trova lungo la Calle Mayor, per la quale passavano, e passano, i pellegrini. In questa ricca via troviamo anche il Palazzo del Duca di Granada, del XV secolo, con belle finestre a bifora, e il Palazzo di Vallesantoro, con ampia facciata barocca, caratterizzata da una tettoia monumentale, sulla quale sono scolpite chimere dalle teste di uomo, cavallo e leone. La cattedrale di Santa María la Real fu fondata come cappella reale già nel 1052 dal re di Navarra García, zio di Alfonso I il Battagliero, che la donò poi ai monaci di Cluny. Sorge a filo della Calle Mayor, in prossimità del ponte. Notevolissimo il grande portale, ricco di motivi apocalittici illustrati con centinaia di figure scolpite. La lunetta gotica del portale presenta Cristo Giudice che separa i dannati dai beati, mentre san Michele pesa le anime e intorno, negli spicchi dell’archivolto, si ripetono temi della dannazione, del Giudizio, del bene e del male. Sormonta il tutto una rappresentazione della Gerusalemme celeste, le cui arcate affiancano e sottostanno a Cristo Pantocratore, circondato dal Tetramorfo, cioè dalle immagini simboliche dei quattro evangelisti8, e dagli apostoli. Le statue-colonna negli strombi del portale, torneranno in mente quando si entrerà nel Pórtico de la Gloria a Santiago: vediamo, come sospesi tra la terra e il cielo, Maria Maddalena, la Vergine, la madre di Giacomo, due apostoli, forse Pietro e Paolo, e, cosa rara, Giuda impiccato. A questo portale lavorarono il Maestro di San Juan de la Peña, e un Leodgarius, che lasciò il suo nome su una statua. L’interno è cisterciense a tre navate, con pilastri grandi che sostengono volte gotiche a costoloni. Belle all’esterno le figurette a mensola che sostengono il cornicione dell’abside. Nella parrocchiale di Santiago, del XII secolo, a tre navate, troviamo una bella statua gotica di san Giacomo. Sono da vedere anche la chiesa gotica di San Francisco e del convento del Carmen, e quella trecentesca di San Salvador. EUNATE Poco prima di Puente la Reina, si trova la cappella romanica di Santa María di Eunate (Muruzábal), monumento nazionale e famosa per le sue caratteristiche, tanto bella quanto misteriosa, dato che se ne ignorano le origini. Il nome, Eunate, è di origine basca, e significa: cento porte. Fu costruita dai templari nel XII secolo: circondata da un portico a colonne, oggi scoperto, che serviva forse a riparare i pellegrini o per processioni. Le sepolture probabili di pellegrini e la pianta ottagonale che richiama – cosa peraltro frequente nelle chiese legate ai templari – l’ottavo giorno (cioè il giorno della resurrezione, che inaugura l’ottavo giorno di una settimana che si apre sull’eternità) suggeriscono che la chiesa sia stata a suo tempo edificata come cappella funeraria. La sua destinazione originaria non è comunque certa: viene paragonata alle cappelle, simili per pianta e non lontane, di Los Arcos e di Torres del Río. All’interno, la cupola offre una chiara rappresentazione del cielo, nell’inse-

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32. Giuda impiccato (XII secolo), particolare della strombatura destra del portale della chiesa di Santa María la Real, Sangüesa. 33. Portale della chiesa di Santa María la Real, Sangüesa.


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34. La lunetta con il Giudizio universale, chiesa di Santa María la Real, Sangüesa.

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35. Cappella romanica di probabile fondazione templare, XII secolo, Eunate. Agli occhi del pellegrino la costruzione appare all’improvviso come una visione in mezzo a un’ampia vallata. 36. Statua lignea della Madonna in trono col Bambino, XII secolo, Eunate. Questa tipologia caratterizza l’intero percorso del Cammino europeo.

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37. Portico scoperto che circonda la cappella ottagonale di Eunate. Questo ambulacro esterno non ha mai avuto copertura, e ancora oggi non se ne conoscono le ragioni. 38. Capitello floreale che simboleggia probabilmente il Paradiso, XII secolo, Eunate.

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guirsi delle linee dei mattoni e dei lucernai, secondo un modulo romanico, e non solo romanico. La cupola, nelle chiese, è infatti rappresentazione simbolica della volta celeste, dello spazio superiore e divino a immagine del quale si modella poi lo spazio della vita umana. La chiesa si presenta curata e vissuta: dietro l’altare, una statua lignea policroma della Madonna in trono col Bambino, particolarmente solenne, bella e gioiosa, del XII secolo.

39. Statua di san Giacomo posta sul punto di incontro dei cammini alla periferia di Puente la Reina (1965). Lungo il Cammino europeo, la forte ripresa del pellegrinaggio ha contribuito a rivitalizzare i paesi e ad ingrandire tutti i centri urbani: a Puente la Reina, le costruzioni hanno raggiunto il monumento.

PUENTE LA REINA Anche questa piccola città nasce dal Cammino e per il Cammino. Il suo nome comincia a comparire nell’XI secolo; è detta «Ponte de Arga» (Arga è il fiume che le passa accanto) o «Ponte Regina». Infatti la costruzione del ponte si attribuisce a doña Mayor, moglie di Sancho il Grande (o a doña Estefanía, moglie di García di Nájera) che espressamente lo volle perché fosse facilitato il passaggio dei pellegrini. Alfonso I il Battagliero nel 1121 favorì il popolamento del villaggio, donando terreni a quanti venivano a stabilirsi qui. La città è piccola, a pianta regolare; è attraversata dalla Calle Mayor, che imbocca il ponte, ed è percorsa dai pellegrini. È il punto d’incontro di tutti i Cammini, come recita una scritta, posta ai

41. Veduta frontale del ponte, Puente la Reina. La torre sullo sfondo ne garantiva la difesa.

piedi di una grande statua metallica di san Giacomo, di recente costruzione (1965): «Y desde aquí todos los caminos a Santiago se hacen un solo». Questa statua era fino ai recenti anni ’80 ai margini della città, quasi fra i campi: oggi intorno è cresciuta un’ampia e moderna periferia. La chiesa del Crocifisso si trovava fuori dalle mura, ed era stata fondata dai templari nell’XI secolo. Alla metà del XV secolo vi fu aggiunto da don Juan de Beaumont un grande ospedale, che fu largamente dotato da papa Eugenio IV (1447). In questa chiesa si conserva oggi un Cristo in legno fortemente espressivo, che vi sarebbe stato portato nel XIV secolo da un pellegrino tedesco. Nella chiesa di Santiago dei secoli XII e XIII rimangono la facciata e il portale romanico: la chiesa è stata ricostruita tra il XV e XVI secolo. In faccia all’ingresso, una bella e famosa statua in legno dorato e dipinto, che raffigura san Giacomo, in abito di pellegrino; di fronte, una simile di san Bartolomeo. Splendido, a destra entrando, in fondo alla chiesa, il grande e luminoso retablo dell’altare maggiore, che, insieme ad altri laterali, moltiplica la poca luce nella penombra.

40. Il ponte sul fiume Arga a Puente la Reina.

ESTELLA La cittadina nasce dall’unione di due villaggi: Lizarra, che venne conquistata da Sancho I di Navarra nel 914; e Gebelda, villaggio di fondazione roma41

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na, dove alcuni pastori il 25 maggio 1085 videro una pioggia di stelle cadenti, che li condusse a ritrovare una statua della Madonna di Le Puy (poi collocata in una sua cappella, oggi l’Ermita del Puy, di recente ricostruzione, sulla strada per San Sebastián): le stelle diedero il nome alla città, e i pellegrini così la chiamarono. Re Sancho Ramírez V nel 1090 fece deviare il Cammino facendogli attraversare i due villaggi vicini, che in breve si unirono e nel 1226 costituirono un unico comune che assunse il nome di Lizarra per i Baschi e di Estella per gli Spagnoli di lingua castigliana. Fu detta per i suoi monumenti la «Toledo del Nord» ed «Estella la Bella» dai pellegrini. Sancho favorì l’insediamento di Francesi, così riuscito che ancora nel XIV secolo si parlava abitualmente il provenzale. Il loro quartiere si trovava sulla riva destra dell’Ega, e aveva come centro la Piazza San Martino, attorno alla quale oggi sorgono il vecchio municipio del XVI secolo e il Palazzo dei Re di Navarra, del XII secolo, uno dei più antichi edifici civili romanici in Spagna. Davanti a esso, su di un’altura dove una volta era il castello fortificato, si trova la chiesa di San Pedro de la Rúa. Il portale romanico assai bello guarda a nord; le sue decorazioni risentono dell’arte araba. Simili portali sono presenti anche a Cirauqui (poco distante) e, in Francia, nel Poitou, che dà il nome allo stile. All’interno, tre absidi romaniche: in quella centrale, una singolare colonna a serpenti intrecciati. Un altare, ora barocco, custodisce dal 1270 una reliquia di sant’Andrea, patrono della città. Assai bello è il chiostro romanico; sui capitelli delle colonne vediamo scene della vita di Gesù e dei santi Lorenzo, Andrea e Pietro. Una parte del chiostro è andata distrutta nel XVI secolo. Sulla via dei pellegrini si trova la chiesa del Santo Sepulcro, il cui portale gotico presenta l’Ultima Cena, le Pie Donne al Sepolcro, l’Inferno e il Calvario. Da vedere anche la chiesa di San Miguel, gotica con portale romanico, del XII secolo e la chiesa di Santa María Jus del Castillo, romanica, del XII secolo. Estella offriva ai pellegrini diversi ospizi, e di questi quello di San Lázaro, riservato ai lebbrosi, era il più famoso. Non lontano, si trova il monastero di Santa María de Irache, sede un tempo di un ospizio per pellegrini, con chiostro plateresco del XVI secolo e abside romanica del XII secolo. LOS ARCOS La cittadina, che si sviluppa ai lati del Cammino, offriva nel XIII secolo un ospizio ai pellegrini. Da visitare, per l’alternanza armonica di stili, la chiesa dell’Assunzione. Attraverso un portale plateresco si entra nell’interno così decorato di stucchi, statue, pitture, da non lasciar alcuno spazio nudo: con tanta esplosione decorativa, contrasta suggestivamente sull’altar maggiore una statua lignea della Vergine, del XIV secolo. Il chiostro presenta raffinate finestre in gotico fiammeggiante del XV secolo. Lo sovrasta una elegante torre. 102

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42. Ponte del XII secolo sul fiume Ega a Estella. 43. Lunetta (XII secolo) della chiesa del Santo Sepulcro sulla via dei pellegrini a Estella. Si distinguono dall’alto al basso e da sinistra a destra: la Crocifissione, le Pie Donne al sepolcro, la Discesa di Gesù agli Inferi e la sua Apparizione alla Maddalena, l’Ultima Cena.

TORRES DEL RÍO Villaggio notevole per la presenza di una chiesa a pianta ottagonale, romanica, con influenze bizantine e mudéjar: fu fatta costruire nel XII secolo dai Cavalieri del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Si dice che fosse cappella funeraria. All’interno, sotto la cupola a stella, simile a quella di Eunate, vediamo nell’abside un Cristo di particolare maestà. Per mezzo di una scala si accede alla torre rotonda. LOGROÑO Tipica città del Cammino, capoluogo della comunità autonoma di La Rioja, che dal río Oja (o Glera) prende il nome, Logroño non era, fino al X secolo, che una grande tenuta agricola al centro della regione resa fertile dall’Ebro. La città si sviluppa proprio per l’impulso datole dal Cammino, e in particolare in relazione al ponte di pietra sull’Ebro che san Juan de Ortega (1080IL CAMMINO EUROPEO

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1163), seguendo l’esempio di santo Domingo de la Calzada, fece costruire, a dodici archi, sopra uno precedente, citato già nel 1095. Nel 1884 è stato costruito un altro ponte a sette luci, lungo centonovantotto metri, il Puente de Hierro (Ponte di Ferro). Passato il Puente de Piedra, a destra, troviamo la Rúa Vieja e la Rúa Mayor, affiancate e parallele all’Ebro, che conservano l’antica atmosfera di borgo medievale. Lungo la Rúa Vieja, sorge la chiesa di Santa María del Palacio che nel nome ricorda la sua origine: nel 1130, l’imperatore Alfonso VII fece dono di un palazzo all’Ordine del Santo Sepolcro che costruì la chiesa. È famosa per la sua guglia, dell’inizio del XIII secolo, alta quarantacinque metri. Nella chiesa di Santiago el Real, possiamo ammirare due immagini di san Giacomo secondo la più nota iconografia: Santiago Matamoros del XVII secolo, statua equestre, e, nel retablo dell’altare maggiore, in stile gotico, del XIV secolo, Santiago Peregrino, al quale la chiesa è dedicata. È circondato da altre scene della vita del santo e dalla rappresentazione della battaglia di Clavijo. Di fronte alla chiesa di Santiago, si trova la Fuente de los Peregrinos, decorata con motivi jacobei. La cattedrale è detta Santa María la Redonda, in stile gotico con tre ampie navate, costruita nel XV secolo; la facciata barocca con due slanciate torri è del 1742: il nome ricorda l’originaria pianta circolare. La chiesa di San Bartolomé, in stile romanico-gotico del XII secolo, mostra nel portale scene della vita del santo. Dalla parte medievale della città si esce attraverso la porta detta «del Cammino», o del Revellín o «di Carlo V», ornata da insegne imperiali: la città è per la maggior parte moderna. Vicino a Logroño si trova Clavijo, teatro della famosa battaglia nella quale Ramiro I delle Asturie avrebbe sconfitto ‘Abd al-Rahman II, il 23 maggio 844, col miracoloso aiuto di san Giacomo, che trae da qui la sua iconografia quale Matamoros. Memoria della battaglia di Clavijo si trova nella cronaca del vescovo di Toledo Rodrigo Jiménez de Rada9, nonché nel «Voto di Santiago». Così viene detto il patto stretto a Calahorra fra i re cristiani delle Asturie, di León e di Castiglia dopo la battaglia di Clavijo, che impegnava i relativi popoli che Dio avrebbe concesso di liberare dai Saraceni al pagamento di un’offerta annuale di decime sui frutti della terra e sui bottini di guerra al santuario: il Voto di Santiago fu rinnovato nel tempo e nel 1643 fu istituzionalizzato, da Filippo IV di Spagna, in un’offerta da effettuarsi il 25 luglio. Il Voto, abolito nel 1812, fu ripristinato nel 1936 con effetti puramente simbolici, di cui è un segno l’ofrenda fatta in questo giorno dal re o da un suo rappresentante, dato che dopo la battaglia di Clavijo san Giacomo fu proclamato patrono di Spagna. Il Voto in un certo senso rimpiazzava e ribaltava il tributo di cento fanciulle che il regno di Asturia doveva pagare all’emirato di Cordova: tributo che re imbelli, per risparmiarsi le scorrerie musulmane, avrebbero accettato di pagare consegnando ogni anno ai Saraceni cinquanta fanciulle nobili e cin104

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44. Veduta esterna della costruzione ottagonale della chiesa del Santo Sepulcro, fine XII-inizio XIII secolo, Torres del Río.

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45. Facciata sud della chiesa di Santiago el Real (1660 ca.), Logroño. Nella nicchia superiore Santiago Matamoros, in quella al centro la Vergine. A Logroño, come a Saragozza e in moltissime città della Spagna, la devozione all’apostolo è legata a quella per la Vergine.

quanta del popolo. Intorno alla battaglia ci sono opinioni discordanti. Sarebbe stata combattuta nel cosiddetto Campo de la Matanza, Campo della Carneficina, nelle vicinanze di Clavijo nella provincia di La Rioja, il 23 maggio dell’844. Altri la datano al 25 maggio 834, altri ancora la attribuiscono a re Ordoño e la collocano presso il monte Laturce. Il testo del Voto riporta la tradizione secondo la quale san Giacomo apparve in sogno a re Ramiro I e gli promise che il giorno seguente, invocando il nome di Dio e di san Giacomo, avrebbe vinto la battaglia e che lui stesso avrebbe combattuto incessantemente con lui, vestito di bianco, su di un cavallo bianco e con un bianco vessillo. Fu la prima volta che in Spagna si levò l’invocazione: «Che Dio ci aiuti, e Santiago!». L’originale del documento fu smarrito nel XVI secolo, ma ne esistono diverse copie, una delle quali si trova presso la Biblioteca Nacional a Madrid. La bandiera della battaglia di Clavijo, nota come la Venerenda Seña, o La Enseña, che fu portata in battaglia dall’alfiere del re Luis Osórez, signore di Villalobos, fu custodita presso i suoi discendenti, marchesi di Astorga, fino al XV secolo, quando fu ceduta all’Ayuntamiento di Astorga con l’impegno che fosse portata ogni anno in processione in cattedrale per la festa dell’Assunzione. Attualmente ne è stata realizzata una copia, che si trova presso l’Ayuntamiento de La Rioja. Alla battaglia di Clavijo risulta legato anche l’Ordine militare di Santiago, caratterizzato dalla cotta bianca: la sua tipica croce rossa è uno dei simboli che si incontrano continuamente lungo il Cammino. L’Ordine risulta costituito nel 1170, durante il regno di Ferdinando II, ma se ne fa risalire l’istituzione al re Ramiro I, che l’eresse canonicamente presso la chiesa di Santiago el Real di Logroño. NÁJERA Divenne città del Cammino quando, nel 1030, Sancho il Grande vi favorì il passaggio dei pellegrini. Fu l’antica capitale del regno di Navarra, fino a quando La Rioja venne legata alla Castiglia, nel 1076. Il ponte sul río Najerilla, affluente dell’Ebro, fu costruito nel 1886 su quello precedente, già rifatto da san Juan de Ortega, che vi aveva fatto edificare accanto anche un ospedale, detto di Santiago, o di San Lázaro o de la Cadena. In campo San Fernando, vediamo un monumento a Ferdinando III il Santo, che sorge nel luogo dove fu proclamato re nel 1217. La chiesa di Santa María la Real, con monastero e ospizio, fu fondata nel 1032 da don García III re di Navarra, figlio di Sancho il Grande, sulla grotta dove, inseguendo un avvoltoio e una pernice, aveva trovato una statua della Vergine. All’interno della chiesa, vediamo il panteon reale, con tombe dei re di Navarra, Castiglia e León dei secoli XI e XII; tra le statue inginocchiate di don García, il fondatore, e della moglie doña Estefanía, si accede alla grotta dove fu trovata la statua della Vergine, in cui oggi vediamo una bella statua gotica del XIII-XIV secolo, detta anche Santa María de Nájera. IL CAMMINO EUROPEO

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Ammirabile è anche la tomba di doña Bianca di Navarra, del XII secolo, nelle cui fiancate eleganti figure sembrano danzare. Notevole anche il Claustro de los Caballeros, in stile plateresco, dove nel periodo estivo hanno luogo spettacoli con episodi di avventure dei pellegrini medievali (tratti dalla Crónica najerense). Il monastero fu incorporato a Cluny da Alfonso VI, nel 1079, per meglio sostenere e proteggere i pellegrini: oggi è retto da francescani. SAN MILLÁN DE LA COGOLLA Alle sorgenti del río Cárdenas, sul versante orientale che separa la Meseta dalla valle dell’Ebro, a poco più di settecento metri di altezza, si trova San Millán de la Cogolla, che prende il nome dal santo eremita al quale si deve la fondazione del più antico monastero spagnolo, fondato tra il V e il VI secolo. Emiliano, Millán in spagnolo, è patrono della Castiglia. La sua vita, scritta in latino nel 635 dal vescovo di Saragozza Braulio, fu tradotta in castigliano da Gonzalo de Berceo10. Millán, figlio di un pastore di Vergegium, oggi Berceo, nacque nel 473 (o 474): pastore in gioventù, amava suonare una specie di chitarra o cetra e un piccolo strumento a fiato simile all’oboe, la dulzaina. A vent’anni scelse una vita di penitenza e preghiera: la sua fama di santità si diffuse, e per evitare l’assedio dei postulanti si ritirò sulla cima di un monte, donde gli viene il nome «de la Cogolla» (dal latino cuculla o cogolla, cioè cima, vetta), sulla Sierra de la Demanda. Intorno a lui si radunò una comunità di eremiti, la cui esperienza durò fino al XII secolo. Nacque così il primo monastero, che venne in seguito ampliato. Si presenta 106

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46. Hans Memling, Cristo giudice fra i cori angelici, 1489, pala d’altare da Santa María la Real, Nájera. Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, Anversa.

47. Veduta del monastero superiore di San Millán de la Cogolla. Il culto rivolto a questo santo è legato, in Castiglia, alla Reconquista.

all’esterno col suo massiccio mastio romanico. Troviamo qui oggi il cenotafio di san Millán, sul cui petto spicca una croce visigotica. Questo tipo di croce ha otto punte e presenta al centro un fiore a otto petali, da cui partono due foglie di ortica che si aprono formando tre punte, due volte all’esterno e una all’interno: rappresenta il cammino di ascesi di ogni cristiano. Le tre punte di ognuno dei quattro bracci alludono ai dodici apostoli, e, per esser volte all’interno e all’esterno, alla chiesa contemporaneamente santa e peccatrice. Le foglie di ortica, il cui infuso si usava per purificare il sangue simboleggia il cammino verso Dio, che è doloroso come il bruciore che causano queste foglie, e produce cambiamento come l’infuso che purifica il sangue. Procedendo verso il centro le tre punte di ogni foglia alludono alla Trinità: si giunge così al centro, al fiore a otto punte, le otto beatitudini proclamate da Gesù nel Discorso della Montagna11, che rimandano alla santità e alla resurrezione. Il centro della croce rappresenta l’unione con Dio. Nel 1053 García Sánchez III devoto a san Millán, volle traslare a Nájera le reliquie dell’eremita, che furono per ciò poste su di un carro trainato da buoi. Ma in pianura, vicino al fiume, i buoi si fermarono e non ci fu modo di farli proseguire. Il re, compreso che il miracolo esprimeva la volontà del santo di rimanere in quei luoghi, fece costruire un secondo monastero, che venne detto de Yuso (dal latino deorsum, «da basso»), come l’altro fu detto de Suso (dal latino sursum, «in alto»). Lo scriptorium di San Millán fu grande centro culturale: viene da qui, e da qui prese il nome, un codice, detto Codice Emilianense 60 (l’originale è oggi a Madrid, nella Biblioteca de la Real Academia de la Historia) nel quale si trovano le famose Glosse Emilianensi, dei secoli X e XI: redatte in volgare, sono considerate i primi documenti scritti della lingua castigliana e della lingua basca, l’euskara. SANTO DOMINGO DE LA CALZADA La cittadina, detta la Compostela riojana, è una delle tappe più importanti del Cammino e accoglie i visitatori con un cartello indicatore che li immerge subito nella sua storia: Santo Domingo de la Calzada, «donde cantó la gallina después que asada»: «dove la gallina cantò dopo essere stata arrostita». Accanto al ponte sulle rive dell’Oja sorge una piccola chiesa, l’Ermita de Santo Domingo: ricorda che il santo (1019-1109) qui viveva da eremita, quando, commosso dal fatto che i pellegrini dovevano allungare il cammino e moltiplicare le fatiche per passare il fiume, si pose all’opera per migliorare la loro strada. Disboscò e costruì la strada che da Nájera conduce a Redecilla, costruì il ponte, bonificò e coltivò la terra, edificò chiesa e ospizio, assistendo i pellegrini fino a quando morì e fu seppellito proprio sul Cammino che tanto aveva curato: così la cattedrale che fu costruita sopra il suo sepolcro si trova nel bel mezzo del tracciato, che deve deviare leggermente per proseguire. Dalla sua opera presero nome lui stesso e il paese che sorse intorno all’ospizio e al ponte: calzada significa infatti strada, cammino. IL CAMMINO EUROPEO

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È molto probabile che san Domingo, come san Juan de Ortega, e altri cui si attribuiscono per tradizione opere grandiose a sostegno dei pellegrini, non abbiano compiuto tali lavori da soli, ché sarebbe stato materialmente impossibile anche per il tempo necessario, ma siano stati promotori e infaticabili fautori e organizzatori dell’opera di molti. La cattedrale è uno splendido edificio iniziato verso la metà del XII secolo. L’atrio ha l’aspetto di una fortificazione, sotto di esso si apre il portale goti108

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48. Cancellata che protegge la sottostante cripta con il sarcofago di santo Domingo, XVI secolo, Santo Domingo de la Calzada.

49. Gabbia goticheggiante con gallo e gallina che ricordano quelli del miracolo, XV secolo, Santo Domingo de la Calzada.

co massiccio; il campanile è barocco, e fu terminato nel 1762. Si entra da Plaza Santo Domingo, dalla porta volta a sud. A sinistra, si vede la gabbia goticheggiante in cui vive la coppia di polli, che entrando si sentono spesso cantare; sotto, un grande quadro raffigura e racconta il miracolo. Ne traduciamo lo scritto: «Miracolo del gallo e della gallina. Racconta la tradizione che tra i numerosi pellegrini compostelani che faceIL CAMMINO EUROPEO

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vano sosta in questa città per venerare le reliquie di san Domingo de la Calzada arrivò qui una coppia del santo arcivescovado di Colonia con il loro figlio di diciotto anni chiamato Hugonell. La figlia dell’oste presso il quale alloggiarono si innamorò del giovane; però, davanti all’indifferenza del ragazzo, decise di vendicarsi. Mise una coppa d’argento nel suo bagaglio e quando i pellegrini ripresero il loro cammino, la giovane denunciò il furto al governatore. Le leggi di allora, di Alfonso X il Saggio, punivano con la pena di morte il delitto di furto. L’innocente pellegrino fu preso e impiccato. Quando i genitori tornarono dal pellegrinaggio a Santiago de Compostela, furono avvisati che il figlio era stato giustiziato, e quando si recarono al luogo dove era impiccato, sentirono la voce del figlio che annunciava loro che san Domingo de la Calzada gli aveva conservato la vita. Andarono immediatamente a casa del governatore della città, e gli raccontarono il prodigio. Incredulo, il governatore ribatté che il loro figlio era tanto vivo come il gallo e la gallina arrosto che egli stava per mangiare. In quel preciso momento il gallo e la gallina si coprirono di piume e saltando nel piatto si misero a cantare. Da allora si tramanda il famoso verso: «A Santo Domingo de la Calzada, dove cantò la gallina già cucinata». A ricordo di quanto accadde, si conservano un gallo e una gallina, vivi, e sempre di color bianco, durante tutto l’anno, e si cambia la coppia ogni mese. Di fronte a questa nicchia, che si costruì per ricordare il miracolo, e sotto la finestra, si conserva un pezzo di legno della forca del pellegrino. Questo miracolo accadde nell’anno 1400. Nella chiesa si possono ammirare notevoli immagini secentesche e settecentesche di san Rocco e san Cristoforo, una bella Pietà, un altare con retablo dedicato a san Sebastiano, sovrastato dal Cristo con la Vergine e san Giovanni, affiancato da santa Lucia e da santa Caterina d’Alessandria. Possiamo inoltre ammirare un grande retablo dedicato al Pantocratore, che ne è al centro. Intorno a lui, tutta la storia della salvezza: l’Annunciazione, la Natività, la Presentazione al Tempio, la Resurrezione, la Discesa dello Spirito Santo, Gesù alla colonna. Sopra la figura centrale del Pantocratore, dal basso all’alto, vediamo l’Assunta, il Santissimo, il sudario di Cristo; sotto, la Deposizione, fiancheggiata dalla Salita al Calvario. Il grande retablo è opera particolarmente splendida di Damián Forment, del 1538. Nella cripta, cui si accede passando in un ingresso con due Crocifissi, si trovano l’urna del santo protetta da un baldacchino e una statua dello stesso, entrambi del XII secolo. BURGOS Sulle rive del río Arlanzon, Burgos è una città ricca di opere artistiche che testimoniano una storia intensa. Il villaggio che sarebbe diventato Burgos fu più volte devastato dai Mori, nell’884 fu ripopolato dal conte Diego Rodríguez detto Porcelos, cosa questa che viene considerata la sua fondazione, nel quadro di un ripopolamento della zona e della costituzione di luoghi di difesa. Già città nel 920, fu scelta da Fernán Gonzáles come capitale della sua contea di Castiglia, che ambiva rendersi indipendente dal regno di León. Ricevette impulso da Ferdinando I di Castiglia (1035-1065) quando questi, riunendo Castiglia, León e Asturie, ne fece la sua capitale: divenne allora uno dei centri della Reconquista, e i pellegrini vi trovavano diversi ricoveri e ospedali. Quando, nel 1492, Valladolid divenne capitale della Spagna unificata, per Bur110

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50. Arco di Santa María, porta della città di Burgos costruita alla metà del XVI secolo in onore di Carlo V.

gos iniziò un periodo di declino politico. Oggi è capoluogo di provincia. In Burgos i pellegrini entravano per la Calle de las Calzadas, proseguivano per Calle San Juan, dove trovavano l’Ospizio di San Juan Evangelista, poi, per Calle de Avellanos e Calle Fernán Gonzáles: erano così arrivati alla cattedrale. La prima cattedrale di Santa María pare esser stata costruita in Oca (in latino Auca), paese a quaranta chilometri da Burgos: qui avrebbe posto la sua sede vescovile san Giacomo, ed è evidente che si tratta di una tradizione leggendaria. Oca fu distrutta dai Mori nel 714; più tardi, la sede vescovile fu trasferita a IL CAMMINO EUROPEO

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due chilometri dall’attuale Burgos, a Gamonal. Poi Alfonso VI fornì mezzi perché si costruisse in Burgos una cattedrale. Questa, in occasione delle nozze di Ferdinando III, nel 1219, risultò insufficiente a contenere tutti gli invitati, e si decise di ricostruirla ampliandola. Ispiratore del progetto fu il vescovo Maurizio, che in un viaggio in Germania aveva visto le cattedrali gotiche. La prima pietra fu posta il 20 luglio 1221, la prima messa fu celebrata 9 anni dopo; i lavori continuarono poi per quasi quattrocento anni, e ad essi, fermandosi nel cantiere, contribuirono ampiamente i pellegrini jacobei. L’alternarsi degli stili nelle varie parti della cattedrale dice quanto ne sia stata lunga la costruzione. Lo stile di fondo è gotico, cui si aggiungono il rinascimentale e il plateresco, spesso sovrapponendosi come decorazione alle strutture di base. I portali di accesso sono quattro. La facciata risale al XIII secolo, le guglie altissime, ottantaquattro metri, sono opera dell’XI secolo di Giovanni di Colonia. Ai lati della porta centrale si trovano le statue di Ferdinando III e del vescovo Maurizio, che vollero la cattedrale, insieme a quelle dell’antico vescovo di Oca Asterio, e di Alfonso VI. Purtroppo la porta principale ha perduto parte della sua bellezza, per un rimaneggiamento riduttivo del 1790. La porta detta de la Coronería, a nord, del XIII secolo, sotto l’arco ogivale, mostra Cristo in trono, sormontato dalla croce portata dagli angeli; lo affiancano la Vergine incoronata e san Giovanni Evangelista, in atteggiamento di preghiera. La porta a sud, del Sarmental o Sacramental, presenta anch’essa Cristo al centro, in trono, incoronato, in atto di mostrare il libro aperto della sua Parola; è circondato dagli evangelisti rappresentati sia intenti a scrivere per divina ispirazione, sia nel Tetramorfo. Nella colonna di sostegno del timpano, vediamo una seconda statua del vescovo Maurizio, opera di recente fattura, che sostituisce quella, del XIII secolo, che si trova protetta nel chiostro. La porta detta de la Pellejería è in stile plateresco, del XVI secolo. All’interno, continuiamo a vedere diversi stili: il barocco nella cappella di Santa Tecla, il mudéjar nella sala capitolare e nella lanterna della crociera, il rococò nella Sacristía Mayor e nella cappella delle Reliquie. Il più vivo centro di devozione lo vediamo nella cappella del Santísimo Cristo di Burgos. Si tratta di un Crocifisso del XIII secolo, vestito dalla cintola in giù: in pelle di bufalo, ha i capelli e la barba veri, e sono così suggestivi che i pellegrini, in passato, giuravano che crescessero. Secondo la tradizione, fu portato da un pio mercante, Pietro Ruiz di Minguijuan, che lo avrebbe trovato in alto mare nel 1083, e lo affidò agli eremiti agostiniani. I padri agostiniani lo custodirono fino al 1835, poi fu affidato alla cattedrale. Lo si festeggia il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce: è oggetto di grande devozione, e per il suo culto esiste una confraternita, il Reale Vincolo del Santissimo Cristo. 112

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51. Tiburio (XV secolo) all’incrocio del transetto della cattedrale di Santa María Mayor di Burgos.

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L’immenso retablo di argento dorato della Cappella Maggiore è interamente dedicato alla Vergine. Al centro, la statua incoronata di santa Maria la Maggiore, XV secolo, protettrice della diocesi, sormontata dalle raffigurazioni dell’Assunzione, al cui mistero è dedicata la cattedrale, e dell’Incoronazione di Maria; nelle nicchie laterali, altre scene della sua vita. Una memoria jacobea si trova nella cappella di Santa Tecla, l’ultima che fu fatta, nel 1734: nello splendido retablo di Alberto de Churriguera vediamo Santiago Matamoros sovrastare Gesù Bambino e santa Tecla al centro, e, ai lati, santo Domingo de la Calzada e san Rocco. Nella cappella di Santa Ana il retablo è costituito da una suggestiva rappresentazione: da Jesse dormiente si leva l’albero, tra i cui rami intrecciati vediamo lo sposalizio di Anna e Gioacchino; sopra tutti, la Vergine col Bambino, il quale a sua volta regge l’albero della Croce: li affiancano le raffigurazioni allegoriche della Chiesa e della Sinagoga. Il retablo è opera del XV secolo di Gil da Siloe. La cappella di San Giacomo è di Juan de Vallejo, del XVI secolo. All’entrata della Sacristía Mayor troviamo un monumentale braciere, sempre acceso (dicono) dal XVII secolo: la sua funzione è mantenere le braci pronte per le incensazioni. Tra le meraviglie della cattedrale possiamo indicare le sue dimensioni: è lunga centootto metri, larga sessantuno; la volta della navata è alta ventisette metri, quella della crociera cinquanta. Una visita meritano anche il chiostro, in stile gotico del XIV secolo, e il Museo Diocesano. La festa del Corpus Domini, molto sentita in tutta la Spagna e accompagnata ovunque da grandi processioni, è molto solenne anche a Burgos, dove è caratterizzata da alcuni elementi che si collegano a quelli di manifestazione della devozione a Santiago de Compostela. Durante la processione, il carro che trasporta il Santissimo sembra avanzare da solo, perché portato da uomini rannicchiati tra le ruote e nascosti dalle bande laterali di tessuto ricamato. Oltre al clero, alle autorità della città, ai rappresentanti dell’esercito in alta uniforme, alla banda, ai bambini delle scuole, sono presenti ragazzi in abito da paggi del XV secolo, che ballano la caratteristica jota, ballo veloce e assai ritmato, al suono di tamburini e nacchere. Sono presenti anche figure gigantesche di cartapesta, sostenute da un uomo che vi si nasconde all’interno, che rappresentano i Re Cattolici e i popoli loro sottomessi, e i cabezudos, figure grottesche a testa grossa, che rappresentano il popolo di Burgos. Tutto ciò è da paragonare con la processione dei Giganti del 25 luglio a Santiago, di cui diremo. Il monastero de Las Huelgas (huelga significa svago, riposo) si trova a un chilometro e mezzo a ovest di Burgos, e fu fondato nel 1180 da Alfonso VIII e dalla sua sposa Eleonora d’Inghilterra. Vi possiamo vedere, nella cappella di Santiago, in stile mudéjar, una immagine dell’apostolo che anima i re alla lotta contro i Mori. 114

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52. Crociera sotto il tiburio e transetto meridionale della cattedrale di Santa María Mayor di Burgos.

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La certosa di Miraflores si trova a quattro chilometri a est della città. La chiesa fu terminata nel 1498; vi possiamo vedere i sepolcri di Giovanni II e di Isabella del Portogallo, genitori di Isabella la Cattolica. Il grande retablo fu dorato col primo oro che Colombo portò dall’America. FRÓMISTA L’antica Frumesta, da frumenta, per l’abbondanza delle sue messi, rivestì una certa importanza, dopo essere stata colonizzata dai Romani, in epoca visigotica; fu bruciata, e ripopolata nel X secolo. I pellegrini vi trovavano ben quattro ospizi, e il monastero benedettino di San Martín, di cui oggi resta solo la chiesa, al centro di una grande piazza. Il monastero di San Martín fu fondato nel 1035 da doña Mayor; restaurato e dichiarato monumento nazionale nel 1893. La chiesa è uno degli esempi migliori di romanico del Cammino: paragonata alla cattedrale di Jaca e di San Isidro di León, per la caratteristica tessitura dei muri, a scacchiera, che 116

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53. Meseta. I sei giorni necessari ai pellegrini a piedi per superare la Meseta, priva di qualunque vegetazione, sono i più duri. Questo è l’unico tratto del Cammino europeo che appare esattamente come si presentò ai primi pellegrini guidati dal vescovo Gotescalco nel X secolo. Per la sua durezza, questa parte del percorso simboleggia il Purgatorio e si dice che nessuna forza umana possa fermare il pellegrino che abbia superato la Meseta.

54. Meseta: non lontano da Castrojeriz (o Castrogeriz), all’incrocio di due vie, la croce del Cammino segna la via ai pellegrini. Lungo tutti i percorsi di pellegrinaggio che portano a Santiago le croci, che iniziano a comparire nell’XI secolo, segnano la direzione con la posizione del braccio orizzontale; hanno sulla faccia anteriore il Crocifisso e su quella posteriore la Vergine col Bambino, con eventualmente pellegrini ai loro piedi. Tali croci sono dette «del Cammino».

sarà imitata da altri costruttori in Castiglia. La chiesa è triabsidata, con tiburio ottogonale e torricelle cilindriche sulla facciata. La chiesa di Santa María del Castillo, cosiddetta perché eretta sul luogo dell’antico castello fortificato, è anch’essa monumento nazionale. Notevole il grande retablo del XV secolo. La chiesa di San Pedro del XV secolo, con grande portale plateresco, ha struttura gotica con tracce romaniche. Nella piazza del centro si trova una statua dedicata a san Telmo, patrono dei naviganti, che qui nacque. CARRIÓN DE LOS CONDES Sul río Carrión, fu città potente nel Medioevo, quando era governata dai conti Beni Gómez, avversari del Cid Campeador, leggendario eroe della Reconquista. La chiesa di Santa María del Camino o de la Vitoria è opera romanica del IL CAMMINO EUROPEO

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55. Ruderi dell’Ermita di San Nicolás (XIII secolo), nei pressi di Puente Fitero: oggi restaurata e recuperata a ospizio per pellegrini dalla Confraternita di San Jacopo di Perugia. 56. Ingresso a Castrojeriz, segnato dalla croce del Cammino. La presenza costante delle croci lungo il Camino ha indotto i pellegrini a un gesto tradizionale che consiste nel volgersi al sole al suo primo sorgere, aprire le braccia e dire a gran voce: «Hoy será un buen día». Gesto che poi si ripete rivolti a occidente prima di riprendere il cammino.

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57. Facciata con le torrette cilindriche della chiesa del monastero di San Martín (XI-XII secolo), Frómista. L’antichità di questa chiesa è documentata anche dalle torri in facciata, i cui primi esempi risalgono agli inizi dell’XI secolo nella chiesa di Saint-Étienne a Caen. 58. Abside della chiesa del monastero di San Martín, Frómista.

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secolo, monumento nazionale. Nella facciata ricca di rilievi fantastici, si distinguono i vegliardi dell’Apocalisse e l’Adorazione dei Magi. Il nome della chiesa rimanda a un fatto ricordato anche nel portico romanico: Carrión era costretta a un tributo di cento fanciulle ai dominatori Mori, che furono liberate grazie all’irruzione di alcuni tori che abbatterono la staccionata del recinto in cui le fanciulle erano state rinchiuse. Per voto, si ripete ogni anno, nel terzo giorno di Pasqua, una messa di ringraziamento. Memoria del Cammino troviamo la chiesa di Santiago, bruciata nel 1809, che conserva la splendida facciata romanica dell’XI secolo con Cristo attorniato dai simboli degli evangelisti. È monumento nazionale.

bica è presente un suo ufficio. La chiesa di San Lorenzo (XIII secolo) è altro esempio di stile mudéjar. Piccole ma belle sono le chiese dell’Ermita de la Virgen del Puente, così detta perché vicina a un piccolo ponte medievale che superava il río Valderaduey, oggi del tutto secco, e, su di una vicina altura, il santuario mariano della Peregrina, fondazione francescana del XIII secolo, che fu ospedale per pellegrini. A cinque chilometri, è notevole il monastero di San Pedro de las Dueñas, esempio di romanico-mudéjar in pietra con finiture in laterizio, di cui è famoso il capitello «dei sette monaci». L’immagine della Vergine in abito da Pellegrina, oggi nella chiesa di San Lorenzo, è celebrata ancor oggi con pellegrinaggi in tutta la provincia del León, caratterizzati dalla distribuzione di limonata da parte della municipalità. La Peregrina, San Tirso e San Lorenzo sono monumenti nazionali.

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SAHAGÚN Sorse qui uno dei più imponenti e importanti cenobi medievali, che giunse ad avere giurisdizione su novanta monasteri e chiese, il Real Monasterio Benedictino de San Facundo y Primitivo: dell’edificio originario resta la cappella di San Mancio. Il nome Sahagún deriva, per contrazione, da Sanctus Facundus (Sant Facund – SantFagund – Sanfagún – Safagún). Facondo fu, insieme al compagno Primitivo, martire di epoca romana: subirono il martirio presso il río Cea, e la prima notizia del loro culto apparve nel 652. Un luogo di culto in loro onore sorse probabilmente già in epoca romana: divenne monastero in epoca visigotica e fu poi distrutto dai musulmani. La prima chiesa, in rovina, fu ricostruita nell’872 da re Alfonso III il Grande e fu affidata a monaci sfuggiti alla persecuzione dei musulmani dal monastero di San Cristóbal di Cordova. Nuovamente distrutta nell’883, fu ricostruita nel 905 e consacrata nel 935 e fu largamente dotata di privilegi e beni da Alfonso VI di León (1065-1109), che ne fece il più importante centro di diffusione della riforma cluniacense e del rito romano in Spagna. Qui convissero felicemente cattolici franchi (commercianti), ebrei (fino al 1492) e mudéjar (artigiani). Il monastero, detto in origine zeiense, essendo sulle rive del río Ceia o Zeia, giunse ad avere fino a cinque ospizi. In ambiente cluniacense si formò e si diffuse la leggenda riferita allo scontro tra Carlo Magno e il gigante musulmano Aigolando: le lance, piantate dai cavalieri cristiani uccisi, martiri a gloria di Dio, fiorirono come canne sulle rive del río Cea. Nella città possiamo ammirare diverse chiese. Quella di San Tirso (iniziata nel XII secolo) è una delle prime chiese romaniche in laterizio, esempio dello stile detto romanico-mudéjar: la costruzione in laterizio si innalza sopra i basamenti in pietra. A san Tirso (che in spagnolo diviene anche Santiso) sono dedicate in Spagna molte chiese: fu martirizzato ad Apollonia (oggi Sozopolis) in Turchia, durante la persecuzione di Decio, insieme a Leucio e Callinico. Le sue reliquie furono portate a Costantinopoli e poi, nel Medioevo, il suo culto si diffuse largamente in Spagna, e nella liturgia mozara120

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59. L’abside della chiesa di San Tirso a Sahagún conserva ancora le tracce della prima costruzione della fine dell’XI secolo. 60. Conchiglia nel peribolo della cattedrale di León. 61. Nuestra Señora la Blanca, particolare del trumeau del portale centrale della facciata della cattedrale di León, XIII secolo.

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LEÓN Capoluogo della provincia di León, si trova alla confluenza del río Bernesga e del río Torio. Il nome deriva dalla legione romana, la VII, che si dovette mantenere di stanza qui per la spiccata tendenza all’autonomia della popolazione, mai del tutto sottomessa ai Romani. Conquistata dagli Arabi nel 717, fu ripresa dal re delle Asturie, riconquistata dagli Arabi, e liberata definitivamente da Alfonso III nell’882. Quando i re delle Asturie, che stavano organizzando la difesa e la controffensiva contro gli Arabi, portarono la capitale del regno più a sud di Oviedo, la stabilirono a León, che rimase capitale del regno di León dal 909 fino al 1037, quando venne unito al regno di Castiglia da Ferdinando I, che li ereditò in successione entrambi. Assediata, presa e distrutta da al-Mansur, fu ripopolata da Alfonso V, all’inizio dell’XI secolo, facendovi affluire Mozarabi da Cordova e da Toledo. In questa città troviamo due splendidi esempi del romanico e del gotico, in due chiese fortemente legate al Cammino: San Isidro e la cattedrale, dedicata a Santa María de Regla. La cattedrale, paragonabile a quella di Reims e alle altre cattedrali del Nord della Francia, costituisce il più bell’esempio di gotico in Spagna. La «tessitura» dei muri a scacchiera riporta invece a San Martín di Frómista e alla cattedrale di Jaca, a riprova di un «dialogo» artistico in cui romanico e gotico si intrecciavano. La costruzione della cattedrale iniziò col vescovo Manrique de Lara (11811205); sovrintendeva al lavoro Maestro Enrico, forse di origine francese, che morì a Burgos nel 1277, capomastro di quella cattedrale. La pianta a croce latina presenta la struttura delle chiese di pellegrinaggio, con tre navate longitudinali e tre trasversali per il transetto, deambulatorio poligonale e rispettive cappelle radiali. La facciata si caratterizza per le due torri, di diversa altezza e stile (quella di IL CAMMINO EUROPEO

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destra è in gotico fiorito), il grandissimo rosone e tre grandi portali. In quello centrale, il Giudizio universale, con i dannati e gli eletti; la colonna è sormontata da una copia della statua di Nuestra Señora la Blanca (il cui originale si trova nella cappella absidale). Un’altra e simile statua della Vergine, questa però in legno policromo, si trova all’interno della cattedrale, nella quale filtra la luce, che trasfigurata dalle vetrate, è vero simbolo della Grazia. A ricordarci che siamo sul Cammino in una vetrata a lato del rosone vediamo san Giacomo in abito da pellegrino. Tra le altre belle statue dell’interno, ne segnaliamo una di iconografia non frequente: la Vergine in attesa, col «pancione» e la mano posata su di esso. I pellegrini, arrivando a questa cattedrale, già essa stessa meta di pellegrinaggio, poggiavano la mano sulla colonna, ormai consumata, che fa da piedestallo alla statua di san Giacomo (alla sinistra di Nuestra Señora la Blanca), anticipando un gesto significativo dei riti di Compostela. Anche le dimensioni di questa grande chiesa sono significative, e non servo122

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62. Scene della vita di Maria nella lunetta del portale sinistro della facciata della cattedrale di León. Dal basso all’alto e da sinistra a destra: la Visitazione, il Presepio, la Vergine e il Bambino accuditi dalle levatrici, l’Annuncio a Giuseppe, l’Annuncio ai pastori, i Magi da Erode, l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto e la Strage degli Innocenti. 63. Veduta da sud-ovest della cattedrale di León (secoli XIII-XV).

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no solo a soddisfare una curiosità: è lunga novantuno metri e larga quaranta, e la navata maggiore è alta trentanove metri. Le vetrate si estendono per 1.200 metri quadrati, presentano centoventicinque pannelli e cinquantasette medaglioni. Le parti più antiche sono quelle della facciata e delle tre cappelle dell’abside (dal XIII al XV secolo). Merita una visita il Museo de Arte Sacro, che offre una ricca collezione di statue della Vergine. A sant’Isidoro di Siviglia (560 ca.-636) è dedicata la cattedrale della città: arcivescovo di Siviglia, dottore della Chiesa, è uno dei santi spagnoli più amati. Fu assai influente nella vicende della Spagna dominata dai Visigoti, che convertì dall’arianesimo al credo niceno. La collegiata di San Isidoro o San Isidro è un perfetto esempio dell’arte romanica, come la cattedrale di Jaca e la chiesa di San Martín di Frómista. San Isidro fu costruita su una chiesa preromanica dedicata a san Giovanni Battista; voluta da Alfonso V per custodire le reliquie di sant’Isidoro, vescovo di Siviglia, le cui ceneri, conservate in un’arca d’argento nella cappella mag124

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64. Cristo in maestà con i simboli degli evangelistiantropomorfizzati, affreschi del Panteón de los Reyes, navata maggiore, chiesa di San Isidro, León, XII secolo. 65. Particolare degli affreschi del XII secolo del Panteón de los Reyes, chiesa di San Isidro, León.

66. Strage degli Innocenti, particolare della volta della navata destra del Panteón de los Reyes, chiesa di San Isidro, León.

giore, opera tardogotica (1519) di Juan de Badajoz, poterono riposare in terra cristiana per concessione del principe arabo di Siviglia. Il Panteón de los Reyes, al quale si accede dal fondo della chiesa, è costituito da un portico aperto dell’XI secolo e presenta affreschi romanici perfettamente conservati (1168-1680), e capitelli in cui sono raffigurati personaggi del paese in costume locale, esempio di stile asturiano. La Puerta del Perdón12 ricollega questa chiesa alla cattedrale di Santiago; è opera infatti dello stesso Maestro Esteban che ha lavorato alla Portada de las Platerías di Santiago. Il convento di San Marcos, fondato all’epoca dei Re Cattolici, è un palazzo rinascimentale, decorato con la conchiglia di Santiago e presenta sulla facciata plateresca l’immagine di Santiago Matamoros. Vi ha sede anche il Museo Arqueológico, con interessanti opere d’antichità romane e medievali. Nella seconda domenica di Pasqua hanno luogo le Fiestas de las Cabezadas, legate a sant’Isidoro. Le segnaliamo per il tema delle figure grandi, che troveremo anche a Santiago. IL CAMMINO EUROPEO

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LA VIRGEN DEL CAMINO Poco dopo León, si trova il santuario dedicato alla Virgen del Camino patrona di León, ricostruito in tempi recenti anche se si rifà a un’antica tradizione. Tra il 1502 e il 1511 la Vergine apparve al pastore Alvar Simón e gli chiese che le si costruisse un santuario. Confermata dai miracoli, la devozione crebbe e il luogo divenne meta di pellegrinaggio. La grande e moderna chiesa, del 1960, ha un’ampia facciata con un portale assai ben armonizzato nelle proporzioni, e un altissimo campanile la cui forma è un misto della vela e della guglia, sormontato dalla croce. Il portale della facciata è in bronzo, e illustra la vita della Vergine e il tema della Pentecoste: opera del catalano Subirachs. All’interno sono custoditi un retablo e pochi altri arredi antichi. Al centro, su un trono d’argento, si trova una bellissima Pietà (la Virgen del Camino) del XVI secolo; suggestive anche le immagini di san Michele Arcangelo e san Giacomo. L’insieme dimostra una continuità nella capacità di comunicazione del sacro dalle epoche più lontane ai giorni nostri, col persistere dei temi e dei 126

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67. Particolare dell’immagine della Virgen del Camino, patrona di León, nel suo santuario che dà il nome al borgo a cinque chilometri da León verso Santiago.

68. Verso Astorga, campanile a vela con cicogna. I nidi delle cicogne, presenti in tutto il percorso centrale del Cammino, sono considerati di buon auspicio e per questo motivo si reputa fortunata la casa su cui vengono costruiti.

simboli, nel mutare degli stili. La devozione verso questa immagine è grande; in settembre e ottobre si fa un pellegrinaggio, con danze tipiche in abito tradizionale. ASTORGA È l’antica Asturica Augusta dei Romani, che conobbe grande vivacità di traffici e comunicazioni. Chi la vede da lontano, non può non rimaner colpito dalle mura tardo romane che ancora in parte la circondano, da cui si alza una selva di torri e pinnacoli: ed è bene che se la imprima nella mente, per comprenderne l’architettura. La cattedrale è in stile gotico fiammeggiante; presenta una ricca facciata di stili commisti: gotico, barocco, plateresco. L’esterno è ricco di pinnacoli che ne sono tratto distintivo. A questa facciata deve aver guardato Antoni Gaudí, quando pensò, nel 1889, il palazzo episcopale, anch’esso ornato di pinnacoli, che si uniscono singolarmente a tutti gli altri monumenti della città. Esso è sede del Museo de los Caminos dedicato alla storia dei vari Cammini medievali, con statue del XII secolo, pitture, manoscritti e documenti medieIL CAMMINO EUROPEO

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vali. Il Museo de la Catedral offre, oltre a statue romaniche della Vergine, preziosi reliquiari e oggetti di culto, alcuni di arte araba.

69. Torri e pinnacoli del palazzo episcopale (Antoni Gaudí, 1889) e della cattedrale (XIV-XVII secolo) di Astorga.

PONFERRADA Era la romana Interamnium Flavium, e sorge in una zona mineraria ricca di ferro. Prende il nome dal ponte, il Puente Ferrado (Ponte di Ferro), che fu fatto edificare dal vescovo di Astorga, Osmundo, nel XII secolo sul río Sil, per i pellegrini. Quando Ferdinando II di León volle ripopolare il villaggio, lo donò all’Ordine dei templari nel 1185; il castello, costruito probabilmente per rendere più sicuro il Cammino, fu edificato nel XIII secolo, ed è monumento nazionale dal 1958. Nel 1498 i Re Cattolici fecero costruire l’Ospizio della Regina, che divenne punto di riferimento del Cammino. Poco dopo l’arrivo dei templari, in un querceto apparve la Vergine: la devozione alla Virgen de la Encina (Quercia) si diffuse rapidamente: alla prima

70. Immagine di san Giacomo pellegrino (XVIII secolo), Astorga. 71. Il castello dei templari (XIII secolo) a Ponferrada. L’Ordine dei Cavalieri del Tempio, che contribuì alla Reconquista, garantiva ospitalità e protezione ai pellegrini; quando fu soppresso da papa Clemente V nel 1312, non conobbe in Spagna alcuna persecuzione e i cavalieri confluirono liberamente in altri Ordini religiosi militari.

chiesa se ne sostituì una più grande nel XVI secolo, che vediamo anche ora; fu elevata a basilica nel 1958, quando la Virgen de la Encina fu proclamata patrona del Bierzo, la regione in cui sorge Ponferrada. VILLAFRANCA DEL BIERZO Antica Bergiolum romana, rinacque dal Cammino: ebbe forse fino a cinque ospizi, dei quali oggi rimane il collegio della Divina Pastora. Fu fondata nell’XI secolo, come borgo di franchi (liberi), che le diedero il nome. Fu a lungo sede di monaci di Cluny, che edificarono una chiesa, Nuestra Señora de Cluniaco, Nostra Signora di Cluny. Molto bella è la chiesa di San Nicolás de Burbia, del XVII secolo, convento gesuitico; all’interno un retablo churrigueresco, e il Cristo della Speranza, patrono della città. Oggi è retto dai padri paolini. Il convento dell’Annunziata fu fondato dai francescani nel 1606; la collegiata di Santa María è del XVI secolo, e presenta un bel retablo della Santissima Trinità. Ma le chiese più interessanti per il legame col Cammino sono quella

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di Santiago e quella di San Francisco. Romanica, del XII secolo, la chiesa di Santiago sorge nella parte alta della città: la porta settentrionale, ornata di capitelli istoriati e di un arco leggermente ogivale e decorato con leggerezza, è detta Puerta del Perdón. I pellegrini infatti che passavano per essa lucravano le stesse indulgenze che a Santiago, se non fossero riusciti a raggiungerla. Di fronte sorge la chiesa di San Francisco, che la tradizione vuole fondata dal santo in persona. Il portale è romanico, del XIII secolo, la navata presenta elementi mudéjar, e l’abside gotica del XIV secolo. CEBRERO Al Puerto, come a dire «al Passo», sulla Sierra de Ancares, appartenente alla cordigliera cantabrica, si trova un piccolo villaggio, Cebrero, o Cebreiro, con scrittura galiziana, l’antica Mons Februari del Codice Callistino: dall’arabo al-Idrisi detta Munt Fabrayr, e da altri documenti Zebruarii e Zeberrium. Il nome è significativo: infatti, februarius, febbraio, è il mese della purificazione, il nome quindi voleva dire Monte della Purificazione. L’insediamento umano qui è ben preesistente non solo al Cammino, ma anche ai Romani, come indicano le case di paglia, le pallozas. Si tratta di abitazioni preromane a portale trilitico, con i muri di pietra, e i tetti di paglia, a forma di chiglia rovesciata, che sembrano alludere a una civiltà proveniente dal mare. Qui si sono trovate anche tracce di insediamenti dell’età del bronzo. Un monte sacro dunque, su cui sorse una chiesa preromanica dedicata alla Vergine. I pellegrini non mancavano di salire a questo luogo venerabile, anche se, in inverno, poteva costar loro la vita. Un rifugio dovette esistere presto, forse dall’836. Nel 1072 Alfonso VI affidò il ricovero dei pellegrini ai monaci francesi di Aurillac, cluniacensi. Non mancò mai il sostegno dei re, che si dichiararono protettori del Cebrero: per questo la Vergine qui venerata viene detta Santa María la Real. Ma ciò che rese famoso il luogo fu l’aggiungersi alle memorie del sacro di un prodigio, simile per diversi aspetti a quello che è detto «il miracolo» di Bolsena; lo chiamano El Santo Milagro, il Santo Miracolo. La tradizione racconta: «Un monaco di Aurillac celebrava in questa cappella (XIV secolo). Un paesano di Barjamayor salì al Cebrero durante una grande tempesta per sentire la santa messa. Il monaco celebrante, di poca fede, disprezzò il sacrificio del paesano. Nel momento della Consacrazione il monaco percepì come l’Ostia si cambiasse in Carne visibile e il vino del Calice in Sangue, che si versò e tinse il corporale. Il corporale con il sangue rimase nel Calice, e l’Ostia nella Patena». Oggi, il calice, la patena e il reliquiario sono visibili, ben protetti, e assai venerati, come dimostrano i lumi sempre accesi. Dal punto di vista artistico, sono romanici, del XII secolo, e furono compresi nel Catalogo dell’Arte Ro130

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72. Paesaggio presso Villafranca del Bierzo. Dopo la Meseta l’ambiente cambia notevolmente, e le verdi e umide colline del Bierzo e della Galizia sono refrigerio per il pellegrino. 73. Calice, patena e reliquiario (XII secolo) del Santo Milagro, il miracolo eucaristico del Cebrero, accaduto nel XIV secolo.

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manica Europea. Conosciuto in tutta Europa, questo calice viene detto El Santo Grial Gallego, il Santo Graal galiziano: ed è bene non dimenticare l’influenza di Cluny in questo suggestivo appellativo. Innocenzo III e Alessandro VI fanno menzione ampia di questo miracolo, al quale non mancò la venerazione dei Re Cattolici, che qui si fermarono (1486) durante il loro pellegrinaggio a Santiago; il reliquiario in cui è custodito è loro dono. Il santuario è di stile preromanico, del IX secolo, e sua caratteristica è l’essere seminterrato. Subì gravi danni per incendi nel 1450, e fu papa Pio II a contribuire al restauro; un altro incendio lo danneggiò nel 1641: il colore rosato delle pareti all’interno è una traccia di questi incendi. In conseguenza della confisca, i benedettini lasciarono il luogo nel 1854 e assai mal ridotto si presentava all’inizio dei restauri nel 1962. All’interno troviamo una bella statua della Vergine, scultura in legno policromo del XII secolo, romanica, che la raffigura col Bambino in braccio, in atto di offrirlo, come Signore del mondo, all’adorazione dei fedeli. Nella cappella del Milagro troviamo, oltre alle reliquie esposte e veneratissime, i sepolcri del monaco e del contadino, che qui vollero rimanere, per sempre. La cappella di San Benito infine mostra una bella statua lignea, assai solenne, del santo: i benedettini di Aurillac lasciarono questo luogo nel 1487, quando i Re Cattolici ottennero dal papa che il monastero fosse staccato da quello francese e affidato ai benedettini di Valladolid. Il battistero è separato dalla chiesa, secondo la regola più antica: il battesimo avveniva per immersione, e il fonte è un vero gioiello. Anche le costruzioni dell’ospizio sono state restaurate e trasformate in accogliente locanda nel 1966: nell’ingresso, una grande conchiglia di san Giacomo in pietra, appesa al muro. Poiché il santuario è dedicato alla Vergine, la festa patronale è l’8 e il 9 settembre: per onorare santa María la Real e il Santo Milagro convengono qui più di 30.000 pellegrini dalla Galizia e dal León. Nelle pallozas intorno al santuario è alloggiato il Museo Etnográfico de O Cebreiro, che raccoglie le testimonianze degli insediamenti preistorici della zona. TRIACASTELA Pur essendo oggi ancora capoluogo del comune che porta il suo stesso nome, non resta molto a Triacastela dell’importanza che ebbe nel XIII secolo. Il nome compare fin dal X secolo: a tale epoca risale la donazione, che Ordoño II fece (922) di un monastero e di una chiesa, qui situati e dedicati ai santi Pietro e Paolo, alla cattedrale di Santiago. Il massimo splendore della cittadina fu all’epoca di Alfonso IX di León, che, IL CAMMINO EUROPEO

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74. Paesaggio al Cebrero con il caratteristico cielo del clima atlantico. 75. Tipiche costruzioni celtiche preromaniche chiamate pallozas, Cebrero.

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76. Croce del Cammino che segna l’ingresso al borgo, Cebrero. La presenza della Vergine col Bambino ci dice che questo è il lato posteriore della croce. 77. Ingresso alla chiesa preromanica dedicata alla Vergine dove accadde il miracolo eucaristico, Cebrero.

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nell’ambito della sua azione di ripopolamento della zona, intese farne una grande città (primo quarto del XIII secolo). Il progetto tuttavia non ebbe poi alcun seguito, e oggi Triacastela si presenta come un piccolo paese rurale, disposto ai lati del Cammino. Dei tre castelli che continuano a figurare nello stemma comunale e hanno dato il nome alla località non si sa oggi nulla. Dello splendore medievale rimane solo l’abside romanica della chiesa parrocchiale, che è stata completamente rifatta nel 1790. All’interno, nella nicchia dell’altare maggiore, si può vedere un’immagine di san Giacomo pellegrino. Dell’ospitalità per i pellegrini rimane solo un ricordo riferito a una casa poco lontana dalla chiesa parrocchiale, a destra andando verso Santiago. PORTOMARÍN Portomarín (Puertomarín) sorge sulle rive del río Miño, oggi trasformato nell’Embalse (invaso artificiale) de Belesar. Era formato da due nuclei, San Pedro, sulla riva sinistra, e San Nicolás, sulla destra; i due villaggi erano uniti da un ponte romanico, distrutto nella lotta tra doña Urraca e Alfonso I il Battagliero, e restaurato poi nel 1120 da Pietro il Pellegrino, che molto fece per i pellegrini jacobei; su questo, nel 1929 è stato costruito il ponte attuale. 134

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78. Particolare della lunetta del portale della chiesa di San Nicolás (XII secolo), Portomarín.

79. Lunetta del portale della chiesa di San Nicolás, Portomarín.

Oggi, passato il ponte, ci si trova di fronte una scalinata che conduce alla chiesa di Nuestra Señora de las Nieves; in auto, prendendo a destra, si giunge al nuovo villaggio, in mezzo al quale risalta in modo singolare la grande chiesa fortificata di San Nicolás, del XII secolo. Questa vi fu trasportata quando si fece l’embalse che inghiottì i vecchi paesi. La chiesa di San Nicolás apparteneva all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. LABACOLLA A Labacolla (Lavacolla), dodici chilometri circa da Santiago, avveniva, nel río che dà il nome al paese, il lavacro quasi rituale dei pellegrini giunti in vista di Santiago; rito di cui diremo più avanti e che ci è stato documentato fino all’epoca barocca. Oggi la località, costituita da pochissime case sparse lungo il Cammino, deve la sua importanza all’aeroporto, che collega Santiago a tutta la Spagna, e al cui ingresso si trovano alcune strutture turistiche (bar, ristorante). È da citare, all’uscita del paese, la cappella di San Rocco, dove i pellegrini possono ripararsi, in prossimità della quale è stata collocata una bella Croce del Cammino che presenta da una parte il Cristo e dall’altra la Madre Dolorosa col pugnale che le trafigge il cuore. IL CAMMINO EUROPEO

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1. Facciata (1738-1750) della cattedrale di Santiago de Compostela. La pietra del santuario, e di altre costruzioni della città, frequentemente bagnata dalle piogge e asciugata dal sole, coperta in più punti di licheni, presenta la caratteristica di mutare colore al variare delle condizioni climatiche.

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Santiago è sede vescovile ufficialmente dal 1095 e sede universitaria dal 1501. Fin da Labacolla, si possono scorgere le altissime guglie della facciata della cattedrale. Questa, e l’antistante piazza, sono il cuore della città, che nasce e si sviluppa come servizio allo spazio sacro che si struttura intorno alla tomba del santo: nei nomi delle strade, nella decorazione dei palazzi, nella dedicazione delle chiese, troviamo memoria dell’apostolo e della via di pellegrinaggio. Pur avendo visto lo sviluppo di una moderna periferia, Santiago mantiene al centro un impianto urbanistico medievale, e si distingue da altre città per la sovrapposizione di elementi e strutture barocche agli edifici di epoca precedente, per cui è stata paragonata a Salisburgo e a Praga. Un’altra delle caratteristiche di Santiago è il clima atlantico, molto mutevole, per cui alterna piovaschi improvvisi a luminose schiarite. Tutto nella città ripete la storia di san Giacomo, nelle grandi costruzioni come nei piccoli particolari. Gli stemmi delle case raccontano la storia dell’arca ritrovata grazie alla luce di una stella, le conchiglie sono motivo decorativo ricorrente, si ricorda la battaglia di Clavijo: anche le inferriate delle cantine mostrano la stella che guidò Pelayo, o la spada dell’Ordine militare di Santiago. Arrivando a Santiago, si imbocca la Calle de los Concheros, nome che ricorda che ci si sta avvicinando a un santuario il cui segno più noto è la conchiglia, la concha (o vieria), e i concheros erano i venditori e fabbricanti di conchiglie ricordo. Percorsa questa via, si imbocca Rúa de San Pedro, e si raggiunge così la Puerta del Camino: il nome stesso dice che questo era il passaggio dei pellegrini. Poi si percorre Calle de las Casas Reales, si arriva alla Plaza de Animas, e quindi a Plaza Cervantes. Si prosegue per una via detta semplicemente Azabachería: il nome ricorda che qui si potevano comprare i caratteristici oggetti di azabache, pietra nera e lucente, nella quale si scolpivano piccole immagini del santo, conchiglie, e simili (l’azabache è ancor oggi usatissimo nell’oreficeria locale, che ne è caratterizzata). Dall’Azabachería si passa alla Plaza de la Inmaculada, e di qui, attraverso l’Arco Obispo (l’Arco del Vescovo), si raggiunge finalmente la grande e luminosa Plaza de España, detta da tutti, con voce tradizionale, Plaza de Obradoiro. Questo nome venne dato alla vasta spianata davanti alla cattedrale, sulla quale per lunghi anni gli artigiani (obrador significa «laboratorio, officina») e i mastri di varie arti lavorarono alla costruzione della cattedrale e delle sue facciate. La piazza non ebbe subito l’aspetto che oggi vediamo, e gli edifici furono costruiti in epoche diverse. La facciata della cattedrale (affiancata a sinistra, guardandola, dal Palacio Arzobispal, e a destra dalla facciata esterna della sala capitolare e del museo, che costituiscono uno dei lati del chiostro quadrato) forma il lato est della piazza; a sud troviamo il Colegio de San Jerónimo (secoli XVI-XVII); a ovest il Palacio de Rajoy, del XVIII secolo; a nord il grandioso hotel Hostal SANTIAGO DE COMPOSTELA

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de los Reyes Católicos, che nel nome porta la sua storia. Tra il Palacio Arzobispal e l’Hostal giunge alla piazza la Calle de San Francisco, e, quasi di fronte, vi converge anche la caratteristica Traversa de Fonseca, costeggiando l’omonimo collegio. Questa, insieme alla Rúa del Villar, è una delle vie più tipiche della città. La cattedrale Gli scavi effettuati hanno rivelato senza dubbio che l’edificio attuale sorge dove erano state costruite le prime due chiese, in perfetta continuità. La prima chiesa fu edificata, subito dopo il ritrovamento del sepolcro, da Alfonso II, all’epoca del vescovo Teodomiro; la seconda la dobbiamo ad Alfonso III (866-910) e a Sisnando che fu vescovo dall’880 al 920. Il solenne atto di consacrazione di questa seconda basilica nell’899 dice esplicitamente che era stata rifatta più grande e più bella, con pietre di marmo provenienti da edifici già distrutti dagli Arabi: una specie di «ritorno a casa» delle pietre stesse, di grande valore simbolico, che rivela chiaramente 138

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2. Santiago de Compostela e la sua cattedrale. Il profilo della città è ancora dominato dalle torri dell’edificio come all’epoca della sua costruzione.

3. Rúa de San Francisco, Santiago de Compostela. Questa via, come la chiesa da cui ha inizio, dedicata a san Francesco, ricorda la tradizione del pellegrinaggio del santo di Assisi all’apostolo. In realtà Francesco non venne di persona, ma inviò due frati a nome della comunità.

lo spirito della Reconquista. Questa basilica era una costruzione a tre navate, separate da pilastri quadrangolari. Distrutta nel 977 da al-Mansur, che rispettò solo la tomba dell’apostolo, fu ricostruita dal vescovo san Pietro di Mesonzo e dal re Bermudo II, nel X secolo. L’attuale aspetto della cattedrale è però quello che iniziò a prendere nel 1075, quando il vescovo Diego Peláez diede avvio ai lavori di una grandiosa basilica romanica, e li affidò a Maestro Bernardo. Venuto però a contrasto con Alfonso VI, il vescovo Peláez fu sostituito dal vescovo Diego Gelmírez, ed anche Maestro Bernardo lasciò il cantiere. L’edificio fu poi per la maggior parte terminato nel 1128 (Gelmírez morì nel 1139/40), mentre nel 1188 fu terminato dal Maestro Mateo il Pórtico de la Gloria, che, di tutta la cattedrale, costituisce parte eccezionalmente bella e poetica. La pianta della basilica la caratterizza in modo preciso, perché mostra come sia nata con un progetto di definita funzionalità. Per spiegare il motivo di SANTIAGO DE COMPOSTELA

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4. All’estremità della Rúa del Villar, verso la cattedrale, si trova l’ufficio dove viene rilasciata la «Compostela» ai pellegrini a piedi, in bicicletta o a cavallo.

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5. La Plaza de Obradoiro con la facciata occidentale della cattedrale ricostruita nel 1738 e coronata dalla statua di san Giacomo. Ammirevole esempio di struttura barocca. Fino al 1738 la chiesa appariva al pellegrino nelle sue originarie forme romaniche, che ora si possono ammirare solo all’interno. L’edificio sulla destra è la Casa de los Canónigos (o de la Conga), mentre quello a sinistra è il vecchio vescovado.

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tanta cura nel «raccontare» la disposizione degli spazi, le immagini e la ritualità, prenderemo le parole da un autorevolissimo maestro, Émile Mâle: «Il Medioevo ha concepito l’arte come forma di insegnamento; tutto ciò che l’uomo doveva conoscere, la storia del mondo e la sua creazione, i dogmi della religione, gli insegnamenti delle virtù, la varietà del sapere, delle arti e dei mestieri gli veniva insegnato per mezzo delle vetrate delle chiese o delle statue del portico. La cattedrale avrebbe ben meritato quell’appellativo commovente, che fu dato dagli stampatori del XV secolo a uno dei loro primi libri, di “Bibbia dei poveri”. I semplici, gli ignoranti, tutti coloro che venivano chiamati “la santa plebe di Dio”, imparavano con gli occhi tutto ciò che sapevano della loro fede [...] l’arte del Medioevo è innanzitutto una scrittura sacra di cui ogni artista deve imparare gli elementi»1. Noi aggiungiamo solo questo: l’arte, come architettura, organizza lo spazio, nello spazio gli uomini si muovono entrando, in un certo senso, a far parte dell’opera d’arte, nei loro gesti si mettono in sintonia, più o meno consapevolmente, con l’insegnamento dell’artista. Ne divengono, per così dire, i continuatori e gli attori. Mentre con gli occhi imparano, nei movimenti che l’architettura suggerisce ripetono ciò che hanno imparato, in una vivace comunicazione scambievo142

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6. La cattedrale di Santiago de Compostela. L’edificio sull’estrema destra è il Colegio Fonseca, nucleo originario dell’Università Compostelana.

7. Cupola e lanterna della cattedrale. Tutte le balconate sono ricche di pinnacoli secondo il gusto del rivestimento barocco, che copre l’edificio romanico come uno scrigno.

le. Così lo spazio e l’immagine voluta dall’artista si animano, e costituiscono con l’azione dell’uomo un tutto unico. La chiesa di pellegrinaggio nasce così, così nasce la cattedrale di Santiago. L’ingresso deve essere sottolineato dal portale, al quale si deve salire. Poiché la Chiesa è figura della Gerusalemme celeste, le chiese con i loro edifici ne preparano l’incontro nella concretezza dei protagonisti della storia della salvezza. Questa preparazione avviene, nella basilica di Santiago, nel cosiddetto Pórtico de la Gloria, la cui «lettura» è bene inizi dalla colonna portante dell’arco centrale dove, da Adamo a Cristo in gloria, si può vedere tutta la storia della salvezza. Ai piedi vediamo Adamo, prototipo del pellegrino, perché, cacciato dal Paradiso Terrestre, ha iniziato la lunga peregrinazione dell’uomo che torna alla casa del Padre; nella colonna istoriata possiamo vedere l’albero di Jesse, cioè gli ascendenti di Gesù, tra i quali distinguiamo bene la Vergine. Subito sopra vediamo la rappresentazione della Santissima Trinità e, sopra ancora, san Giacomo, con il bastone del viandante e il rotolo del Vangelo: Giacomo si trova inserito nella parentela di Gesù perché si interpreta (Giovanni 19,25; Matteo 27,56; Marco 15,40) che fosse suo parente per parte di madre. Attorniato dai vegliardi dell’Apocalisse, al centro di tutto è Gesù Cristo, in una maestà che mostra i segni per cui meritò la gloria, le piaghe della pasSANTIAGO DE COMPOSTELA

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8. Il Pórtico de la Gloria, particolare del portale maggiore con san Giacomo e Cristo giudice in maestà, che mostra le piaghe gloriose circondato dai simboli degli evangelisti e dagli angeli con gli strumenti della passione. 9. San Giacomo pellegrino, particolare della Puerta Santa della cattedrale di Santiago de Compostela. L’apostolo e i suoi due discepoli indossano gli abiti del pellegrino durante l’inverno, nella foggia del XVIII secolo.

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10. Il Pórtico de la Gloria. Al centro dell’immagine i quattro profeti maggiori: da destra a sinistra, Isaia, Ezechiele, Daniele e Geremia. 11. La Puerta Santa della cattedrale di Santiago de Compostela, aperta per l’ultimo Anno Santo Compostelano: i pellegrini sono in fila per entrare.

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sione. Lo affiancano i beati: è la raffigurazione della Gerusalemme celeste. Non mancano, a proposito di questo portico, racconti che testimoniano una familiarità affettuosa, come quello secondo il quale la statua del profeta Daniele, che vediamo con quella di Mosè, Isaia e Geremia nelle colonne di sinistra dell’arco centrale, aveva un tempo il capo rivolto al Cristo, come gli altri; ma, affascinato dal sorriso della santa regina che gli sta di fronte all’altro lato dell’ingresso, ha girato il capo, e resta a guardarla sorridendo, come lo vediamo. Maestro Mateo non dovette lavorare da solo: seppe però armonizzare gli aiuti in un disegno quanto mai armonico, che alterna elementi naturalistici ed elementi simbolici e metaforici, come è ben chiaro se pensiamo alle due immagini di san Giacomo, l’una, naturalistica, su di una colonna a destra di chi guarda, insieme agli altri apostoli, l’altra, simbolica e ieratica, sulla colonna centrale. Le figure tutte spirano una grande serenità, cui non è estranea una levità ed enigmaticità «orientali», che collegano l’opera di Maestro Mateo con il grande tema dell’ineffabilità della gloria di Dio. Anche la pianta della basilica ha una forma dettata da ciò che deve esprimere. Il martire ha partecipato della croce, e così deve fare anche chi vuol toccare le reliquie: dovrà camminare nella croce, fino al centro, fino a immedesimarsi col martire. La cattedrale ha così la pianta a forma di croce, ampia, ed è possibile alle folle dei pellegrini girarci dentro agevolmente: le cappelle laterali accompagnano il pellegrino, con le storie dei santi, raccontate dalle immagini che ne propongono l’esempio, e con la possibilità della confessione. Molte cappelle per molti santi e molti confessori. Sono, a Compostela, le cappelle di San Pedro, Santa Fe, San Martín, Santa María Madalena, San Nicolás, santi ben collegabili ad altri luoghi di pellegrinaggio e di custodia di reliquie: Roma per san Pietro, Tours per san Martino, Vézelay per la Maddalena, Bari per san Nicola. La cattedrale, all’interno e all’esterno, mantenne a lungo l’aspetto datole nei secoli XII e XIII, col quale fu per la seconda volta solennemente consacrata davanti ad Alfonso IX nel 1211. Nel XVIII secolo si completò il grande cambiamento dell’aspetto di Compostela, che si coprì di un manto barocco. Ma si mantenne una continuità: come tutta l’architettura medievale aveva organizzato gli spazi in modo significativo, ugualmente la città continua ad esprimere una concezione della vita e un «ordine» dell’universo nei suoi nuovi monumenti. Cambia, è vero, ciò che si sottolinea, ma si tratta come di due aspetti dello stesso volto. Pellegrino ed evangelista, come lo si vedeva soprattutto nel Medioevo, pensiamo appunto al Pórtico de la Gloria, o Matamoros, come ce lo presentano tante sculture, sugli altari o sulle case, o portato nelle processioni: è sempre san Giacomo. La Praza do Obradoiro comincia ad assumere il suo aspetto definitivo, anticipato all’inizio del XVII secolo dalla doppia rampa di accesso al santuario, opera dell’architetto andaluso Ginés Martínez. La scalinata aumenta il senso della sacralità della salita al tempio, e riprende il tema del facile scorrere delle folle. I lavori di stile barocco iniziano all’interno della cattedrale nel 1625. Compaiono le prime colonne tortili di Spagna, nella cappella delle Reliquie, e nel 1660 vengono costruite quelle del deambulatorio: opere tutte di Bernardo Cabrera. Nel 1649 arriva a Compostela il canonico José de la Vega y Verdugo, che farà trionfare il barocco, con un programma precisissimo e armonico. Fu lui a

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12 a-b. Le sei carte mostrano le tre fasi dello sviluppo di Santiago de Compostela: Locus Sancti Jacobi (850-880), Villa Sancti Jacobi (900-1040) e Civitas Sancti Jacobi (dal 1150 ca.).

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guidare l’opera degli architetti. È questo il momento in cui si aggiunge il baldacchino barocco all’altar maggiore: che culmina in un cielo piramidale sostenuto da angeli in armi, e su tutto trionfa la grande statua equestre di Santiago Matamoros. La cattedrale ebbe una nuova copertura, e le absidi romaniche furono sovrastate dalla nuova cupola e dalla lanterna, con una gran quantità di balaustre e pinnacoli. Le opere più grandiose sono la Torre de las Campanas, terminata nel 1670, opera prima di José de la Peña de Toro e poi di Domingo Antonio de Andreade: la facciata, costruita successivamente, fu condizionata da questa torre. Fernando de Casa y Novoa realizzò la facciata, tra il 1738 e il 1750, concepita come un immenso retablo, che ripete incessantemente un’unica figura, quella di san Giacomo pellegrino. La facciata, incorniciata dalle spettacolari altissime guglie (settantasei metri), si presentava dipinta: il tempo ha dilavato i colori, lasciando gustare la bellezza della pietra caratteristica di questi luoghi, e che sembra mutare colore secondo il tempo, e diventa quanto mai suggestiva e lucente sotto la pioggia, che qui non manca. «Piove in Santiago»: la gente lo dice come fosse un proverbio. La nuova facciata fu sovrapposta alla precedente, e questo ha permesso che in parte sia pure molto sbiaditi si conservassero i colori con cui le statue del Pórtico de la Gloria erano dipinte. Entrati nella cattedrale, ci si trova nella grande navata maggiore. Prima di proseguire, però, è bene notare, alla base della colonna centrale del portale, in corrispondenza con la figura di Adamo che guarda verso il nartece, una figura d’uomo inginocchiato, rivolto all’altar maggiore: è Maestro Mateo, che volle ritrarre in questo modo se stesso. All’inizio della navata, a destra, c’è l’ingresso al relicario, dove sono custoditi preziosi reliquiari dei secoli XIV e XV, crocifissi dei secoli X-XV, e, al centro, tombe reali. Qui vi era la cappella delle Reliquie, oggetto di culto particolare da parte dei pellegrini, che vi trovavano quelle portate dal vescovo Gelmírez dal Portogallo nel 1102, di san Fruttuoso, san Silvestro, santa Susanna, san Giovanni Evangelista, san Pietro, san Paolo, e altre. Proseguendo per la navata, subito prima del transetto, a sinistra, si trova la cappella dei Francesi, a forma circolare, che dice della grande devozione e frequenza dei Francesi a questo santuario. L’altare maggiore è sormontato da un’alta cupola (trentadue metri) in cui è raffigurato, centrale, un grande occhio di Dio iscritto nel triangolo equilatero. Qui, sotto un baldacchino churrigueresco immenso, si trova una statua di san Giacomo del XIII secolo, riccamente ornata, dallo sguardo fisso e intenso. A destra dell’altare, una scaletta conduce dietro la statua del santo. Scendendo da qui, si giunge nella cripta, dove, in un’urna, sono conservate le reliquie di san Giacomo, e, ancora nel rispetto del loro desiderio, sono custodite le reliquie dei due discepoli Atanasio e Teodoro. Anche le cappelle, che fanno corona all’altare maggiore, erano devotamente visitate dai pellegrini. Sono da destra a sinistra: del Pilar, di Mondragón o de la Piedad, di San Pedro, del Salvador, di Nuestra Señora la Blanca, di San Juan, di San Bartolomé (già di Santa Fe), della Concepción e, accanto a questa, con accesso dal lato sinistro del transetto, del Espírito Santo. Sempre dal lato sinistro del transetto, si accede alla cappella di San Andrés e a quella di Santa María de la Corticela. Quest’ultima risale al IX secolo, ed era molto amata dai pellegrini, che qui si confessavano e comunicavano: molti vollero

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esservi sepolti, e nei loro testamenti chiesero messe al suo altare. Tra le altre, merita un ricordo particolare la cappella di San Salvador, detta anche del re di Francia, perché Luigi XI, quando era ancora Delfino, la dotò riccamente nel 1447. Oltre al grande ingresso del Pórtico de la Gloria, la cattedrale, liturgicamente orientata, ha altri ingressi: la Puerta Santa o del Perdón, che dà accesso alla cattedrale alle spalle dell’altare maggiore, tra la cappella di San Pedro e quella del Salvador, la Puerta del Reloj o de la Quintana, la Puerta de las Platerías e quella de la Azabachería: a ognuna di queste corrisponde una piazza, grande o piccola. La Puerta Santa, o del Perdón, si apre a est: è quella il cui passaggio garantisce l’acquisto delle indulgenze degli anni giubilari, e solo in quegli anni viene aperta. È ornata da statue eseguite da Maestro Mateo, per un coro poi distrutto: la vediamo oggi come la costruì nel 1611 Fernández Lechuga. La Puerta de la Quintana (che pure si apre a est) dà sull’omonima piazza, divisa nelle due parti della Quintana dos Vivos e della Quintana dos Muertos. Questa assunse l’aspetto attuale nel 1600: vi si apre la Casa de los Canónigos della cattedrale, ed è centro della vita degli studenti. La Puerta de las Platerías a sud, con portale romanico, dei secoli XII e XIII, presenta raffinati bassorilievi, tra i quali il Re Davide. La Puerta de la Azabachería apre a nord, sulla piazza della Inmaculada dove sorge l’attuale arcivescovado. Il Palacio Arzobispal, alla sinistra della cattedrale, è costruzione del XVIII secolo, ma conserva, al suo interno, il Palacio Gelmírez, del XII secolo. Quando nel 1486 Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona si recarono in pellegrinaggio a Santiago, furono colpiti dalle cattive condizioni dell’ospizio per i pellegrini, e presero quindi iniziativa per una nuova costruzione, l’Hostal de los Reyes Católicos. Le loro risorse però non erano sufficienti, benché regali, a un’opera così imponente. Si rivolsero quindi al papa, Innocenzo VIII (1484-1492): venne costituita allora una Confraternita, affiliata all’ospizio, i cui membri beneficiavano di importanti favori ecclesiastici, in cambio del sostegno alle attività dell’ospizio. I lavori furono iniziati nel 1501, affidati a uno specialista di costruzioni ospedaliere, Enrique de Egas; le grandi dimensioni dell’Hostal e della cattedrale dettarono poi quelle delle altre costruzioni della piazza. Egas ha ripetuto in questo ospizio la struttura tipica degli ospedali dell’epoca: una croce iscritta in un quadrato; al centro della croce, la cappella. L’edificio, nel suo insieme, conserva l’originale impianto cinquecentesco: dei quattro grandi cortili, due sono originali e due del XVIII secolo. La facciata attuale, rifatta nel 1678, conserva il grande portale plateresco di Enrique de Egas. Ancor oggi, sia pure in forma mutata, continua la tradizione dell’ospitalità: è stato infatti trasformato in un albergo di lusso, quello nel quale, fra l’altro, è ospitato il re di Spagna quando si reca, anche lui pellegrino, a Santiago. Si mantiene anche, come diremo più avanti, una attenzione particolare per coloro che vanno a Santiago a piedi. Il Palacio de Rajoy, oggi sede dell’Ayuntamiento e della Giunta della regione di Galizia, fu costruito nel XVIII secolo su progetto di García de Quiñones, come seminario per la preparazione dei religiosi e missionari in America Latina: è sormontato da una grande statua di Santiago Matamoros. Il Colegio de San Jerónimo, fondato nel 1501, risale alla fondazione dell’Università. Della primitiva costruzione presenta solo il bellissimo portale, mentre il resto dell’edificio è del XVII secolo.

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Pagine precedenti: 13. Veduta del transetto della cattedrale di Santiago de Compostela. Si notino le originarie forme romaniche. 14. Navata maggiore e altare della cattedrale di Santiago de Compostela. Dagli organi contrapposti sporgono le canne a tromba caratteristiche dell’arte organaria spagnola, cosiddette perché in grado di riprodurre il suono della tromba.

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15. La Puerta de las Platerías, lato meridionale della cattedrale, conserva ancora la struttura romanica originaria.

Il monastero di San Martín Pinario fu fondato dai monaci che prestavano servizio al santuario e fu uno dei monasteri più importanti della Galizia. L’attuale aspetto è dei secoli XVI-XVIII; sulla facciata vediamo una grande statua di san Martino (con un cappello singolarmente simile a quello di san Giacomo pellegrino) mentre sta dividendo il mantello col mendicante. Il retablo, all’interno della grande chiesa che colpisce per la sua ampiezza, è del 1730 in stile churrigueresco, su disegno dell’architetto Casa y Novoa. La fondazione del monastero di San Francisco si fa risalire a san Francesco stesso, quando, secondo la tradizione, nel 1214 venne pellegrino in Santiago; l’attuale chiesa è opera iniziata nel 1613, e davanti vediamo una statua assai grande (nove metri) di san Francesco, dello scultore compostelano Asorey. Il convento di Santo Domingo de Bonaval risale al XVII secolo, e conserva una bella chiesa romanico-gotica, del XIV secolo; assai bella è anche la grande scala a chiocciola di Domingo Antonio de Andreade. Oggi è sede del Museo Municipal y Museo del Pueblo Gallego. Da vedere in Santiago è anche la chiesa di Santa María Salome, del XII secolo, con un bel portico romanico, e, nelle vicinanze, nella frazione di Barrío de Sar, a un chilometro a sud-est, possiamo ammirare nella chiesa di Santa María de Sar un bel chiostro ornato da Maestro Mateo.

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Il santo, il rito, la città Avvicinarsi al santuario comporta una ritualità precisa, che inizia con la partenza. Si sia partiti per devozione, per penitenza, per voto, per grazia ricevuta: oggi, magari, per curiosità o per turismo; a qualunque titolo si sia partiti, per se stessi, per una vicenda personale, o addirittura come capi di stato, o come pastori, la ritualità del partire non è molto diversa. Ognuno si prepara, ciascuno secondo il suo stato. La strada ha offerto incontri e paesaggi che sono stati per un cambiamento: ogni passo è stato significativo, ed è per questo che costruire un ponte o una strada per i pellegrini, per i «poveri di Dio» poteva essere l’opera di tutta una vita. Il pellegrino che si avvicinava a Santiago era già salito al Cebrero, al luogo dove l’incarnazione si era resa tangibile. Veniva poi il momento della purificazione del corpo, figura di quella dello spirito: questa avveniva nel río che ne prese il nome, il Labacolla, il Lava152

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16. Il corteo processionale del mezzogiorno del 25 luglio: i «Giganti» rappresentano le parti del mondo che onorano l’apostolo.

17. L’urna con la reliquia del santo, racchiusa in una statua che lo rappresenta, è portata sotto il baldacchino d’argento, sormontato da una figura di san Giacomo a cavallo.

mentula del Codice Callistino. I moderni pellegrini tuttavia trovano altri modi per esprimere lo stesso processo di purificazione, come possiamo vedere nel caso di chi, giunto in abiti moderni, sente però la necessità, avvicinandosi al santuario, di sostituire i propri indumenti con vesti di foggia più antica e significativa. Dopo Labacolla le alte guglie della cattedrale indicano la strada, rivelando con ciò che la grande altezza di tante cattedrali e campanili ha proprio questa funzione, di essere guida per il cammino. Prima dell’ingresso in Santiago c’è un colle il cui nome ricorda la gioia che si prova allo scorgere il santuario: è il monte Gozo, Monxoi, Mons Gaudii, nome che troviamo variamente nei dintorni di molti santuari. Oggi vi si trova un moderno monumento, a segnalare il luogo. Raymond Oursel ricorda a proposito di questo monte una tradizione che ha lasciato traccia concreta tra i Francesi. Quando i pellegrini, i jacquaires, arSANTIAGO DE COMPOSTELA

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rivavano ai piedi di quest’altura, si lanciavano in corsa per vedere chi giungesse primo a piantare una croce sulla cima: «Questi veniva consacrato “re del pellegrinaggio”; e i nomi di famiglie come Roy o Leroy non hanno altra origine che questa»2. Arrivare ai piedi della scalinata, all’ingresso della cattedrale, è l’ultima fatica: poi, per quelli che hanno custodito la tradizione, entrati nel Pórtico de la Gloria, la prima cosa da fare è mettere la mano là dove l’hanno messa milioni di pellegrini prima di loro, alla base del tronco di Jesse: non c’è bisogno di cercare, perché l’orma è stata preparata da quanti li hanno preceduti, non si deve che seguire. Con questo semplice gesto, chinando il capo su quello di Adamo ai piedi dell’albero di Jesse, si dice di appartenere alla stirpe di Adamo, di quell’Adamo la cui caduta preparava la gloria della resurrezione. Il semplice ingresso nel Pórtico de la Gloria voleva dire per il pellegrino, secondo la tradizione, ottenere con certezza una delle tre grazie di cui aveva maturato la richiesta durante il pellegrinaggio, e che non necessariamente 154

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18. Particolare del baldacchino col reliquiario. La copertura del baldacchino nei suoi molti riquadri ripete varie volte i simboli della stella e dalla conchiglia.

19. La processione arriva in Plaza de Obradoiro.

erano quelle per cui era partito, perché il Cammino è di purificazione e cambiando il cuore ne cambia anche i desideri. Entrati, si può seguire un’altra tradizione, che riguarda la statua di Maestro Mateo: si usa infatti battervi sopra il capo, perché nel pellegrino trapassi con questo contatto un po’ dell’abilità dell’artista. Per ogni battuta, bisogna dire una preghiera e per ogni battuta si può chiedere una grazia: naturalmente, di queste grazie nessuna tradizione garantiva l’esaudimento. Dopo aver proseguito lungo la navata, e trovandosi di fronte alla grande statua di san Giacomo, il pellegrino si trova al momento culminante del suo viaggio. A destra infatti dell’altare, può imboccare la scaletta che lo conduce sopra l’altare, dietro al santo: e, qui, può abbracciarlo, proclamando con questo atto di essere pronto a seguirne l’esempio, di essere pronto a partecipare a Cristo così come lui ne partecipò, testimoniando col sangue. Un tempo, questa grande statua, che raffigura san Giacomo in abito da pellegrino, aveva anche un cappello, di legno, che si poteva togliere: i pellegrini lo prendevano e se lo ponevano in capo. Rimasta solo l’aureola, i pellegriSANTIAGO DE COMPOSTELA

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ni, forse intimiditi da un così esplicito segno di santità canonizzata, non osano porsela in capo. Con questo si compie, per il santuario di Santiago de Compostela, il culmine del rito per il pellegrino, la concreta partecipazione al sacro, toccandolo. Questo toccare con mano accomuna tutti i grandi santuari, ed è lo stesso a Lourdes (per la roccia della grotta), a Loreto (per le mura della Santa Casa), a Padova (per la pietra tombale di sant’Antonio); e l’elenco potrebbe continuare e dettagliarsi. Dopo l’abbraccio al santo, si scende nella cripta per inginocchiarsi davanti all’urna delle reliquie. Al contatto rituale con le reliquie, si aggiunge quello sacramentale, la partecipazione alla messa: la liturgia prevede una messa del pellegrino. In particolare, un pellegrinaggio organizzato può chiedere una speciale celebrazione, officiata dal sacerdote che l’ha guidato, e spesso anche da uno dei canonici della cattedrale. Durante tale celebrazione ha particolare risalto il rito dell’ofrenda; al momento della preghiera dei fedeli, a nome di tutto il gruppo, un pellegrino legge una preghiera di offerta, in cui si chiede di imitare san Giacomo, e ci si offre al Signore. L’ofrenda è solita156

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20. Il rientro dell’urna nella cattedrale.

21. I parrocchiani di una comunità galiziana si apprestano, dopo aver indossato gli abiti tradizionali, a danzare in onore dell’apostolo, prima di entrare nel santuario per le devozioni personali.

mente scritta, e l’archivio ne conserva numerosi esemplari da alcuni secoli. Il pellegrino che giunga da solo, ed è la cosa più frequente, può però chiedere, e naturalmente ottenere, di presenziare alla messa di un altro gruppo organizzato per partecipare a questo rito. Per il pellegrino giunto a piedi, e che lo dimostri con i timbri sulla sua credenziale, il viaggio si conclude poi col ricevere la Compostela, la dichiarazione, cioè, da parte dei canonici della cattedrale, del suo esser giunto alle reliquie dell’apostolo: documento prezioso, e non solo per quanto rappresenta. Un tempo bisognava aver fatto tutto il percorso a piedi, o in bicicletta o a cavallo dai Pirenei; dal 1993 bastano cento chilometri a piedi, oppure centocinquanta in bicicletta o a cavallo. La tradizione dell’accoglienza e dell’assistenza all’Hostal de los Reyes Católicos, divenuto un albergo di lusso, rimane ancor oggi: infatti, esibendo la Compostela ottenuta avendo realizzato a piedi l’intero percorso, si ha diritto ad un pasto gratuito insieme al personale, e al corrispondente in denaro per alloggiare in un più modesto albergo. In occasione poi di solenni celebrazioni, si fa nella cattedrale una cerimonia SANTIAGO DE COMPOSTELA

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particolare, molto suggestiva, che ha radici antiche e che riesce ancora oggi sbalorditiva per chi la vede. Si tratta dell’incensazione col botafumeiro, letteralmente buttafumo, un gigantesco incensiere d’argento, di solito custodito nella canonica: con un sistema di carrucole e molta abilità, viene fatto oscillare lungo il transetto, al cui centro è sospeso, e nelle sue oscillazioni sale fino alla volta della cattedrale, per poi passare tra le due ali della folla che aspetta col fiato sospeso e piena di emozione il suo passaggio, che è tale che sembra debba investire in pieno i fedeli. 158

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22. San Giacomo pellegrino: la statua lignea romanica (XII secolo) è ricoperta di un rivestimento barocco (XVII secolo). Altare maggiore della cattedrale.

23. L’urna dell’apostolo nella cripta della cattedrale di Santiago de Compostela. Nel rivestimento argenteo si vede Cristo al centro tra gli apostoli: alla sua destra, Giacomo. Nel paliotto dell’altare due pavoni affrontati si abbeverano al cantaro che contiene l’acqua della vita, e sono simbolo dell’immortalità dell’anima.

È tradizione molto antica, che risale alle grandi incensazioni delle epoche passate, che avevano una funzione non solo rituale ma anche igienica, per le grandi folle che sostavano accalcate nel santuario. Il 25 luglio è la festa di san Giacomo. La vigilia di ogni anno la Praza do Obradoiro si illumina di fuochi d’artificio. Oltre a quelli che solcano il cielo e alle grandi girandole, c’è la cosiddetta quema (incendio) della facciata della cattedrale. A questa, infatti, durante il giorno precedente viene sovrapposta una impalcatura che sorregge una facciata di legno in stile mudéSANTIAGO DE COMPOSTELA

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jar, tutta rivestita di piccoli fuochi d’artificio, in grado di bruciare a lungo senza fiamma e scoppi: così che, quando vengono accesi, sembra che la facciata sia ricoperta di una decorazione di luci fisse. Si tratta forse del ricordo dell’incendio della città a opera di al-Mansur, che distrusse il tempio, ma rispettò il sepolcro del santo. Il giorno della festa poi, a mezzogiorno, c’è una processione tutta particolare: «Giganti» di cartapesta, portati da uomini nascosti al loro interno, escono dalla porta sulla Plaza de la Quintana, e compiono una specie di ballo. Si tratta di quattro coppie, una di Spagnoli, una di Francesi, una di Asiatici, una di Africani. Possiamo ricordare qui quelle della festa del Corpus Domini di Burgos. Esse rappresentano gli abitanti di tutto il mondo che vengono a rendere omaggio all’apostolo: sappiamo comunque che nella festa compaiono almeno fin dal 1776, per la testimonianza di un pellegrino. Dopo l’esibizione del mezzogiorno, accompagnata da botti e castagnole, i Giganti escono nuovamente, precedendo i fedeli nella processione del pomeriggio; la grande processione corale, cui partecipa tutto il clero, insieme alle rappresentanze governative, dell’esercito che ha in san Giacomo il suo patrono, e della municipalità. Il corteo processionale ha il suo centro in una preziosa statuetta di san Giacomo in abito da pellegrino, che porta una minuscola reliquia in un ostensorio; la statuina è protetta da un baldacchino con i segni del Cammino: stelle e conchiglie. Sono presenti, nel corteo, anche le statue di Santiago Matamoros e della Vergine del Pilar, così legate alla storia di san Giacomo in Spagna. Anno Santo Compostelano La cattedrale di Santiago gode del privilegio di un particolare anno giubilare, che si proclama quando la festa del santo (che già presenta la singolarità di essere celebrata nel giorno della traslazione delle reliquie, che non è necessariamente quello della morte), cioè il 25 luglio, cade di domenica. In tal caso, ai primi vespri di Natale dell’anno precedente, si apre la Puerta Santa, con un rito non dissimile da quello romano. Questo dell’anno santo è un privilegio che dice della grandissima affluenza al santuario. Per esso, infatti, come peraltro per il Giubileo romano, si provvide più a regolare una tradizione già invalsa di penitenza e di indulgenza, che a innovare. Dell’Anno Santo Compostelano si hanno notizie fin dalla Cronaca di Alfonso VII del 1126, ed è stato definitivamente confermato da papa Alessandro III nel 1179, il quale cita i suoi predecessori che già l’avevano ratificato e confermato: Callisto II (1119-1124), Eugenio III (1145-1153) e Anastasio IV (1153-1154). Le indulgenze legate a questo anno santo non sono mai state sospese, nemmeno quando coincideva con quello romano. In occasione dell’anno santo presenzia, tradizionalmente, alle feste in onore del santo il re di Spagna, in rappresentanza del popolo spagnolo: è lui che 160

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24. La grossa pietra, pedrón, che la tradizione vuole deformata per il contatto con il corpo di san Giacomo, attualmente posta nella chiesa parrocchiale di Padrón.

accende i tradizionali fuochi d’artificio la sera della vigilia, e legge personalmente l’ofrenda durante il pontificale. Non mancano, per i visitatori di Santiago, anche momenti di divertimento: gli studenti dell’Università, che qui ha sede dall’inizio del XVI secolo, durante la stagione estiva sono soliti intrattenere i visitatori. Orgogliosi della tradizione universitaria, indossano abiti di foggia cinquecentesca: portano mantelli ornati di coccarde e nastri (ogni nastro è dono di una ragazza), e hanno un ottimo coro, la Tuna Universitaria Compostelana: tunos è il nome con cui vengono chiamati gli studenti, e significa letteralmente briccone, furfante, in senso affettuoso; un po’ l’equivalente della nostra goliardia, ma con un forte accento sulla nobile tradizione al servizio del santo e della città. A completare il quadro di una devozione legata con forza a modi locali e tradizionali, ricordiamo che nel mese di luglio hanno luogo a Santiago le Settimane del Folclore Gallego per cui, nei giorni della festa del santo, la città è percorsa da gruppi che indossano abiti tradizionali, suonano cornamuse e tamburelli, in molti modi, dimostrando, da un lato, la devozione al santo per il quale si esibiscono, dall’altro il vivissimo senso di una cultura locale che è più antica della Spagna stessa, e nelle musiche e nei costumi richiama i modi dei primi europei, i Celti. DA SANTIAGO A PADRÓN Il viaggio alle reliquie di san Giacomo aveva come altri epiloghi, appendici quasi necessarie, dettate da motivi storici e antropologici, che portavano e portano i pellegrini all’oceano. Innanzitutto una prosecuzione del viaggio conduceva, per motivi storici e legati alla devozione al santo, a Padrón, l’antica Iria Flavia. Padrón si trova prossima alla confluenza del río Sar con il río Ulla, all’inizio della ría de Arousa. Era qui la sede dell’antica diocesi di Iria Flavia, eretta nel VI secolo, di cui si trova notizia nei documenti del Concilio (569) dell’arcidiocesi di Braga (oggi in Portogallo), di cui era in origine suffraganea. Siamo qui a circa venti chilometri da Santiago, e nella chiesa parrocchiale, dell’XI secolo, si può vedere, sotto l’altare maggiore, la grossa pietra, pedrón, cui la tradizione vuole sia stata legata la barca con il corpo del santo. Non c’era allora nient’altro che quella pietra che diede il nome al luogo: in seguito qui venne fondata Iria Flavia, come luogo dato ai veterani di Flavio Vespasiano, e divenne importante città sulla via tra Braga e Astorga, e quindi, poi, anche sede episcopale. Un proverbio dice: «Quien vai a Santiago e non vai a Padrón, ou fai romería ou non», che si può tradurre liberamente dal galiziano come: «Se vai a Santiago e non vai a Padrón, non fai un vero pellegrinaggio». Si andava così ad ammirare il luogo dove il corpo dell’apostolo era stato accolto, dando inizio a quella che potrebbe essere detta la seconda missione apostolica di san Giacomo in Spagna. SANTIAGO DE COMPOSTELA

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1. Conchiglie che decorano un libro d’ore, miniatura fiamminga del XV secolo. Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera.

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Il proseguimento del viaggio sino a Finisterre significava giungere a vedere non solo l’oceano, ma il luogo in cui la terra abitata e conosciuta finiva, dove l’ignoto si concretizzava nell’incontro, che li ben si vede, delle acque dei due mari che si scontrano sotto il promontorio. È luogo che di per sé, con il senso di mistero che suscita ancor oggi in chi pure sa che non si tratta della fine di ogni terra abitata, rimanda all’infinito e alle cose ultime: qui la «terra finiva», e iniziava il Mar Misterioso nel quale nessuno osava spingersi. Ci si avvia, passando per Noya, Muros, Louro, costeggiando la frastagliata costa atlantica. Su questa costa si raccoglievano non solo le conchas, le conchiglie del tipo Cappasanta (Pecten jacobeus), ma anche le caracolas, le conchiglie a spirale, che accostate all’orecchio fanno risuonare il rumore del mare: si dice che il suono che si sente aumenti la fede, plachi e renda soavi i venti, allontani le insidie dei nemici, la grandine e le tempeste. Ancor oggi i pescatori le suonano come un corno per annunciare il loro ritorno dalla pesca. Noya è un borgo posto all’imbocco della ría de Muros ed è noto per la grande spiaggia sabbiosa che lo rende apprezzata meta turistica. Il paese ha un impianto medievale, con alcuni palazzi rinascimentali. Notevole è la chiesa romanica di Santa María la Nueva, nella cui lunetta si trova una raffigurazione policroma dell’Adorazione dei Magi. Nel vicino cimitero, la Quintana dos Mortos, si trovano lapidi molto antiche, datate fin dal X secolo, e tradizione vuole che vi si conservi terra palestinese portata qui da imbarcazioni locali. A Muros si segnala la chiesa della Virgen del Tránsito, ricca di ex voto marinari (tavolette lignee e modelli di imbarcazioni), e la statua della Madonna Pellegrina, con il mantello, il cappello con la conchiglia e il bordone. A Louro è da segnalare una Via Crucis che s’inerpica sulla sommità del colle che domina la cittadina e guarda l’Atlantico. Attraverso un paesaggio verde, ricco di eucalipti e pini marittimi, ancora segnato dalle Croci del Cammino, si giunge infine a Capo Finisterre, o Cabo Fisterra in gallego, sul cui promontorio roccioso sorge ora il faro più a ovest della Spagna, e dove si andava a vedere «finire il mondo». Recentemente è nata tra quanti hanno compiuto il pellegrinaggio a piedi una tradizione che i pellegrini di un tempo non potevano certo permettersi, e cioè il bruciare sulla riva dell’oceano i calzoni, o altro capo di vestiario, usati lungo tutto il Cammino: gesto rituale che segnala non solo il raggiungimento di un punto di non ritorno, un cambiamento sostanziale e irreversibile, ma anche la sua totale accettazione. È un gesto analogo a quello che si compie invece più a nord, presso Muxía, a Capo Touriñan, dove, davanti al santuario della Virxe da Barca o Nosa Señora da Barca, i pellegrini fanno oscillare la Pedra d’Abalar (pietra oscillante) finché non si ferma in equiliDA SANTIAGO A FINISTERRE

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4. Ultime stazioni della Via Crucis, Louro. Alla base della croce della XIV stazione, le date della sua realizzazione e del restauro. 2. Veduta del mare di fronte a Louro, dalla sommità del colle con la Via Crucis. 3. Alcune stazioni della Via Crucis, Louro. 3

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5. L’immagine della Vergine Addolorata alla base della croce d’inizio del percorso della Via Crucis, Louro. 5

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6. Mater Dolorosa nella maestà al culmine della Via Crucis, Louro.

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7. Particolare, alla base della XIV stazione, con la Deposizione del corpo di Cristo nel sepolcro ad opera di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, Louro.

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brio, in particolare durante le feste settembrine in onore della Vergine. Gesto che, collegandosi peraltro all’antico culto megalitico qui attestato, esprime materialmente che il cammino del pellegrino alla tomba dell’apostolo gli ha fatto conseguire un equilibrio interiore che si traduce nel riuscire a fermare la pietra. Compiuto così un ultimo gesto rituale, il pellegrinaggio è concluso e si fa ritorno a casa: ma solo per ripartire come Ulisse per un altro viaggio, perché l’uomo è costituito dal desiderio di una meta ultima, più lontana di qualunque meta terrena, più in alto e più in là, una Gerusalemme celeste di cui ogni meta terrena è immagine e simbolo. 168

DA SANTIAGO A FINISTERRE

8. Una delle ultime spiaggette prima di Finisterre, sulle quali i pellegrini bruciano i calzoni usati nel percorso. Il gesto, di tradizione recente, simboleggia l’abbandono della vecchia vita e l’impegno a proseguire nel cambiamento generato dal lungo pellegrinaggio.

9. Tramonto sul Capo Finisterre. 10. La Gerusalemme celeste dal ciclo dell’Apocalisse d’Angers di Nicolas Bataille, arazzo del XIV secolo. Musée des Tapisseries, Angers.


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IL CAMINO DE LA PLATA O CAMMINO MOZARABICO

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1. Altorilievo con l’immagine di Santiago Matamoros in un medaglione sulla facciata del Colegio Mayor Arzobispo Fonseca, XVI secolo, Salamanca. 2. La croce di san Giacomo ad Aljucén. Sullo sfondo la chiesa di San Andrés, del XVI secolo. La croce di san Giacomo, originariamente insegna dell’omonimo Ordine religioso-militare, testimonia qui la presenza del santo. Oggi, abbandonata la dimensione militare, caratterizza i canonici della cattedrale di Santiago, ed è uno dei segni del pellegrinaggio.

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Il percorso noto come Camino de la Plata, oggi esteso da Siviglia a Santiago, per quanto riguarda la via di pellegrinaggio in realtà coincide con la via consolare romana XXIV, denominata Iter ab Emerita Asturicam, cioè «percorso da Mérida ad Astorga». Il nome del cammino è stato oggetto di interpretazioni errate, che ritenevano che indicasse la via lungo la quale venivano trasportati i metalli preziosi dalle miniere asturiane e leonesi fino a Mérida e Siviglia, dove venivano lavorati. In realtà il nome non ha nulla a che fare con l’argento (plata) che non è qui presente, ma al modo in cui gli Arabi chiamarono questa via, quando la riattivarono dopo tre secoli di abbandono, per facilitare il movimento delle truppe verso nord nella conquista della penisola iberica. Infatti la chiamarono B’lata, che significa «selciata», per distinguerla dagli altri percorsi che erano in terra battuta. Il tracciato è comunque molto più antico della stessa conquista romana: infatti risale almeno al VI secolo a.C., ed era utilizzato dalle popolazioni tartessiche, vetoni, asturiane, vaccee e lusitane1, sia per la transumanza sia per il movimento dello stagno da nord a sud. Lo stagno del Nord, unito al rame del Sud, era prezioso per la realizzazione del bronzo, nella cui lavorazione queste popolazioni eccellevano. Un inizio di lastricatura di questo percorso, nei pressi di Cáceres, risale al 139 a.C., ad opera di Quinto Servilio Cepione, ma è con Augusto, a partire dal 25 a.C. che la via viene completamente lastricata e diventa l’asse fondamentale nord-sud per il movimento delle truppe e dei commerci della penisola iberica. È questa l’epoca in cui furono eretti i ponti, alcuni dei quali sono giunti a noi, e si posero le pietre miliari (colonne di granito di cui ne rimangono diverse) e si definirono le mansiones (luoghi si sosta, cambio cavalli, riposo, ristoro e alloggio per i viaggiatori). I Romani furono molto precisi sia per quanto riguardava le pietre miliari che le mansioni, e questo grande complesso di sostegno ai viaggiatori ha lasciato tracce fino ai nostri giorni. Il Camino de la Plata unisce l’Estremadura, l’Andalusia, le Asturie, e attraversa anche la provincia di Castiglia e León. Il tracciato per i pellegrini a piedi della Vía de la Plata utilizza per parecchi tratti anche il percorso di una Cañada Real. La denominazione Cañada Real si trova spesso e indica percorsi storici di transumanza, grandi tratturi anche amplissimi (larghi fino a settantacinque metri) il cui nome poi (Pecuaria, Vereda, o appunto Cañada) variava a seconda della larghezza fissata relativamente al tipo di animali cui era destinata. Queste vie, dette «reali» perché protette dal re con una precisa legislazione, sono state in genere rispettate fino ai nostri giorni. Si nota, di questo percorso, lungo circa mille chilometri e quindi in assoluto il più lungo per Santiago, che di fatto non è nato «per» il pellegrinaggio, ma è stato naturalmente usato dai pellegrini come da tutti gli altri viaggiatori tra il Nord e il Sud della Spagna, quale che fosse il motivo del loro viaggio. Diversamente da quanto accade per il Cammino che entra da IL CAMINO DE LA PLATA

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Le Somport o da Roncisvalle, troviamo qui tracce più numerose delle mansiones romane e delle pietre miliari, ma assai meno monasteri e ospizi. Sono invece numerose, nella toponomastica, nell’arte e nelle tradizioni, le memorie della conquista araba, della Reconquista cristiana e delle loro alterne vicende. Se quello è un Cammino «europeo», questo era certo più «spagnolo»: è diventato più internazionale oggi, che molti pellegrini a piedi e/o motorizzati sono animati dal desiderio di compiere tutti i percorsi che portano a Santiago, e quindi si mettono, anche senza una necessità logistica, su questo percorso. SIVIGLIA All’inizio di questo percorso ci si trova nella Spagna dell’Andalusia, terra che deve il suo nome ai Vandali, ma fu sede di un’antichissima civiltà preromana. Siviglia è uno dei più antichi insediamenti umani della Spagna, e deve, secondo la leggenda, la sua fondazione al semidio Ercole. Storicamente il primo insediamento fu dei Tartessi, intorno all’VIII secolo a.C., che la chiamarono Ispal. Testimonianza di questa civiltà è il Tesoro del Carambolo trovato nei dintorni della città nel 1958 (ora nel Museo Arqueológico). Con la caduta della civiltà che faceva capo alla mitica città di Tartesso, Siviglia fu fenicia, greca, cartaginese, prima di essere la Hispalis romana. Capitale della fiorente provincia romana della Betica (che prendeva il nome dal fiume Betis), conservò il suo ruolo con i Vandali (411) e i Visigoti (441), divenne cristiana nel secondo secolo d.C. e nel 287 qui vennero martirizzate le sante Giusta e Rufina2, da allora sue patrone. Conquistata dagli Arabi nel 712, le venne dato il nome di nome di Ishbiliya (da cui Siviglia), e il fiume Betis ebbe il nome di wadi al-Kabir (grande fiume), da cui deriva il nome attuale Guadalquivir. Tornò cristiana nel 1248 quando Ferdinando III che poi fu proclamato santo, la conquistò e vi pose la sua residenza. A Siviglia vi sono testimonianze di tutte le culture che si sono via via succedute, soprattutto di quella araba. La cattedrale, realizzata sul luogo della principale moschea della città, è una delle chiese più grandi d’Europa: a cinque navate, è lunga centodiciassette metri, larga settantasei e alta quaranta, ed è stata realizzata fra il 1402 e il 1506. Presenta dieci portali, settantacinque grandi vetrate e un notevole chiostro, il Patio de los Naranjos (Cortile degli Aranci), al centro del quale troneggia una bellissima fontana visigotica. L’originario minareto è stato trasformato in campanile, con la costruzione della cella campanaria nel 1568, e con i suoi novantatré metri, che lo rendono visibile da molto lontano, è diventato il simbolo per eccellenza di Siviglia, ed è detto la Giralda. Sulla sommità si vede una figura femminile che simboleggia la fede cristiana con lo stendardo; alta quattro metri, funziona da segnavento, ed è chiamata affettuosamente Giraldillo. All’interno, ricco di opere d’arte, oltre alle vetrate sono da segnalare le pale 172

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3. Patio de las Doncellas negli Alcázares reali di Siviglia, iniziato nel 1364 e rinnovato nel XVI secolo. 4. La Giralda, simbolo della Siviglia araba e cristiana.

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d’altare, fra cui quelle di Murillo dell’Angelo Custode, del Battesimo di Gesù e del Sant’Antonio da Padova col Bambino Gesù. Nella Capilla Mayor, troneggia il retablo d’argento della Virgen de la Sede, scolpita in legno di cedro e ricoperta d’argento, circondata da quarantacinque scene della vita di Maria, di Gesù e di santi sivigliani. Vicino alla Puerta de San Cristobal si trova il cenotafio di Cristoforo Colombo, realizzato a Cuba nel 1892 per il quarto centenario della scoperta dell’America, e trasferito a Siviglia nel 1898 quando la colonia fu perduta. Nella cattedrale sono presenti inoltre opere di Goya e di Zurbarán nella Sacristía de los Cálices, mentre il Tesoro è conservato nella Sacristía Mayor. La sala capitolare dei canonici, in stile plateresco, risale al XVI secolo. Degna di nota è anche la Capilla Real, rinascimentale e caratterizzata da un’alta cupola, dove si venera la Virgen de los Reyes, patrona della città, e si conserva un reliquiario argenteo del re san Ferdinando. Qui si trovano inoltre le tombe del re Alfonso X il Saggio (autore delle famose Cantigas de santa María alcune delle quali legate esplicitamente al Cammino di Santiago), che qui morì nel 1284 e di sua madre Beatrice di Svevia. Dal Patio de los Naranjos, antico cortile della moschea, si esce a nord dal complesso della cattedrale, attraverso la Puerta del Perdón, di epoca moresca, chiara allusione all’avviarsi verso Santiago. Nei pressi della cattedrale si trova l’Alcázar, realizzato da Pietro I il Crudele (1350-1369) sopra resti romani e arabi, utilizzando maestranze arabe dando luogo a un vero gioiello di stile mudéjar. Nel cuore della città, l’intero lato occidentale di Plaza de San Francisco è occupato dal municipio, di forme rinascimentali e plateresche, realizzato fra il 1527 e il 1564. Chi faccia il percorso, lungo da Siviglia mille chilometri, trova segnalata la strada, in Estremadura, con cubi di pietra su cui è inciso l’Arco di Cáparra, di cui si dirà in seguito, e che costituisce il logo di questo cammino. MÉRIDA Proseguendo verso nord, si entra nell’Estremadura, regione arida e poco popolata, di cui si dice che è veramente estrema e dura. Mérida è la città della Spagna con il maggior numero di resti romani, che attestano come fosse assurta al rango di nona città dell’Impero: troviamo l’Arco di Traiano, detto anche Arco di Santiago, in onore del Cammino e perché costituiva l’uscita settentrionale della città storica; il ponte romano sul río Guadiana, sul quale si entra in città, lungo settecentonovantadue metri, con sessantaquattro arcate, che costituisce il più lungo ponte romano in Spagna; l’anfiteatro, in grado di offrire ben 15.000 posti; il teatro, con scalinate e palcoscenico in gran parte ancora conservati, capace di 6.000 posti; e infine, a nord-ovest della città, l’imponente acquedotto detto de los Milagros, di cui restano dieci arcate a tre livelli, con trentasette piloni. Capitale della provincia romana della Lusitania, fu fondata nel 25 a.C. da 174

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5. Esterno della chiesa di Santa Eulalia, Mérida. 6. Pulpito con le immagini dei santi Servando, Giacomo e Germano. Servando e Germano, patroni della città, furono martirizzati sotto Diocleziano: in questa immagine del pulpito Germano si trova all’altro lato di san Giacomo e quindi non è visibile. Chiesa di Santa Eulalia, Mérida.

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Augusto, per gli «emeriti», i legionari romani delle legioni V e X (le preferite dell’imperatore, che avevano combattuto contro i Cantabrici e gli Asturiani): venne quindi chiamata Augusta Emerita, da cui, appunto, Mérida. Sorge su di un altopiano di importanza strategica alla confluenza del torrente Albarregas con il fiume Guadiana. Era al centro di una rete di vie consolari la cui principale era appunto quella de la Plata, che ha costituito la sua fortuna economica. È una delle sedi arcivescovili più antiche della Spagna. Con la decadenza dell’Impero romano, nel V secolo subì le invasioni di Alani (409) e Suebi (439). I Visigoti poi ne fecero la loro capitale nei secoli VI e VII: sua patrona è sant’Eulalia3. Iniziò poi il suo declino: caduta in mano araba nel 713, fu riconquistata da Alfonso IX, che nel 1229 la cedette all’Ordine religioso militare di Santiago. Attualmente il cuore della città è la Plaza de España, o Plaza Mayor, completamente circondata da portici, sulla quale si affaccia la chiesa di Santa María, realizzata nei secoli XIII-XIV. A sud della piazza, in capo al ponte romano, si trova l’Alcazaba, imponente fortezza voluta dal califfo di Cordova ‘Abd al-Rahman II nell’835, per cui furono riutilizzati i blocchi di granito romani, nel cui cortile si trovano mosaici romani e, nel sottosuolo, una cisterna visigota in granito. L’Alcazaba, divenne monastero dei cavalieri dell’Ordine di Santiago nel 1230. Non lontano, si trova anche il cosiddetto «Acquedotto Moderno», relizzato in 176

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7. Il Risorto, chiesa di Santa Eulalia, Mérida. 8. Torre da la Yerba (Torre dell’Erba, XIV secolo) e ingresso porticato alla Ermita de la Virgen de la Paz, costruita nel 1756 su una precedente cappella del XVI secolo, Plaza Mayor, Cáceres. 9. Venditrice di giornali, scultura in bronzo del XX secolo, Plaza Mayor, Cáceres.

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realtà all’epoca della dominazione araba, e formato da centoquaranta arcate. Alla patrona sant’Eulalia è dedicata una chiesa, fondata nel IV secolo, e ricostruita nel XIII con materiali di reimpiego: sull’architrave la scritta latina «Vetila, moglie di Paolo, dedica questo tempio a Marte» fu modificata in epoca paleocristiana in una dedica a santa Olalia, cioè Eulalia. La tradizione vuole che nel cosiddetto hornito (forno) che si trova davanti alla chiesa sia stata bruciata la martire. Le famose celebrazioni della Settimana Santa risalgono al VI secolo. Lasciata Mérida, attraverso una pianura verde, passando per piccolissimi borghi come Aljucén (piccolo castello, in arabo), che presenta un ponte romano e un’interessante chiesa parrocchiale del XVI secolo intitolata a sant’Andrea che conserva testimonianze del Cammino, si giunge a Cáceres. CÁCERES Capoluogo dell’omonima provincia, fu fondata dal console Lucio Cornelio Balbo, che la chiamò Colonia Norbensis Caesarina, e divenne Castra Caecilia nel 79 a.C., quando il console Cecilio Metello fortificò militarmente e fondò, oltre a Cáceres, Metellinum, che divenne Medellín, e Caelionicco o Vicus Caecilius, che divenne Puerto de Béjar. Degne di nota sono: la Casa de las Ciguëñas, con l’alta torre merlata del XII secolo; la concattedrale di Santa María la Mayor, fondata nel XIII secolo in stile romanico (presenta aggiunte gotiche del XIV secolo e rinascimentali del IL CAMINO DE LA PLATA

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10. La chiesa barocca di San Francisco Javier, Cáceres. 11. Portale del Palacio de la Diputación Provincial, XV secolo, Cáceres. 11

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secolo: del periodo gotico si ammira il grande portale con la statua della Vergine nel trumeau); il Palacio Episcopal del XVI secolo; la chiesa di San Francisco Javier (grande costruzione barocca gesuitica), la cui snella facciata chiusa fra due alte torri presenta la statua del santo; mentre nella parte più alta della città, sul luogo della moschea principale, sorge la chiesa di San Mateo, costruita nel XV secolo, con il grande portale in stile plateresco del 1500, e all’interno aggiunte barocche e importanti monumenti sepolcrali. La città vecchia, che sorge su di un colle, in posizione strategica, è tutt’ora circondata dalle mura medievali, con dodici torri e cinque porte, che la separano dalla città moderna. In essa si trovano numerosi palazzi storici, quasi tutti del XVI secolo, costruiti dalla nobiltà del Nord quando la Reconquista fu terminata, quali il Palacio de la Diputación Provincial (XVI secolo), la Torre de los Plata (XV secolo), e numerose case nobiliari: la Casa del Sol (casa fortezza del XVI secolo), la Casa de los Ribera (XIII-XIX), oggi sede del rettorato dell’Università di Estremadura; si ricordano anche la Casa de los Solis (XVII secolo), Casa de la Galarza (XVI secolo, con torre plateresca), il Palacio de las Veletas (XVI secolo: conserva parti dell’antico Alcázar arabo del XII secolo, tra cui una grande cisterna con archi a ferro di cavallo, e ospita il Museo de Cáceres), la Casa de los Caballos (XVI secolo, sede della Sección de Bellas ArXVI

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12. Cicogna a Cáceres. 13. Portale rinascimentale della chiesa di San Mateo, con i santi Matteo (architrave) e Pietro e Paolo ailati dell’arco, Cáceres. 14. Stemma della Casa de los Solis (inizio del XVII secolo), Cáceres. I pellegrini furono anche gli apripista per i mercanti e quindi per i commerci. In ogni borgo emersero così famiglie che, raggiunta la prosperità economica, trasformarono le case in palazzi ornandoli con i propri blasoni.

tes); la Casa de los Golfines de Arriba (XV secolo), la Casa Mudéjar (XIV secolo), il Palacio de los Golfines (casa fortezza gotica, XV secolo). Il cuore della vita odierna è la grande Plaza Mayor costruita a ridosso delle mura occidentali, dove si trova anche un monumento moderno in bronzo dedicato alle venditrici ambulanti di giornali. Non lontano dalla Plaza Mayor, sorge la chiesa di San Juan Bautista, del XIII secolo, costruita dopo la riconquista della città da parte di Alfonso IX. Sui tetti, sulle guglie, sulle torri della città nidificano numerose cicogne. Lasciata Cáceres e andando verso Plasencia, si incontra l’Embalse de Alcántara, che, realizzato nel 1969 per costituire una riserva d’acqua da inviare alle zone aride del centro della Spagna, ha sommerso il tratto della via relativo all’attraversamento del río Tajo. PLASENCIA Sorge al centro di una fertile pianura, e fu fondata da Alfonso VIII «per far cosa gradita a Dio e agli uomini». Divenne sede episcopale nel 1190, e poco dopo si iniziò la costruzione della cattedrale, che tuttora costituisce praticamente l’unico monumento di rilievo. Ampliato nel 1498, l’edificio presenta una facciata plateresca, e all’interno IL CAMINO DE LA PLATA

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degni di nota sono il coro ligneo del 1520 e il retablo dedicato all’Assunzione della Vergine del 1629. A testimonianza della sua posizione strategica, la città conserva ancor oggi una doppia cinta di mura con sessantotto torri. CÁPARRA Della città romana di Cáparra, quinta tappa dell’Iter ab Emerita Asturicam, resta oggi miracolosamente in piedi un arco a quattro luci, unico resto evidente di una città che occupava sedici ettari. A testimonianza della scarsità di servizi per i pellegrini, che invece vanno aumentando, è proprio sotto questo arco che molti di loro devono adattarsi a dormire, se non vogliono percorrere altri diciannove chilometri per raggiungere il più vicino rifugio. Proprio per questo, l’arco è divenuto il logo dell’intero Camino de la Plata. 180

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15. L’arco di Cáparra, assurto recentemente a simbolo del Camino de la Plata, dopo la ripresa dei pellegrinaggi lungo questo tracciato.

16. Veduta di Baños de Montemayor. 17. Torre con nido di cicogne, Baños de Montemayor.

BAÑOS DE MONTEMAYOR Come dice il suo nome, questa piccola città deve la sua esistenza alla presenza di acque termali sulfuree che sgorgano a 50°C. Conserva un aspetto medievale che risale all’epoca delle signorie feudali, quando mezza città era soggetta al duca di Béjar e l’altra metà al marchese di Montemayor: alla rivalità esistente fra i due feudatari, si deve la fondazione delle due chiese dedicate a santa Maria e a santa Caterina. La chiesa di Santa María presenta oggi forme barocche, e si ammira un bel portale sovrastato da un rilievo della Vergine Assunta; la chiesa di Santa Catalina conserva le originali forme romaniche e presenta in facciata un oculo e una piccola statua romanica della santa. Attraversando i borghi di Calzada de Béjar, Valdelacasa, San Pedro de Rozados, si giunge a Salamanca. IL CAMINO DE LA PLATA

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SALAMANCA La sua origine risale alla fortezza Helmantica, costruita da popolazioni iberiche, intorno alla quale si sviluppò un abitato. Conquistata da Annibale nel III secolo a.C., fu poi presa dai Romani, che nel I secolo a.C. costruirono sul fiume Tormes il ponte da cui ancor oggi si entra in città. Conquistata poi in successione da Alani, Goti e Visigoti, nel 712 fu occupata da Musa ibn Nusayr: poiché la valle del Duero fu, nel tempo che seguì, terra di confine, Salamanca fu vittima di scorrerie di eserciti e conobbe grande decadenza. Dopo la Reconquista, fu ripopolata nel XIII secolo per volere di re Alfonso IX di León e durante il suo regno fu fondato, nel 1218, l’Estudio General, nucleo dell’Università, confermata dal re Ferdinando III di Castiglia nel 1243 e ratificata da papa Alessandro IV (1255). È stata cantata dal poeta Unamuno4, che le affidò il suo ricordo: «Cuando yo me muera guarda, dorada Salamanca mia, tu mi recuerdo», «Quando morirò, conserva tu, mia Salamanca dorata, il mio ricordo», e chiamandola così ne esaltò il colore caratteristico delle pietre, che al tramonto risplendono. Celebre città universitaria racchiude tutto il suo notevole patrimonio storico in un’area piuttosto ristretta, che ha al suo centro la Plaza Mayor. Entrando in città dal ponte romano del I secolo d.C. che scavalca il río Tormes con i suoi ventisette archi, quindici dei quali sono ancora originari, si ha una visione d’insieme della città e si giunge al complesso delle cattedrali.

18. Il portale barocco della chiesa di Santa María de la Asunción a Baños de Montemayor. Ai lati dell’arco, nei tondi, i santi Pietro e Paolo. 19. Il portale romanico e la nicchia con l’immagine di santa Caterina, chiesa di Santa Catalina, Baños de Montemayor. 20. Particolare del portale plateresco dell’Università di Salamanca, con l’immagine di Ferdinando II e Isabella, i Re Cattolici: l’iscrizione in greco e latino dà importanza agli studi e sottolinea la grande estensione dell’Impero spagnolo. 21. La cattedrale di Salamanca (secoli XII-XVIII). 21

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22. La Casa de las Conchas (XV secolo), Salamanca. È omaggio totale all’insegna del pellegrinaggio compostelano che è diventata il simbolo del pellegrinaggio per antonomasia.

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23. Particolare della lunetta del portale (XVI secolo) della cattedrale nuova (secoli XVI-XVIII), con scene della Natività e dell’Adorazione dei Magi, Salamanca. 24. San Paolo (XVI secolo), facciata della cattedrale nuova, Salamanca. San Paolo, con san Pietro, esprimeva la fedeltà della diocesi al pontefice.

La cattedrale vecchia, o di Santa María de la Sede, romanica, fondata intorno al 1100, e terminata prima del 1200, costituisce una delle opere più belle della sua epoca in Spagna. Presenta un tiburio quadrato chiamato Torre del Gallo, per via del gallo che lo corona: all’interno, nell’abside centrale, un grande retablo circonda la Virgen de la Vega (Vergine della Valle), con cinquantatré scene della storia della salvezza con episodi della vita di Maria e di Gesù. L’intera alta parete è coperta dal retablo, dove le tavole sono distribuite in undici colonne a cinque livelli: il tutto è sormontato dal grande affresco del Giudizio universale nel catino absidale, dipinto nel 1445 da Nicola Fiorentino. Al centro campeggia la veneratissima, singolare e preziosa Virgen de la Vega, patrona della città. Si tratta di una scultura della fine del XII secolo, alta circa settantadue centimetri, ricoperta di rame dorato e ornata di pietre preziose: il volto e le mani della Vergine e di Gesù sono in bronzo non dorato, gli occhi della Madre sono di azabache e quelli del figlio di vetro azzurro. È vestita di una cappa preziosa, ed è circondata dalle figure degli apostoli. Nella cappella di San Martín si trova un inatteso tesoro: diversi sepolcri, fra i quali quello del fondatore Pedro Pérez, e affreschi eccezionali: un Pantocratore con Giudizio universale, le figure di san Gioacchino e sant’Anna. Inoltre, un grande san Martino in atto di dividere il mantello, e altre notevoli rappresentazioni del Cristo in maestà, del Tetramorfo, della Vergine, delle Spose Mistiche di Gesù, di san Cristoforo, della Resurrezione di Gesù. Si accede alla cattedrale nuova, iniziata nel 1513 e terminata nel 1733, in stile parte plateresco, parte barocco, dalla vecchia, alla quale sorge accanto. Vero capolavoro di decorazioni e di rilievi, è un edificio di notevoli proporzioni, che vale ricordare: è lungo centoquattro metri, largo quarantotto e alto trentotto. Notevole è il rilievo dell’Ingresso di Gesù a Gerusalemme del portale nord, e la torre alta centodieci metri, con la cupola di José de Churriguera. Fra le sculture della porta a nord, si notano due insolite immagini: un astronauta e un drago con un cono gelato: sono frutto scherzoso degli ultimi restauri ad opera di Jerónimo García, che volle aggiungere un segno dei nostri tempi. L’interno, molto ricco e di grande effetto per l’altezza e l’ampiezza, presenta varie cappelle ricche di opere d’arte, in particolare la cappella del Mariscal con la Virgen de la Cueva, protettrice della città. Il cuore della città è la Plaza Mayor, considerata una delle più belle di Spagna, progettata da Alberto de Churriguera nel 1720: il lato settentrionale è costituito dal monumentale edificio del municipio, di José de Churriguera. Non lontano dalla Plaza Mayor, degna di nota è la Casa de las Conchas, che prende il nome dalle conchiglie sulle facciate e sulle inferriate delle finestre, costruita nel 1514. L’Università ha la sua sede, decorata in stile plateresco, non lontano dalle cattedrali, in un edificio costruito fra il 1415 e il 1433. Nella facciata, fra i 24

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25. Annunciazione, particolare della facciata della chiesa di San Benito, XV secolo, Salamanca. La scena dell’Annunciazione non manca mai in alcuna chiesa, a ricordare che da quel «sì» è cominciata la redenzione. 26. Particolare del porticato della Plaza Mayor di Salamanca, con immagini di uomini illustri, omaggio alle glorie locali.

27. Uno dei cortili interni dell’Università di Salamanca. 28. Targa metallica sul piano stradale che indica la direzione del Cammino, Salamanca. 28

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molti motivi del decoro plateresco, si scopre un teschio con una rana: è la ranita de la suerte. La rana, un tempo simbolo di lussuria, è accostata alla caducità della vita ricordata dal teschio. Essa è oggi cercata con attenzione perché si dice che chi la individui senza aiuti avrà buona fortuna in amore e negli studi. Presso l’Università, famosa è la biblioteca, che risale al 1254. Il convento delle agostiniane (1598-1636) presenta nella sua chiesa bei dipinti di de Ribera, fra i quali spicca sull’altar maggiore l’Immacolata Concezione, del 1635, considerata una delle sue opere migliori. Non lontano dal convento, si trova il Colegio Mayor Arzobispo Fonseca (1527-1578), con un bel portale plateresco e all’interno un grande retablo di Alonso de Berruguete. Dopo Salamanca, nel cammino verso nord, si attraversano terre molto fertili che anche nel nome dimostrano il loro legame con la vite e col grano: si attraversano infatti i piccoli borghi di El Cubo de la Tierra del Vino e di Roales del Pan, dove si trova una delle numerose croci in pietra che segnalano il Cammino di Santiago. ZAMORA Come Salamanca, Zamora deve la sua importanza alla sua posizione: vera chiave del fiume Duero, è la porta naturale tra il Nord e il Sud. Inizialmente roccaforte vaccea, dovette subire per la sua posizione strategica, le invasioni di tutti in popoli che si sono succeduti nella penisola iberica, da qualunque parte provenissero. Tra i Romani era nota come Mansio Ocelum Durii, cioè l’Occhio del Duero; divenne Zamora, che significa «la ben recintata (da mura)», con gli Arabi5. Conquistata alternativamente dagli Arabi e dai cristiani, divenne definitivamente cristiana con Ferdinando I. Fu teatro di alcune imprese compiute da El Cid Campeador6, vero campione della Reconquista dell’XI secolo. Qui si trova ancora oggi il Portillo de la Traición (Posterla del Tradimento) che ricorda l’assassinio a tradimento di Sancho II, che assediava la città: l’assedio fu poi continuato dal Cid. Del vecchio ponte romano restano poche rovine, e oggi si entra nella città percorrendo il lungo ponte medievale. La città vecchia, cinta ancora da fortificazioni, sorge sulla riva destra del Duero, ed è dominata dal profilo dell’imponente cattedrale romanica (1151-1174), con il grandissimo tiburio a base quadrata sormontato da una cupola di evidente influenza mozaraba. Di fianco alla cattedrale dedicata al Redentore, la cui immagine si staglia nel timpano e sul portale, s’innalza il notevole campanile romanico a cinque livelli, rimasto incompleto. L’interno a tre navate con transetto presenta un coro ligneo del 1480 con notevoli stalli intagliati, mentre nella cappella maggiore si ammirano un retablo del XV secolo, l’altare plateresco con la statua della Vergine a sinistra, e l’altare churrigueresco della Crocifissione sulla destra. Tutta la città antica presenta un aspetto medievale e una notevole quantità 188

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29. La croce di Roales del Pan, con l’immagine di san Giacomo.

30. Cattedrale di Zamora, facciata settentrionale neoclassica (XVII secolo). 31. La meridionale Puerta del Obispo, romanica (XII secolo). 32. La poderosa torre campanaria romanica, rimasta incompleta (XII secolo), e la cupola romanica con influenze arabe (XII secolo) della cattedrale di Zamora.

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di chiese romaniche, del XII secolo, tanto da essere chiamata «museo del romanico». Le chiese più importanti sono quelle di Santa María Madalena, San Cipriano, Santa María de la Horta, Santiago el Viejo, Santiago del Burgo, San Ildefonso, San Juan Bautista de la Puerta Nueva, a fianco della quale due figure bronzee ricordano le confraternite che partecipano alle celebrazioni della Settimana Santa. Come in tutte le città della Spagna, sulla Plaza Mayor si affaccia il Palacio del Ayuntamiento, qui del 1622.

3. La chiesa di San Juan Bautista de la Puerta Nueva con a fianco le sculture bronzee che ricordano le confraternite che partecipano ai riti della Settimana Santa, Zamora.

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35. Veduta laterale della chiesa di Santa María de la Horta con la torre ottagonale, Barcial del Barco. 36. Paesaggio zamorano.

34. Il portale con la croce di san Giacomo della chiesa di Santa María de la Horta (XII secolo), Barcial del Barco.

BARCIAL DEL BARCO Fra Zamora e Benavente, nel piccolo borgo di Barcial del Barco attraversato dal Cammino, emerge la bella torre campanaria della chiesa parrocchiale, la cui base quadrata è sormontata da una elegante cella ottagonale, traforata da otto lunghe monofore. BENAVENTE Su di uno sperone roccioso alla confluenza dei fiumi Esla e Órbigo, sorgeva l’antica Brigaecium, divenuta importante mansio romana sul percorso per la Castiglia, le Asturie e la Galizia, a circa quaranta chilometri da Astorga. Dopo la caduta dell’Impero romano bisogna attendere la Reconquista perché Benavente riacquisti importanza nella storia della Spagna. Nella grande chiesa di Santa María de Azogue (azogue è il mercato quotidia36

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no) si venera la Vergine con il titolo de la Vega, che protesse i cristiani nella battaglia detta de la Polvorosa o del Mato, dell’812. La città era assediata dai Mori, e Alfonso II re delle Asturie venne in aiuto invocando la sua amata Virgen de la Vega, venerata nella provincia di La Rioja, a Haro. Si narra che Ella stessa abbia deciso le sorti della battaglia: apparve sopra il ponte col Figlio in braccio, e lanciò pietre contro i nemici finché non si ritirarono. Fino all’inizio del XIX secolo, si ricordava l’evento trasportando in Benavente una statua dell’Ottocento che si trova in una ermita del vicino paese di Cimanes de la Vega. Nel 1823 si fece fare un’altra statua che la riproducesse, che è conservata in questa chiesa in Benavente e viene portata in processione ogni anno, per la festa commemorativa della battaglia. L’imponente chiesa ha pianta a croce latina, tre navate, un ampio transetto e cinque absidi, mentre la volta è sostenuta da pilastri cruciformi. Il grande campanile a pianta quadrata insiste sul portale, e il suo orologio si sentiva in tutta la provincia. Fu costruita fra il 1180, quando questa città fu riconquistata da Ferdinando II di León, e la fine del XIII secolo, e completata nel XVI secolo. La facciata attuale è del 1735. All’interno, è notevole un’Annunciazione in cui la Vergine è visibilmente incinta e a mezzogiorno i raggi del sole toccano il suo pancione: è opera gotica del XIII secolo. Altra chiesa degna di nota è San Juan del Mercado, iniziata anch’essa nel XII secolo. 192

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37. San Verísimo, chiesa parrocchiale del XIII secolo di Alija del Infantado, provincia di León. 38. Campanile della chiesa di San Verísimo. Verissimo è martire dell’Estremadura. 39. Testa di Cristo in una nicchia della chiesa di San Verísimo.

40. Ingresso laterale dal porticato della chiesa di San Verísimo. 41. Da Alija del Infantado la «freccia gialla» indica che la strada continua verso Astorga e il Cammino europeo.

ALIJA DEL INFANTADO Con questa piccola città si entra nel leonese. Il notevole passato di Alija si conosce oggi attraverso i resti del suo castello, le sue due chiese, di San Verísimo e San Esteban, le due ermitas (di Ozaniego e del Cristo), e l’Ospizio della Confraternita di San Mamés (San Mamante), testimonianza della protezione per i pellegrini. Nella Plaza Mayor, il Palacio del Ayuntamiento si distingue per due simpatiche figure, dono recente di Fidenciano Carballo, che raffigurano un uomo e una donna nel costume tradizionale: sono i muñecos, cioè bambole o pupazzi. L’Ermita del Santo Cristo de la Vera Cruz è centro di grande devozione popolare: si entra da un portale romanico molto semplice e all’interno si trova una sola navata, coperta da un soffitto ligneo a cassettoni: si venera qui un Cristo crocifisso e vestito di epoca romanica. Su di una vicina altura, a El Teso (teso: «altura, colle») si eleva una croce di pellegrinaggio, che ricorda i ben quattro ospizi per pellegrini di questo luogo, sormontata da una croce dell’Ordine di Santiago. Oggi oltre ai monumenti citati, le manifestazioni folcloristiche di rievocazione storica ricordano il glorioso passato della città, che ebbe il suo splendore nel XV secolo. Dopo Alija, il Cammino prosegue verso Astorga, e ci si trova sul Cammino europeo. IL CAMINO DE LA PLATA

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2. Placca con la raffigurazione della croce apocalittica asturiana. Museo Arqueológico de Asturias, Oviedo.

IRUN Il nome di Irun deriva dalla lingua basca: hiri si vuole significhi infatti «buona città» o «grande città», e diventa Irún in castigliano. Sorge alla foce del río Bidasoa, che è confine di stato, tanto che l’isola dei Fagiani (isla de los Faisanes), che vi sorge al centro, appartiene sia alla Francia che alla Spagna. Fu il porto romano di Oiasso (Oiaso o Eiaso); fece poi parte del regno di Navarra, poi di Castiglia, e fu del tutto indipendente dal 1776, quando un decreto del re Carlo III la dichiarò ufficialmente villa, cioè città indipendente. Il titolo di città fu ribadito in epoca moderna nel 1913. La città antica fu distrutta del tutto da un incendio durante la guerra civile del 1936.

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1. Alfonso II il Casto in preghiera, particolare di una miniatura del Liber Testamentorum, 1109-1122 ca., Archivio della cattedrale, Oviedo.

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Il Cammino del Nord giunge in poco più di ottocentocinquanta a Santiago. Costeggia quello che i Romani chiamarono il Sinus Kantabrorum1, il mare dei Cantabri2, attuale golfo di Biscaglia (Vizcaya in castigliano, Bizkaia in basco). Detto anche ruta de la costa, strada costiera, esso passa il confine tra la Francia e la Spagna poco dopo Hendaye, a Irun: si supera qui il río Bidasoa, che segna tale confine, con un ponte che significativamente è detto Puente de Santiago. È detto anche «Cammino cantabrico», ed è sovrastato dalla cordigliera cantabrica, che corre a poca distanza dalla costa. L’antico popolo dei Cantabri fu sottomesso ai Romani, dopo una guerra durata un decennio, da Augusto e da Marco Vipsanio Agrippa nel 19 a.C.: risale a quest’ultimo probabilmente una prima viabilità della zona. È un percorso di mare, vento e paesaggi suggestivi, più che di monumenti e città, e dai pellegrini fu preferito al Cammino europeo nei periodi in cui questo era reso pericoloso dall’avanzare degli Arabi. Fu certo assai meno frequentato, e solo dalla metà del XIII secolo: le città in generale non devono qui la loro nascita alle esigenze del pellegrinaggio; oggi viene suggerito anche per sfoltire l’altissima frequenza del suddetto percorso. Fu peraltro spesso intrapreso da quanti giungevano via mare dal Nord (pellegrini inglesi, francesi, fiamminghi, eccetera) e trovavano comodo seguire la costa prima di immettersi nel Cammino europeo. Lungo il Cammino del Nord, peraltro, nelle Asturie e nella Galizia, si incontrano le più antiche memorie del culto di san Giacomo, che precedono il 1000. Questo percorso comincia idealmente attraversando il ponte di Irun sul Bidasoa, e il primo hospitale, quello di Pola de Siero (non lontano da Oviedo), risale al 1141.

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DONOSTIA-SAN SEBASTIÁN La prima notizia della città, indicata rigorosamente con il doppio nome in lingua basca e in lingua castigliana, è del 1014: si nomina il monastero di San Sebastián, legato al monastero di Leyre, cui il piccolo borgo fu donato dal re di Navarra Sancho il Grande nel 1016. La fondazione ufficiale è del 1174, quando a Donostia fu concesso lo stato di fuero, cioè città con partiIL CAMMINO DEL NORD

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colari privilegi; sorge alla foce del fiume Urumea, e il suo golfo, con la Playa de la Concha (deve il nome alla sua forma) è compreso tra due promontori, il monte Igeldo e il monte Urgull. Fu fortificata per la sua posizione strategica, ma ciò non impedì però che nel 1813 fosse completamente incendiata, per cui il suo aspetto attuale è piuttosto moderno. La chiesa cattedrale è dedicata al Buon Pastore: l’attuale edificio, in stile gotico e caratterizzato da una grande guglia centrale che insiste sul portale della facciata, è del 1897. Rinascimentale, del 1534-1551, è il convento domenicano di San Telmo, oggi museo. Il percorso del Cammino prosegue, sempre accompagnato dalle frecce gialle che dicono al pellegrino: «sei sulla strada giusta», passando per Getaria, uno dei porti storici del Golfo, e per Gernika (Guernica in castigliano), divenuta tristemente famosa per il bombardamento tedesco del 1937 durante la guerra civile e per il dipinto di Picasso. Si salvò dal bombardamento l’antica grande chiesa gotico-rinascimentale di Santa María, caratterizzata da un grande campanile a vela. BILBAO La città più grande che si incontra è Bilbao (Bilbo in lingua basca), l’antica Flaviobriga romana. Se i suoi primi insediamenti datano a più di 2.000 anni fa, Bilbao ha però una precisa fondazione, voluta dal signore di Biscaglia, don Diego López V de Haro, sulla riva destra della ría del Nervión. Il documento relativo porta la firma del signore e la data del 15 giugno del 1300. Esso fu firmato a Valladolid e ratificato poi dal re Ferdinando IV di Castiglia il 4 gennaio 1301. I pellegrini entravano ed entrano in Bilbao accolti dalla basilica della Virgen de Begoña, patrona della regione di Biscaglia, di 196

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3. Il Cammino del Nord è un percorso di mare, venti e paesaggi suggestivi: la forza del vento e del mare a Getaria.

4. Statua di san Giovanni Battista in una nicchia in facciata, chiesa di San Juan Bautista, Muskiz. 5. Portico di accesso alla chiesa di San Juan Bautista a Muskiz.

stile gotico rinascimentale (oggi la guglia e parte degli esterni sono frutto di rifacimenti del XX secolo). La cattedrale è dedicata al Señor Santiago. Di stile gotico, si trova nel centro della città e conserva una Puerta de los Peregrinos; i pellegrini spesso trovavano riparo sotto il monumentale portico in facciata. La sua fondazione precede quella della città, e forse esisteva già dall’XI secolo: l’edificio attuale sorge probabilmente dove già era un romitorio dedicato a san Giacomo, presso il quale facevano sosta pellegrini giunti dal mare. È la città natale di Miguel de Unamuno. Il Cammino tocca centri piccoli e grandi, alcuni dei quali presentano una loro interessante storia, quasi sempre legata però, più che al pellegrinaggio, alla loro posizione sul mare: Barakaldo, Portugalete, Muskiz nella regione di Vizcaya; Castro Urdiales, Islares, Laredo, Cicero, Santoña, Santander, Requejada, Cóbreces, San Vicente de la Barquera nella regione della Cantabria; Llanes, Ribadesella, Caravia, Villaviciosa, Gijón, Avilés, Luarca, Vegadeo nelle Asturie; Mondoñedo, Villalba, Sobrado in Galizia. LAREDO Piccolo ma importante porto, reca i segni del pellegrinaggio nei privilegi che ottenne fin dal X secolo, che ne fecero un fuero nel 1200. Con Castro Urdiales, Santander e San Vicente de la Barquera, Laredo nel 1210 formò la Hermantad de las cuatros villas, lega delle quattro città portuali della Spagna del Nord, attiva fino al XVIII secolo. Contribuì alla lotta contro gli Arabi, e divenne porto militare di Castiglia. Al suo porto infatti Laredo deve il suo peso storico e l’essere divenuta teatro di sbarchi e imbarchi di celebri personaggi come (citiamo per tutti) l’arrivo nel 1556 di Carlo V, che da lì poi si ritirò nel monastero di Yuste dove morì il 21 settembre 1558. IL CAMMINO DEL NORD

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SANTANDER Fu fondata dai Romani e chiamata Portus Victoriae. Ma nel IV secolo, secondo la tradizione, qui giunse una barca di pietra con le teste di due legionari romani, Emeterio e Celedonio, che per la loro fede cristiana erano stati decapitati. Furono proclamati patroni della città, che prese il nome di Portus Emeterii, da cui venne Sant’Emeter, Santemeter e, infine, Santander. Nel XX secolo le reliquie di Emeterio e Celedonio sono state trovate nella cripta della chiesa di San Martín. Emeterio e Celedonio, probabilmente fratelli, subirono il martirio durante la persecuzione di Valeriano (253-260) o quella di Diocleziano (303-305), a Calahorra (nella provincia di La Rioja). Le loro teste, accolte come preziose reliquie, furono poi custodite dai monaci del luogo: sull’abbazia Sancti Emeterii et Celedonii sorse poi una chiesa più grande edificata all’epoca di Alfonso II, la chiesa collegiata de los Cuerpos Santos (con allusione alle molte altre reliquie che vi sono custodite), che dal 1754 divenne la cattedrale della diocesi di Santander. È caratterizzata dall’essere costituita da due chiese sovrapposte, in stile gotico. L’inferiore, detta «del Cristo» per un crocifisso che vi si venera, dagli archi bassi e massicci, risale all’inizio del XIII secolo, quella superiore, dedicata alla Virgen Bien Aparecida venne innalzata poco più tardi. Dopo l’incendio della città del 1941, la chiesa superiore fu ricostruita e ingrandita. Dalla Cantabria alle Asturie si passa il río Sella, la cui foce forma la ría de Ribadesella: le coste del breve fiume, un tempo Noega, erano abitate dal Paleolitico, l’insediamento di Noega Uceria è citato dal geografo Tolomeo, che chiama il fiume Saelia. Gli antichi abitanti ne prendevano il nome ed erano chiamati Salaenos. Ribadesella fu ufficialmente fondata da Alfonso X il Saggio, che unì due località sulle opposte rive: Leces e Meluerda. Parte da qui una deviazione del percorso che porta verso l’interno, ai piedi dei Picos de Europa della cordigliera cantabrica, alla ricerca delle memorie storiche delle origini della Reconquista: si va incontro a reliquie e vestigia di 198

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6. La baia di Islares. Il Cammino del Nord è caratterizzato dal suggestivo ambiente costiero. 7. Il porto di Santoña.

8. Il porto di Castro Urdiales, presso Santander, era uno dei punti di approdo dei pellegrini inglesi. 9. Una strada a Llanes, con la freccia che indica il Cammino.

grande valore e forza. È il «Cammino primitivo», così detto perché ricalca la vie percorse dai primi re delle Asturie nell’andare alla ritrovata tomba di san Giacomo. Chi fa questo percorso tocca, dopo Oviedo, Salas, Tineo, Puerto del Palo, Fonsagrada, Fontaneira, Lugo, Guntín, e a Palas de Rey si immette sul Cammino europeo. Chi non lo sceglie, vi si immette presso Arzúa. Questi i luoghi e le memorie. CANGAS DE ONÍS Sulle rive del Sella sorge Cangas de Onís (Cangues d’Onís in asturiano); dalla lingua celtica cangas significa valle e onis significa acqua. Qui il re Pelayo pose la sua capitale dopo aver sconfitto gli Arabi a Covadonga: un ponte, oggi medievale, peraltro chiamato Puente Romano perché costruito dai Romani, e in seguito restaurato, unisce le due rive. Da esso pende una grande croce asturiana, ricordo della vittoria di Pelayo a Covadonga. Non lontano è Gijón. GIJÓN Conquistata dai Romani nel 490 a.C., Gijón (Xixón in asturiano) fu poi dominata dai Visigoti, e infine presa dagli Arabi nel 714. Qui nacque Pelayo, la cui storia si intreccia con la leggenda. Il governatore arabo Munuza, innamoratosi della sorella di Pelayo, volle sposarla: poiché Pelayo si oppose, Munuza l’allontanò, inviandolo a Cordova a giurare fedeltà all’emiro, e cercò di approfittare della sua assenza per convincere la giovane al matrimonio. Il suo piano fu vanificato dall’improvviso ritorno di Pelayo, che però, per sfuggire alla sua ira, fu costretto a ritirarsi sui monti, dove si mise a capo di una resistenza antimusulmana. Un giorno Pelayo giunse a una grotta sul monte Auseva, inseguendo un malfattore: qui trovò, con lui, un eremita che custodiva una statua della Vergine. Questi prese le

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difese dell’inseguito, e offrì in cambio a Pelayo la protezione della grotta e della Madonna per qualunque sua necessità. Pelayo, nel 718, fu proclamato re sul monte Repelao (dove oggi un monolite ricorda l’avvenimento), e giurò sopra una croce di rovere che poi portò nella battaglia di Covadonga. Ricoperta di oro e pietre preziose all’epoca di re Alfonso III, essa è la Cruz de la Victoria che troviamo oggi nella Cámara Santa della cattedrale di Oviedo. COVADONGA Pelayo, impegnato nella resistenza contro i Mori, trovò rifugio con alcuni dei suoi nella grotta: là gli apparve la Vergine e l’incitò alla difesa della fede cristiana. Così sostenuto, Pelayo attaccò e sconfisse gli Arabi a Covadonga nel 722, ai piedi dei Picos de Europa. La grotta ha dato il nome al luogo: Covadonga3, in asturiano Cuadonga, dal latino Cova Dominica, Grotta della Madonna: si trova qui una santuario mariano rupestre, la Santa Cueva, la Santa Grotta, che si vuole sorto proprio intorno alla grotta della visione, incassata nel monte a strapiombo su di una cascata. La leggenda di Covadonga si trova nella Cronaca del re Alfonso III il Grande (866-910), dove si legge che le pietre lanciate con le catapulte contro i cristiani, giungendo all’altare della Vergine, rimbalzarono all’indietro facendo strage di Saraceni. La grotta fu subito venerata e meta di pellegrini: fino al 1777 era rivestita di legno, per cui fu facile vittima di un incendio che distrusse l’antica statua lignea della Virgen de Covadonga, detta affettuosamente la Santina. Dopo l’incendio, nel 1778, il capitolo della cattedrale di Oviedo fece dono della statua lignea del XVI secolo che ancora oggi vediamo. Qui si trova anche la sepoltura di Pelayo, che, già sepolto nella cappella di Santa Eulalia di Abamia, fu qui traslato all’epoca di Alfonso X il Saggio, e di Alfonso I delle Asturie, che di Pelayo sposò poi la sorella. Nella seconda metà del XIX secolo, con l’intento di ridare splendore a Covadonga, fu realizzato il piccolo santuario rupestre attuale a picco su una cascata, in stile neoromanico, poi consacrato nel 1901 (opera dell’architetto Luis Menéndez Pidal), e il grande santuario (opera di Roberto Frasinelli), edificato con la pietra rosata di questi monti. All’interno, i dipinti ricordano gli episodi dell’epopea di Pelayo. All’inizio del cammino che conduce alla grotta si trova l’iscrizione: «Aquí en el Monte / Auseva, morada / inmemorial de la Virgen / renació la España de / Cristo con la gran / victoria de Pelayo y / de sus fieles sobre los / enemigos de la Cruz / Años 718-722». Centouno scalini, la Escalera de la Promesa, conducono alla grotta: un’antica tradizione vuole che i devoti salgano la scala in ginocchio, o portando una croce, solvendo così un voto fatto alla Vergine (non è raro vederli ancor oggi). Davanti al grande santuario è stato innalzato il monumento a Pelayo, di Gerardo Zaragoza (1965), che lo rappresenta davanti alla Cruz de la Victoria. Si vuole che gli Asturiani debbano venire a Covadonga in devoto pellegrinaggio, se non una volta all’anno, almeno una volta nella vita. 200

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10. L’altare fatto costruire dal sovrano Ramiro I (842-850), quando trasformò il proprio palazzo di Naranco, vicino a Oviedo, nella chiesa di Santa María. Le più antiche testimonianze artistiche sono presenti lungo il Cammino del Nord, ricco di memorie storiche e itinerario dei primi pellegrinaggi ispanici. 11. La chiesa di Santa María, sulla collina di Naranco che sovrasta Oviedo, è un esempio di architettura autoctona preromanica asturiana.

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OVIEDO Le memorie della prima storia di Spagna sono conservate a Oviedo (Uviéu in asturiano) che fu capoluogo del principato delle Asturie e oggi della omonima regione. La città fu fondata verso la metà dell’VIII secolo ed ebbe grande splendore come capitale nel IX secolo. A questa epoca si deve l’edificazione della cattedrale dedicata a San Salvador, che contiene preziose reliquie storiche e religiose. Sulla facciata, dentro alla loggia del portale, campeggia un’immagine della Trasfigurazione. La cattedrale fu edificata tra XIV e XVI secolo in un imponente stile gotico, per custodire la Cámara Santa voluta dal re Alfonso II il Casto nel 791: sulla cripta di Santa Leocadia, giovinetta di Toledo martire all’epoca di Diocleziano, fu edificata la cappella detta di San Miguel o appunto Cámara Santa, per la preziosità delle reliquie che custodisce. Troviamo qui, oltre alla Cruz de la Victoria di Pelayo, di cui si è detto, la Cruz de los Ángelos, fatta realizzare nell’808 da Alfonso II il Casto, che aveva portato la capitale del regno a Oviedo e l’abbellì di edifici purtroppo in parte perduti. Nella cattedrale si trovano anche (qui portate da Toledo, caduta in

12. La chiesa di San Julián de los Prados a Oviedo è l’edificio fondante dell’arte asturiana, durante il regno di Alfonso II il Casto (791-842).

13-14. Particolari dei sedili del coro della cattedrale di San Salvador di Oviedo: in alto, Mosè; in basso, la Sinagoga e la Chiesa. 15. La cattedrale di San Salvador, Oviedo. Presenta una sola torre in facciata, ed è il cuore della fede asturiana.

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mano musulmana) l’Arca Santa (arca lignea rivestita di metallo prezioso con l’immagine di Cristo e degli apostoli, del IX secolo) che contiene il Santo Sudario, una reliquia della Vera Croce e un Cristo ligneo attribuito a Nicodemo (in realtà del XII secolo)4. Il Sudario di Oviedo (detto Sagrado Rostro, Volto Santo), è un piccolo telo di lino (circa ottantaquattro per cinquantatré centimetri) che secondo la tradizione avvolse il capo di Gesù dopo la sua morte; porta impresse solo macchie di sangue, e viene esposto alla venerazione dei fedeli tre volte l’anno: il Venerdì Santo, il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Croce, e il 21 settembre, festa di san Matteo, il cui simbolo è un volto umano perché inizia il suo Vangelo con la genealogia umana di Cristo. Conservato a Gerusalemme fino al 614, quando la città fu presa dal re Cosroe II, posto in un’arca lignea che fu portata in Spagna, dove rimase a Toledo fino alla prima metà dell’VIII secolo: giunse a Oviedo tra l’812 e l’842. L’Arca Santa venne aperta nel 1075 alla presenza del re Alfonso VI. Non stupisce che questi luoghi, uniti in un percorso detto «Cammino primitivo», costituiscano una grande attrazione per i pellegrini.

16. Particolare dell’Arca Santa, conservata nella Cámara Santa voluta da Alfonso II per custodirla, cattedrale di San Salvador, Oviedo. 17. San Giacomo e san Giovanni Evangelista, Cámara Santa, cattedrale di San Salvador, Oviedo. 18. La collegiata di Santa María, XVI secolo, Salas. La grande torre campanaria in facciata la rende simile a una fortezza e rimanda alla necessità della difesa. 19. Fontanile, Salas. Le fontane lungo il Cammino sono vero e necessario refrigerio per i pellegrini, importanti quanto i segni che indicano la strada. 20. Il Cammino prosegue, come documentano l’immagine e la scritta. 19

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Il Cammino catalano, detto anche Ruta Jacobea Catalana Septentrional, prende il nome dalla Catalogna, regione spagnola nella quale si trova la città di Barcellona, da cui parte il percorso, raccogliendo quanti provengono dall’Europa centromeridionale e dal mare Mediterraneo. Il percorso passa per Montserrat, poi si biforca due volte: una prima, a Vilagrassa, dove segue due tracciati, l’uno per Balaguer l’altro per Lérida; la seconda, all’altezza di Lérida, e prosegue con due tracciati. Quello più orientale si congiunge al Cammino europeo, dopo aver toccato Huesca, poco prima di Jaca, nei pressi di Puente la Reina de Jaca, mentre quello più occidentale tocca Saragozza e si immette nel cammino unificato a Logroño.

1. Jaume Ferrer II, 1450 ca., San Giacomo pellegrino, tavola centrale del retablo della cappella di San Jaume della Seu Vella (cattedrale vecchia) di Lérida. Museo Diocesano y Comarcal de Lérida.

BARCELLONA Si prende questa città come il capotesta del percorso: capitale della Catalogna, seconda città della Spagna per numero di abitanti, Barcellona è città affascinate che unisce antico e moderno. Si affaccia sul Mediterraneo fra le foci dei fiumi Besòs e Llobregat. Popolata dalle antiche genti di origine ibera, oppure fondata da Amilcare Barca, padre di Annibale, l’antica Barcino, fu fortificata dai Romani, che ne fecero un castrum sul Mons Taber, collina dove oggi si trova il centro della città. I Romani la chiamarono Colonia Iulia Augusta Faventia Paterna Barcino, e dell’organizzazione urbanistica romana la città porta il segno nella sua struttura: le mura romane sono ancora ben visibili. Fu successivamente conquistata dai Visigoti (V secolo), dagli Arabi (VIII secolo), dai Franchi (801); saccheggiata da al-Mansur nel 985, visse particolare prosperità dal X secolo. In seguito si unì al regno di Aragona nel 1137, e divenne uno dei porti più importanti del Mediterraneo. La città storica è ricca di edifici gotici, e due successive cinte murarie la protessero. Un periodo di declino iniziò nel XIV secolo, e, quando si unì al regno di Castiglia, per il matrimonio tra Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia alla fine del XV secolo, perse la sua indipendenza. Molti antichi edifici si persero per i 385 distruttivi bombardamenti della guerra civile, e oggi la città è divenuta laboratorio di modernità. Oltre alla bellissima cattedrale di Santa Eulalia, patrona di Barcellona, emblema della città è il Temple Expiatori de la Sagrada Familia (Tempio Espiatorio della Sacra Famiglia) di Antoni Gaudí, splendida interpretazione attuale del grande gotico e del suo spirito, che, iniziata nel 1882, e ancora in costruzione, il 7 novembre 2010 è stato eretto a basilica e consacrato da Benedetto XVI. Interamente finanziata dalle offerte dei fedeli, presenta una facciata dedicata alla Natività (completata prima della morte di Gaudí); è stata terminata anche la facciata della Passione e sono state compiute otto delle dodici torri previste, che ricordano gli apostoli. La facciata della navata maggiore deve essere completata e sarà dedicata alla rappresentazione della Gloria. Altri edifici opera di Antoni Gaudí sono ammirati come simboli di una modernità che accoglie la bellezza: ricordiamo il Park Güell, Casa Milà (detta La Pedrera), Casa Batlló, Palau Güell e Casa Vicens. Nel IL CAMMINO CATALANO

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2. Navata maggiore e jubé della cattedrale di Barcellona.

4. Azulejo rappresentante san Cristoforo sulla via per Montserrat. Cristoforo è uno dei santi protettori dei pellegrini, invocato per l’attraversamento dei corsi d’acqua poiché traghettò sulle sue spalle Gesù Bambino.

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IMMAGINE DA SOSTITUIRE IN ARRIVO

quartiere gotico si notano anche le chiese di Santa María del Mar e Santa María del Pi. Caratteristiche della città sono anche le grandi ramblas, i viali che confluiscono al Porto Antico (Portvell), dove la statua di Cristoforo Colombo indica l’Ovest, emblema dello slancio al futuro. MONTSERRAT Il massiccio del Montserrat, che si innalza al centro della pianura della Catalogna, non lontano da Barcellona, presenta una caratteristica configurazione orografica dovuta all’azione degli agenti atmosferici che gli hanno dato for208

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3. La Sagrada Familia, opera dell’architetto Antoni Gaudí, Barcellona.

5. Parte del complesso del santuario della Vergine di Montserrat, meta di un frequentatissimo pellegrinaggio. Sullo sfondo, le caratteristiche formazioni rocciose.

me suggestive e particolari, che giustificano il nome: «monte segato». Abitato dal Neolitico, fu scelto come romitorio ideale da molti eremiti. Si ha notizia di eremi stabili costruiti in epoca visigotica: poi Vilfredo il Peloso, primo conte di Barcellona, che liberò il territorio dai musulmani, donò, nell’875/76, un ampio territorio intorno al Montserrat al monastero benedettino pirenaico di Ripoll. Verso l’800, il ritrovamento di una immagine lignea della Vergine Maria col Bambino fece sorgere il santuario. Alcuni giovanissimi pastori di Monistrol videro una grande luce accompagnata da una musica melodiosa proveniente da una grotta vicino al río Llobregat: i ragazzini IL CAMMINO CATALANO

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tornarono alla grotta con i padri, per quattro sabati, e furono infine accompagnati dal vescovo. Nella grotta da cui provenivano la luce e i canti si trovò l’immagine lignea. Il tentativo di portare l’immagine a Manresa, sede vescovile, fu vanificato perché l’immagine divenne troppo pesante e si comprese che voleva essere venerata lì. Sorse così la prima cappella, affidata agli eremiti, nucleo del futuro santuario e monastero. Una nuova statua della Vergine fu scolpita nell’XI secolo: il monastero fu ampliato, aumentò l’afflusso dei pellegrini e di conseguenza la fama del santuario si diffuse. Dal XIII secolo il monastero e il santuario divennero non solo un grande centro di pellegrinaggio, tappa tra Santiago e Roma e meta essi stessi per la presenza della miracolosa immagine della Vergine, ma anche grande centro culturale, da cui la devozione alla Vergine di Montserrat fu diffusa fino a tutta l’Europa centrale. Una delle devozioni più care ai pellegrini è il canto della Salve Regina che i monaci compiono ogni giorno a mezzogiorno. Nel 1811-12 l’esercito di Napoleone incendiò e distrusse quasi completamente il monastero e il santuario e disperse i monaci. La rinascita iniziò col ritorno dei monaci nel 1844. La Vergine di Montserrat nel 1881 venne proclamata patrona della Catalogna da papa Leone XIII e fu incoronata: gli edifici furono ricostruiti e rifiorì la biblioteca. L’attuale immagine è una scultura romanica che presenta volto e mani scure, donde il nome di Morenita: il colore nero è dovuto in questo caso a un processo di ossidazione dei colori del volto e delle mani, cui sono sfuggiti i pigmenti delle vesti. La Vergine è rappresentata in trono, in atteggiamento ieratico, indossa un manto e una veste policromi e dorati: Madre e Figlio sono incoronati, la Madre regge con la destra una sfera, simbolo dell’universo, mentre il Figlio benedice con la destra e con la sinistra regge una pigna, frutto di un sempreverde e quindi simbolo di resurrezione e immortalità. Il re Alfonso X il Saggio (1221-1284) dedicò sei cantigas alla Vergine di Montserrat, ringraziandola per i suoi prodigi. I Catalani salgono al santuario almeno una volta all’anno, e lo scelgono per matrimoni, compleanni, feste. Racconto tradizionale è quello dell’eremita Giovanni, narrato nel famoso Llivre Vermell custodito nella biblioteca. L’eremita Giovanni Guarino, che viveva in una grotta vicino al monastero, tentato dal diavolo si vantò che questi non avrebbe mai potuto indurlo a uccidere, né a mentire, né a cedere alle tentazioni della carne. Il diavolo allora chiamò altri due spiriti maligni: l’uno prese possesso di una damigella, figlia di un conte dei dintorni, l’altro assunse l’aspetto di un sant’uomo e si guadagnò la fiducia di Giovanni per poterlo mal consigliare. Il conte inviò la figlia, posseduta dal demonio, presso l’eremita perché la esorcizzasse, e il finto sant’uomo consigliò Giovanni di restare solo con lei. Ma Giovanni, travolto dalla tentazione, abusò della fanciulla: poi il finto sant’uomo gli suggerì, per la buona fama degli eremiti, di uccidere la fanciulla e dire a chi tornava a cercarla che ella se n’era andata guarita e lui non ne sapeva più nulla. Così fece l’eremita, e 210

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6. Vergine di Montserrat, scultura lignea policroma del XII-XIII secolo.

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7. Incisione votiva inserita nel libro di Nicola Albani, Viaggio da Napoli a San Giacomo di Galizia (1745). 8. Facciata della basilica del santuario della Vergine di Montserrat.

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seppellì la fanciulla in una grotta. Il diavolo allora gli svelò che aveva compiuto proprio quei peccati che si era vantato non avrebbe mai fatto. L’eremita allora si fece pellegrino a Roma, dove incontrò il pontefice, che gli impose come penitenza di andare piegato camminando sulle mani finché non avesse ottenuto il perdono. Giovanni tornò così al Montserrat, e pareva una bestia: dopo più di sette anni, il conte padre della fanciulla lo incontrò durante una caccia e lo portò al suo palazzo. Qui dopo tre mesi un infante, tra le braccia della sua nutrice, disse: «Giovanni, hai ottenuto la remissione dei tuoi peccati». Allora Giovanni si alzò, e narrò al conte e a sua moglie cosa era accaduto: gli chiesero allora di andare alla sepoltura della loro figlia. Vi andarono, e smuovendo rami e pietre la ritrovarono viva e incolume, per grazia di Dio e aiuto della Vergine Maria. Dopo di che la damigella divenne fondatrice di un eremitaggio femminile. IL CAMMINO CATALANO

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CERVERA Cervera è una piccola città d’arte dell’altipiano centrale catalano. Al confine fra le terre occupate dai musulmani e dai cristiani, ebbe origine quando nel 1026 tre famiglie s’insediarono sul colle, e poco dopo il conte di Barcellona Ramón Berenguer I riconobbe loro il possesso delle terre che avevano occupato, e innalzò una fortezza, il Castrum Cervaria. Il villaggio crebbe rapidamente, e nell’XI secolo fu edificato il monastero di San Pere el Gros: la città crebbe ancora, e le vennero concessi privilegi, e il titolo di città le fu dato da Filippo V nel 1702. LÉRIDA Lérida in catalano, fu fondata col nome di Iltirta. Indíbil e Mandonio la difesero dai Cartaginesi e dai Romani: nel 205 a.C. prese il nome di Ilerda e alla fine del III secolo fu edificato un ponte di pietra, poi distrutto. Fu presa dai musulmani nel 716 e venne allora chiamata Larida. Fu riconquistata dai cristiani nel 1149 ad opera di Ramón Berenguer IV e da Ermengol VI di Urgel. Conobbe grande gloria con la fondazione della sua Università nel 1300, che fu attiva fino al 1707, quando Filippo V ne ordinò la chiusura e la distruzione del borgo universitario. Del periodo della gloria universitaria le rimane la grande cattedrale gotica, la Seu Vella (in catalano Seo Vella) che, edificata fra il 1203 e il 1278 è l’emblema della città. 10

MONZÓN È la seconda città della provincia di Huesca, e si trova presso il río Cinca e il río Sosa. Contesa, all’epoca della dominazione musulmana, fra Huesca e Saragozza. La sua posizione è strategica fra Saragozza e Lérida. Conquistata nel 1089 da Pietro, figlio del re Sancho Ramírez di Aragona, fu costituita in regno per lui. Nel 1143 divenne possesso dei templari: iniziò un periodo felice, in cui sovente fu sede della corte aragonese. Notevoli sono la cattedrale romanica di Santa María del Romeral e il castello, edificato dal IX secolo. Il río Sosa è attraversato da un ponte romano pedonale, formato da tre archi. PERTUSA È un comune spagnolo di centocinquantatré abitanti situato nella comunità autonoma dell’Aragona. Citata come mansione romana nell’Itinerario di Antonino, fu detta Partusa e Dertusa. La prima menzione della città è del 1106. La chiesa parrocchiale, romanica, è dedicata a Santa María, e vi si trova una ermita dedicata a Santiago. HUESCA Huesca (in aragonese Uesca), sede vescovile e anche sede decentrata dell’università di Saragozza, è città di lunga storia. Abitata fin dalla preistoria, fu borgata delle genti ibere (col nome di Oscam o Boscam), e divenne importante centro urbano in epoca romana, dal II secolo a.C. al V secolo d.C. È il

Pagina seguente: 12. Parte superiore della facciata gotica della cattedrale di Huesca, costruita fra il XIII e il XVI secolo.

9-10. Particolari dell’affresco che raffigura l’ospitalità dei pellegrini, refettorio della Seu Vella, Lérida.

13. Portale monumentale dedicato alla Vergine della cattedrale di Santa María, Huesca.

11. Cupola del ciborio, Seu Vella, Lérida. 11

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paese natale del santo diacono Lorenzo (210 ca.-258), che venne condotto a Roma dal papa e qui fu martirizzato, divenendo il diacono per eccellenza della chiesa di Roma. La città non conserva tracce monumentali del dominio dei Visigoti, mentre i musulmani vi hanno lasciato un ricco patrimonio artistico, che comprende anche le possenti mura che dovevano difendere i musulmani dai cavalieri cristiani. Conquistata dagli Aragonesi nel 1096, al comando di Pietro I, divenne residenza reale. Fu sede universitaria dal 1345 al 1845. Vi ammiriamo la chiesa di San Miguel, romanico-gotica, edificata fra il 1150 e il 1160, la cattedrale gotica, dedicata alla Trasfigurazione del Signore, dei secoli XIII-XVI. Una chiesa barocca, dell’inizio del XVII secolo, è dedicata a san Lorenzo. 214

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14. Particolare del portale della cattedrale di Santa María di Huesca. Al centro, l’immagine della Madonna con il Bambino.

AGÜERO La chiesa di Santiago ad Agüero, meraviglia del romanico aragonese, si trova poco prima del paese, su di un’altura. Incompiuta, per motivi a noi ignoti, si presenta quasi come una fortezza: nella lunetta dell’imponente portale strombato, una splendida Adorazione dei Magi presenta questo tema caro al mondo dei pellegrini. Si ritiene oggi che sia stata edificata come monumento alla memoria del re Pietro I (1094-1104), fatto erigere dalla sua vedova, la regina Berta. Probabilmente è suo il suggestivo ritratto che si vede nell’abside centrale, nel primo capitello a nord. BOLEA Notevole è la collegiata di Santa María la Mayor, chiesa gotica del XVI secoIL CAMMINO CATALANO

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17. La chiesa romanica incompiuta di Santiago ad Agüero, XII secolo. 18-19. Capitelli romanici del portale della chiesa di Santiago ad Agüero, XII secolo.

lo, edificata sopra i resti di un precedente edificio romanico. La chiesa si trova nei terreni dell’antico castello, opera difensiva di al-Andalus, cui più volte i cristiani cercarono di sottrarre la città. Fu edificata tra il 1541 e il 1559, su progetto di Pedro de Irazábal: presenta pianta quadrata e tre navate di uguale altezza. All’interno si trovano splendidi retablo realizzati nella seconda metà del XVI secolo, dedicati alla Vergine, a san Sebastiano e a san Giacomo. LOARRE È detta in aragonese Lobarre. Segnaliamo il suo castello, poderoso edificio innalzato nell’XI secolo su di una precedente fortificazione romana, splendido esempio di architettura militare, e la chiesa parrocchiale in stile gotico. Si trova la citazione della cittadina nel 1099, quando re Pietro I di Aragona donò la chiesa di Luar al monastero di Montearagón. 216

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15. Particolare del retablo dell’altare maggiore della cattedrale di Huesca: Salita al Calvario, Crocifissione e Deposizione dalla croce.

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16. Conchiglia bronzea sulle strade di Huesca che indica il cammino al pellegrino.

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20. Collegiata di Santa María la Mayor (secoli XII-XVI), Bolea. 21. Arco nel borgo di Bolea, testimonianza della presenza araba. 22. Timpano dell’ingresso principale della collegiata di Bolea. 23. Architrave decorato della porta della collegiata.

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SARAGOZZA È la sede del santuario mariano che fa risalire la sua origine alla più antica apparizione della Vergine, che ebbe luogo quando Ella era ancora in vita. Saragozza, capitale della provincia spagnola di Aragona, fu a suo tempo capitale del regno di Aragona, uno dei protagonisti della Reconquista cristiana. È l’antica Cesaraugusta, da cui deriva il nome attuale, e sorge sulle rive dell’Ebro, giusto sulla strada che si potrebbe pensare di percorrere volendo dalla Spagna andare verso est, per giungere poi in Terra Santa. Si fa qui memoria dell’apparizione della Vergine Maria all’apostolo Giacomo, evangelizzatore della Spagna. Questi, che aveva raccolto ben pochi discepoli nella sua azione nel Nord-Ovest spagnolo, e, deluso per la scarsa efficacia della sua predicazione, si era messo in cammino per tornare a Gerusalemme, dove era comunque previsto che in seguito si riunissero gli aposto220

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24. Il castello di Loarre, edificato nell’XI secolo a difesa del territorio e del Cammino. 25. La statua della Madonna con il Bambino, situata nella chiesa gotica all’interno del castello di Loarre. 26. Parte delle mura e territorio intorno al castello di Loarre.

li, per relazionare dell’annuncio portato in tutto il mondo allora conosciuto. Giunto a Saragozza, san Giacomo vi rimase parecchi giorni. Un testo del XIII secolo, custodito nella cattedrale1, narra che egli aveva con sé otto discepoli, con i quali di giorno parlava del regno di Dio e di notte si riposava sulle rive dell’Ebro. La notte del 2 gennaio dell’anno 40, annunciata da cori angelici che cantavano «Ave Maria, gratia plena», la Vergine, che in quel tempo si trovava a Gerusalemme, si presentò a san Giacomo, in piedi sopra una colonna romana spezzata: si trattò quindi propriamente non di una apparizione, ma di una «venuta» della Vergine, trasportata dagli angeli. Ella disse a san Giacomo: «È qui, figlio mio san Giacomo, il luogo destinato e deputato perché io vi sia onorata. Guarda questa colonna (pilar) sulla quale siedo. Sappi, figlio mio, che il tuo maestro l’ha inviata dall’alto per mano degli angeli. Intorno a questo luogo porrai l’altare della cappella. In questo IL CAMMINO CATALANO

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luogo la potenza dell’Altissimo compirà prodigi e miracoli per mia intercessione e riverenza a favore di coloro che implorano il mio aiuto nelle loro necessità. E il Pilar resterà qui fino alla fine del mondo e mai mancheranno in questa città gli adoratori di Cristo». Le schiere angeliche poi riportarono la Vergine a Gerusalemme, e fu lasciata, a testimoniare l’evento e la promessa di grazie, la colonna. Subito san Giacomo, con i suoi discepoli, iniziò la costruzione di una cappella per proteggere la colonna e affidò a uno di loro, consacrato sacerdote, il compito di averne cura. La colonna, concreta testimonianza del prodigio col quale la Vergine ribadiva che il compito di evangelizzare la Spagna era affidato a san Giacomo, ha anche un forte valore simbolico, perché ricorda Cristo, colonna che sostiene la Chiesa, e insieme la fiducia nella protezione della Vergine. La colonna garantisce la stabilità dell’edificio, è simbolo dell’albero della vita che unisce terra e cielo, che garantisce il collegamento fra i differenti livelli di esistenza. Nella Bibbia (Esodo 13,21-22), una colonna di fuoco e una di nubi accompagnano e guidano nel deserto il popolo eletto, proteggendolo dai nemici. Secondo la tradizione, questa colonna non fu mai spostata: la cattedrale sorge infatti sulle rive dell’Ebro e risulta costruita intorno a una cappella che custodisce al suo interno una piccola statua della Madonna col Bambino. Gli Arabi, conquistando l’Aragona nel 714, risparmiarono la chiesa della Vergine e quando nel 1118 la città fu liberata dal re Alfonso I di Aragona, si edificò una chiesa romanica: questa fu distrutta da un incendio nel 1434, e con essa fu persa anche la prima immagine della Vergine. Il nuovo edificio, gotico, fu completato nel 1515 e dedicato all’Assunzione. Nel 1640 la cattedrale fu teatro anche di un eccezionale miracolo, quello dello zoppo di Calanda2, considerato un’anticipazione della resurrezione della carne. Miguel Juan Pellicer, secondo di otto fratelli, di famiglia umile, era molto devoto alla Vergine del Pilar. Alla fine del 1637, quando aveva diciannove anni, cadde dal carro che stava conducendo e ne fu travolto: una ruota gli spezzò la tibia. Fu portato prima a Valencia poi a Saragozza, ma la cancrena lo divorava e si dovette amputargli la gamba tagliandola poco sotto al ginocchio e cauterizzando poi la ferita: l’arto amputato fu sotterrato da un praticante dell’ospedale, e gli fu messa una protesi di legno. Il giovane, non potendo lavorare, ottenne licenza di elemosinare davanti alla cattedrale, dove era lieto di poter ascoltare la messa ogni giorno nella cappella della Vergine. Nella primavera del 1640 decise di tornare a Calanda, dove giunse il 15 marzo. Nella notte del 29 marzo, verso le undici, addormentatosi, sognò di ungersi il moncherino con l’olio della lampada della Vergine, come aveva fatto quando era a Saragozza: destatosi poco dopo, si ritrovò la sua stessa gamba ricresciutagli, completa di due vecchie cicatrici che aveva dall’infanzia. Il prodigio, di cui si accorse per prima la madre, che lo svegliò con le sue grida avendo visto che aveva tutte e due le gambe, fu testimoniato da tutti: ven222

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27. Stampa seicentesca che illustra la storia di Miguel Juan Pellicer e del miracolo di Calanda.

28. Veduta della basilica di Nuestra Señora del Pilar, Saragozza.

ne un notaio, Miguel Andreu, che registrò il fatto il 2 aprile, e il suo documento si trova nel municipio di Saragozza. L’arcivescovo, Pedro Apaolaza, che iniziò il processo canonico e fu presente alle deposizioni di tutti i testimoni, a tre mesi dal miracolo, affermò solennemente che «gli era stata reintegrata miracolosamente la gamba destra che prima gli era stata amputata». Il prodigio ravvivò la devozione alla Vergine, e nel 1681 si iniziò il nuovo edificio che incluse la cappella. La cattedrale ha grandissime dimensioni, caratterizzate dalle quattro torri angolari, da dieci cupole più una grande cupola centrale. La cappella fu rifatta fra il 1725 e il 1765: barocca, di forma ellittica, custodisce il Pilar e si notano all’interno i gruppi marmorei di san Giacomo con i suoi discepoli e della Venuta della Vergine portata dagli angeli. Il santuario di Saragozza unisce due tratti fondamentali di ogni Cammino: la devozione a san Giacomo, di cui qui si ribadisce la vocazione alla Spagna, e la devozione alla Madre di Dio. IL CAMMINO CATALANO

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29. Prima raffigurazione, del 1654, del miracolo di Calanda ad opera di un pittore anonimo. 30. Raffigurazione della venerata Vergine del Pilar del 1628.

32. Fontanella con l’immagine del santuario della Vergine del Pilar, simbolo di Saragozza. 33. La strada continua nella direzione indicata dalla freccia gialla.

31. Raffigurazione di Miguel Juan Pellicer nel santuario. 34. San Giacomo in veste di pellegrino assiste all’Assunzione di Maria, particolare del retablo di di Damián Forment, XVI secolo, dell’altare maggiore della basilica di Nuestra Señora del Pilar, Saragozza.

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1. Scuola di Hieronymus Bosch, San Giacomo trionfa sul mago Ermogene, XV secolo. Musée des Beaux-Arts, Valenciennes. Sullo sfondo, san Giacomo avanza guidato da un angelo. L’iconografia fa riferimento alla Passio magna, il racconto del martirio di san Giacomo elaborato nel V secolo in Palestina.

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2. Hans Burgkmair, Navicula penitentie, Augusta, 1511: l’incisione raffigura un viaggio per mare di pellegrini.

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CARTOGRAFIA: I CAMMINI EUROPEI

3. Il porto di La Coruña, l’approdo più vicino alla meta del pellegrinaggio compostelano.

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Galway Varde Helsingborg Horsens Roskilde Landskrona Soro Lurid Ribe Slagelse Odense

Dublino Dingle Waterford Kinsale

Wexford

Kingston-Upon-Hull

Pembroke

Flensburg Schleswig

King’s Lynn Great Yarmouth Groninga

Bristol Brema Haarlem Alkmaar Ipswich Saltash Bergen op Zoom Harlyn Bay Plymouth Londra Utrecht St. Ives Paignton Southhampton Canterbury Münster Bielefeld Middelburg Nimega Penzance Dover Dortmund Brugge Porthmouth Minden Dartmouth Antwerpen Dunkerque Essen Paderborn Forwey Weymouth Gent Venio St. Michaels Mount Boulogne Leuven St. Austell St. Omer Lille Colonia Marburg Bruxelles Douai Valenciennes Arras Bonn Dieppe Maastricht Aachen Cambrai Morlaix Liegi Fecamp Tréguier Amiens St. Quentin Namur Landerneau Mont Caen Rouen Coblenza Saint-Michel Compiegne Laon St. Brieuc Francoforte Echternach Argentan Quimper Dinan Reims Senlis Mainz Trier Josselin Rennes Soissons Verdun Brech Lussemburgo Worms Chartres Parigi Vannes Châlon Redon Le Mans Spira Châteaudun s. Marne Metz Nantes Angers Toul Nancy Orléans Tours Bourgneuf Troyes Strasburgo Stoccarda Saumur Auxerre Challans Avallon Chinon Thouars Tubinga Vézelay Langres Les Sables d’Olonne Parthenay Châtellerault Freiburg Châteauroux Bourges Saulieu Colmar Niort Melle Poitiers Lindau Digione Nevers La Rochelle Argenton La Chatre Besançon Autun Costanza Basilea St.Jean d’Angely Chalon s. Saône Saintes Berna Cognac Limoges Friburgo St. Austell Einsiedeln Soulac Cluny Tournus C. Prior Angouléme St. Léonard Losanna Liechtenstein Le Chaise-Dieu Coira La Coruña St. Emilion Périgueux de Noblat SANTIAGO DE Carrión de los Condes Ginevra Bordeaux Clermont Lione Tulle COMPOSTELA Lugo Oviedo Souillac Rocamadur Vienne Chambéry Padrón La Réole San Sebastián Sarria Arzúa Aurillac Pontevedra Cahors Brioude Santander Orense Cebrero Valence Agen Vercelli Milano Valença Conques Cacabelos Monginevro Le Puy Caminha Moissac León Briviesca Bilbao Susa Dax Ponferrada Belorado Piacenza Briançon Torino Tolosa Figeac Montélimar Astorga Ostabat Braga Chaves Logroño Tolosa Sahagún Pont-St. Esprit Alessandria Fidenza Oloron Vitoria Genova Bragança Frómista Porto Roncisvalle St. Gaudens Vila Real Estella Pamplona Castrojeriz Montpellier Avignone Carcassonne Lamego Arles Aix en Palencia Burgos Jaca Beziers Zamora Agueda Calahorra Sangüesa Ventimiglia Viella Provence Valladolid Viseu Narbonne Foix Lucca Guarda Huesca Coimbra Pisa Salamanca Tarazona Elne Perpignano Marsiglia Soria Frejus Covilhã Puente Seo de Leiria Nájera la Reina Urgel Ripoll Castelo Branco Caldas de Rainha Santo Domingo Nisa Lérida Saragozza Gerona de la Calzada Sintra Madrid Santarém Poblet Lisbona Tarragona Setúbal Barcellona Estremoz Toledo Mérida Évora Ferreira do Alentejo Beja Almodovar Valencia Alghero Loulé Lagos Siviglia Faro Tavira

Lubecca Amburgo

Stralsund Rostock

Danzica

Stettino Hannover Braunschweig Goslar Berlino Magdeburgo Halberstadt Gottinga

Torun

Poznan

Weimar Lipsia Wurzen Bautzen Görlitz Erfürt Luban Naumburg Dresda Eisenach Freiberg Fulda Würzburg Hof Kulmbach Bamberga Praga Norimberga Pilzen Rothenburg Cham Ratisbona Passau Augsburg Ulm Monaco

Wroclaw (Breslavia)

Cracovia

Brno

Eichstätt

Linz Vienna

Benediktbeuren Salisburgo Innsbruck Brennero

Bressanone Villach Klagenfurt Bolzano

Budapest Graz

Lubiana Trieste

Verona Mantova

Venezia

Zagabria

Modena Bologna Forlì Pistoia Firenze

Belgrado

Siena Assisi

Loreto

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Napoli

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Challans Les Sables d’Olonne

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La Rochelle

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S

0

50

100 km

Tarragona

altre chiese Tappe principali Frontiere attuali

4. Portale occidentale della chiesa abbaziale di Vézelay, importante centro di ritrovo dei pellegrini diretti a Santiago de Compostela. Nella lunetta si trova una insolita rappresentazione della Pentecoste: dalle mani di Cristo partono dodici raggi che raggiungono gli apostoli, che in tal modo vengono inviati tra i popoli della terra, rappresentati nell’architrave e sull’archivolto. La potenza di Cristo è espressa in modo unico con il capo che sfonda il semicerchio della lunetta e costituisce la chiave di volta dell’arco e dell’universo.

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CARTOGRAFIA: I CAMMINI EUROPEI

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NOTE SAN GIACOMO Così è scritto nel più famoso inno in onore del santo, che viene indicato con le parole dei primi due versi: «Caput refulgens aureum Ispanie / Tutorque nobis et patronus vernulus». 2 Il Martyrologium Romanum, libro liturgico in cui vengono riportate secondo il calendario dell’anno le feste dei santi, nasce dall’uso di fare memoria dei martiri e poi di confessori e santi di ogni genere nel giorno del loro dies natalis, giorno della nascita al cielo, cioè della morte terrena. Tale uso è documentato in diversi testi antichi, fra i quali si ricorda come il più antico il Cronografo filocaliano, del 354, così detto dal nome del redattore, Fulvio Dionisio Filocalo. I primi cronografi erano semplici elenchi. Beda il Venerabile (672-735) per primo aggiunse una breve nota sulla persona. Il Martyrologium ufficiale ha avuto diverse redazioni. 3 «Festum sancti Iacobi, Apostoli, qui, filius Zebedaei et beati Ioannis evengelistae frater, cum Petro et Ioanne transfigurationis Domini eiusque agoniae testis fuit. Prope autem festum Paschae ab Herode Agrippa decollatus, primus ex Apostolis coronam martyrii percepit». 4 «Eius sacre ossa, ab Jerosolimis ad Hispanias hoc die traslata, et in ultimis earum finibus apud Gallaeciam recondita, celeberrima illarum gentium veneratione, et frequenti Christianorum concursu, religioni et voti causa illuc adeuntium, pie coluntur»; nel testo di Usuardo si legge: «Huius sacratissima ossa ab Ierosolimis ad Hispanias translata, et in ultimis earum finibus condita, celeberrima illarum gentium veneratione excoluntur». 5 Cfr. R. Plötz, Traditiones Hispanicae Beati Jacobi, in Santiago de Compostela, 1000 ans de pélerinage Européen, Centrum voor Kunst en Cultur dell’Abbaye Saint-Pierre, Gand 1985, pp. 27-39. 6 Questo nome, che deriva da shalom, pace, è in ebraico sia maschile sia femminile. 7 Per il forte valore simbolico del numero degli apostoli, era necessario che essi tornassero a essere dodici. Il dodici è numero che indica la totalità: dodici le tribù d’Israele, e di conseguenza le pietre del pettorale del sommo sacerdote, e dodici i segni dello zodiaco. 8 Detto anche mare di Tiberiade e mare di Galilea. È un grande e pescoso lago di acqua dolce. 9 Benedetto XVI, udienza generale del 21 giugno 2006. 10 È il nipote di Erode il Grande. 11 Clemente Alessandrino, Hypotyposeis (Disposizioni), VII; Clemente (150-215 ca.) fu teologo, filosofo, apologeta. 12 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, II,9, in PG, XX, col. 157. Eusebio, vescovo di Cesarea (265340), scrisse una Storia della Chiesa che presenta la vita e le vicende della Chiesa dei primi secoli. 13 In R.A. Lipsius, Die apokryphen Apostelgeschichten und Apostellgenden, Braunschweig 1884, II-2, pp. 208-12. La Passio Sancti Jacobi è stata pubblicata anche da A. López Ferreiro nella sua Historia de la Santa A. M. Iglesia de Santiago de Compostela, I-XI, Santiago de Compostela 1898-1911, I, pp. 392-405. 1

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NOTE

14 Questa tradizione è riportata da un documento del XIII-XIV secolo custodito nell’archivio della basilica della Vergine del Pilar a Saragozza. Ciò farebbe di questa basilica il più antico edificio di culto dedicato alla Madonna, che risalirebbe così al tempo in cui la Vergine era ancora in vita. Tale primato è conteso a Saragozza da Roma per la basilica romana di Santa Maria Maggiore, detta in antico anche Sancta Maria ad nives: la tradizione vuole che una nevicata sul colle Esquilino tra il 3 e il 4 agosto del 356 indicasse a papa Liberio (352-366) il perimetro della chiesa stessa, richiestagli in sogno dalla Vergine. L’edificio attuale fu fatto edificare da papa Sisto III (432-444), dopo il Concilio di Efeso che nel 431 attribuì definitivamente a Maria il titolo di Theotókos, Generatrice di Dio. 15 Breviarium Apostolorum, ed. R. Helm, 179; cfr. anche Acta apostolorum apocrifa, II, 2, Braunschweig 1884, p. 214. 16 «Giacomo» deriva da «Giacobbe», il figlio secondogenito di Isacco, che soppiantò il fratello Esaù nella primogenitura. Cfr. Genesi 25,25-40. 17 «Iacobus, qui interpretatur subplantator, filius Zebedei, frater Iohannis; hic Hispaniae et Occidentalia loca praedicat et sub Herode gladio caesus occubit sepultusque est in Achaia Marmarica octavo Kalendas augustas». 18 De ortu et obitu Patrum, 71, PL, LXXXIII, col. 151. 19 Isidoro di Siviglia (Cartagena, 560 ca.-Siviglia, 4 aprile 636), arcivescovo di Siviglia, santo e dottore della Chiesa. Successe al fratello Leandro sulla cattedra episcopale di Siviglia. Gli si deve la conversione dei Visigoti dall’arianesimo al credo romano; promosse la scienza e le arti e fu autore di numerose opere. 20 Si attribuisce qui, erroneamente, a Giacomo il Maggiore la lettera che fu invece scritta da Giacomo il Minore, figlio di Alfeo. 21 «Iacobus, filius Zebedei, frater Iohannis, quartus in ordine; duodecim tribubus, quae sunt in dispersione gentium, scripsit atque Spaniae et occidentalium locorum evangelium predicavit et in occasu mundi lucem predicationis infudit. Hic ab Herode tetrarcha gladio caesus occubuit; sepultus in ac[h]a Marmarica»; cfr. De ortu et obitu Patrum, 70, ed. C. Chaparro Gómez, Paris 1985, pp. 202-205. 22 Aldelmo di Malmesbury (640-709). Fondatore del monastero che da lui prende il nome. 23 «Primitus hispanas convertit dogmate gentes»; cfr. PL, LXXXIV, col. 229, cit. in L. Duchesne, Les Anciens recueils de légendes apostoliques, Bruxelles 1894. 24 Questo testo fu importantissimo. Beato, monaco a Liébana, dove morì nel 798, nelle Asturie, redasse un Commento all’Apocalisse che, ripetuto in molte copie, fu diffuso assai largamente. Egli accolse la tesi della divisio apostolorum, che venne così universalmente conosciuta e ritrasmessa. Si contano una trentina di codici di questo testo, scritti e miniati mirabilmente in diversi luoghi, che tutti prendono, dal nome dell’autore del primo, il nome di Codici beatini o semplicemente di Beatus più l’indicazione del luogo, e contengono l’Apocalisse e il relativo commento.

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Cfr. J. Pérez de Urbel, in «Hispania Sacra» 4, 1952, 4-19: «Regens Iohannes dextera solus Asiam eiusque frater potitus Spaniam». Riguardo alla predicazione di Giacomo in Spagna non tutti furono concordi, e lo stesso Cesare Baronio (15381607, cardinale e storico; a lui dobbiamo la redazione dei primi volumi degli Annales Ecclesiastici, dalle origini al 1198, e la revisione del Martyrologium Romanum) prima la accettò (1586-88), poi la negò (1600), poi ancora, nell’edizione clementina del Breviarium Romanum (1602), da lui diretta, l’accettò come tradizione «particolare della Spagna». In seguito papa Urbano VIII (1631) volle soppressa tale limitazione – forse per pressioni spagnole. Cfr. Z. García Villada, Historia eclesiástica de España, 1,1,30-41. 26 Regione all’interno dell’attuale Turchia, compresa fra la Cappadocia a est, la Galazia a nord, la Frigia a ovest e la catena del Tauro a sud. 27 Il Ponto era la regione che si estendeva nella zona nordorientale dell’Asia Minore. 28 La tradizione, che come vediamo è antica, non è peraltro unanime, anche perché nelle varie redazioni nel tempo i nomi dei Paesi sono cambiati. Così in genere si voleva: Pietro l’Italia; Giovanni l’Asia; Andrea l’Acaia, che era la Grecia sopra il Peloponneso; Bartolomeo la Cilicia, che oggi è una parte della Turchia; Giacomo il Maggiore la Spagna; Giacomo il Minore la Giudea; Mattia la Palestina; Matteo l’Etiopia; Simone la Persia; Taddeo la Mesopotamia; Tommaso l’India. Nelle rappresentazioni della divisio apostolorum (dispersione degli apostoli), il Paese prescelto era a volte indicato nel nimbo degli apostoli. L’immagine era collegata alla relativa festa, introdotta nella liturgia nell’XI secolo, e fissata al 15 luglio. Questo tema iconografico, divenuto frequente alla fine del XV secolo in Germania e nei Paesi Bassi, scomparve poi dopo il XVII secolo. 29 Alcuni esempi. A Bologna, sant’Ambrogio nel 394 fu presente al ritrovamento dei corpi dei protomartiri bolognesi Vitale e Agricola, ricercati contro la decadenza della comunità la cui fede si intiepidiva, e nella stessa città nel 1181, per reagire alla disperazione causata da un incendio che aveva portato distruzione, si cercò è trovò il corpo dell’amato vescovo Petronio. A Venezia, dove il corpo di san Marco, dalla primitiva sepoltura non lontano da Alessandria, era giunto per il «furto pio» di Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, le reliquie del santo, evangelizzatore della regione poi vescovo di Alessandria dove fu martirizzato, entrarono il 31 gennaio dell’828, e un anno dopo fu eretta la basilica. Si perse però la conoscenza dell’ubicazione delle reliquie, fino a quando, nel 1094, furono ritrovate dopo un digiuno cittadino di tre giorni e una grande processione: il marmo di un pilastro si spezzò e venne alla luce la cassetta con le reliquie, che riempì di profumo tutta la basilica. Si erano perse le tracce della grotta di santa Rosalia a Palermo. Ad Assisi si era perso il sepolcro di san Francesco. A Bologna la cella di san Domenico era stata murata ed è stata ritrovata fortuitamente solo in tempi relativamente recenti. Ma a Bologna non

si è gridato al miracolo, e miracoli non ci sono stati. Convegni e relazioni, sì. Ma non sono miracoli, e il tutto è segno dei tempi. 30 F. Singul, Il Cammino di Santiago, Limena 2007. 31 Floro († 860 ca.), scrittore, all’inizio del IX secolo fu diacono a Lione, dove diresse a lungo la scuola della cattedrale. Molte sono le sue opere: interessano qui le sue integrazioni al martirologio di Beda il Venerabile. 32 «Huius beatissimi Apostoli sacra ossa, ad Hispanias translata, et in ultimis earum finibus, videl contra mare britannicum condita, celeberrima illarum gentium veneratione excolluntur»; cfr. J. Pérez de Urbel, Orígenes del culto de Santiago en España, in «Hispania Sacra», 5 (1952), pp. 1-31. 33 PL, CXXIII, col. 1,183. 34 R. Plötz, Traditiones Hispanicae Beati Jacobi, in Santiago de Compostela, 1000 ans de pélerinage Européen, cit. 35 O meglio: «Si lascia vedere», «appare»; cfr. Genesi 22. 36 Ricordiamo che con il termine Arabi (chiamati spesso anche Mori o Saraceni) si indica un popolo di etnia semita proveniente dalla penisola arabica. A questi e ad altri popoli limitrofi della medesima etnia diede unità e spinta espansionistica la religione dell’islam (termine arabo che significa abbandono in Dio, da salama, rassegnarsi). Musulmano è colui che professa la religione di Muhammad: dal persiano musulman. 37 Il regno delle Asturie fu fondato da Pelayo (699737). Egli vinse nel 722 i musulmani a Covadonga; gli successe il figlio, Fáfila, o Favila († 739), e poi Alfonso I, che si proclamò primo re delle Asturie e diede inizio alla Reconquista: il regno si espanse dalla Galizia fino ai Paesi Baschi (Bizkaia). Suo figlio, Fruela I il Crudele († 768), eletto re, fondò la città di Oviedo. Gli succedettero Aurelio († 774), Silo († 783), poi Mauregato, figlio illegittimo di Alfonso I delle Asturie, che spodestò il giovanissimo fratellastro Alfonso, il quale ottenne il trono solo dopo Bermudo I († 797) e prese il nome di Alfonso II il Casto († 842). In occasione della sconfitta degli Arabi a Lutos nell’808, fece forgiare la Croce degli Angeli o delle Asturie, sulla quale si legge: «Hoc signo tuetur pius» e «Hoc signo vincitur inimicus». Ad Alfonso II successe Ramiro I († 850), cui si attribuisce la battaglia di Clavijo; dopo di lui ci fu Ordoño I († 866), che ripopolò Astorga, León, Tuy e Amaya, strinse relazioni col regno di Navarra, fece alleanze con la famiglia di convertiti musulmani dei Banu Qasi di Saragozza. Venne poi Alfonso III Magno († 910), che nel 908 fece realizzare la Croce della Vittoria, simbolo da allora delle Asturie. Morì nel 910, e divise il regno tra i suoi tre figli: a García, il figlio maggiore, andò il León; a Ordoño, il secondogenito, andò la Galizia; a Fruela, terzogenito, le Asturie. Fruela II, nel 924, riunificò nuovamente i tre regni in un unico regno, e ne trasferì la capitale a León, dando vita al nuovo regno di León. 38 I Visigoti avevano costituito un ampio regno in Spagna, che nel V secolo si allargava dalla costa atlantica meridionale fino a Clermont-Ferrand, Bourges, Arles e Marsiglia. Furono costretti ad arretrare dagli Arabi dopo la loro invasione, attestandosi al centro e poi rifugiandosi a nord. 39 Mauregato era figlio illegittimo di Alfonso I e di una schiava araba. Appropriatosi del trono delle Asturie nel 783 (regnò fino al 788), soppiantò il giovane Alfonso, che recupererà il trono solo più

tardi. Secondo alcune fonti, che ne fanno un personaggio negativo, fu sostenuto nella conquista del trono dall’emiro di al-Andalus, ‘Abd al-Rahman I, e in cambio si impegnò a versare a Cordova un tributo di cento giovinette, poi ripetuto – a volte in denaro – fino alla battaglia di Clavijo dell’844. Mauregato morì nel 789. 40 «Qui (Theodomiro) inito triduano ieiuno, fidelium caetibus aggregati beati Iacobi sepulchrum marmoreis lapidibus contectum invenit», cit. in L. Vázquez de Parga, Las peregrinaciones a Santiago de Compostela, tomo I, Madrid 1948, ed. Facsímil Madrid, Asturias 1981, p. 27. 41 Cfr. F. López Alsina, Compostelle, ville de Saint Jacques, in Santiago de Compostela, 1000 ans de pélerinage Européen, cit., p. 55: «Il se peut que l’aspect intérieur de l’édifice serve comme une clef pour identifier la sépulture, que les vieux manuscrits situaient en Achaia Marmarica». Teodomiro inoltre, notiamo, poteva avere altri riferimenti, a noi non pervenuti a tutt’oggi. 42 Cfr. Ibid., pp. 53-60. Qui, oltre a diverse osservazioni interessanti, si espongono in breve le conclusioni, tenendo conto delle molte discussioni e posizioni intorno al tema, nonché dei risultati degli scavi in loco dei secoli XIX e XX. 43 Carlo Magno nacque nel 742 e morì nell’814: re dei Franchi e dei Longobardi e imperatore del Sacro Romano Impero. Delle tradizioni che lo legano al Cammino si dirà più avanti. 44 Così lo indica la Concordia, citata dalla Historia Compostellana, in L. Vázquez de Parga, Las peregrinaciones a Santiago de Compostela, tomo I, cit., pp. 27ss. 45 «Qui supra corpus Apostoli divina officia cantassent et missas assidue celebrassent». 46 La prima comunicazione fu data da M. Chamoso Lamas, Noticias de las excavaciones en la Catedral de Santiago, in «Compostellanum», 1 (1956), pp. 349-400, 803-856; 2 (1957), pp. 575-678. Per il resto della bibliografia sull’argomento rimando al contributo di F. López Alsina, La invención del sepulcro de Santiago y la difusión del culto jacobeo, in AA.VV., El camino de Santiago, Barcelona 1991. 47 Cfr. Il territorio sacro, users.unimi.it/medialin/ docs/Reconquista2.doc. 48 Al-Mansur, ibn Abi ‘Amir (940 ca.-1002), ministro musulmano, governatore del califfato di Cordova per la dinastia degli Omayyadi (981-1002). Ministro delle finanze sotto il califfo al-Hakam II (961-976), quando a questi succedette Hisham II (976-1009), un giovinetto di dodici anni, egli assunse di fatto i pieni poteri. Soprannominato «Vittorioso per Allah» (al-Mansur bi-Allah, Almanzor per i cristiani), riorganizzò l’esercito conducendo una serie di vittoriose campagne militari contro i regni cristiani della Spagna settentrionale, dove sconfisse Ramiro III di León, e in Marocco, per consolidare la dominazione musulmana nella penisola iberica. Mecenate della cultura e delle arti, ampliò la Grande Moschea di Cordova, sull’esempio di quanto realizzato dai califfi precedenti. IL CAMMINO VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA: SENSO E STORIA 1 Dalle origini dell’umanità è testimoniata l’esperienza di una realtà suprema e trascendente, definibile per negazione (ineffabile, infinita, ecc.) e per totalità (onnisciente, onnipotente): realtà misteriosa, non comprensibile e descrivibile, ma conoscibile e incontrabile perché volontariamente si manife-

sta, nel cosmo in genere e anche in rivelazioni personali. Tale realtà si indica col termine Sacro: da esso tutto dipende, ed esso solo realmente esiste e possiede la pienezza della vita, mentre l’uomo e tutto l’universo non la possiedono. Infatti, nella morte essi vengono meno e sembrano perdere il loro senso. Il Sacro, mentre si rivela come pienezza di vita e di potenza creatrice, mostra la natura fragile e impotente dell’uomo, la sua identità di creatura, la sua verità. Inoltre si presenta come meta ultima, bene raggiungibile, e in tal modo indica all’uomo la sua origine e il suo destino, dà un fine al suo agire, e lo chiama a partecipare della pienezza della sua vita. L’uomo che, con vari gradi di consapevolezza, sperimenta il desiderio del Sacro, cerca continuamente il contatto con ciò che lo manifesta o lo rende accessibile. Poiché dalle sue origini riconosce la presenza del Sacro e la sua dipendenza da esso, l’uomo è detto homo religiosus. Tra le manifestazioni del Sacro come potenza trascendente, troviamo: i monti, le acque e le sorgenti; la luce, il sole, i fulmini e i tuoni; la bellezza e, per contro, l’orrore di alcuni luoghi. Queste alcune delle manifestazioni tipiche del Sacro. E, soprattutto, il cielo. 2 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp. 42ss. 3 Sichem, dove Abramo fu chiamato a mettersi in cammino verso Canaan e ricevette la promessa della grande discendenza; Ebron, dove, presso le Querce di Mamre, Abramo eresse un altare e fu visitato dai tre angeli figura della Trinità, e gli fu promesso un erede; Bersabea, dove il Signore promise a Isacco una numerosa discendenza; Betel, dove Giacobbe, dopo aver sognato la scala percorsa da angeli, pronunciò le parole che caratterizzano ogni santuario: «Come è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio e questa è la porta del cielo». Infine, verso il VI secolo a.C., Gerusalemme divenne la meta principale, poiché Salomone vi edificò il Tempio. 4 Codice Callistino, libro I, cap. XVII. 5 Papa sant’Anacleto (o Cleto, 76-88) fece erigere sul luogo del martirio di san Pietro un’edicola cui affluivano pellegrini. 6 L’editto di Costantino del 313 cambiò radicalmente la posizione dei cristiani e rese libere le espressioni della loro fede, fra le quali risaltò importantissimo l’omaggio alle memorie di Cristo e dei santi. Costantino stesso fece poi edificare la prima basilica vaticana sulla sepoltura di Pietro, e sua madre Elena arricchì la città di insigni reliquie portate dal suo pellegrinaggio del 326 in Terra Santa. Poco dopo papa Damaso (366-384) iniziò la costruzione delle basiliche ipogee ad corpus («intorno al corpo»: così vengono detti gli edifici sacri costruiti sopra o intorno alla sepoltura di un santo). Tutti questi luoghi divennero santuari: luoghi, cioè, dove ci si recava in pellegrinaggio perché la presenza stessa delle reliquie era considerata una manifestazione divina, una ierofania che aveva eletto quel luogo a essere punto di riferimento e di salvezza per gli uomini. 7 Monaco e teologo, Valerio (630-695) fu abate del monastero del Bierzo. Il Bierzo, cioè Bergidum Flavium, è insediamento celtico che divenne poi Villafranca del Bierzo, importante tappa del Cammino. 8 Immagine di Gesù «non dipinta da mano d’uomo», portata poi a Costantinopoli, di cui si perdono le notizie dopo il sacco di Costantinopoli del 1204 ad opera dei crociati. Cfr. Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, I,XIII.

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9 San Giovanni si venera a Efeso, sant’Andrea a Patrasso e ad Amalfi, san Tommaso a Ortona in Abruzzo e a Chennai-Madras in India, i santi Filippo, Giacomo il Minore, Bartolomeo, Simone, Giuda Taddeo a Roma, san Matteo a Salerno, san Luca a Padova, san Marco a Venezia. Naturalmente di tutti costoro parti di reliquie sono state donate a diverse chiese. 10 La guerra contrappose i Bizantini ai Goti presenti in Italia. 11 Il percorso «michelita» attraversa l’Europa: i suoi luoghi principali sono Mont Saint Michel au péril de la mer e Le Puy-en-Velay in Francia, la Sacra di San Michele alla Chiusa e Monte Sant’Angelo sul Gargano in Italia. 12 Il corpo del santo fu «piamente» trafugato da Myra da marinai baresi nel 1087: a Bari il culto del santo, vero ponte tra Occidente e Oriente, era già molto forte. 13 L’inno O Dei Verbum fa parte dell’ufficio mozarabico per il santo. 14 O Dei Verbum, 46-50: «O vere digne sanctior apostole, / Caput refulgens aureum Ispanie / Tutorque nobis et patronus vernulus, / Vitando pestem esto salus caelitus, / Omnino pelle morbum, ulcus, facinus». 15 Codice Callistino, libro I, cap. V. 16 Secondo altre fonti nel 932: comunque nella seconda parte della prima metà del X secolo. Gotescalco scrisse un piccolo libro, poi accolto nel testo di sant’Ildefonso di Toledo De Virginitate beatae Mariae. Vedi L. Vázquez de Parga, Las peregrinaciones a Santiago de Compostela, tomo I, cit., p. 41. 17 Antonio de Yepes, Crónica general de la Orden de San Benito, VI, apend. 14, Irache 1609; Valladolid 1617, 6 voll.; cit. in L. Vázquez de Parga, Las peregrinaciones a Santiago de Compostela, tomo II, cit., p. 19. 18 L’esemplare più antico del Codice si trova custodito presso l’archivio della basilica compostelana. Il testo ha visto una prima edizione in latino nel 1944, curata da W.M. Whitehill, e una seconda curata da K. Herbers e M. Santos Noia, nel 1998: su quest’ultima è stata condotta da V. M. Berardi la prima traduzione italiana integrale, promossa dall’Università di Perugia e dal Centro Italiano di Studi Compostellani, edita nel 2008 per i tipi delle Edizioni Compostellane di Perugia. Il testo è stato tradotto in castigliano nel 1951 da A. Moralejo, C. Torres e J. Feo (pubblicato dalla Xunta de Galicia, in occasione dell’Anno Giubilare Compostelano 1999). 19 Un tempo attribuita ad ambito francese, oggi si tende a collocarla in ambito compostelano. Dubbia è addirittura la consistenza storica di Picaud: per le ultime valutazioni si veda V.M. Berardi, Introduzione alla traduzione italiana del 2008 del testo, corredata da chiare note. 20 L’influenza di Cluny sul Cammino non deriva solo dalla protezione di papa Callisto II, ma anche dal fatto che l’abbazia benedettina di Cluny, nella Saône-et-Loire, fondata nel 910 da Guglielmo I il Pio e da lui posta sotto la diretta autorità pontificia, con la sua riforma dei costumi e la sua grande autorità, divenne il cuore autorevole della vita monastica. I monasteri e le strutture di ospitalità e cura per i pellegrini del Cammino furono sotto la sua influenza e protezione. 21 Va detto che c’erano inganni e pericoli reciproci: falsi pellegrini, osti malvagi, briganti erano presenze comuni, e il Codice mette in guardia contro di loro.

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Il pellegrinaggio a san Martino (316-397, fu vescovo di Tours e dottore della Chiesa) si affermò poco dopo la sua morte, quando il successore gli fece dedicare una chiesa, poi una grande basilica, consacrata attorno al 470. La chiesa di Saint-Martial (san Marziale, vissuto probabilmente nel III secolo, evangelizzò il territorio di Limoges, in Aquitania) divenne meta di pellegrinaggi quando nel 994 si attribuì all’intercessione del santo la fine di un’epidemia di febbri. Nella chiesa di Sainte-Foy (Santa Fede) a Conques-en-Rouergue, sulla via fra Le Puy e Ostabat, si custodiva il corpo di una giovane martire di Agen (in Aquitania), ivi trasportato da un monaco che l’aveva rubato nel IX secolo, all’epoca delle invasioni normanne: il Libro dei miracoli di santa Fede ne aveva diffuso il culto in tutta Europa. La cattedrale di San Saturnino, o SaintSernin, primo vescovo di Tolosa, è dell’epoca di quella di Santiago de Compostela. 23 E anche sciavina, sclavina, stiavina. Dal latino medievale sclavina vestis, da sclavus (slavo, servo di origine slava). 24 Codice Callistino, libro I, cap. XVII: «Accipe hunc baculum, sustentacionem itineris ac laboris ad viam peregrinationis tuae ut devincere valeas omnes catervas inimici et pervenire saecurus ad limina sancti Iacobi et peracto cursu tuo ad nos revertaris cum gaudio, ipso annuente qui vivit et regnat Deus in omnia saecula saeculorum», «Accipe hanc peram habitum peregrinationis tuae ut bene castigatus et emendatus pervenire merearis ad limina sancti Iacobi, quo pergere cupis, et peracto itinere tuo ad nos incolumis con gaudio revertaris, ipso praestante qui vivit et regnat Deus in omnia saecula saeculorum»; molti anche oggi, partendo, ricevono le insegne in una suggestiva cerimonia in chiesa. 25 Il ritrovamento di questi oggetti ha dato preziose indicazioni sulle mete di pellegrinaggio, sui luoghi da cui si partiva e in cui si ritornava e sui percorsi dei pellegrini. 26 Le due chiavi rappresentano il potere di aprire e chiudere le porte del cielo. 27 Il velo della Veronica veniva regolarmente mostrato ai pellegrini. 28 Linneo poi ha chiamato Pecten jacobeus una conchiglia simile, con spigoli vivi ai bordi, che si trova solo nel Mediterraneo, e così entrambe senza distinzione sono diventate emblemi del pellegrinaggio. 29 O jacquets, o jacquots. 30 Si noti che due appellativi derivano dalla meta, jacobei e romei, e uno dall’insegna, palmiti. Jacobeo poi allude al santo, romeo al luogo. 31 Per amore della complessità dei simboli, ci piace qui ricordare che nel buddhismo la conchiglia è uno degli otto simboli di fortuna e augurio di un viaggio felice. 32 Una leggenda galiziana racconta che, quando i discepoli che portavano il corpo di san Giacomo giunsero nei pressi di Bouzas, in Galizia, sulla costa si teneva una festa di nozze, con esibizioni di abilità dei giovani. Alcuni bafordaban, cioè, facevano un gioco che consiste nello scagliare la lancia in aria e riprenderla al volo galoppando. Il cavallo dello sposo si lanciò in mare e si immerse tra lo spavento di tutti, che vedevano solo una estela de espumas fluttuare sul mare verso una lontana imbarcazione. Infine cavallo e cavaliere riemersero a lato di quella, coperti tutti di conchiglie. Il cavaliere si rese conto di esser stato sott’acqua senza danno e di stare sul mare come sulla terra. Si rivolse a

chi stava sulla barca, e quelli gli dissero: «Veramente Dio vuole elevarti a Gesù Cristo, per mezzo di questo suo servo che noi qui portiamo in questa barca, e ha desiderato mostrare col Suo potere a te e a tutti coloro che vivono ora, come a quelli che avranno a venire, e che in questo Suo servo vorranno amarlo e servirlo, che devono venire a cercarlo là dove sarà sepolto, e devono portare conchiglie come queste con le quali tu sei stato così ricoperto, come segno e suggello di privilegio». Poi il vento li fece approdare. Da allora i pellegrini a Compostela portano conchiglie. Un altro racconto leggendario ricorda che il diavolo, travestito da viandante, promise a un pellegrino assetato di indicargli una sorgente nascosta, se avesse rinnegato la sua fede: poiché quello non cedette, fu san Giacomo stesso a premiarlo portandolo alla fonte e offrendogli da bere in una conchiglia. 33 Cfr. V. ed E. Turner, Il pellegrinaggio, Argo, Lecce 1997, p. 160; L.M. Lombardi Satriani, M. Meligrana, Il ponte di san Giacomo. Ideologia della morte nella società contadina del Sud, Sellerio, Palermo 1996. 34 Codice Callistino, libro IV, cap. XXXII. 35 Codice Callistino, libro III, cap. III. 36 Ibidem. DAI PIRENEI A SANTIAGO: IL CAMMINO EUROPEO 1 Da non confondere con Eginardo (Eginhard o Einhart, 775 ca.-840), storico di corte di Carlo Magno, che appunto nella sua Vita Karoli dà notizia del fatto e permette di datarlo. Siniscalco (dal protogermanico sini-, radice che significa anziano, e skalk, servitore) era il soprintendente alla casa: il titolo, in epoca carolingia, indicava funzionari con importanti compiti amministrativi e militari: il titolo e il ruolo di Siniscalco di Francia (Sénéchal de France) nei secoli X-XII furono i più alti del regno. 2 Ne citiamo solo alcuni, oltre alla Vita Karoli Magni Imperatoris (Vita di Carlo Magno imperatore) di Eginardo: una Nota emilianensis, glossa a un manoscritto del 1070-1075 che nomina il luogo (Rozaballes) e nomina sei morti nella battaglia (Orlando, Oliviero, Turpino, Guglielmo d’Orange, Bertran e Uggieri il Danese); la Chanson de Roland, attribuita a Turoldo, della seconda metà dell’XI secolo; il poema Galien le restoré (XIII secolo); la Cronaca dello pseudo-Turpino (XII secolo); il Cantar de Roncesvalles (XIII secolo); La Spagna, XIV secolo, cantare italiano; La rotta di Roncisvalle, XIV secolo, ancora in italiano; Li fatti di Spagna, prosa in dialetto veneto; Morgante di Luigi Pulci, 1478-1483; l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, 1495; e l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, 1516-1532. 3 Il nome è riportato in molti modi: Durlindana, Durindana, Durindarda, Durendala o Durendal: è una delle spade famose, come è la Gioiosa di Carlo Magno, della cui stessa materia peraltro si vuole fosse fatta. Ci sono due versioni della leggenda: secondo una di esse, conteneva preziose reliquie e fu Carlo Magno a donarla a Orlando; secondo l’altra, sarebbe stata dono di Malagigi e un tempo sarebbe stata la spada dell’eroe troiano Ettore. Secondo il folclore, la spada esisterebbe ancora e sarebbe conservata a Rocamadour, in Francia. Il termine, d’etimologia sconosciuta, parrebbe derivare dal latino durus (duro). 4 San Saturnino di Tolosa († 257 ca.) è uno dei più venerati santi di Spagna. Missionario romano, pre-

dicò in Gallia, nella zona dei Pirenei, e in tutta la Spagna. Fu il primo vescovo di Tolosa, dove fu martirizzato. Essendosi rifiutato di sacrificare un toro, fu legato all’animale, che lo trascinò per le vie della città. Probabilmente per questo è divenuto patrono delle corride. 5 I Pirenei (Pirineos in castigliano, Pyrénées in francese, Pirenèus in occitano, Pirineus in catalano, Perinés in aragonese, Pirinioak in basco) sono catena montuosa assai antica, sorta nell’Eocene, che fa da confine tra Francia e Spagna. Le cime non sono molto alte: la più alta, il Pico d’Aneto, raggiunge i 3.404 metri, sul versante spagnolo. Il nome potrebbe derivare dal verbo greco peiro, che significa infilzare: le cime infilzano il cielo. Più suggestivo il mito che vuole Pirene, figlia di Bibrax, amata da Ercole e poi abbandonata: la fanciulla si uccise, e l’eroe accumulò sul suo corpo le pietre che ora sono i monti. Ma i Baschi vogliono che il nome sia di origine basca: Ilene (luna) os, cioè Monti della Luna. 6 P. Caucci von Saucken (a cura di), Guida del pellegrino di Santiago. Libro quinto del Codex Calixtinus, Jaca Book, Milano 1989, 5ª ed. 2010, p. 80. 7 Genesio, attore, ricevuto il battesimo durante un’azione teatrale che mirava a prendersi gioco dei cristiani, per l’azione dello Spirito Santo si convertì istantaneamente e si professò cristiano. Per questo motivo fu martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano (303-304). 8 Si chiama Tetramorfo l’insieme dei quattro simboli degli evangelisti, disposti intorno a Cristo. I Padri della Chiesa hanno messo in relazione queste figure con gli evangelisti: in quanto poi Cristo è soggetto dei Vangeli, il Tetramorfo può essere simbolo di Cristo stesso. L’inizio di ogni Vangelo può essere collegato a una di queste figure. Infatti Marco inizia con la predicazione di san Giovanni Battista, «voce di uno che grida nel deserto» come il leone; Luca inizia col sacrificio di Zaccaria, che da sacerdote ebreo sacrifica vitelli; Giovanni nel suo Vangelo ha come fissato gli occhi nella luce di Dio, e solo l’aquila si credeva potesse fissare il sole; Matteo poi inizia con la genealogia umana di Gesù, e il suo segno è il volto umano. Inoltre, sulle facciate delle cattedrali, intorno a Cristo nella mandorla della gloria e abbinato al rosone, il Tetramorfo è anche immagine della Chiesa, che porta il Vangelo ai confini della terra. La figura si rifà all’Apocalisse (2,4.7-9) e a Ezechiele (1,4ss.). Nel Tetramorfo sono presenti molti significati, tutti evocati in qualche misura dalle sue rappresentazioni: secondo Ireneo di Lione (II secolo) il leone rimanda all’energia e alla regalità di Cristo, il toro al suo sacrificio, il volto umano al suo manifestarsi nella natura umana, l’aquila al dono dello Spirito che scende sulla Chiesa. Inoltre Gesù è uomo alla nascita, toro nella morte sacrificale, leone nella resurrezione, aquila nell’ascesa al cielo. Come Cristo, il cristiano deve essere prima di tutto uomo, profondamente ragionevole; il leone dorme con gli occhi aperti, ed è simbolo della morte umana di Gesù, che risorgerà; Gesù si è fatto vittima per gli uomini e gli uomini devono ugualmente prendere la croce e seguirlo; il cristiano come l’aquila deve alzare lo sguardo al cielo. Come gli animali del Tetramorfo, sono inoltre quattro le virtù cardinali. 9 Si tratta del De rebus Hispaniae, o Historia gothica o Crónica del toledano, che narra la storia della Spagna fino al 1243. 10 Gonzalo de Berceo (1190 ca.-1264), nativo di

Berceo, fu notaio presso il monastero ed è il primo poeta castigliano conosciuto. 11 Le troviamo nel capitolo 5 del Vangelo di Matteo (5,3-12) e si riferiscono: ai poveri in spirito, perché avranno il regno dei cieli; ai miti, perché possiederanno la terra; a quelli che piangono, perché saranno consolati; a quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati; ai misericordiosi, perché avranno misericordia; ai puri di cuore, perché vedranno Dio; ai pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio; a quelli che soffrono per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 12 Per il significato, rimandiamo all’analoga porta a Villafranca del Bierzo. SANTIAGO DE COMPOSTELA É. Mâle, Le origini del gotico, Jaca Book, Milano 1986, p.11. 2 R. Oursel, Pellegrini del Medioevo, Jaca Book, Milano 20015, p.93. 1

IL CAMINO DE LA PLATA O CAMMINO MOZARABICO 1 Presso il río Tartessos (in greco Tartessos, in latino Tartessus), che i Romani chiamarono anche Betis (da Oleum flumen, cioè «fiume d’olio») e gli Arabi wadi al-Kabir (cioè «grande fiume», da cui appunto Guadalquivir), sorse in epoca preromana una prima civiltà iberica, erede della cultura megalitica del Sud-Est iberico. Si sviluppò fra le attuali province di Huelva, Siviglia e Cadice. I Tartessi svilupparono una loro lingua e scrittura, con influenze egizie e fenicie. In Spagna si hanno testimonianze di diversi popoli prima della dominazione romana. Ricordiamo i Celti, giunti a più ondate dall’Europa centrale prima del VI secolo a.C.: essi, unendosi con gli Iberi e altre popolazioni autoctone, diedero forma alla civiltà celtibera (V secolo ca.), cui si ascrivono i Vetoni e i Vaccei. 2 Giusta e Rufina sono patrone di Siviglia. Il loro culto è attestato dal VII secolo. Le due giovani vendevano oggetti di ceramica; in occasione delle feste di Adone, celebrate in luglio, Giusta e Rufina si rifiutarono di offrire vasi per i «giardini di Adone», i cui devoti distrussero allora la loro merce: in risposta, le giovani distrussero a loro volta un idolo. Furono allora incarcerate e torturate. Giusta morì in carcere, mentre Rufina fu decapitata. Sono rappresentate con oggetti di ceramica in mano o con gli strumenti del martirio o con un leone ai piedi; spesso si stagliano sullo sfondo della Giralda. Si ignora l’epoca esatta del loro martirio. 3 Il martirio di sant’Eulalia avvenne a Mérida, in Spagna, durante la persecuzione di Diocleziano, nell’inverno del 304. La tradizione le attribuisce dodici anni: nascosta dai parenti perché fosse al sicuro, Eulalia attraversò in inverno la campagna e si presentò al tribunale come cristiana, pronunciando una sola parola: «Credo». Crudelmente straziata, si narra che dalla sua gola salì al cielo una colomba, e fiori bianchi sbocciarono sulla sua sepoltura. È una delle sante più amate di Spagna. 4 Miguel de Unamuno y Jugo (1864-1936), poeta, filosofo, scrittore e politico spagnolo, morì a Salamanca. 5 Ma altre interpretazioni vogliono che il nome attuale derivi da quello dato dai Visigoti, Semure, o anche dalle voci arabe azemur, cioè «oliveto silvestre», o Semurah, «città dei turchesi». 6 Rodrigo Díaz conte di Bivar (o di Vivar; 10431099) è famoso col nome El Cid Campeador. Cid

deriva dall’arabo volgare sidi, «mio signore»; Campeador deriva dal latino Campi Doctor, che significa «campione», vincitore nel combattimento giudiziario o duello. Nobile castigliano, guerriero leggendario della Reconquista, è incarnazione dello spirito castigliano, e fu signore di Valencia dal 1093 fino alla morte. Cresciuto alla corte del re Ferdinando I di Castiglia insieme al figlio di questi, il futuro Sancho II di Castiglia, divenne cavaliere nel 1060, e fu nominato alfiere reale (portava lo stendardo del re in pubblico) quando Sancho salì al trono della Castiglia nel 1065; ebbe il titolo Campeador nel 1063, quando, per una questione di frontiere, vinse il duello con Jimeno Garcés, l’alfiere del re d’Aragona, Ramiro I, che aveva posto l’assedio a Graus, città dell’emiro di Saragozza, alleato del re Ferdinando I. Accompagnò il re Sancho II in tutte le sue guerre. Dopo la morte del re (assassinato nel 1072), per alcuni anni il Cid fu assai stimato alla corte di Alfonso VI, che gli concesse la mano della cugina, doña Jimena. Messo poi in cattiva luce agli occhi del re, fu esiliato nel 1081. Vi furono poi alterne e complesse vicende, fino a quando per opera sua gli Almoravidi di Andalusia subirono la prima grande sconfitta nel 1094. Divenne signore di Valencia, dove morì nel 1099 adorato dai suoi soldati e ammirato da tutta la Spagna, inclusi i nemici, che lo temevano ma lo rispettavano. Il Cid poté rientrare in patria, in Castiglia, solo dopo morto. La moglie Jimena nel 1102 abbandonò la città, ormai indifendibile, dopo che fu data alle fiamme. Il corpo del Cid venne posto nella chiesa di San Pedro de Cardeña a Burgos e dal 1921 riposa insieme ai resti di doña Jimena nella cattedrale di Burgos. IL CAMMINO DEL NORD O CANTABRICO Il mar Cantabrico dei Romani (I secolo a.C.) divenne golfo di Biscaglia per gli Spagnoli (Vizcaya in castigliano e Bizkaia in basco) e golfo di Guascogna per i Francesi. Oggi i puristi dei Paesi Baschi (Euskadi) vogliono che nella loro lingua si dica: Bizkaiko golkoa. 2 Confederazione di undici tribù celtiche che abitavano una piccola parte di questa costa settentrionale della Spagna, a est delle Asturie, e furono definitivamente sconfitte dai Romani ad opera del console Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, nella guerra detta appunto cantabrica, che iniziò nel 26 e terminò nel 19 a.C. 3 Ma c’è chi vuole che il toponimo precedesse l’apparizione, e ricorda che donga rimanda alla voce asturiana onna, che significa «acqua», di cui tutta la valle è ricca. 4 Anche il Crocifisso che si venera nella cattedrale di Lucca, sulla via Francigena, attribuito dalla tradizione a Nicodemo, risale ai secoli XI-XII. Nicodemo è l’uomo del sinedrio che chiese a Gesù come fosse possibile tornare bambini (Giovanni 3,1-21). 1

IL CAMMINO CATALANO Un sarcofago del IV secolo che si trova nella chiesa dedicata alla martire di Saragozza, santa Engrazia, mostra la scena della discesa della Vergine dal cielo e l’apparizione a san Giacomo. Engrazia patì il martirio durante la persecuzione di Diocleziano, insieme ad altri diciotto compagni noti come gli «innumerevoli martiri di Saragozza». 2 Calanda è un comune della comarca della Bassa Aragona, nella provincia di Teruel. 1

NOTE

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI Avvertenza: data la loro frequente ricorrenza, i lemmi Giacomo, Santiago de Compostela e Spagna sono stati volutamente omessi dall’indice perché ne avrebbero resa troppo pesante la consultazione.

Aurillac 130-131 Auseva, monte 199-200 Avilés 197 Aznar I Galíndez 75

‘Abd al-Rahman I 22, 233 ‘Abd al-Rahman II 104, 176 Abamia 200 Abramo 20, 34, 72, 233 Abruzzo 234 Acaia (Achaia Marmarica) 17, 19, 232-233 Adamo 32, 88, 143, 147, 154 Adone 20 Africa 24 Agen 81, 234 Agricola, santo 232 Agrippa, Marco Vipsanio 195, 235 Agüero 215; 217 Aigolando 120 Albani, Nicola 211 Albarregas, fiume 176 Alcántara, embalse de 179 Aldelmo di Malmesbury 17, 232 Alessandria d’Egitto 232 Alessandro III, papa 42, 160 Alessandro IV papa 183 Alessandro VI papa 131 Alfeo 12, 232 Alfonso I delle Asturie 200, 233 Alfonso I di Aragona (il Battagliero), 94, 100, 134, 222 Alfonso II il Casto 27, 138, 192, 198, 202, 233; 194, 202-203 Alfonso III il Grande 29, 121-120, 138, 200, 233 Alfonso V il Magnanimo 82, 121, 124 Alfonso VI di León 106, 112, 120, 130, 139, 204, 235 Alfonso VII 42, 104, 160 Alfonso VIII 114, 179 Alfonso IX di León 131, 146, 176, 179, 183 Alfonso X il Saggio 110, 174, 198, 200, 210 ‘Ali Ben Yussuf 9 Alija del Infantado 193; 192-193 Aljucén 177; 171 Alto del Perdón 74 Amalfi 234 Amaya 233 Ambrogio, santo 232 America Latina 60, 150 Amiens 74 Amilcare Barca 207 Anacleto, papa 233 Anastasio IV papa 42, 160 al-Andalus, al- 216, 233 Andalusia 171-172, 235 Andlau, Peter von 9 Andrea, apostolo 12, 14, 17, 102, 177, 232, 234 Andreade, Domingo Antonio de 147, 151 Andreu, Miguel 223 Angers 169 Anna, santa 10, 12, 114, 184 Annibale Barca 183, 207 Anselmo, conte 72 Antonio, santo 156, 174 Apaolaza, Pedro 223 Apollonia (Sozopolis) 120 Aquisgrana 45, 59; 46 Aquitania 234 Aragón, fiume 75, 81, 83, 92; 92 Aragona 71, 74-75, 80-83, 94, 207, 212, 216, 220 Arga, fiume 100; 100 Ariosto, Ludovico 234 Arlanzon, fiume 110 Arles 233 Arousa, ría de 161 Arzúa 199 Asia Minore 232 Asia 232 Asorey, Francisco 151 Aspe, valle dell’ 71; v. anche Le Somport Assisi 232; 139 Asterio di Oca 112 Astor, Diego 14 Astorga 105, 127-128, 161, 171, 190, 193, 233; 127, 129, 193 Astún, fiume 75 Asturie 22, 25, 27, 37, 104, 110, 121, 171, 190, 192, 195, 197199, 202, 232-233, 235 Atanasio, discepolo di san Giacomo 16, 147 Atanasio, monaco 20 Atarés, valle di 81 Atto, vescovo di Pistoia 20 Augusta 226 Augusto, imperatore 171, 176, 195, 235 Aurelio, re delle Asturie 233

Balaam, profeta 80 Balaguer 207 Balbo, Lucio Cornelio 177 Baldassarre 31 Baños de Montemayor 181; 181-182 Barakaldo 197 Barcellona 72, 207-209, 212; 31, 208 Barcial del Barco 190; 190-191 Bari 36, 146, 234; 41 Barjamayor 130 Baronio, Cesare 232 Barrío de Sar 151 Bartolomeo, apostolo 17, 101, 232, 234 Basilissa, santa 83, 86; 82 Bassa Aragona 235 Bataille, Nicolas 169 Bayonne 80 Beato di Liébana 17, 232; 9 Beatrice di Svevia 174 Beda il Venerabile, santo 232-233 Belesar, embalse de 134 Benavente 190, 192 Benedetto XVI, papa 232 Benedetto da Norcia, santo 88 Berardi, Vincenza Maria 234 Berceo 106, 235 Bermudo I 233 Bermudo II 139 Bernesga, fiume 121 Berruguete, Alonso Gonzáles de 188 Bersabea 233 Berta di Aragona 215 Bertran, paladino 234 Besòs, fiume 207 Bessan 34 Betel 233 Betica 172 Béziers 45 Bianca di Navarra, doña 105 Bibrax 235 Bidasoa, fiume 195 Bierzo 35, 129, 233; 131 Bilbao 196 Biscaglia, golfo di (Bizkaia o Vizcaya) 195-196 Boiardo, Matteo Maria 234 Bolea 215; 219 Bologna 60-61, 232-233 Bolsena 130 Bonaiuto, Andrea 55 Borce 75 Bordeaux 71 Bosch, Hieronymus 226 Bourges 233 Bouzas 234 Braga 161 Braulio 106 Brno 15 Bruxelles 32 Buglioni, Santi 56 Buono da Malamocco 232 Burgkmair, Hans 226 Burgo de Osma 9 Burgos 45, 71, 110-112, 114, 121, 160, 235; 111-112, 114

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Cabrera, Bernardo 146 Cáceres 171, 177, 179; 176-179 Cadice 235 Caen 119 Calahorra 104, 198 Calanda 222, 235; 222, 224 Callinico, santo 120 Callisto II, papa 42, 160, 234; 45 Calzada de Béjar 181 Canaan 34, 233 Candanchú, fiume 75 Canfranc 75; 77 Cangas de Onís 22, 199 Cantabria 197-198 Cáparra 174, 180; 180 Cappadocia 232 Caprasio, santo 81 Caravia 197 Carballo, Fidenciano 193 Cárdenas, fiume 106 Carlo di Viana 94 Carlo II di Spagna 88

Carlo III di Spagna 86 Carlo Magno 27, 37, 43, 45, 59, 71-72, 120, 233-234; 26, 42, 46 Carlo Martello 22 Carlo V d’Asburgo 104, 197; 111 Carrión de los Condes 117 Carrión, fiume 117, 120 Cartagena 232 Casa y Novoa, Fernando de 147, 151 Castiglia e León 105, 171 Castiglia 104-106, 110, 117, 121, 150, 183, 190, 195-197, 235; 107 Castro Urdiales 197; 199 Castrojeriz (Castrogeriz) 117-118 Catalogna 207-208, 210 Caterina d’Alessandria, santa 110, 181 Caucci von Saucken, Paolo 235 Cea, fiume 120 Cebrero 130, 152; 131-133 Celedonio, santo 198 Cepione, Quinto Servilio 171 Cervera 212 Cesario di Montserrat 39 Chamoso Lamas, Manuel 233 Chaparro Gómez, César 232 Chartres 36, 41 Chennai-Madras 234 Churriguera, Alberto de 114, 184 Churriguera, José de 184 Cicero 197 Cid Campeador (pseudonimo di Rodrigo Díaz de Vivar), 117, 188, 235 Cilicia 232 Cimanes de la Vega 192 Cinca, fiume 212 Cirauqui 102 Cirenaica 19 Città del Vaticano 28 Cize, passo di 71 Clavijo 28, 60, 104-105, 137, 233 Clemente V papa 129 Clemente Alessandrino 14, 232 Cleofa 12 Clermont-Ferrand 233 Cluny 94, 106, 129, 131, 234; 45 Cóbreces 197 Colombo, Cristoforo 116, 174, 208 Colonia 110, 112; 10 Conques 52, 71, 234; 49, 50 Cordigliera cantabrica 130, 195, 198 Cordova 22, 29, 75, 89, 104, 120-121, 176, 199, 233; 23 Cornovaglia 38 Cosroe II 204 Costantino, imperatore 233 Costantinopoli 120, 233 Covadonga 22, 199-200 Cresconio 29 Cristoforo, santo 110, 184; 209 Cuba 174 Damaso I, papa 233 Daniele, profeta 146; 145 Darmstadt 10 Davide, re 68 Decio, imperatore 120 Diego López V de Haro 196 Diguleville, Guillaume de 32 Diocleziano, imperatore 74, 198, 202, 235; 174 Domenico di Guzmán, santo 232 Domingo de la Calzada, santo 104, 110, 114; 108 Duchesne, Louis 232 Duero, fiume 183, 188 Ebro, fiume 75, 103-106, 220-222 Ebron 233 Edessa 35 Efeso 232, 234 Ega, fiume 102; 103 Egeria, v. Eteria Eginardo 72, 234 Egitto 17, 21, 34-35; 122 Einsiedeln 36; 41 El Cubo de la Tierra del Vino 188 Elena, Flavia Giulia 233 Eleonora d’Inghilterra 114 Eliade, Mircea 31, 233 Elisabetta, santa 10 Emeterio, santo 198 Emiliano, v. Millán, santo Emmaus 34; 33-34 Engrazia, santa 235 Enrique de Egas 150

Eraldo, santo 54 Ercole 172, 235 Ermengol VI di Urgel 212 Ermogene, mago 14; 226 Erode Agrippa 9, 14, 17 Erode il Grande 232; 122 Esaù 232 Esla, fiume 190 Estefanía, doña 100 Estella 45, 71, 101-102; 103 Estremadura 171, 174, 178; 192 Eteria (Egeria) 35; 35 Etiopia 232 Ettore 234 Eugenio III, papa 42, 160 Eugenio IV papa 101 Eulalia, santa 176-177, 235 Eulogio di Cordova, santo 89 Eunate (Muruzábal) 94, 103; 98-99 Europa 9, 17, 24, 35-36, 64, 80, 131, 172, 207, 210, 234; 60 Eurosia, v. Orosia, santa Eusebio di Cesarea, santo 14, 232-234 Eva 32, 88 Ezechiele, profeta 235; 145 Facondo, santo 120; 25 Fáfila (Favila) 233 Fagiani, isola dei 195 Fagildo, santo 28 Fede, santa 81, 234 Felice, santo 81-82; 84, 85 Feo, Julio 234 Ferdinando I di Castiglia 110, 121, 188, 235; 25 Ferdinando II di León 105, 128, 192; 16 Ferdinando II di Aragona 150, 207; 182 Ferdinando III di Castiglia (il Santo), 105, 112, 172, 174, 183 Ferdinando IV di Castiglia 196 Fernández Lechuga, Bartolomé 150 Ferrer II, Jaume 207 Filippo IV di Spagna 104 Filippo V di Spagna 212 Filippo, apostolo 17, 234; 78 Filocalo, Fulvio Dionisio 232 Finisterre 163; 9, 168-169 Finlandia 60 Fiorentino, Nicola 184 Firenze 55 Firmino di Amiens, santo 74 Floro di Lione 20, 233 Fonsagrada 199 Fontaneira 199 Forment, Damián 110; 225 Francesco d’Assisi, santo 151, 232; 139 Francia 9, 27, 37, 39, 52, 71-72, 81, 102, 121, 150, 195, 234; 38 Frassinelli, Roberto 200 Frigia 232 Frisia, mare di 72 Frómista 45, 71, 89, 116, 121, 124; 119 Fruela I il Crudele 233 Fruela II 233 Fruttuoso, santo 147 Gabriele, arcangelo 52 Galazia 232 Galindo Aznárez II 83 Galizia 9, 12, 15-20, 22, 34, 39, 43, 52, 58, 62, 64, 72, 131, 150151, 190, 195, 197, 233-234; 12, 43, 131 Gallia 17, 235 Gamonal 112 Garcés, Jimeno 235 García de Quiñones, Andrés 150 García I di León 233 García I di Navarra 105 García III Sánchez di Navarra (García di Nájera ) 100 García Villada, Zacarías 232 García, Jerónimo 184 Gargano 234 Gaudí, Antoni 127, 207; 129, 208 Gave d’Aspe, valle del 71, 74 Gebelda 101 Gelmírez, Diego 20, 29, 139, 147; 24 Genesio 235 Genèzaret, lago di 14, 62 Geremia, profeta 146; 145 Germania 112, 232; 46 Germano, santo 174 Gernika (Guernica) 196 Gerusalemme 9, 14-18, 34-35, 37, 58, 64, 74, 103, 135, 184, 204, 220-222, 233; 76 Gesù Cristo 9, 10, 12, 14, 18, 22, 34, 58, 60, 72, 102, 107, 110, 114, 143, 174, 184, 204, 233-235; 103 Getaria 196; 196 Ghiberti, Lorenzo 43 Giacobbe 233 Giacomo il Minore, apostolo 12, 232, 234; 62 Giairo 14 Gibilterra 16, 22 Gijón 197, 199 Gil da Siloe 114 Gioacchino, santo 12, 114, 184 Giovanni, apostolo ed evangelista 9, 10, 12, 14, 16, 17, 23, 82,

92, 110, 112, 147, 232, 234-235; 9, 10, 62, 91, 204 Giovanni Battista, santo 88, 124, 235 Giovanni d’Austria, don 22 Giovanni di Colonia 112 Giovanni Francesco da Rimini 28 Giovanni II 116 Giovanni III Sobieski 23 Giuda Iscariota, apostolo 12 Giuda Taddeo, apostolo 12, 232, 234 Giudea 232 Giuliano, santo 83, 86; 82 Giuseppe d’Arimatea 167 Giuseppe, padre di Gesù, santo 88; 86, 122 Giuseppe il Giusto 12 Giusta, santa 172, 235 Giustiniano, imperatore 20 Glastonbury 36; 41 Glera, v. Oja, fiume Gonzáles, Fernán 110 Gonzalo de Berceo 106, 235 Gotescalco 39, 71, 234; 116 Goya, Francisco 174 Gozo, monte 153 Gran Bretagna 36; v. anche Inghilterra Gran San Bernardo 74 Granada 22, 94 Graus 235 Grecia 17, 232 Guadalquivir, fiume 172, 235 Guadiana, fiume 174, 176 Guarino, Giovanni 210 Guascogna 45 Guernica, v. Gernika Guglielmo d’Orange, paladino 234 Guglielmo I il Pio 234 Guntín 199 Hakam II, al- 233 Haro 192, 196 Helm, Rud 232 Hendaye 195 Herbers, Klaus 234 Herlin, Friedrich 60 Hisham II 233 Hitda 10 Huelva 235 Huesca 82, 207, 212; 213, 215, 217 Hugonell 110 Idrisi, Abu Abd Allah Muhammad al-130 Igeldo, monte 196 Ildefonso di Toledo, santo 234 Ildefredo 28 Indalecio, santo 88 India 17, 232, 234 Indíbil 212 Inghilterra 9, 114; 41; v. anche Gran Bretagna Innocenzo III, papa 131 Innocenzo VIII, papa 150 Ireneo di Lione, santo 235 Irlanda 35 Irun (Irún) 195 Isabella del Portogallo 116 Isabella di Castiglia (la Cattolica), 116, 150, 207; 182 Isacco 232-233; 80 Isaia, profeta 146; 145 Isidoro di Siviglia, santo 17, 45, 124-125, 232 Islares 197; 198 Italia 9, 80, 232 Jaca 45, 71, 75 80-81, 89, 92, 116, 121, 124, 207; 77-80 Jaffa 16 Jesse 114, 143, 154 Jimena, doña 235 Jiménez de Rada, Rodrigo 104 Juan de Atarés 82 Juan de Badajoz 125 Juan de Beaumont 101 Juan de Ortega, santo 103, 105, 107 Juan de Vallejo 114 Karlsruhe 9, 32 Kells 37 Labacolla 135, 137, 152-153 La Coruña 227 Laredo 197 La Rioja 103, 105, 192, 198 Laturce, monte 105 Le Myesier, Thomas 32 Leandro di Siviglia, santo 22, 232 Leocadia, santa 202 Leodegarius 94 León, città 45, 71, 89, 92, 116, 121, 126, 233; 25, 56, 120, 122, 124-126 León, provincia 104, 110, 121; 192 Leone XIII, papa 20, 210 Lepanto 22 Le Puy-en-Velay 39, 71, 234 Lérida 207, 212; 207, 212 Le Somport, colle 71, 74, 80, 172; 76-77

Leucio, santo 120 Liberio, papa 232 Libredón, bosco di 26, 28 Licaonia 17 Limoges 52, 71, 234 Lione 20, 233 Lipsius, Richard Adelbert 232 Livorno 10 Lizarra 101-102 Llanes 197; 199 Llobregat, fiume 207, 209 Loarre 216; 221 Logroño 28, 103-105, 207; 105 Lombardi Satriani, Luigi Maria 234 Londra 12 López Alsina, Fernando 233 López Ferreiro, Antonio 232 Lorena 59 Lorenzo, santo 82, 102, 214 Loreto 57, 156 Los Arcos 94, 102 Lourdes 156 Louro 163; 164-167 Luarca 197 Luca, evangelista 14, 234-235 Lucca 135 Lucia, santa 110 Lugo 199 Luigi XI 150 Luis Osórez 105 Lullo, Raimondo 32 Lupa, regina 16 Lutos 233 Macedonia 17 Madrid 105, 107; 25 Maestro Bernardo 139 Maestro del Retablo di Rajhrad 15 Maestro di San Juan de la Peña 88, 94 Maestro Enrico 121 Maestro Esteban 125 Maestro Mateo 139, 146-147, 150-151, 155 Malagigi 234 Mâle, Émile 142, 235 Malmesbury 17, 232 Mandonio 212 Manresa 210 Manrique de Lara 121 Mansur, ibn Abi ‘Amir al- 29, 121, 139, 160, 207, 233; 24 Maometto (Muhammad) 22, 35 Marco, evangelista 18, 232, 234-235 Maria di Cleofa, santa 12 Maria di Salome, santa 10, 12 Maria Maddalena, santa 94, 146; 103 Maria, madre di Gesù, santa 12, 62, 72, 114, 174, 181, 184, 220, 232; 122, 225 Maria, sorella di Anna 10 Marocco 9, 233 Marsiglia 233 Martín de Balboa, Alonso 14 Martínez, Briz 83 Martínez, Ginés 146 Martino, santo 35, 146, 151, 184, 234; 36, 46 Marziale, santo 234 Massimino Daia, imperatore 81 Mathan 10 Matteo, apostolo ed evangelista 14, 17, 204, 232, 234-235; 179 Mattia, apostolo 12, 17, 232 Mauregato, re delle Asturie 22, 37, 233 Maurizio di Burgos 112 Máximo de Zaragoza 16 Mayor, doña 100, 116 Mecca 23 Medellín 177 Mediterraneo, mare 207, 234 Meligrana, Mariano 234 Memling, Hans 106 Menéndez Pidal, Luis 200 Mérida 171, 174, 176-177, 235; 174, 176 Mesopotamia 232 Metello Pio, Quinto Cecilio 177 Michele, arcangelo 36, 94, 126; 38, 52 Millán, santo 106, 107 Miño, fiume 134 Modica 58 Moissac 71 Monaco di Baviera 163 Mondoñedo 197 Monistrol 209 Monreal 45, 71 Mont Saint-Michel au péril de la mer 234; 38 Monte Sant’Angelo 234; 38 Montearagón 216 Montpellier 71 Montserrat, monte e santuario 39, 207-211; 209, 211 Monzón 212 Moralejo, Abelardo 234 Mosè, profeta 21, 146; 203 Mosoll 31 Muhammad, v. Maometto Munuza 199

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

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13_indice_nomi_luoghi.qxp:108-116_Cap3_Simb_Paleocri

Muros 163 Muruzábal, v. Eunate Musa ibn Nusayr 183 Muskiz 197; 196-197 Muxía 163 Myra 234 Nájera 45, 71, 100, 105, 107; 106 Najerilla, fiume 105 Napoleone Bonaparte 210 Naranco 200 Navarra 74, 83, 89, 92, 94, 101-102, 105, 195, 233 Nervión, ría del 196 New York 34 Nicodemo, santo 204, 235; 167 Nicola, santo 36; 41 Novalesa 54 Noya 163 Oca 111-112 Oja, fiume 103, 107 Oliviero, paladino 234 Órbigo, fiume 190 Ordesa, valle di 73 Ordoño I delle Asturie 105, 233 Ordoño II 131, 233 Ordoño III 29 Orlando, paladino 71-73, 234; 72 Orosia, santa 80 Ortona 234 Osmundo 128 Ostabat 71, 234 Oursel, Raymond 153, 235 Oviedo 121, 195, 199, 200, 202, 204, 233; 194-195, 200, 202-204 Padova 156, 174, 234 Padrón 16, 18, 25, 43, 161; 161 Paesi Baschi 233 Paesi Bassi 232 Palas de Rey (Palas de Rei) 45, 71, 199 Palermo 232 Palestina 35, 232; 226 Pamplona 71-74, 89, 92; 73, 74 Paolo, apostolo 34, 94, 131, 147; 45, 62, 179, 182, 184 Parigi 45; 46 Parma 71 Patrasso 234 Patrizio, santo 35; 37 Pedro de Irazábal 216 Peláez, Diego 28-29, 139 Pelayo, eremita 25-26, 137; 24 Pelayo, re 22, 199-200, 202, 233 Pellicciaio, Jacopo di Mino del 37 Pellicer, Miguel Juan 222; 222, 224 Peloponneso 232 Peña de Toro, José de la 147 Pérez de Urbel, Justo 232-233 Pérez, Pedro 184 Périgueux 71 Persia 232 Pertusa 212 Perugia 234; 118 Petronio, santo 232 Picaud, Aymeric 42, 71, 234 Pico d’Aneto 235 Pico de Aspe 74 Picos de Europa 198, 200 Piemonte 39 Pietro, apostolo 9-10, 12, 14, 17, 28, 34, 39, 57, 92, 94, 102, 131, 146-147, 232; 10, 45, 62, 91, 179, 182, 184 Pietro, monaco 20 Pietro di Mesonzo, santo 139 Pietro I di Aragona 74, 212, 214-216 Pietro I il Crudele 174 Pietro II di Aragona 74 Pietro il Pellegrino 134 Pio II, papa 131 Pirene 235 Pirenei 9, 22, 39, 71, 74-75, 81, 157, 235; 77 Pistoia 20, 39; 43, 56 Plasencia 179 Playa de la Concha 196 Plötz, Robert 20, 232-233 Poitiers 22, 71 Poitou 102 Pola de Siero 195 Polonia 22-23 Pompeo Magno, Gneo 73-74 Ponferrada 128-129; 129 Ponto 17, 232 Portogallo 16, 116, 147, 161 Portomarín (Puertomarín) 134; 134-135 Portugalete 197 Praga 137 Primitivo, santo 120 Puente Fitero 118 Puente la Reina de Jaca 207 Puente la Reina 45, 71, 74, 94, 100; 100 Puerto de Béjar 177 Puerto del Palo 199 Puertomarín, v. Portomarín

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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

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Puglia 36; 38 Pulci, Luigi 234 Rabanal 45, 71 Ramiro I delle Asturie 28, 104-105, 233; 200 Ramiro I di Aragona 75, 80, 235 Ramiro II di León 28 Ramiro III di León 233 Ramón Berenguer I 212 Ramón Berenguer IV 212 Recaredo 22 Recesvindo 21 Redecilla 107 Reims 121 Repelao, monte 200 Requejada 197 Ribadesella 197-198 Ribadesella, ría de 198 Ribera, Jusepe de (detto Spagnoletto), 188 Ripoll 209 Roales del Pan 188 Rocaforte 92 Rocamadour 234 Rocco, santo 54, 110, 114 Rodríguez, Diego (detto Porcelos) 110 Roma 17, 34-35, 37, 39, 57, 146, 210-211, 214, 232, 234; 45 Roncisvalle 71-72, 74; 72 Rosalia, santa 232 Rothenburg ob der Tauber 60 Rufina, santa 172, 235 Ruiz, Pietro (di Minguijuan), 112 Rustico da Torcello 232 Sahagún 45, 71, 120; 120 Saintes 71 Saint-Exupéry, Antoine de 12 Saint-Gilles 71 Saint-Jean-d’Angély 71 Saint-Jean-Pied-de-Port 71 Saint Michael’s Mount 38 Salamanca 181, 183, 188; 27, 171, 182, 184, 186-187 Salas 199; 204 Salerno 234 Salisburgo 137 Salomone 233 Sancha, doña 80-81; 25, 81 Sancho de Larrosa 72 Sancho I di Navarra 101 Sancho II di Castiglia 188, 235 Sancho il Grande 100, 105, 195 Sancho Ramírez di Aragona 74, 83, 212 Sancho Ramírez V 102 Sangüesa 92; 92-96 San Juan de la Peña 81-83; 82-86 San Millán de la Cogolla 106; 107 San Pedro de Rozados 181 San Salvador de Leyre 89; 89-91 San Sebastián 102, 195 Santa Cruz de la Serós 81; 81 Santander 197-198; 199 Santiago de Agüero, v. Agüero Santo Domingo de la Calzada 62, 107, 110; 108-109 Santo Domingo de Silos 34; 33 Santoña 197; 198 Santos Noia, Manuel 234 San Vicente de la Barquera 197 Saône-et-Loire 234 Sar, fiume 161 Saragozza 15, 10, 72, 81-82, 106, 207, 212, 220-223, 232-233, 235; 14, 223, 225 Saturnino di Tolosa, santo 74, 235 Scandinavia 22 Scicli 58 Sebastiano, santo 110, 216 Sella, fiume 198-199 Servando, santo 174 Sichem 233 Sicilia 58 Sierra de Ancares 130 Sierra de la Demanda 106 Sierra de Leyre 89 Sil, fiume 128 Silo, re delle Asturie 233 Silvestro, santo 147 Silvia, v. Eteria Simancas 28, 60 Simón, Alvar 126 Simone, apostolo 12, 17, 232, 234 Simone Stock, santo 80 Sinai, monte 20 Singul, Francisco 233 Siria 35 Sisnando 29, 138 Sisto II, papa 82 Sisto III, papa 232 Siviglia 17, 22, 124-125, 171-172, 174, 232, 235; 172 Sobe 10 Sobrado 197 Solovio 26 Sosa, fiume 212 Sozopolis, v. Apollonia

Stefano, santo 34 Strabone 75 Subirachs, Josep Maria 126 Suchet, Louis Gabriel 89 Susanna, santa 147 Svizzera 41 Tabor, monte 14 Tajo, fiume 179 Tarik 22 Tartessos, fiume 235 Tauro, catena del 232 Tecla, santa 114 Telmo, santo 117 Teodomiro 25-28, 138, 233; 19 Teodoro, discepolo di san Giacomo 16, 147 Teodoro, monaco 20 Teruel 235 Tineo 199 Tirso, santo 120 Todi 37 Toledo 22, 102, 104, 121, 202, 204, 234 Tolomeo 198 Tolosa 45, 52, 71, 234-235; 42, 50, 52, 74 Tommaso, apostolo 17, 232, 234 Tormes, fiume 183 Torres, Casimiro 234 Torres del Río 94, 103; 104 Tours 22, 35, 52, 71, 146, 234; 46 Transirico, abate 83 Triacastela 45, 71, 131, 134 Turchia 120, 232 Turku 60 Turner, Edith 234 Turner, Victor 234 Turoldo 234 Turpino, paladino 59, 72, 234; 46 Tuy 233 Überlingen 58 Uggieri il Danese, paladino 234 Ulfila 22 Ulla, fiume 161 Unamuno y Jugo, Miguel de 183, 197, 235 Ur dei Caldei 72 Urbano II, papa 29 Urbano VIII, papa 9, 20, 232 Urgel 212 Urgull, monte 196 Urraca, doña 134 Urumea, fiume 196 Usuardo di Saint-Germain-des-Prés 9, 20, 232 Valcarlos 72 Valdelacasa 181 Valderaduey, fiume 121 Valencia 82, 222, 235 Valenciennes 226 Valeriano, imperatore 198 Valerio del Bierzo (Valerius Bergidensis) 35, 233 Valladolid 110, 131, 196 Vázquez de Parga, Luis 233-234 Vega y Verdugo, José de la 146 Vegadeo 197 Venezia 232, 234 Verissimo, santo 192 Vespasiano, imperatore 161 Vézelay 71, 146; 230 Vienna 23 Vilagrassa 207 Vilfredo il Peloso 209 Villafranca del Bierzo 45, 129, 233, 235; 131 Villalba 197 Villalobos 105 Villaviciosa 197 Virgen del Camino 126 Virila, santo 92 Viscarret 71 Vistola, fiume 22 Vitale, santo 232 Vizcaya, v. Biscaglia, golfo di Voto, santo 81-82; 84, 86 Whitehill, Walter Muir 234 Yepes, Antonio de 234 Zaccaria, santo 235 Zamora 188, 190; 189-190 Zaragoza, Gerardo 200 Zebedeo 9, 12, 16-17 Zeia, v. Cea, fiume Zurbarán, Francisco de 174

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

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