N.18 APRILE 2020
IN QUESTO NUMERO // MARTINA CRIPPA, LA TRASFORMISTA // SERIE A1: STAGIONE AI RAGGI X // FOCUS: COSA SUCCEDERÀ? // LA BATTAGLIA DI ERIKA STRIULLI // SERIE A2: E QUALCOSA RIMARRÀ // ZANOTTI, UN CUORE GEAS // SARA, MJ E GLI SLAM // RUBRICHE PINK
APRILE 2020
N.18
in questo numero 1 EDITORIALE Fase 2
3 inside a1
Stagione ai raggi X
9 numbers
Martina Crippa
11 Focus
Cosa succederà?
17 cover story
Crippa la trasformista
23 inside A2
E qualcosa rimarrà
29 Primo piano
La battaglia di Erika
35 altri mondi
Sara, MJ e gli slam
41 storie
Un cuore di Geas
DIRETTO DA Silvia Gottardi REDAZIONE Silvia Gottardi,
Eduardo Lubrano, Marco Taminelli, Giulia Arturi, Manuel Beck, Francesco Velluzzi, Caterina Caparello, Lucia Bocchi, Susanna Toffali
PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal
INFOGRAFICA Federica Pozzecco IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/
46 pink mix
Meccano Floreal
48 PALLA E PSICHE
Andrea Chiaramida, Paolo Marcato/Famila Basket, Massimo Ceretti/Ciamillo Castoria, Massimiliano Lenaz, Roberto Liberi, Peppe Bartolotta, Flammes Carolo, Reyer Venezia, NBA
Breath training
50 guardia e ladri
Quaranteam
FOTO DI Marco Brioschi,
editoriale
FASE 2 di silvia gottardi
Il 4 maggio comincerà la cosiddetta fase due in Italia: si allenteranno cioè le misure d’isolamento introdotte il 9 marzo per contrastare la pandemia di coronavirus e gradualmente saranno riaperte le attività produttive e commerciali. Ci sarà la possibilità di spostarsi per visitare i familiari più stretti, sarà permesso l’accesso ai parchi e alle ville, ci si potrà allontanare dalle proprie abitazioni per fare sport, rispettando la distanza di sicurezza di due metri. Evviva! Ma lo sport di squadra? Quando potremo ricominciare a giocare? È questo che ci stiamo chiedendo un po’ tutti. Di certezze ce ne sono davvero molto poche, navighiamo a vista. Al momento pensare di ripartire sembra impensabile, basterebbe un solo atleta contagiato per tornare nuovamente al blocco totale. In aggiunta ci saranno non pochi problemi per le Società, legati ovviamente alla crisi economica. E allora? Per quanto riguarda il basket femminile si vocifera una possibile ripresa del campionato a dicembre. Sarà vero? In questo numero, nel Focus, abbiamo approfondito tutte le incognite legate al futuro del nostro movimento con tre personaggi di lusso: Petrucci, Macchi e Gallotti. Di sicuro sappiamo che per questa stagione non verrà assegnato lo scudetto, né ci saranno retrocessioni o promozioni. Il campo però ci ha fatto vedere tante cose interessanti, sia in A1 che in A2. Abbiamo quindi voluto analizzarle, anche se il campionato è finito prima. Colgo l’occasione anche per ricordare Franco Lauro, spentosi lo scorso 14 aprile all’età di 59 anni. Per tanti anni una presenza costante nelle nostre case come voce narrante del basket sui canali Rai, è stato anche un grande estimatore e amico del basket femminile, di cui ha raccontato, tra l’altro, il mitico argento europeo del 1995. Quando tutto questo finirà e le retine ricominceranno a ciuffare, mancherà ancora di più.
DEARICA HAMBY ANCHE QUEST’ANNO HA GIOCATO DA MVP. RAGUSA RIUSCIRÀ A TRATTENERLA?
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Stagione ai raggi X
GIANNI RECUPIDO E SANDRO ORLANDO, COACH RISPETTIVAMENTE DI RAGUSA E BATTIPAGLIA, TIRANO LE SOMME DI UN CAMPIONATO LASCIATO A METÀ.
MA CHE AVREBBE CONTINUATO A DARE SODDISFAZIONI. LE RICHIESTE? PIÙ GIOVANI, CAMPI PIÙ LARGHI E PIÙ BASKET NELLE SCUOLE
Di EDUARDO LUBRANO
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ove eravamo rimasti? Al 6 marzo scorso quando in
pieno allarme Covid-19 si giocò Schio-Geas. Unica partita della 23a giornata della serie A1 ed ultima gara disputata prima del tutto fermo o lockdown se preferite. Prima si erano giocate due partite della 22a giornata (Schio-Broni e Costa Masnaga-Ragusa) il 3 marzo e due della 20a (Battipaglia-Venezia e Vigarano-Ragusa) nel fine settimana del 21-23 febbraio. Nessuna partita della 21a cosicché l’ultima giornata completa è stata la 19a, quella del 16 febbraio scorso. La classifica allora – nonostante ci siano squadre che hanno giocato 21 partite, alcune 20 ed altre 19 – era questa: Schio 38, Venezia e Ragusa 34, S. Martino 26, Geas 24, Lucca 22, Empoli, Vigarano (playoff) e Broni 16, Palermo 14, Costa Masnaga 12, Torino e Bologna 10, Battipaglia 4. Insomma si è giocato il girone di andata e metà di quello di ritorno, una base per fare comunque una valutazione di quanto accaduto e di quanto si è visto. In termini statistici le straniere hanno dominato in
quasi tutte le categorie. Le italiane migliori in questo senso sono state Bocchetti di Vigarano, decima per punti segnati, ma soprattutto Ilaria Milazzo di Torino che è nona per minuti giocati, prima nella percentuale ai liberi con un meraviglioso 91.3%, quarta negli assist. Bene anche Barberis, Nori ed ancora Bocchetti per minuti giocati; Trimboli col 50% al tiro da 3; Ostarello di S. Martino e Barberis di Torino rispettivamente per rimbalzi offensivi e difensivi: Panzera del Geas e Natali di Vigarano nelle palle recuperate ed infine sempre tra le prime dieci come le altre, Bonasia di Lucca nelle palle recuperate.
“Secondo me è stato un campionato diverso da altri – dice
Gianni Recupido, coach della Passalacqua Ragusa, uno dei nostri ospiti, mentre l’altro è Sandro Orlando, allenatore della O.ME.P.S. Battipaglia – perché ho visto molte squadre provare a correre, non nel senso del semplice run&gun ma in quello della velocità del gioco e della transizione. Un po’ quello che noi a Ragusa
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VERONA & BOCCHETTI DUELLO TRA DUE PROTAGONISTE ITALIANE DI QUESTO CAMPIONATO. VERONA MENTE E BRACCIO DI UN OTTIMO GEAS, BOCCHETTI PRIMA ITALIANA PER PUNTI SEGNATI.
facciamo da tre anni. Ma bisogna avere la squadra, le giocatrici giuste. Il campionato mi è parso bello in testa ed in coda e prova ne è, a mio parere, quante volte le squadre di vertice, noi comprese, siano cadute di fronte a formazioni più indietro”. Chi e cosa l’hanno colpita in particolare? “Posso iniziare da Ragusa? Penso di non aver
mai avuto una squadra così forte come quella di quest’anno. Senza nulla togliere alle altre. Ma questa aveva qualcosa in più. Eppure noi ogni anno cambiamo abbastanza perché le nostre migliori giocatrici vengono richieste dalle squadre con ambizioni e possibilità più consistenti delle nostre, che rappresentano il terzo budget dopo Schio e Venezia. Ad oggi per esempio temo che sarà difficile tratte-
nere Hamby. Mi ha colpito la crescita di San Martino, continua con i suoi giochi di movimento e poco P&R. Il marchio di fabbrica di Schio cioè l’alto-basso ed il nuovo modo di giocare di Venezia con l’arrivo di Ticchi. Ho visto difese aggressive, Ragusa per esempio, transizione e, per le squadre che possono permetterselo, la palla dentro ad un centro di valore. Poi raddoppi sistematici sui P&R laterali ma anche una
maggiore velocità nell’esecuzione del pick&roll stesso”. Tornando all’estate d’oro delle nostre nazionali giovanili, è rimasto sorpreso da quei risultati e quale dovrebbe essere il giusto utilizzo di quelle ragazze? “Sì, sono rimasto sorpreso ma non certo per la qualità dei nostri allenatori né delle giocatrici che so essere altissima. Mi stupisce a monte il fatto che con così po-
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inside A1 che tesserate (25mila ndr) il nostro movimento riesca ad esprimere tante vittorie continuate nel tempo. Bravi i miei colleghi del settore giovanile nazionale e bravi quelli delle società. Quanto all’utilizzo, credo che il modo migliore per dare seguito alla crescita di queste giocatrici sia quello di far loro giocare la pallacanestro europea, quella delle Coppe. Non dobbiamo disperdere questi talenti: diamo, come movimento, un incentivo alle squadre per fare le competizioni europee. In questo modo, ma anche con altre modifiche, dobbiamo cercare di mantenere alto il livello del campionato”.
Di opinione leggermente diversa dal suo collega Sandro Orlando,
che da Battipaglia ha visto il campionato dal basso. “Vero però anche che con una squadra contata nel roster e con tante esordienti noi abbiamo giocato tutte, o quasi, le partite per tre quarti del tempo. Il campionato, salvo qualche eccezione, non mi ha entusiasmato. Certamente Ragusa mi è piaciuta molto, mi ha divertito, era bilanciata e Vigarano per certi versi ha espresso il suo potenziale. Le altre sono state un passo indietro, specie a Ragusa. È come se tutte non si fossero ancora, per un motivo o per l’altro, espres-
ti delle giovani. Pastrello e Orsili si sono infortunate mentre stavano facendo bene. Credo che l’esempio migliore sia quello di Costanza Verona che ha avuto una crescita importante grazie ad un percorso di carriera intelligente, solida e con margini ulteriori di miglioramento. Come Del Pero. Al di là di tutto, io penso che le nostre ragazze debbano avere dentro di loro il sacro fuoco della determinazione a migliorare, facendo scelte coraggiose oggi che diano frutti domani, senza lasciarsi attirare dalle pur comprensibili lusinghe di squadre di altissimo livello dove trovano poco spazio”. A proposito del tiro da tre, pensa che siamo arrivati al punto che bisogna allargare il campo? “Sì, ma ritengo che una richiesta del genere debba partire dal maschile dove il problema della taglia dei giocatori è sempre più urgente. Per il nostro movimento credo sia necessario prima altro: allargare la base. Sensibilizzare gli insegnanti di educazione motoria. Oggi scienze motorie ha poca pratica e molta analisi delle questioni mediche. Per questo dovremmo entrare nelle scuole, servirebbe un’ora al giorno
«MI STUPISCE A MONTE IL FATTO CHE, CON COSÌ POCHE TESSERATE, IL NOSTRO MOVIMENTO RIESCA AD ESPRIMERE TANTE VITTORIE CONTINUATE NEL TEMPO». Gianni Recupido se al meglio. Ha corso chi poteva con esterne ed un centro importante. Tutte le altre potevano correre o ragionare, ma progressivamente hanno scelto di ragionare. Mi sono piaciute le americane di San Martino, Angela Bjorklund e Jazmon Gwathmey ed ho trovato un buon segnale la permanenza di Sandrine Gruda. I playoff però sarebbero stati divertenti con le prime quattro della classifica a giocarsi le semifinali. Le altre mi sembravano ancora in una palude di problemi irrisolti. Empoli per esempio che ha perso tanto con l’infortunio di Madonna”. Qualcos’altro di tecnico che ha notato? “I giochi in movimento e gli stagger di San Martino per privilegiare la Bjorklund. La Virtus Bologna che ha vissuto un pre Harrison con Salvadores protagonista ed un dopo Harrison con l’americana assolutamente fulcro del gioco. Il numero dei tiri da tre che si è notevolmente alzato ed il fatto che solo chi ha roster importanti può permettersi ritmi alti”. Lei è uno degli allenatori vincenti con le giovanili nel 2019. Come ha visto queste ragazze? “Poco. A parte Costa Masnaga, Lucca, Vigarano e Sesto non mi vengono in mente inserimenti importan-
di quella che una volta si chiamava educazione fisica. Anche perché in questo modo noi saremmo molto avanti col minibasket che è ben organizzato”. Che sia visto dall’alto o dal basso, il campionato chiuso dalla Lega Basket Femminile lo scorso 3 aprile, ha mostrato cose interessanti ed altre meno. Però dalle parole dei nostri interlocutori è sembrato emergere un certo equilibrio sia pure con la grande distanza fra le prime tre e le altre. Alla continuità di Schio e Venezia si è aggiunta ormai da tempo quella di Ragusa, forse la squadra più divertente da vedere nei sei mesi di attività, e la crescita di San Martino e Geas nei piani alti. Così come in coda, volendo dare per scontata la retrocessione di Battipaglia, l’altro posto era in gioco tra almeno quattro squadre, da Palermo a Bologna. Le italiane? Come abbiamo visto dalle statistiche con Milazzo, e letto nelle parole del coach di Battipaglia, con Costanza Verona si sono comportate bene anche altre ragazze. Qualche giovane ha sofferto ma forse, dopo l’ondata di successi europei giovanili, tutti ci aspettavamo chissà cosa da loro. Bisogna avere pazienza e strutturare le cose in un altro modo. Ma questo è argomento di un altro articolo in questo numero di Pink Basket: la ripartenza.
BEATRICE DEL PERO CLASSE 1999, HA AVUTO UNA CRESCITA IMPORTANTE GRAZIE AD UN PERCORSO DI CARRIERA INTELLIGENTE. SOLIDA E CON MARGINI ULTERIORI DI MIGLIORAMENTO.
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LAURA MACCHI CLASSE 1979, QUESTA AVREBBE DOVUTO ESSERE LA SUA ULTIMA STAGIONE, MA COVID19 HA CAMBIATO LE CARTE IN TAVOLA. LA VEDREMO ANCORA IN CAMPO?
focus
COSA SUCCEDERÀ? LO SCENARIO LEGATO AL COVID 19 HA GENERATO INCOGNITE SULLA SITUAZIONE
ATTUALE MA ANCHE SUL PROSSIMO FUTURO. ASPETTI CHE ANALIZZIAMO CON UNA
CAMPIONESSA COME LAURA MACCHI, CON IL PRESIDENTE FEDERALE GIANNI PETRUCCI E CON LORENZO GALLOTTI, PROCURATORE DELL’AGENZIA TWO POINTS
di Marco Taminelli
i
l Primo tema è legato ovviamente proprio alla chiusura re-
pentina ed anticipata dei campionati di basket. Quali le immediate ripercussioni? “Vedo molta confusione – spiega Macchi – dettata ovviamente anche dall’incertezza di un periodo come questo. Con la mia squadra (Venezia) ci siamo subito trovate di fronte alle prime conseguenze di questa emergenza, basti pensare ai famosi episodi di squadre che hanno rinunciato a giocare una gara contro noi italiane nelle coppe. Reyer che posso solo ringraziare per avere sempre cercato di darci supporto, attenendosi con grande scrupolo alle norme di sicurezza, prima di venire travolti da qualcosa che non potevi nemmeno immaginare accadesse. Credo che in questo momento sia difficile pensare a come si possa ripartire, ora si deve pensare alla sicurezza delle persone e, nel nostro caso, di atleti, staff e personale tutto che ruota attorno alle squadre. Guardiamo anche al calcio, che preme in ogni modo per ricominciare. E se poi dovesse capitare un nuovo contagio già magari dopo
una o due partite? Una sola positività vorrebbe dire dover chiudere tutto, ed in fretta. Capisco gli interessi economici di un mondo molto distante dalla pallacanestro femminile, ma ne vale veramente la pena? Spero che gli sportivi riflettano su questo tipo di scelte”. Punto di vista ribadito in modo altrettanto netto anche dal Presidente Petrucci, che spiega anche alcuni aspetti ulteriori legati proprio alla scelta obbligata di fermare le competizioni. “Ci siamo fermati perché era giusto farlo. Anche prima delle altre discipline. Forse solo al rinvio dei Giochi Olimpici, che per primi abbiamo previsto che non si potessero disputare, partendo dai Tornei Preolimpici a cui avremmo dovuto partecipare, c’è stata la piena comprensione di quello che stava accadendo. Ricordo ancora la drammaticità della notte fra il 7 e l’8 marzo. Alcune squadre, anche in Serie A femminile, non sarebbero potute rientrare nella propria sede se avessero giocato la partita di campionato dell’ 8 pomeriggio per i nuovi provvedimenti, all’epoca, sullo stop alla mobilità per contra-
focus GIORGIA SOTTANA ATLETA DELLA TWO POINTS DI GALLOTTI. QUEST’ANNO IN FORZA AL FLAMMES CAROLO (FRANCIA), HA APPENA ANNUNCIATO IL SUO CLAMOROSO RITORNO A SCHIO.
stare la diffusione del Coronavirus. Per non parlare dei rischi di contagio. Non abbiamo avuto dubbi: la salute prima di tutto. Abbiamo autorizzato, anche grazie alla collaborazione delle Leghe, il rientro a casa nella notte. Lo stop ha portato con sé una serie di problemi economici inevitabili: meno partite, meno incassi, meno soldi. E rapporti con gli sponsor e con le tv da verificare. Giocatori, società e sponsor hanno capito da subito, e di questo ne sono grato, che litigare non avrebbe portato a nulla e hanno trovato soluzioni anche se ognuno ha dovuto rinunciare a qualcosa. La FIP, da parte sua,
ha deciso di fare interventi concreti a favore delle società. Sottolineo che anche la Federazione, per quanto riguarda le sponsorizzazioni, subirà un forte ridimensionamento per la mancata partecipazione ai Tornei Preolimpici”. Ancora più tecnica l’analisi di Gallotti che entra nei dettagli: “ Questa scelta obbligata crea ovviamente dei problemi al sistema: la perdita di sponsor e di risorse per le società, salari delle giocatrici a cui viene chiesta una riduzione su stipendi e magari durata dei contratti. Trovare degli accordi è davvero non semplice in tanti casi,
anche se tutti siamo consapevoli dell’eccezionalità del momento, e che dovremo tutti guadagnare di meno”. In questo senso decisivo diventa il rapporto tra tutte le componenti del basket per guardare al prossimo futuro. Dialogo quindi tra le parti ed in primo piano proposte e scelte per rendere meno difficile l’auspicata ripartenza. “Il dialogo – spiega il Presidente Petrucci - è stato il tratto caratteristico di tutto questo lungo periodo di crisi. Abbiamo chiesto a tutte le Leghe di presenta-
re proposte alla FIP per il campionato 2020-21 che verificheremo nell’interesse dello sviluppo del movimento. Inoltre non appena ci saranno le condizioni vogliamo incontrare de visu presidenti e proprietari. Insieme ai tecnici del Settore Squadre Nazionali affronteremo temi importanti quali la struttura delle competizioni, dalle giovanili alla Serie A, e le attività dalla stagione 2021-22. Per il settore maschile e per quello femminile. Per quel che riguarda progetti concreti e contributi la Federazione ha deciso di destinare 4 milioni del proprio budget di previsione 2020 alle
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focus società. In pratica per il campionato 2020-21 le società femminili non pagheranno le tasse di riaffiliazione, di iscrizione ai Campionati e di sponsorizzazione, così come saranno gratuiti i tesseramenti giovanili dal Minibasket all’Under 20”. Ambiti fiscali e contributivi sottolineati anche dalla stessa Macchi: “Le grosse difficoltà di oggi ci portano a soluzioni emergenziali che penso in qualche modo saranno prese nel prossimo futuro. Sgravi fiscali per le società e soprattutto per gli sponsor, che saranno già alle prese con le varie crisi di settore: investire nello sport deve essere considerato un eccellente investimento, altrimenti un settore già in difficoltà come il nostro universo del basket femminile ne soffrirebbe ancora di più”. Temi sollevati anche da Gallotti che focalizza ulteriori aspetti: “Difficile pensare ad un tavolo che veda coinvolti anche noi agenti come parti in causa. Spesso veniamo visti da società e Federazioni come elemento che “toglie” risorse dall’interno del sistema. Tornando al tema principale sicuramente defiscalizzare le sponsorizzazioni è operazione vitale, pensiamo anche al prossimo futuro dove forse avremo ancora partite a porte chiuse. Per uno sponsor legato al basket femminile, settore già in
e campionati. L’ambiente del basket femminile a volte sembra un po’ rigido e chiuso, limitato al piccolo cabotaggio. Questa enorme crisi spero possa portare ad una ventata di aria nuova e con altre idee all’avanguardia. Penso anche ad un possibile ridimensionamento del campionato di A2 femminile, magari con un solo girone, oppure due da 8 squadre divise tra Nord e Sud, per poi avere una fase finale comune. A2 femminile che, mi spiace dirlo, forse con troppe squadre ha diluito il talento, e quindi anche la qualità del torneo. Ripartire sarà la vera sfida, più saremo fermi più sarà complesso provarci, mi auguro che le squadre non abbiano problemi a volare in Italia ed Europa, avremo bisogno di un minimo di normalità. O perlomeno di provarci, sempre in assoluta sicurezza, aspettare una cura che (speriamo a breve) ci possa dare una mano a combattere questo virus e per rendere la nostra vita quotidiana meno bloccata”. “Risposte secche e definitive – analizza Macchi - è difficile darle con la lente di oggi. Si può però provare ad esempio a creare dei piccoli “tesoretti” per le società in difficoltà e che rischiano seriamente di non poter ripartire, penso ad un fondo, ad una sorta di immediato contributo che
«In questo momento è difficile pensare a come ripartire, ora si deve pensare alla sicurezza delle persone. Nel nostro caso di atleti, staff e personale che ruota attorno alla squadra». Laura Macchi difficoltà per via dei pochi contratti, il non poter avere nemmeno la possibilità del legame con la visibilità attiva delle gare nei palazzetti renderà ancora meno appetibile investire nel femminile”. Nel post emergenza, sperando che questo autunno la situazione sia decisamente migliore, quali le opportunità o le speranze su come gestire e ripartire per tutto il movimento del basket femminile? “In ogni crisi – sottolinea ancora Gallotti- si possono trovare anche dei lati positivi. Giocare a porte chiuse significa che la FIP potrebbe provare a spingere per realizzare una TV streaming funzionante. Per ora siamo indietro anni luce, i numeri sono ancora bassi. Non è ancora nella cultura italiana questa modalità, il basket cerca e deve avere visibilità e lo streaming è una strada importante. Esistono poi – conclude Gallotti- difficoltà economiche ricorrenti già da diverse stagioni da parte di alcune società. Una crisi di questa portata può causare anche la chiusura di queste realtà, lasciando invece attive quelle che hanno cercato di mantenersi sempre in corretta linea di galleggiamento. Mancano forse idee e con coraggio, anche innovazioni, provare magari a copiare da altri sport
consenta alle squadre di poter fare fronte alle spese per riorganizzare la stagione. Non sarà facile per nessuno riprogrammare, ci saranno decisioni difficili e magari anche dolorose con il rischio che il gap tra le poche squadre, penso alla A1 ad esempio, che hanno una struttura solida e quelle che possono avere delle maggiori difficoltà si apra ulteriormente. Sarà difficile anche per noi atlete riprendere: allenarsi dopo oltre 7 mesi di stop, con il rischio di doversi poi fermare di nuovo che sarebbe devastante per ogni giocatrice. Per quel che mi riguarda ovviamente ancora di più, doveva essere la mia ultima stagione quella con Venezia, adesso questa chiusura anticipata ha cambiato e molto le carte in tavola, per le decisioni definitive penso sia ancora prematuro”. Stiamo ancora attraversando – chiosa il Presidente Petrucci - un periodo decisamente tragico. Io di natura sono ottimista, ma con i tanti decessi che ci sono ancora ogni giorno, nel momento in cui parliamo, non è facile fare previsioni. Sarà dura e ci vorrà tempo. Poi sarà nostro compito portare avanti programmi e progetti che nasceranno dal confronto con le componenti della nostra pallacanestro, con maggiore perseveranza di prima, anche nel nome di chi non è più con noi.”
GIANNI PETRUCCI CAPITA LA GRAVITÀ DELLA SITUAZIONE, IL PRESIDENTE FEDERALE HA FATTO IN MODO CHE IL BASKET SI FERMASSE SUBITO, ANCHE PRIMA DELLE ALTRE DISCIPLINE.
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MARTINA CRIPPA CLASSE 1989, ALLA SUA SECONDA STAGIONE A SCHIO, STA RECUPERANDO DA UN INFORTUNIO AL GINOCCHIO OCCORSO DURANTE UNA PARTITA CON LA NAZIONALE
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crippa LA TRASFORMISTA NATA ATTACCANTE (TRE STAGIONI IN DOPPIA CIFRA IN A1), È DIVENTATA
SPECIALISTA DIFENSIVA: “MI SONO ADEGUATA ALLE NECESSITÀ DEI MOMENTI E DEGLI ALLENATORI”. GEAS, LUCCA, DIAMANTI, PENICHEIRO, JOHANNÉS: ECCO I NOMI CHE APRONO LO SCRIGNO DEI SUOI RICORDI
di giulia arturi
S
econdo una logica deterministica, tutto accade secon-
do rapporti di causa-effetto. Geas-Crema fu una delle prime partite del campionato di A2 2007/08. Finì con una vittoria di Crippa e compagne dopo ben tre supplementari. Martina era cambiata in panchina, ma a causa di un infortunio muscolare era stata tenuta precauzionalmente a riposo. Certo nessuno pensava che quel sabato i minuti giocati sarebbero stati 55, con i conseguenti problemi di falli. Così, nel primo supplementare toccò a lei. “Te la senti?” le chiese il tecnico Roberto Galli. “Certo”. Acciaccata, senza riscaldamento, entrò e fu decisiva. Fece sembrare quel “certo” la risposta ovvia. Ecco uno dei segreti di Martina: fare benissimo le cose solo apparentemente scontate. È la maggior interprete dell’arte delle piccole grandi cose: palle rubate, recuperi, aiuti. Tanti la reputano una specialista della difesa. Ma è molto più di questo. È anche un’attaccante di grande talento: in due stagioni a Lucca ha chiuso in doppia cifra di media. E l’aveva già fatto poco più che ventenne nel
Geas di A1. Però in carriera ha avuto l’umiltà e l’intelligenza di fare sempre quello che serviva alla squadra, che fossero tre punti o uno sfondamento subìto, diventando una giocatrice insostituibile per tutti i suoi allenatori.
La carica emotiva di quel successo ai supplementari fu fonda-
mentale per vincere il campionato. E così, la stagione seguente, a 19 anni, Martina si trovò in quintetto in una serie A1 con quattro straniere. Poi Faenza, Taranto, lo scudetto a Lucca, l’Eurolega a Schio. Il rapporto causa-effetto è un po’ illusorio e ingeneroso: tra quel 2007 e oggi ci sono anni di allenamenti e di cambiamenti, costati un investimento caratteriale importante. Una battaglia vinta con le sue insicurezze, ormai quasi del tutto piegate dalla forza di volontà. In campo è affidabile e sicura. Un infortunio al ginocchio con la maglia azzurra durante le qualificazioni ai prossimi Europei ha fermato Martina in questa stagione, ma la rivedremo presto protagonista.
cover story
CRESCIUTA NEL SETTORE GIOVANILE DEL GEAS, MARTINA HA GIOCATO ANCHE A FAENZA E TARANTO, PRIMA DI ARRIVARE A LUCCA E POI A SCHIO. IN TOSCANA HA VINTO LO SCUDETTO DEL 2017, DA CAPITANO.
Come sta andando la riabilitazione? “La prima parte che richiede di aver vicino un fisioterapista, l’avevo già conclusa. Poi nel momento in cui dovevo cominciare l’attività più dinamica non ho potuto farlo. Sono tornata a casa proprio il fine settimana in cui è iniziato il lockdown e sono rimasta bloccata qui. Ora mi sto arrangiando riuscendo comunque a svolgere tutti gli esercizi del programma. Aggiungendo grandi pedalate sul balcone con la cyclette e andando su e giù dall’ottavo piano. Non vedo l’ora di poter riprendere. Ho fiducia, anche se non potersi confrontare con nessuno per capire come sta andando è una situazione difficile”. Partiamo dal passato. Al primo anno di A1 con il Geas, stagione 2008/09, a 19 anni, eri in quintetto. Che effetto ti ha fatto essere stata dall’inizio una pedina importante e vivere l’aria di uno spogliatoio completamente cambiato? “Roberto Galli mi ha dato tanta fiducia, buttandomi in campo sin dall’inizio, e per me è stata un’esperienza eccezionale, anche perché esordire in A1 con la maglia del Geas, la società che mi ha fatto crescere ha avuto un significato speciale”. Quell’anno in squadra c’era Ticha Penicheiro. Te la ricordi? “E come potrei mai dimenticarla! La maggior parte dei
canestri che segnai quell’anno furono grazie ai suoi fantastici passaggi: improvvisamente ti ritrovavi con la palla in mano senza nemmeno sapere da dove arrivava! In allenamento la pallonata in faccia era sempre dietro l’angolo. È stata la giocatrice che più mi ha colpito, per professionalità, umiltà e dedizione al lavoro. Quell’anno eravamo veramente forti perché assieme a Ticha, c’erano Ice (Tillis, che vinse la classifica marcatrici, ndr) e Clarisse Machanguana”. Tante anche le soddisfazioni nei campionati giovanili. Hai qualche episodio che ricordi con particolare piacere? “Sicuramente lo scudetto juniores vinto con il Geas nel 2004. Un girone incredibile: dopo aver perso le prime due partite, la terza era da vincere obbligatoriamente di 27 punti contro Parma per passare alle fasi eliminatorie. Missione compiuta: quindi semifinale contro l’allora imbattibile Treviso di Sottana e poi la finale contro Trieste. Davvero una settimana indimenticabile e festeggiamenti infiniti!”. Il tuo apprendistato sia in A2 che in A1 è durato poco. Avvertivi molto la pressione di essere protagonista già da adolescente? “Sì, visto anche la mia natura un po’ ansiosa! Ma ho avuto sempre vicino giocatrici esperte e di carattere che mi hanno aiutato ad affrontare le varie situazioni,
e poi una volta in campo dimenticavo tutto. Sono stati anni bellissimi, anche di grande divertimento”. Hai detto che sei un po’ ansiosa, anche se vedendoti in campo non si percepisce proprio. Nel corso della carriera sei riuscita ad imparare a gestire questa situazione? “A dire la verità no! (risata). Prima di ogni partita mi sento sempre come se fosse la prima. Questa componente del mio carattere mi accompagna tutt’ora, ma grazie all’esperienza è molto migliorata”. Qualche rito scaramantico per mantenere la concentrazione? “Uso sempre lo stesso top e le stesse calze per la partita. Ascolto due o tre canzoni prima di entrare in spogliatoio e in borsa ho sempre una tavoletta di cioccolato fondente con le nocciole, non si può mai sapere se capita un calo di zuccheri (risata)”. Abbiamo parlato di Ticha Penicheiro, ci sono altre giocatrici che ricordi con entusiasmo? “Negli anni del Geas le giocatrici sia italiane che straniere sono state per me di grandissimo esempio in campo e fuori. Con la mitica ‘Svizzi’, (Karen Twehues, ndr) ho migliorato il tiro, grazie alle interminabili gare da tre, con l’esercizio ‘a stella’ che obbligava a velocizzare moltissimo il movimento, e che lei vinceva sem-
pre immancabilmente! Era una tiratrice incredibile: quando entrava iniziava a mettere una serie di canestri da tre impressionante”. Ora dal punto di vista tecnico sei conosciuta come una specialista difensiva. Ma a vent’anni viaggiavi già in doppia cifra ed eri (lo sei anche adesso) una grande attaccante. C’è stata una trasformazione o ti sei adeguata alle richieste degli allenatori? “Sicuramente ho sempre adattato il mio gioco a ciò che in particolare la squadra richiedeva da me. Soprattutto negli anni a Lucca, quando c’erano straniere di grande talento e con molti punti nelle mani, ho cercato di dare il mio contributo aumentando l’aggressività in difesa, che era quello che in quel momento serviva per vincere”. Ti è andato bene questo cambiamento? O ti sono mancate le responsabilità in attacco che ti prendevi prima? “No, la soddisfazione è stato dare quello che serve alla squadra, e non è solo una questione di punti. Devo poi ancora migliorare la mia sicurezza e le scelte in fase di attacco, ma ci arriverò”. Lo scudetto a Lucca come capitana è, per ora, il ricordo più bello della tua carriera? “Sì, sono state emozioni indescrivibili. Non solo la
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cover story conquista del titolo, ma tutto il percorso che abbiamo fatto insieme è stato veramente memorabile, un risultato al quale nessuno credeva”. C’è un episodio di quei momenti che potrebbe descrivere la gioia per quell’annata incredibile? “Quel pareggio raggiunto alla fine di gara tre è stato un momento veramente emozionante. La vittoria finale passa attraverso delle sconfitte anche dure da accettare. La coppa Italia era stata una batosta, eravamo a pezzi, ma ci ha compattato. In quei momenti o ti affossi, o ne esci ancora più forte, ed è quello che abbiamo fatto noi”. In questo momento storico l’argomento cucina va per la maggiore. Ma la tua passione per l’enogastronomia ha radici più antiche. “Sono sempre stata appassionata. A Lucca era il paradiso, mi piaceva moltissimo scoprire nuove osterie, con gli immancabili tordelli. Il nostro posto del cuore era il Ciancino. Un ristorante molto casalingo, favoloso. Non mi dimenticherò mai la gita di squadra nella regione del Chianti”.
taglio. Con Mirco commentiamo le partite, e magari mi dà ancora qualche consiglio come ex allenatore! L’anno dello scudetto si era infatti creata un’alchimia di squadra veramente incredibile”. Da Lucca alla “supercorazzata” Schio, all’Eurolega: un percorso sempre in crescita. Ti sentivi pronta in quest’ultimo passaggio? “Pronta proprio no! Anche in questo caso temevo di non essere all’altezza di una società così importante, di una squadra con la pressione di dover vincere sempre. Dopo cinque anni a Lucca non è stato facile riadattarmi a una nuova realtà, ma la fatica è stata compensata dall’esperienza Eurolega: fantastica e di ulteriore crescita”. Su chi è stato più impossibile difendere nelle partite di coppa? “Direi l’anno scorso Marine Johannès, guardia francese che gioca a Lione. Immarcabile quando decide di giocare, veramente devastante! Ma vita davvero difficile ce l’ho avuta la passata stagione in allenamento: provate voi a fermare Quigley”.
«La soddisfazione è riuscire a dare alla squadra quello che serve per vincere». Facciamo un passo indietro, il distacco forzato dal Geas è stato più un momento difficile o di crescita? “Entrambe le cose. Inizialmente lasciare il Geas, pensarmi lontana dalla società dove ero cresciuta cestisticamente e dalla mia famiglia è stato veramente faticoso. Avevo anche paura di mettermi alla prova e di non essere all’altezza, ma ho cercato gli stimoli positivi: nuova esperienza e occasione di miglioramento. L’ho affrontato come un percorso di crescita personale e così è stato”.
Alla fine, sei diventata una pedina fondamentale anche di Schio. E in Nazionale ti sei guadagnata un posto fisso. Cosa vedono in te gli allenatori? “L’importanza ai dettagli, alle piccole cose. Un rimbalzo, una palla recuperata, tanta aggressività in difesa. L’obiettivo è quello inserirmi in ogni situazione mettendo il mio bagaglio tecnico a servizio della squadra. Anche vero che poi per vincere conta chi segna di più (risata). Ma non sarei arrivata fin qui senza la fiducia degli allenatori”.
Il dopo Geas ti ha vista prima a Faenza, poi a Taranto e quindi a Lucca che è diventata la tua seconda casa. Come è stato il rapporto con questa realtà? “Prima di tutto mi sono innamorata subito di Lucca: le mura, la città, un posto che davvero ora sento mio. Se all’inizio avevo qualche dubbio di essere adatta al progetto, poi è stato tutto il contrario. Il modo di allenare di Mirco Diamanti e la sua impostazione nel far giocare la squadra si sono rivelati quelli giusti per me. Mi ha insegnato molto, soprattutto sul versante difensivo, e al di fuori del campo è stato sempre presente e di grande aiuto. E con il passare degli anni abbiamo imparato a conoscerci meglio e a condividere il suo modo di intendere il basket”.
A proposito di difesa, un intervento che non dimentichi? “Parlando di difesa mi ricordo molto bene tutti gli esercizi del martedì con Mirco sul tema sfondamenti. All’inizio una fatica, ogni volta una tua compagna di squadra che ti arriva addosso come un treno non è uno scherzo (risata). Ma poi sono diventati gesti automatici che si facevano senza pensarci”.
Cosa ricordi in modo particolare di Mirco? “Il suo modo di allenare, il lavoro puntiglioso sul det-
Sei ormai una veterana. Come ti sei calata nel ruolo? “Questi ultimi anni sono davvero volati! Dall’essere la più piccola del gruppo, a una delle più vecchie della squadra è stato un attimo. Ogni tanto mi chiedo come sia stato possibile. Comunque, spero di continuare ad avere la stessa passione degli inizi, di giocare ancora qualche anno, magari di vivere tutto con maggiore serenità e di riuscire a divertirmi ancora!”.
CON LA NAZIONALE UN LUNGO RAPPORTO: 4 EUROPEI GIOVANILI, E 3 EUROPEI SENIOR. “VESTIRE LA MAGLIA AZZURRA È UN ONORE E UN SOGNO CHE SI REALIZZA. OGNI VOLTA È COME SE FOSSE LA PRIMA”.
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E QUALCOSA RIMARRÀ BILANCIO, PER QUANTO POSSIBILE, DI UN CAMPIONATO DI A2 INTERROTTO ALLA VIGILIA DEGLI APPUNTAMENTI PIÙ IMPORTANTI. CHI HA FATTO BENE E CHI MENO; LE GIOCATRICI PIÙ IN EVIDENZA; LE PARTITE DA RICORDARE. PERCHÉ STAGIONE INCOMPIUTA NON VUOL DIRE INUTILE
di manuel beck
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ome una bella festa interrotta da un’irruzione inde-
siderata e violenta mentre stavano per arrivare i balli migliori e la torta finale: così è finita la stagione 2019/20 di A2. Stava per andare in scena la Coppa Italia a Moncalieri ed eravamo quasi a metà ritorno in campionato, poi ci saremmo goduti playoff e playout. Ma il coronavirus ha mandato tutti a casa. Nello scorso numero di Pink abbiamo raccontato le drammatiche settimane dall’inizio dell’emergenza alla sospensione definitiva, divenuta ufficiale il 3 aprile. L’ultimo turno completo si era disputato il 15-16 febbraio, poi un codazzo di partite “a macchia di leopardo” fino al 7 marzo, sicché le classifiche cristallizzate allo stop risentono del diverso numero di gare giocate dalle squadre (da 18 a 22). Qui ripercorriamo gli spunti principali offerti da una stagione che, nonostante l’interruzione brutale, merita di essere ricordata, anche se non ha prodotto verdetti. Il tutto nell’attesa che una nuova festa possa co-
minciare, ma purtroppo, mentre scriviamo, nessuno è in grado di dire quando. Sulla carta è ancora viva la proposta della Lega di disputare la Coppa Italia di A2 (come quella di A1) in settembre, se ci saranno le condizioni.
CONTINUITÀ AL VERTICE In entrambi i gironi, le prime tre,
al comando con netto margine, erano già nelle stesse posizioni lo scorso anno (per l’esattezza fra le top-4, insieme a Costa e Palermo che poi salirono in A1). Stiamo parlando, in ordine di classifica, di Moncalieri, Crema e Alpo al Nord; di Campobasso, Faenza (romagnole due punti sotto le molisane ma con una partita in meno, quindi potenzialmente pari) e La Spezia al Sud. Era insomma un campionato nel segno della continuità al vertice. Va notato che Alpo ha saputo confermarsi nonostante profondi cambiamenti in organico, mentre le altre hanno costruito sulle fondamenta solide dell’anno precedente. Di stampo più
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Moncalieri e Campobasso hanno chiuso in testa alle classifiche “cristallizzate”. Subito dietro di loro, Crema e Faenza, tallonate a loro volta da Alpo e La Spezia. Staccate le altre, che andiamo ad analizzare fascia per fascia difensivo il gioco delle migliori al Nord, più “potenza di fuoco” e punteggi alti per le big del Sud. Ma chi aveva le carte migliori per conquistare le due promozioni in palio, una per girone? Moncalieri di coach Terzolo e Campobasso di Sabatelli, al di là della vetta provvisoria, sono quelle che hanno fornito più dimostrazioni di forza (ovvero scarti eclatanti); ma Crema e Faenza le avevano battute al ritorno. Curiosamente, le appena citate formazioni di Stibiel e Paolo Rossi hanno perso due delle prime 3 partite, poi solo una volta nei 4 mesi seguenti: potevano mettere la freccia e prendersi il primato. Poi, nei playoff, come sempre succede quando le differenze sono sottili, avrebbero deciso gli episodi e lo stato di forma; e questo ovviamente non esclude che spuntasse un’outsider rispetto alle “top 6” finora nominate.
LE MIGLIORI DOPO LE “BIG” Al Nord è stata Carugate a prece-
dere tutti per il quarto posto, prendendosi il biglietto per la Coppa Italia per la prima volta nella sua storia: con un impianto difensivo tra i più solidi e un attacco disciplinato è stata più forte dell’infortunio di Gambarini e dei problemi di salute che hanno tenuto più volte ai box coach Cesari. Lo stesso obiettivo è stato sfiorato da Bolzano, partita fortissimo (6 vittorie), poi sfortunata nello sprint per la Coppa e nelle perdite di Mingardo e Desaler; ma le altoatesine restano fra le sorprese positive della stagione. C’era pure Castelnuovo in piena corsa per il quarto posto, con un potenziale notevole ma espresso in modo discontinuo, in parte per colpa degli infortuni. Anche al Sud si era distinto un trio alle spalle delle prime. Ariano Irpino, neopromossa , è stata subito “da corsa”; unica a battere Faenza da metà ottobre in avanti. La Nico Ponte Buggianese, tra le più rinforzate rispetto all’anno scorso, è partita bene, ha avuto una flessione, ma è riemersa forte da fine dicembre in poi. Al momento dello stop le campane e le toscane avevano scavalcato Umbertide (che però ha giocato meno partite), brava a strappare a fine andata, all’ultimo respiro, il quarto “pass” per la Coppa, battendo Ariano. Le imprese su Faenza e La Spezia sono state le altre perle stagionali per le umbre.
A METÀ DEL GRUPPO Al Nord c’erano cinque squadre in un
fazzoletto di 2 punti, tra settimo e undicesimo posto, a cavallo cioè tra playoff, salvezza diretta e playout. Con la possibilità ancora aperta, soprattutto per chi aveva la “freccia in su”, di agguantare qualcuno più in alto: tra
queste spicca il Sanga Milano, cresciuto forte dopo la partenza lenta, e con un buon calendario in vista nella parte finale di stagione. Stava piacendo anche S. Martino, con l’ennesima scommessa vinta sulle giovani, brave a cavarsela anche quando le migliori individualità erano impegnate in A1. Sotto le attese, invece (ma poteva ancora “redimersi” e dar fastidio nei playoff, visto l’elevato potenziale) Udine, altalenante al punto da produrre una striscia da 4 vittorie esterne e 5 k.o. casalinghi di fila. Meglio dei pronostici iniziali stava andando Albino, con una notevole capacità di “rimbalzare” da prestazioni opache a grandi imprese; mentre Sarcedo, che consideravamo un’outsider per i quartieri alti, non stava dando seguito al suo buon inizio. Al Sud erano quattro le squadre a gravitare intorno al baricentro della classifica; tre di loro erano incollate alle posizioni davanti. Il Cus Cagliari, e poco sotto Selargius, stavano disputando una stagione più che onesta. Potevano giocarsi la palma di “miglior sarda” e un biglietto-playoff in un testa-a-testa fino all’ultimo. Discorso particolare per S.G. Valdarno, che avevamo indicato fra le favorite d’inizio stagione, invece poi tentennante al di là delle oggettive traversie (lunga assenza di Pieropan, divorzio da Rosset, dimissioni di coach Altobelli); ma sembrava sulla strada buona per andare ai playoff e là recitare da mina vagante. Un po’ più indietro era Civitanova, frenata da qualche passo falso evitabile ma che non stava mostrandosi peggio delle dirette concorrenti; aveva pescato bene il rinforzo Perez a stagione in corso.
IN CODA Al Nord era già segnato, per quanto non anco-
ra matematico, il destino di retrocessione diretta per Marghera e Vicenza, rispettivamente 3 e 1 vittoria in 20 partite: due squadre giovani che non sono riuscite a trovare sufficiente concretezza per fare risultati (alle vicentine non sono bastati i due cambi d’allenatore, compreso il fugace ritorno di Aldo Corno). Erano probabili i playout per Mantova, che dopo lo scotto iniziale della debuttante, stava reggendo più che dignitosamente (con tanto d’impresa su Alpo), e per Ponzano, costretta a cambiare volto dopo poche settimane per la gravidanza di Bagnara. Al Sud era ormai virtualmente certo l’ultimo posto di HighSchool BasketLab: il progetto federale non aveva certo i risultati fra le sue priorità, ma sarebbe piaciuto raccontare di almeno un’impresa delle giovani di Lucchesi, fermatesi invece a quota 0 vinte-21 perse.
LYDIE KATSHITSHI ALA/PIVOT CLASSE 1998, DI ORIGINE CONGOLESE, È UNO DEI PUNTI DI RIFERIMENTO DI MONCALIERI. TERZA STAGIONE IN A2 PER LEI.
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ELISA MANCINELLI AL SECONDO ANNO A CAMPOBASSO. STAVA GIOCANDO UN OTTIMO CAMPIONATO: 10,6 PT E 14,4 DI VALUTAZIONE MEDIA A PARTITA.
I nostri due quintetti ideali per ogni girone, le “top 3” nelle classifiche individuali, le giovani in ascesa, il peggio (infortuni e crac-Athena, virus a parte). E chiudiamo con le 10 migliori partite, guidate da Cus Cagliari-Valdarno Subito sopra, Viterbo cercava la rimonta sulla Virtus Cagliari (azzoppata presto dall’infortunio a Favento; curiosamente impeccabile nei derby sardi ma deficitaria per il resto) per rimandare le sue sorti ai playout, dove era molto probabilmente destinata Livorno, che stava mostrando una crescita dopo lo scotto del salto di categoria.
MIGLIORI GIOCATRICI Abbiamo formato due quintetti ideali
per girone, tenendo conto dei ruoli, delle prestazioni individuali e dei risultati di squadra. Primo quintetto Nord: Vespignani (play, Alpo), Melchiori (guardia, Crema), Grigoleit (ala, Moncalieri), Schieppati (ala-pivot, Carugate), Grudzien (ala-pivot, Albino). Secondo quintetto Nord: Toffali (guardia, Milano), Monica (guardia, Mantova), Toffolo (ala, S. Martino), Trehub (pivot, Bolzano), Podrug (pivot, Castelnuovo). Primo quintetto Sud: Packovski (play, La Spezia), Striulli (play, Cus Cagliari), Giudice (ala, Umbertide), Pochobradska (ala, Nico), Fabbri (pivot, Ariano). Secondo quintetto: Sorrentino (guardia, Civitanova), Ballardini (guardia-ala, Faenza), Mancinelli (guardia-ala, Campobasso), Bona (ala-pivot, Valdarno), Bove (ala-pivot, Campobasso). Alcune classifiche individuali. Punti segnati: Sorrentino con 17,3 finisce davanti a Villarruel (Marghera) e a Striulli. Rimbalzi: Cutrupi (Viterbo) e Toffolo svettano con 12 a partita; terza Fabbri. Assist: Porcu capeggia con 6,2 di media davanti a Vespignani e Melchiori. Valutazione: Podrug con 20,8 precede di un soffio Schieppati; terza Grudzien.
NOMI IN ASCESA Qui vogliamo menzionare giovani gioca-
trici (dai 21 anni in giù) che in questa stagione hanno debuttato in A2 con particolare successo, o hanno fatto registrare un notevole salto di qualità: Degiovanni (play-guardia ’99, Bolzano); Grattini (play ’01, Marghera); Guarise (play-guardia ’03, S. Martino); Laube (play ’01, Albino); Leonardi (guardia-ala ’02, Ponzano); Nasraoui (ala-pivot ’02, Bolzano); I. Olajide (ala ’00, La Spezia); Pasa (play-guardia ’00, S. Martino); Soglia (pivot ’00, Faenza); Turel (guardia ’02, Udine); Viviani (play ’01, Sarcedo). Fra le “collegiali” di HSBC, quelle con la più alta valutazione media sono state Arado e Ronchi. L’esordiente dell’anno è però Carolina Pappalardo (’96, Nico), con quasi 15 punti e 7 rimbalzi di media, anche se si tratta di una matricola particolare: veniva da due stagioni in Belgio, precedute da altre due nella nostra A1.
Quanto al premio di “giocatrice più migliorata”, lo diamo a Beatrice Olajide (’98, Vicenza), salita da 5 punti e 3,3 rimbalzi a partita dello scorso anno a 13,4 + 8,3, quadruplicando la valutazione media.
TANTI INFORTUNI E UN... CRAC Ovviamente una stagione incom-
piuta è maledetta già solo per questo. Ma prima erano stati fin troppi gli infortuni: tra i più gravi ricordiamo quelli di Favento, Gambarini, Mingardo, Paolocci, Moriconi. Sono loro le meno penalizzate dall’annullamento del clou della stagione: non dovranno guardare le altre giocare; ma crediamo che sia una magra consolazione. Nella collezione del peggio del 2019/20, un posto di riguardo spetta al crac dell’Athena Roma: la società capitolina, dopo un mercato arrembante e dichiarate ambizioni, è stata esclusa dal campionato già in novembre, per doppia rinuncia, dopo una spirale di problemi economici, giocatrici in fuga, comunicati rassicuranti del club smentiti dai fatti, e così via.
SFIDE MEMORABILI Ma vogliamo chiudere su una nota alta:
le migliori partite della stagione. La palma assoluta va a Cus Cagliari-Valdarno: 94-91 dopo 4 supplementari (sfiorato il record storico di 5): girandola di azioni rocambolesche, tra errori e canestri, Striulli a quota 38 punti che vince il duello con Bona (27+18 rimbalzi+17 falli subiti). Nella “top 5” del girone Sud anche: Faenza-Campobasso 57-56, con capolavoro di Ballardini sulla sirena dopo aver portato a spasso mezza difesa avversaria; il derby vinto dalla Virtus Cagliari sul Cus, 54-53 con un contropiede di Georgieva allo scadere; due imprese di Umbertide, un garibaldino 89-84 su Faenza alla prima giornata e un 71-66 su Ariano nella sfida decisiva a fine andata per entrare in Coppa Italia. Queste invece le 5 “perle” del girone Nord. Al numero 1 la vittoria di Moncalieri in casa di Alpo, 58-61: big match risolto negli ultimi secondi con il contropiede della staffa da parte di Katshitshi. Poi la stessa Alpo in due volate vincenti: contro Castelnuovo (rimontando da -15) e a Milano; in entrambi i casi risolutrice Vespignani. Infine due maratone al supplementare: Albino su Castelnuovo (75-71) con il duello fra Grudzien e Podrug, 30 e 32 di valutazione; e Mantova corsara a Vicenza (67-71) con la “tripla doppia” di Beatrice Olajide (30 punti, 14 rimbalzi, 11 falli subiti) e quella sfiorata da Monica (21 punti, 10 rimbalzi, 9 falli subiti) che però si è portata a casa la vittoria.
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ERIKA STRIULLI CLASSE 1990 E VENEZIANA DOC, HA UNA LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO ED È UN’EDUCATRICE CINOFILA. DAL 2012 MILITA NELLE FILE DEL CUS CAGLIARI IN A2 DA PLAYMAKER, SQUADRA DA CUI NON INTENDE STACCARSI. A NOVEMBRE, CONTRO VALDARNO HA SEGNATO 38PT.
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LA BATTAGLIA DI ERIKA UNA PAROLA PER DESCRIVERE ERIKA STRIULLI? RESILIENZA.
TRE INTERVENTI CHIRURGICI AI PIEDI E 4 CICATRICI. I MEDICI DICEVANO CHE AVREBBE DOVUTO MOLLARE IL BASKET, LEI NON L’HA FATTO E HA CONTINUATO PER LA SUA STRADA, HA GIOCATO E HA VINTO
Di FRANCESCO VELLUZZI
L’
ha aiutata l’essere veneziana vera, di Cannaregio.
“Essere veneziani significa essere abituati alle difficoltà”. Erika Striulli, 30 anni da compiere il prossimo 20 ottobre, una laurea in Economia e Commercio alla Ca’ Foscari, l’attestato di educatore cinofilo, ma soprattutto uno straordinario talento cestistico, la riassume così. Di difficoltà Erika, play dallo spiccato talento offensivo, di 170 centimetri, ne ha avute tante. Una in particolare che ne ha segnato una carriera che continua a essere buona, per le fortune del Cus Cagliari in A2, ma poteva essere eccezionale. Perché quella ragazzina di Venezia che un padre dirigente di banca e una mamma funzionaria alle Poste, ma entrambi col pallino della pallacanestro, avevano seguito con attenzione (il papà è allenatore), a 19 anni era stata votata come MVP nelle finali nazionali di categoria vinte con la maglia di Udine. Il secondo scudettino per Erika che il primo l’aveva vinto a 15 anni con la Reyer dove è cresciuta prima di effettuare il primo trasloco in Friuli. Striulli andava a mille,
playmaker, guardia, macchina da punti, leader con le varie maglie azzurre delle giovanili. Andava talmente forte che a un certo punto i suoi avampiedi hanno ceduto. Entrambi. È stato l’inizio delle difficoltà di una ragazza che solo con una testa immensa e un carattere particolare, non ha ceduto ed è riuscita a rialzarsi. “Tre interventi chirurgici, mi hanno tenuta fuori dai campi per 18 mesi. Tantissimo. Potrei pensare a un plantare sbagliato, ma è più plausibile la tesi del sovraccarico. A quei tempi non mi fermavo mai. Forse ho subito questo. Andai da quattro chirurghi. Desolazione. L’unica cosa che mi dicevano è che avrei dovuto smettere di giocare a pallacanestro, la cosa che amavo e amo ancora di più. Finché a Treviso non ho trovato Massimo Toffolo. Tre interventi, due al piede destro, uno al sinistro. Se mi guardi i piedi vedi le cicatrici, quattro. Grazie a lui sono tornata in campo. Gli infortuni mi hanno tolto un po’ di esplosività. Ma questa esperienza umanamente mi è servita. Ho vinto una battaglia da sola, ho recuperato da sola, mi sono
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pure pagata le operazioni”. Erika era stata ingaggiata da Lucca. Ma quella maglia la indosserà molto più tardi, sette anni dopo e senza tante soddisfazioni. Non poteva che ripartire da casa, Marghera. Per poi, nell’autunno del 2012 finire a Cagliari, in Sardegna dove aveva un grande estimatore, Federico Xaxa, il tecnico che lei definisce “un po’ alla Phil Jackson” che ancora oggi è il faro della sua vita cestistica. E infatti tornato lui al Cus, ecco Erika al Cus. A Cagliari, dove, forse, resterà per sempre.
CARRIERA Striulli era un fenomeno da bambina all’ora-
torio a Venezia. Nella sua crescita l’avevano forgiata Stefano Michelini e Guido Novello, due maestri, per lei. “Guido è uno che manca al movimento. Un tecnico completo”. Erika, appena maggiorenne, in Nazionale Under stupiva. Giocava contro Torrens e Xargay senza sfigurare. Anzi. Le affrontava con faccia tosta e attaccando sempre e comunque il canestro. Chi l’ha conosciuta, da piccola, dice che era molto più forte e talentuosa dell’attuale play azzurro Francesca Dotto, più giovane di lei di tre anni. Solo che quei tre interventi le hanno creato non pochi problemi. La A1 l’ha scoperta davvero nel 2012, in quella prima stagione
INTERVENTI HA SUBITO 3 INTERVENTI CHIRURGICI AI PIEDI, DUE AL DESTRO E UNO AL SINISTRO. LE AVEVANO CONSIGLIATO DI MOLLARE IL BASKET MA A TREVISO, SOTTO L’ALA DI MASSIMO TOFFOLO, È RITORNATA A VOLARE.
a Cagliari. Dove, a un certo punto, Xaxa fu esonerato. “Andai via pure io, e andai a Orvieto”. Mantenendo la categoria superiore. Ma quella situazione non le andò a genio. Troppo sensibile per sopportare ciò che non le era piaciuto. “Gli esoneri partono dal malumore delle giocatrici e arrivano all’incompetenza dei dirigenti”. Capito la tipa? Con Erika parleresti ore, gioca alla pari in qualsiasi campo, in alcuni ti insegna. Perché ha passato mille esperienze e sembra davvero più forte di tutto che di tutti. “Ho subito tre esoneri, oltre a quello di Cagliari, quello di Orlando (con Ricchini ndr) a Napoli e quello di Barbiero a Lucca”. Barbiero
per Erika è stato come Xaxa. “Lui è più Popovich... Ma sono due allenatori che hanno principi simili, ai quali mi sento naturalmente molto legata. Orlando l’ho vissuto troppo poco”. Con Barbiero, Erika è stata la prima volta a Spezia, prima di Napoli. Da dove, poi, è risalita verso nord. “Scelsi di nuovo Marghera perché sentivo l’esigenza di completare il mio corso di studi. Volevo laurearmi, l’ho fatto a Ca’ Foscari a Venezia in Economia e Commercio. Andai di nuovo in A-2 per quel motivo”.
SALTO IN ALTO Ma in A2 questo talento era di fatto spre-
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primo piano cato. Ecco di nuovo La Spezia. Che, però, nonostante la stagione mostruosa di Valeria De Pretto, esplosa in Liguria, retrocede. Riazzerare. Altro giro, altra corsa... Lucca, scudettata, stava risistemando tutto. La squadra dei miracoli di Diamanti era stata smantellata, non avrebbe fatto le coppe. Ma doveva ripartire. Tra i vari prospetti, fu scelta lei, quando ancora con il mago delle difese Mirko non si era arrivati alla rottura totale. Erika tornava dove non era riuscita a giocare nel 2010 per colpa di quei piedi distrutti... E, peraltro, alla fine la scelta di Lidia Gorlin, anima del club e i suoi sodali, cadde proprio su Loris Barbiero, una garanzia per Striulli. Che con lui ha condiviso tanto. “Cominciamo bene, partiamo a bomba, siamo prime. Eravamo quasi tutte nuove. Le mie aspettative verso una società che la stagione precedente aveva vinto il titolo erano completamente diverse. Invece, si era chiuso un ciclo. Alle prime difficoltà, la squadra ha ceduto, Barbiero è stato esonerato. Un’escalation verso il basso. Una situazione gestita in modo opinabile. Io entrai in difficoltà, soprattutto psicologica. Perdevo il controllo mentale e fisico, non riuscivo quasi a giocare, erano come degli attacchi di panico. Una situazione devastante. Dovetti ricorrere a una psicoterapeuta. Mi è servita. Non dormivo e non mangiavo”. Erika è onesta, vera, leale, non ama compromessi e falsità. Non ama neppure tanto questo mondo, questo
tatto con me deve sapere che io vivo con Bacco. Lo presi ad Alghero otto anni fa, dalla famiglia di Arianna Puggioni con la quale quest’anno mi sono ritrovata a vivere in casa da playmaker del Cus”. Lì l’hanno riportata il solito coach Federico Xaxa e Mauro Mannoni. “Il dirigente che oggi più apprezzo. Ne ho visti in questi anni e non ho grande considerazione”. Sempre per la serie... “Dico solo quello che penso”. Ma Striulli pensa bene fuori e in campo dove la sua facilità di attaccare il canestro è rimasta. La partita con Valdarno di fine novembre è stata memorabile. Ma, dopo ben quattro tempi supplementari, il Cus l’ha vinta grazie a 38 punti di Erika. “Una partita da rivedere su Youtube, una partita per me indimenticabile”. In questo secondo campionato di fila col Cus Erika è tornata quella di sempre, una che in A1 ci starebbe ancora benissimo. “Ma ormai la scelta l’ho fatta e non è detto che quelle sfide non le rigiochi con questa maglia. Io voglio salire. Di Federico mi sono sempre fidata. Mi ha fatto ancora credere in questo mestiere dopo la ferita di Lucca”. E a Cagliari Erika comincia a sondare il futuro. “Ho una terza via che è quella di trovare un’attività consona al titolo di studio conseguito. Quella che dovrà sostituire un giorno il basket. Ma per ora mi dedico al centro cinofilo di Quartu in cui lavoro. Sono educatrice cinofila e ho ottenuto una specializzazione nella preparazione psico-fisica del
«GLI INFORTUNI MI HANNO TOLTO UN PO’ DI ESPLOSIVITÀ. MA QUESTA ESPERIENZA MI È SERVITA. HO VINTO UNA BATTAGLIA DA SOLA E HO RECUPERATO DA SOLA». ambiente. Ama esclusivamente giocare. E continua a farlo benissimo. Ha imparato a soffrire attraverso le esperienze e le tante difficoltà. E qui torna il suo essere veneziana. “Siamo persone con una marcia in più”. Abituate alle difficoltà. “L’acqua alta di novembre e dicembre è stata eccezionale, mai vista così”. Conoscere Erika significa avere forza, volontà, capacità di immergersi in una persona sicuramente non facile, ma con la quale, se dialoghi a cuore aperto, puoi avere soddisfazioni. Erika va oltre il basket. Sarà una risorsa nel campo che sceglierà. Perché ci mette sempre il massimo impegno.
CAGLIARI E a Cagliari continuerà il suo percorso che
non può non portarla lontano. Legge tre quotidiani al giorno, legge libri, si aggiorna, conosce la politica e ha capito che il giornalismo non le dispiace affatto. Viaggia, gira la Sardegna tutta. Sempre con l’inseparabile Bacco, che ha otto anni ed è il suo cane. Una ragione di vita. “Perché qualunque club entri in con-
cane. Ognuno ha i suoi clienti. Per i cani ho una grande passione, l’ho sempre avuta. Dopo gli infortuni, dissi che se avessi ripreso a giocare, avrei preso un cane. Da Bacco, dio del vino, che mi piace, oltre al cibo messicano, al pesce e ai culurgiones, non mi separo. Il cane va capito, non comandato. Mi si è aperto un mondo”. Erika non la vedrete mai in uno stabilimento balneare affollato, lei è già pronta per la “Fase 2”. Con Striulli nessun pericolo di assembramento.... Ama stare per conto proprio. Il mare sì, ma isolato. La montagna la adora. “Ho bisogno della natura”. Le passioni dei giovani di oggi non sono le sue: “Niente computer, telefono e serie tv”. Ma rapporti veri, importanti. Bisogna entrare nella sua testa. Barbiero e Xaxa ci sono riusciti, esaltando il suo talento: “Per creare vantaggi occorrono giocatrici che li sappiano creare”. Lei, fisico smilzo, capelli corti, testa eccezionale, è sempre capace di crearli. L’importante è riuscire a starle dietro. Non è facile, ma è una sfida affascinante.
CARRIERA E BACCO A 15 ANNI OTTIENE IL PRIMO SCUDETTO CON LA REYER, A 19 ANNI ARRIVA IL SECONDO OLTRE AL PREMIO MVP NELLE FINALI NAZIONALI DI CATEGORIA CON UDINE. E POI TREVISO, LUCCA E MARGHERA. A CAGLIARI HA TROVATO IL SUO EQUILIBRIO ASSIEME AL SUO AMATO CANE BACCO, CHE PORTA SEMPRE CON SÈ.
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SARA ERRANI, CLASSE 1987, È STATA NUMERO 5 DEL MONDO E IN CARRIERA HA VINTO 36 TITOLI (9 IN SINGOLARE, 27 NEL DOPPIO).
altri mondi
sARA, MJ E GLI SLAM
ERRANI È STATA UN’AUTENTICA REGINA DEL TENNIS, MA NON HA MAI DIMENTICATO IL PRIMO AMORE DEL BASKET: “ERO UNA PLAYMAKER CON LA FOTO DI JORDAN IN CAMERA”. UN PERSONAGGIO CAPACE DI GESTIRE I MOMENTI PIÙ DIFFICILI DELLA CARRIERA ANCHE ALL’INSEGNA DELL’UMORISMO E DELL’AUTOIRONIA
di giulia arturi
H
o la fortuna di conoscere Sara Errani da anni. Una ra-
gazza tranquilla, ma anche una delle regine dello sport italiano. Un curriculum impressionante: finalista al Roland Garros, semifinalista agli Us Open, numero 5 del mondo in singolare, 27 titoli di doppio (Grandi Slam compresi), 9 in singolare. Quando ti accorgi che personaggi di questo calibro non solo sono avvicinabili, ma si rapportano col mondo in modo “normale” e amichevole, l’ammirazione si consolida. E se poi succede che la parabola della campionessa tende ad uscire dall’orbita glamour dei successi mentre la persona rimane stabile nei suoi valori, allora la stima cresce ancora. Sara è disponibile a parlare dei suoi insuccessi, anche in pubblico, come quando trionfava sui campi di tutto il mondo. Quanti ne trovate così? Amore dello sport, orgoglio personale; sì, ma quanta forza ci vuole per rialzarsi quando sei a terra e la gente ti tira pietre di puro sadismo? Sara ha sempre avuto la tenacia di ributtare indietro tutto quello che oltrepassava la rete, senza sosta, senza stancarsi. Quell’indole non si
perde mai. Bello che un personaggio così ami il basket, anche femminile: anni fa, per aiutare le amiche di un Geas sull’orlo dell’estinzione, comprò due abbonamenti mentre si trovava in Australia. E oggi segue anche le sue amiche bolognesi della Virtus, pur essendo d’animo fortitudino. Sara sta trascorrendo la quarantena a Valencia, dove vive e si allena. Mesi di inattività forzata sono inediti nella carriera degli atleti professionisti. Tutti si stanno ingegnando, come lei che tira qualche palla contro il muro del garage sotterraneo, anche a costo di colpire qualche macchina. E non tira piano… Come sta andando questa quarantena? Come sono le tue giornate? “Mi sveglio alle 11.30, mattinata sul balcone e poi pranzo alle 15. Nel pomeriggio faccio sempre attività fisica: ho un gruppo di allenamento molto attivo su Zoom. E ogni tanto scendo nel parcheggio a fare un po’ di corsa. Poi puzzle, serie tv, qualche esperimento culinario. Ci
altri mondi ho messo settimane a riprendere il fuso orario: sono passata dal torneo in Messico direttamente alla quarantena a Valencia”. Sei riuscita a riprendere in mano la racchetta dall’inizio del lockdown? Ti manca? “Solo per tirare qualche pallata contro il muro del parcheggio ogni tanto. Mi manca a momenti”. Condizione atletica? “Insomma (risata)! No a parte gli scherzi mi sto allenando sempre, sto bene, ma è certamente diverso fare esercizi in casa rispetto a giocare, a correre fuori. Per quanto ci si possa mettere dedizione e costanza, passare poi tutto il resto del giorno in casa, senza neanche poter passeggiare o muoversi all’aperto si fa sentire a livello fisico”. Quando da ragazzina giocavi a basket, che cosa ti riusciva meglio? “Ho fatto minibasket per tre anni da piccola e poi ho continuato alle medie giocando con la squadra della scuola. Mi divertivo tantissimo. Anche quando poi ho lasciato, per dedicarmi solamente al tennis, l’allenatore di Massa Lombarda ogni tanto mi invitava agli allenamenti, e io più di una volta sono andata. Diciamo che ero un playmaker, mi divertivo a portar su la palla. Ho il canestro a casa, ogni volta che torno due tiri li faccio sempre!”. La passione per il basket ti ha sempre accompagnato? “Sì, da piccola ritagliavo tutte le foto di Michael Jordan che trovavo sui giornali e le incollavo su un quadernone. Ho avuto anche un momento di follia quando ho seriamente pensato di smettere di giocare a tennis per darmi al basket (risata)”. Il tennis ti ha portato lontano da casa giovanissima. Com’è andata? “A 12 anni ho lasciato tutto per volare negli Stati Uniti, all’accademia di Nick Bollettieri per un anno. È stato davvero difficile, un’esperienza molto dura. Ripensarci adesso sembra quasi una follia: mi ha fatto crescere e maturare più in fretta per l’età che avevo. Ero da sola ed ero la più piccola, lontano da casa, dagli affetti”. Poi la tua vita tennistica è proseguita in Spagna. “Sì, prima a Barcellona, nell’Accademia di Bruguera, e poi a Valencia, dove sono tutt’ora e dove ho incontrato Pablo (Lozano, lo storico allenatore ndr). Sto molto bene, per certi aspetti mi piace quasi più dell’Italia. Quando parlo, mi trovo a volte più a mio agio con lo spagnolo che non con l’italiano. Ho costruito tante amicizie nel corso degli anni, e tennisticamente mi sento maggiormente apprezzata qua”.
Soli in campo: per noi che facciamo sport di squadra è una sensazione sconosciuta. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di uno sport individuale? “Dipende dal carattere delle persone. Quando gioco mi piace che tutta la responsabilità di quello che succede in campo sia mia, e sentire che l’andamento delle cose dipende solo da me. Penso per esempio ai viaggi o ai momenti fuori dal campo: spostarsi con un piccolo team non è la stessa cosa che avere compagne di squadra. Ma io da questo punto di vista sono stata fortunata: con Roby (Vinci ndr), il suo allenatore Francesco, e Pablo abbiamo condiviso tante esperienze e ci divertivamo da morire. Ci facevamo compagnia, passavamo il tempo a giocare a qualsiasi cosa. Poi vincendo così tanto, veniva tutto più facile (risata)”. Giocare a tennis significa anche stare in giro mesi e viaggiare per tutto il mondo. Ti è mai pesato? “Per me non è mai stato un problema. Per qualcuno, dopo qualche settimana, era forte la voglia di tornare a casa, ma io fin da piccola sono sempre stata abituata a viaggiare tanto e sono sempre stata a mio agio con questo aspetto del tennis. Sto bene in giro, soprattutto quando ho di fianco a me persone a cui voglio bene e con cui mi trovo in sintonia”. Qual è il tuo torneo preferito? “La tournée australiana. È a gennaio: in Italia è pieno inverno mentre lì si trova l’estate e il caldo. L’Australia è un posto che ho nel cuore”. Crescendo hai avuto un punto di riferimento nel tennis? “David Ferrer. Si allenava con me in accademia ed era un atleta pazzesco e una persona super. Mi ha aiutato averlo vicino, lavorare con lui. Vedere come gestiva le diverse situazioni mi ha insegnato molto”. Da spettatrice segui molto il tennis? “Ora un po’ meno, ma qualche tempo fa non perdevo una partita: conoscevo tutti i risultati, i tabelloni, il ranking”. A proposito di ranking e di punti. Non diventa un’ossessione? “Dipende. Io ad esempio sapevo tutto. Ma c’è anche chi non si interessa neanche del tabellone del torneo che sta giocando. Conoscono l’avversario della prima partita, ma poi, per non farsi condizionare, non guardano le eventuali combinazioni. Per me era impossibile!” Com’è il rapporto con un allenatore in uno sport individuale? “C’è una linea sottile. Sì, è vero, sei tu atleta a decidere se e quando cambiare allenatore, ma allo stesso tempo devi accettare che le sue indicazioni abbiano un peso. Il mio caso è particolare: praticamente ho passato tutta
FED CUP HA CONQUISTATO PER TRE VOLTE IL PRESTIGIOSO TORNEO PER SQUADRE NAZIONALI CON L’ITALIA NEL 2009, 2010 E 2013. IL BASKET RIMANE IL SUO PRIMO AMORE.
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altri mondi
la carriera con Pablo, che è famiglia per me. Ma tanti giocatori hanno un rapporto solamente di lavoro sul campo, non fa per me. È un equilibrio particolare: se io e Pablo siamo in disaccordo ne parliamo e poi assieme arriviamo ad una conclusione attraverso un momento di confronto. Non è come nella pallacanestro, dove le scelte dell’allenatore sono sue e basta”. Un’altra differenza abissale fra noi cestiste e voi del tennis è che durante le partite l’allenatore non potrebbe parlare. “Hai detto bene, non potrebbe. Pablo non sta mai zitto, quanti warning abbiamo preso per questo! (risata). Lui va dritto per la sua strada, tanto poi pago io (risata)”. Il tennis non è come il basket, ma anche nel tuo sport il gigantismo avanza: ti sei sentita in difficoltà a battagliare contro avversarie grandi e alte il doppio? “Sì, direi! Con Serena Williams e la Sharapova poi non ne parliamo! Mi ricordo una volta a Roma quando giocai contro Serena. Feci una smorzata e lei partì con uno scatto per arrivarci. Io ero a tre metri dalla rete, vedevo questo treno lanciato alla massima velocità verso di me e mi son detta ‘meno male che c’è la rete’ (risata). Lei è proprio quella che impressiona di più fisicamente, è possente e si muove sul campo davvero bene”.
Se dovessi pensare ad un punto, tra le migliaia della tua carriera… “Mi ricordo come se fosse ieri l’ultimo punto sul centrale contro la Stosur, nella semifinale del Roland Garros del 2012: palla in mezzo e io col dritto attacco sul rovescio. Quella fu una settimana indimenticabile. Più andavamo avanti più le cene nel nostro ristorante di fiducia si popolavano. Abbiamo finito prenotando tutto il piano di sopra del locale!”. Come ti senti quando ripensi a quei momenti? “Orgogliosa di quello che ho fatto. Mi piace tornare con la memoria a quei frangenti, sono dei bei ricordi, anche se mi sembrano successi in un altro tempo, un altro secolo. Dopo quella finale dissi a Pablo che mi sarebbe piaciuto che la vita continuasse come prima, ma sapevo che sarebbe cambiato tutto. E così è stato. Durante i tornei prima eravamo abituati a stare per conto nostro, ma iniziarono ad esserci molte più interviste, iniziative con la WTA e così via. Tutte cose che io non amo particolarmente, preferisco sicuramente stare lontano dai riflettori”. Sei stata bersaglio di cattiverie crudeli soprattutto sui social: come hai reagito? “Un tempo leggevo articoli, commenti, ero più fissata su questo aspetto ed era difficile da accettare. Adesso
EX NUMERO UNO DEL MONDO NEL DOPPIO, CON ROBERTA VINCI, È LA QUINTA COPPIA IN ASSOLUTO AD AVER VINTO PIÙ SLAM NELLA STORIA DEL TENNIS FEMMINILE.
basta, non guardo più niente, non ha senso per me: non ci faccio più caso e non mi toccano. Anche se spesso si ricevono attacchi che vanno sul personale, è faticoso, ma rispetto al passato ho imparato ad andare oltre”. Sotto il profilo dei risultati, da Cenerentola sei diventata una principessa e poi hai fatto il percorso inverso, per una somma di motivi. Hai mai pensato di dire basta? “Sì, l’ho pensato più di una volta. Soffrivo, e capita che soffro ancora tanto nel corso di una partita. Andare ai tornei e sentirsi così male in campo ti porta a pensare se ne valga ancora la pena. Però alla fine è sempre stata più grande la voglia di continuare e prima di questo stop forzato stavano andando meglio le cose”. Dove hai trovato la forza per ripartire? “Nella passione per il tennis. Quando sono in campo mi piace, mi diverte tantissimo. Per questo ho continuato. Ho voglia di tornare ad avere buone sensazioni: voglio riuscire a giocare senza i fantasmi, senza brutti pensieri. Non è neanche una questione di vincere o perdere, ma di riuscire a sentire dentro la partita, la competizione e pensare solo a quello. Ho iniziato a lavorare con uno psicologo argentino, che mi ha aiutato molto. Ma non si può dire ‘ok, ho superato tutto, me lo posso dimenticare’. È
un processo per arrivare a convivere con delle emozioni che ci saranno sempre e gestirle anche in campo”. Come si ritrova la fiducia? “Abbandonare le paure non è per niente facile. Sono sensazioni che saltano fuori nel momento dello stress ed è difficile riprodurle fuori dal campo. Ed è anche difficile allenarle, se non nel momento stesso in cui entro in quello stato. Mi sento ferita, con tutte le cose che mi sono capitate è come avere dei tagli che stanno ancora guarendo e che fanno fatica a chiudersi. Esperienze che ho vissuto e che rimangono sempre lì”. Rispetto a quando hai cominciato hai realizzato i tuoi sogni? “Direi proprio di sì! Me ne manca solo uno: la medaglia olimpica. Ci siamo andate vicine, uscendo due volte ai quarti. Nel nostro anno migliore, alle Olimpiadi di Londra nel 2012, sull’erba incontrammo ai quarti le Williams, la situazione più sfortunata. È l’unica cosa che mi è rimasta lì!”. Cosa pensi di fare dopo? “Il mio sogno, quando smetterò, è fare un giro per l’Australia per sei mesi e vedere tutto quello che non sono riuscita a vedere mentre giocavo”.
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CINZIA ZANOTTI INIZIA LA SUA CARRIERA DI ALLENATRICE AL GEAS CON LE GIOVANILI VINCENDO 4 SCUDETTI IN 5 ANNI. DAL 2014-2015 GUIDA IL GEAS SENIOR, PORTANDO LA SQUADRA A VINCERE COPPA DI A2 E PROMOZIONE IN A1. NONOSTANTE LA RETROCESSIONE NEL 2016, LA ZANOTTI HA CONTINUATO A LAVORARE CON LE SUE RAGAZZE E DAL 2018 È DI NUOVO IN A1.
storie
UN CUORE DI GEAS
CINZIA ZANOTTI È L’UNICA DONNA IN ITALIA AD ALLENARE UNA SQUADRA DI A1 FEMMINILE, IL GEAS. MA PRIMA DI ESSERE COACH, È STATA UNA GRANDE GIOCATRICE, UNA DELLE MIGLIORI DEGLI ANNI ‘80-90. SCUDETTO CON VICENZA E COPPA RONCHETTI A MILANO, TANTE FINALI, UN’ESTREMA DEDIZIONE IERI E OGGI
di caterina Caparello
“P
er me, la pallacanestro da giocatrice era essenziale:
era la mia vita”. Può sembrare una semplice frase dettata dai ricordi di chi ha sempre vissuto per lo sport con la palla a spicchi. In realtà, dietro c’è un mondo. Il mondo di Cinzia Zanotti. Scudetto nel 1984 a Vicenza, Coppa Ronchetti nel 1991 a Milano e grinta da vendere, Cinzia non ha mai abbandonato la pallacanestro. È l’unica donna in Italia ad allenare una squadra di A1 femminile.
CAGLIARI NEL CUORE Tutto inizia a Cagliari, città in cui si tra-
sferì con la famiglia a 5 anni da Brescia, con mamma milanese e papà bresciano. Eppure Cinzia cominciò con il nuoto: “Da piccola ho avuto un’epatite virale, quindi sono stata ricoverata in ospedale tanto tempo. Ero diventata magrissima e per riprendermi avevo bisogno di fare sport. Mia madre cercò allora di farmi fare nuoto, ma non riuscivo mai a superare la corsia perché stavo sempre in quella delle bolle, andavo solo sott’acqua”. Cinzia in realtà voleva giocare a pallacanestro come suo
fratello, e niente più: “Mia madre si rassegnò e mi iscrisse a basket, perché c’era anche mio fratello che mi aveva dato l’input fondamentale. Iniziai quindi a Cagliari, una città in cui si è sempre respirata aria di pallacanestro”. Ma non solo, perché il basket è sempre stato nel DNA di famiglia: “Mio fratello giocava al Brill (oggi Olimpia Cagliari ndr) e ogni domenica era d’obbligo vederlo. Inoltre mio papà, in quegli anni, fece un corso allenatore ma non ha mai allenato. Ecco, questo episodio lo ricordavo giusto qualche giorno fa assieme a lui tra le risate. Insomma eravamo tutti appassionati. I miei genitori tuttora vengono a vedere le mie partite. Abitano a Cassano d’Adda, vicino Bergamo, e vengono a tifare quando gioco in casa, è il loro appuntamento”. Sotto la guida delle allenatrici Franca Spila Spinetti e Mariolina Addari (ex giocatrici del Cus Cagliari d’oro), Cinzia mosse i primi passi sul parquet: “Mi allenavo sempre, andavo in palestra alle 15.00 e stavo lì ad allenarmi per ore e con chiunque. Mi piaceva talmente tanto che mia mamma doveva venirmi a prendere per i ca-
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SCUDETTO E COPPA RONCHETTI CLASSE 1964, LA ZANOTTI HA GIOCATO FINO A 18 ANNI AL GEAS SEGNANDO 40 PT IN PIÙ PARTITE. HA CONQUISTATO LO SCUDETTO NEL 1984 A VICENZA E LA COPPA RONCHETTI NEL 1991 CON LA GEMEAZ MILANO.
pelli. Se c’erano i maschi ad allenarsi io mi allenavo con i maschi. Mi infilavo in tutte le squadre per gli allenamenti e quindi credo proprio di aver giocato in tutte le squadre, specie maschili, fino al campionato propaganda. Subito dopo, la mia famiglia si trasferì a Cassano d’Adda e le mie allenatrici cagliaritane mi consigliarono di provare a giocare al Geas di Sesto San Giovanni, che già allora era una società storica”.
UN GRANDE PERCORSO: L’ARRIVO AL GEAS Cinzia intraprende un
cammino fatto sì di sacrifici, ma anche di soddisfazioni, a partire dall’arruolamento nel grande Geas: “Dopo 20 giorni dal trasferimento, io e il mio papà andammo nella sede del Geas a chiedere se potessi giocare. Entrammo in un ufficio e incontrai l’attuale presidente Carlo Vignati che mi mandò subito in palestra. È una storia bellissima. Al primo allenamento, l’impatto fu terribile perché erano
mi sono detta “ok basta, non sono più quella che perde sempre”. L’anno dopo la squadra fu ridimensionata, il presidente mi lasciò libera scelta di andar via, sebbene il mio contratto fosse lungo, a quanto pare per Milano l’obiettivo era stato raggiunto e mio potevo andare”.
IN NAZIONALE: GIOCATRICE PRIMA E assistant COACH DOPO 113 pre-
senze e 1009 punti realizzati in maglia azzurra, Cinzia Zanotti è la 15a nella classifica italiana marcatrici e 30a per presenze. Ha giocato i Mondiali del 1990 in Malesia e 3 edizioni degli Europei (1987, 1989, 1991), oltre alla vittoria della medaglia di Bronzo degli Europei Juniores nel 1983. Nel 2018 è stata convocata dall’ex ct Marco Crespi come assistant coach, assieme a Giovanni Lucchesi, per gestire la panchina della Nazionale maggiore. “La nazionale era il sogno di ogni giocatrice. Sono stati anni ed esperienze importanti, ma anche grandi sacrifici
«IL MIO PENSIERO ERA SOLO GIOCARE. LA PALLACANESTRO ERA UNA DELLE COSE CHE MI PIACEVA DI PIÙ E DA QUESTO PUNTO DI VISTA ERO INTRANSIGENTE». tutte bravissime e per me erano irraggiungibili. Le ragazze stavano facendo ball handling, una cosa semplicissima, che io però non avevo mai fatto e quando le vidi pensai “Nono, non ce la farò mai”. “Dopo aver fatto tutte le giovanili, a 16 anni andai in A1 allenata da Carlo Colombo. Era una squadra forte, io facevo panchina e ogni tanto Colombo mi buttava dentro solo per difendere la giocatrice avversaria più forte, perché diceva che difendevo benissimo. Peccato che poi non abbia più difeso in tutta la mia carriera”. Ma non era solo questione di difesa, il suo tiro era infallibile: “Il mio ultimo anno al Geas, sono stata la miglior realizzatrice italiana del campionato di A1, con 23 punti di media e più di una volta sopra i 40. E avevo solo 18 anni”
SCUDETTO CON VICENZA E COPPA RONCHETTI A MILANO La stagione
1983-84 cambia tutto: Cinzia si trasferisce allo Zolu Vicenza. Assieme a Gorlin, Sandon, Pollini, Smith, Peruzzo, Stanzani, Fullin, Dal Corso, Passaro e Grillo, conquista il terzo titolo consecutivo del club, battendo la Gemeaz Cusin Milano (61-66, 74-59, 65-63). In panchina? Roberto Galli, prima allenatore e poi marito. Ma il ricordo più vivido per Zanotti è sicuramente la Coppa Ronchetti del 1991, che la conferma una delle migliori realizzatrici italiane con 33 punti segnati nella finale di andata contro la Comense, vestendo la maglia della Gemeaz di Milano dal 1985: “È stata la partita di cui ho più ricordi e che mi ha dato emozioni fortissime. Era la nostra quarta finale di Coppa. Una liberazione. Incontravamo squadre forti, come Vicenza, il CSKA di Mosca e perdevamo sempre in finale. Quella partita, per me, ha significato molto perché
perché si stava via parecchio tempo da casa sempre con la valigia in mano. Una grande esperienza. E fare l’assistente di Crespi, tornando in azzurro, è stato motivo sia di soddisfazione che di crescita personale. Tra ieri e oggi non c’è differenza, perché vestire quella maglia significa essere fra le migliori giocatrici del tuo sport. È comunque un’esperienza emozionante che ti infonde responsabilità e allo stesso tempo soddisfazione”.
L’AMORE E LA FAMIGLIA CON ROBERTO GALLI Cinzia ha giocato inin-
terrottamente fino a 30anni, dopodiché ha cercato di barcamenarsi tra il basket e la famiglia formata con Roberto Galli: la primogenita Francesca e poi Filippo. “Dopo la nascita di Francesca ho giocato due anni in A1 (Pavia e Vittuone ndr), poi è arrivato Filippo e di nuovo sono tornata a giocare per altri due anni (Cesena ndr)”. E con Roberto? “Ci siamo conosciuti al Geas. Io giocavo nelle giovanili e lui le allenava. L’ho seguito a Vicenza in A, poi sono arrivati gli anni di Milano che ho fatto con lui come allenatore. Roberto per una parte della sua vita ha allenato e poi è diventato General Manager. Gli unici anni in cui sono stata senza mio marito accanto sono stati i 2 anni in cui ho giocato a Cesena, lì ero da sola. Devo dire la verità, avere avuto sempre Roberto al mio fianco è stata una bellissima esperienza, ma tornando indietro forse sarebbe stato più giusto separare le due cose. Personalmente sono sempre stata una persona che non riusciva a lasciare la pallacanestro fuori di casa, di conseguenza portavo dentro casa molte cose. I 2 anni di Cesena, invece, mi hanno permesso di staccare il mondo cestistico da quello familiare e questo mi ha fatto capire che ero io
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quella che non era mai riuscita a farlo. Un esempio pratico? Mia figlia Francesca, che ha giocato con me, ha dimostrato di essere molto più matura di me perché tornava a casa e non diceva una parola che riguardasse la pallacanestro, lei sì che è riuscita a dividere i due mondi”.
DA TIRATRICE... Che tipo di giocatrice era Cinzia Zanotti? Una vera e propria tiratrice. “Tiravo e basta. Infatti mi viene ancora da ridere ripensando a quando ho frequentato il corso allenatori. Mario De Sisti era il tutor del corso e in una delle prime lezioni fece la lezione sulle “collaborazioni”. Ecco, mi guardò e mi disse: “Tu di questo non sai nulla, perché tiravi e basta”. Diciamo che sì ero una tiratrice, ovvero volevo la palla per andare a tirare, volevo la palla per segnare. Per me la pallacanestro da giocatrice era essenziale, era la mia vita nel senso che mi piaceva quello che facevo. Il mio pensiero era solo quello. Trovavo intollerabile andare in palestra e vedere persone che non si allenassero o che lo facessero male. Era una delle cose che mi piaceva di più e da questo punto di vista ero
intransigente. Insomma, una rompicoglioni”.
… AD UNICA ALLENATRICE IN A1 FEMMINILE Dal 2014 Cinzia Zanotti
allena la squadra maggiore del Geas. Un ritorno alla sua vera casa. Ma prima di allenare le senior, Zanotti è stata responsabile del settore giovanile conquistando 4 scudetti in 5 anni: 2 con l’U15, 1 con l’U17 e 1 con l’U19. Con le donne del Geas maggiore, nella stagione 20142015 coach Zanotti conquista la Coppa Italia di A2 e la promozione in A1 dopo 3 anni. La permanenza nella massima serie dura un anno, ma serve alle ragazze per temprarsi. Infatti, sempre con al timone Cinzia Zanotti, il Geas torna in auge nel 2018 accedendo all’A1 cui tuttora è saldamente ancorata. “Il Geas è un po’ la mia casa. Al presidente Vignati, cui mi presentai da ragazzina, voglio un bene infinito. Sono tornata qui un po’ per caso, per mia figlia. Portavo lei agli allenamenti e la sua allenatrice, Monica Lanzi, mi diceva “Non puoi stare lì a chiacchierare con le mamme, ti prego fai qualcosa, stai a bordo campo!”. Ha insistito perché
MAGLIA AZZURRA HA VESTITO 113 VOLTE LA MAGLIA AZZURRA E HA SEGNATO 1009 PUNTI, È LA QUINDICESIMA NELLA CLASSIFICA ITALIANA MARCATRICI. È TORNATA SULLA PANCHINA AZZURRA NEL 2018 COME ASSISTANT COACH DELL’EX CT MARCO CRESPI.
facessi il corso e lo iniziai a seguire forse credendoci anche molto poco, perché quando ero una giocatrice non avrei mai pensato di fare l’allenatrice. Cerco di essere un’allenatrice il più possibile leale con le ragazze, cerco di essere coerente in quello che faccio, nelle scelte. Emotivamente sono una persona che non sempre riesce a far uscire quello che prova, ma una grande cosa che mi ha dato la pallacanestro è proprio questa: allenare e giocare mi fa emozionare riuscendo a fare uscire i miei sentimenti più nello sport che nella vita fuori dal campo. Ho grande passione per quello che faccio e capisco, mentre alleno e guardo le mie giocatrici, di pretendere molto ma perché vorrei che potessero dare sempre di più per il piacere di vederle soddisfatte”. Cinzia Zanotti è finora l’unica donna ad essere coach di una squadra di A1 femminile. Perché? “Personalmente, ho avuto la fortuna di iniziare con le giovanili. Ricordo ancora l’ex presidente Mazzoleni che mi diceva “Tu allenerai la prima squadra”, ed effettivamente è successo. Mi ha dato molta fiducia. Forse sono stata
fortunata ad avere un presidente che voleva me, non penso in quanto donna ma per darmi l’opportunità di farlo. Nonostante la retrocessione, ho continuato a lavorare e quindi ho avuto la possibilità di rimanere in una società che ha creduto in me. Insomma forse sono stata fortunata ad avere una situazione ad hoc che mi ha aiutata a crescere e a fare delle esperienze sia positive che negative, senza togliermi mai la fiducia. Perché capiti a poche donne sinceramente non lo so, forse bisogna che i presidenti ci pensino di più? In WNBA ci sono per la maggior parte allenatrici donne, quasi tutte ex giocatrici. Il percorso è anche diverso, non c’è la classica tessera da acquisire ma si allena e basta. Io ho iniziato il percorso da allenatore con i piedi grandi, avanti nell’età. Mi piacerebbe che ci fossero altre allenatrici donne ma non mi sento particolare per essere l’unica in A. Allenare le donne, dà grande soddisfazione e forse l’essere donna in certe situazioni mi aiuta, perché mi sembra di riuscire a capire il loro pensiero, anche come ex giocatrice, riguardo precise dinamiche proprio perché le ho vissute”.
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serie A1 serie A2 coppe ROSSINI VS ORLANDO SIMO… BALLA ANCORA FINAL 8 IN AUTUNNO In assenza di duelli agonistici, in aprile ha fatto rumore quello verbale fra il patron di Battipaglia, Rossini, e il suo ormai ex coach Sandro Orlando. L’attacco di Rossini: “Ha fomentato l’ambiente, litigando con tutti; ha concesso lunghe vacanze alle giocatrici; ha fatto il mercato prendendo doppioni”. La replica dell’agente di Orlando: “Rossini non ha mantenuto le promesse sul roster; falsa l’accusa di aver avuto cattivi rapporti con l’ambiente, tranne un diverbio con la fisioterapista; nessuna vacanza ma solo permessi concordati, di cui uno durante la sosta per le Nazionali, l’altro già in emergenza-Covid. Rossini ha fatto pressioni per risolvere il contratto, a condizioni irricevibili”. In una contro-replica il presidente campano ha rinfacciato a Orlando anche di aver compromesso il rapporto con Tagliamento, degradandola da capitana.
SUPER SIMO CLASSE 1981, LA GUARDIA DI FAENZA HA APPENA ANNUNCIATO DI VOLER CONTINUARE A GIOCARE.
Simona Ballardini continuerà a giocare. Era in lotta per il primato in A2 con la sua Faenza al momento dello stop ai campionati; il ritorno di coach Paolo Rossi le aveva consentito di non doversi più sdoppiare tra campo e panchina. Ma per l’ex azzurra classe 1981 poteva essere stata l’ultima stagione. Invece lei ha annunciato, in un’intervista a Luca Del Favero: “Voglio festeggiare i 40 anni in campo e non voglio smettere dopo una stagione lasciata a metà, come purtroppo spesso mi è accaduto in carriera. Le altre volte era per colpa di infortuni, mentre ora a essersi fatto male è stato il mondo”. Si è anche detta contraria al ritorno in campo a porte chiuse: “Un attore non può recitare senza pubblico e lo stesso vale per noi giocatrici. Poi c’è il problema della tutela sanitaria per noi, che saremmo a stretto contatto con le avversarie”.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il virus, ma ha portato un pizzico di speranza la decisione della Fiba di programmare a inizio autunno, tra settembre e ottobre, le fasi finali delle sue coppe europee, tra cui Eurolega ed EuroCup femminili. Annullando la manciata di partite di playoff disputate in marzo, nella caotica settimana dello stop, si ripartirà con un tabellone a 8 squadre in ambo le competizioni, con 3 turni di gare secche a eliminazione diretta. Per l’Italia sono coinvolte Schio (Eurolega, avversaria Praga) e Venezia (EuroCup, contro Girona). E mentre chiudiamo questo numero, arriva la notizia dell’inserimento di Cecilia Zandalasini nel quintetto ideale della stagione di Eurolega. La Fiba ha anche annunciato che i prossimi Europei resteranno nel 2021, nonostante il posticipo delle Olimpiadi; e che i Mondiali 2022 si terranno in Australia.
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REgionali Giovanili wnba CHI ERA IN TESTA ESTATE OUT RINVIO & DRAFT Ecco chi era al comando, regione per regione, in serie B (o, laddove assente, in C) al momento dello stop. Le migliori dovevano confluire nei playoff nazionali con in palio l’A2. In Campania erano alla pari Pol. Battipagliese e Olimpia Capri. In Emilia-Romagna, i due gironi erano capeggiati da Tigers Parma e Girls Ancona. In Friuli-V.G. (serie C), in testa la Ginn. Triestina. Nel Lazio, a pari punti la Stella Azzurra Roma e la Virtus Aprilia. In Liguria (serie C) Auxilium Genova e Cest. Savonese. In Lombardia era in fuga Varese. In Piemonte (serie C) era imbattuta Torino Teen. In Puglia (serie C) la N.B. Academy Brindisi. In Sardegna lo Spirito Sportivo Cagliari. In Sicilia alla pari Rainbow Catania e Alma Patti. In Toscana era imbattuta la Pall. Femm. Firenze. In Umbria (serie C) Porto S. Giorgio. In Veneto la Pall. Bolzano.
Era ampiamente nell’aria, come già prevedeva coach Giovanni Lucchesi sullo scorso numero di Pink Basket. Nondimeno la cancellazione delle competizioni europee per nazionali giovanili dell’estate 2020 è stata fra le notizie più dure da digerire. L’Italia non potrà dunque difendere – se non dal ’21 – i due ori della magica estate scorsa, U20 e U18, né rilanciare la sfida in U16, dove fu quinta nella passata edizione. Al momento di scrivere, rimangono in cartellone gli eventi intercontinentali Fiba di agosto e settembre, tra cui il Mondiale femminile U17 (Italia qualificata), in programma a Cluj Napoca (Romania) dal 15 al 23/8: la decisione finale sulla sua disputa dovrebbe essere presa verso metà maggio. Un filo sottile di speranza in un quadro generale, però, che vede continuamente estendersi nel tempo l’ondata di annullamenti di eventi sportivi.
Non ha sorpreso il rinvio della stagione Wnba, che doveva partire il 15 maggio con Cecilia Zandalasini di ritorno alle Minnesota Lynx: a inizio aprile è stato comunicato lo spostamento a data indefinita dello “start” del campionato. Oltre all’emergenza-coronavirus negli Usa, il problema è la possibile ripresa dell’Nba maschile ad occupare lo spazio estivo, tradizionalmente riservato alla Lega femminile. Si è tenuto, intanto, in videoconferenza il “draft” 2020 della Wnba (il più televisto negli Usa da 16 anni a questa parte): come da pronostico la prima scelta assoluta, per New York, è stata Sabrina Ionescu, nuovo potenziale fenomeno. Subito dopo di lei un’europea, la tedesca Sabally. Simbolica chiamata anche per Gianna Bryant, Alyssa Altobelli e Payton Chester, le tre giovanissime giocatrici morte insieme a Kobe Bryant nello schianto aereo del 26/1.
VARESE AL MOMENTO DELLO STOP GUIDAVA IL GIRONE LOMBARDO DI B CON 4 PT DI VANTAGGIO SUL BFM MILANO.
ALYSSA THOMAS ALA DELLE CONNECTICUT SUN E DI USK PRAGA, QUEST’ANNO NEL MIGLIOR QUINTETTO DI EUROLEGA, FA UN RESPIRO PROFONDO PRIMA DEL TIRO LIBERO
BREATH TRAINING Di LUCIA BOCCHI - Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport Torniamo a parlare di MINDCROSSFIT e mettiamoci subito al lavoro sperimentando tre tecniche di respirazione. Allenarsi a respirare è un ottimo sistema per gestire ansia, concentrazione e attivazione. Lo fanno gli atleti professionisti, ma possiamo farlo tutti, allenatori e dirigenti compresi. La respirazione è la chiave per affrontare gli impegni quotidiani e quelli eccezionali con il giusto approccio: quello più funzionale alla buona riuscita delle nostre imprese! La respirazione è la modalità più semplice ed immediata, per gestire ciò che noi psicologi dello sport chiamiamo Arousal, cioè il grado di attivazione psico-fisiologica necessaria ad eseguire un compito. Imparare ad utilizzarla diventa uno strumento efficace e potente per aumentare il focus attentivo e la concentrazione. Vediamo allora tre tipi di respirazione per iniziare ad apprendere a respirare nel modo più funzionale. 1) Respirazione diaframmatica: da sdraiati, mettiamo una mano sull’addome, inspiriamo per 3” ed espiriamo per 4”. Dobbiamo sentire la nostra mano che solleva e si abbassa, mentre la pancia si gonfia e si svuota. Obiettivo: aumentare la consapevolezza del respiro e la funzionalità del diaframma. Quando usarla, una volta allenati: durante un intenso stato ansioso pre-gara o se abbiamo necessità di ritrovare la calma. 2) Respirazione quadrata: seduti, immaginiamo un quadrato e per ogni lato inspiriamo 3 secondi - tratteniamo 3”- espiriamo 3”- tratteniamo di nuovo 3”. Obiettivo: imparare ad utilizzare i cicli di ritenzione per ossigenarsi maggiormente. Quando usarla, una volta allenati: per spostare l’attenzione dai pensieri disfunzionali, per aumentare l’energia. 3) Respirazione profonda: in una qualsiasi posizione che favorisca la respirazione, espiriamo ed esperiamo per un doppio rispetto all’inspirazione. Ad esempio: inspiro 3” - espiro 6”, aumentando nel tempo i secondi. Obiettivo: ridurre lo stato di iper-attivazione. Quando usarla, una volta allenati: in presenza di scarsa lucidità mentale dovuta a stanchezza fisica, emozioni incontrollate, intensa ansia. Durante l’apprendimento, non forziamo il respiro, ma proviamo a inspirare comodamente attraverso il naso ed espirare attraverso la bocca; per capire quale intensità applicare, immaginiamo di avere una candela di fronte a noi a cui dobbiamo far tremare la fiamma senza spegnerla. Provate ad applicare la respirazione agli esercizi cognitivi di cui abbiamo parlato nello scorso numero di PinkBasket e fateci sapere come va! Questa rubrica è tenuta da Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport, una realtà che utilizza la Positive Psychology con atleti e allenatori, dai settori giovanili all’alto livello agonistico, per rispondere alle principali criticità che si incontrano sul campo di gara e di allenamento, per migliorare performance individuali e ottimizzare il rendimento di squadra.
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GUARDIA E LADRI
QUARANTEAM
La squadra ai tempi dell’isolamento sociale Di Susanna Toffali Il playmaker
Dopo una notte turbolenta intrisa di assist al bacio puntualmente sprecati dalle compagne, il playmaker si sveglia con la stessa sensazione di stanchezza e ammaccatura di quando si ritrova a marcare un pivot di un metro e novanta in post basso a causa di uno sciaguratissimo cambio sul pick&roll. In cucina si trova a dover fare i conti con la monumentale stazza che da sempre caratterizza la sua vita cestistica e, soprattutto, con l’altezza che puntualmente non le permette di arrivare alla scatola dei biscotti. L’abilità nel “no-look” viene prontamente messa a disposizione dell’attività universitaria e la sviluppatissima visione periferica diventa incredibilmente utile per far finta di seguire le lezioni durante la quarta stagione de “La Casa di Carta”.
La guardia
La designazione dell’addetto-spesa in famiglia mette più agitazione delle convocazioni del venerdì sera in spogliatoio. La tensione è palpabile: c’è chi si guarda i piedi, chi si mangia le unghie, chi osserva in maniera spasmodica le fughe del pavimento in attesa di un verdetto che lascerà sicuramente l’amaro in bocca. La scelta ricade sulla guardia che, sportivamente, esulta in faccia ai fratelli come Michael Jordan dopo gara 6 delle finals del 1998. Stockton e Malone ne escono sconfitti, è ora di indossare guanti e mascherina ed andare. L’Esselunga si rivela un ottimo playground e centrare il carrello con i prodotti di prima necessità un valido metodo per affinare il proprio package: layup con l’Amuchina, reverse con i surgelati, jump shot con la Simmenthal e, per i più fortunati, tiro da tre con il panetto di lievito (rigorosamente da 500 grammi).
L’ala
Farmacia comunale, ore 10.30. Venticinque i gradi effettivi al sole, circa trentotto i percepiti: un caldo del genere ad aprile non si vedeva da giugno. Parcheggiata la macchina a circa un chilometro e mezzo, ci si può tranquillamente già trovare in fila, tremendamente analoga a quella che si può trovare una qualsiasi domenica estiva all’ingresso di Gardaland. Farmacia comunale, ore 11.30. Dopo un’ora ed una media di due passi ogni quindici minuti, si intravede un barlume di speranza. Mancano solo dieci persone, e l’insegna luminosa si avvicina vertiginosamente. Farmacia comunale, ore 12.30. Con lo stesso aplomb di un Calippo dimenticato sotto al sole, l’ala arriva sorridente al traguardo. La farmacista, altrettanto sorridente, comunica di tornare nel pomeriggio. Fortunatamente la mascherina ha il potere di coprire il labiale.
Il pivot
A cosa serve la sveglia puntata sul cellulare quando la mamma decide di far prendere aria alla stanza alle 8 del mattino e ti dà la possibilità di svegliarti con il gradevolissimo venticello ghiacciato tra i piedi, che puntualmente penzolano fuori dalle coperte? E soprattutto, perché il piumone Ikea sembra sempre rimpicciolirsi durante la notte? Mismatch a parte, quali sono i vantaggi dell’essere un metro e novanta? Devono essere più o meno questi i quesiti che attanagliano la testa del pivot, conscia del fatto che in questi tempi in cui tutti hanno magicamente voglia di ristrutturare qualsiasi cosa, le sue lunghe leve verranno certamente usate come pretesto per reggere mensole, quadri o lampade in giro per la casa.
La panchinara
Inutile girarci attorno: la panchinara ha, all’interno della squadra, dei compiti ben precisi, imprescindibili, guadagnati mediante il tempo e la fiducia. I genitori lo sanno, e fanno di tutto per incentivarla a non perdere confidenza con queste importantissime mansioni. Diventa così la principale incaricata del trasporto e del passaggio di bottiglie d’acqua ai familiari e, soprattutto, della lavatrice, poiché il mantenimento della manualità nello sventolare gli asciugamani risulta una prerogativa fondamentale per la conservazione del suo status.
Il coach
Dopo una prima fase di ambientamento, il coach sta imparando a vivere in un particolare habitat fino ad a quel momento inesplorato, considerato solo come ostello di passaggio tra una trasferta e l’altra: casa sua. La moglie, spaesata tanto quanto lui per quest’improvvisa comparsa domestica, cogliendolo ad incitare le piante grasse del salotto decide di piazzarlo sul balcone a fare la ramanzina ai (pochi) poveri passanti dotati di autocertificazione e cane al guinzaglio, ma nessuno lo prende molto in considerazione. Come al solito.
Il preparatore
Ore 8: sveglia Ore 9: videoallenamento con il gruppo libellule Ore 10: videoallenamento con il gruppo gazzelle Ore 11: videoallenamento con il gruppo esordienti Ore 14: videoallenamento con il gruppo under 13 Ore 15: videoallenamento con il gruppo under 14 Ore 16: videoallenamento con il gruppo under 16 Ore 17: videoallenamento con il gruppo under 18 Ore 18: videoallenamento con il gruppo under 20 Ore 19: videoallenamento con la prima squadra Ore 20: la fidanzata chiama “Chi l’ha visto?”
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