l'Unità Laburista - Il tempo politico - Numero 6 del 30 agosto 2019

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Numero 6 del 30 agosto 2019

IL TEMPO POLITICO


Sommario 

L’EDITORIALE / Il tempo politico - pag. 3 di Aldo AVALLONE

Visti da lontano - pag. 7 di Antonella GOLINELLI Israele: il “popolo invisibile” che può sconfiggere “re Bibi” - pag. 11 di Umberto DE GIOVANNANGELI Il bavaglio agli insegnanti - pag. 17 di Umberto SCOTTI DI UCCIO

La pagella della crisi - pag. 21 di Aldo AVALLONE Il Parco Trotter. Storia di un progetto urbanistico all’avanguardia - pag. 25 di Giovan Giuseppe MENNELLA

Tokio o la Meloni? - pag. 29 di Antonella BUCCINI

Carlo Levi e il mondo contadino - pag. 34 di Giovan Giuseppe MENNELLA

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L’Editoriale del Direttore

Il tempo politico di Aldo AVALLONE

Si è sempre detto che in politica un anno è un tempo lunghissimo. Da oggi possiamo affermare che in politica un mese è un tempo infinito. Ci siamo salutati il 31 luglio scorso con un governo, seppure precario e con una maggioranza litigiosa, in carica e ci ritroviamo oggi in una situazione del tutto diversa. Mentre sto scrivendo queste note, non è ancora chiaro lo sviluppo che prenderà la crisi in atto. Appare molto probabile un reincarico a Conte per la formazione di un nuovo governo che avrebbe l’appoggio del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e del gruppo parlamentare che fa capo agli eletti in Liberi e Uguali, sostanzialmente i rappresentanti di Articolo 1. Salvini, che ha innestato la crisi annunciando una sfiducia mai effettivamente formalizzata, urla all’inciucio, al rovesciamento del volere popolare, chiedendo la fine prematura della legislatura con elezioni anticipate che, secondo lui, lo porterebbero al successo. Queste annotazioni sono probabilmente superflue per i lettori informati e attenti della nostra testata. In questa sede ci preme rilevare alcuni punti utili a fare chiarezza sulla nostra linea.

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1) Il governo che (se) nascerà sarà pienamente legittimato dalla nostra Costituzione. L’Italia è una Repubblica parlamentare e, se esiste, una maggioranza in Parlamento è assolutamente normale che possa costruire un nuovo governo. Lo scioglimento delle Camere è una prerogativa del Presidente della Repubblica solo nel caso in cui verifichi che non esiste alcuna maggioranza parlamentare. I risultati delle elezioni europee non hanno nessuna influenza sull’iter della crisi. 2) Il giudizio sui 5 Stelle continua a essere fondamentalmente negativo. Si tratta di un movimento populista che ha appoggiato pienamente alcune scelte politiche della Lega assolutamente sbagliate. Ci riferiamo, in primis, alle politiche di accoglienza, non dimenticando quelle fiscali e tutte le altre scelte sulle quali si è appiattito sulle posizioni dell’ex alleato. Pensiamo anche, però, che il Movimento 5 Stelle abbia, al suo interno, anime e sensibilità diverse che si manifestano attraverso un sincero interesse per le fasce sociali più deboli, per l’ambiente, per la legalità. Anche il voto sulla nomina della von der Leyen a Presidente della Commissione europea ha segnato un positivo e sostanziale cambio di rotta rispetto all’Europa. 3) La nascita del governo M5S, Pd, Articolo 1, è un passo difficile ma necessario per fermare l’avanzata della destra. Una destra che non è per nulla liberale ed europeista ma sovranista e portatrice degli istinti più retrivi e antidemocratici. Quando Salvini urla invocando “pieni poteri” pericolosi fantasmi del passato si riaffacciano alle porte del Paese. 4


4) Non abbiamo mai pensato che il Partito democratico fosse il rappresentante unico e benemerito della sinistra italiana. Abbiamo ancora vivo nella mente il ricordo del governo Renzi con le scellerate scelte del Jobs Act, della buona scuola e così via. Riteniamo anche, però, che rappresenti tuttora il partito di riferimento per larghissima parte dell’elettorato progressista del Paese. Ci auguriamo che con il cambio di segretario si possa essere innestato un processo di cambiamento che riannodi i fili di un rapporto quanto mai deteriorato tra i vertici e la base. 5) L’ingresso in maggioranza e, forse, nel governo di rappresentanti di Articolo 1 è un fatto molto positivo. Si concreterebbe un progetto politico mai nascosto da Bersani e compagni che riammetterebbe nel gioco politico una parte di sinistra inopinatamente scivolata nel dimenticatoio. E favorirebbe l’inizio di un percorso unitario, certo lungo e faticoso, veramente auspicabile. 6) Il giudizio sull’eventuale futuro governo andrà dato sui fatti. Su quello che riuscirà a realizzare, tenendo presente che si troverà a operare in una situazione economica difficile. Occorreranno circa 25 miliardi per evitare l’aumento dell’IVA e altri ne serviranno per costruire politiche di sviluppo. Probabilmente si potrà contare sull’appoggio dell’Europa e dei mercati che apprezzano la stabilità. Lo spread in questi giorni è al minimo storico e questo rappresenta certamente un 5


segnale positivo. È inutile evidenziare che le risorse necessarie andranno recuperate attraverso una razionalizzazione della spesa che non tagli i servizi sociali e una fiscalità che non penalizzi ulteriormente i ceti medio – deboli già colpiti da anni di crisi. Questa breve riflessione non costituisce certamente un’analisi esaustiva della situazione che richiederebbe ben altri tempi e di ben altri spazi. Ci ritorneremo, seguendo con attenzione gli sviluppi della crisi. Per chiudere consentitemi un breve annotazione personale: guardare la faccia di Salvini durante il discorso di Conte in Senato è stato un piacere impagabile. Auguro a tutti una buona lettura dell’Unità laburista da oggi nuovamente online, dopo la pausa agostana.

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Politica

Visti da lontano di Antonella GOLINELLI

Oggi è il 28 agosto, sono tornata la notte del 26, dopo due mesi di assenza. La crisi quindi l'ho vista da Albione. Che già li c'è un serio problema col biondo crinito. Ma di questo ne parlerò un'altra volta. Succede che nella vivibilissima estate inglese, l'8 di agosto, al Papeete si consuma il dramma. Tra bicchieri di rhum e mentuccia, musica a palla e gente in braghetta da spiaggia si apre la crisi di governo. Ora, io sono romagnola, profondamente romagnola (la mia famiglia è su questo territorio, nello stesso comune, da qualcosa come quasi nove (9) secoli. Capite bene che conosco bene luoghi, comportamenti e modi di pensare e vivere della Romagna. Non abbiamo certo bisogno dei pataca estivi da fuori. Soprattutto la riviera, il divertimentificio, non è certo il luogo adatto per provocare una crisi di governo. In Romagna nemmeno alle feste de l'Unità ci permetteremmo una mossa cosi bece7


ra.

Ad ogni modo accade, con grande scandalo collaterale dell'inno di Mameli ballato dalle cubiste leopardate. Che si, è abbastanza inusuale, ma credo che il ventiduenne Mameli forse avrebbe apprezzato. Del resto sono piĂš di una le orchestre che ne hanno arrangiato una versione “ballabileâ€?. Non lo sapevate? Andiamo avanti. Giorni su giorni di deliri. Convochiamo, no non convochiamo, Senato e Camera. Mozione di sfiducia si, mozione di sfiducia no. Anche forse. Dichiarazioni improbabili in attesa di.

Arriva, finalmente, il giorno delle dichiarazioni di Conte. Ho ascoltato un'infilata di insulti che raramente in vita mia. Con il Ministro degli interni che era li di fianco a far le faccette. O inscenava un'espressione basita. 8


Come se tutta quella roba li non l'avesse provocata lui stesso.

Vabbè. Conte va dal Presidente e inizia la giostra. Quella vera. A sorpresa il mangiatore di #popcorn il capofila dei #senzadime cambia idea e dice che si deve fare il Governo coi five stars. Che uno si chiede: hai finito i popcorn o hai esagerato col prosecco? Hai dettato la linea da Fazio in aperto contrasto col segretario, forte dei tuoi gruppi parlamentari, impedendo ogni trattativa e dopo un annetto cambi idea? Permettetemi un filino di perplessità .

Ad ogni modo, fra stop and go di varia natura si iniziano le trattative, dilaniati tra popolo governativistico e popolo elettorale. Ammetto che da lontano tra giornali e la mia personale bolla ho visto posizioni evolventi.

Anyway, io la penso cosi: se si fa un governo bene. Se non si fa si vota. Fa un po' ridere lo spettro delle elezioni usato come pistola carica sul tavolo.

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Lo so bene che noi popolo elettore siamo un fastidio. Un po' per tutti; tocca venirci a cercare anche a Sherwood. Mi pare che nessuno sia ancora pronto a cercarci, ammettendo di aver sbagliato. Meglio tenersi un quattro anni di tempo. Ma state pur tranquilli; c'è la tornata autunnale. In ogni caso il tempo è poco. Come finirà questa vicenda non saprei dirlo. Secondo me il governo si farà. La perifrastica passiva è diventato scissionista pure lui. Si vede che nel toto ministri non c'era. Aspetto anche la seconda scissione, quella del senatore semplice. Arriverà non temete: la Leopolda è li dietro l'angolo. Prendo un sacchetto di patatine e guardo l'ennesima #maratonamentana.

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Esteri

Israele: il “popolo invisibile” che può sconfiggere “re Bibi” di Umberto DE GIOVANNANGELI

Divisi, in genere si perde, perché a prevalere è la logica di fazione che porta a vedere l’avversario da battere nel proprio campo e non in quello realmente ostile. È una vecchia, buona regola della politica, che in molti, soprattutto a sinistra, hanno autolesionisticamente dimenticato. Tranquilli, non stiamo parlando dell’Italia… ma d’Israele, paese che quanto a frammentazione dei partiti, personalismi esasperati, colpi bassi e dossieraggi, non è secondo a nessuno. A volte, però, dagli errori commessi s’impara. E si pone riparo. È quanto accaduto ai partiti arabi israeliani Hadash, Raam Taal, Balad che, dopo settimane di estenuanti trattative, hanno annunciato che correranno in una lista unica alle elezioni del prossimo 17 settembre, dopo la perdita di consensi patita ad aprile, quando si erano presentati divisi in due liste. L’annuncio è arrivato dal leader di Hadash, Ayman Odeh. Alle elezioni dello scorso 9 aprile c’era stata una spaccatura: da un lato i due partiti di sinistra Hadash e Taal (6 i seggi conquistati) dall’altro la lista del partito nazionalista progressista Balad e della formazione islamista moderata Raam (4 seggi): un totale di 10 deputati (su 120). 11


Nel 2015 c’era stato l’exploit della Lista Araba Unita, terzo partito alla Knesset con 15 seggi. A un mese dal voto, i sondaggi accreditano la Joint List di 11 seggi, che sarebbero decisivi per sancire la vittoria delle forze di centro e di sinistra sul fronte delle destre. Gli sforzi per unire le quattro parti erano stati gravati da disaccordi su quali fasce della lista elettorale comune sarebbero state riservate per ciascuna parte. Alla fine, però, la “quadratura della lista” è avvenuta. Dice all’Unità laburista Odeh: “A prevalere sono state le ragioni dell’unità e la consapevolezza della portata delle elezioni del 17 settembre. Di fronte a noi abbiamo una destra dai forti tratti razzisti, che considera gli arabi israeliani [il 20,9 per cento della popolazione di 8.907.000, 74 per cento ebrei, secondo il recentissimo aggiornamento dell’Ufficio Centrale di statistica, ndr] qualcosa di ancora peggio di cittadini di serie B: li considera, ci considera, delle zavorre da cui liberarsi, degli intrusi in casa loro. Il riferimento, in particolare, è alla legge su Israele come stato della nazione ebraica, approvata a maggioranza nel luglio 2018 dalla Knesset, una legge molto voluta dalle destre e rivendicata come un successo straordinario dal primo ministro Benjamin Netanyahu”. Odeh era intervenuto nel dibattito alla Knesset sventolando una bandiera nera: “Questa è una legge crudele. Oggi dovrò dire ai miei figli, e a tutti i figli delle città arabo-palestinesi del paese, che lo stato d’Israele ha dichiarato che non ci vuole più qui, che d’ora in avanti diventiamo cittadini di seconda classe” aveva scandito tra le urla dei parlamentari della maggioranza. Quella ferita brucia ancora oggi, ribadisce Odeh: “A colpi di maggioranza, Israele ha perso la sua anima originaria. Quella legge che segna un punto di non ritorno, sancisce la realizzazione di un’idea di stato, di popolo, di comunità, che si fonda 12


sull’appartenenza etnica, sull’affermazione di una diversità che crea gerarchia, che al massimo può contemplare la tolleranza ma mai una piena inclusione”. E aggiunge il leader della neo-ricostituita Joint List: “Certo qualcuno potrebbe dire: meglio essere tollerati che essere considerati quinta colonna interna dei palestinesi, collusi con i “terroristi”. Ma noi arabi israeliani non vogliamo essere tollerati, ma considerati cittadini d’Israele a tutti gli effetti, né più né meno degli ebrei israeliani”. Considerazioni che avrebbero dovuto compattare i partiti arabi, ma così non è stato. E il 9 aprile, il risultato di queste divisioni è stato una perdita di seggi determinata da un calo significativo della partecipazione al voto degli arabi israeliani. A l’Unità laburista, Odeh esprime la speranza, una speranza “fondata” tiene a precisare, che l’affluenza alle urne degli arabi israeliani possa raggiungere il 70 per cento il 17 settembre. Nel 2015, la prima volta che i partiti arabi avevano deciso di dar vita a una lista comune, l’affluenza alle urne da parte degli arabi israeliani aveva toccato il 63 per cento. Alle elezioni di aprile, quando i quattro partiti si sono presentati in due liste separate, il voto arabo non ha superato la soglia del 50 per cento. Un altro leader storico degli arabi israeliani è Ahmed Tibi, parlamentare uscente, deciso sostenitore di una pace con i “fratelli palestinesi” fondata sulla soluzione a due stati. Per chi fu anche consigliere personale di Yasser Arafat, la legge dello stato-nazione ha indicato la via dell’apartheid: “Ha un elemento di supremazia ebraica la creazione di due classi separate di cittadini, una che gode di pieni diritti e una che ne è esclusa. E anche nel secondo gruppo vi è uno sforzo per creare diverse categorie”. 13


La destra, aggiunge Tibi “ha fatto di tutto per emarginare da ogni ambito della vita sociale e politica gli arabi israeliani. In ogni elezione, quando le notizie sull’affluenza al voto degli ebrei sono negative, i capi della destra, a cominciare da Netanyahu, per incitare ad andare al voto, usano lo spauracchio arabo: stanno andando a votare in massa, e voi che fate, volete che il futuro d’Israele sia deciso da costoro”. Tutto vero. Ma quello che la vecchia leadership araba fa fatica ad ammettere, è che il calo della partecipazione al voto degli arabi israeliani è anche il prodotto di un distacco soprattutto da parte dei giovani, quelli che più spingono verso un ricambio generazionale. A ciò si aggiunge un altro elemento che Salman Masalha ha messo bene in evidenza in un interessante articolo apparso nei giorni scorsi su Haaretz (e tradotto in Italia da Israele.net): “Nelle elezioni locali, il voto tribale o settoriale ha molta influenza, spesso decisiva, su tutto: dall’assegnazione di posti di lavoro ai bandi per l’offerta ai vari benefit che un’autorità locale può elargire. Al contrario, nelle elezioni per la Knesset il voto arabo non esercita alcuna influenza. Quando i leader dei partiti arabi dichiarano in anticipo che in ogni caso non entreranno a far parte di nessuna futura possibile coalizione di governo, recidono alla base la passione per la politica parlamentare che vorrebbero promuovere. Senza alcuna possibilità che il suo voto determini la condotta del governo nazionale, l’elettore arabo non vede motivo per partecipare alle elezioni”. E poi: “A ciò si aggiunga il fatto che i partiti d’opposizione sionisti respingono a priori l’eventualità di creare un governo che dipenda in modo determinante dal sostegno dei partiti arabi. L’elettore arabo si sente quindi doppiamente abbandonato dal sistema politico: dai partiti d’opposizione e dai suoi stessi rappresentanti arabi 14


… Contrariamente alle convinzioni più diffuse, risulta che i cittadini arabi israeliani si sentono tali e desiderano ardentemente partecipare alla determinazione dell’agenda politica e sociale del paese. Ma l’ostacolo con cui devono fare i conti è la mancanza di leader e partiti che riconoscano questa volontà e siano pronti a raccogliere la sfida”. Il discorso di Masalha tocca un punto dolente della cultura politica israeliana, prima ancora che del sistema: la conventio ad excludendum degli arabi israeliani da qualsiasi coalizione di governo, anche quelle a guida laburista. Al massimo, come gesto di apertura e anche come auspicabile calamita di voti, alcuni partiti sionisti hanno incluso nelle proprie liste esponenti della comunità araba israeliana, ma senza eccedere e comunque senza che questi cooptati potessero ambire a poltrone ministeriali (un discorso a parte vale per i Drusi, che la maggioranza ebraica non considera alla stregua degli arabi israeliani, tant’è che i drusi svolgono il servizio militare e fanno parte della polizia e della guardia di frontiera). Per battere le destre c’è bisogno del voto degli arabi israeliani, confermano tutti i sondaggi. Un compito che non spetta solo alla ricostituita Joint List, ma che deve entrare anche nell’agenda dei partiti di centro e di sinistra che si oppongono a una destra radicalizzata che ha governato quindici degli ultimi diciannove anni. È questa la convinzione di Tamar Zandberg, parlamentare ed ex leader del Meretz, la sinistra pacifista, che ci dice:”Occorre un patto di governo con i partiti arabi. So bene che questo significa operare una discontinuità radicale con il passato e che la destra cavalcherebbe quest’apertura per dimostrare che i “veri ebrei” non accetteranno mai questa compromissione, tuttavia ritengo che oggi vi sia davvero bisogno di aprire un nuovo capitolo nella storia d’Israele, con atti politici coraggiosi che indichino chiaramente che una nuova identità nazionale deve tenere dentro anche la 15


minoranza araba, con la sua sensibilità, le sue aspirazioni e la sua cultura. Se crediamo davvero, ed io lo credo, che la destra stia minando le basi stesse della convivenza democratica, allora dobbiamo essere conseguenti non tagliando fuori da un fronte anti-Netanyahu gli arabi israeliani e i loro partiti tradizionali”. Un’apertura che Ayman Odeh non lascia cadere: “Siamo pronti a sederci a un tavolo e discutere di un programma minimo che tuteli la comunità araba, a partire da un impegno per modificare la legge costituzionale che istituzionalizza la discriminazione nei nostri confronti. Ora, però, il nostro impegno prioritario è convincere la nostra comunità della posta in gioco alle elezioni del 17 settembre. C’è grande malessere e disillusione tra la nostra gente, soprattutto tra i giovani. Ma la scelta di ripresentarci uniti vuole essere un segnale di speranza, la dimostrazione che siamo capaci di riflettere sugli errori commessi facendo prevalere le ragioni dell’unità. So che non basta, ma è un passo importante che può ricreare entusiasmo e motivare un impegno”. Una strada in salita, ma non una missione impossibile. Il futuro d’Israele passa anche dal voto del “popolo invisibile”: gli arabi israeliani.

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Scuola e Politica

Il bavaglio agli insegnanti di Umberto SCOTTI DI UCCIO

Mi trovo alla 13° conferenza dell’ESERA, l’accociazione europea per la ricerca scientifica sul tema dell’insegnamento delle scienze nella scuola e nell’università, insieme a 1600 ricercatori che provengono davvero da ogni parte del mondo (https://www.esera2019.org/). E’ una situazione interessante per parlare della condizione della Scuola italiana, non c’è che dire, e infatti di spunti ce ne sarebbero tanti; nel frattempo, però, c’è la crisi di Governo e la cronaca politica costituisce una bella distrazione. Di che parlo? Trovato, metto insieme le cose. Ho tra le mani il testo del discorso tenuto da Conte al Quirinale, subito dopo aver ricevuto da Mattarella l’incarico di formare il nuovo Governo. Eccone un passaggio chiave: “Mi ripropongo di creare una squadra di lavoro che si dedichi incessantemente e con tutte le proprie competenze ed energie a offrire ai nostri figli l’opportunità di vivere in un Paese migliore: un Paese in cui l’istruzione sia di qualità e aperta a tutti...”. Interessante: Conte si rende conto dei problemi della Scuola italiana, come tutti gli studenti, tutti i genitori e tutti gli operatori del settore. Un buon punto di partenza.

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Ma torniamo all’ESERA. Ho appena preso parte all’incontro seminariale sulla rilevanza dei temi socioscientifici nell’insegnamento delle scienze. Per capirci, si tratta di questo: parlare agli studenti di argomenti scientifici che hanno un impatto sulla società, sulla salute, sulle libertà individuali, sulla pace, ecc. In merito, vari ricercatori hanno proposto questo punto di vista: che la discussione possa essere finalizzata a promuovere l’attivismo, cioè l’espressione attiva delle posizioni maturate dalla riflessione scientificamente informata. Un esempio per capirci: l’insegnante guida un percorso didattico sui temi ambientali e, da questo, gli studenti non solo maturano un proprio convincimento (con Greta o con Trump), ma lo portano in piazza. Mi fermo per un piccolo approfondimento. Com’è possibile che ricercatori provenienti da ogni parte del mondo, presumibilmente delle più svariate fedi politiche, si ritrovino a parlare e, naturalmente, a dibattere, su questo tema? La risposta è radicale: sta prevalendo nel mondo la visione dell’educazione scolastica come opportunità di formare il cittadino alla vita democratica. In altri termini, ci si rende conto che siamo di fronte a una biforcazione: se vogliamo forme di governo democratiche, in cui i cittadini esprimano la propria posizione politica con il voto, allora li dobbiamo mettere in grado di capire “di che si parla”. Se no, aggiungo io, nasce un brutto problema: il loro voto finirà in mano a gruppi di potere (di volta in volta case farmaceutiche, produttori di armi, petrolieri, ecc.) che faranno o no il loro interesse senza che gli elettori se ne possano nemmeno accorgere. 18


Questi gruppi, ormai lo sappiamo, hanno infatti a disosizione, tra le armi più pericolose e sottili, le campagne di disinformazione di massa, le fake news, ecc., e chi ho pochi strumenti culturali ne resta vittima senza scampo. La faccio breve. Da sinistra ho una piccola richiesta per Conte: se le parole che ha pronunciato hanno un senso, se devo credere che abbia messo al primo posto la Scuola perché, da professore, è realmente sensibile al terribile stato in cui versa, si fermi a riflettere su questo tema. Consideri che nella Scuola si deve parlare di argomenti socio-scientifici. Ricordi che questo significa avere la libertà di parlare di politica in classe. Sostenga senza mezzi termini una posizione diametralmente opposta a quella, inaccettabile, mantenuta dall’ex Ministro degli Interni e avallata dall’ex Ministro dell’Istruzione, secondo i quali la politica debba invece essere bandita dalle aule. Difenda la libertà d’insegnamento e di espressione; riabiliti gli insegnanti offesi, a partire dalla Prof. palermitana Rosa Maria Dell'Aria, che oggi è diventata suo malgrado il simbolo della violazione della libertà d’insegnamento in Italia. La libertà individuale, la libertà di espressione, la libertà d’insegnamento sono valori costituzionali fondamentali in Europa e in buona parte del mondo. Non sono però valori che possiamo considerare scontati, automatici: sono invece da difendere in modo vigile, cosciente e attivo. L’orribile parentesi salviniana ha avuto, io spero, almeno questo effetto positivo: che nessuno di noi possa più sentirsi tranquillo e sicuro che i diritti fondamentali siano garanzie date per sempre, a prescindere dalle scelte politiche (votare a sinistra o a destra, restare o no nell’UE, restare in ambito atlantico o sbandare verso la 19


Russia, ecc.). Il mondo della ricerca scientifica sull’educazione scolastica ha assunto un orientamento molto avanzato sui temi della libertà d’insegnamento, ivi inclusa la libertà di portare i temi d’interesse politico in aula, aprendo su di essi un dibattito informato tra gli studenti. Il prossimo Governo da che parte sta? E noi da che parte stiamo?

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Politica

La pagella della crisi di Aldo AVALLONE

La partita che si è giocata in questi giorni per il Paese è importante come una finale di Champions. Proviamo scherzosamente a dare i voti ai partecipanti come fossero giocatori delle squadre impegnate nella competizione. Attaccante: Salvini Sceso in campo gasatissimo e determinato a tutto pur di arrivare alla vittoria, proprio quando la partita sembrava mettersi al meglio per la propria squadra, inopinatamente è andato in confusione commettendo un errore dopo l’altro. Assolutamente incapace di attuare una strategia efficace, sopravvalutandosi ha sbagliato tutti i tempi degli interventi mettendo, di conseguenza, in difficoltà tutta la squadra. Da oggi è sul mercato, anche a prezzo da saldi, ma difficilmente troverà acquirenti. Voto: 2. Difensore esterno: Meloni Mai nel vivo dell’azione, è sempre stata sulla fascia destra percorrendola tutta senza però mai essere servita dai compagni di squadra. Più volte ha urlato, anche sguaiatamente, senza però ricevere alcuna attenzione. Faceva quasi pena vederla correre, sudare, agitare le braccia invocando il pallone senza però mai ricevere un passaggio. Destinata in futuro alla panchina, probabilmente a lungo. Voto: 4.

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Centrocampista centrale: Berlusconi Anche se un po’ avanti negli anni e malmesso per i diversi infortuni che ne hanno caratterizzato la carriera, ha tenuto il campo abbastanza bene. Più propenso alla fase difensiva che a quella offensiva ha retto bene all’urto proveniente dalla fascia destra più estrema. A volte fuori dal gioco ma sempre lucido quando è stato chiamato in azione, ha dettato i tempi giusti al reparto che dirige ancora con mestiere. Nell’ambiente si dice che la sua longevità sia dovuta al fatto che ha finalmente cominciato a fare vita da atleta andando a dormire presto la sera. Voto: 5. Regista: Renzi Dato prematuramente per finito, proprio quando sembrava in procinto di essere ceduto a una squadra di rango inferiore, ha trovato inaspettatamente il guizzo vincente. Modificando radicalmente la sua posizione in campo ha deciso di giocare la palla con lanci lunghi invece di fare melina. Una sua apertura improvvisa in zona centrale, pur scavalcando i suoi colleghi di reparto, ha permesso di costruire l’azione decisiva per il risultato della partita. Restano dei dubbi sulla sua tenuta alla distanza ma per il momento uno dei migliori in campo. Voto 7 Centrocampista di sinistra: Bersani Da lungo tempo scivolato in panchina, ha ritrovato spazio in campo grazie al ribaltamento di fronte operato dal regista. Un po’ lento nei movimenti e alquanto macchinoso nel far ripartire l’azione, con la palla tra i piedi è sempre una sicurezza. Certo, ogni tanto commette qualche errore di misura ma in una compagine dove il tasso tecnico non è elevatissimo, la sua esperienza e la sua sapienza tattica emergono comunque. Nonostante non sia proprio un esordiente conserva un grande entusiasmo che sa trasmettere egregiamente ai compagni di squadra. Voto: 7. 22


Portiere: Conte Ha sempre giocato nelle serie minori e si è ritrovato catapultato in prima squadra per mancanza di alternative di valore. Ha iniziato con comprensibile timore commettendo anche diversi errori ma è uscito fuori alla distanza. Decisiva la parata su un tiro tagliente e pericoloso dell’attaccante Salvini con la quale ha evitato un gol già fatto. L’esperienza maturata gli sarà utile per il prosieguo della carriera. Voto: 6. Difensore: Di Maio La precedente frequentazione degli stadi di calcio gli è stata almeno utile per non farsi trovare totalmente impreparato quando, quasi senza sapere come, si è ritrovato in campo. Elegante nei movimenti non ha mai fatto un gesto fuori posto, mai un intervento deciso, mai un contrasto efficace nei confronti dell’avversario che, spesso, ha potuto agire senza nessun ostacolo. Impalpabile, non ha mai fatta sentire la sua presenza in campo. Meriterebbe l’esclusione ma probabilmente conserverà il suo posto in squadra. Voto: 4. Allenatore: Zingaretti Ha preso le redini della squadra da poco più di un anno e spesso si è ritrovato gran parte dello spogliatoio contro. Eppure nel momento più difficile della partita è riuscito a tenere le redini in mano dando un gioco efficace, seppure non spettacolare, alla squadra. Nel prosieguo del campionato avrà il difficile compito di fronteggiare gli avversari e tenere unita la propria squadra. Voto: 6. Arbitro: Sergio Mattarella 23


Nonostante non corra ormai più tanto, vista l’età, è stato sempre vicino all’azione. Ha tenuto in mano la partita anche nei momenti più difficili amministrando molto bene l’uso dei cartellini gialli. Non ha avuto bisogno di usare il rosso in quanto l’unico meritevole di espulsione si è messo fuori dalla partita da solo. Ottimo nella gestione del cronometro non consentendo ad alcuno dei partecipanti di fare melina e di perdere tempo inutilmente. Voto: 8. (Questa nota è stata redatta il 27 agosto alle ore 12)

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Storia e Urbanistica

Il Parco Trotter. La storia di un progetto urbanistico all’avanguardia di Giovan Giuseppe MENNELLA

L’Esposizione universale di Milano del 2015 non è stata la sola che si è tenuta nella città lombarda. Infatti, è ormai dimenticata quella che si svolse nel 1906. In quel periodo, all’inizio del ‘900, Milano andava facendo le prove generali per diventare una vera e propria metropoli. Giovanni Verga, un siciliano che però visse in gran parte a Milano, la definì la città più città d’Italia. La struttura urbanistica era radiale, cioè espandentesi a cerchi concentrici che, appunto a cavallo tra 800 e 900, andavano progressivamente inglobando i "borghi", come “la Barona”, “Turro”, “Garola”, quelli che erano chiamati “i corpi santi” perché c’erano i cimiteri, quelli poeticamente descritti da Foscolo ne “I sepolcri”. Negli anni ’20 del Novecento, durante il fascismo, la città doveva raddoppiare le sue dimensioni. Nel borgo di Turro iniziava la Brianza, i salumai vi facevano stagionare i salumi. In quella zona intorno al 1906, quando con l’Esposizione Milano si è mostrata al mondo come città in espansione, si erano cominciate a costruire le prime case popolari, per via della grande concentrazione di fabbriche come la Breda, la Falck, le due Marelli e della popolazione operaia. Era la parte di città che sarebbe stata raccontata dal cinema neorealista o dagli scritti di Giovanni Testori. Siamo nella periferia Nord, intorno alle attuali Viale Monza e via Padova, già com25


presa nel catasto urbano fatto redigere da Maria Teresa nel ‘700. Questa zona ha una specificità: ha accolto fin dall’800 gli immigrati, prima da Brescia, da Piacenza, dalle valli bergamasche e dal Nord in genere, poi dagli anni ’50 del Novecento dal sud dell’Italia e, infine, ai nostri giorni, dal Sud del Mondo. C’erano le “curt de le Americhe” corti dove si fermava provvisoriamente chi stava per emigrare nelle Americhe. Magari si facevano fare i documenti falsi. Era anche una specie di portale, un “gate” dove si ritrovavano tutti insieme quelli che venivano da fuori. Un detto popolare dice che milanesi non si nasce ma si diventa. In questa zona al Nord di una Milano in espansione demografica e industriale c’era un galoppatoio, o “trotter” come era chiamato all’inglese. Ancora oggi se ne può identificare l’ovale. Quindi, c’erano i cavalli e le loro corse. A un certo momento, il Comune decise di spostare il galoppatoio nella zona di S. Siro, dove è situato tuttora, insieme allo stadio del calcio. Lo spostamento fu deciso per realizzare un’interessante operazione urbanistica, per costruire dei padiglioni, case basse in stile da campagna inglese. Fu la risposta del Comune, all’inizio del ‘900, per risolvere i problemi del sovraffollamento e della scarsa salubrità e igiene delle abitazioni di quei quartieri operai, di cui soffrivano soprattutto i bambini. Tra l’altro, fu costruita “La casa del sole”, un grande sogno pedagogico, una scuola all’aria aperta, con un parco, che servisse da scuola ai bambini più poveri e più malati per le condizioni abitativa precarie di quella periferia industriale. In quei padiglioni e giardini potevano imparare a leggere e scrivere e avevano anche la possibilità di giocare liberamente all’aria aperta, una sorta di imparar giocando, curando la salute. C’era anche un convitto per gli orfani, numerosi soprattutto dopo la fine della II Guerra Mondiale, durante la quale i bombardamenti avevano colpito pesantemente la città. 26


La scuola iniziava dalla più tenera età e a ogni padiglione corrispondeva un grado scolastico. I bambini curavano l’orto, avevano da allevare una capretta, facevano il formaggio, prendevano il sole necessario per migliorare la salute e l’igiene. E facevano anche il bagno perché c’era anche una piscina, il cui invaso, asciutto, è riconoscibile ancora oggi in un viale di tigli, dove c’era “La casa del sole”. L’invaso oggi è abbandonato e degradato, ma si potrebbe sempre riadattare e restaurare. L’esperimento fu apprezzato e studiato in tutto il mondo, arrivavano delegazioni da Belgio, Uruguay, Argentina etc. I ragazzi crescevano facendo attività all’aria aperta, lezioni, bagni di sole, allevamento di animali. Avevano anche una piccola tipografia, redigevano giornalini. Invitavano anche scrittori, come Mario Soldati, che si dimostravano molto interessati e incuriositi. Negli anni ’70 si tenne un laboratorio con Bruno Munari, straordinario progettista che lavorava anche con i bambini. Questo progetto sembra oggi davvero straordinario, simboleggia quello che seppe fare Milano, dall’inizio del ‘900, cioè un progetto sociale collettivo per l’accoglienza e l’inclusione, non a caso nell’epoca di un’amministrazione socialista riformista. Quel riformismo che allora sul piano politico più generale nel Paese fu perdente, messo da parte per l’inseguimento di sogni, o incubi, rivoluzionari e sconfitto anche dall’emergente fascismo. E’ straordinario e quasi fantascientifico anche rispetto alla situazione attuale. Infatti, dagli anni ’70 del Novecento il Parco Trotter fu abbandonato e le strutture andarono progressivamente in degrado. L’abbandono e il degrado corrisposero alla deindustrializzazione e alla chiusura delle grandi fabbriche fordiste della zona e alla perdita di consistenza e centralità della classe operaia. Specialmente in questa zona la città ha perso la sua vecchia e secolare anima operaia e popolare. Però, proprio quando gli edifici stavano cadendo in rovina irreversibile, c’è stato un risveglio di interesse nella collettività presente sui luoghi. Genitori, insegnanti, 27


comitati di quartiere hanno cominciato a chiedere che si ripristinassero e ora un gruppo di progettista ha definito il quartiere come NO-LO cioè Nord Loreto e si lavora per restaurare i manufatti delle vecchie strutture cadute in disuso. Non a caso, questo fervore è aumentato man mano che arrivavano nuovi immigrati da molte parti del mondo. Se c’è una morale in questa interessante storia del cosiddetto “Parco Trotter” è che non ci si salva individualmente, ma tutti insieme, con un’azione collettiva socializzante, aiutandosi a vicenda.

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Politica

Tokio o la Meloni? di Antonella BUCCINI

Cosa ci tiene incollati alla Casa di papel? C’è chi la centellina a “piccole dosi” perché poi “finisce” e chi la tracanna tutta insieme per un’ubriacatura senza effetti collaterali. Non ci dissuadono le ambizioni surreali né le improbabili azioni. Non è tempo perso pianificare un furto di miliardi di euro alla zecca spagnola anzi l’idea è indovinata. In questa terza serie si punta più in alto: la riserva aurea dello Stato. Per chi non ha idea di cosa stiamo parlando chiariamo che la Casa di papel è una serie spagnola Netflix di enorme successo, seguita in tutto il mondo. Il meccanismo narrativo prende spunto da inside man, celebre film di Spike Lee, dove gli ostaggi della rapina in banca si confondono con i rapinatori per le stesse tute indossate. Poi la storia della Casa di papel prende altre strade. I protagonisti, una singolare banda di rapinatori, perseguono notevoli ambizioni in nome del popolo. Proprio così. “Noi siamo la resistenza” dichiara l’ideologo del gruppo tant’è che a un certo punto intonano anche Bella Ciao. Ma non facciamoci illusioni, in questo caso siamo di fronte a una forma di rivendi29


cazione spiccia: si ruba allo Stato vessatore per eccellenza. Gli scrupoli sono banditi senza sforzi, anzi, giustizia è fatta. La contrapposizione è elementare ma funziona. Tutti i personaggi hanno assunto un nome di città che definisce le loro identità. In verità non sappiamo chi sono. Quasi nulla del loro passato, i tratti distintivi sono essenziali eppure efficaci, comunque sufficienti a condividerne i progetti, le reazioni, le intemperanze. Il Professore è il pianificatore delle imprese. Un emotivo ossessivo, attento non solo a elaborare ogni passaggio del progetto ma a prevenire e sceneggiare anche tutte le azioni e reazioni dei nemici: poliziotti, servizi segreti, organi dello Stato. In verità il Professore è un esecutore. L’autentico genio è Berlino, il fratello. Un narciso visionario pronto a scommettere sull’avventura più improbabile come il furto della riserva aurea dello stato spagnolo. Le donne fanno una gran bella figura. Non hanno le palle perché, vivaddio, le donne non le hanno. Sono forti di loro, insofferenti, coraggiose, imprevedibili. Tokio la più audace e incosciente, Nairobi sentimentale e determinata, Rachel, ispettrice di polizia, convertita nottetempo alla causa. Ci entusiasmano Tokio che irrompe con la moto nella zecca di Stato facendosi beffe dello schieramento di polizia, Nairobi che organizza un sistema efficientissimo di riproduzione delle banconote ma desidera anche mettere su famiglia con Helsinki a sua volta omosessuale, e ancora Rachel che, attraverso l’amore per il Professo30


re, prende coscienza. Ce n’è per tutti. Quel tanto di crudeltà per i cattivi, quel tanto di generosità per gli stessi cattivi. Un’equilibrata rapina del secolo. La violenza non produce un vero danno, come quando gatto Silvestro resta indenne da un volo di mille metri. Un dosaggio perfetto che non scontenta nessuno. I nostri eroi non eccedono mai. E il popolo? Il popolo è dalla loro parte, finalmente vendicato, liberato con il male che male non è più. Oggi Salvini ha tuonato che l’accordo PD - M5S è contro il popolo, ancora! Il capitano come Berlino o il Professore? I nostri eroi sono sognatori ma anche consapevoli di azioni e rischi. Il vice premier è ancora incredulo degli effetti della sua intempestiva fuga dalla manovra di bilancio. I rapinatori partigiani derubano lo Stato, irrompono nella zecca e stampano miliardi di euro. Il capitano Salvini si accanisce sui disperati che vengono dal mare e in tempi lontani i suoi amici inaugurarono a Mantova il parlamento del nord. E le donne? Giorgia (Meloni) come Tokio sulla moto che si avventa sugli immigrati a Lampedusa per salvarci da stupri e violenze? O la Santanché che, in nome del popolo, fa i dovuti distinguo tra bianchi, neri, omosessuali e musulmani? 31


Non c’è partita. Consegniamoci allora ai nostri eroi novelli Robin Hood, liberiamoci da ogni sospetto di sovranismo surrettizio e lasciamoci andare. Sarà come volteggiare su un aliante ignorando la direzione dei venti o lanciarsi in un bungee jumping senza preoccuparsi della corda che ci trattiene. Va tutto bene ragazzi, ciò che conta è l’impossibile! E per chi ancora centellina le dosi, buona visione!

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Cultura

Carlo Levi e il mondo contadino di Giovan Giuseppe MENNELLA

La storia non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C’è chi sopravvive. (Eugenio Montale) Carlo Levi, pittore, scrittore, intellettuale torinese, attivo per buona parte del Novecento, impegnato nella politica e nell’antifascismo nel gruppo di Giustizia e Libertà con Vittorio Foa, Giulio Einaudi, Massimo Mila, Leone Ginzburg, dopo la denuncia dell’agente dell’OVRA Pitigrilli, era stato condannato al confino in Lucania, nei paesini di Aliano e Grassano. Erano gli anni 30 del Novecento. Dalla frequentazione del Sud aveva tratto la consapevolezza della distanza tra il mondo degli intellettuali, anche antifascisti, e quello dei contadini poveri e sfruttati di quelle terre. Aveva anche imparato ad apprezzarne e ad amarne la secolare saggezza e la semplice dignità, contrapponendoli all’homo economicus della civiltà urbano-industriale, pur essendo lui stesso gobettiano di formazione laicorazionalista. Il suo cuore e la sua mente erano dalla parte dei “contadini” intesi in senso lato come tutti gli individui postivi e produttivi che, nel suo libro del 1950 “L’orologio” e in quello postumo del 1975 dal titolo appunto “I contadini e i luigini” contrappone al mondo dei “luigini”, i borghesi e piccolo-borghesi intesi come 34


negativi, parassiti e sfruttatori del lavoro, esemplificati sulla figura di Don Luigino, il podestà fascista di Aliano (Gagliano nella finzione letteraria di Cristo si è fermato a Eboli). Infatti, in precedenza, negli anni 40, quando era stato da qualche tempo liberato dal confino, era stato rovesciato il regime fascista ed era terminata la Seconda Guerra mondiale, si era ispirato a quell’esperienza di vita nel Sud per immaginare e scrivere il libro-testimonianza “Cristo si è fermato ad Eboli”. In molte sue opere letterarie e in altri scritti esprime un forte auspicio per il riscatto, l’assunzione di centralità e di potere del mondo dei contadini senza terra del sud parlando di comune rurale autonomo, suggestione possibile di un’autogestione democratica dalla base, in loco, degli interessi e dei diritti dei contadini. L’ironia della storia colpisce Carlo Levi nel senso che egli esprime la sua perorazione per il riscatto economico, sociale ed istituzionale di quel mondo contadino davvero “in limine”, cioè nell’imminenza, di lì a pochissimi anni, della sua fine, incalzato dal tumultuoso sviluppo industriale del nord che, attirando quasi tutti nelle fabbriche a Milano, a Torino, a Zurigo, a Stoccarda avrebbe spopolato proprio quelle campagne e, di più, avrebbe avviato la mutazione antropologica di tutta la società italiana. A testimonianza del fenomeno epocale, sono stati scritti tanti libri di storia, di sociologia, di costume, sono state sviluppate tante inchieste, sia sullo spopolamento delle campagne del Sud e delle zone periferiche, sia sul sovraffollamento e le problematiche di coesione sociale nelle città industriali del Nord . Certo, ci sarebbero stati ancora contadini nel Sud, ma come fenomeno ormai marginale, come agglomerati o semplici individualità sparpagliate sul territorio, a macchia di leopardo, ma niente più che potesse ricordare la moltitudine di braccianti senza terra o con piccolissimi poderi di stentata sussistenza che improntava di sé la 35


“civiltà contadina”, caratterizzata per secoli dalla mancanza di beni consumo, dall’assenza d’informazioni sul mondo, quando non dalla fame sempre in agguato per un cattivo raccolto o per la mancanza del lavoro bracciantile. Storicamente, il problema principale dei contadini nel Sud era stata la fame di terre. Nel senso che fin dal ‘500, dal vicereame spagnolo, masse di contadini senza terra erano stati alle prese con una vita grama, sempre alla mercé di proprietari terrieri durissimi e spesso assenteisti. Alla fame di terra era stato sempre connesso il brigantaggio, lotta spietata, senza quartiere, contro i proprietari, soprattutto i borghesi usurpatori delle terre comunali. Era un fenomeno che veniva da lontano, i viceré spagnoli, i Borbone del ‘700, i francesi nel decennio francese, i Borbone restaurati dopo il 1815 e, infine, i piemontesi dopo il 1860, avevano lottato e represso spietatamente gli episodi di violenza altrettanto selvaggia dei contadini intesi a colpire i proprietari. La violenza delle ribellioni e delle repressioni si era attenuata solo verso la fine dell’800, sia per l’emigrazione che aveva eliminato moltissime bocche da sfamare, sia per l’azione delle associazioni socialiste e cattoliche che andavano convincendo i contadini ad adottare forme di lotta meno cruente. Anche nel secondo dopoguerra, nella seconda metà del Novecento, non era stata sufficiente a cambiare radicalmente le cose la Riforma agraria, perché arrivata troppo tardi, quando, come rileva Guido Piovene in “Viaggio in Italia”, ormai a quella data quasi nessuno più se la sentiva di affrontare la vita di fatica durissima e di isolamento dei campi e perché era troppo forte l’attrazione del lavoro nelle fabbriche che comportava l’ulteriore vantaggio dell’inurbamento nelle città che consentiva soprattutto ai giovani di sfuggire al soffocante controllo sociale della comunità e della famiglia patriarcale. Indubbiamente, il prezzo pagato moralmente e socialmente per lo sradicamento di un’intera generazione dalle campagne è stato alto, e viene da chiedersi se il feno36


meno fosse ineluttabile, come se lo sarà chiesto sicuramente Carlo Levi. Ovviamente l’auspicio di riscatto di quella classe in loco, era stato elaborato dallo scrittore con i suoi strumenti, le parole e gli scritti, e non c’è alcuna controprova che, se avesse potuto antivedere il mutamento, o si fosse trovato nel suo divenire quando aveva scritto il libro, avrebbe anche combattuto, da intellettuale, per bloccarlo e deviare il corso della storia che si è verificata. Viene da chiedersi ancora oggi se quello sviluppo con lo spostamento di grandi masse contadine al Nord fosse l’unico possibile e praticabile, con i costi morali e materiali che ha comportato per un’intera generazione. Ma si dice che la Storia non si fa con i “se e con i “ma” e allora si può concordare in via generale con Ralf Dahrendorf che, nel suo libretto “Quadrare il cerchio” sostiene che nei periodi di grande sviluppo economico sono fatalmente compressi la libertà politica e/o la coesione sociale. Molte forme di indagine sociale, di etnologia, di letteratura, di musicologia, di cinematografia hanno testimoniato sia gli ultimi momenti della civiltà contadina nel Sud prima che scomparisse o comunque si trasformasse radicalmente, sia le difficoltà e i problemi di coesione sociale, di convivenza, di organizzazione, che si sono dovuti affrontare nelle città e nei distretti industriali di destinazione. Sono gli studi etnologici di Ernesto De Martino sul mondo magico, i documentari di Vittorio de Seta sugli antichi mestieri, feste, riti di contadini e pescatori, sono le preziose registrazioni fonografiche di Diego Carpitella e Alan Lomax sui canti popolari, sono le pagine di letteratura di Domenico Rea sull’agro campano prima della sua mutazione antropologica con al centro l’immaginaria Nofi, luogo del cuore e dell’esperienza, non indegna della campagna russa di un Cecov o della contea di Yoknapatawpha di un William Faulkner. Sono anche le indagini di Franco Alasia e Danilo Montaldi sulle Coree della metropoli milanese di “Milano, Corea”. Feltrinelli 1960, riedito da Donzelli nel 2010, 37


uno degli studi storici più completi e approfonditi sulla immigrazione interna e sulla condizione degli operai, tra cui chiaramente numerosissimi non potevano non essere i contadini del Sud. Franco Montaldi, operaio della Breda e allievo di Danilo Dolci nelle scuole serali, ebbe incarico da lui di raccogliere testimonianze dirette da uomini e donne sulla realtà operaio di allora. A leggere le interviste che ripercorrono con Alasia e Montaldi quel viaggio nell’immigrazione di un’Italia sul crinale tra agricoltura e industria, si trovano anche incredibili richiami al presente. Quasi che il tempo non fosse trascorso se non per cambiare fisionomie e nazionalità a vite disperate; ieri terroni oggi extracomunitari. La “corea”era la grande periferia operaia, prima, se non ultima, tappa del doloroso viaggio della speranza in un futuro migliore. Le trentadue interviste raccolte da Franco Alasia sono altrettanti vividi ritratti di uomini e donne che, loro sì, hanno fatto l’Italia moderna, quella uscita dalla guerra e trasformata sul piano economico, con le più evidenti contraddizioni sociali, anche dai contadini del Sud di Carlo Levi. Quindi, in conclusione, si può dire che Carlo Levi ha veduto in anticipo le problematiche dei contadini del Sud e gli ha conferito per primo un’attenzione sia letteraria e poetica che sociologica. Avrebbe desiderato che i loro problemi fossero risolti in loco, ma poi non ha smesso di occuparsene anche dopo che si era consumata la mutazione antropologica di quella società del Sud e, insieme a loro, di tutta la società italiana. Ha continuato ad occuparsi dei contadini, ormai per la maggior parte divenuti operai al Nord, soprattutto per rilevare e lodare la loro capacità di adattarsi a molteplici realtà, anche, e forse sempre, le più dure. In questo è stato seguito, in pieni anni’50, dal suo figlio letterario Rocco Scotellaro che, con le sue poesie e con la sua azione politica essendo anche sindaco di Tricarico, ha dato seguito ai semi gettati venti anni prima dal suo padre letterario. Un’azione e una testimonianza purtroppo interrotta troppo presto dalla morte prematura. 38


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Testata online aperiodica Proprietà: Comitato per l’Unità Laburista, Strada Sesia 39 14100 Asti (AT) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore: www.issuu.com web: www.issuu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - Tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA), 30 agosto 2019 40


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