MAGGIO 2021
RIVISTA
MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. L. 46/2004 ART. 1 COMMA 1) - PERIODICO MENSILE € 6,00
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto? Giampaolo Di Paola
Evoluzione della NATO: dal 1949 verso il futuro Alessandro Minuto Rizzo
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Sommario PRIMO PIANO
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
Giampaolo Di Paola
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
46 Esperienze di un italiano su una nave di Sua Maestà britannica. Breve cronaca di un viaggio di formazione nella Royal Navy Guglielmo Domini
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Inviti ai vari. Ricordi e tradizione tra orgoglio e speranza
Antonello Gamaleri
STORIA E CULTURA MILITARE
66 Le due navi del Principe Filippo Enrico Cernuschi
12 Evoluzione della NATO: dal 1949 verso il futuro Alessandro Minuto Rizzo
20 NATO: dall'Europa al resto del mondo Alessandro Mazzetti
28 NATO: la via per il futuro Gino Lanzara
36 SPECIALE - Milite Ignoto: un simbolo che dal passato guarda al comune futuro Rivista Marittima, La Direzione
Rivista Marittima Maggio 2021
RUBRICHE
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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Scienza e Tecnica Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni
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RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
PROPRIETARIO
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IN COPERTINA: le bandiere della Marina Militare e della NATO issate a riva su un’unità navale della classe FREMM.
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MAGGIO 2021 - anno CLIV
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HANNO COLLABORATO: Ammiraglio (ris) Giampaolo Di Paola Ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo Professor Alessandro Mazzetti Capitano di fregata Gino Lanzara Tenente di vascello Guglielmo Domini Dottor Antonello Gamaleri Dottor Enrico Cernuschi Ambasciatore Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Capitano di fregata Gianlorenzo Capano Dottor Andrea Tirondola Dottor Claudio Sicolo Capitano di corvetta Danilo Ceccarelli Morolli
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E ditoriale
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l 4 aprile del non poi così lontano 1949, dodici nazioni, tra cui l’Italia tra i fondatori, firmarono il Trattato istitutivo della NATO (North Atlantic Treaty Organization), anche conosciuto come Patto Atlantico. Ricordiamo quei fondatori: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Olanda, Belgio, Danimarca, Canada, Portogallo, Lussemburgo, Norvegia e Islanda. Era la materializzazione formale e sostanziale dell’organizzazione politico-militare dell’Occidente, che andava compattandosi rispetto al blocco sovietico. Nel preambolo di quel Trattato, gli Stati firmatari: «[...] riaffermano la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle Nazioni unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi. Si dicono determinati a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sulla preminenza del diritto. Aspirano a promuovere il benessere e la stabilità nella regione dell’Atlantico settentrionale. Sono decisi a unire i loro sforzi in una difesa collettiva e per la salvaguardia della pace e della sicurezza» (1). Il 14 maggio 1955, l’Unione Sovietica ritenne necessario, in contrapposizione alla NATO, dare vita a un’analoga coalizione denominata come Patto di Varsavia (2), a questa alleanza aderirono oltre all’Unione Sovietica: l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria, la Repubblica Democratica di Germania (Germania Est), la Polonia, la Romania e l’allora Cecoslovacchia. D’altra parte il testo del «Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca» sovietico del 1955 non lasciava spazio a equivoci: il preambolo affermava, infatti: «[...] il desiderio di creare in Europa un sistema di sicurezza collettiva fondato sulla partecipazione di tutti gli Stati europei qualunque sia il loro regime sociale e politico, il che permetterà di unire i comuni sforzi per assicurare il mantenimento della pace in Europa. Tenendo conto, inoltre, della situazione creatasi in Europa in seguito alla ratifica degli accordi di Parigi, che prevedono la costituzione di un nuovo organismo militare sotto la forma di Unione dell’Europa Occidentale, che comportano la partecipazione della Germania occidentale rimilitarizzata e la sua integrazione nell’Organizzazione dell’Atlantico del Nord, ciò che aumenta i rischi di una nuova guerra e crea una minaccia alla sicurezza nazionale SEGUE A PAGINA 4
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degli Stati pacifici. Convinti che, in tali condizioni, gli Stati pacifici dell’Europa debbano prendere le misure necessarie sia per garantire la loro sicurezza sia nell’interesse del mantenimento della pace in Europa. Sotto la guida degli scopi e dei principi dello Statuto delle Nazioni unite, nell’interesse di rafforzare e sviluppare ulteriormente l’amicizia, la cooperazione e l’assistenza reciproca in conformità ai principi del rispetto dell’indipendenza e della sovranità degli Stati, nonché della non interferenza nei loro affari interni, abbiamo deciso di concludere questo Trattato di amicizia, cooperazione e mutua assistenza e nominato i nostri delegati [...]» (3). Appartiene alla storia la data della dissoluzione del Patto di Varsavia: 1° aprile 1991; ma vale la pena sottolineare come nel preambolo della NATO compaiono termini quali: civiltà, democrazia, libertà dei popoli e libertà individuali, preminenza del diritto, stabilità e benessere. Tali vocaboli, appaiono, ictu oculi, come decisamente più moderni rispetto al linguaggio severo e chiuso di posizioni deterministiche di causa effetto del Patto di Varsavia. Sta di fatto che nell’età c.d. «bipolare» della Guerra Fredda, contraddistinta dalla competizione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, la NATO ha giocato immediatamente un ruolo politico-militare confermatosi fondamentale per quasi mezzo secolo nell’agone geostrategico tra «atlantici» e «sovietici» e che, all’indomani della fine del bipolarismo, al contrario del Patto di Varsavia, la NATO è perdurata, anzi ha visto un considerevole ampliamento del numero dei propri Stati membri. Le attività di adesione alla NATO, da parte degli Stati europei, partono invero da lontano, ossia dagli anni Cinquanta del secolo scorso (Grecia e Turchia aderirono nel 1952, Germania nel 1955) per poi proseguire tra gli anni Ottanta (Spagna nel 1982) e soprattutto poi negli anni Novanta (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, tutte nel 1999). All’inizio del nuovo millennio la NATO ha visto un ulteriore allargamento dei propri orizzonti verso «Est»: Bulgaria, Romania, Slovenia, Slovacchia e tutte e tre le Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) aderiscono nel 2004, Serbia e Croazia nel 2009; e infine nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia. Oggi dunque la NATO coincide con gran parte degli Stati della «vecchia» Europa con propaggini nel quadrante Nord-orientale (Repubbliche baltiche) e balcanico, rappresentando così l’alleanza politico-militare più rilevante del globo, con un totale attuale di 30 nazioni aderenti, cosa che può essere definibile come un unicum. Ma, a ben vedere è qualcosa di più e di nuovo. Le alleanze militari, infatti, ci sono sempre state, quantomeno dall’epoca della Guerra di Troia e fino alla Seconda guerra mondiale. In realtà la NATO non costituisce una semplice alleanza internazionale militare tra Stati, o una «Lega» militare tra nazioni; la NATO è un punto di incontro e, soprattutto, uno spazio di valori condivisi e quindi anche di approccio verso i problemi e di soluzioni ai medesimi. Il tema della difesa collettiva (espresso dall’art. 5 del Trattato atlantico), per cui se uno Stato membro è aggredito da un terzo tutti gli altri avrebbero obbligo di assistenza e aiuto, è certamente un elemento determinante e punto fondamentale della NATO come sistema difensivo e di sicurezza, ma non va mai dimenticato il sistema valoriale di riferimento incardinato nel Trattato stesso. La NATO esprime così un legame stabile e permanente tra «vecchio» e «nuovo» mondo, ossia tra Europa e Nord America. Naturalmente c’è chi si è chiesto, — soprattutto all’indomani del collasso dell’Unione Sovietica — in merito a un’eventuale obsolescenza della NATO. Mai pensiero geopolitico appare più errato. Oltre al fatto che si è passati, dopo la Guerra Fredda, a un mondo oggettivamente più instabile e quindi maggiormente pericoloso, la NATO gioca un ruolo di salvaguardia e difesa non tanto di singoli Stati ma dell’intera civiltà occidentale. Pro-
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prio contro le eventuali critiche alla NATO, è la stessa organizzazione che sembra dare risposta definitiva nel suo Concetto Strategico (del 2010) in cui apertamente e chiaramente si autodefinisce come una «Alleanza per il XXI secolo». E ancora, nel 2019 i leader mondiali della NATO hanno sollecitato il segretario generale Jens Stoltenberg a delineare un processo futuro di consolidamento e rafforzamento dell’Alleanza. Nel giugno 2020 il Segretario Generale ha indicato chiaramente le priorità per una NATO 2030 che prevedono: un’Alleanza che rimanga forte militarmente, ancora più forte politicamente e proiettata secondo un approccio più globale. In questo quadro d’insieme, il ruolo dell’Italia nella NATO ha anch’esso una valenza particolare di reciproco interesse. In particolare, l’Italia è passata, dal 1945 a oggi, da una posizione di realtà «inevitabile» nello scacchiere internazionale a un ruolo geopolitico e geostrategico sempre più importante e ulteriormente aumentato. Basta sfogliare un atlante geografico per constatare che i conflitti e i confronti più destabilizzanti del XXI secolo insistono sempre a ridosso della cosiddetta «Faglia Mediterranea»: Libia, Iraq, Siria, Sahel, Darfur, Yemen e, più a Oriente, l’Ucraina e l’Afghanistan. La vecchia (oggi possiamo dirlo con serena coscienza storica e perfino economica) «battaglia per l’Europa» lungo la «Soglia di Gorizia» della Guerra Fredda si è spostata dalle pianure continentali al «Fronte Sud», in special modo nella sua dimensione navale. Non a caso la NATO assegna al nostro paese ben due comandi strategici: Allied Joint Force Command Naples e il NATO Rapid Deployable Corps (NRDC ITA) di Solbiate Olona, e due Forward Operating Base (Trapani Birgi e Aviano), con evidente proiezione strategica verso il fianco Sud dell’Alleanza. Ma, l’efficacia dell’Italia nella NATO emerge anche dalle dimostrate capacità di mediazione e intervento che il nostro Paese ha manifestato e manifesta nell’area balcanica, in quella Nordafricana e nel Levante. Un compito strategico fondamentale, nella sua intelligente flessibilità, che assegna alla Marina Militare un compito decisivo. Ma non è solo una questione di rapida proiezione del potere marittimo e d’integrazione con le altre Forze armate e alleate. L’Italia è erede dell’esperienza geostrategica e geopolitica dell’antica Roma nella cui lunga evoluzione storica: diplomazia, intelligence e forza si sono sapientemente mescolati per poi addirittura traslare a Oriente (cioè a Costantinopoli). Così anche gli Stati Uniti, dopo l’iniziale fase di entusiasmo post 1989, hanno correttamente apprezzato e riscoperto la saggezza tipica di un approccio (quanto necessario) di tipo assertivo ma graduale, allo scopo di mantenere ogni situazione sotto controllo. Qualsiasi senatore dell’antica Roma o Doge della «Serenissima» o della «Superba» conosceva e praticava questa medesima, savia politica da uno o due millenni. La Rivista Marittima propone, con questo numero, nuovo spazio al «tema NATO», con l’auspicio di servire gli interessi del lettore e di tutta la comunità.
NOTE (1) Preambolo del Trattato Nord Atlantico, Washington, DC - 4 aprile 1949. (2) Il Patto di Varsavia fu interpretato come risposta politica agli Accordi di Parigi e di Londra del 1954 che videro l’inclusione della Repubblica federale di Germania nella UEO e nella NATO. (3) Preambolo del Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca (Patto di Varsavia), Varsavia, 15 maggio 1955.
DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
Giampaolo Di Paola Ammiraglio (ris). Nato a Torre Annunziata (NA) il 15 agosto 1944, è entrato in Accademia navale nel 1963. Dopo la specializzazione presso la Scuola sommergibili dal 1968 al 1974 ha prestato servizio con vari incarichi a bordo dei sommergibili e unità navali tra cui quello di comandante dell’incrociatore portaeromobili Garibaldi nel 1989-90. Ha frequentato il NATO Defence College a Roma (Italia) e dal 1981 al 1984 ha prestato servizio a Saclant (Norfolk - Virginia, Stati Uniti). Dopo importanti e prestigiosi incarichi nell’ambito dello Stato Maggiore Marina nel 1994 è capo del Reparto politica militare dello Stato Maggiore Difesa e il 30 novembre 1998 capo di Gabinetto del ministro della Difesa. Segretario generale della Difesa il 26 marzo 2001, ha mantenuto l’incarico fino al 10 marzo 2004 quando è stato promosso a capo di Stato Maggiore della Difesa, incarico che ha mantenuto fino al 12 febbraio 2008 quando è nominato presidente del Comitato militare della NATO, composto dai capi di Stato Maggiore dei ventisei paesi dell’alleanza. Il 16 novembre 2011 è nominato ministro della Difesa della Repubblica Italiana e in tale ruolo ha ricoperto anche l’incarico di cancelliere e tesoriere dell’Ordine militare d’Italia. ARTICOLO EDITO SU INVITO DELLA DIREZIONE
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embra trascorso un secolo e invece è passato solo un anno o poco più da quando l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump sosteneva che la NATO fosse obsoleta, mentre il presidente francese Macron ne dichiarava la morte cerebrale. E invece l’Alleanza atlantica sembra non solo in buona forma ma anche cerebralmente molto attiva e sulla strada del ripensare sé stessa. Del resto i nuovi scenari di sicurezza da un lato e la nuova presidenza statunitense dall’altro richiedono questo ripensamento e una rinnovata riflessione sulla strategia dell’Alleanza. Il Segretario generale (SG) della NATO, il norvegese Jan Stoltenberg, ormai da tempo richiama gli alleati a una nuova visione per l’Alleanza, una visione da lui definita «Alliance 2030» e che in numerose dichiarazioni pubbliche ha tratteggiato basandola su tre capisaldi come segue: — una NATO che continui a essere una solida e forte alleanza militare; cioè un’Alleanza capace di maggiori investimenti nella propria difesa, dotata di moderne capacità in un epoca in cui, con l’affacciarsi di nuove tecnologie «disruptive» — quali l’intelligenza artificiale
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(AI), il Quantum Computing (QC), le nuove nano-tecnologie, e sistemi d’arma unmanned e ipersonici — assistiamo all’avvento di una nuova rivoluzione negli «Affari militari» per la quale gli americani hanno coniato il termine «Hyperwarfare», cioè una condotta di operazione a velocità e con tempi decisionale e di azione/reazione brevissimi e fino a ieri impensabili; — una NATO rafforzata come alleanza politica; perché la NATO è il solo luogo dove i paesi dell’Europa e nord atlantici si incontrano e lavorano insieme quotidianamente. Pertanto è necessario rafforzare questa realtà e usare sempre più l’Alleanza come un foro di franca discussione politica su tutti i temi inerenti alla sicurezza (dalla potenziale sfida russa, al Medio Oriente, all’Africa e da ultimo ma non ultimo alla Cina e all’impatto della sua crescita come potenza globale sulla nostra sicurezza); — una NATO con un approccio più globale, perché pur essendo un’Alleanza regionale, le sfide con cui si deve confrontare sono sempre più globali. Le minacce cyber, la assertività russa, il terrorismo, la proliferazione nucleare, le pandemie, i cambiamenti climatici e la Cina, la cui ascesa sta cambiamento radicalmente «the balance of Power», spostando il centro di gravità geopolitico dall’Atlantico all’Indo-Pacifico. La Cina è un competitore sistemico per struttura politica, economica e valoriale e una sfida alla nostra sicurezza in «La NATO e l’Unione europea hanno iniziato un percorso di riflessione e di studio che le condurrà a rinnovarsi e a meglio adattarsi al futuro per meglio rispondere alle sfide e alle minacce del nuovo contesto geopolitico e geostrategico» (Fonte immagini testata: repubblica.it e iss.europa.eu). In basso: il Segretario generale della NATO, Jan Stoltenberg che «ormai da tempo richiama gli alleati a una nuova visione per l’Alleanza». Qui ritratto assieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen (EC).
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
senso lato e alla nostra primazia tecnologica, una sfida che richiede un approccio collettivo e coordinato tra Europa e Stati Uniti per accrescere la nostra competitività e resilienza e per difendere un ordine globale liberale fondato sulla «Rule of Law». È sulla base di questa visione e su mandato dei capi di Stato e di Governo dell’Alleanza che il SG della NATO
Il diplomatico e senior US official A. Wess Mitchell (useu.usmission.gov) co-presidente, assieme al politico tedesco ed ex ministro dell’Interno e della Difesa della Germania Thomas de Maizière (accanto) - (financialtribune.com), del gruppo ristretto di saggi istituito all’inizio del 2020 per riflettere e fare proposte sulla NATO del futuro.
ha costituito all’inizio del 2020 un gruppo ristretto di saggi (tra cui l’italiana Marta Dassù) per riflettere e fare proposte sulla NATO del futuro, una riflessione che costituisse una base propositiva inziale per la definizione di un nuovo «Concetto Strategico dell’Alleanza» in sostituzione di quello attualmente in vigore, approvato a Lisbona nel 2010 e non più riflettente il contesto strategico attuale e futuro, in cui la Russia è ritornata a essere un protagonista globale con proiezioni di potenza mondiale e non più regionale (e non più un partner strategico come nella prima decade di questo secolo) e la Cina è emersa come un nuovo rivale sistemico. Il risultato del lavoro del gruppo di saggi, co-presieduto dallo statunitense A. Wess Mitchell (diplomatico e senior US official) e dal tedesco Thomas de Maizière (ex ministro dell’Interno e della Difesa della Germania) si è articolato in un sostanzioso rapporto presentato al SG NATO e ai paesi membri nel novembre 2020 dal titolo: NATO 2030 - United for a new Era. Come ci ricorda Marta Dassù in un suo articolo per
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l’Aspen Institute (1), la «visione» e le conclusioni del rapporto possono essere sintetizzate in tre messaggi chiave come segue: — primo: il contesto di sicurezza in cui opera la NATO è cambiato profondamente dal 2010 in poi ed è dominato dalla competizione tra grandi potenze e da rischi globali crescenti e richiede un nuovo concetto strategico. L’assertività russa è diventata più eclatante e pericolosa (Georgia, Crimea, Ucraina, Siria, Libia, Bielorussia, avvelenamenti Skripal e Navalny e più di recente e per quel che più direttamente ci riguarda come Italia e Forze armate, il caso di presunto spionaggio militare). Parallelamente, la Cina è emersa prepotentemente come «rivale» sistemico; il fianco Sud è sconvolto da numerosi conflitti e la rivoluzione tecnologica «disruptive» sta avendo un impatto distruttivo sul contesto di sicurezza. La conclusione che si può trarre da questa analisi è che la NATO per rimanere rilevante per la sicurezza dei suoi paesi membri e per contribuire alla stabilità internazionale deve acquisire una prospettiva globale. Ciò significa avere un approccio più globale alla sicurezza che per esempio rafforzi il partenariato con i paesi dell’area Asia-Pacifico, quali il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, la Nuova Zelanda e l’India. È interessante qui osservare come questa riflessione richiami e sia armonica con la posizione assunta di recente dagli Stati Uniti sotto la presidenza
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
Questo rischio potenziale ci conduce al terzo messagBiden per un rilancio della collaborazione tra le degio chiave; mocrazie dell’Indo-Pacifico, il cosiddetto Quad — terzo: la relazione tra NATO e Unione europea è (Quadrilateral Security Dialogue, Stati Uniti, Giapassolutamente centrale ed essenziale. Va certamente inpone, Australia e India) (2) in chiave di competizione coraggiato lo sviluppo di un’efficace ed efficiente die contenimento della Cina. mensione della Difesa europea, ma in un quadro di Analogamente, oltre a fronteggiare con un’efficace depiena sinergia e complementarietà con la NATO e in terrenza la Russia, la NATO dovrà far fronte alla perdurante minaccia del terrorismo, all’emergere di nuove sfide e rischi nella regione artica e all’instabilità del fianco Sud europeo, perché come dice il rapporto «quando i paesi del vicinato meridionale della NATO sono più sicuri, anche la NATO è più sicura»; — secondo: la seconda decade di questo secolo ha visto la crescita di potenze autoritarie il cui scopo è di indebolire le democrazie occidentali e l’ordine globale liberal-democratico consolidatosi negli I leader del Quadrilater Security Dialogue (QUAD) hanno recentemente rilanciato la collaborazione tra le ultimi settant’anni dalla fine del Se- democrazie dell’Indo-Pacifico. Da sinistra: il primo ministro indiano Nerendra Modi, il 46o presidente degli Uniti, Joe Biden, il primo ministro giapponese, Yoshihide Suga, e Scott Morrison, primo ministro condo conflitto mondiale. Ma, oltre Stati dell’Australia (yahoo.com). a questo, la sicurezza degli alleati un contesto di più forti legami istituzionali e politici tra NATO è esposta alle minacce globali derivanti dal camle due organizzazioni senza esclusioni o preclusioni per biamento climatico, dalle pandemie e dai pericoli derii paesi europei della NATO non UE. vanti da un uso perverso (malware) del dominio Quest’ultimo messaggio chiave della riflessione in cibernetico. In sostanza viviamo in un’epoca di simultaambito NATO ci introduce alla prospettiva europea neità strategica, dove cioè le minacce e le sfide alla sicudella dimensione di sicurezza. rezza sono multidimensionali. Da questa constatazione il È chiaro come l’affermazione di Macron sulla NATO secondo messaggio chiave, ovvero che la NATO pur ri«cerebralmente morta» fosse un’iperbole polemica mimanendo una forte Alleanza militare, per guadagnare e rata a risvegliare l’UE e i suoi membri da quello che lui mantenere il supporto pubblico, così vitale in democrazia, riteneva un letargo strategico. Del resto lo stesso Macron, dei cittadini dell’Alleanza, dovrà anche attivamente soil 19 febbraio 2020, nel suo intervento all’edizione spestenere la dimensione della «Human Security» e della reciale a distanza della tradizionale Conferenza sulla sicusilienza delle nostre società democratiche. rezza di Monaco di Baviera, affermava: «credo nella Questo richiede di aprire un nuovo capitolo nella NATO e credo che la NATO abbia bisogno di un nuovo lunga storia dell’Alleanza di continuo adattamento, un impulso politico per chiarire il suo concetto strategico e capitolo necessario per evitare il rischio di disaccopil suo approccio politico» (3). piamento nella valutazione delle sfide, dei rischi e delle In realtà, a partire dall’approvazione nel giugno minacce tra gli Stati Uniti focalizzati sull’Asia-Pacifico 2016 della Global Strategy for the EU’s Foreign and (il famoso «pivot to Asia-Pacific» di obamiana memoSecurity Policy, nella quale per la prima volta si faceva ria) e gli alleati europei essenzialmente focalizzati sul un qualche riferimento al concetto di autonomia strateatro e sul vicinato europeo.
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
tegica e all’esigenza che «l’UE sia rafforzata come Comunità di sicurezza: gli sforzi europei nel campo della sicurezza e difesa dovranno permettere all’UE di agire autonomamente ma anche di contribuire a intraprendere azioni in cooperazione con la NATO», l’UE ha iniziato un progressivo percorso di rafforzamento sia istituzionale sia operativo delle proprie capacità nella dimensione della sicurezza. Mi riferisco alla PESCO (Permanent Structured Cooperation) ma anche all’European Defence Fund che per la prima volta nella storia dell’Unione stanzia risorse comuni per la ricerca tecnologica e lo sviluppo di capacità militari nel settore della Difesa dell’ordine di circa 8 miliardi di euro in 5 anni, certo non molto ma comunque un inizio. Pur tuttavia, a fronte d’una Unione che procedeva ancora timidamente sia in campo di volontà politica sia capacitivo nel settore della Difesa, Macron rilanciava l’iniziativa di una forte autonomia strategica dell’Unione nel campo della sicurezza con l’acquisizione di importanti capacità militari «High End» da svilupparsi e acquisire in Europa anche attraverso una consolidamento e un rafforzamento della base industriale europea della difesa. Questa visione francese è stata ripresa recentemente dal presidente Macron nel suo intervento alla sopra citata Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio scorso nel corso della quale ha affermato: «il concetto di autonomia strategica per l’Europa non significa un tentativo di staccare l’Europa dagli Stati Uniti danneggiando la NATO, ma invero l’opposto, perché se si guarda alla questione del «burden sharing» nell’Alleanza, si vedrà come una larga parte degli investimenti e degli impegni sia sostenuta dagli Stati Uniti. Io penso che questa (l’autonomia strategica dell’Unione) sia la via per ribilanciare la relazione transatlantica e per dare evidenza all’alleato e amico americano che noi (gli europei) siamo un partner affidabile e responsabile e credo anche che avere una Unione europea che investa molto di più nella Difesa ci renda molto più credibili come membri della NATO» (4). Tuttavia il dibattito sull’autonomia strategica dell’Unione rilanciato dalla Francia è ancora percepito con riserve dalla Germania, che guarda con prudenza se non timore a una politica militarmente più assertiva e muscolare da parte dell’Unione e teme il rischio di un potenziale disaccoppiamento dalla NATO e dagli Stati
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Uniti, rischio ancor più decisamente percepito dai paesi europei settentrionali e orientali che vedono in una forte presenza NATO e statunitense in Europa la sola garanzia di una deterrenza e difesa efficace dalla eventuale possibile minaccia russa. Anche nei circoli politici e d’elaborazione del pensiero strategico dell’alleato statunitense si intravede una doppia anima sul tema dell’autonomia strategica europea. Infatti, da un lato, il desiderio di vedere gli europei incrementare in misura sostanziale, sia finanziariamente sia operativamente il loro contributo alla difesa comune, dall’altro il timore che il concetto di autonomia strategica possa alla lunga sottendere, anche in maniera non voluta, un qualche effetto «disaccoppiamento», con conseguente indebolimento dell’Alleanza. È in questo contesto che va inquadrata la più recente iniziativa europea nel settore della sicurezza, cioè l’elaborazione in corso di una «Strategic Compass» (bussola strategica) per l’Unione nel campo della difesa e sicurezza. L’esercizio è nella sua fase iniziale, dovrebbe concludersi in un anno e ha lo scopo prioritario di dare maggior concretezza e direzione strategica all’ambizione europea di diventare un più significativo «Security Player». A tal scopo, la bussola strategica partirà dalla valutazione delle minacce e delle sfide di sicurezza che fronteggiano l’Unione al fine di individuare le concrete capacità necessarie a rendere l’Unione più capace, più efficace e più operativamente pronta e tempestiva nella risposta alle crisi e nel fornire sicurezza. L’Unione dovrà accrescere la propria resilienza anche attraverso un accesso sicuro ai così detti «Global Commons» (quali: cyber, spazi marittimi, spazio); determinare le proprie vulnerabilità e deficienze nel settore della sicurezza e difesa e accrescere l’assistenza e solidarietà reciproca tra i paesi membri dell’Unione. In questo contesto, come ha rappresentato il generale Graziano (5), presidente del Comitato militare europeo nella sua audizione sullo Strategic Compass alla Commissione difesa senato a fine marzo di quest’anno, vi è l’esigenza avvertita dalla componente militare dell’Unione di dotarsi di robusti sistemi di comando e controllo, di una capacità di pianificazione avanzata, di più efficaci procedure per la generazione delle Forze, di più efficaci procedure per lo sviluppo della capacità militari in ogni possibile scenario, inclusi quelli più impegnativi
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NATO e UE nei nuovi scenari di sicurezza. Quale rapporto?
che richiedano un «Full Spectrum Force Package» cioè capacità militari «high end» (come si dice nel gergo operativo, ovvero di alto/altissimo livello). In conclusione, sia la NATO sia l’Unione europea hanno iniziato un percorso di riflessione e di studio che le condurrà a rinnovarsi e a meglio adattarsi al futuro per meglio rispondere alle sfide e alle minacce del nuovo contesto geopolitico e geostrategico, di cui si è discusso nella prima parte di questo articolo. La sfida delle sfide sarà quella di assicurare piena e forte coerenza strategica e operativa ai due processi così da evitare ogni rischio, seppur larvato e non voluto, di disaccoppiamento tra le due organizzazioni, pur nel rispetto delle rispettive autonomie decisionali e al contempo di far crescere in misura significativa le capacità militari europee in un quadro europeo e atlantico così da assicurare agli europei ruolo e capacità militare più significative e bilanciate all’interno dell’Alleanza atlantica. In questa sfida, l’Italia (insieme alla Francia, la Germania ma anche al partner britannico) può e deve giuocare un ruolo importante. La convinzione e l’impegno dell’Italia sia nella NATO e il rapporto transatlantico che nella crescita del ruolo sicuritario dell’Unione europea è non solo tradizionalmente nota ma anche al di sopra di ogni sospetto, e lo è ancor più oggi con l’attuale governo di unità nazionale sotto la guida del presidente del Consiglio Mario Draghi e l’alta vigilanza istituzionale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Inoltre, sul piano operativo, le Forze armate italiane sono impegnate in un importante processo di ammodernamento tecnologico e capacitivo, anche sostenuto da una valida ed efficace base industriale. Giusto per citare un solo esempio come segue. Le capacità operative di assoluto livello come l’F-35, a disposizione oggi sia delle forze aeree che navali italiane (è recentissima la qualificazione ottenuta dalla portaerei Cavour negli Stati Uniti a operare il Joint Strike Fighter),
«Le capacità operative di assoluto livello come l’F-35, a disposizione oggi sia delle forze aeree che navali italiane (è recentissima la qualificazione ottenuta dalla portaerei Cavour negli Stati Uniti a operare il Joint Strike Fighter, nell’immagine il velivolo sul ponte di volo dell’unità), rendono lo strumento militare italiano partecipe di una ristrettissima élite transatlantica dotata di tale esclusiva e avanzata capacità». Accanto: il presidente del Comitato militare dell’Unione europea, generale Claudio Graziano secondo il quale «vi è l’esigenza avvertita dalla componente militare dell’Unione di dotarsi di robusti sistemi di comando e controllo, di una capacità di pianificazione avanzata, di più efficaci procedure per la generazione delle Forze, di più efficaci procedure per lo sviluppo della capacità militari in ogni possibile scenario» (Fonte immagine: difesa.it).
rendono lo strumento militare italiano partecipe di una ristrettissima élite transatlantica dotata di tale esclusiva e avanzata capacità. Inoltre, il sostanziale rinnovamento in corso della componente navale nazionale consente all’Italia di giuocare un ruolo di primo piano nella dimensione marittima sia nell’ambito della NATO sia in quello europeo, una dimensione che acquista ancor più peso e rilevanza a fronte della ascesa globale della Cina. Queste potenzialità e capacità militari fanno a buon diritto dell’Italia un ruolo importante nei processi di adattamento delle due organizzazioni di cui siamo parte e vanno sostenute e dirette con una guida politica e politico-militare coerente in grado di assicurare una piena e più avanzata coordinazione, complementarietà e interoperabilità tra NATO e Unione europea. In estrema sintesi: «più Italia in Europa, più Europa nella NATO». 8
NOTE (1) Marta Dassù, La nuova NATO e la sfida con Pechino, 7 dicembre 2020, aspeniaonline.it, https://aspeniaonline.it/la-nuova-nato-e-la-sfida-con-pechino. (2) Roberto Menotti, Biden, il «Quad» indo-pacifico e la diplomazia costruttiva, 15 marzo 2021, https://aspeniaonline.it/biden-il-quad-indo-pacifico-e-la-diplomaziacostruttiva. (3) europeanaffairs.it, 21 febbraio 2020, https://www.europeanaffairs.it/blog/2020/02/21/conferenza-di-monaco-macron-guarda-ad-oriente. (4)europeanaffairs.it, 21 febbraio 2020, 21 febbraio 2020, https://www.europeanaffairs.it/blog/2020/02/21/conferenza-di-monaco-macron-guarda-ad-oriente. (5) Un compasso strategico per la Difesa europea. La linea del gen. Graziano, https://formiche.net/2021/03/strategic-compass-graziano-difesa-europea.
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PRIMO PIANO
Evoluzione della NATO Alessandro Minuto Rizzo
Dal 1949 verso il futuro
ARTICOLO EDITO SU INVITO DELLA DIREZIONE
Ambasciatore e diplomatico di lungo corso, nato a Roma il 10 settembre 1940. Laureato in giurisprudenza, entra nel 1969 al ministero degli Esteri. Dal 1981 al 1986 è capo Ufficio Relazioni esterne della CEE. Dal 1992 al 1996 è consigliere diplomatico del ministro del Bilancio e della programmazione economica e dal 1997 al 2000 è consigliere diplomatico dei ministri della Difesa, Nino Andreatta e Carlo Scognamiglio. Dal 1994 al 1995 è membro del CDA dell’Agenzia Spaziale Italiana. È stato nel 2000 ambasciatore d’Italia presso il Comitato per la politica e la sicurezza dell’Unione europea. Ha servito come vice segretario generale della NATO (segretario generale delegato) dal 2001 al 31 dicembre 2007, quando è sostituito dall’ambasciatore Claudio Bisogniero. Ha assunto le funzioni di segretario generale della NATO dal 17 dicembre 2003 al 1º gennaio 2004. Nominato ambasciatore il 2 gennaio 2004, nel 2011 è nominato presidente del NATO Defense College Foundation e nel 2013 entra nel CDA di Finmeccanica. È insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana «Di iniziativa del Presidente della Repubblica» in data 27 luglio 2007.
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«La NATO ha costituito per decenni un ombrello di protezione grazie al quale l’Europa ha potuto risollevarsi dalle macerie di una guerra sanguinosa e devastante. Ne è seguito uno sviluppo economico e sociale senza precedenti nella storia, che ha portato il nostro continente a essere il più avanzato del mondo sotto tanti aspetti (...)» (Fonte immagine: natoalliance.wordpress.com).
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Evoluzione della NATO: dal 1949 verso il futuro
L’
Alleanza atlantica sta dimostrando una straordinaria resilienza, abbiamo quasi dimenticato che il suo Trattato istitutivo è stato firmato a Washington nell’aprile 1949, esattamente 72 anni fa. Allora i firmatari erano 12 inclusa l’Italia. Per noi il ministro degli Esteri Carlo Sforza insieme all’ambasciatore Alberto Tarchiani. Non si tratta di un volume complesso, ma di poche pagine dove vengono ricordati in forma semplice i valori e gli interessi comuni e l’importanza della solidarietà fra alleati, rappresentati in un Consiglio (North Atlantic Council) con poteri di direzione. Eravamo ormai in piena Guerra Fredda e in quell’epoca il timore era rappresentato da un’invasione dell’Unione Sovietica verso l’Europa occidentale. Si immaginava che sarebbe avvenuto in Germania e addirittura si prevedeva l’offensiva attraverso un territorio noto come Fulda gap. Tutto questo non è avvenuto come ben sappiamo e probabilmente dobbiamo ringraziare l’Alleanza per questo. Un’altra cosa da non dimenticare è che la NATO ha costituito per decenni un ombrello di protezione grazie al quale l’Europa ha potuto risollevarsi dalle macerie di una guerra sanguinosa e devastante. Ne è seguito uno sviluppo economico e sociale senza precedenti nella storia, che ha portato il nostro continente a essere il più avanzato del mondo sotto tanti aspetti, tra cui la cura dei propri cittadini e i diritti umani. L’espressione che caratterizzava quel periodo storico si chiamava «cortina di ferro» che divideva in due l’Europa. Un’espressione che viene da Winston Churchill in un suo storico discorso all’Università del Missouri. Molto tempo è ormai passato, ma non bisogna tralasciare che il controllo sovietico si estendeva su diversi paesi dell’Europa centrale e orientale, dalla Germania dell’Est fino alla Bulgaria, passando per Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania. Un periodo storico di grande tensione dove l’Europa era in ginocchio per le conseguenze della devastante guerra mondiale e dove i partiti comunisti rimanevano forti anche in occidente. L’Italia fece una scelta di campo difficile poiché era un paese uscito semi distrutto dalle ostilità, sconfitto e costretto a un cambio di alleanze che gravavano sulla
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sua immagine. Era diventata una Repubblica solo dal 1946 con una lieve maggioranza e rimaneva politicamente frammentato per la presenza di un importante partito comunista. In ogni caso si trattò di una decisione felice perché il paese entrava cosi a pieno titolo nel novero delle grandi democrazie occidentali. La classe politica al governo negli anni del dopoguerra fece la scelta di due assi fondamentali di politica estera, vale a dire la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea. Non dimentichiamo poi che le nostre Forze armate erano ridotte al minimo, male armate e addestrate. L’adesione all’Alleanza atlantica segnò una svolta radicale in questo settore, e soprattutto grazie all’aiuto degli Stati Uniti si andò verso un veloce ammodernamento. L’interoperabilità con gli altri paesi alleati diventò una realtà visibile nella partecipazione, molto apprezzata, alle varie operazioni della NATO che si sono succedute. Le strutture diplomatico-militari vennero collocate a Parigi, dove rimasero fino alla fine degli anni Sessanta, per poi trasferirsi a Bruxelles quando Manlio Brosio era Segretario generale. Nel giro di pochi anni l’Alleanza divenne l’organizzazione di sicurezza di riferimento nel mondo, molto prima che si pensasse a una dimensione di politica estera e di difesa dell’Unione europea.
Manlio Brosio (Torino, 10 luglio 1897-Torino, 14 marzo 1980) è stato un politico e diplomatico italiano, segretario generale della NATO dal 1º agosto 1964 al 1º ottobre 1971 (wikipedia.it).
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Non si può certo riassumere la Guerra Fredda in poche righe perché si trattò di un periodo durato due generazioni che si chiuse con il dissolvimento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia agli inizi degli anni Novanta. Si può dire che i due principi essenziali di quei 40 anni su cui si basò la NATO furono la dissuasione unita al dialogo. Un momento considerato importante di quel periodo fu il rapporto Harmel, ministro degli Esteri del Belgio, approvato alla fine del 1967, che esplicitava l’opportunità di mostrare una grande determinazione verso l’Unione Sovietica, cercando di coinvolgerla nello stesso tempo in un processo di distensione. Fu in questo quadro che nacque il «programma scientifico» coinvolgendo scienziati sovietici in programmi comuni. A questo si accompagnava un dialogo sul controllo degli armamenti che si protrasse negli anni e che produsse un numero importante di accordi fra le due superpotenze. Per fortuna la Guerra Fredda non si trasformò mai in conflitto. La presunta invasione sovietica non si è verificata e alla fine sappiamo come sia andata. Il muro di Berlino cadde; rivoluzioni pacifiche si verificarono un po’ dovunque nell’Europa dell’Est e la stessa Unione Sovietica si dissolse. Oggi, ben nove paesi che venivano da quell’orbita sono membri della NATO e dell’Unione europea. «Out of area or out of business»: questa frase di Lord Robertson, Segretario generale all’inizio del secolo, significava che la NATO deve adeguarsi ai tempi, non limitandosi più a difendersi da un attacco esterno, ma dovrebbe occuparsi di gestire crisi internazionali al di fuori del suo perimetro se vi è il consenso politico degli alleati. La prima applicazione di questo principio si è avuta nella ex Jugoslavia a partire dai primi anni Novanta e possiamo citare l’operazione SHARP GUARD condotta dalla NATO nel mar Adriatico. La crisi bosniaca sembrava interminabile e tutti i tentativi delle Nazioni unite di porvi termine erano falliti. A questo punto intervenne la NATO, per la prima volta con un’operazione armata e al di fuori del suo pe-
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L’evoluzione della NATO nel dopo Guerra Fredda è stata fortemente influenzata dagli eventi nei Balcani. E benché in ogni sua successiva riunione al vertice l’Alleanza abbia esteso le aree di interesse strategico e di impegno, i Balcani rimangono una regione di speciale importanza per l’Organizzazione. Nell’immagine: KFOR (Kosovo Force) provvede al trasporto per via aerea di aiuti umanitari in Albania (© KFOR) - (nato.int).
rimetro territoriale. L’ottima gestione basata sull’interoperabilità e la sua credibilità militare portarono a un congelamento del sanguinoso conflitto e poi alla sua conclusione con gli accordi di Dayton del novembre 1995, tuttora in vigore. Il nostro paese vi partecipò attivamente con degli importanti contingenti e da ultimo anche un battaglione di carabinieri (Multinational Specialized Unit). Il test successivo fu l’operazione in Kossovo nel 1999. Essa è dovuta alle attività repressive e di pulizia etnica da parte di Milosevic in una regione abitata dalla minoranza etnica albanese. Il governo di Belgrado, dopo due mesi, fu costretto a gettare le armi e il Kossovo venne occupato da forze della NATO. Un’operazione che dura tuttora. Diviso in cinque zone, all’Italia venne data la responsabilità della parte nord con il suo centro a Pec. L’impegno della NATO nei Balcani non finisce qui perché nel 2001 fu chiamata a evitare una guerra civile in Macedonia fra maggioranza slava e la minoranza albanese. Dopo molte esitazioni, l’Alleanza intervenne con l’operazione Essential Harvest che riuscì a evitare un vero conflitto, obbligando le parti a un patto costituzionale. Il vertice di Washington, nel 1999, approvò un nuovo concetto strategico, innovativo, che guardava alle nuove minacce come il terrorismo internazionale e che
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stabiliva il principio che la competenza della NATO poteva oltrepassare i confini naturali dell’Europa. Queste decisioni anticiparono la reazione dell’Alleanza all’11 Settembre e all’attentato delle due torri di New York. Una volta accertato che al-Qaida, in altre parole il terrorismo internazionale, era autore dell’attacco, poté dichiarare formalmente che gli Stati Uniti erano attaccati dall’esterno e quindi scattava la clausola di solidarietà prevista dall’articolo 5 del Trattato di Washington. Una dichiarazione storica e non senza conseguenze pratiche che prefigurava l’intervento della NATO in Afghanistan come anche l’operazione aeronavale ACTIVE ENDEAVOUR nel Mediterraneo in chiave antiterroristica. In Afghanistan, l’operazione iniziò l’11 agosto del 2003 per chiudersi il 31 dicembre 2014. Essa fu seguita dall’operazione Resolute Support dedicata esclusivamente all’addestramento e all’assistenza alle Forze armate afghane. Dopo molte riflessioni e pur consci dell’incertezza che circonda ancora il futuro del paese, il presidente Biden ha deciso il ritiro di tutte le forze americane entro l’11 settembre, a vent’anni esatti dall’attentato alle due torri. Una decisione cui fa inevitabilmente seguito il ritiro degli altri contingenti alleati, tra cui quello italiano, basato a Herat e con la responsabilità di una vasta parte del paese verso i confini con l’Iran. L’aeronautica ha gestito per molti anni una base ad Abu Dhabi, essenziale per convogliare verso l’Afghanistan i mezzi provenienti dall’Italia. L’Afghanistan fa quindi parte a pieno titolo della storia dell’Alleanza atlantica che si è confrontata con una missione difficilissima e molto costosa a migliaia di chilometri dall’Europa, con sfide nuove ed effettivi ridotti. Il bilancio complessivo è comunque positivo poiché sia la NATO sia l’Italia hanno svolto i propri compiti in maniera ammirevole. Va ricordato che la responsabilità, sostenuta in modo eccellente, non riguardava la politica interna afghana e la guida del paese, ma la realizzazione di una «cintura di sicurezza» al cui interno potesse svilupparsi la ripartenza della società civile dell’Afghanistan, vittima di decenni di violenze di ogni genere. Possiamo citare poi l’operazione OCEAN SHIELD
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che ha rappresentato il contributo internazionale della NATO nel combattere il fenomeno della pirateria, al largo delle coste del Corno d’Africa, tra l’agosto del 2009 e il dicembre del 2016. Abbiamo detto che il trattato di Washington fu firmato il 4 aprile 1949 da 12 paesi e che attualmente il numero dei membri è salito a 30, il risultato di una politica denominata «open door policy». Dopo la caduta del comunismo vi fu una vera corsa per aderire alla NATO. Si discusse a lungo anche al Congresso americano se fosse opportuno allargare l’Alleanza a paesi che non avrebbero dato contributi significativi dal punto di vista militare e si decise che le valutazioni di opportunità politica dovessero avere il sopravvento. Anche i paesi dei Balcani che facevano parte della ex Jugoslavia entrarono gradualmente nell’Alleanza. Nell’ordine vi hanno aderito Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord. Nel frattempo si sono molto sviluppati i partenariati, a cominciare dalla «Partnership for Peace» che comprende vari paesi europei come Austria, Finlandia, Svezia e Svizzera. Nella regione araba si sono sviluppati il «Mediterranean Dialogue» e la «Istanbul Cooperation Initiative». Questi partenariati hanno un potenziale per sviluppare positivamente istituzioni di difesa moderne in paesi alla ricerca di stabilità e spesso minacciati dal terrorismo. Vediamo in conclusione che la NATO, che sembrava sul punto di sciogliersi alla fine della guerra fredda, viene ancora considerata lo strumento internazionale più efficiente nella gestione delle crisi. A questo punto è necessario riflettere sulle nuove priorità. Il quadro di riferimento internazionale è sempre più complesso, si affacciano all’orizzonte nuove potenze e sfide tecnologiche verso cui bisogna prepararsi. Dal punto di vista italiano possiamo essere soddisfatti del bilancio nazionale. Il nostro paese ha partecipato in modo significativo a tutte le operazioni condotte finora e ha dimostrato di essere perfettamente interoperabile con i maggiori paesi. Possiamo citare in primo luogo la Bosnia, il Kossovo e l’Afghanistan, dove l’Italia ha avuto la responsabilità di parti sostanziali del territorio dei paesi in questione. Durante le operazioni nei Balcani ciò ha avuto un parallelo poli-
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tico entrando a far parte della consultazione ristretta del «Quint». Vale a dire insieme a Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito. Manlio Brosio è stato Segretario generale molto apprezzato per 7 anni fino al 1971, guidando la transizione dell’Alleanza da Parigi a Bruxelles. Va segnalato al riguardo che la Francia, che era uscita dalla dimensione militare con il generale De Gaulle, vi è rientrata nel 2009. Nel corso degli anni abbiamo avuto diversi segretari generali delegati. Si tratta dell’unico ruolo che si alterna con il segretario generale alla presidenza degli organi dell’Alleanza. Chi scrive, per esempio, è stato incaricato di varie funzioni dalla riforma interna dell’Organizzazione alla razionalizzazione delle agenzie, di aprire e poi sostenere i partenariati con i paesi del Mediterraneo, del Golfo e con Israele. Da non dimenticare che la presidenza del Comitato Militare, prestigioso vertice di rappresentanza militare della NATO, è stata ricoperta due volte, prima dall’ammiraglio Venturoni e poi dall’ammiraglio Di Paola. Un motivo di soddisfazione è la presenza a Roma del NATO Defense College, l’unica istituzione accademica e di alta formazione della NATO. Al College si sono avvicendati nel corso del tempo migliaia di ufficiali e di civili di alto livello. Nel 2011 è anche nata la sua Fondazione (Nato Defense College Foundation). Il ministero della Difesa e lo Stato Maggiore gli hanno sempre assicurato il sostegno opportuno. Quest’anno il College compie 70 anni dalla sua istituzione e la significativa celebrazione della ricorrenza avverrà nel mese di novembre in modo ufficiale. Possiamo quindi ripercorrere questi decenni con la soddisfazione di un lavoro ben svolto, quello di una grande democrazia che svolge con responsabilità il suo ruolo, che è un «fornitore di sicurezza» per la pace e la cooperazione internazionale. Si apre ora una fase nuova, con un’amministrazione americana che vuole riprendere la cooperazione transatlantica e che crede nel valore delle alleanze ponendo di nuovo la NATO al primo posto. La prima rappresentazione con-
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creta di questo cambiamento è il vertice di Bruxelles, previsto per il 14 giugno di quest’anno, dove saranno poste le basi per un rinnovo dell’Alleanza nel suo funzionamento e si guarderà allo scenario strategico del futuro. Dove ormai è evidente che la regione dell’IndoPacifico assume un’importanza primaria e che la Cina pone una serie di interrogativi con la sua crescita economica, tecnologica e militare. Nel 2020 è stato avviato un processo di riforma che si preannuncia molto ambizioso e di cui non possiamo ancora conoscere il punto di arrivo. Il Vertice di Londra del dicembre 2019 aveva accettato la proposta della Germania di creare un gruppo di riflessione ad alto livello con il compito primario di restituire all’Alleanza quella dimensione politica di ampio respiro che era andata gradualmente a perdersi con gli anni. Vi è un generale consenso che la dimensione militare sia adeguata e che nel corso degli anni vari adattamenti abbiano consentito alla NATO di rimanere al passo coi tempi. Le operazioni che si sono succedute hanno mostrato efficienza e capacità di fare fronte a gravosi compiti intorno al mondo. La dimensione politica ha aspetti molto importanti che vanno dal processo di decisione, al rapporto con il mondo esterno, alla creazione del consenso. È chiaro che l’ampliamento dell’Alleanza ha reso più difficile individuare priorità comuni e avere obiettivi condivisi da tutti. Anche la percezione delle minacce e della loro provenienza dipende in gran parte dalla Il NATO Defense College (NDC) è una scuola militare internazionale della NATO, presso la città militare della Cecchignola a Roma. Dal 16 luglio 2019 il comandante dell’Istituto è il tenente generale Olivier Rittimann dell’Esercito francese (reportdifesa.it).
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e si comporta sempre di più come una superpotenza. posizione geografica e dalla storia recente di ogni Una popolazione di un miliardo e mezzo di persone, paese. Il rafforzamento della coesione interna è una crescita economica impetuosa, un livello di invequindi significativo e benvenuto. stimenti eccezionale nelle alte tecnologie, una dimenIl Gruppo ha consegnato il 25 novembre del 2020 il sione militare in continua crescita, la rendono il primo suo rapporto al segretario generale Jens Stoltenberg. competitore al mondo per le democrazie occidentali. Titolo Nato 2030: United for a new era. Quale strategia adottare? Non è chiaro quale sia la Si tratta di un corposo documento che contiene una via migliore, e gli stessi paesi europei appaiono sorserie di utili riflessioni, che però devono essere distilpresi dalla velocità di questi sviluppi. Si sta svolgendo late e trasformarsi in proposte operative. La procedura in questi mesi una riflesprevede che Stoltenberg prenda l’iniziativa per prosione sull’atporre un circostanziato processo di riforma al prossimo teggiamento vertice dell’Alleanza, previsto il 14 giugno. da tenere Non sappiamo se la tempistica verrà rispettata poiché verso Peil processo appare molto chino. Verso complesso, con molte incocui elementi gnite, che implicitamente riconcreti di dischiede un processo di senso sono rappresentati consultazione preventivo dal trattamento di alcune per assicurare che l’eserciminoranze, la violazione zio abbia successo. dello statuto di Hong-Kong Teniamo conto del fatto e in generale il poco riche il Segretario generale spetto di diritti umani. ha un ruolo centrale e che Una possibilità cui si il suo attuale mandato pensa è di stabilire dei parscade nel settembre del dell’Expert Group selezionato dal Segretario generale NATO volto tenariati con paesi dell’area 2022. Viene quindi natu- Report a rafforzare la dimensione politica dell’Alleanza Atlantica (nato-int). come il Giappone, la rale pensare alla sua sucCorea, l’Australia e la Nuova Zelanda. Comunque si cessione, una fase che ancora non si è aperta. tratta di una questione che è solo all’inizio e che si Chi scrive ritiene che sia giunto il momento di proporre potrà sviluppare secondo linee diverse comprendendo un segretario generale italiano. Manlio Brosio ha chiuso aspetti complessi di diversa natura. il suo mandato oltre 50 anni fa e il nostro paese, membro Concludendo, la storia riserva sempre sorprese e fondatore dell’Alleanza ha tutti i titoli per pensare a un non finisce qui. Quello che possiamo osservare è cha nome che possa rivestire la carica di numero uno. la NATO ha dimostrato un’inaspettata capacità di Come si è detto, le procedure interne rappresentano cambiamento e una notevole resilienza. Più volte, solo una parte della prospettiva futura. Esistono anche nella lunga storia dei suoi 72 anni, è sembrata sul numerosi partner in varie parti del mondo, ormai una punto di divenire inutile e poi ha mostrato di saper quarantina, chiaramente con intensità ed enfasi diversi, cambiare volto e adeguarsi alle necessità. Uno dei a seconda dei casi. Abbiamo citato il «Mediterranean detti correnti fra gli esperti della materia è che la vecDialogue», la «Istanbul Cooperation Initiative», la chia Alleanza è guidata dalle necessità, dalle circo«Partnership for Peace». stanze, e non da un «disegno». La dimensione nuova che sta emergendo è rappreEssa rimane ancora oggi il maggiore contributore sentata dall’Indo-Pacifico, regione in cui la NATO alla sicurezza internazionale e, in questo senso, uno non si è mai affacciata, però diventata rilevante a strumento molto utile al servizio del nostro paese. 8 causa della Cina. In questi ultimi anni la Cina appare 18
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NATO
Dall’Europa al resto del mondo 20
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Una serie di fattori analizzati in questo articolo, rilanciano in pieno il ruolo internazionale del Patto atlantico che da bastione democratico euroamericano dovrà brevemente tramutarsi anche in sentinella indo-pacifica (Fonte immagine: aspeniaonline.it).
el suo lavoro dal titolo Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe il gesuita Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, famoso come l’Abate de Saint-Pierre, ravvisò la necessità di creare una Camera Arbitrale permanente formata dalle principali corti d’Europa per prevenire la guerra tra loro e per sviluppare e promuovere un commercio perpetuel de Nation à Nation (1). Per il religioso francese questo sarebbe stato l’unico modo per allontanare la guerra dal vecchio continente. Naturalmente lo scritto del prelato risente degli avvenimenti dell’epoca, poiché vide la sua prima pubblicazione proprio nell’anno del Trattato di Utrecht (1713) che pose termine, insieme alla successiva pace di Rastatt del 1714, alla sanguinosa guerra di successione spagnola che per anni divampò in tutta l’Europa. Molto probabilmente questo scritto risentì notevolmente anche del lavoro di un altro religioso francese, il monaco Émeric Crucé che ottant’anni prima aveva pubblicato il suo lavoro dal titolo Nouveau Cynée (1623) nel quale auspicava una sorta di primordiale Società delle Nazioni che riuscisse a dipanare le controversie internazionali senza ricorrere alla guerra. In pratica quello che poi venne stabilito trecento anni dopo, nel Patto Briand-Kellogg firmato a Parigi il 27 agosto 1927 con il quale le nazioni firmatarie (ossia ben 63 Stati) rinunziavano alla guerra per la risoluzione delle divergenze internazionali (2). Anche per il religioso Emeric Crucé l’economia e il commercio sono fondamenta indispensabili per il mantenimento della pace.
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Alessandro Mazzetti Dottore di ricerca in Storia delle relazioni internazionali. Collabora con le Cattedre di storia contemporanea e di Storia Moderna dell’Università di Salerno. Già autore di numerosi saggi di geopolitica navale.
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pensatori, filosofi, economisti, politici, persuasi che Per cui parrebbe plausibile che anche il filosofo e sol’unico modo per poter fronteggiare il lento declino del ciologo francese Claude-Henri de Rouvroy di Saintvecchio continente fosse la creazione di un progetto uniSimon fu in qualche modo influenzato dai due religiosi tario proprio partendo dagli scritti dei due religiosi franquando sviluppò la sua teoria economica secondo la quale cesi del XVII e del XVIII secolo. Così, il 4 ottobre del il progresso tecnologico, unitamente all’industrializza1926 nell’antica Vienna si riunì il primo congresso pazione e al fiorire dell’economia dovessero essere le preneuropeo. In questo periodo non mancarono certo alfieri condizioni per la prosperità pacifica di tutti. Il dato, che eccellenti della necessità di creare dei nuovi Stati Uniti ha notevoli elementi di fascinazione, spicca nel farci nod’Europa. Se per il conte Kalergi questa necessità sarebbe tare come a metà del periodo moderno, ossia in una fase servita a mantenere la leadership mondiale vista la veloce storica caratterizzata dalle monarchie assolute, vi fosse avanzata degli Stati Uniti, del Giappone e dell’Unione un insieme di studiosi, filosofi, religiosi che avesse in Sovietica (4), per Winston Churchill le nazioni europee qualche modo posto le basi concettuali e culturali per il si sarebbero dovute consociare per fronteggiare futuro progetto di integrazione europea. Una diefficacemente l’avanzata della rivoluzione namica non certo sfuggita all’insigne storico bolscevica, pur ammettendo che la Gran Federico Chabod, il quale notò che «esiste, Bretagna sarebbe stata solo partner e non per gli uomini del XVII secolo, un corpo membro di tale progetto, poiché l’Impolitico dell’Europa» (3). Ma la storia pero inglese non era solo una potenza europea percorse altri binari. Le Coneuropea, ma anche americana, asiaferenze sul disarmo dell’Aja del 1899 tica e la maggior potenza africana (5). e del 1907, indette dallo Zar Nicola II, Non mancarono certo insigni opinioni sulla regolamentazione, ma soprattutto italiane su tale importante dibattito. Dalsulle limitazioni delle armi, non portal’esilio parigino, quasi profeticamente, rono i frutti sperati. L’unico risultato Turati nel 1929 sostenne la necessità di apprezzabile fu il parziale recupero del creare una federazione europea e legare prestigio internazionale da parte delL’abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, quest’ultima a quella americana per l’imperatore Romanov, la quale figura detto l’Abbé de Saint-Pierre (1658-1743), è stato era uscita decisamente appannata dopo uno scrittore e filosofo francese, membro del- realizzare un monoblocco economico l’Académie française (wikipedia.it). Nella pagina la clamorosa sconfitta durante la accanto: Winston Churchill utilizzò l’espressione e politico invincibile e allontanare così «cortina di ferro» in un lungo discorso tenuto il guerra russo-giapponese del 1904 che 5 marzo 1946 a Fulton, nel Missouri (Stati Uniti) l’imminente pericolo giallo (6). Con in riferimento alla divisione dell’Europa con il rafsi concluse con il quasi totale annien- forzarsi della Guerra Fredda (en.wikipedia.org). la Seconda guerra mondiale le potenze e le nazioni del Vecchio Continente tamento della flotta russa nelle acque persero definitivamente il ruolo da comprimarie nell’ecodi Tsushima. Con la Grande guerra iniziò il lungo declino nomia e nella politica mondiale e quasi immediatamente dell’Europa. Il Vecchio Continente cominciò a non essere si riaccese il dibattito sulla necessità di dar vita a un propiù il centro politico ed economico del mondo, altre pogetto politico europeo unitario divenuto maggiormente tenze, non europee, si proponevano con forza e determiurgente visto la costante minaccia del governo di Mosca nazione alla guida della politica internazionale, come il che con la sua Armata Rossa controllava oramai direttaGiappone e gli Stati Uniti d’America. Al colosso amerimente la totalità dell’Europa orientale. La politica moncano il conflitto regalò un’industria pesante di primissimo diale era determinata da due blocchi contrapposti: quello ordine insieme a una flotta capace di gareggiare per nuamericano e quello sovietico. Il bisogno di creare un sogmero e qualità con la Royal Navy sino ad allora l’indigetto politico europeo fu sostenuto con forza e determiscussa regina dei mari. In più, gli Stati Uniti erano entrati nazione da Winston Churchill il quale, nel 1946 nel conflitto come debitori degli Stati europei e ne usciall’Università di Zurigo ebbe a sottolineare come fosse rono come unici grandi creditori. Nell’Europa, tra le due necessario «ricostruire la famiglia europea per creare gli guerre, si andò a formare un nutrito e influente gruppo di
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Stati Uniti d’Europa» (7). Washington nel 1947 fece partire il piano Marshall (European Recovery Program) per rivitalizzare l’economia europea totalmente depressa, se non letteralmente devastata, dai lunghi anni di guerra, mentre nicchiava sulle continue e pressanti richieste d’aiuto militare provenienti da Francia e Gran Bretagna. Nel frattempo, il 5 marzo del 1946 Churchill al Westminster College di Fulton (Missouri) pronunciò il famoso discorso passato alla storia come quello della cortina di ferro. In quell’occasione lo statista inglese tracciò il nuovo limes europeo, da Stettino nel Baltico a Trieste in Adriatico, tra potenze democratiche occidentali e Unione Sovietica, alla presenza del presidente americano Harry S. Truman. Con la stipula del trattato di Bruxelles del 1948, ossia un accordo di mutuo soccorso tra Gran Bretagna, Francia e il Benelux, Washington ebbe la prova che gli Stati europei erano realmente intenzionati a cooperare a un progetto comune di difesa militare. Così il presidente americano Truman sciolse le sue riserve e dichiarò che «la determinazione dei paesi liberi d’Europa di difendersi troverà la sua piena corrispondenza nella determinazione degli Stati Uniti ad aiutarli a difendersi» (8). In pratica si gettarono le prime basilari fondamenta per il Patto atlantico. L’allargamento all’Italia al Trattato non fu cosa semplice a causa delle resistenze britanniche che non volevano allargare la fascia d’intervento sino al Mediterraneo. La riluttanza inglese fu superata dall’intervento francese interessato alla presenza italiana per meglio garantirsi le linee marittime di collegamento con l’Algeria e dall’intervento personale di Truman (9). Così,
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il 4 aprile del 1949 a Washington dodici Stati firmarono il Trattato. Non si può non essere d’accordo con il prof. Mammarella quando sostiene che il «Patto atlantico, nonostante la sua fisionomia di accordo prevalentemente militare, diventò fin dall’inizio lo strumento che legava Europa e Stati Uniti a una alleanza politica e ideologica che appare insostituibile per il mantenimento della stabilità e dell’equilibrio in Europa e nel mondo» (10). È indubbio che senza l’apporto americano e la creazione della NATO il progetto della Comunità europea non avrebbe mai preso vita. Infatti, proprio grazie a tale organismo, gli Stati del Vecchio Continente hanno iniziato lentamente, faticosamente e non senza problemi, a creare la casa comune per le nazioni europee nonostante la continua e pressante politica estera sovietica e il diffondersi nell’Europa occidentale dei partiti socialisti e comunisti. Paradossalmente, pare evidente che, nonostante una cospicua e folta letteratura europeista, addirittura risalente alla metà del periodo moderno, il progetto europeo sia stato possibile grazie alla costruzione del Patto atlantico che come molto argutamente sottolineato dal Mammarella appare ancora indispensabile non solo perché offre un poderoso ombrello militare, ma esso stesso è divenuto sintesi e luogo di confronto dialettico politico ed economico di mondi affini. Con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, la NATO ha dovuto giocoforza cambiare veste trasformandosi in base alle esigenze dettate dal nuovo ordine mondiale e dai recenti pericoli come il terrorismo internazionale. Così per la prima volta la NATO è
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intervenuta al difuori del territorio europeo per richiesta dell’ONU come nel caso dell’operazioni ISAF (International Security Assistance Force) e RS (Resolute Support) ambedue in Afghanistan in supporto al legittimo governo afgano contro i talebani e al-Qaida. L’attuale sistema mondiale è drasticamente afflitto dal diffondersi dell’ormai famigerato Covid-19. Proprio le vicende pandemiche e la durissima competizione economica in corso, ma sarebbe più opportuno parlare di vera e propria guerra economica, mostrano ancora una volta la fragilità del progetto europeo che stenta a decollare come unico autonomo e coerente corpo po-
Il generale dell’Esercito degli Stati Uniti Austin Scott Miller, comandante, dal settembre 2018, della missione Resolute Support (rs.nato.int). Al centro: militari della Brigata Sassari e, in alto, un reparto di alpini, impegnati nella missione ISAF. La Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza (ISAF) è stata una missione della NATO, autorizzata dall’ONU, di supporto al governo dell’Afghanistan nella guerra contro i talebani e al-Qaida (esercito.difesa.it).
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litico nonostante siano passati quasi settant’anni dalla sua costituzione. Anche in relazione alla pandemia da Coronavirus, tralasciando i tragici aspetti umani ed economici oltre che sociali, gli Stati europei sono stati costretti a rivolgersi all’esterno della Comunità per la fornitura dei preziosi vaccini (11). Per cui, oltre alla mancanza di una politica estera e di una difesa comune, l’Unione europea è anche sprovvista di propri centri batteriologici, di laboratori e quindi di una strategia per contrastare efficacemente le possibili pandemie. Così, in un mondo economico e geopolitico assolutamente fluido, caratterizzato da una straordinaria guerra per il controllo delle nuove e antiche rotte commerciali, colonna portante dell’attuale sistema economico, s’inserisce con forza anche la geopolitica dei vaccini. Proprio quest’ultimo elemento ha la capacità di agire profondamente come fattore di forte penetrazione, poiché è in grado non solo di creare nuove alleanze, ma anche di allentare quelle consolidate da tempo. Non è certo un segreto che il governo russo e quello cinese hanno tentato di adoperare i vaccini, rispettivamente lo Sputnik e il Sinovac, come elemento attrattore e di penetrazione per allentare le maglie che uniscono i paesi appartenenti al Patto atlantico. Per tali motivi la vicenda pandemica si inserisce a pieno titolo nel grande gioco geopolitico mondiale reso assai più complesso dai numerosi attori protagonisti e da linee di frontiere assai fluide e poco definite poiché corrispondenti alle rotte marittime. È bene ricordare come la Russia stia facendo di tutto per essere il maggior esportatore di LNG (Liquid Natural Gas) in Europa, per vincolarla alla propria strategia energetica. In questa chiave di lettura vanno letti la realizzazione dei recenti gasdotti Nord Stream I, il
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Il Nord Stream è un gasdotto che, attraverso il mar Baltico, trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Europa (euronews.com). In alto: il gasdotto TurkStream, parte dalla stazione di Russkaya vicino ad Anapa nella regione russa di Krasnodar, attraversando il Mar Nero fino a Kıyıköy (Turchia) (en.wikipedia.org).
North Stream II e il TurkStream a sud. Proprio l’elevato costo di realizzazione di quest’ultimo (12) convalida il dubbio che la costruzione del gasdotto risponda maggiormente a questioni politiche, o meglio geopolitiche, che a mere opportunità economiche. Il consolidamento, la militarizzazione e lo sfruttamento della Northern Sea Route conferisce un notevole vantaggio strategico ed economico alla Federazione Russa decisa a sfruttarlo sino in fondo per ampliare la propria proiezione economica. Il rafforzamento russo nel Mediterraneo tramite l’amicizia serba in Adriatico, l’acquisizione del porto di Tartus in Siria e il dinamismo diplomatico che consente la navigazione della propria flotta in Egitto, Turchia, Grecia e il radicarsi in Libia, non possono che non suonare come un campanello dall’allarme. In più, con la realizzazione di una propria base navale a Port Sudan, la Russia di Putin si stabilizza in un corridoio navale d’importanza strategicomondiale, porta d’accesso a Suez e trait d’union con la Belt and Road Initiative. Di fatto, la base russa a Port Sudan, nel Mar Rosso, potrebbe interrompere il collegamento tra il Mediterraneo e l’Indo-Pacifico, che sarebbe
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opportuno iniziare a considerare come unico coerente specchio d’acqua (13). Certamente non è un caso che proprio nel Corno d’Africa stia aumentando la presenza di basi navali e militari delle potenze talassocratiche rilanciando, in qualche misura, il ruolo involontario di nazioni come lo stesso Sudan, l’Eritrea (14) e la Somalia, dove è già forte lo stanziamento di forze militari turche (15). Naturalmente la presenza di una base navale russa quasi al centro del Mar Rosso può anche essere letta come il tentativo di Mosca di creare un trait de union con quella del quasi alleato cinese di Gibuti. Un collegamento che unirebbe la Russia alla Belt and Road Initiative fortemente controllata dalla Cina. In più questa a sua volta si collega con Vladivostok e alla Northern Sea Route creando, di fatto, un’unica fondamentale rotta, o meglio circuito, probabilmente il più importante del mondo. È opportuno ricordare che proprio il terminale gasiero di Sabetta nello Yamal è stato realizzato grazie a considerevoli investimenti cinesi (16), i quali stanno anche fabbricando in proprio navi rompighiaccio come la Xuelong 2. Che la Russia e la Cina in taluni settori
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hanno deciso di viaggiare affiancati, rimane un dato di fatto. Poi la massiccia presenza cinese nei porti mediterranei credo che delinei chiaramente la volontà di Pechino di radicarsi definitivamente nel mare con il più alto tasso di scambi commerciali del mondo. Oltre al porto del Pireo, la Cosco possiede Valencia (51%), Casablanca (49%), Vado Ligure (40% Cosco, 10% QPI), Bilbao (40%), Ambarli (26%), Port Said (20%), mentre la CMport il porto di Tanger Med (20%), Marsiglia (25%). A questi si aggiungono Cherchell in Algeria, Haifa e Ashdod in Israele e parte del porto di Taranto in Italia grazie a un accordo con la turca Yilport (17). Per poi non parlare del sogno cinese di creare ex novo una sorta di Panama II nel Nicaragua per sfidare economicamente, frontalmente, il canale centro-americano, vero pivot del sistema economico e mercantilistico americano. In pratica tutta quella letteratura del diciannovesimo e del ventesimo secolo anglo-americana che riguardava il famigerato Yellow Peril (18) sembra che nel nuovo millennio stia prendendo vita. Va da sé che la sicurezza dell’Europa passi inevitabilmente attraverso il Patto atlantico e il Mediterraneo, per cui l’Italia sarà chiamata ad assumere un ruolo importante nel prossimo futuro. L’attuale sistema geopolitico per quanto fluido e quasi sprovvisto di limes ben definiti risponde ancora alla massima napoleonica secondo la quale la geografia è destino (19). Per cui è difficile pensare a un ruolo di primaria importanza nel Mediterraneo dei paesi europei nordici, soprattutto dopo la Brexit. Che la NATO si trovi difronte alla sua più grande sfida degli ultimi anni sembra del tutto evidente. Dopo un periodo di appannamento determinato dal radicarsi su alcune posizioni dell’ex presidente americano, Biden sembra voler rilanciare il Patto atlantico donandogli nuova vita e probabilmente ampliandone competenze e raggio d’azione in base alle nuove esigenze mondiali. Se questa poteva essere una mera ipotesi determinata dall’ultra attivismo in politica estera del nuovo presidente americano, che non ancora insediato aveva intrapreso un fittissimo programma d’incontri con numerosi capi di governi in tutto il mondo, dopo il recente incontro a Bruxelles tra il segretario di Stato americano Antony Blinken e il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, assume carattere di con-
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cretezza. In occasione di questo meeting, Blinken ha poi incontrato i ministri degli Esteri dei paesi afferenti all’Unione europea. Un chiaro segno della volontà americana di rinsaldare l’antica amicizia e di meglio coordinarsi in campo internazionale con l’alleato di sempre. I temi trattati sono stati numerosi e tutti di eccezionale importanza, come le continue ingerenze russe tese a destabilizzare i rapporti tra le nazioni appartenenti al Patto atlantico e all’Unione europea, includendo anche la strategia energetica di Mosca e la realizzazione del North Stream II tesa a rendere l’Europa e la sua crescente richiesta di LNG dipendente dalla Federazione Russa. Il disarmo nucleare, la necessità di contrastare il sogno egemonico cinese e quella di pensare, realizzare e produrre una strategia pandemica unitaria, sono stati solo parte dei temi trattati in questo fittissimo incontro. A prescindere dall’origine e dalle motivazioni del contagio del Covid-19, il virus s’è dimostrato una vera e propria arma asimmetrica di eccezionale incidenza non solo nel mondo economico e sociale, capace di condizionare in modo immediato e diretto la geopolitica mondiale. Per tale motivo, nell’incontro della città del Manneken Pis, Blinken «ha ribadito che quelle sui temi della stabilità e della comunità transatlantica sono sfide comuni tra Europa e Stati Uniti» (20). Vera novità e punto nodale dell’incontro è stato l’Indo-Pacifico (21) e il rafforzamento dell’alleanza Quad (22), composta da India, Giappone, Australia e Stati Uniti, (Quadrilateral Security Dialogue), che da status di alleanza informale sta molto rapidamente diventando il perno di una complessa ed efficace politica contenitiva dell’espansionismo cinese, tanto da meritarsi l’appellativo di NATO Atlantica. Una necessità divenuta oramai impellente dopo la realizzazione del trade asiatico RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) che con i suoi 14 paesi è il più grande patto commerciale del pianeta capace di contenere circa il 30% dell’economia e rivolto a una massa di 2,2 miliardi di consumatori. Con questa mossa il governo cinese non solo ha assorbito tutti i dieci paesi dell’ASEAN, ma ha anche attratto quattro democrazie storiche alleate degli Stati Uniti quali: l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone e la Nuova Zelanda. Oltre a essere attrattore economico e politico, quest’area di libero scambio asiatica isola l’India, vero
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competitor cinese e tende a sostituire in un prossimo futuro il dollaro con lo yuan negli scambi internazionali. Le vicende relative alle durissime repressioni a Hong Kong e nello Xinjang, zona strategica poiché è la regione di congiunzione tra Cina e Pakistan, oltre a essere elemento di continua pressione sulla Mongolia è anche la base di partenza dell’immigrazione cinese nella sconfinata steppa russa adoperata magistralmente dal governo di Pechino come vero e proprio elemento di pressione economico sul governo di Mosca sono altri elementi di discussione. Chiudono questo quadro complesso e articolato la questione delle isole cinesi militari artificiali nelle acque filippine e l’annosa questione di Taiwan. Per cui Biden ha approfittato dell’incontro di Bruxelles per delineare la nuova strategia atlantica che seguirà la difesa dei diritti umani e il consolidamento del Quad come nuovo organismo atlantico asiatico fortemente collegato alla originaria NATO. Infatti, non è improbabile che questo patto a quattro possa brevemente essere arricchito dalla par-
Il presidente «Biden, con il suo staff, ha deciso di giocare la partita su tutto il globo terracqueo rilanciando la NATO». Qui ritratto assieme a Tony Blinken, 71o segretario di Stato degli Stati Uniti (Fonte immagine: ispionline.it).
tecipazione di altre nazioni asiatiche quali Corea del Sud e Nuova Zelanda. Questo nuovo arto atlantico potrebbe avvalersi del contributo della flotta di altre nazioni NATO quali Francia e Gran Bretagna intenzionate a partecipare alle prossime esercitazioni navali nell’Indo-Pacifico per rafforzare la loro presenza in quell’area marittima attraversata da oltre il 60% del commercio mondiale. Le vicende pandemiche, la continua geometria variabile della geopolitica delle nuove rotte, l’attivismo destabilizzante della Federazione Russa e il desiderio egemonico della Cina rilanciano in pieno il ruolo internazionale del Patto atlantico che da bastione democratico euro-americano dovrà brevemente tramutarsi anche in sentinella indo-pacifica. 8
NOTE (1) Castel de Saint-Pierre C. I., Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe, libro n. 1, Parigi, 1713, p.6. Esistono svariate edizioni successive a quella presa in esame. (2) http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents /20558_ patto_briand_kellog.pdf. Sulle vicende delle conferenze navali si legga: Mazzetti A., Marina Italiana e Geopolitica Mondiale, Roma, Aracne, 2017 e Minardi S., Il Disarmo Navale italiano 1919-1936, Roma, USMM, 1999. (3) Chabod F., L’idea d’Europa e civiltà moderna, a cura di Platania M., Roma, Carocci, 2010, p.19. (4) Mammarella G. e Cacace P., Storia Politica dell’Unione europea 1929-2013, Bari, Laterza, p.5. (5) Il saggio nel quale espresse tale visione imperiale inglese comparì a sua firma sul Saturday Evening Post del 15 febbraio del 1930, a ridosso del previsto Trattato Navale di Londra del 22 aprile 1930, dal significativo titolo The United States of Europe. (6) Schiavi A. (a cura di), Esilio e morte di Filippo Turati, Roma, Opere Nuove, 1956, pp.339-342. (7) Gilbert M., Churchill, Milano, Mondadori, 1991, pp.414-415. (8) Mammarella G., L’America da Roosevelt a Reagan, Bari, Laterza, 1984, p.164. (9) Cacace P., Vent’anni di politica estera italiana 1943-1963, Roma, Bonacci, 1986. (10) Mammarella G. e Cacace P., Storia Politica dell’Unione, cit., p.44. (11) Mazzetti A, La geopolitica dei vaccini, in Porto&Interporto, aprile 2021. (12) Il costo di realizzazione era stato inizialmente stimato in 11,4 miliardi di euro, ma sembrerebbe che la cifra realmente spesa per completare l’opera si aggirasse intorno ai 30 miliardi, https://it.euronews.com/2020/01/09/turkstream-cosa-c-e-da-sapere-sul-nuovo-gasdotto-appena-inaugurato. (13) Sul superamento del concetto pur sempre attuale di Mediterraneo allargato si legga l’interessante articolo Infinito Mediterraneo di Poddighe G. su Analisi Difesa del 3/10/2020. (14) Sul ruolo delle potenze nel Corno d’Africa e più in specifico su quello americano in Eritrea si legga: Turi A., Nel Corno d’Africa il gioco delle Potenze, Il Guastatore, n. 7 2021. (15) La presenza turca in Somalia, di Rotondo E. su Analisi Difesa del 23/10/2020. (16) Sull’argomento si veda Rivista Marittima, settembre, 2020. (17) Su tale questione è ancora incorso un’indagine del Copasir. (18) Nel XIX secolo in America e tra alcune nazioni europee si diffuse la paura che potenze asiatiche come la Cina potessero dominare il mondo cancellando la cultura occidentale, appunto il Pericolo Giallo. Questo timore dette vita a un vero e proprio genere letterario. Dopo la guerra sino-giapponese la paura non scomparve, ma si spostò semplicemente dalla Cina al Giappone. Sull’argomento si legga: Piana E., The Yellow Peril, in Future Wars, Storia della distopia militare, (a cura di Ilari V.) Quaderno di Storia Militare 2016, Milano, ACIES, 2016. (19) A cura di F. Perfetti, Napoleone, Aforismi, massime e pensieri, TEN, Roma 1993. (20) Paniccia A., Mazzetti A., Vi spieghiamo perché il l’Indo-Pacifico è un mare (anche) nostro, Formiche.net, 25/03/21. (21) Paniccia A., Shenoy V., La Cina e India le nuove frontiere, Porto&Interporto, gennaio 2021. Si veda anche nello stesso numero Mazzetti A., Un ponte geopolitico tra oceano Atlantico e Indiano. (22) Shenoy V., Il Quad procede con l’Exercise Malabar: la prima mossa per contenere la Cina nell’Indo-Pacifico, Geopolitica.info, 22 novembre 2020.
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PRIMO PIANO
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La via per il futuro Gino Lanzara
Capitano di fregata (CM); laureato in Management e Comunicazione d’impresa ed anche in Scienze Diplomatiche e Strategiche. Analista e studioso di geopolitica e di sicurezza, collabora in materia con diverse testate. Ha pubblicato il saggio Guerra economica: quando l’economia diventa un’arma.
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toricamente la NATO è un unicum politico militare in quanto ad ampiezza e articolazioni; per oltre mezzo secolo l’Alleanza, pur con momenti di impasse come quelli libici post 2011, ha garantito pace e sicurezza europee, contribuendo alla preservazione dell’equilibrio sul piano del confronto militare. Con la fine dell’ordine bipolare e la crisi dei modelli statuali, la mappa geopolitica planetaria è stata stravolta, ma la vetta del successo atlantico è consistita non tanto nello sgretolamento del blocco sovietico, quanto nella penetrazione nei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Il concetto strategico che consente il doppio ruolo politico-militare, rende automaticamente l’impegno fuori area, zona di competenza Alleata, quasi da trasformare i vincoli ex art. 5 in argomento di letteratura diplomatico-militare. Il concetto stesso di rischio è mutato, passando da una minaccia visibile a una invisibile e trascendente la dimensione militare, e che riguarda le sfide tecnologiche e, in seconda battuta, il problema climatico, qui da intendersi quale passe-partout a risorse e passaggi artici. È stato proprio il rinnovamento concettuale della NATO che ha indotto non tanto a interrogativi strutturali, quanto funzionali, dati i mutamenti intercorsi a livello internazionale. Secondo alcune correnti di pensiero, il ruolo ricoperto dall’Alleanza durante la Guerra Fredda, periodo statico concettualmente opposto al fluido dinamismo attuale, rientra nell’ambito degli eventi storici da archiviare, vista anche la libertà di manovra concessa ai singoli egemoni perché potessero agire autonomamente nelle rispettive aree d’influenza. Certo non è possibile dimenticare le più importanti operazioni condotte dalla NATO come l’intervento in Afghanistan o quelle aeronavali come l’operazione ACTIVE ENDEAVOUR in chiave antiterroristica, l’Operazione SHARP GUARD in mar Adriatico nei confronti della ex Yugoslavia, o l’operazione OCEAN SHIELD per contrastare il fenomeno della pirateria. Per altri analisti, ieri come oggi, la NATO rientra nelle inevitabilità, vista la labilità delle alternative,
«Storicamente la NATO è un unicum politico militare in quanto ad ampiezza e articolazioni; per oltre mezzo secolo l’Alleanza (…) ha garantito pace e sicurezza europee, contribuendo alla preservazione dell’equilibrio sul piano del confronto militare» (Fonte immagine: geopolintelligence.com).
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in primis quella militare europea. Non c’è dubbio, infatti, che l’Unione europea è vista limitata nella definizione degli obiettivi strategici e in una posizione fiancheggiatrice rispetto alla NATO. Posizione considerata inevitabilmente di convenienza, funzionale sia a dissimulare una certa marginalità politica, sia a consentire la più ampia partecipazione alla competizione internazionale ma senza l’assunzione di dirette responsabilità.È vero, la NATO, in passato, è stata una scelta di campo ideologica; chi però oggigiorno intende accedervi sa che quella sfera non conosce più delimitazioni nette, anche perché è palmare che al mondo esista una unica potenza globale, che predilige i rapporti bilaterali, prerogativa degli egemoni sia già affermati sia in fieri (1); sotto quest’ottica è possibile inquadrare la proiezione americana nell’Indo-Pacifico e la contemporanea limitazione della sua presenza nell’area MENA (2), sia in chiave anti-iraniana, sia in relazione al mantenimento delle relazioni diplomatiche che hanno consentito la firma degli Accordi di Abramo (3), sia per continuare a consentire il controllo delle linee di comunicazione marittime globali, in ossequio al principio dell’Offshore Balancing (4). Mettere in discussione la NATO significa ammettere una miopia politica che non considera la libera volontà associativa, e che soprattutto non valuta la cogenza delle imposizioni che, in ogni sistema, vincolano i non alleati. Una prima e più banale conclusione consiste nella considerazione che decidere di non decidere non sia una soluzione lungimirante, visto peraltro il rapporto 2020 illustrato dal Segretario generale della NATO,
Il norvegese Jan Stoltenberg, Segretario generale della NATO, in carica dal 1o ottobre 2014 (nato.int).
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Jan Stoltenberg, che ha voluto evidenziare dei risultati di gradimento accettabili in quanto a immagine, ma contrastanti quando posti in relazione a una strisciante disaffezione larvatamente connotata dai media generalisti. L’obiettivo da consolidare rimane quello di suscitare la percezione di un’Alleanza capace di svolgere funzioni rilevanti, di generare legittimità, di dare una reale incentivazione al capitale militare, di sostanziare il meta-tema che la inquadra flessibilmente come gestore di crisi che persevera nel perseguire compiti deterrenti e difensivi intesi sia in chiave collettiva che cooperativa; ma Stoltenberg, che deve considerare sia l’impronta atlantica sia la nuova amministrazione statunitense, vuole imprimere in termini di ripristino della fiducia generale, il nuovo burden sharing volto a garantire flussi finanziari più consistenti e condivisi; non limitandosi a questo, e approfondendo la tematica delle Emerging Disruptive Technologies (5), si è indirizzato verso uno scacchiere proiettato al 2030 e oltre, affollato di egemoni e attori emergenti, radicalmente mutato rispetto alle configurazioni strategiche precedenti, con un’Alleanza ora più che mai interessata a difendere i suoi limites geopolitici; nell’attuale multipolarismo aggressivo (6), trova spazio il risk management legato a concorrenze geostrategiche e geoeconomiche dovute all’ascesa cinese e alla proliferazione di attacchi ibridi, e lo si leva alle partnership con Mosca, mentre la ridistribuzione del potere economico e militare verso l’Asia continua a insidiare il primato occidentale, e dove gli strumenti di hard e di soft power influenzano il bilanciamento del potere geostrategico. Tenuto conto che le potenze rivali sfruttano le nuove tecnologie per perseguire il duplice obiettivo di una maggiore competitività economica unita a maggiori capacità militari, la realtà presenta ormai un patchwork di aree connesse a velocità esponenziale, per cui le decisioni prese in una regione influenzano gli eventi nel resto del mondo: il batter d’ali di una farfalla in Brasile può ora provocare un tornado in Texas (7). Alla luce delle difficoltà incontrate da un’alleanza essenzialmente cinetica nel rispondere ad attacchi non cinetici, telecomunicazioni, spazio, cyberspazio (8), nuove tecnologie, guerra ibrida (9) e cognitiva diventano ombre sempre più consistenti tra le volute della nebbia della guerra, cui contrapporre una concreta resilienza (10), ovvero la capacità di assorbire gli shock, adattarsi ai cam-
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biamenti, trasformare governance, strutture e operazioni, fondata sull’interconnessione tra i settori civile, privato e militare, un obiettivo che conduce all’auspicata costituzione della NATO Defence Innovation Initiative, volta a incrementare la cooperazione sull’innovazione tecnologica alla luce del NATO Defence Pledge e delle sue tre C (11), e inserita in un più lato contesto che vede un contrasto alle attività di illecito trasferimento di tecnologie e proprietà intellettuali secondo la strategia della Military Civil Fusion, per cui la Cina acquisisce proprietà intellettuale e progressi tecnologici dei principali centri di ricerca europei per promuovere i suoi obiettivi militari (12). Tuttavia, più su abbiamo accennato alla virtù della lungimiranza, ovvero alla stessa dote che considera le EDT quale opportunità se inquadrate in un ambito che contempla l’evoluzione tecnologica quale fattore di vantaggio strategico, a partire dalla gestione dei nuovi tipi di conflitti, fino all’analisi e alla condivisione dei dati, all’investimento nell’Intelligenza Artificiale, nello spazio, nelle tecnologie ipersoniche, nella biotecnologia cognitiva (13), un dominio emergente con implicazioni di ampia portata per etica e competitività economica e militare. Si tratta di aspetti tecnici rilevanti, che inducono tuttavia a rammentare che l’AI (14) integra, senza sostituirle, le tradizionali competenze tecnologiche, e insieme alle tecniche di Machine Learning, necessita della risorsa strategica costituita dai Big Data (15). La NATO, sovente forum di mediazione per comporre le controversie tra alleati (16), implementa quindi il suo ruolo di coordinamento in tema scientifico, esaltando il ruolo dell’Allied Command Transformation (ACT) (17), già impegnato nell’analisi degli sviluppi connessi al dispiegamento russo dal Nord al Mediterraneo e all’Afghanistan, fino a considerare le variazioni degli equilibri determinate dall’ascesa del Dragone, verso cui sarebbe utile operare considerando le conseguenze di una trappola di Tucidide, contenibile solo con un’intelligente deterrenza, che non può prescindere dalla modernizzazione delle capacità nucleari quali componenti centrali delle capacità complessive unitamente alle forze convenzionali e missilistiche, e perseguendo lo sviluppo del NATO Warfighting Capstone Concept (NWCC), utile a fornire un
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Il generale André Lanata, comandante dell’Allied Command Transformation (ACT) e, sopra, il logo del Comando militare della NATO istituito nel 2003 (wikimedia.commons/Ecole polytechnique Université Paris).
quadro dei possibili conflitti fino al 2040, per consentire di proteggere i principali interessi securitari atlantici. È necessario comprendere quanto sia nodale associare olisticamente le relazioni internazionali al progresso tecnologico, frutto di una sinergia industriale e accademica, un aspetto già considerato nel 2014 dal Pentagono, che lanciò la Third Off-Set Strategy, volta a consolidare e prolungare la superiorità tecnologica americana; un approccio che consente di acquisire deterrenza e leadership commerciale/industriale anche in tempi di globalizzazione, variabili destinate a rendere la superiorità tecnologica occidentale, segnatamente l’americana, ancora difficilmente raggiungibile e che, anche in Italia, rappresenta uno strumento di influenza geopolitica di enorme valore economico cui non far mancare gli investimenti. In ogni caso, le ricerche effettuate in quest’ambito suggeriscono che le nuove tecnologie supportano, ma non sostituiscono, le capacità militari che devono comunque poter fruire di un’ampia e avanzata interoperabilità tra i membri NATO; non a caso, a Norfolk, ACT ha privilegiato un hub di innovazione e sviluppo in sinergia con la Old Dominion University, ponendo attenzione al fatto che con il cambiamento della natura dei conflitti è mutato l’approccio insito nella transizione dall’era industriale all’era dell’informazione digitale, e fondato sull’apprendimento. Il primato tecnologico in campo militare dipende, dunque, sia da capacità industriali tradizionali sia dall’integrazione con competenze più attuali; il potere militare diviene dunque la sintesi di molte variabili, tra cui la tecnologia che,
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se da un lato offre nuove chance, dall’altro apre a maggiori vulnerabilità. Forze armate addestrate e pronte consentono di comprendere le dinamiche tattico-operative, permettendo di massimizzare le innovazioni tecnologiche: gli Stati Uniti compresero l’importanza delle portaerei grazie a una serie di wargames svolti a Newport, Rhode Island, presso il Naval War College, tutte intuizioni che guidarono poi gli investimenti in tecnologia e piattaforme. Ma c’est l’argent qui fait la guerre; inevitabile dunque andare a toccare l’aspetto economico e finanziario, passaggio imprescindibile per garantire un equilibrio di potere che richiede, e.g., il contrasto all’evoluzione degli armamenti ipersonici (18), e la sostituzione dell’armamento nucleare obsoleto (19). Proprio per ovviare a questo aspetto, oltre a quanto già esperito dal Security Investment Branch (20), con il report intitolato Nato’s Financing Gap redatto da Max Bergman e Siena Cicarelli, promosso dal Center for American Progress (21) è stata avanzata la proposta di costituire una banca multilaterale NATO, un progetto che tiene conto sia dei flussi finanziari, sia del sempre più frequente utilizzo di strumenti asimmetrici, come acquisizioni strategiche e investimenti in ambito europeo (22). Un istituto fondato su capitalizzazioni dei partecipanti all’Alleanza e in linea con i PIL nazionali potrebbe peraltro, in funzione dei rendimenti, compensare le sofferenze dei bilanci interni; ovviamente si tratta ancora di una progettualità, che tuttavia non può non tenere conto del fatto che, a fronte della pianificazione operativa, deve sempre seguire una stringente copertura finanziaria. Va quindi tenuto conto degli impatti diretti e indiretti esercitati dalla spesa militare sull’industria, dove per i primi risulta rilevante il ciclo economico breve in termini di sostegno alla domanda e all’occupazione, mentre per i secondi si intende la rilevanza che la spesa per il R&D (Research&Development) militare ha sull’innovazione tecnologica (23), dunque sull’intera filiera economica, specie quando i prodotti innovativi vengono ceduti al settore civile (24), anche se non preventivamente programmati, come per la passata industria aeronautica dei velivoli o per quella futura della robotica dei droni, o dello sviluppo e diffusione di internet (25), dando perciò peso al-
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l’assunto di J.K. Galbraith (26), per cui i comparti della Difesa funzionano come un’agenzia di pianificazione economica che cura un settore, quello militare, protetto dalle variabili del mercato. Va comunque rammentato che, a differenza del passato, il divario tra R&D statale e settore commerciale si è ampliato, tanto da consentire a quest’ultimo di crescere in settori tradizionalmente preclusi, come l’esplorazione dello spazio; sotto questo punto di vista, l’Alleanza ha ottimi rapporti con istituzioni accademiche di livello mondiale, con i migliori ricercatori scientifici, con start-up creative, ovvero con tutti gli elementi che possono risolvere le sfide su cui si devono cimentare i settori della Difesa e non, come la realtà aumentata e l’informatica quantistica. Se tuttavia le soluzioni commerciali hanno reso più agevole l’accesso a know how elevati, la disponibilità di tecnologie evolute assurgerà a problema securitario cui l’ACT, privilegiando la valorizzazione del capitale umano e la creatività intellettuale, ha reagito sviluppando collaborazioni industriali (27) e scientifiche, al fine di assicurare comando e controllo, schierabilità e so-
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Esplorazione dello spazio: «Sotto questo punto di vista, l’Alleanza ha ottimi rapporti con istituzioni accademiche di livello mondiale, con i migliori ricercatori scientifici, con start-up creative, ovvero con tutti gli elementi che possono risolvere le sfide su cui si devono cimentare i settori della Difesa e non, come la realtà aumentata e l’informatica quantistica» (Fonte immagine: aresdifesa.it). Sopra e nella pagina precedente: il primo velivolo Alliance Ground Surveillance (AGS) della NATO. Il programma prevede l’acquisizione di cinque velivoli a pilotaggio remoto Global Hawk e le relative stazioni base di comando e controllo. Gli UAV forniscono i dati di intelligence, sorveglianza e ricognizione (nato.int/Northrop Grumman).
stenibilità utili a perseguire il raggiungimento di ogni nuovo obiettivo come la capacità spaziale o il controllo del cyberdominio (28) connesso al controllo fisico dei cablaggi sottomarini. L’Alleanza deve porre attenzione a 5 direttrici di studio: superiorità cognitiva, resilienza, influenza e proiezione di potenza, comando interdominio e difesa integrata multidominio, obiettivi affidati all’ACT, che ha il compito strategico di portare il futuro nel presente (29) preservando l’accesso a tecnologie capaci di determinare vulnerabilità operative. Dal 2003, l’ACT ha valorizzato l’importanza di trasformazione e sviluppo quali propulsori di evoluzioni volte a garantire aggiornamento del pensiero strategico, evoluzione delle capacità, formazione, cooperazione, tutte funzioni che si riflettono nella composizione dell’ACT stesso, e a cui si aggiungono il Joint Warfare Center in Norvegia, il Joint Force Training Center in Polonia, il Joint Analysis & Lessons Learned Center in Portogallo, oltre al NATO Defense College
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di Roma, alla NATO School di Oberammergau, e al NATO Maritime Interdiction Operational Training Center in Grecia, nonché ai Centri di eccellenza gestiti a livello nazionale, fondamentali nello sviluppo dottrinario, nella validazione dei concetti attraverso la sperimentazione e nell’evitare la duplicazione di capacità già presenti all’interno della struttura di comando della NATO; un’organizzazione territoriale basata sulla funzionalità e non sulla geografia (30), che intende rendere l’ACT un think tank operativo e non meramente speculativo, in contesti caratterizzati da rapidi tassi di cambiamento, complessità, incertezza e interconnessione, dove la R&D, messa in crisi da bilanci sempre meno capienti, ha ancora una significativa valenza. ACT non può certo prevedere il futuro, ma di certo può plasmarlo, secondo un’interessante interpretazione della «Teoria dei Giochi», contribuendo a tracciare potenziali traiettorie per diverse tendenze (31), specie se divergenti, in correlazione con le implicazioni per l’Alleanza, con un’attenta ridistribuzione geostrategica; è possibile quindi ipotizzare una parcellizzazione del potere su 3 dimensioni, la prima militare, in gran parte unipolare, la seconda economica, multipolare, la terza transnazionale, con la NATO che, vista la revanche del potere politico a fronte del multilateralismo, e la necessità di assicurare una valida governance, rimarrà probabilmente l’Alleanza chiave per la regione euro-atlantica, malgrado potenze emergenti, organizzazioni locali e anche non statuali (32) possano cercare di cambiare le dinamiche regionali grazie a pervasivi processi di polarizzazione politica. L’ACT, nell’assicurare flessibilità, pertinenza, affidabilità e sostenibilità dello strumento operativo, poiché fa sue sfide e opportunità per mantenere il vantaggio tecnologico, può dunque essere considerato come un centro di pensiero fondamentale fondato su basilari Lessons Learned in quanto a valutazione, analisi, pianificazione e proposizione di valide e resilienti alternative, un punto di raccordo tra realtà operativa e frontiera tecnologica produttiva e della conoscenza, delineando la conduzione di operazioni congiunte, sviluppando nuovi concetti operativi, valutandone la fattibilità grazie allo sviluppo di dottrina, ricerca scientifica, sperimentazione e sviluppo tecnologico. Tuttavia, a fronte di evidenti eccellenze non si può non constatare come il dibattito pubblico abbia più volte stigmatizzato un preoccu-
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pante declino geopolitico occidentale, aggravato dal potenziamento militare di attori agevolati da spionaggio e dalle pratiche commerciali dual use; che poi l’importanza delle strategie ibride, sottese all’ambito bellico, sia stata ancor più valorizzata da un approccio culturale nuovo e complesso, è testimoniato dai progressi tecnici e dall’approfondimento cinese dell’aspetto dottrinale (33), fattore questo peraltro ripreso, interpretato e applicato dalla (controversa) «Dottrina Gerasimov» (34), in Russia. Vanno tuttavia evidenziati dei punti che, a beneficio dei corifei pro oriente, contribuiscono a chiarire il panorama. La produzione di piattaforme militari avanzate richiede il possesso di capacità tecnologiche e industriali ampie e sofisticate, con un volume di ambiti disciplinari e specifici in crescita esponenziale e con sistemi d’arma operanti al limite della frontiera tecnologica. Le implicazioni sono ovvie: sono necessari anni e ingenti investimenti per conservare e sviluppare capacità tecnologiche e industriali, associandovi esperienze e conoscenze, in un contesto ac-
cademico e industriale che sia premiante e dove un elemento sinergico come quello rappresentato dalla NATO, costituisca uno sprone; evidenza di questo trend è data dalla difficoltà cinese incontrata nello sviluppo e realizzazione di un caccia di V generazione come il J20, in competizione con l’americano F22/A Raptor, senza contare gli sforzi profusi nel potenziamento della componente navale volta a sfidare la talassocrazia americana. È dunque evidente che, rispetto al secolo scorso, è impossibile imitare rapidamente le piattaforme militari sviluppandone di migliori. Non è escluso che l’AI e la robotica possano in futuro cambiare questo status, ma certo non è possibile conoscere un quando più preciso; le dinamiche tecnologiche attuali impongono che chi intende sviluppare sistemi d’arma moderni come caccia e sottomarini non può non investire ingenti risorse, sviluppando una solida base industriale, scientifica, tecnologica e esperienziale. Malgrado tutto, per l’Occidente il tempo del declino è ancora distante. 8
NOTE (1) Cina; al proposito, si segnalano: On Strategy Studies (2006) pubblicato dal PLA; Political Work Guidelines of the People’s Liberation Army (2003), e The seven military classics of Ancient China (2017). (2) Middle East and North Africa. (3) Sono una dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, raggiunta il 13 agosto 2020. Successivamente, il termine è stato utilizzato per riferirsi collettivamente agli accordi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (l’accordo di normalizzazione Israele-Emirati Arabi Uniti) e Bahrein (l’accordo di normalizzazione Bahrein-Israele). (4) L’Offshore Balancing è un concetto strategico utilizzato nell’analisi realista delle relazioni internazionali. Descrive la strategia adottata da una potenza egemonica nei confronti di potenze regionali privilegiate per controllare l’ascesa di altre potenze ipoteticamente ostili. L’OB richiede forti capacità per ritirarsi dalle posizioni onshore per concentrare le capacità offshore sulle tre principali regioni geopolitiche del mondo: Europa, Golfo Persico e Asia nord-orientale. (5) Tecnologie Emergenti Destabilizzanti (EDT). (6) Stefano Silvestri. (7) Edward Lorenz, 1972. (8) Ormai definito come il 5o dominio. (9) La divisione Joint Intelligence and Security comprende un’unità dedicata al monitoraggio e all’analisi delle minacce ibride; al vertice di Varsavia del 2016, gli alleati hanno affermato che gli attacchi ibridi potrebbero attivare l’articolo 5 del trattato di Washington. (10) Al concetto di resilienza va associato quello di difesa totale, ovvero l’utilizzo della totalità delle risorse per la difesa nazionale e la generazione di un senso di responsabilità condiviso in un contesto nazionale e organizzativo. In questa accezione trovano riconoscimento responsabilità individuale, aziendale e organizzativa. (11) Cyber Defence, Capability, Contribution. (12) Sostanzialmente, l’accrescimento capacitivo cinese, in termini bellici, è volto a proteggere gli interessi economici vieppiù in espansione, grazie anche alla BRI (Belt and Road Initiative), e a consentire proiezione e proattività nelle acque del bacino indo-pacifico. (13) Capacità della tecnologia di potenziare e migliorare il pensiero umano, la percezione, il coordinamento e l’azione sull’ambiente fisico e sociale. (14) Intelligenza Artificiale. (15) In statistica e informatica la locuzione indica una raccolta di dati informativi così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l’estrazione di valore o conoscenza. (16) V. Grecia e Turchia. (17) Attivato a partire dal 19 giugno 2003. Al vertice di Praga del 2002, è stato deciso che la NATO avrebbe dovuto modificare strutture e concetti acquisendo nuovi tipi di equipaggiamento per affrontare le sfide operative della guerra di coalizione contro le minacce del nuovo millennio. (18) V. il programma russo dei missili «Khinzal» e «Avangard». (19) V. gli ordigni a testata nucleare B 61 presso le infrastrutture militari di Aviano e di Ghedi. (20) Gestisce il programma di investimenti dei fondi nazionali per lo sviluppo di strutture, sistemi e attrezzature. (21) Fondato nel 2003, da John Podesta che è stato capo del Personale della Casa Bianca sotto l’amministrazione Clinton dal 1998 al 2001, e consigliere del presidente Barack Obama dal 2014 al 2015. (22) V. la Cina, attraverso la sua Belt and Road Initiative, la Digital Silk Road, la Infrastructure Investment Bank e la Russia con la International Investment Bank (IIB), con sede a Budapest dal 2019. (23) Valga come esempio il Progetto Manhattan. (24) Gli effetti diretti sull’economia statunitense sono stati studiati da P. Baran e P. Sweezy a Galbraith e Leonteev. Nell’anteguerra il New Deal rooseveltiano, basato in larga misura sulle idee di J.M. Keynes aveva ottenuto risultati solo parziali. (25) Il bombardiere Boeing B-47 fu trasformato nell’aereo passeggeri Boeing 707, mentre il Boeing 747 fu realizzato su disegni non utilizzati per il cargo C-5 dell’USAF. Nel 1969 l’Advanced Research Projects Agency diede origine a una rete di computer ARPAnet, in grado di resistere a un attacco nucleare, per fornire a ingegneri e informatici americani impegnati su contratti militari, la possibilità di condividere risorse di calcolo. Una delle sue caratteristiche è il carattere anarchico delle connessioni e la ridondanza delle vie di collegamento: un’inusuale caratteristica di origine militare.
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NATO: la via per il futuro (26) Economista, funzionario e diplomatico canadese naturalizzato statunitense. È stato fra i più celebri e influenti economisti del suo tempo, nonché critico della teoria capitalista tradizionale. (27) V. l’operato di Leonardo nel settore della cyber security sia su attività di mercato, sia anche sullo sviluppo di relazioni di partnership con modalità propositive e inclusive con organizzazioni governative e con aziende strategiche. Al dominio della co-creazione appartiene la realizzazione della Piattaforma di Esercitazione/Gaming e Cyber Training per il Centro Interforze Operativo Cibernetico della Difesa Italiana (CIOC). (28) Da considerare gli specifici forum in cui NATO e industria si uniscono per compendiare le reciproche esigenze, dopo aver esaminato gli esiti delle ricorrenti esercitazioni. (29) Generale André Lanata, comandante dell’ACT. (30) V. il Cooperative Cyber Defence Center of Excellence (CCDCOE), inaugurato in Estonia nel 2008, e la piattaforma Cyber Defense Pledge per valutare in autonomia i progressi compiuti nel tempo nello sviluppo delle capacità nazionali di cyber defence. 2003: Titan Rain, primo grande attacco cibernetico multiplo di cyber spionaggio; Estonia 2007, primo attacco cibernetico ai danni di uno Stato, attraverso un Denial of Service, che ha minato la sicurezza dello Stato estone e della NATO. Da qui Il Manuale di Tallinn, uno studio accademico e non vincolante su come il diritto internazionale si applica ai conflitti informatici e alla guerra informatica. (31) Fondamentale l’attività addestrativa; le Lessons Learned apprese durante le esercitazioni permettono ad ACT di rielaborare programmazione e attività. La Trident Juncture 2018 ha consentito due dozzine di esperimenti diversi, uno dei quali era una valutazione dell’ambiente dell’informazione. L’AI e i sistemi autonomi hanno permesso ai partecipanti di esaminare il campo di battaglia utilizzando internet e altri sistemi per prevedere dove e come un avversario avrebbe reagito a determinate azioni. (32) Soggetti non sovrani che esercitano significative attività economiche, potere e influenza politici o sociali, nazionali e internazionali (v. multinazionali o anche organizzazioni come Boko Haram, organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria e Hayat Tahrir al Sham, formazione militante salafita attualmente attiva e coinvolta nella guerra civile siriana). (33) Guerra senza limiti, colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui. (34) Il 26 febbraio 2013, la rivista militare VPK pubblicò l’intervento tenuto dal Capo di Stato Maggiore generale Valerij Vasil’evič Gerasimov durante una conferenza dell’Accademia di Scienza Militare di Mosca. L’articolo, dal titolo Il valore della scienza sta nella lungimiranza. Nuove sfide richiedono un ripensamento delle forme e dei metodi delle operazioni di combattimento, esponeva la necessità, per le Forze armate russe, di adattare i propri mezzi e metodi di combattimento alle nuove sfide del XXI secolo. BIBLIOGRAFIA Arms Control Dilemmas: Focus on the Middle East; Emily B. Landau and Anat Kurz, Editors. The RMA Theory and Small States; Francis Domingo. NATO 2030 and the «South», by Dr. George N. Tzogopoulos, BESA Center Perspectives Paper No. 1,909, January 31, 2021. Strategic Foresight Analysis 2017 Report; NATO; ACT. Framework for future alliance operations 2018 Report; NATO; ACT. NATO decision-making in the age of big data and artificial intelligence; Edited By Sonia Lucarelli, Alessandro Marrone, Francesco N. Moro, 2021 NATO HQ. Alla NATO serve una banca? Dibattito negli Stati Uniti, di Giuseppe Gagliano. Nella rete di Pechino: ragioni e implicazioni strategiche dell’ascesa navale cinese; dott. Alessandro Albana, Alternativa è l’asse Roma-Washington, Fabio Mini, Limes n. 4, 1999. An Act of War? Avoiding a Dangerous Crisis in Cyberspace, Dmitri Trenin, Foreign and Security Policy, Hybrid War: Russia vs. the West. L’anno zero delle politiche NATO di controllo e riduzione degli armamenti, 18 febbraio 2021, Affari Internazionali, Stefano Silvestri. Artificial Intelligence at NATO: dynamic adoption, responsible use, Edward Hunter Christie, 24 November 2020. Building a resilient innovation pipeline for the Alliance, Rob Murray, 1 September 2020. Beyond the Emergency Problematique. How Do Security IOs Respond to Crises, A Case Study of NATO Response to Covid-19, Accepted at the Journal of Transatlantic Studies on 02 March 2021, To cite: Baciu, Cornelia (Forthcoming, 2021) «Beyond the Emergency Problematique. How Do Security IOs Respond to Crises, A Case Study of NATO Response to Covid-19», Journal of Transatlantic Studies 19 (3). Cognitive Biotechnology: opportunities and considerations for the NATO Alliance, Johns Hopkins University & Imperial College London, 26 February 2021. China’s Strategic Nuclear Arms Control: Avoiding the «Thucydides Trap», Stephen J. Cimbala. Countering drones: looking for the silver bullet, Claudio Palestini, 16 December 2020. Cyber capacity building: una sfida per la NATO del futuro, di Noemi Brancazi, Ce.S.I. Cyber Defence in NATO Countries: Comparing Models, di Alessandro Marrone ed Ester Sabatino, IAI, 2021. Cyberspace and National Security, Selected Articles III, Edited by Gabi Siboni, INSS. From Gaming to Training: A Review of Studies on Fidelity, Immersion, Presence, and Buy-in and Their Effects on Transfer in PC-Based Simulations and Games Amy, L. Alexander, Tad Brunyé, Jason Sidman, and Shawn A. Weil Aptima, Inc., Woburn, MA. Prof. Danilo Ceccarelli Morolli, Appunti di Geopolitica, Valore Italiano, 2018. Dottrina Gerasimov: la strategia militare non convenzionale di Mosca, Francesco Cirillo, 4 aprile 2020, opiniojuris. Enlarging NATO’s toolbox to counter hybrid threats, Michael Rühle, Clare Roberts, 19 March 2021. L’esperienza di Leonardo nelle partnership Pubblico-Privato e Privato-Privato, Stefano Bordi, Elena Cordaro, ISPI. Defence Strategic Communications the official journal of the NATO Strategic Communications Centre of Excellence, A Rose By Any Other Name? Strategic Communications in Israel, David Siman-Tov and Ofer Fridman. Gli Stati Uniti domineranno ancora la competizione tecnologico-militare (nonostante la Cina). Parlano Andrea e Mauro Gilli di Enrico Casini e Michele Pierri/europatlantica, 14 aprile 2019. How China Uses Artificial Intelligence to Control Society, Sergio Miracola, ISPI. How Europe Can Tackle Influence Operations and Disinformation, Alicia Wanless, Carnegie Endowment. Il futuro della NATO: l’Alleanza euro-atlantica nella guerra in tempo di pace di Alessandro Marrone e Karolina Muti, IAI. Il domani della NATO: l’Alleanza tra cambiamento climatico e tecnologia, Flavia Troisi, Ce.S.I. Innovation Leads NATO Modernization Efforts, October 1, 2019, Robert K. Ackerman, afcea.org. Building resilience, Collaborative proposals to help nations and partners, NATO. La dottrina Gerasimov e il New Generation Warfare, di Giulia Ginevra Nascetti, 3 dicembre 2020, geopolitica.info. Cyber Defense from «Reduction in Asymmetrical Information» Strategies, Guy-Philippe Goldstein. La NATO alla prova di Big Data e Artificial Intelligence, 10 marzo 2021, Alessandro Marrone, IAI. La NATO e il nuovo (dis)ordine mondiale: le prospettive dell’Alleanza atlantica nell’era multipolare, di Riccardo Leoni, Ce.S.I. La NATO riscopre il controllo degli armamenti, 15 febbraio 2021, Carlo Trezza, IAI. Negotiating in Times of Conflict, Gilead Sher and Anat Kurz, Editors, INSS. La difesa cibernetica nei paesi NATO: modelli a confronto, IAI, 2020. Rapporto NATO 2030: tecnologia e nuovi scenari di sicurezza, Sicurezza Internazionale, Luiss. Ricerca scientifica, ricerca militare, nuove tecnologie, Giuseppe Nardulli, Università di Bari. Rischio cyber e perché ce ne dobbiamo preoccupare, Corrado Giustozzi, ISPI. Tecnologia militare e sfida cinese: perché il declino americano non è inevitabile, Andrea Gilli E Mauro Gilli, aspeniaonline.
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Milite Ignoto Un simbolo che dal passato guarda al comune futuro RIVISTA MARITTIMA La Direzione
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MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE AL SOLDATO IGNOTO “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro sperare che la vittoria e la grandezza della Patria. 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918”
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SPECIALE - Milite Ignoto: un simbolo che dal passato guarda al comune futuro
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gni nazione conserva — e deve conservare — il senso della memoria. In essa risiede il significato che i propri caduti esprimono per il concetto stesso di Patria. Non è un esercizio di retorica, ma il legame profondo che lega tutta una comunità, nello spazio e nel tempo. Così l’Italia uscita vincitrice dalla Prima guerra mondiale (costata (1) circa 680.000 militari caduti, di cui circa 406.000 per fatti bellici e oltre 950.000 feriti. Le vittime civili, si stima, furono circa 600.000 a causa delle avversità della guerra), provvedeva a fissare il proprio sacrificio, in termini di vite umane, di una guerra che aveva avuto come effetto l’ampliamento dei propri confini non già per la ricerca di uno «spazio» vitale, bensì per la ricongiunzione di pezzi della comunità italiana. Una comunità che la geografia politica, per varie ragioni, aveva frammentato nel corso del tempo. Su tale scenario si inserisce quindi il Milite Ignoto che non fu un mero atto celebrativo, bensì l’esigenza di memoria di tutto un popolo, a perenne ricordo di un sacrificio collettivo. L’idea di onorare il sacrificio compiuto da tanti uomini
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in arme per la Patria tramite il corpo di un ignoto soldato, fu dell’allora colonnello Giulio Douhet (1869-1930) (2), che dalle pagine della rivista Dovere, nel luglio del 1920, lanciò tale proposta. Il Milite Ignoto venne collocato al Vittoriano, il 4 novembre 1921, al termine di una cerimonia profondamente toccante: «Il 4 di Novembre del 1921 il popol nostro, che aveva, seguito con grande ansia le vicende della titanica guerra a cui milioni di uomini han partecipato con fede, lasciando sui campi della gloria il fiore della giovinezza d’Italia, votata al sacrificio sublime per la Quarta Unità, ha assistito di persona o collo spirito ad uno dei più maestosi riti di amore e di patriottismo, allorquando, nella Città Eterna, una salma ignota, coperta un tempo di grigio verde, ha salito l’altare dedicato Il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II (mole del Vittoriano), chiamato per sineddoche Altare della Patria, è un monumento nazionale italiano situato a Roma, in piazza Venezia, sul versante settentrionale del colle del Campidoglio, opera dell’architetto Giuseppe Sacconi. È situato al centro della Roma antica e collegato a quella moderna grazie a strade che si dipartono a raggiera da piazza Venezia. Il monumento ha un’ampia valenza simbolica rappresentando — grazie al richiamo della figura di Vittorio Emanuele II e alla realizzazione dell’Altare della Patria — un tempio laico dedicato metaforicamente all’Italia libera e unita e celebrante — in virtù della tumulazione del Milite — il sacrificio per la patria e per gli ideali connessi (wikipedia.it).
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SPECIALE - Milite Ignoto: un simbolo che dal passato guarda al comune futuro Antonio Bergamas fu arruolato nell’Esercito austriaco. Nel 1916 Antonio disertò, fuggì in Italia e si arruolò volontario nel 137º Reggimento di fanteria della Brigata Barletta con il nome di Antonio Bontempelli, una falsa identità imposta dal Regio Esercito per accogliere tra le sue file gli irredentisti. Mentre guidava l’attacco del suo plotone, durante un combattimento alle falde del monte Cimone di Marcesina, il 16 giugno 1916, fu raggiunto e ucciso da una raffica di mitraglia. Al termine della battaglia, nelle sue tasche fu trovato un biglietto nel quale si pregava di avvisare dell’avvenuta morte il sindaco di San Giovanni di Manzano, l’unica persona al corrente della sua reale identità. La salma di Antonio fu dunque riconosciuta e sepolta assieme agli altri caduti nel cimitero di guerra di Marcesina sull’Altipiano dei Sette Comuni. Tuttavia, a seguito di un violento bombardamento che distrusse il cimitero, Bergamas e i compagni periti con lui risultarono ufficialmente dispersi (wikipedia.it). Accanto: Maria Maddalena Bergamas (Gradisca d’Isonzo, 23 gennaio 1867-Trieste, 22 dicembre 1953) è stata la donna italiana che fu scelta in rappresentanza di tutte le madri italiane che avevano perso un figlio durante la Prima guerra mondiale, del quale non erano state restituite le spoglie (wikipedia.it).
alla memoria del Re Galantuomo per dormirvi il più fausto sonno degli Eroi santificati dalla devozione e dalla riconoscenza» (3). Ancora oggi leggendo il libro di Augusto Tognasso — che sta per compiere 100 anni dalla pubblicazione — si comprende il profondo significato di quell’evento, un evento che ha generato un simbolo, che tuttavia non è stato creato ex nihilo, bensì è il prodotto di uno sforzo e di un sacrificio collettivo, frutto di un genuino pensiero di una comunità nazionale. Pertanto, ricorrendo in questo anno il centenario della tumulazione all’Altare della Patria del Milite Ignoto, e approssimandosi la Festa della Repubblica Italiana del 2 giugno 2021, appare doveroso e significativo ricordare dalle colonne della Rivista Marittima quel momento così significativo e così saldamente legato al Tricolore e ai valori della Repubblica. Come ben noto, al Vittoriano, la salma del Milite Ignoto è tumulata in un loculo sepolcrale rivestito, all’esterno, da una lastra che riporta inciso in latino: «Ignoto Militi». Furono prescelte undici salme, sconosciute, esumate dai luoghi dove più aspra in guerra era infuriata la battaglia. Esse furono disposte, alla fine, in
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maniera volutamente non più distinguibile tra loro; ce n’era anche una proveniente dal Basso Piave, nel settore dove vi erano i caduti della Regia Marina, precisamente dal cimitero militare di Ca Gamba, nei pressi di Jesolo. La scelta fu affidata a una «mamma spirituale» del Milite Ignoto, ovvero Maria Bergamas, il cui unico figlio era morto e disperso in battaglia. Il 28 ottobre, nella Basilica di Aquileia: «Il Generale Paolini (4) e l’on. Paolucci (5) porsero il braccio a Maria Bergamas che, sorretta dai due Eroi, lentamente, quasi ogni passo segnasse la via di un destino, camminò verso i feretri ove fu lasciata sola a compiere il rito seguendo l’impulso del suo spirito. Il momento era solenne; il silenzio che regnava nel Tempio, era rotto a tratti dai singhiozzi; sui volti sfigurati di tutti correvano delle lacrime. S. A. R. il Duca d’Aosta, il Ministro della Guerra on. Gasparotto e le autorità tutte avevano gli occhi bagnati di pianto, mentre, nella rigidità della commozione, austera, seguivano ansiosi le mosse di Maria Bergamas. Lasciata sola parve per un momento smarrita; teneva una mano stretta al cuore, mentre coll’altra stringeva nervosamente le guance. Poi, sollevando in atto d’invocazione gli occhi verso le navate imponenti, parve da Dio attendere che Ei designasse una bara come se dovesse contenere la spoglia del suo figliolo. Quindi, volto lo sguardo alle altre mamme, cogli occhi sbarrati, fissi verso i feretri in uno sguardo intenso, tremante d’intima ambascia, incominciò il suo cammino. Così, trascinandosi a fatica, raccolti l’anima e il cuore nelle pupille che scrutavan le bare, trattenendo il respiro, giunse di fronte alla penultima, davanti alla quale, oscillando sul corpo che più non la reggeva e lanciando un acuto
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La cerimonia di tumulazione del Milite Ignoto all’Altare della Patria durante la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate del 4 novembre 1921, con le bandiere dei reggimenti di fanteria che omaggiano la salma (wikipedia.it). In basso: la bara del Milite Ignoto non ancora inumata all’Altare della Patria (esercito.difesa.it). Nella pagina accanto: 25 aprile 2020, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella rende omaggio al Milite Ignoto in occasione del 75º anniversario della liberazione (Presidenza della Repubblica).
grido che si ripercosse nel tempio, chiamando per nome il suo figliolo si piegò, cadde prostrata e ansimante in ginocchio abbracciando con passione quel feretro. Il rito era compiuto» (6). In realtà tutta la vicenda di quel simbolo è intessuta di attimi come anche l’arrivo a Roma, davanti a un’Italia unita e, in quell’istante, tutta in ginocchio e al di sopra delle parti davanti a quel treno speciale che l’attraversava, da Aquileia fino alla capitale. Essa fu riscritta, nel 1969, da Giulio Bedeschi (1915-1990) (7) e sarebbe pertanto stonato e inutile aggiungere ulteriormente, in queste poche righe, a quelle pagine sempre attualissime e da antologia. Vogliamo casomai ricordare, in questa sede, altri attimi, universali, di un simbolo che, oltre la propria, singola Bandiera per la quale è caduto, appartiene all’umanità tutta. In Gran Bretagna, per esempio, esiste, nell’imponente Abbazia di Westminster, sepolto «tra i re», un Milite Ignoto britannico lì collocato a imitazione di quanto deciso dai francesi con la fiamma eterna posta nell’Arco di trionfo, a Parigi. Fu molto più dura per i tedeschi dopo la più spaventosa guerra e conseguente sconfitta. Così, soltanto nel
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1932, Berlino decise di fare qualcosa utilizzando, a questo scopo, la Neue Wache, un tempietto ottocentesco dedicato, in precedenza, ai caduti delle guerre napoleoniche prima dell’inaugurazione, nel 1913, del gigantesco monumento di Lipsia. Gli austriaci, a loro volta, riconsacrarono, a diversi anni di distanza e con discrezione, la Heldenplatz (Piazza degli eroi) di Vienna. Più complicato il caso del tempio giapponese Yasukuni Jinja. Ideato nel 1869 in nome dei caduti morti per l’unità nazionale e la piena restaurazione, dopo secoli, del potere imperiale, avviando così (sia pure a passi forzati) quel paese, fermo da oltre tre secoli, all’avanguardia del mondo moderno, lo Yasukuni Jinja è, appunto, un tempio Shintoista, ovvero un luogo sacro. Avendo accettato, nell’agosto 1945, nonostante tutto, di rispettare le prerogative dell’Imperatore, gli statunitensi lasciarono pertanto spazio, al momento della resa di Tokyo, anche a quel tempio, con tutto ciò che esso rappresentava in termini di cultura, sacrificio e fede nel progresso. Quel sacrario ospita quasi due milioni e mezzo di ceneri e salme di uomini e donne, militari e civili, nipponici e stranieri, caduti per cause di guerra per l’impero del Sol Levante.
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tragedie si traducono nella necessità di ricordare, onorare, conservare; in una parola vivere (certo solo per un istante, ancora e sempre un istante), esperienze che non sono trasmissibili, ma i cui effetti modificano per sempre le menti, cioè la cultura, collettiva. Alcuni di questi simboli sono universali, altri invece particolari. La storia del «simbolo» del Milite Ignoto da particolare — caso italiano — diviene universale poiché oggi quasi cinquanta Stati (8) posseggono monumenti al proprio «Milite Ignoto»!
Non possiamo non citare infine «The Tomb of the Unknown Soldier» (lett. La tomba del soldato sconosciuto) monumento dedicato al Milite Ignoto americano, prescelto tra alcune salme di militari non identificati e caduti in combattimento, sui campi di battaglia in Francia, della Grande guerra. Il monumento, molto famoso, è situato presso il cimitero nazionale di Arlington, in Virginia (Arlington National Cemetery). La salma prescelta rientrò negli Stati Uniti a bordo del vecchio incrociatore Olympia mentre le altre rimasero in Europa nel cimitero di Meuse-Argonne American Cemetery. Si potrebbero menzionare numerosi altri esempi, ma, volendoci fermare — ancora una volta solo per un attimo — sulle dolorose e costose lezioni che questi luoghi ed eventi suggeriscono, è impossibile non formulare alcune riflessioni di fondo valide per tutti, sotto qualsiasi latitudine, cultura e bandiera. La prima è che certe manifestazioni non si impongono: si sentono e nascono spontanee nel profondo del popolo, di ogni popolo. La seconda riflessione è che il tempo non passa invano. Non passa e basta. Determinati avvenimenti e
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La terza e, a nostro avviso, più importante conclusione è che si tratta di «cicatrici dell’umanità», anche a quattro generazioni di distanza e, in quanto tali, non chiedono di essere riaperte o sezionate. Esse sono piuttosto la prova indelebile di quanto possa riuscire a fare, e sopportare, l’umanità; beninteso non singoli, eccezionali eroi, che pure ci furono e ci saranno sempre e verso i quali vanno la gratitudine e l’ammirazione generale, ma infiniti, comuni cittadini, uomini e donne, giovani e vecchi, che mai avrebbero pensato di affrontare le «tempeste d’acciaio» di Ernst Jünger. Loro non ce l’hanno fatta ma rimangono a perenne monito di tutti «i vivi». Ricordiamocelo, anche in tempi di dolorosa pandemia, perché si tratta sì, di un messaggio di sacrificio, ma anche di vita, di speranza, di coraggio, di progresso e di fede al di sopra, conviene ripeterlo, di tutte le parti. 8 41
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A sinistra: la tomba del Milite Ignoto al cimitero nazionale di Arlington si trova su una collina che domina Washington, D.C. Il 4 marzo 1921, il Congresso ha approvato la sepoltura di un non identificato soldato americano dalla Prima guerra mondiale in Plaza of the New Memorial Amphitheater. Il sarcofago di marmo bianco, di forma piatta sul lato principale e sollevato agli angoli e lungo i lati da lesene neo-classiche, o colonne, incastonati nella superficie. Scolpite nel pannello est che si affaccia su Washington, D.C., ci sono tre figure greche che rappresentano la pace, la vittoria e il valore. Le sei corone, tre scolpite su ciascun lato, rappresentano le sei principali campagne della Prima guerra mondiale. La scritta sul retro della tomba è composta dalle parole: «Qui riposa nella gloria onorato un soldato americano noto solo a Dio». Il sarcofago è stato posto sopra la tomba del Milite Ignoto della Prima guerra mondiale. A Occidente della stessa ci sono le cripte di militi sconosciuti della Seconda guerra mondiale e della Guerra di Corea, più una cripta vuota onora i membri dei servizi mancanti da tutti i conflitti. Queste tre tombe sono contrassegnate con lastre di marmo bianco a filo con la piazza. La cripta vuota originariamente deteneva i resti di un milite sconosciuto della Guerra del Vietnam, ma è stato identificato nel 1998 e le sue spoglie restituite alla famiglia per la sepoltura a Saint Louis (wikipedia.it).
Accaanto: la tomba del Milite Ignoto a Parigi, alla base dell’Arco di Trionfo, monumento noto in Francia come Arc de triomphe de l’Étoile. Si trova alla fine del viale dei Campi Elisi, al centro di piazza della Stella (oggi chiamata «Charles de Gaulle»). Fu voluto da Napoleone Bonaparte per celebrare la vittoria nella battaglia di Austerlitz (wikiwand.com). In basso: la tomba britannica del Milite Ignoto (spesso nota come «The Tomb of The Unknown Warrior»), custodisce un membro non identificato delle Forze armate britanniche ucciso su un campo di battaglia europeo durante la Prima guerra mondiale, in rappresentanza di tutti i soldati al servizio del Regno Unito, deceduti nel corso di tale conflitto. La sua sepoltura avvenne l’11 novembre 1920, nell’Abbazia di Westminster, a Londra; contemporaneamente alla simile sepoltura di un Milite Ignoto francese all’Arco di Trionfo in Francia, rendendo entrambe le tombe le prime a onorare i morti sconosciuti della Prima guerra mondiale. È il primo esempio di tomba del Milite Ignoto (wikipedia.it).
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SPECIALE - Milite Ignoto: un simbolo che dal passato guarda al comune futuro A sinistra: la Neue Wache (Nuova Guardia) è un monumento neoclassico situato al centro di Berlino. Fu fatto erigere da Federico Guglielmo III di Prussia tra il 1816 e il 1818 come sede della Guardia reale e come monumento ai soldati tedeschi morti poco prima durante le guerre contro Napoleone. È situato sul famoso viale Unter den Linden, ricco peraltro di parecchi altri monumenti neoclassici (wikipedia.it).
In basso: la tomba del Milite Ignoto a Vienna si trova nella piazza storica del centro della capitale austriaca, Heldenplatz (Piazza degli Eroi) (wikipedia.it).
Sopra: la tomba del Milite Ignoto in Giappone si trova a Tokyo, nel cimitero nazionale Chidorigafuchi (cenotafio). Qui ritratto, invece, il Memoriale al Milite Ignoto della Seconda guerra mondiale nella città di Kyoto (en.wikipedia.org).
NOTE (1) Il Servizio Sanitario Militare nella guerra 1915-1918 (nel cinquantenario della vittoria), Magg. Gen. Med. Prof. Ferruccio Ferrajoli, Giornale di Medicina Militare, anno 118 - Fasc. 6, novembre-dicembre 1968. (2) Giulio Douhet (30 maggio 1869-15 febbraio 1930), generale italiano e antesignano teorico della guerra aerea. Nel 1921 pubblicò il volume Il dominio dell’aria. (3) Augusto Tognasso, Ignoto militi, Milano, Zanoli, 1922. (4) Giuseppe Paolini, MOVM: «Diresse con senno e con coraggio, sotto violentissimo fuoco nemico, l’avanzata della propria brigata. Ferito ben quattro volte, non volle lasciare il campo di battaglia, finché non si fu assicurato dell’esecuzione degli ordini impartiti, mirabile esempio di cosciente ardimento. Poggio di quota 65 a nord di Selz, 21 ottobre 1915» - 27 ottobre 1915. (5) Raffaele Paolucci MOVM: «Portò geniale contributo nell’ideare un mirabile ordigno di guerra marittima. Volle a se riservato l’altissimo onore di impiegarlo, e con l’audacia dei forti, con un solo compagno penetrò di notte nel munito porto di Pola. Con mirabile freddezza attese il momento propizio e verso l’alba affondò la nave Ammiraglia della flotta Austro-Ungarica. Pola, 1° novembre 1918». (6) Augusto Tognasso, Ignoto militi, Milano, Zanoli, 1922. (7) Alpino e autore del celebre libro Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, Milano 1963. (8) Argentina, Australia, Austria, Bangladesh, Belgio, Bolivia, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Egitto, Estonia, Filippine, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Indonesia, Iraq, Israele, Kuwait, Libano, Lituania, Malaysia, Namibia, Nuova Zelanda, Perù, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Romania, Russia, Serbia, Siria, Slovenia, Somalia, Spagna, Stati Uniti, Turchia, Ucraina, Ungheria, Venezuela, Zimbabwe.
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ESPERIENZE DI UN ITALIANO su una nave di Sua Maestà Britannica. Breve cronaca di un viaggio di formazione nella Royal Navy Guglielmo Domini Tenente di vascello Stato Maggiore. Ha frequentato l’Accademia navale di Livorno, laureandosi in «Scienze Marittime e Navali» presso l’Università di Pisa (votazione finale 110 e lode), con una tesi premiata dall’Ufficio Storico della Marina Militare. È stato imbarcato su nave Caio Duilio come ufficiale di rotta (fino al 2017); successivamente sull’HMS Defender (cacciatorpediniere lanciamissili britannico) in qualità di Officer of the Watch sino al 2019, nell’ambito del Personnel Exchange Program tra la Marina Militare italiana e la Royal Navy. Specializzatosi TLC/IOC nel 2020, è attualmente capo Reparto TLC/CN-Me sul nuovo pattugliatore Thaon di Revel.
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scenze professionali. Inoltre, consente di vedere un ualora si richiedesse a un gruppo di marinai mondo standardizzato e rigido, come quello militare, perché hanno deciso di scegliere una così da diverse prospettive e angolazioni. Questi programmi «particolare» attività lavorativa, ricevereste da rivestono — a parere di chi scrive — una notevole riognuno di loro una motivazione diversa; ci sarà però silevanza poiché, pur privandosi temporaneamente di un curamente una risposta comune a tutti: la voglia di viagufficiale, se ne trae beneficio nel lungo pegiare, di scoprire, di avventura. Ed è proprio riodo, acquisendo delle lessons learned questo desiderio di novità e curiosità che delle altre Marine e traducendole e trami ha spinto nel 2017 a lasciare la mia sportandole, per quanto possibile, nella nave, la mia famiglia, il mio paese e trasfepropria formazione dottrinale, comportando rirmi per due anni nel Regno Unito, per precosì una ricaduta, a lungo termine, bestare servizio su una nave della Royal nefica per tutta la Forza armata. Navy, HMS Defender, un’unità Riassumere due anni intensi di della classe «Daring». La Marina lavoro, di esperienze, di amiciMilitare italiana mi ha infatti conzie, in poche righe è compito cesso l’opportunità, unica nel suo arduo, specialmente per chi genere, di partecipare al Personcome me non fa della scrittura il nel Exchange Program (PEP) proprio punto di forza; tuttavia, biennale organizzato tra la Macercherò di trasmettere quelli rina Militare e la Royal Navy. che, a mio parere, sono stati i Il PEP è un’opportunità increpunti fondamentali di un’avvendibile per i membri della Marina tura che mi ha segnato nel profondo Militare; permette di confrontarsi con e che ha contribuito a fare di me una perun ambiente lavorativo e una cultura completamente diversi dai nostri, al- In apertura: l’HMS DEFENDER, unità della Royal Navy della sona e un ufficiale migliore. I «Daring». Sopra: Il Crest dell’unità (Fonte immagini ar- punti chiave della mia espelargando quindi gli orizzonti e classe ticolo: autore). rienza possono essere riassunti aumentando le proprie cono-
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in quattro aspetti: tradizione, cura del personale, semplicità e operatività. Partiamo dal primo, probabilmente anche il più affascinante di tutti. Perché tradizione? Perché, nonostante la Royal Navy si sia evoluta moltissimo negli anni, dimostrandosi all’avanguardia e innovatrice in molti ambiti, ha mantenuto salde le proprie tradizioni e con esse le radici del suo passato, anzi; e in ciò vi è un evidente parallelismo con la Marina italiana. Così le gesta dei grandi comandanti inglesi, da Francis Drake all’ammiraglio Cunningham, passando ovviamente per il celeberrimo ammiraglio Nelson, sono riprese in numerosi aspetti della vita nella Royal Navy. Fin dal giorno in cui i nuovi ufficiali (1) fanno il loro ingresso al Britannia Royal Naval College — l’equivalente della nostra Accademia navale — vengono investiti dalla storia della loro Forza armata; camminando all’interno della struttura si possono trovare cimeli che hanno fatto la storia del Regno Unito. Uno dei luoghi senza dubbio più particolari del Royal Naval College è la cappella in cui vengono tenute le funzioni religiose; al suo interno pendono dal soffitto modellini di navi da guerra, principalmente fregate e vascelli, ma il punto forte è una statua dell’ammiraglio Nelson, situata al centro della navata, che giornalmente viene illuminata da un piccolo fascio di luce entrante da una minuscola finestra, facendo così risaltare la figura dell’Ammiraglio, quasi come fosse una divinità sprigionante luce all’interno del luogo dominato dal buio.
Saluto a nave BERGAMINI, fregata tipo FREMM della classe omonima, dalla plancia del DEFENDER.
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Il team degli ufficiali di bordo.
L’addestramento stesso degli ufficiali di vascello ricalca le vecchie tradizioni. Dopo un’attenta selezione e un breve periodo di addestramento presso il Britannia Royal Naval College a Dartmouth, i giovani ufficiali s’imbarcano sulle navi da guerra per un periodo di circa 6 mesi, in cui partecipano a tutte le attività di bordo e al termine del quale sostengono un esame con il comandante dell’unità. Successivamente, si recano presso HMS Collingwood (2) dove frequentano un corso che abbraccia gli aspetti principali del warfare, ossia della tattica navale. Una volta completato e superato questo step, ritornano a bordo per un periodo che va da un anno a un anno e mezzo con lo scopo di imparare quanto più possibile sull’arte della navigazione alle dirette dipendenze del Navigator (3); quest’ultimo è il massimo esperto di bordo in tale campo. Questo periodo a bordo è propedeutico all’esame che certificherà il passaggio da cadetti a ufficiali veri e propri. Tale iter ricalca in tutto e per tutto, e migliora, quanto già veniva fatto ai tempi di Nelson (4). Infatti, all’epoca i cadetti s’imbarcavano già dall’età di 11-12 anni addestrandosi direttamente a bordo, in quanto luogo fulcro del loro lavoro futuro; il comandante della nave li prendeva sotto la sua ala protettiva e ne curava personalmente l’addestramento. Questo veniva fatto perché è vetusta convinzione della Royal Navy, come del resto da sempre nella Marina Militare, che l’addestra-
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mento pratico sia fondamentale al fine di mantenere una Forza armata efficiente: era infatti interesse di ogni comandante essere sicuro che il mantenimento del dominio britannico dei mari. Questo metodo di addestramento iniziale è tuttavia diverso dal nostro; gli ufficiali della Marina Militare italiana vengono addestrati per un periodo prolungato in Accademia, all’incirca 5 anni, dove viene condiviso ogni singolo momento della vita con i compagni di corso, creando forti legami che contribuiscono a far crescere il senso di unità e appartenenza alla Forza armata. Allo stesso tempo però c’è una sproporzione tra tempo passato a studiare e tempo passato a navigare, a vantaggio del primo (5). Viceversa, la Royal Navy sacrifica parzialmente le relazioni interpersonali, concentrandosi sulla formazione a bordo e sul campo. Probabilmente questo è legato anche alle differenze tra le due culture, molto più improntata alla socialità la nostra, mentre appare decisamente più straightforward quella britannica. Come asserivo sopra, la vita stessa di bordo si rifà alle antiche tradizioni. Per esempio, tutt’oggi si festeggia un avvenimento particolarmente allegro o favorevole con il cosiddetto «splice the mainbrace»,
un’usanza proveniente da fine Settecento e legata agli scontri tra navi a vela. Tale locuzione indica la distruzione o il danneggiamento di parte dell’alberatura del nemico che, di conseguenza, era impossibilitato a manovrare al punto da rappresentare un facile bersaglio; al termine dello scontro, si festeggiava il fortunato colpo di cannone con una razione di rum o grog, aggiuntiva per l’intero equipaggio. Durante i miei due anni nel Regno Unito, mi è capitato di vivere questa tradizione ben due volte: una in occasione del matrimonio tra il Principe Harry e Megan Markle, duchi di Sussex e la seconda per la nascita del terzogenito del Principe William, Louis. Un’altra tradizione che mi ha affascinato molto è l’uso di sette brindisi, uno per ogni giorno della set-
Le immagini si riferiscono alla cerimonia di saluto a bordo dell’HMS VICTORY; foto di rito degli ufficiali presenti alla Cerimonia. Sopra: la sciabola della Royal Navy regalata all’autore dall’equipaggio del DEFENDER. Accanto: il commodoro Jeremy Bailey, comandante della base navale di Portsmouth (HMNB NELSON) al momento della consegna della sciabola.
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Immagini che ritraggono l’HMS VICTORY, nave museo della Royal Navy nella base navale di Portsmouth.
timana, ogni qualvolta ci sia una festa o una ricorrenza: anch’esso affonda le sue radici nel tardo XVIII secolo ed è rimasto pressoché immutato fino ai giorni nostri. Oppure ancora, il fatto che gli ufficiali della Royal Navy siano gli unici in tutto il Regno autorizzati direttamente dalla casa regnante a brindare alla Regina da seduti: questo è legato al fatto che le vecchie unità a vela avevano un soffitto molto basso ed era considerato disdicevole brindare a sua Maestà con la testa inclinata. La cura del personale è, a mio personale parere, uno degli aspetti su cui si basa l’efficienza della Royal Navy. Il duty of care è un concetto cardine su cui si basano le relazioni interpersonali tra militari; ogni superiore, infatti, ha l’obbligo di garantirla nei confronti dei sottoposti. È interessante notare il fatto come essa non si limiti agli aspetti professionali della vita dei marinai, bensì copra ogni singolo risvolto della loro vita (dai problemi coi colleghi al lavoro, a quelli con la famiglia, a quelli legali o finanziari). L’organizzazione di bordo prevede la figura del Divisional Officer (6), ovvero un ufficiale il cui compito è quello di aiutare le persone poste sotto di lui; è una figura trasversale all’ambito lavorativo ed è di fondamentale importanza in quanto rappresenta un punto di riferimento per i sottoposti e aiuta molto i giovani ufficiali nella loro crescita. La cura del personale non è solamente demandata al personale di bordo. Esistono, infatti, numerose associazioni pronte a sostenere i marinai in difficoltà, sia interne alla Forza armata, con personale specializzato e competente in determinati ambiti, sia attraverso organizzazioni civili, chiamate charities, sempre pronte ad aiutare la Royal Navy allorquando
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non vi possa arrivare. L’importanza del duty of care risiede nel fatto che un militare senza preoccupazioni o che comunque sia conscio che ci sarà qualcuno pronto ad aiutarlo, renda meglio sul lavoro, a maggior ragione un marinaio, al quale può essere ordinato di partire con la propria unità per periodi molto prolungati, anche oltre i sei mesi. Questo riguarda anche gli alloggi forniti al personale: a chiunque lo richieda e ne abbia diritto, viene fornita una casa nella stessa città in cui lavora con un affitto a costo accettabile e spese contenute; così molti marinai riescono a portare con sé le famiglie e possono evitare il fenomeno del pendolarismo. Come detto in precedenza, il duty of care non riguarda solo la vita lavorativa: un altro esempio di ciò viene dall’individuazione di una serie di obiettivi che ogni militare si deve porre ogni anno; sono molto importanti perché il raggiungimento o meno degli stessi incide direttamente sulle note caratteristiche della persona. Il Divisional Officer aiuta i propri sottoposti nella loro individuazione: di massima, devono essere degli obiettivi che esulano dal proprio lavoro e devono rispettare i criteri SMART, ossia Specific, Measureable, Achievable, Realistic, Timebound (specifici, quantificabili, raggiungibili, realistici, li-
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mitati nel tempo). Questo concetto deriva dal mondo del lavoro civile ma trova una grande applicazione anche nel mondo militare: i marinai sono così spinti a ricercare interessi al di fuori del lavoro. Questo non fa altro che migliorarli ulteriormente come persone e come militari, poiché lo stabilire dei propositi li obbliga sia a organizzarsi adeguatamente per raggiungerli sia ad accrescere le loro conoscenze. Gli esempi possono essere i più disparati, l’importante è che spingano i militari a confrontarsi con un ambiente diverso dal solito, uscendo quindi dalla comfort zone. Il mio incarico come Divisional Officer, incarico strettamente legato alla leadership e alla gestione del personale e quindi svolto da tutti gli ufficiali di Marina, è probabilmente stato quello che mi ha maggiormente affascinato, impegnato e migliorato di più; mi era già capitato in precedenza di avere a cuore il benessere del personale, tuttavia mai su una scala così
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grande e per così tanti aspetti. Pur se ancora giovane ufficiale, il Divisional Officer deve essere pronto a fornire un sostegno o una soluzione anche a militari ben più anziani ed esperti. Vengono sviluppate le qualità di leadership necessarie per poter essere un comandante cui i propri uomini guarderanno con orgoglio e rispetto. Avvicinarsi fin da giovani a queste problematiche così complesse, accelera la crescita professionale e aiuta a stabilire fin da subito le corrette priorità: il benessere del personale viene, infatti, messo al primo posto, in quanto risulta essere fondamentale per la riuscita di ogni operazione. Stabilire una relazione così aperta con i propri sottoposti non fa altro che aumentare il senso di solidarietà e coesione, tanto peculiari a bordo delle unità navali; invero, un’accurata conoscenza del proprio personale si trasforma quindi in un miglior impiego dello stesso, sfruttandone i fattori di potenza e limandone le vulnerabilità.
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La base navale di Portsmouth.
Gli ultimi devono essere analizzati insieme, ossia: semplicità e operatività. Sono questi due concetti chiave nella Royal Navy e sono visibili in tanti aspetti della vita di bordo. Sono rimasto molto colpito che sia l’intera organizzazione, sia le procedure standard (Standing Procedures) fossero altamente comprensibili anche a un ufficiale straniero (come era il sottoscritto). Tutto, infatti, è rivolto verso il fine ultimo di una nave da guerra che, come è giusto che sia, deve essere sempre pronta al combattimento: dagli arredi di bordo, ai camerini, alle procedure, tutto è improntato verso l’attitudine al combattimento. Questo è particolarmente evidente durante l’addestramento: nei casi delle attività addestrative alle quali ho preso parte, tra cui il BOST (Basic Operational Sea Training) (7), tutte le esercitazioni venivano improntate al raggiungimento di un elevato livello di realismo. Per esempio, abbiamo partecipato a un’esercitazione volta a preparare l’unità alla gestione di una Disaster Relief Operation; in tale occasione era stato individuato un villaggio abbandonato che ben si prestava a simulare il luogo del disastro ed erano state addirittura ingaggiate delle comparse che impersonavano gli abitanti colpiti dall’emergenza. Oltre a questo, le procedure stesse sono volte a standardizzare quanto più possibile le reazioni dei militari nelle situazioni di emergenza; lo scopo, infatti, è quello di fare in modo che tutti si comportino allo stesso modo, nella stessa situazione. Per quanto a
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prima vista questo possa sembrare come una limitazione delle abilità delle persone, in realtà non è assolutamente così. Infatti, con degli standard così rigidi, ma allo stesso tempo così semplici da seguire, tutti hanno la possibilità di fornire una performance lavorativa di buon livello; il militare che possiede maggiori abilità, in questo contesto, ha la possibilità di emergere ancora di più, diventando così un punto di riferimento per tutti gli altri. Tutto ciò si riflette anche in un sistema di valutazione del rendimento del personale molto semplice e diretto; annualmente, ogni militare viene valutato in base a quanto effettuato nell’anno precedente. Vengono considerati solo 12 campi, dalla leadership allo spirito di squadra, passando per le capacità professionali e il coraggio; viene data poi l’opportunità al Divisonal Officer di esprimere la sua opinione sulle performance dell’anno in corso, sulle potenzialità del militare e sulle competenze sulle quali si deve concentrare per migliorare ancora. Questo sistema è estremamente efficiente e meritocratico; infatti, una valutazione più o meno buona influirà sui futuri impieghi del militare e sulla sua possibilità di promozione. In breve: è interesse delle persone, come conseguenza, dare il meglio di sé in ogni circostanza. Ho cercato di riassumere i miei due anni analizzando soltanto i punti focali di questa esperienza, ma il quadro non sarebbe completo senza ricordare i forti legami che ho stretto con i miei colleghi; adattarsi a una cultura diversa, parlare un’altra lingua, lavorare per un’altra Marina, sono tutti aspetti che rendono complicato l’ambientamento. Tuttavia, ho avuto la fortuna di essere imbarcato con persone splendide, che mi hanno fatto apprezzare ogni singolo momento, per quanto fosse duro e stressante, facendomi sentire uno di loro, piuttosto che uno tra di loro. Gli aspetti che ho cercato di evidenziare mirano proprio a sottolineare quanto sia facile lavorare in questi contesti. L’esperienza maturata all’interno della Royal
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Esperienze di un italiano su una nave di Sua Maestà Britannica. Breve cronaca di un viaggio ...
Navy fa comprendere l’importanza di un’autorevole tradizione che lega tra loro gli uomini e guida i loro passi al fine di perfezionare ogni singolo aspetto della vita del marinaio in armi. È la tradizione che ha rappresentato l’esempio cui l’organizzazione ha sempre guardato, creando un organismo pieno di vitalità, semplice nella gestione e incredibilmente efficace nella sua operatività. Nel fare questo, la Royal Navy non ha mai comunque dimenticato di sostenere il personale imbarcato, affinché chi vada per mare possa partire con animo sereno, conscio che qualcuno si prenderà cura della sua famiglia e dei suoi affetti. In poche parole, saper coniugare e flettere tradizione con innovazione ed efficienza crea un unicum. Questo è il messaggio che ho mutuato dalla mia esperienza britannica nell’ambito del Personnel Exchange Program, costituendo per me una grande opportunità che certamente mi consentirà di svolgere meglio il lavoro a bordo delle nostre unità navali, focalizzando la mia azione di comando su quattro punti cardinali: tradizione, cura del personale, semplicità e operatività. Sono dunque particolarissimamente grato alla Marina Militare italiana — cui mi onoro di appartenere — per avermi concesso l’opportunità di poter frequentare una Marina antica e alleata come quella britannica. Tale significativa esperienza ha infatti contribuito alla mia crescita personale e professionale e in particolare
mi ha permesso di integrare, con angolature diverse, la preparazione accademica e professionale già ricevuta dalla nostra Accademia navale e a bordo delle unità della Marina, grazie ai cui pluriennali insegnamenti mi è stato possibile certamente integrarmi in una realtà diversa come quella inglese. Parimenti, tale esperienza ha cimentato in me il senso profondo di «unione» che il mare porta con sé verso i marinai e in particolare fra marinai di nazioni amiche e alleate. Ritengo quindi che tali iniziative siano particolarmente fruttuose per un necessario ampliamento di orizzonti poiché inducono a riflessioni, personali, profonde le cui ricadute accompagnano il percorso umano e lavorativo, affinché si possa così servire sempre meglio la propria nazione e la propria Marina. 8
I punti chiave secondo l’esperienza dell’autore, in sintesi, così come espressi nell’articolo.
NOTE (1) Per poter entrare come ufficiale nella Royal Navy è necessario sostenere un colloquio con l’Admiralty Interview Board (AIB), una commissione deputata a valutare l’attitudine militare e l’attitudine al comando dei concorrenti. Per poter essere ammessi bisogna avere un’età compresa tra i 17 e i 29 anni, ma vi sono delle eccezioni che permettono di arruolarsi fino ai 39 anni. I cadetti non conseguono nessuna laurea durante l’iter addestrativo, tuttavia, qualora si volesse essere ammessi ai corpi tecnici (i corrispettivi del nostro Genio Marina), è necessario averne conseguita una prima di arruolarsi. Grazie a una legge del 1912 e tutt’ora in vigore, è concessa la possibilità di transitare al ruolo ufficiali ai militari che hanno dimostrato eccellenti doti e notevole leadership durante la loro carriera in Marina. (2) HMS Collingwood è la struttura addestrativa più grande della Royal Navy, sede della Maritime Warfare School. Situata nei pressi di Fareham, nel sud del Regno Unito, al suo interno vengono svolti corsi per tutti i membri della Royal Navy, in particolare per gli aspetti di arte bellica, navigazione, sopravvivenza in mare e leadership, nonché l’addestramento contro attacchi CBRN (Chimici, Batteriologici, Radiologici, Nucleari). (3) Il Navigating Officer (NO) è un ufficiale di vascello che ha deciso di specializzarsi nell’arte della Navigazione. Per poter essere nominato NO è necessario partecipare ai corsi organizzati presso la Maritime Warfare School di HMS Collingwood. A bordo è il responsabile della sicurezza della navigazione e da lui dipendono tutti gli ufficiali di guardia in plancia. Tutte le manovre (come per esempio quelle di avvicinamento all’ormeggio) vengono effettuate direttamente da lui o sotto la sua supervisione. (4) Grazie al prestigio di cui gode la Royal Navy, la carriera in Marina è particolarmente ambita. Di conseguenza, fin dal XVII secolo era possibile imbarcare come cadetti sulle navi della Royal Navy già dai 12 anni. Ciò permetteva di vivere numerose esperienze, anche belliche, che sarebbero state fondamentali nella crescita professionale e personale dell’ufficiale. I giovani cadetti venivano affidati dai genitori al comandante della nave, che ne curava personalmente l’addestramento sia etico, sia militare. (5) Come già detto in precedenza, l’addestramento degli ufficiali della Royal Navy prevede solo un periodo di 6 mesi presso il Britannia Royal Naval College, dove gli allievi vengono introdotti ai principi basilari dell’arte militare. Terminato questo periodo, la crescita dei cadetti avviene principalmente a bordo, sotto la supervisione del comandante della nave. Dopo circa due anni dall’ingresso in Marina, i cadetti vengono sottoposti a un esame finale volto a verificare le conoscenze acquisite. L’iter di addestramento degli ufficiali della Marina Militare italiana prevede invece un periodo presso l’Accademia navale di circa 5 anni, al termine dei quali i cadetti conseguono una laurea in base al corpo di appartenenza. Ai mesi passati sui libri, vengono affiancati, nel periodo estivo, alcune settimane di imbarco sulle unità della nostra Marina. In particolare, l’imbarco su nave Vespucci svolto dai cadetti al termine del primo anno di Accademia è particolarmente importante per loro crescita e permette di vivere un’esperienza unica al mondo. (6) Il ruolo di Divisional Officer (DO) viene svolto da tutti gli ufficiali della Royal Navy ed è la figura cui fanno riferimento i subordinati. I suoi compiti principali sono di conoscere, comandare, guidare e gestire la sua Divisione. Da questi discendono specifiche responsabilità tra cui lo sviluppo del lavoro di squadra, il curare il benessere dei propri uomini, nonché il mantenerne alto il morale e curarne l’addestramento. (7) Il BOST è un’attività addestrativa simile al Tirocinio navale, il quale viene svolto dalle nostre unità navali presso il Centro di Addestramento della Marina Militare di Taranto.
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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
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Inviti ai vari. Ricordi e tradizioni tra orgoglio e speranza
Antonello Gamaleri Laureato in ingegneria navale e meccanica, già dirigente di aziende internazionali è stato direttore tecnico del settore traghetti passeggeri e navi da trasporto di Fincantieri Direzione navi mercantili dal 1998 al 2002; dal 2003 al 2009 è stato direttore della progettazione di base e preventivazione della Direzione navi militari. Ha poi continuato come consulente di Finmeccanica (ora Leonardo) fino al 2013. È membro dell’European Technical Committee dell’ABS, dell’Italian Technical Committee del LR e del Naval Vessels Classification Committee del Bureau Veritas. Morosini 64-67 (corso Barracuda) e Accademia navale (corso Antares).
I
l cantiere del Mar Piccolo di Taranto era il famoso Cantiere Tosi. Di antico radicamento (1914) nel Mar Piccolo (Little Bay come recita il vecchio pianetto nautico dell’Ammiragliato britannico del tardo Settecento con tutti i «fathom» accuratamente scandagliati)
si era specializzato per la costruzione di sommergibili, naviglio militare e mercantile minore ed era ancora molto attivo anni Cinquanta. Al cantiere Tosi chi scrive ha visto tagliare, da due maestri esperti, con la scure, le enormi gomene di sicurezza a prua sullo scalo, dopo la benedizione e l’ordine: «in nome di Dio taglia!», e la bottiglia di vino che intanto si infrangeva sulla prua. Resoconti delle cerimonie del 1800, quasi dei veri e propri filmati, si possono leggere in articoli apparsi sulla Gazzetta di Milano (1827) con notizie del Ducato di Genova e sulla Gazzetta Piemontese (che viene riportata in estratto nella pagina successiva) per la stessa cerimonia di cui entrambe le testate scrivevano. Si tratta del Cantiere della Foce, dove fu varata la fregata da 50 cannoni, il Beroldo per la Marina Sarda (1).
Pianetto nautico probabilmente tratto da una pubblicazione dell’Ammiragliato britannico, fine Settecento (collezione autore). In apertura: tipico braccialetto tradizionale con le medaglie d’oro dei comandi navali. Un gioiello sfoggiato ai vari dalle mogli degli ufficiali (collezione privata).
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La notizia del varo della fregata da 50 cannoni BEROLDO, 1827 (Gazzetta Piemontese).
gegneri navali, poi la Regia Accademia navale nel 1881 a Livorno e tra il 1884 e il 1891 fu la volta delle acciaierie di Terni e Pozzuoli, della Vasca navale Froude a Spezia, dell’arsenale di Taranto, dell’Ufficio studi preparazione bellica e del silurificio di Venezia. Il Duilio era un progetto innovativo ed ebbe grande risonanza mondiale. Il Cantiere della Foce sulla spiaggia a Genova continuò anche nei decenni successivi all’Unità. Vi si costruirono anche le torpediniere tipo «Pattison» su progetto inglese, progenitrici dei cacciatorpediniere tre pipe (classe «Insidioso») dei primi anni Venti. Negli anni Trenta, i vari delle navi importanti, sia mercantili sia militari, furono fatti nel cantiere Ansaldo di Sestri Ponente a Genova e nei cantieri CRDA di Monfalcone. L’archivio Ansaldo di Genova, che ha riunito pure in parte vecchi archivi dello Stabilimento di Muggiano e di altri stabilimenti storici, raccoglie fotografie molto numerose, una miniera di informazioni per l’occhio esperto. Esse hanno in genere come soggetto solo alcuni scorci della nave o del suo insieme da un punto di vista di immagine pittorica e documentazione della cerimonia, ma non si concentrano nella descrizione di particolari e sequenze interessanti a una lettura dei dettagli tecnologici e ingegneristici dell’evento. Così sono ritratte le autorità all’arrivo e sul palco e poi le maestranze, altra importante parte dell’evento, sempre nel loro complesso. Non vi si trovano fotografie di operazioni speciali delle maestranze impegnate nella delicata manovra del varo. Le fotografie degli operai che spalmano il sego e il mastro (maestro) che con la scure taglia l’ultima rizza a prora, qui presentate come esempio, sono tratte da riviste ame-
Il resoconto di quel varo ci mostra la cerimonia e le operazioni tecniche nel cantiere sulla spiaggia, a sinistra della foce del torrente Bisagno, a est della vecchia città di Genova. Per il varo della corazzata Duilio a Castellammare di Stabia il giorno 8 maggio1876 (era ministro della Marina il vice ammiraglio Simone Pacoret di Saint Bon e progettista Benedetto Brin) riporto degli estratti del resoconto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia del 9 maggio 1876. «…omissis… la banda suonò l’inno …omissis… Non v’è più alcun ritegno e la nave non si muove: passano due minuti secondi, momento terribile, di ansia universale…Ah! urrà! urrà! intenti a spalmare il sego e, accanto, immagine evviva! evviva! oooh! … ap- Operai di un mastro con la scure pronto al taglio (da un giornale plausi … omissis…». In statunitense del 1945). quegli anni la Regia Marina, sia con le azioni politiche in parlamento per ottenere i finanziamenti, sia con una tenace e lungimirante azione coordinata su diversi fronti, iniziò a organizzare la flotta. Nel 1871 era stata costituita la Regia Scuola superiore navale di Genova per gli in-
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ricane del 1945. Negli Stati Uniti, il fotografo sembra leggere il varo non solo come festa, ma come avventura del pensiero e della capacità dell’uomo di fare. Il varo di una nave era dunque festa del lavoro, delle maestranze, della dirigenza e della capacità industriale, ma anche un avvenimento mondano. Ci si vestiva per l’occasione con abiti da cerimonia da mattino, come si nota in questa bella immagine tratta da un varo in Gran Bretagna. L’uomo in tight e la signora in un bell’abito di quegli anni.
Una coppia elegante in Gran Bretagna negli anni Venti (archivio autore). Accanto: varo della turbonave ROMA, 1926. Cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente (Ansaldo).
Nei cantieri navali italiani degli anni Trenta furono varate le grandi navi passeggeri, tra cui il Rex a Genova, le navi per la Regia Marina e tutte le navi per la flotta mercantile. Le costruzioni degli anni Venti e Trenta furono caratterizzate dalla difficoltà di approvvigionamento di acciaio da costruzione, solitamente importato dalla Gran Bretagna anche per le navi militari, poiché la produzione nazionale di acciaio non era sufficiente al fabbisogno. L’industria siderurgica impostata con lungimiranza dalle scelte politiche di fine Ottocento era ancora insufficiente. Divenne poi sufficiente solo con il miracolo economico degli anni
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Cinquanta e la costruzione di nuovi stabilimenti siderurgici. Ora nel 2021 si potrebbe rischiare di regredire di un secolo se dovessimo perdere la capacità di produrre in casa l’acciaio, indispensabile per tutta l’industria manifatturiera italiana. Oltre alle navi per gli armatori italiani e per la Regia Marina furono costruite anche navi militari per l’estero. Un esempio possono essere, tra gli altri, i cacciatorpediniere classe «Kocatepe» per la Marina turca. Interessanti le foto del varo con le autorità turche laiche, scaturite dalla rivoluzione di Kemal Ataturk, e con la madrina. Le fotografie del varo dell’Eugenio di Savoia
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1931. Due immagini che ritraggono il varo, presso il Cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, del CT KOCATEPE (classe «Adatepe»), per la Marina Turca; in alto la madrina della cerimonia (Ansaldo).
sono interessanti per la ricchezza delle inquadrature di tutte le personalità presenti alla cerimonia. Ci mostrano il mondo italiano delle autorità dei dignitari e delle signore, la bottiglia che si infrange oltre alle tradizionali foto d’insieme della massa delle maestranze e degli invitati a terra intorno alla nave da varare. Vi sono anche le foto dei vari delle due corazzate gemelle classe «Vittorio Veneto». Una al CRDA di Monfalcone e l’altra al Cantiere Ansaldo di Genova Sestri Ponente. Queste rappresentano la classe di navi corazzate gio16 marzo 1935. Due immagini del varo, presso il Cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, dell’incrociatore leggero EUGENIO DI SAVOIA. In alto le autorità presenti alla cerimonia. Accanto: in alto, 25 maggio 1937, varo presso i cantieri CRDA di Monfalcone della RN VITTORIO VENETO alla presenza dei Reali. Una bella carena da 30 nodi e 130.000 hp, quattro linee d’assi e oltre 40.000 t di dislocamento; in basso: 22 agosto 1937, varo, presso il Cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente della RN LITTORIO (poi ITALIA) - (Ansaldo).
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iello della progettazione e tecnologia italiana di quegli anni e le più potenti navi da battaglia dell’epoca. Il terzo esemplare della classe, la corazzata Roma, costruita al Cantiere San Marco (CRDA) fu varata il 9 giugno 1940. Nel dopoguerra, le navi militari ormai erano costruite per lo più nello stabilimento di Riva Trigoso oltre che in quello di Castellammare di Stabia, dove fu varato l’innovativo incrociatore portaelicotteri Vittorio Veneto, il 5 febbraio 1967. Al cantiere di Sestri Ponente si costruivano in quegli anni navi mercantili per armatori italiani e le ultime grandi navi passeggeri, mentre si attrezzava il cantiere con bacini di costruzione. Il cantiere di Riva Trigoso (2) aveva mantenuto il varo tradizionale sullo scalo, sulla spiaggia in mare aperto, sostituito poi solo recentemente dalla costruzione su piattaforma orizzontale e trasferimento su un pontone con carrelli oleodinamici che spostano un’intera nave da settemila tonnellate e oltre. Il varo della nave sullo scalo inclinato con la poppa al mare ha sempre caratterizzato i vari in Mediterraneo. Infatti, i vari erano fatti dalle spiagge dove erano cre-
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L’integrale dell’equazione differenziale del moto della nave al varo in dx sul percorso dello scalo (archivio autore).
Ec = P.he Equazione energia cinetica della nave dopo aver compiuto il percorso x. In alto: l’integrale dell’equazione differenziale del moto della nave al varo in dx sul percorso dello scalo. (archivio autore).
Carta nautica della baia di Riva Trigoso (pagineazzurre.com).
sciuti i cantieri delle tradizionali navi di legno per tutto il 1800, sino a quelle di «ferro» di fine secolo. La complessità tecnica e tecnologica, dai primi vari di piccole navi (leudi, golette, brigantini e navi) dalle spiagge, era cresciuta enormemente al crescere delle dimensioni delle navi da varare. Fu necessario adottare l’ingegneria e studiare e calcolare per prevedere e controllare l’evento. Bisognava prevedere le interazioni dello scafo con l’invasatura collegata che entrava in acqua di poppa e su linee di galleggiamento non usuali, con pesi e baricentri tutti particolari e in continua transizione. Per curiosità, e solo da guardare, proprio perché ha anche un suo fascino grafico evocativo, lo schizzo della nave al varo (tratto da Studio Dinamico del Varo, Università di Genova, 1970) è la formula che esprime l’integrale della equazione differenziale in dx (cioè gli spostamenti sulla distanza x da percorrere sullo scalo) del moto della nave al varo.
Schizzo della nave sullo scalo con le geometrie e le forze in gioco. Tratto da Studio Dinamico del Varo, Università di Genova, 1970 (autore).
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Per arrivare ai risultati necessari dello studio del varo si elaboravano (un tempo a mano e con grande dispendio di tempo e attenzione) tabelle e grafici di posizioni relative di centri di spinta e baricentri nel transitorio dello scivolamento e dell’entrata in acqua della poppa e del galleggiamento di una parte della nave mentre ancora un parte toccava lo scivolo e poi del galleggiamento del complesso nave e invasatura. E poi un’altra complicazione era la preparazione dello scalo, sopratutto sulle spiagge con mare aperto. Per ogni varo andava rifatto lo scalo nella parte che proseguiva sotto il livello del mare per un tratto. Costi importanti e sempre soggetti alla variabilità delle condizioni del tempo e del mare.
Lo stile delle cerimonie del varo Si è già detto come la festa fosse allora, e lo è ancora tutt’oggi, anche un evento mondano. La cerimonia dunque ne è influenzata. Le signore dei vari ancora degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, come negli anni Venti e Trenta erano sempre eleganti e vestite in modo particolare per la cerimonia che si svolgeva sempre la mattina. Le madrine poi avevano tutto un loro clichè e charme particolare tra eleganza e stile. Esse erano sempre scelte nella famiglia degli armatori privati o per le navi della Marina tra personalità pubbliche o discendenti o vedove di ufficiali o decorati al Valor Militare cui erano intitolate le navi. Le mogli degli ufficiali di Marina (le consorti) invitate ai vari sfoggiavano il tradizionale braccialetto a maglia marina con attaccate le medaglie d’oro tradizionali delle navi e dei comandi navali del marito, sia navi sia comandi di terra, collezionate in modo affettivo spesso in quaranta e più anni di servizio. Le medaglie commemorative rappresentavano l’immagine simbolo della nave e qualche volta
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avevano il motto sul retro. Tutte prodotte in genere dalla famosa ditta Picchiani e Barlacchi di Firenze. Nella fotografia, un esempio di braccialetto con diverse medaglie di navi degli anni Trenta. Tra gli altri partecipanti spiccavano gli ammiragli in bianco o in blu, i politici, i vertici del cantiere e le autorità, il direttore del cantiere sempre in tuta bianca con gli ingegneri e i tecnici. Quando tutti erano sistemati nella tribuna e la rappresentanza dei marinai in armi era stata schierata e le autorità avevano preso posto, allora iniziava il rito con tutta la sua sequenza. C’erano innanzi tutto i discorsi che davano importanza alla politica, la quale doveva assicurare il lavoro per il futuro. L’armatore privato confermava in genere la bontà dell’investimento, che avrebbe portato all’azienda la nuova nave, nuove rotte e attività in crescita per la compagnia armatrice. L’amministratore delegato del cantiere si inorgogliva per il lavoro e per l’opera delle capacità non solo di ingegneria, ma anche di produzione, di lavoro delle maestranze e degli operai e rilanciava verso il politico la speranza del lavoro futuro. E gli ammiragli che, a seconda se la nave fosse militare o meno, avevano ovviamente un accento ben diverso per l’opera e per le innovazioni introdotte sulla nuova unità e richiamavano la necessità di nuove navi per la Marina, non solo per compiti di difesa, ma per consolidare il Potere Marittimo necessario per i liberi traffici internazionali. Per il rappresentante della forza lavoro, questo «spazio» è sempre stato utilizzato sin dagli anni Venti e si è conservato sino ai giorni nostri; egli parla per chi il lavoro lo ha realizzato e ne richiama la sua continuità senza dimenticare mai l’accenno all’orgoglio dell’opera compiuta. Infine, c’era la benedizione religiosa e solo dopo arrivava l’ordine del direttore agli operai. Così iniziava a impartire gli ordini assieme al direttore del varo: «togliere i puntelli (in antico), togliere le ritenute, togliere gli scontri, ecc.», e dal cantiere riceveva il via libera e l’assicurazione che la nave era ora solo vincolata sull’ultima ritenuta di prua: due enormi gomene o una grande rizza. A quel punto al lato erano pronti gli operai muniti di scure. Al via libera, il direttore ordinava: «in nome di Dio taglia!». La madrina, dal palco, con una piccola scure, tagliava con un colpo netto un cavetto che faceva cadere la bottiglia che si infrangeva sulla prua e
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gli operai (i maestri o mastri) con precisi colpi di scure tagliavano le ultime ritenute. La nave era libera di scivolare. Qualche attimo di attesa e batticuore in genere prima dell’inizio dello scivolamento, causa l’attrito di primo distacco, e poi la discesa iniziava e la velocità aumentava sino a che la poppa entrava in acqua e generava un’ondata che rallentava la corsa. In tutto questo scenario vi era uno sventolio di bandiere e di gran pavese. Si sentiva fisicamente la gioia, si sentivano suonare le sirene, la banda militare che intonava qualche musica a tema, gli squilli di tromba, le urla di entusiasmo, gli applausi, lo sguardo di tutti che seguivano con il batticuore e con l’emozione il primo galleggiamento una volta finito lo scivolamento. Infine, il piccolo inchino della prua finito l’appoggio della invasatura sullo scalo. Il famoso «saluto», e la nave galleggiava tra le barche festanti. Subito intorno, tutte le barche a dare il benvenuto e a dare assistenza, poi la nave messa in sicurezza dai rimorchiatori in attesa. A bordo dell’unità varata marinai festanti che agitavano i berretti. Il giorno dopo i pescatori si sarebbero dedicati a raccogliere l’enorme quantità di residui di sego galleggiante intorno allo scalo e dove era avvenuto lo scivolamento. Oggi giorno operazioni superate in parte da meccanismi e pulsanti, elettronica e sistemi oleodinamici. Seguiva poi il rinfresco, il pranzo o il buffet nei capannoni del cantiere.
Gli inviti ai vari negli anni Cinquanta e successivamente Dalla vecchia scatola, dove erano conservati, ho ritrovato degli inviti ai vari, permessi per entrare in cantiere, cartoncini per la tribuna delle autorità, inviti a ricevimenti, e inviti a bordo di navi italiane, inglesi e americane del dopoguerra. Ci appare una Taranto dimenticata, primi anni Cinquanta per poi arrivare a una Genova anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Rivivono così le immagini del cantiere del Mar Piccolo, e le buste con i timbri postali, gli indirizzi e tutti gli stampati con istruzioni e informazioni sulla nave e sulla cerimonia, invitano alla lettura delle formule e delle parole usate nei cartoncini dei vari e degli inviti con lo stile degli anni, la forma, i caratteri e i modi. Sono tutti da osservare e fanno capire qualcosa dei gusti e dello stile ormai dimenticati di allora e di quelli
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Inviti ai vari. Ricordi e tradizioni tra orgoglio e speranza
Inviti al varo dell’avviso scorta CIGNO. Cantieri di Taranto, Mar Piccolo, 1957 (archivio autore).
di oggi. I cartoncini invito sono scritti quasi sempre con il carattere corsivo inglese. La forma è quella tradizionale ed è nominato chi invita: in genere per i ricevimenti all’Ammiragliato o a bordo è la moglie dell’ammiraglio comandante e, per i vari e per i ricevimenti, i vertici dell’industria cantieristica. Poi era scritto a macchina o a mano il nome dell’invitato e quasi sempre è aggiunto: «e consorte», oppure la forma è differente: «La SV è invitata, ecc.». Nel varo si concentrava, soprattutto un tempo, l’aspetto tecnico e del primo contatto con il mare, ma raccoglieva e raccoglie antiche paure, superstizioni e riti; ma anche un rito sacrale che segue tutta una serie di passi. E la nave ha una «madrina» e viene «sacrificato» simbolicamente il vino come negli antichi sacrifici pagani, rompendo la bottiglia sulla prua che la bagna. La nave viene benedetta dal sacerdote perché opera dell’uomo e dovrà affrontare i pericoli del mare e viene recitata la Preghiera del
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Marinaio. Solo dopo la benedizione, il direttore del Cantiere, ormai esauriti tutti i discorsi dà il via alla sequenza delle azioni, che sembrano anch’esse rituali, ma seguono invece la razionalità dell’ingegneria. I vari di fine anni Sessanta a Riva Trigoso (allora Cantieri Navali Riuniti) hanno visto la classe delle nuove fregate per la Marina. Una classe di navi con progetto innovativo. Si percorre un po’ anche la storia evolutiva dei progetti e delle navi vedendo poi quelli dei successivi anni Settanta e Ottanta. Lo stile dell’invito è molto tradizionale, come tutto ancora in quegli anni. Ed era segno di eleganza anche formale. Invito al varo della MN CESARE D’AMICO. Cantieri navali di Taranto, 1957. In basso: varo della fregata ALPINO, Riva Trigoso, 10 giugno 1967 (archivio autore).
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Per le navi mercantili e per le grandi navi da crociera costruite da Fincantieri in bacino, la cerimonia del varo viene negli anni via via sostituita con quella della consegna all’armatore privato. La cerimonia racchiude anche altri aspetti di successo contrattuale dell’impresa tra costruttore e armatore e di inizio di attività commerciale della nave. La cerimonia è quella che gli inglesi chiamano «battesimo» (christening o naming). Così la cerimonia si è trasformata: c’è sempre la madrina e sempre la bottiglia che si infrange sulla prua. Ma, la madrina spesso non è più legata all’armatore, ma può essere una personalità pubblica, un’attrice, una modella in ausilio al marketing del business commerciale. Per un certo tempo ancora nel mondo mercantile dei grandi armatori italiani è stato mantenuto il vecchio stile tradizionale. Per le grandi navi da crociera invece lo stile è cambiato in modo radicale per seguire il gusto internazionale e sopratutto l’immagine del business ben studiata dal marketing tra il grande armatore internazionale e Fincantieri. Interessati entrambi a dare grande evidenza anche pubblicitaria all’evento. Il marketing e il nuovo stile di Fincantieri hanno «contagiato» anche gli inviti ai vari delle nuove navi della Marina a partire dall’ultimo varo tradizionale, al cantiere di Riva Trigoso, del troncone di poppa del Cavour, poi unito con la parte di prua nel bacino galleggiante di Muggiano. Un’operazione di raffinata tecnologia, che è stata poi studiata presso di noi da altre diverse Marine. Per le navi militari, il varo è rimasto l’evento importante che marca il processo di costruzione della nave. Non si tratta più ormai del varo tradizionale, ma di un varo tecnico. La
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Varo della fregata CARABINIERE, Riva Trigoso, settembre 1967 (in alto). Varo del CT AUDACE, Riva Trigoso, 1971 (accanto). In basso: varo della nave idrografica AMMIRAGLIO MAGNAGHI, Riva Trigoso, 8 ottobre 1974, e a seguire, i cartoncini di invito per il varo della fregata AS MAESTRALE, Riva Trigoso, Cantieri Navali Riuniti, 1981 (archivio autore).
nave, nei moderni processi costruttivi è oggi quasi completa, costruita su una piattaforma in piano e fatta galleggiare in bacino dopo il trasferimento su chiatta. La consegna della nave avverrà poi terminate le prove in mare e la messa a punto degli apparati. Ma intanto si nota dai cartoncini di invito come il gusto e lo stile siano variati e come il marketing e l’immagine abbiano fatto premio sulla tradizionale forma e stile degli inviti. La cerimonia nel suo complesso ha mantenuto invece la maggior parte delle sequenze fondamentali tradizionali, così la festa per le maestranze e le autorità, pur con un indirizzo a razionalizzare.
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Conclusioni La capacità di progettare e costruire navi moderne in acciaio con gli apparati di propulsione in evoluzione fu consolidata in Italia dopo l’Unità verso gli ultimi decenni del 1800 e poi tenacemente sviluppata e mantenuta sino ai giorni nostri, in parallelo alla crescita delle industrie strategiche e delle acciaierie necessarie e al servizio di tutta l’industria manifatturiera. Ovviamente, l’abilità italiana di costruire navi in legno era antichissima, come testimoniano gli sforzi compiuti da Roma al tempo delle guerre puniche e poi, l’organizzazione standardizzata della costruzione delle galee nella Repubblica di Genova (ponentine, più alte di bordo e più immerse) e della Serenissima Repubblica di Venezia (levantine, più basse di bordo e meno immerse). È interessante ricordare come in Dante, Inferno, canto XXI, vi sia un famoso passo che attesta la nomea dell’arsenale di Venezia come modello (3). La parte nuova arrivò con lo sviluppo industriale e le navi progettate e costruite da un complesso di ingegneria,
Consegna della GRANDE FRANCIA, Napoli 2002. Accanto: varo del CAVOUR (troncone di poppa), Riva Trigoso 2004 e del CAIO DUILIO (classe fregate tipo «Orizzonte») Riva Trigoso 2007 (archivio autore).
maestranze e imprenditoria che possiamo definire «contemporaneo», con organizzazione sociale diversa dal passato. Il varo ha preso quindi questa moderna forma di festa ed evento modano e politico al tempo stesso. L’industria navale, rispetto ad altre industrie, suscita nei suoi addetti un particolare amore per il prodotto nave, un amore che si estende incondizionatamente dall’operaio al dirigente. Esso trova proprio la pubblica espressione nella cerimonia del varo, dove si uniscono e si fondono l’amore per il proprio lavoro e dell’opera compiuta con l’orgoglio delle capacità presenti insieme con la speranza per il futuro e mantenendo ben cari e vivi la tradizione e i riti con antichissime radici. 8
NOTE (1) Il Beroldo, fregata da 50 cannoni della Marina Sarda. Esistono due ex voto di due persone diverse in due santuari liguri diversi per la tempesta superata nel 1856 davanti alle coste del Madagascar. (2) Il cantiere di Riva Trigoso attivo sin da fine Ottocento. Prima Cantieri del Tirreno, poi Cantieri Navali Riuniti e infine Fincantieri. (3) «Quale né l’arzanà de’ Viniziani/bolle l’inverno la tenace pece/a rimpalmare i legni lor non sani/ché navicar non ponno in quella vece/chi fa suo legno novo e chi ristoppa/le coste a quel che più viaggi fece/chi ribatte da proda e chi da poppa/altri fa remi e altri volge sarte/chi terzeruolo e artimon rintoppa».
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STORIA E CULTURA MILITARE
Le due navi del Principe Filippo Due nuove vicende del 1941 e del 1943 Enrico Cernuschi Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA - La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara), «Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri», «Gli italiani dell’Invincibile Armata» (2016), «L’ultimo sbarco in Inghilterra, 1547» (2018) e «Venezia contro l’Inghilterra, 1628-1649» (2020).
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La recente scomparsa di Sua Altezza Reale il Principe Filippo, Duca di Edimburgo e Principe consorte della Regina Elisabetta II, è un evento indubbiamente triste. Modello di stile ed eleganza, SAR ha accompagnato per tanto tempo le cronache da essere considerato da ben tre generazioni una presenza, a un Filippo di Battenberg, futuro Principe consorte, nel 1941 (Wikipedia). In apertura: la nave da battaglia VALIANT, qui fotografata a Malta nell’agosto 1943; il Principe vi imbarcò alla fine del 1940 (Foto David Zambon).
tempo, scontata e rassicurante. In occasione della notizia della morte sono emersi, sulla stampa britannica, a partire dal 9 aprile 2021, alcuni inediti particolari circa le sue vicende nel corso della Seconda guerra mondiale che meritano, a parere di chi scrive, un sia pur sintetico approfondimento.
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Allievo, guardiamarina ed STV Proveniente da una famiglia regale, quella di Grecia (a sua volta di origine danese), e squattrinata in seguito all’avvento, nel 1922, della Repubblica ellenica, il giovane principe entrò, nel gennaio 1939, nell’Accademia navale della Royal Navy di Dartmouth. Non era, nonostante le nobili origini, un raccomandato, ma buona volontà e tenacia non gli fecero certo difetto, tanto da risultare, al termine del primo anno di un corso accelerato equivalente ai contemporanei PN (Preliminari Navali) della Regia Marina, primo assoluto in graduatoria, venendo nominato guardiamarina. La nuova guerra con la Germania accelerò, naturalmente, tutto, e già nel gennaio 1940 fu imbarcato sulla nave da battaglia Ramillies per poi servire, via via a bordo di due incrociatori pesanti, nell’oceano Indiano. Destinato alla fine dell’anno a bordo della nave da battaglia Valiant, a quel tempo di
taggine («had the effrontery»,) (1) «di rispondere al nostro tiro; era piuttosto interessante sentire i proietti che fischiavano sopra e finivano in acqua sollevando grandi colonne». Si trattava dei quattro cannoni da 120/45 della batteria Euro, recuperati da un cacciatorpediniere italiano danneggiato da un aerosilurante l’anno precedente e tornato in Italia per le riparazioni dopo aver sbarcato i propri due impianti binati di quel calibro e la centrale di tiro, destinando il tutto alla difesa dal mare di quel sorgitore, rimasto fino a quel momento indifeso da quel lato, a parte alcune mitragliere antiaerei da 13,2 mm. Il bombardamento, effettuato contemporaneamente al grande attacco da terra che doveva conquistare quella piazzaforte, era stato affidato, a giorno fatto, alle navi da battaglia Warspite, Valiant e Barham al doppio scopo di permettere l’osservazione del tiro da terra e di assicurare la necessaria sicurezza alle unità attaccanti. Bardia era già stata bombardata, infatti, 8 volte, tra il 14 dicembre 1940 e il 2 gennaio 1941, e la batteria Euro aveva danneggiato, col proprio fuoco, il cacciatorpediniere australiano Voyager, la cannoniera Aphis (in due distinte occasioni) e la gemella Ladybird (2). Contrariamente alle previsioni, però, gli italiani avevano modificato, nel frattempo, l’alzo di quei quattro cannoni da 120 riuscendo, in tal
Sopra e accanto: SAR, il Principe Filippo (al centro e vestito in bianco) mentre gioca, con altri ufficiali, sulla coperta della nave da battaglia RAMILLIES in navigazione, nel febbraio 1940, nell’oceano Indiano. A giudicare dai calzettoni a righe di un altro giocatore lo stile, già a quell’epoca, non era acqua (g.c. collezione David Zambon).
base ad Alessandria, ebbe il battesimo del fuoco davanti a Bardia alle 8 del mattino del 3 gennaio 1941 in occasione di un bombardamento costiero contro quella piazzaforte assediata da quasi un mese. Come avrebbe ricordato lui stesso, molti anni dopo, rimase impressionato dal fragore dei cannoni di grosso calibro delle corazzate, dalle vampe, dalle vibrazioni e dal rollio. Subito dopo, come raccontò molti anni dopo il Principe, secondo il suo stile pungente, gli italiani ebbero la sfaccia-
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modo, ad avere a portata le navi di linea britanniche. La reazione da terra arrecò sin dai primi colpi alcuni danni minori alle corazzate Warspite e Barham e la squadra da battaglia della Mediterranean Fleet accostò in fuori, allontanandosi dopo pochi minuti (3). Le truppe australiane e inglesi impegnate nell’attacco contro la cinta
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Mitragliera binata da 37/54 a bordo dell’incrociatore ABRUZZI nel luglio 1940 (Foto Castegnaro, collezione Cernuschi).
fortificata della piazza rimasero così senza più l’appoggio, diretto da terra, dei grossi calibri e gli ultimi caposaldi italiani caddero, infine, appena il pomeriggio del 5 dopo quelle che i britannici chiamano «zuffe tra cani». Il grande momento di quel giovane ufficiale, promosso sottotenente di vascello il 1o febbraio 1941, arrivò il 28 marzo 1941 in occasione dell’azione notturna di Capo Matapan. Preposto alla manovra dei proiettori di sinistra, SAR (di Grecia e Danimarca) Philip Battemberg (come si chiamava allora) illuminò dapprima l’incrociatore pesante italiano Fiume e, dopo la prima fiancata che aveva devastato quella nave, lo Zara. Ed è a questo punto che le recenti rivelazioni inglesi confermano, a nostro parere, quanto già ipotizzato su queste stesse pagine nel marzo scorso sulla solida (ma a quel tempo non ancora spiegata) base di un documento riservato dell’Ammiragliato riprodotto in originale. Contrariamente alla versione propagandistica subito elaborata dal grande romanziere inglese Cecil Scott Forester, «padre» del celebre comandante Hornblower, e ripresa, in seguito, da tutti, le navi britanniche non avrebbero riportato né danni né perdite, in quanto le unità italiane non reagirono, eccezion fatta, alcuni minuti dopo, per il cacciatorpediniere Alfieri, il quale tirò due salve con l’impianto prodiero da 120 mm contro il cacciatorpediniere australiano Stuart, senza effetto al pari del lancio di due siluri. Risulta anche che la Com-
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missione d’inchiesta italiana raccolse, dopo la guerra, alcune testimonianze fatte da superstiti dello Zara i quali affermarono che una mitragliera binata da 37 mm di quella nave, rimasta efficiente dopo la prima, terribile fiancata tirata dal Barham, reagì, ma in assenza di conferme inglesi (il rapporto ufficiale pubblicato sul London Gazette, il Battle Summary del 1941 e la Naval Staff History del 1957, per tacere delle memorie dell’ammiraglio Cunningham e di altri autori) (4) i componenti della Commissione si limitarono a prenderne nota. Questa stessa notizia fu poi pubblicata nel 1977 dall’oggi scomparso Franco Gay (5) ma della cosa non si parlò più fino al 2013, quando chi scrive pubblicò, sulla base del documento originale riservato inglese poi ripreso dalla Rivista Marittima nel marzo di quest’anno, di quella stessa, modesta vicenda (6). Non conosceremo mai in tutti i dettagli cosa avvenne effettivamente, quella notte senza luna, a Capo Matapan da una parte e dall’altra. Oggi in merito a quell’avvenimento è disponibile un ulteriore frammento del mosaico e sappiamo, sulla base di quanto pubblicato tra il 9 e il 16 aprile 2021 dalla stampa del Regno Unito in occasione della morte del Principe, che subito dopo aver illuminato lo Zara, già colpito, il Flag deck e il signalling bridge del Valiant furono colpiti da una raffica sparata da un’unità italiana (il puntatore mirava, evidentemente, ai proiettori) che mancò di poco (e ne siamo lieti!) il futuro consorte della Regina Elisabetta: «He survived unscathed amid his shattered lights as enemy cannon shell ripped into his position (… ) The Duke later spoke of how he coped when his shipmates died or were wounded. “It was part of the fortunes of war”, he said. “We didn’t have counsellors rushing around every time somebody let off a gun, you know asking “Are you all right – are you sure you don’t have a ghastly problem?” You just got on with it» (7), ovvero: «Sopravvisse illeso tra i suoi proiettori in pezzi mentre i proietti del nemico laceravano la plancia (…) il Duca disse in seguito di come fece fronte mentre i suoi compagni erano morti o feriti: “Sono le sorti della guerra. Non avevano psicoterapeuti che ci correvano intorno in ogni momento, mentre la gente cadeva, chiedendo: Va tutto bene? Siete sicuri di non avere un brutto problema? Si andava avanti e basta». Parole del tutto in linea con lo
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in Gran Bretagna, per passare in Servizio Permanente Effettivo, nel gennaio 1942, al termine di un corso accelerato nel corso del quale si classificò, nuovamente, primo in 4 dei 5 esami della Scuola comando. Fu quindi destinato, quello stesso mese, a bordo di un vecchio cacciatorpediniere, il Wallace, varato durante la Grande guerra e utilizzato per la scorta convogli lungo le coste inglesi del Mare del Nord. Le avventure non mancarono, da una collisione il 22 febbraio 1942 a danni causati da aerei tedeschi il maggio 1942 che immobilizzarono quell’unità, rientrata fortunosamente a rimorchio in patria e rimasta ai lavori per due mesi e Il cacciatorpediniere inglese WALLACE nel 1942. Forse la nave più brutta, oltre che di precaria mezzo. Filippo, evidentemente, non efficienza, della Royal Navy. Filippo continuava a non essere un raccomandato. Nella pagina accanto: il tenente di vascello Philip of Battenberg nel 1943 (Wikipedia); in basso: un bombardiere era un imboscato. Promosso tenente italiano Cant Z 1007 Bis nella colorazione mimetizzata per il bombardamento notturno (Dimensione di vascello il 16 luglio 1942, divenne Cielo, vol. 5, Bizzarri, Roma 1973). il secondo di quel caccia nell’ambito di una Royal Navy già da oltre un anno sempre più a stile inconfondibile del personaggio. In buona sostanza, corto di personale. Una nuova, mai rivelata prima, vie parere dello scrivente che, per quanto l’armamento cenda, lo aspettava, però, di nuovo nel Mediterraneo. principale da 203 mm degli incrociatori italiani andati perduti in quell’occasione fosse brandeggiato, in quel Un tenente ricco di fantasia momento, per chiglia (non essendo previsto, al di là di un recentissimo esperimento iniziale, avvenuto appena L’invasione angloamericana della Sicilia, operazione pochi giorni prima, il tiro notturno di quelle armi) è ormai confermatasi decisiva per le sorti politiche dell’Italia di evidente che gli altri sistemi d’arma (ovverosia le batterie quell’anno, comportò, sin dal principio della programsecondarie da 100 mm e le mitragliere) erano, viceversa, mazione, partita alla fine del gennaio 1943, l’accettazione in stato d’approntamento, come d’altronde previsto da di un insolito livello di rischio per gli Stati Uniti e la Gran sempre dalle Norme di guerra della Regia Marina e come Bretagna. Sullo sfondo si stagliava, infatti, il timore di è, tutto sommato, logico. Le unità italiane furono — queuna pace separata russo-tedesca che avrebbe comportato sto sì — colte di sorpresa, ma i sopravvissuti alla prima, la successiva fine della guerra anglosassone in Europa e, micidiale fiancata di grosso calibro britannica (tirata, tratsecondo l’opinione giapponese, anche in Estremo Oriente tandosi di 381 mm, a circa 3.500 m, ossia a bruciapelo) sulla base di un compromesso generale (8). reagirono, non essendo certo impreparati ad assolvere, La Gran Bretagna riuscì a concentrare nel Mediterraneo, ufficiali, sottufficiali, graduati e comuni, i propri compiti per il 23 giugno 1943, rastrellandole attraverso tutti i tranel corso di un combattimento notturno. dizionali «Sette mari»: 6 navi da battaglia e 2 portaerei di Allo stesso modo, per aver assolto in maniera effisquadra grazie al contemporaneo prestito, da parte statuciente, e senza mai perdere il controllo della situazione, nitense, di 2 moderne navi di linea e, in seguito, di una poril proprio dovere, quel giovane ufficiale fu, poco dopo, taerei, inviate a Scapa Flow, oltre al distacco in Atlantico «Menzionato nei dispacci» tornando, l’estate successiva, della vecchia e appena ammodernata corazzata Nevada.
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Allo scopo di mettere insieme le unità di scorta necessarie per i convogli d’invasione fu necessario utilizzare persino una flottiglia di vecchi cacciatorpediniere delle classi «V» e «W» del precedente conflitto mondiale, tra le quali anche il Wallace, destinato a proteggere la prima ondata da sbarco canadese all’estremità meridionale della Sicilia tra Pachino e Pozzallo. La notta tra il 10 e l’11 luglio 1943, primo giorno dell’invasione, il Wallace, isolato a causa di uno dei suoi periodici problemi con le macchine, fu attaccato e danneggiato da un solitario bombardiere. Alcuni incendi divamparono a bordo della silurante a causa dei near miss («Wallace having sustained some damage and being set ablaze in places») mentre il velivolo si allontanava. Mentre il personale di bordo provvedeva a spegnere le fiamme, tutti erano certi che quel bombardiere sarebbe tor-
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nato indietro, come infatti fece nel giro di 5 minuti. In questo arco di tempo quel giovane tenente di vascello propose al comandante Duncan Carson di gettare a mare una zattera con due boe fumogene e un fuoco a bordo e di allontanarsi brevemente a tutta velocità per poi rimanere immobili. Poteva funzionare, oppure no. Il comandante accettò l’idea e SAR riuscì a combinare tutto in quattro e quattr’otto. L’aereo, puntualmente tornato in zona dopo il proprio giro, lanciò le proprie residue quattro bombe contro quel galleggiante e, in seguito, tornò la calma. Il Wallace diresse a lento moto per Malta, dove trascorse una settimana ai lavori per poi rimpatriare in agosto. Anche questa vicenda è stata resa di dominio pubblico recentemente (9) e ancora una volta si tratta di una novità e pure in quest’occasione nulla era stato riportato in merito a questo danneggiamento. Persino l’HM Ships damaged or Sunk By Enemy Action 3rd Sept. 1939 to 2nd Sept. 1945, un dattiloscritto del 1952 redatto a solo uso interno dell’Ammiragliato (10) tace al proposito. La circostanza è tanto più curiosa in quanto il velivolo che attaccò quel caccia era un Cant Z 1007 bis del Raggruppamento Bombardieri di Perugia armato con 8 bombe da 100 kg lanciate in due riprese apprezzando di averne piazzate 3 su una nave avversaria. In quella stessa notte 48 Ju 88 tedeschi attaccarono, a loro volta, le navi nel tratto di mare tra Augusta e Avola affondando la regolarmente illuminata nave ospedale Talamba. I tedeschi attaccarono a ondate avvalendosi dell’uso dei bengala, artifizi di cui erano, viceversa, privi gli aerei italiani e che non furono osservati dall’equipaggio del Wallace (11). Il seguito delle vicende del giovane tenente e principe, destinato, nel febbraio 1944, al nuovo cacciatorpediniere Whelp, in quel momento verso la fine dell’allestimento, e destinato, in seguito, nell’Artico e, infine, nel Pacifico, sono note in quanto ricordate dalla stampa e dalla televisione in questi giorni, per tacere del seguito della sua storia d’amore regale.
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Conclusione Non bisogna stupirsi delle tante omissioni, più o meno rilevanti, nel racconto della storia della guerra navale nel Mediterraneo. Si tratta, per gli storici, di un continuo percorso alla ricerca della verità. Personalmente ritengo che Sua Altezza Reale il Principe di Galles abbia voluto, da perfetto gentiluomo quale è sempre stato, onorare l’impegno, cui tutti i marinai britannici erano tenuti in tempo di guerra (e anche dopo) a non divulgare alcunché quando il silenzio sugli avvenimenti era disposto dall’Ammiragliato, provvedendo, altresì, a sequestrare le fotografie, soprattutto quelle scattate durante le azioni, come era prassi a quel tempo per intuibili motivi di segreto militare. Nel contempo ha provveduto ad assicurare, dopo la propria morte, un racconto completo delle proprie vicende in occasione della redazione dei propri «coccodrilli» (12) con la medesima cura con cui ha organizzato le proprie (come sempre) sobrie ed eleganti esequie. Tutto ciò conferma, dunque, la natura, sconfinata come il mare, della storia e dell’insegnamento, tanto per fare un esempio, di un illustre autore come Franco Bandini, già ospite sulle pagine della Rivista Marittima, nel 1964, nel corso di un libero (come è nelle immutate e immutabili tradizioni del mensile dello Stato Maggiore della Marina), serrato e prolungato dibattito intrattenuto niente meno che con l’ammiraglio Romeo Bernotti, fondatore dell’IGM
Come in ogni favola che si rispetti il coraggioso marinaio ricco d’immaginazione sposa, alla fine, la principessa. La corrispondenza tra i due iniziò nel corso della Seconda guerra mondiale e le imprese e la dedizione al dovere di Filippo, pressoché non reclamizzate, furono apprezzate da Giorgio VI, ufficiale di Marina a tutto tondo diventato Re per forza. Per la fine del 1943, dopo il fortunato salvataggio del WALLACE, la carriera di quel tenente di vascello ebbe un corso, finalmente, normale senza più il timore di accuse di favoritismo (Corriere della Sera).
(oggi Istituto di Studi militari marittimi). Le conclusioni di quello storico e giornalista di vaglia erano state: «Nulla deve essere mai dato per scontato», e questa lezione (che è poi la legge e lo scopo stesso della storiografia) deve essere sempre la regola per tutti. 8
NOTE (1) https://www.forces.net/news/prince-philip-duke-edinburghs-active-service-career (17 aprile 2021). (2) https://www.navy.gov.au�HMASVampire (21 maggio 2021), A. Cecil Hampshire, Armed with Stings, New English Library, Londra 1976, p.112. (3) Come scrisse il marinaio del Warspite Bernard Hallas: «… splinters hit the Barham and our ship but no serious damage had been done». (http://www.bbc.co.uk/ww2peopleswar/stories/322a4134232.shtml) (21 maggio 2021). (4) Tutti i testi in questione sono, peraltro, perifrasi del modello originario del 1941. (5) Franco Gay, Incrociatori pesanti classe Zara, Ateneo e Bizzarri, Roma 1977, p.53. (6) Enrico Cernuschi, I sette dello Zara, Lega Navale, ottobre-novembre 2013. (7) https://www.dailymail.co.uk/news/article-9456333/Price-Philip-dies-Sea-Lord-pays-tribute-highlights-role-Battle-Cape-Matapan.html; https://www.standard.co. uk/news/uk/italian-greece-pacific-edinburgh-westminster-b928802.html; https://www.belfasttelegraph.co.uk/news/uk/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-of-cape-matapan-40293302.html; https://www.shropshirestar.com/news/uk-news/2021/04/09/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-of-cape-matapan (10 aprile 2021). (8) Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, Comando Centrale, USMM, Roma 2018. (9) https://www.bbc.com/news/uk-10266717; https://www.businessinsider.com/prince-philip-helped-sink-enemy-ships-during-world-war-ii-2021-4?IR=T; https://www. navy.gov.au/media-room/publications/semaphore-vale-hrh-duke-edinburgh (10 aprile 2021). (10) TNA (ex PRO), ADM 234/444. (11) Alcuni autori hanno scritto di danni inferti, quella notte tra il 10 e l’11 luglio 1943, dai bombardieri tedeschi al monitore inglese Erebus presso Capo Passero, ma si tratta di un banale errore tipografico in quanto quella nave fu inquadrata da alcune bombe cadute vicino, lamentando 6 morti e 26 feriti, la notte sul 20 luglio 1943 mentre si trovava ad Augusta. Ian Buxton, Big Gun Monitors, Seaforth, Barnsley 2016, p.197. (12) Questo è il nome che si dà, in gergo giornalistico, ai necrologi dei personaggi importanti, articoli che ogni giornale deve tenere sempre pronti e che una volta si preparavano spillando una sopra l’altra, a mo’ di scaglie — appunto — di coccodrillo, delle schedine in cartoncino che riportavano tutti gli aggiornamenti del caso in merito al futuro, illustre scomparso.
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
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RUBRICHE
F OCUS
DIPLOMATICO
Il Papa in Iraq
20%), raccoglie oltre trecento milioni di fedeli, è maggioritaria in Iran, in Iraq, in Afghanistan e ormai Della visita di Papa Francesco in Iraq è stato in termini relativi anche in Libano, e ha forti presenze scritto e detto molto. Al di là dell’evidente e potente in Pakistan e in India, che costituiscono la maggiomessaggio di pace, convivenza e fratellanza nell’amranza di quei trecento milioni, oltre che in diversi altri bito di valori comuni rivolto ai musulmani, sciiti e paesi del Golfo e del Levante e nella diaspora, sopratsunniti, ai cristiani e alle altre denominazioni relitutto negli Stati Uniti e in Europa. giose, cercherò di cogliere brevemente alcuni eleDiversamente dai sunniti, con le conseguenze che vi menti riferiti al contesto politico regionale e alle sue sono nella frammentazione dei messaggi e dei comporpiù ampie implicazioni a livello globale. tamenti, gli sciiti hanno una gerarchia i cui vertici inTra i messaggi, oltre a quello rivolto ai «fratelli terpretano in modo vincolante la Sha’ria. La diarchia tutti» nel ricordo delle sofferenze cui sono stati sottodei luoghi santi di preghiera e di studio di Najaf in Iraq, posti dalla violenza dell’Isis, vi è anche quello del riove sono custoditi i resti di Ali, capostipite degli sciiti, getto comune e corale del terrorismo lanciato come in e di Qom in Iran, ha subito una frattura con lo sviluppo segno di vittoria oltre e il perseguimento da parte che da Baghdad e Ur dell’Ayatollah Khamenei proprio da Mosul, della dottrina del «velayat al ove il sedicente faqi» ovvero del primato nel Stato islamico aveva governo della cosa pubblica insediato la sua cadei giureconsulti, interpreti pitale e minacciava della legge coranica e teologi. il prossimo arrivo a Najaf non ha aderito a questa Roma. A questo si dottrina che è invece alla base è accompagnata della rivoluzione iraniana e l’acquisizione fordel sistema istituzionale che male del riconoscine è derivato. Secondo al-Simento da parte Immagini che ritraggono alcuni momenti del viaggio apostolico di Sua Santità stani, gli sciiti non devono ridelle massime au- Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021) - (1. ansa.it; 2. rainews.it; 3. nytimes.com). nunciare a far valere i loro torità religiose e valori, ma nel rispetto degli ordinamenti istituzionali istituzionali del paese del persistente ruolo dei cristiani nei quali essi operano, attualmente consistenti in Iraq in Iraq e in tutto il Medio Oriente. nel sistema costituitosi dopo la caduta di Saddam HusL’incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani e le sein. Quindi assenso a partiti di ispirazione confessiopoche parole che ne sono uscite hanno molteplici vanale, come quelli che attualmente dominano la scena lenze. Oltre al riconoscimento di cui sopra, innanzi politica irachena, in alcuni dei quali la leadership vede tutto quella scontata di essere il primo incontro a queanche la presenza di esponenti religiosi, ma no all’assto livello di chi dello sciismo è il massimo esposunzione diretta da parte dell’autorità religiosa del connente, sia pure in una sostanziale diarchia trollo dello Stato come avviene invece in Iran. Tutti i competitiva con l’Ayatollah Khamenei in Iran, di cui partiti sciiti iracheni vogliono la benedizione di al-Sivedremo i contenuti. E questo dopo i numerosi instani ma lui è parco nel fornirla. E soltanto quando lo contri di Francesco con esponenti sunniti e in partiritiene indispensabile in momenti cruciali per le sorti colare con il Grande Imam di al-Azhar, al-Tayyib. del paese fa filtrare messaggi di cui tutti, anche la Il dialogo interreligioso con l’Islam non può evigrande maggioranza dei non sciiti, riconoscono l’autodentemente prescindere dalla componente sciita che, revolezza e a essi in qualche modo si adeguano. Lo si seppure minoritaria nell’ambito dell’Umma (circa il
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Focus diplomatico
è visto nel processo di ricostruzione dello Stato iracheno quando ha chiesto e ottenuto, in primo luogo dagli americani allora assolutamente dominanti nel paese, che i trasferimenti di potere agli iracheni avvenissero sulla base di una costituzione deliberata da una Assemblea costituente eletta e che un Parlamento ugualmente eletto vi avesse un ruolo di primo piano. Impose questo senza mai accettare di incontrare esponenti americani. I soli diplomatici che incontrò furono i Rappresentanti speciali delle Nazioni unite, Viera de Mello e poi Staffan De Mistura, marcando la sua fiducia in una entità almeno teoricamente imparziale ed espressione della legalità internazionale. Si è visto poi il suo ruolo cruciale di fronte all’attacco dell’Isis che nella fase iniziale aveva travolto le Forze armate irachene, con l’eccezione dei peshmerga curdi; alSistani invitò la popolazione, e in particolare i giovani, sciiti e non, a organizzarsi per combattere il nemico comune. Le milizie così costituite hanno operato per la difesa delle popolazioni (ve ne sono state anche cristiane e yazidi) e collaborato con le varie coalizioni messe in campo dalla comunità internazionale e con le forze regolari irachene man mano che queste si ricostituivano. Una parte di tali milizie è stata però organizzata o infiltrata dall’Iran. E gli appelli dell’Ayatollah, a che confluissero nella polizia e nell’Esercito iracheno o si sciogliessero, non hanno avuto che un parziale successo per le resistenze sia dei miliziani, sia di chi doveva assorbirli. L’appello di Papa Francesco e al-Sistani, alla pace, era rivolto soprattutto a queste milizie, sostenute e usate dall’Iran quale mezzo di pressione sugli Stati Uniti e sul Governo iracheno che dal 2004 deve mantenere un delicato equilibrio tra americani e loro alleati occidentali da un lato e iraniani dall’altro. In
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questo quadro, ogni Primo ministro tra quelli che si sono succeduti, oltre al beneplacito diretto o indiretto di al-Sistani, ha dovuto avere di fatto il gradimento di Washington, il cui sostegno alle forze di sicurezza nella lotta all’Isis e non solo resta indispensabile, e di Teheran che, oltre alle milizie di cui ha il controllo, dispone nel governo e nel parlamento di personalità e gruppi a essa vicini spesso determinanti per le maggioranze necessarie alle decisioni da adottare. Con il Papa, al-Sistani ha sottolineato, rendendolo noto, il valore dell’uguaglianza di tutti gli appartenenti alle diverse religioni quali titolari di una cittadinanza comune nell’ambito della Costituzione. Un richiamo quindi a un concetto fatto proprio da una Chiesa che, come disse Ratzinger, «è stata traversata dai lumi», con un implicito riconoscimento dei princìpi che sono alla base della laicità dello Stato. La visita di Francesco si è svolta mentre si stanno manifestando i segnali di una rinnovata politica mediorientale degli Stati Uniti. Il Primo capo di Governo arabo cui il presidente Biden ha telefonato è stato il Primo ministro iracheno Mustafa alKadhimi, a dimostrazione dell’importanza attribuita al paese e alla sua funzione in uno scacchiere nel quale è sentita l’esigenza di ricalibrare i rapporti con Arabia Saudita, Iran e Turchia. Alla prima è stato indicato, con la pubblicazione del rapporto sull’assassinio di Khashsoggi e la sospensione delle forniture militari per la conduzione della guerra in Yemen, che l’alleanza non è senza condizioni. E all’Iran che, a ogni attacco da parte delle milizie sostenute da Teheran, sarà risposto in modo puntuale, ferma restando la disponibilità a ricomporre il JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action) a certe condizioni. Un aspetto centrale della visita di Francesco è stato
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quello dell’unità tra le religioni abramitiche. Ma non può sfuggire il fatto che, nella celebrazione interreligiosa nella piana di Ur, non vi fosse alcun ebreo, sebbene il Papa abbia fatto riferimento a più riprese alla religione ebraica. Fino alla Seconda guerra mondiale, gli ebrei costituivano una parte consistente della popolazione irachena. Tra il 20 e il 30% a Baghdad, Mosul e Kirkuk. Il primo esodo vi fu durante il governo filoasse nel 1940-41, prima della ripresa del controllo di Baghdad da parte dei britannici e dei loro alleati iracheni. Altri esodi seguirono scanditi dalle successive guerre arabo-israeliane dopo la costituzione dello Stato di Israele, con una intensità crescente durante il regime baathista. Oggi sono rimasti pochi anziani individui dispersi. Non è stato evidentemente possibile far giungere esponenti religiosi ebrei da fuori. Non tra quelli legati a Israele e al sionismo, non tra quelli, poco più di una decina di migliaia, che in Iran hanno una rappresentanza nel parlamento, come una sorta di «specie protetta» da esibire, ma costretti a professioni di antisionismo e, durante la presidenza di Ahmadinejad, per-
fino di ridimensionamento se non di negazione dell’olocausto. Nel sorvolare Israele, Francesco ha inviato il consueto amichevole messaggio di saluto al capo dello Stato. Il presidente Rivlin gli ha risposto di essere commosso dalle parole di vicinanza del Papa a Israele, affermando di essere con lui «in stretto e caloroso contatto». È facile far incontrare ebrei e musulmani in Europa. Non lo è ancora in gran parte del Medio Oriente, anche se l’altro richiamo ad Abramo, quello degli accordi tra alcuni paesi arabi e Israele, può forse contribuire, se tali accordi fossero bene utilizzati, a riaprire una strada e far tornare lo spirito che prevaleva ormai quasi trent’anni fa dopo gli accordi di Oslo, poi andato perduto. La ferita della questione palestinese è ancora aperta per quanto la si voglia sottovalutare. È da sperare che l’amministrazione Biden e gli europei, con il concorso degli altri membri permanenti del Consiglio di sicurezza e il coinvolgimento dei paesi della regione, possano riavviare un processo al quale anche lo spirito con il quale si è svolto il pellegrinaggio di Francesco possa contribuire. Dal lato iraniano l’unico commento che si è potuto finora trovare è quello di un portavoce del Parlamento secondo il quale se oggi il Papa ha potuto effettuare la sua visita pastorale in Iraq è grazie all’azione del generale Qasem Soleimani e delle unità di mobilitazione popolare irachene da lui sostenute per l’eliminazione dell’Isis. Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici
L’ambasciatore Maurizio Melani è stato direttore generale per la Promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, ambasciatore in Iraq, rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell’UE, direttore generale per l’Africa, ambasciatore in Etiopia, capo dell’Ufficio per i rapporti con il parlamento nel Gabinetto del ministro degli Esteri, capo della Segreteria del sottosegretario di Stato delegato alla cooperazione. Ha prestato servizio nella Rappresentanza permanente presso la CEE, nelle ambasciate ad Addis Abeba, Londra e Dar es Salaam e nelle Direzioni generali dell’Emigrazione, degli Affari politici e degli Affari economici. Docente di Relazioni internazionali e autore di libri, saggi e articoli su temi politici ed economici internazionali. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
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RUBRICHE
O SSERVATORIO Stati Uniti: molte flotte, ma abbastanza navi? L’evoluzione della situazione nelle regioni dell’Asia sta portando a importanti cambi nella struttura militare statunitense. Una di queste è l’ipotesi, discussa da diversi mesi, della riattivazione della 1st Fleet dell’US Navy. L’idea, lanciata dall’ex segretario alla Marina durante l’amministrazione Trump, Kenneth Braithwaite, è ancora allo studio, secondo l’ammiraglio John Aquilino, comandante della Pacific Fleet (che coordina la 3rd, 7th Fleet e i comandi navali del Giappone, Corea e Marianne), che sta studiando i pro e contro del ripristino della 1st Fleet, e l’ammiraglio Phil Davidson, il CinC dell’Indo-Pacific Command, lo ha confermato. La possibile riattivazione della flotta, che è stata disat-
INTERNAZIONALE vista, la costituzione della nuova flotta renderebbe meno pesante il carico operativo della 7th Fleet, che è la maggiore come dimensioni numeriche dell’US Navy e che copre un’area vastissima, dall’India alle Curili e con diversi punti di tensione, dalle isole Spratley allo stretto di Taiwan, alle isole contese tra Corea del Sud, Cina e Giappone; la prospettiva di incremento delle attività è oramai una realtà che deve essere affrontata. La 1st Fleet, che è stata operativa tra il 1943 e il 1973, potrebbe situare il suo comando a Singapore o in Australia settentrionale (un’ipotesi potrebbe essere Darwin). Ma il Pacifico non è il solo scacchiere che vede la ripresa delle attività dell’US Navy, testimoniata dalla recente riattivazione della 2nd Fleet, per fronteggiare l’insidiosa crescita della presenza della Marina russa che, sebbene non paragonabile in termini quantitativi a quella cinese, rappresenta un altro elemento di attenzione e vigilanza. Il problema vero, secondo molti analisti ed esperti militari o civili che siano, non è la ristrutturazione della rete dei comandi e la costituzione di nuove architetture operative, ma dotare queste nuove entità di risorse adeguate, quali portaerei, incrociatori, caccia, sottomarini e unità di supporto e sostegno.
L’Egitto guarda al Sahel e ribadisce il sostegno ai paesi del G5 Nel mese di marzo scorso l’Egitto ha partecipato alla seconda riunione ministeriale dell’Alleanza per il Sahel, che mira a sostenere i cinque paesi contro l’inL’ammiraglio John Aquilino, comandante della Pacific Fleet, che coordina la 3rd, 7th Fleet e i comandi navali del Giappone, Corea e Marianne (lefigaro.fr).
tivata negli anni Settanta, era stata annunciata a novembre scorso da Braithwaite, con l’obiettivo di ridurre il gap geografico esistente tra la 5th e la 7th Fleet e rinforzare la presenza statunitense nel Mar Cinese Meridionale, dove si registrano crescenti attività militari cinesi, sempre più minacciose verso vecchi e nuovi amici di Washington, quali Filippine e Vietnam. I due ammiragli, Davidson e Aquilino, rispondevano ai deputati del Congresso che volevano ragionare sulle opportunità, costi, opzioni e vantaggi nello (ri)schierare la futura Prima flotta tra gli oceani Indiano e Pacifico. A prima
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Il vice ministro degli Esteri egiziano, con delega per gli affari africani, Hamdy Loza (sis.gov.eg).
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sicurezza e l’estremismo crescente nella regione. Il vice ministro degli Esteri, con delega per gli affari africani, Hamdy Loza ha ribadito il sostegno dell’Egitto ai paesi del Sahel a livello bilaterale e regionale. Loza ha ricordato che le questioni relative al Sahel erano state affrontate durante una sessione al Forum di Assuan, che si è tenuta dal 1o al 5 marzo, affermando che le conclusioni e le raccomandazioni di questa sessione saranno fornite prossimamente al segretariato dell’Alleanza. La riunione ha adottato una road map per sostenere i cinque paesi — nella lotta al terrorismo — rafforzando le capacità militari degli eserciti nazionali e delle forze congiunte, nonché consolidando le agenzie statali locali. Il gruppo dei paesi del Sahel — Il presidente egiziano Al-Sisi «vede con preoccupazione la prospettiva della riduzione del peso del generale Haftar nella nuova architettura libica e la possibilità del disarmo delle sue milizie (…)» (Fonte immagine: neewsweek.com). Accanto: il logo della Sahel Alliance, una piattaforma di cooperazione internazionale per fare di più e meglio nella regione del Sahel . (alliance-sahel.org).
denominato G5 Sahel — comprende Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. È stato istituito dai cinque paesi a Nouakchott, in Mauritania, nel febbraio 2014 per promuovere lo sviluppo economico e la sicurezza nella regione, nonché per combattere la crescente minaccia del terrorismo. I cinque paesi stanno affrontando molte sfide, inclusa l’insicurezza, estremismo crescente e la mancanza di prospettive economiche. Nel 2017, Francia, Germania e Unione europea hanno annunciato il lancio della Sahel Alliance per sostenere i cinque paesi. Ma, perché il crescente interesse egiziano per il Sahel? Già il rafforzamento della partecipazione di militari del Cairo alla missione ONU in Mali, la MINU-
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SMA, aveva fatto intuire un nuovo orientamento strategico del presidente-feldmaresciallo Al-Sisi; ora l’appoggio aperto al G5S conferma questa linea. L’Egitto vuole consolidare la sua presenza nel Sahel e tagliare la strada a ogni penetrazione turca nella regione, anticipando i tempi e presentarsi, già solidamente, ai deboli Stati locali. L’annunciata stabilizzazione libica sembra far emergere un ruolo piuttosto forte di Ankara in Africa settentrionale ed Erdogan vuole approfittare della sua presenza per proiettare ulteriormente i suoi progetti di espansione politica, economica e militare nel Sahel, e oltre. Quindi, visti i rapporti quanto meno freddi tra Turchia ed Egitto, Il Cairo cerca di anticipare i tempi e sigillare le spinte di Ankara. Al momento sembra che Il Cairo punti moltissimo sulla dimensione militare, mentre la Turchia punta anche alla dimensione economica e finanziaria, maggiore di quella egiziana. Al-Sisi vede con preoccupazione la prospettiva della riduzione del peso del generale Haftar nella nuova architettura libica e la possibilità del disarmo delle sue milizie (in realtà un vero e proprio esercito, dotato sia di forze aeree e navali e assistito da robusti nuclei di istruttori e consiglieri stranieri) significa che l’idea di Cirenaica «cuscinetto» è assai indebolita e il confine e gli interessi egiziani potrebbero vedersi sia esposti, sia minacciati. Inoltre, viste le difficili relazioni di Francia, Germania e UE con la Turchia, la presenza di un partner anti Ankara potrebbe essere guardata con interesse, anche perché Il Cairo è oramai diventato uno dei maggiori acquirenti di armamenti dell’intera regione e la sua presenza nel Sahel potrebbe esserne facilitata.
India e Stati Uniti rafforzano i legami di difesa A fronte dell’attivismo cinese, gli Stati Uniti moltiplicano le interazioni con i potenziali avversari di Pechino, in primo luogo con l’altra potenza maggiore dell’Asia continentale, l’India. Funzionari del dipartimento della Difesa statunitense e del ministero della Difesa di New Delhi si sono riuniti nel mese di marzo
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scorso per discutere come espandere il loro impegno militare, sottolineando il rafforzamento dei legami di difesa tra i due paesi, preoccupati per la crescente influenza della Cina nella regione indo-pacifica. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin e il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh si sono incontrati a Nuova Delhi e hanno deciso di approfondire la cooperazione in materia di difesa, la condivisione di informazioni e la logistica. «L’India è un partner sempre più importante nelle dinamiche internazionali in rapido mutamento. Riaffermo il nostro impegno per un partenariato globale per la difesa lungimirante con l’India come pilastro centrale del nostro approccio alla regione indo-pacifica», ha affermato Austin, che ha effettuato la prima visita in India di un membro di spicco dell’amministrazione Biden. La sua visita ha seguito un incontro tra i leader di Australia, India, Giappone e Stati Uniti, che insieme costituiscono le quattro nazioni indo-pa-
su come espandere l’impegno militare comune. Gli Stati Uniti apertamente considerano di espandere il QUAD con altri Stati che si sentono minacciati dalla pressione cinese, ma Pechino, come spesso accade, utilizza la dimensione economica per tacitare le preoccupazioni nel settore della sicurezza, e nuove adesioni al QUAD, se e quando avverranno, saranno il risultato dell’intenso lavoro diplomatico di Washington. Austin, a Nuova Delhi, ha incontrato anche il primo ministro Narendra Modi e il consigliere per la sicurezza nazio-
«Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin e il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh si sono incontrati a Nuova Delhi e hanno deciso di approfondire la cooperazione in materia di difesa, la condivisione di informazioni e la logistica» (Fonte immagini: washingtonpost.com; twitter.com).
cifiche conosciute come QUAD. Il QUAD è visto come un contrappeso alla Cina, che secondo i critici sta mostrando la sua forza militare nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, nello Stretto di Taiwan e lungo il confine settentrionale con l’India, senza contare le pressioni interne verso le popolazioni del Turkestan orientale, Tibet, Hong Kong e altre minoranze etnicoreligiose. La Cina ha definito il QUAD come un tentativo di contenere le sue legittime e pacifiche ambizioni e aspirazioni. La controparte indiana di Austin, Rajnath Singh, ha affermato che i colloqui si sono concentrati
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nale Ajit Doval. Secondo una dichiarazione dell’Ufficio del Primo ministro, Modi ha delineato la sua visione per il partenariato strategico tra i due paesi e ha sottolineato l’importante ruolo della cooperazione bilaterale di difesa tra India e Stati Uniti. Prima dei colloqui, Austin ha visitato il National War Memorial e gli è stata accordata una guardia d’onore cerimoniale, un importante cambio di stile verso diversi suoi predecessori, ricevuti sempre con una certa freddezza, da Nehru a seguire. La tempistica della visita di Austin, che segue i colloqui tra alti funzionari statunitensi e cinesi in Alaska con un duro scontro verbale, segnala l’importanza che Biden attribuisce a New Delhi come alleato per la sicurezza regionale e globale. Gli Stati Uniti e l’India hanno costantemente intensificato le loro relazioni mi-
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litari negli ultimi anni e hanno firmato una serie di accordi di difesa che hanno approfondito la loro cooperazione militare. Nel 2019, le due parti hanno concluso accordi di difesa per un valore di oltre 3 miliardi di dollari. Il commercio bilaterale per la difesa è aumentato da quasi zero nel 2008 a 15 miliardi di dollari nel 2019. Il partenariato per la sicurezza Stati Uniti-India gode di un forte sostegno bipartisan a Washington ed è cresciuto in modo significativo dall’inizio degli anni Duemila, anche se gli accordi commerciali sono stati un punto critico. Ma negli ultimi anni le relazioni tra i paesi sono state guidate da una convergenza di interessi per contrastare la Cina. Occasionalmente Washington, più per ragioni commerciali, velatamente fa valere l’ipotesi di sospendere la fornitura di armi all’India, per spingere New Delhi ad acquistare più sistemi d’arma di produzione statunitense e diventarne il primo fornitore (viste le dimensioni dell’apparato militare indiano, una completa sostituzione dei sistemi d’arma di produzione russo/sovietica è un programma enorme e, al di la dei costi, a cui pure l’India potrebbe far fronte tranquillamente, richiederebbe molto tempo) Recentemente, l’India si è avvicinata agli Stati Uniti dopo il suo stallo militare durato mesi con la Cina lungo il confine conteso nel Ladakh orientale, dove l’anno scorso sono scoppiati scontri a fuoco fra truppe indiane e cinesi. Le tensioni tra i giganti asiatici dotati di armi nucleari si sono allentate dopo che i due paesi hanno ritirato le loro truppe dall’area contesa. Anche se le tensioni militari tra i due vicini in quel momento avevano alimentato i timori di un confronto più ampio, Austin in una conferenza stampa, tuttavia, affermava che gli Stati Uniti non hanno mai considerato che l’India e la Cina fossero sulla soglia della guerra.
Conflitto in Mozambico: nuove e vecchie presenze Il verticale incremento degli attacchi dei militanti islamisti nella provincia settentrionale del Mozambico di Cabo Delgado ha costretto il governo di Maputo a rivalutare la sua strategia contro l’insurrezione armata, che ha mostrato tutti i suoi limiti. Sull’onda dell’emergenza, il governo mozambicano ha chiesto a Stati Uniti e Portogallo (ex potenza coloniale sino al 1975) l’invio
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urgente di consiglieri militari a sostenere le proprie Forze armate nel conflitto. L’accordo tra i governi di Mozambico, Portogallo e Stati Uniti prevede che i soldati portoghesi e americani addestrino le forze locali che combattono la milizia di Al-Shabaab. Chiaramente, gli Stati Uniti stanno cercando di estendere la loro influenza in una zona dove erano poco presenti, ma il conflitto, pur semplificato dalla presenza delle milizie islamiste, ha ragioni ben più antiche e profonde e che ripropone la debolezza di molti Stati africani che gestiscono penosamente l’ordinario e alla prima crisi collassano. La presenza delle milizie islamiste, largamente inquadrate da elementi degli Al-Shabaab somali e altri provenienti dalla galassia dell’IS, si aggiunge a un terreno reso fertile da un conflitto civile già in corso durante la guerra di indipendenza contro il Portogallo (la nota contrapposizione FRELIMO e RENAMO) e risolto solo in apparenza. Questa situazione, dove rivalità personali, differenze tribali e interessi economici e strategici esterni, unita a una governance a dir poco scadente da parte del governo mozambicano, hanno creato un groviglio difficile da districare e in cui la galassia islamica ha trovato spazio. Come accennato, anche il Portogallo, l’ex potenza coloniale del Mozambico, si è impegnato nell’addestramento del personale militare locale con l’invio di una cinquantina di istruttori per fucilieri di marina e commando. Sebbene il governo del Mozambico sia stato reticente a riconoscere la loro presenza, nella regione operavano contractor militari privati insieme alle sue forze di sicurezza. Inizialmente nel 2019, gli operatori del gruppo russo Wagner e più recentemente, il Dyck Advisory Group (DAG) sudafricano, entrambi con scarsi risultati. Inoltre, un recente rapporto di Amnesty International ha denunciato abusi dei diritti umani commessi a Cabo Delgado che avrebbero coinvolto gli operatori di questo gruppo e le forze governative nelle uccisioni illegali di civili. Cabo Delgado, nonostante sia una regione di grandi potenzialità economiche ha vissuto a lungo nell’instabilità, e la recente ondata di violenza legata agli islamisti è iniziata nel 2017. È una regione con alti livelli di povertà e ci sono rimostranze per l’accesso alla terra e al lavoro. Ma l’importanza di Cabo Delgado per il governo, ulteriore motivo di lamentela locale, risiede nelle ricche
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riserve di gas naturale off-shore attualmente in fase di esplorazione in collaborazione con società energetiche multinazionali. Proprio questa situazione avrebbe facilitato il successo degli Al-Shabaab nel reclutare giovani desiderosi di unirsi a essi. Nel corso del 2020 sono stati registrati quasi 600 incidenti violenti (uccisioni, decapitazioni e rapimenti). Gruppi per i diritti umani hanno segnalato la vasta distruzione di edifici in tutto il Mozambico settentrionale da parte dei militanti. Secondo l’UN OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) l’instabilità legata a questa ondata di violenza ha portato quasi 700.000 persone a lasciare le proprie case nelle province di Cabo Delgado, Niassa e Nampula, solo nel 2020.
fermi che l’ADF aderisce all’ideologia terroristica sostenuta dallo Stato islamico, il gruppo di esperti delle Nazioni unite sul rapporto del dicembre 2020 della RDC afferma di non essere stato in grado di confermare alcun legame diretto tra le due organizzazioni, mentre è sicuro che si tratti di un gruppo armato che è coinvolto in altre attività illegali e terribili violenze contro le popolazioni civili. L’inclusione dell’ADF nella galassia islamista ha avuto come immediato risultato la crescita esponenziale degli aiuti militari statunitensi. Come accade spesso in questi scenari, la focalizzazione esclusivamente securitaria, indebolisce altri approcci che potrebbero semplificare situazioni in essere (e la RDC, ex Zaire, è in crisi profonda dagli inizi degli anni Novanta). Quindi, se si percepisce che
Congo-Ruanda: inizio di una storica intesa Mentre gli Stati Uniti hanno incluso le Allied Democratic Forces (ADF), che operano nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), come gruppo terroristico che ha giurato fedeltà allo Stato islamico (IS), il rapporto tra questo gruppo e l’IS stesso rimane poco chiaro. Dall’aprile 2019, l’organizzazione terroristica ha rivendicato la responsabilità di un numero crescente di attacchi nell’est del paese, aggiungendo con le sue feroci incursioni un altro elemento di instabilità in quelle disgraziate terre e per quei popoli in difficoltà. Ma, la realtà della sua relazione e del suo coinvolgimento a fianco delle ADF è oggetto di studi, analisi e dubbi. Secondo il dipartimento di Stato, operando principalmente nella regione di Beni (Nord Kivu), le ADF sarebbero responsabili di più morti civili (37%) rispetto a qualsiasi altro gruppo armato nella regione. Sebbene il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, af-
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Il presidente della Repubblica Democratica del Congo Félix Tshisekedi e, in basso, Paul Kagame, presidente ruandese. I due paesi, da diversi mesi, stanno adottando una strategia comune sulla questione della sicurezza, a cominciare dalla sorveglianza delle frontiere (Fonte immagini: bbc.com; twitter.com).
la minaccia provenga da un gruppo estremista islamista armato, è più probabile che si utilizzi un approccio puramente militare per risolvere il problema. Per esempio, sostenendo l’Esercito congolese, o accettando o addirittura incoraggiando la collaborazione con i vicini Uganda e Ruanda nelle operazioni militari. Nonostante la sua debolezza, lo Stato congolese è un attore chiave nella parte orientale del paese. Proprio la sua debolezza, e talvolta la complicità di suoi elementi con realtà illegali o ribelli, può esacerbare i conflitti locali. Più ci si affida esclusivamente a una risposta militare, più si rischia di minare la responsabilità dello Stato nei confronti dei propri cittadini. Lo stesso vale per il caso
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dell’Uganda, dove il presidente Museveni ha cercato a lungo di spazzare via le critiche al suo autoritarismo sostenendo le potenze occidentali nella loro lotta contro l’Islam radicale in Africa. Come spesso accade in Africa, le situazioni locali sono eredi non solo del colonialismo e neocolonialismo, ma anche di dinamiche ben più antiche, quali il tribalismo e ataviche rivalità. Ma la minaccia dell’ADF ha obbligato i due vicini, che per anni si sono mutualmente accusati di ogni nefandezza, come la RDC e il Ruanda, a sviluppare una strategia congiunta di fronte all’insicurezza nella RDC orientale. I responsabili delle forze di difesa e di sicurezza del Ruanda e della RDC si sono incontrati a Kinshasa. In questa occasione sono state prese diverse decisioni importanti. Durante questo incontro, che si è tenuto dal 15 al 19 marzo scorso, François Beya, il «Mr. Security» del presidente Tshisekedi e Jean Bosco Kazura, il Capo di Stato Maggiore delle Forze di difesa ruandesi (RDF), hanno sviluppato le decisioni prese durante la riunione precedente, tenutasi tra il 12 e il 14 febbraio a Kigali, con alti funzionari, per mettere a punto una strategia comune sulla questione della sicurezza dei loro due paesi, a cominciare dalla sorveglianza delle frontiere. Le due riunioni, epocali, per il vissuto dei due Stati vicini, rappresenta che a volte, minacce comuni possono essere l’avvio di un dialogo.
stenendo le loro operazioni di mantenimento della pace o contribuendo ad aumentare la capacità delle loro Forze armate di garantire la pace e la sicurezza sul loro territorio nazionale, nonché attraverso azioni più ampie di natura militare/di difesa a sostegno degli obiettivi della PESC. «Una pace duratura può essere costruita solo investendo nella stabilità e sicurezza internazionale. L’UE ha la volontà e, da oggi, i giusti strumenti finanziari per farlo. Il Fondo europeo per la pace ci consentirà di sostenere concretamente i nostri paesi partner nell’affrontare le sfide alla sicurezza», ha così affermato Augusto Santos Silva, ministro degli Affari esteri del Portogallo, presidente di turno del Consiglio. Lo strumento dovrà consentire all’UE, per la prima volta, di integrare le attività delle sue missioni e operazioni di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nei paesi ospitanti, con misure di assistenza. Queste misure possono comprendere la fornitura di attrezzature, infrastrutture o assistenza militare e di difesa, su richiesta di paesi terzi o organizzazioni regionali o internazionali. Le misure di assistenza saranno inserite in una strategia politica chiara e coerente e saranno accompagnate da valutazioni approfondite dei rischi e da solide salvaguardie. Il nuovo strumento fa parte dell’approccio globale dell’UE al finanziamento dell’azione esterna, che mira a dare forma a una politica di sicurezza europea coe-
Un nuovo strumento per l’UE
rente, globale e a creare sinergie con altre politiche e strumenti, come lo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, compresa la dimensione del rafforzamento delle capacità per la sicurezza. Dal 2004, il coinvolgimento dell’UE nelle missioni e operazioni militari PSDC è stato finanziato attraverso il meccanismo ATHENA. Questo meccanismo finanzia sei operazioni militari attive dell’Unione (EUFOR Althea (Bosnia-Erzegovina), EUNAVFOR Atalanta (Corno d’Africa), EUTM Somalia, EUTM Mali, EUTM RCA, EUNAV-
L’UE si è dotata di un nuovo strumento finanziario che dovrà coprire e sostenere tutte le sue azioni esterne che hanno implicazioni militari o di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il Consiglio europeo ha istituito l’European Peace Facility (EPF), un fondo fuori bilancio del valore di circa 5 miliardi di euro per il periodo 2021-27, da finanziare attraverso i contributi degli Stati membri dell’UE. L’obiettivo finale dell’EPF è migliorare la capacità dell’UE di prevenire i conflitti, preservare la pace e rafforzare la stabilità e la sicurezza internazionali. Lo farà consentendo all’Unione di aiutare meglio i paesi partner, so-
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IRINI, operazione della forza navale dell’Unione europea nel Mediterraneo, lanciata il 31 marzo 2020 con l’obiettivo di far rispettare l’embargo sulle armi, da parte delle Nazioni unite, alla Libia, a causa della seconda guerra civile libica (operationirini.eu). Nella pagina precendente: il logo dell’EUNAVFOR Somalia - operazione Atalanta, missione diplomaticomilitare dell’Unione europea per prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima lungo le coste degli Stati del Corno d’Africa.
FOR MED Irini. La piattaforma ATHENA ha già permesso all’UE di condurre l’AMIS 2 (Sudan) (luglio 2005-dicembre 2007), EUFOR RDC (giugno 2006-novembre 2006), EUFOR TChad/RCA (gennaio 2008marzo 2009), EUFOR Libia (aprile 2011-novembre 2011), EUFOR RCA (febbraio 2014-marzo 2015), EUMAM RCA (gennaio 2015-luglio 2016), EUNAVFOR MED Sophia (15 maggio 2015-31 marzo 2020). Questa importante architettura sarà sostituita dall’EPF, la cui parte operativa rimarrà incorporata nel Consiglio. Fino a ora, il sostegno dell’UE poteva essere fornito solo alle operazioni di pace guidate dall’Africa, ovvero operazioni guidate dall’Unione africana o da organizzazioni regionali africane. Ciò è stato ottenuto attraverso l’African Peace Facility (AFP). L’EPF supererà questa lacuna e amplierà la portata geografica dell’intervento UE, poiché sarà ora in grado di contribuire al finanziamento di operazioni di sostegno militare alla pace e misure di assistenza per i nostri partner in qualsiasi parte del mondo.
Turchia-Cina: un’amicizia in pericolo, che forse non è mai esistita Il 6 aprile scorso, la Turchia ha convocato l’ambasciatore cinese ad Ankara dopo che la sua ambasciata ha dichiarato di avere «il diritto di rispondere» ai leader dell’opposizione turca che hanno criticato il trattamento della Cina nei confronti dei musulmani uiguri quando hanno rilasciato dichiarazioni riferite alle violenze di trent’anni fa. I politici, il leader del partito IYI, Meral Aksener e il sindaco di Ankara, Mansur Yavas, della principale opposizione CHP, avevano celebrato quello
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che hanno definito il 31o anniversario di una breve rivolta degli uiguri contro il governo nell’estremo ovest della Cina. «Non rimarremo in silenzio sulla loro persecuzione» e sul martirio, ha twittato Aksener. Yavas aveva detto: «sentiamo ancora il dolore del massacro» del 1990. L’ambasciatore Liu Shaobin, come suaccennato, è stato convocato al ministero dopo che la sua ambasciata ha rilasciato una dichiarazione su Twitter in cui denunciava i commenti. «La parte cinese si oppone con determinazione a qualsiasi persona di potere che in qualche modo sfidi la sovranità e l’integrità territoriale della Cina e lo condanna fermamente», aggiungendo che «la parte cinese si riserva il diritto legittimo di rispondere». La vicenda rappresenta come il sogno panturanico della Turchia e delle buone relazioni con Pechino fossero ben poca cosa e che il presidente Erdogan, stia iniziando il riposizionamento filoccidentale a seguito del consolidamento della amministrazione Biden e delle sue sempre più dure posizioni antirusse e anticinesi. Il tema è comunque vedere come questo riposizionamento turco si collocherà con gli altri scenari, dove Ankara ha buoni rapporti politici, economici e militari sia con Mosca sia con Pechino, dalla Libia alla Siria, dall’Iran e il Golfo allo Yemen. Anche questo brusco scontro con Pechino non deve fare dimenticare che la strategia di Erdogan è di mantenere un solido controllo interno e la tutela delle popolazioni islamiche del Sinkiang/Turkhestan orientale (come gli indipendentisti locali chiamano quel territorio) è strumentale al tenere agganciati a sé i partiti della coalizione presidenziale che si richiamano ad antiche glorie che risalgono a tempi leggendari. Gli Stati Uniti hanno affermato a gennaio scorso che la Cina ha commesso «genocidio e crimini contro l’umanità» reprimendo gli uiguri. Molti dei 40.000 uiguri in Turchia hanno criticato l’approccio del governo turco con la Cina per aver approvato un trattato di estradizione a dicembre 2020, e temono che questo possa portarli a essere rimandati in Cina per affrontare il sistema giudiziario e penitenziario locale. Centinaia di persone hanno protestato mentre il ministro degli Esteri cinese ha visitato Ankara il mese scorso e i politici Aksener e Yavas sono visti come potenziali rivali del presidente Erdogan nelle prossime elezioni previste per il 2023. Enrico Magnani
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ARGENTINA Consegnato il secondo OPV classe «Bouchard» Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso il porto di Concarneau, Naval Group quale capocommessa, ha consegnato alla Marina argentina il secondo pattugliatore d’altura tipo «OPV 87» che ha ricevuto il nome Piedrabuena (52). Si tratta della prima di tre unità la cui costruzione è stata assegnata da Naval Group, alla joint-venture Kership fra i cantieri Piriou e lo stesso gruppo cantieristico francese, dopo che quest’ultimo ha consegnato, nel dicembre 2019, l’unità capoclasse ex-L’Adroit ammodernata. Quest’ultima è stata in servizio con la Marina francese dal 2011 al 2018. Il pattugliatore Piedrabuena è stato realizzato dai cantieri Piriou di Concarneau e rappresenta il primo «OPV 87» di nuova produzione consegnato alla Marina argentina e basato sul progetto del capoclasse con specifiche adattate alle operazioni alle basse latitudini dell’Atlantico meridionale. Con un dislocamento a pieno carico di 1.650 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 87 e 14 metri, l’«OPV 87» si caratterizza per un’estesa autonomia e buone capacità di tenuta al mare, una visibilità a 360° dalla plancia e un unico albero integrato che alloggia sotto un radome conico un radar da sorveglianza di superficie e aerea, una zona poppiera con due stazioni di lancio e recupero in tempi ridotti di altrettanti battelli veloci a chiglia rigida da 9 metri nonché un ponte di volo in grado di accogliere un elicottero da 10 t e un hangar per ricoverare un velivolo ad ala rotante da 5 t. Contraddistinto da una piattaforma con scafo rinforzato per operare nelle fredde acque caratterizzate da formazioni di ghiaccio dell’Atlantico meridionale e del Mar Antartico, un sistema di stabilizzazione attiva e un thruster prodiero, l’«OPV 87» dispone di un sistema propulsivo in grado di assicurare una velocità massima di oltre 20 nodi e un’autonomia di oltre 7.000 mn a velocità economiche nonché un’autonomia di missione di tre settimane. Con un equipaggio di circa 45 elementi e alloggi ulteriori per un totale di 59 persone, l’«OPV 87» dispone di sistema di comando e controllo rappresentato dalla suite «Polaris», fornita da Naval Group, che gestisce un pacchetto di sensori comprendente un radar da sorveglianza aeronavale «Scanter», radar di navigazione e sistemi per le comunicazioni non-
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Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso il porto di Concarneau, Naval Group ha consegnato alla Marina argentina il secondo pattugliatore d’altura tipo «OPV 87», che ha ricevuto il nome PIEDRABUENA (52) (Naval Group).
ché l’armamento rappresentato da un affusto a controllo remoto «Marlin WS» con cannone da 30 mm fornito da Leonardo. Le altre due unità realizzate presso i cantieri di Lanester vicino a Lorient dalla joint-venture Kership e in fase di allestimento presso i cantieri Piriou di Concarneau, sono destinate a essere consegnate alla Marina argentina nell’ottobre 2021 e aprile 2022.
AUSTRALIA Ritirato dal servizio il primo pattugliatore classe «Armidale» Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di Darwin lo scorso 29 marzo, il primo dei pattugliatori della classe «Armidale» da 56,8 metri è stato ritirato dal servizio. Si tratta dell’unità Pirie (II) (P 87), entrata in
Il primo dei pattugliatori della classe «Armidale» da 56,8 metri è stato ritirato dal servizio dalla Royal Australian Navy lo scorso 29 marzo. Si tratta dell’unità PIRIE (II) (P 87) - (Dipartimento della Difesa australiano).
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linea nel 2006, che ha solcato i mari intorno all’Australia, totalizzando oltre 426.000 mn. Le unità delle classi «Armidale» e «Cape» sono destinate a essere rimpiazzate dalle nuove unità più grandi e capaci della classe «Arafura», che entreranno in servizio fra il 2022 e il 2030.
CANADA Sistemi Leonardo ed MBDA per le future fregate A seguito della pubblicazione da parte del Dipartimento della Difesa (DoD) canadese di una scheda sulle future fregate multiruolo destinate a essere sviluppate nell’ambito del programma SCS (Canadian Surface Combatant), con cui la Royal Canadian Navy ha divulgato le prime informazioni sulle caratteristiche e capacità delle nuove unità, ulteriori contratti sono stati assegnati per completarne l’armamento. Al termine di un’agguerrita gara internazionale, Leonardo ha annunciato il 22 aprile di aver ricevuto un contratto dalla capocommessa Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema d’arma «OTO 127/64 LightWeight (LW) Vulcano» quale sistema cannoniero principale delle nuove unità. Secondo quanto annunciato, Leonardo fornirà una prima tranche di quattro sistemi completi di piattaforma automatica di alimentazione munizionamento, di cui tre destinati all’installazione sulle prime tre unità della classe e il rimanente per l’addestramento a terra. Si tratta di un primo lotto cui seguiranno altri per equipaggiare l’intera classe, assicurando al tempo stesso il coinvolgimento dell’industria locale della Difesa e della sua supply chain grazie alla Industrial and Technological Benefits (ITB) Policy della Difesa canadese. Quest’ultima richiede una serie di ritorni in termini di occupazione, innovazione, crescita economica nel paese a fronte di appalti vinti nello specifico settore. In questo contesto è prevista la partecipazione dello stabilimento di Leonardo DRS a Ottawa per la produzione di alcuni componenti dei sistemi. Leonardo investirà anche nello sviluppo delle piccole e medie imprese locali, coinvolgendo potenziali aziende partner presenti in Ontario e nelle province atlantiche. L’azienda sta inoltre lavorando alla definizione di collaborazioni con università e centri di ricerca, andando a creare una filiera che assicurerà il supporto in servizio e logistico nonché eventuali customizzazioni. Il sistema è stato concepito e sviluppato per l’impiego delle
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munizioni «Vulcano» da 127 mm di Leonardo, sia nella versione Guided Long Range (GLR) che in quella Ballistic Extended Range (BER). Queste ultime, unitamente alle munizioni convenzionali, possono essere gestite a bordo in modo completamente automatico senza l’intervento di operatori, grazie al sistema AAHS (Automatic Ammunition Handling System) di alimentazione automatica del sistema. Il Canada diventa quindi il settimo cliente del sistema, che risulta in servizio o acquistato da Algeria, Egitto, Germania, Olanda, Spagna e Italia. A distanza di poche settimane, il gruppo MBDA ha annunciato di aver ricevuto un contratto sempre da Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema missilistico «Sea Ceptor», di
Leonardo ha annunciato, il 22 aprile, di aver ricevuto un contratto dalla capocommessa Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema d’arma «OTO 127/64 LightWeight (LW) Vulcano» per le future fregate canadesi. Queste ultime utilizzeranno anche il sistema missilistico Sea Ceptor di MBDA, che ha annunciato l’assegnazione di un apposito contratto di fornitura (Leonardo).
cui il DoD canadese aveva già evidenziato la selezione con la pubblicazione della scheda sopra citata. Destinato a impiegare il sistema missilistico CAMM (Common AntiAir Modular Missile), il sistema «Sea Ceptor» è destinato ad assicurare la difesa ravvicinata (CIADS, Close-In Air Defence System) delle nuove fregate multiruolo. Caratterizzato da tempi di risposta estremamente contenuti e un’elevata cadenza di fuoco nonché soluzioni tecniche quali il sistema SVL (Soft Vertical Launch), il vettoriamento della spinta e sistema di guida radar attivo con data link per aggiornamento dati bersaglio in volo, che consentono una copertura a 360° ed elevate prestazioni a distanza ravvicinata, il sistema «Sea Ceptor» sarà integrato con il
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«Combat Management System 330» («CMS 330») di Lockheed Martin Canada come parte di una capacità di difesa aerea multilivello. Secondo quanto dichiarato, le nuove unità non disporranno di lanciatori dedicati, ma i missili CAMM nel loro canister troveranno alloggio in numero di quattro esemplari nel lanciatore quadruplo ExLS (Extensible Launcher System) di Lockeed Martin, che fa parte della famiglia di sistemi di lancio verticali «Mk 41». Anche il contratto siglato da MBDA porterà in Canada investimenti significativi da parte del gruppo europeo, in particolare con il coinvolgimento locale in termini di ricerca e sviluppo su un’ampia gamma di tecnologie, come intelligenza artificiale, sicurezza informatica e materiali avanzati. Il programma CSC rafforzerà ulteriormente la partnership tra MBDA e Lockheed Martin Canada, che ha già visto il sistema «Sea Ceptor» integrato con il CMS 330 per le Marine neozelandese e cilena.
CINA Tre unità maggiori consegnate insieme La consegna di tre unità maggiori alla Marina della Repubblica Popolare cinese con un’unica cerimonia in occasione del 72° anniversario della costituzione della PLAN (People’s Liberation Army Navy) è stata celebrata alla presenza del presidente Xi Jinping il 23 aprile presso la base navale di Sanya (isola di Hainan). Si tratta del caccia «Tipo 055» Dalian (105) o classe «Renhai» secondo la denominazione NATO, terzo della propria classe e seconda unità a essere consegnata quest’anno, dell’unità LHD capoclasse Hainan (31) del «Tipo 075» e del sottomarino lancia missili balistici a propulsione nucleare (SSBN) «Tipo 094» Changzheng (Long March) 18, che ha ricevuto il distintivo ottico «421».
dell’Esercito della Repubblica Popolare cinese — è abbastanza lungo da ospitare una portaerei. «La base cinese [a Gibuti] si sta trasformando in una piattaforma per proiettare potenza attraverso il continente e le sue acque» e che «la Cina sta cercando altre opportunità di basi [intorno all’Africa]», confermando le preoccupazioni del governo e del congresso americano per tali sviluppi. Per la Cina, Gibuti continuerà a fungere da importante porta d’accesso all’Africa orientale. Prima base militare all’estero cinese, l’infrastruttura militare di Gibuti è utilizzata dalla Marina della Repubblica Popolare cinese per condurre operazioni antipirateria nelle acque del Mar Rosso, il Golfo di Aden e lo stretto di Bab-el-Mandeb. Operativa dal 2017, la base cinese di Gibuti si trova nella stessa area del porto multiuso di Doraleh, finanziato, progettato e costruito dalla Cina con un investimento di 590 milioni di dollari, e a distanza di pochi chilometri delle basi dei paesi occidentali, come quella americana di Camp Lemonnier (a circa 7 km) ma anche l’aeroporto di Chabelly nonché la base italiana e francese. La base cinese di Gibuti nella sua forma attuale fornisce «rifornimenti, logistica e supporto dell’intelligence», piuttosto che ospitare capacità di combattimento reali ma, con le strutture che sono state costruite, la situazione potrebbe facilmente cambiare. Secondo quanto riportato dalla rivista Forbes nel maggio 2020, «i lavori principali su un molo di 341 metri sembrano essere stati completati alla fine dello scorso anno. Questo è sufficiente per ospitare le nuove portaerei cinesi, le portaerei d’assalto o altre grandi navi da guerra. Potrebbe facilmente ospitare quattro sottomarini d’attacco a propulsione nucleare della Cina, se necessario».
Espansione cinese a Gibuti
COREA DEL SUD Varo della quinta unità classe «Daegu»
La Cina sta espandendo ulteriormente il proprio potere politico-economico-militare sull’Africa e sui mari intorno a essa. Nel corso dell’audizione tenutasi il 20 aprile davanti all’Armed Services Committee della Camera dei Deputati del Congresso americano, il Comandante in capo dell’US Africa Command (AFRICOM), il generale Stephen Townsend, ha testimoniato che un’infrastruttura portuale recentemente completata presso la base navale cinese a Gibuti — ufficialmente la base di supporto
Il gruppo cantieristico sudcoreano DSME (Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering) ha ufficialmente varato la quinta unità della classe «Daegu tipo FFX Batch II» per la Marina della Corea del Sud. Si tratta dell’unità Daejeon (FFG 823) il cui varo è avvenuto presso i cantieri Okpo di DSME e la cui entrata in servizio è prevista per la fine del 2022. Un totale di otto unità è previsto per la classe «Incheon Batch II» o «FFG II», che vengono costruite presso i cantieri dei gruppi Hyun-
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dai Heavy Industries e DSME. Finora sono entrate in servizio le unità Daegu (819) e Gyeongnam (820) della classe, rispettivamente nel marzo 2018 e gennaio di quest’anno, mentre la terza e la quarta, rispettivamente battezzate Seoul (821) e Donghae (822) sono state varate nel novembre 2019 e aprile 2020. Con un dislocamento di 3.593 t a p.c., una lunghezza e larghezza rispettivamente di 122 e 14 metri e un apparato propulsivo in configurazione CODLOG (Combined Diesel-Electric or Gas) con una turbina a gas Rolls-Royce «MT-30», quattro diesel generatori Rolls-Royce MTU «12V4000 M53B» e due motori elettrici a magneti permanenti Leonardo DRS montati sui due assi, il tutto gestito da un sistema di controllo Hanwha Systems/Fincantieri Seastema, in grado di assicurare una velocità massima di 30 nodi e un’autonomia di 4.500 mn a velocità di crociera. Queste unità dispongono di un ponte di volo e hangar in grado di accogliere un elicottero da 10 t, nel caso della Marina sudcoreana, un elicottero Leonardo «Super Lynx 300» e «AW-159 Wildcat» o «MH-60R» e «KAI KUH-1 Surion». Con un equipaggio di 140 elementi, il sistema di combattimento è incentrato sul sistema di comando e controllo Hanwha Systems «Naval Shield» ICMS (Integrated Combat Management System). La suite sensoristica e di gestione dell’armamento comprende un radar di sorveglianza aerea 3D «SPS-550K», una suite di controllo del fuoco con sistema radar «SPG540K», un sistema di sorveglianza elettro-ottica «SAQ540K» e IRST «SAQ-600K»; una suite EW integrata LIG Nex1 «SLQ-200(V)K Sonata» nonché sistemi per lancio inganni «MASS». La suite ASW comprende un radar a scafo «SQS-240K» e una cortina trainata «SQR250K», cui s’aggiunge un sistema anti-siluro «SLQ261K». L’armamento è incentrato su un complesso di lancio verticale a 16 celle «K-VLS» per missili superficie-aria «K-SAAM» (4 per lanciatore), missili superficie-superficie a lunga portata «Haeryong SSM-701 Sea Dragon VL-Tactical Land Attack Missile» e sistemi ASW «Hong Sang», nonché otto lanciatori per missili antinave «SSM-700K Haeseong» e due lanciatori trinati «K-745» per siluri leggeri «Blue Shark». L’armamento cannoniero comprende un sistema «Mk 45 Mod 4» da 127/62 mm e un sistema per la difesa ravvicinata «Phalanx Block 1B» da 20 mm.
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EGITTO Entra in servizio la fregata Bernees (FFG 1003) Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso la base navale di Alessandria d’Egitto, alla presenza delle massime autorità militari egiziane, compreso il Capo di Stato Maggiore della Marina egiziana, generale Ahmed Khaled, è stata ufficialmente immessa in servizio la fregata Bernees (FFG 1003). Si tratta della seconda delle due fregate classe «Bergamini» (ex-Emilio Bianchi) tipo FREMM trasferite al ministero della Difesa egiziano nell’ambito di un contratto di compravendita che ha ottenuto il via libera all’esportazione dal governo italiano nell’agosto 2020, consegnata alla Marina del paese del Medio Oriente lo scorso febbraio,
Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso la base navale di Alessandria d’Egitto, alla presenza delle massime autorità militari egiziane, compreso il Capo di Stato Maggiore della Marina egiziana, generale Ahmed Khaled, è stata ufficialmente immessa in servizio la fregata BERNEES (FFG 1003) (Ministero della Difesa egiziano).
con una cerimonia riservata presso il cantiere navale del Muggiano di Fincantieri. Il passaggio di consegne è stato preceduto dalle attività di familiarizzazione/supporto del personale realizzato in Egitto e in Italia. L’arrivo e l’entrata in servizio sono stati celebrati da un’accoglienza resa da una piccola flotta di unità navali di ultima generazione e una cerimonia nel corso della quale il generale Khaled, ha dichiarato che «la nuova fregata amplierà la deterrenza egiziana, rafforzerà la sicurezza e la stabilità nella regione, proteggerà la pace, salvaguarderà le rotte di navigazione marittima alla luce delle ostilità e delle sfide che la regione sta affrontando».
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FRANCIA Consegnata la prima unità FREMM per la difesa aerea Con una cerimonia tenutasi il 16 aprile presso la base navale di Tolone, alla presenza del ministro della Difesa francese Florence Parly, è stata celebrata la consegna della fregata Alsace (D 656), settima unità della classe «Aquitaine» tipo FREMM e prima con capacità di difesa aerea potenziate, denominata FREMM DA (Défense Aérienne). Sviluppata e costruita da Naval Group nell’ambito del programma congiunto italo-francese FREMM gestito dall’agenzia OCCAR (Organisation Conjointe de Coopèration en matière de programmes d’Armement) a nome e per conto delle Direzioni armamenti dei ministeri
Alla presenza del Ministro della Difesa francese Florence Parly, presso la base navale di Tolone è stata celebrata la consegna della fregata ALSACE (D 656), settima unità della classe «Aquitaine» tipo FREMM e prima con capacità di difesa aerea potenziate, denominata FREMM DA (Défense Aérienne) - (Naval Group).
della Difesa francese e italiana, la fregata Alsace è stata impostata nel febbraio 2018, varata nell’aprile 2019 e condotto le prime prove in mare soltanto nell’ottobre 2020 a causa della pandemia, ma grazie a un grande sforzo da parte dell’industria, della Difesa e di OCCAR è stata consegna nei termini contrattuali. Per portare a termine la sua principale missione AAW, oltre alle operazioni ASW e ASuW che rimarranno invariate rispetto alle fregate in versione ASW, le due unità FREMM DA si differenziano principalmente dalla precedente FREMM ASW per un sistema di gestione del combattimento più capace, un radar e sistema missilistico di difesa aerea po-
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tenziato, nonché un equipaggio adeguato alla nuova missione. Per difendere uno spazio aereo più ampio attorno ai gruppi navali protetti e basati su portaerei o portaelicotteri anfibie, il radar multifunzione Thales «Herakles», già installato sulla variante FREMM ASW, è stato potenziato per fornire maggiore potenza e distanze di sorveglianza e rilevamento maggiorate. Inoltre, l’albero delle comunicazioni è stato ridisegnato con un corpo centrale più piccolo per ottimizzare le prestazioni di rilevamento radar. La capacità di ingaggio del sistema missilistico di difesa aerea MBDA è stata migliorata con la combinazione di munizioni «Aster 15» e «Aster 30» e l’adozione di quattro VLS Naval Group «A 50» a 8 celle per un totale di 32 munizioni. Le piattaforme FREMM ASW sono equipaggiate con due «A 43» a 8 celle (Aquitaine, Provence, Languedoc e Auvergne) o «A50» (Bretagne e Normandie) per «Aster 15» e «Aster 30» (le ultime due FREMM ASW) e due «A70» VLS a 8 celle per l’MBDA MdCN (Missile de Croisière Naval). Questi ultimi non sono stati installati insieme ai lanciatori a bordo delle FREMM DA a causa della loro missione AAW primaria. A questi s’aggiunge una nuova direzione del tiro radar/elettrottica di ultima generazione Thales Nederland «STIR 1.2 EO Mk2» che andrà a rimpiazzare l’attuale elettrottica anche sulle unità già in servizio. Inoltre, grazie al concetto Veille Coopérative Navale (VCN), in fase di sviluppo per la Marina francese, analogamente alla US Cooperative Engagement Capability (CEC), le piattaforme potranno sparare su un bersaglio rilevato e tracciato da un’altra piattaforma, consentendo loro di far parte di una più ampia rete di difesa aerea e potenzialmente dell’architettura di difesa dai missili balistici (BMD). Una suite di comunicazioni migliorata fa anche parte dei nuovi requisiti della missione, per gestire meglio il traffico aereo e le risorse di difesa aerea. Inoltre, poiché il sistema di informazione e comando «SIC 21» della Marina francese sarà sostituito dal SIA (Système d’Information des Armées), la seconda FREMM DA sarà la prima nave a essere equipaggiata con la suite SATCOM «Syracuse IV» con diverse antenne e potenziata capacità che sostituiranno l’attuale «Syracuse III». Il tutto sarà gestito dal CMS SETIS modificato, fornito da Naval Group, che oltre alle funzionalità e al modulo di difesa aerea, vedrà un Centro Operativo di Comando (COC) riorga-
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nizzato per far fronte ai requisiti di gestione delle missioni di difesa aerea. Gli attuali due semicerchi con quindici consolle operatori verranno ampliati per introdurre tre ulteriori consolle, portando il numero complessivo delle consolle installate a bordo a 20 unità. Gli alloggi per il personale saliranno a 165, rispetto ai 145 della FREMM ASW, con 120 membri dell’equipaggio (vs 109) e il restante La DGA ha notificato alle società Naval Group ed Airbus Helicopters un contratto per la fornitura di un secondo prototipo di velivolo senza pilota a decollo ed atterraggio verticale «VSR 700» dedicato al distaccamento del volo (circa nell’ambito del programma SDAM (Système de Drone Aèrien pour la Marine) - (Airbus Helicopters). pagina accanto: il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare della classe «Astute», 15 persone) e altre operazioni (fanteria Nella ANSON, è stato ufficialmente varato presso il cantiere di Barrow-in-Furness (Cumbria) di BAE navale, forze speciali, personale di ban- Systems, lo scorso aprile (BAE Systems). diera). Ciò ha richiesto di riorganizzare le 100 kg, con un’autonomia di 10 ore e di 185 km, lo aree di alloggio e di introdurre cabine a sei letti. SDAM è destinato, con i sensori ottici e radar imbarcati, a individuare, identificare e classificare minacce Contratto per nuovo dimostratore SDAM e comportamenti anomali, secondo quanto riportato La DGA ha notificato alle società Naval Group e dalla DGA. L’anticipazione dell’ordine per il seAirbus Helicopters un contratto per la realizzazione condo dimostratore SDAM consentirà di condurre e fornitura di un secondo prototipo di velivolo senza una valutazione tecnico-operativo della durata di 18 pilota a decollo e atterraggio verticale (VTOL, Vermesi a partire dal 2024, affinché il sistema possa ultical Take-Off Landing) «VSR 700» nell’ambito del teriormente maturare. Per questo contratto, Naval programma SDAM (Système de Drone Aèrien pour Group e Airbus Helicopters si affidano a una parla Marine). Quest’ultimo è destinato allo sviluppo di tnership con la compagnia Guimbal Helicopters per un sistema senza pilota VTOL devoluto ad affiancare adattare il suo elicottero leggero biposto «Cabri G2» le macchine pilotate ed equipaggiare le unità navali alle esigenze militari e all’ambiente marino. Secondo dotate di ponte di volo, con lo scopo di incrementare quanto previsto dalla Legge di Programmazione mila loro efficienza operativa aumentando allo stesso litare francese, il ministero della Difesa intende actempo la padronanza della situazione tattica. Nel quistare 15 sistemi SDAM con consegne a partire dal 2017, la DGA ha notificato un contratto ad Airbus 2028, per l’impiego da bordo delle nuove fregate Helicopters e Naval Group per la realizzazione del FDI (Frégates de défense et d’intervention) e le atprimo prototipo con l’obiettivo di realizzare una tuali FREMM. campagna di test in mare su una FREMM nel 2022. Tale campagna è destinata a validare le capacità d’appontaggio e decollo in automatico del sistema GRAN BRETAGNA «VSR 700» che peserà tra i 700 e gli 800 kg. SeVaro del quinto SSN classe «Astute» condo quanto riportato dalla DGA, lo SDAM avrà Il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare una lunghezza e un rotore con un diametro rispettidella classe «Astute» è stato ufficialmente varato vamente di 6,2 e 7,2 metri, nonché un’altezza di 2,3 presso il cantiere di Barrow-in-Furness (Cumbria) di m, e una capacità in termini di velocità di crociera BAE Systems lo scorso 21 aprile, con il trasferimento pari a 90 nodi e altitudine massima d’impiego di dal capannone di costruzione e assemblaggio alla piatquasi 5.000 m. Progettato per effettuare decolli e attaforma Sincrolift e successivamente messo in acqua il terraggi in modalità automatica con mare forza 5 e 18 maggio. Battezzato lo scorso dicembre, l’Anson è trasportare due carichi utili per un totale massimo di destinato a effettuare le prime prove a mare nel 2022.
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Il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare della classe «Astute», ANSON, è stato ufficialmente varato presso il cantiere di Barrow-inFurness (Cumbria) di BAE Systems lo scorso aprile (BAE Systems).
L’UK Carrier Strike Group pronto per il primo dispiegamento Lo scorso 26 aprile, il segretario di Stato britannico Ben Wallace ha annunciato che il nuovo Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei convenzionale per velivoli a decollo corto e atterraggio verticale Queen Elizabeth (R 08) e comprendente velivoli e unità navali dell’US Navy e della Marina olandese, partirà per fine maggio per un dispiegamento operativo della durata di 28 settimane in Estremo Oriente, dove visiterà oltre 40 nazioni fra cui India, Giappone, Corea del Sud e Singapore. Nel corso del dispiegamento condurrà attività con forze aeronavali della Repubblica di Singapore, sudcoreane, giapponesi e indiane nell’ambito del nuovo focus nazionale verso la regione Indo-Pacifica, come riportato nel documento Integrated Review per la policy estera, difesa, sicurezza e sviluppo, recentemente presentato in parlamento. Il nuovo focus verso questa regione porterà a stringere relazioni più strette con i paesi locali e assicurare una presenza più pregnante. È prevista la partecipazione del CSG alle esercitazioni Bersama Lima nel corso della quale verrà celebrato il 50° anniversario del Five Powers Defence Agreement fra Malesia, Singapore, Australia, Nuova Zelanda e UK. Nel transito attraverso il Mediterraneo, il CSG 21 svolgerà attività unitamente al gruppo aeronavale francese incentrato sulla portaerei Charles
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de Gaulle mentre opererà insieme a forze navali e aeree di Australia, Canada, Corea del Sud, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Grecia, Israele, India, Italia, Nuova Zelanda, Oman e Turchia nel corso dell’intero dispiegamento. L’UK Carrier Strike Group comprende, in aggiunta alla portaerei Queen Elizabeth, i due caccia lanciamissili per la difesa antiaerea della Royal Navy, Diamond (D 34) Defender (D 36) della classe «Daring» nonché il caccia lanciamissili Sullivans (DDG 68) classe «Arleigh Burke» dell’US Navy, le fregate «Type 23» antisom Kent (F 78) e Richmond (F 239) classe «City» della RN ed Evertsen (F 805) classe «De Zeven Provincien» della Marina olandese, cui s’aggiungono le unità Tidespring (A 136) e Fort Victoria (A 387) della Royal Fleet Auxiliary che ne assicuravano il supporto e rifornimento. A ulteriore protezione e supporto del gruppo anche un SSN classe «Astute» equipaggiato con missili da crociera «Tomahawk». Il CSG 21 disporrà di un gruppo aereo imbarcato sulla portaerei Queen Elizabeth che comprende 8 «F-35B» del No. 617 Squadron «Dambusters» della Royal Air Force e 10 «F-35B» del Marine Fighter Attack Squadron (VFMA) 211 «Wake Islands Avengers» dell’USMC, cui s’aggiungono sette elicotteri «Merlin HMA.2» del 820 Naval Air Squadron (NAS) di cui tre in versione da scoperta aerea lontana (AEW, Airborne Early Warning) «Crowsnet» e quattro in versione antisom, unitamente a tre elicotteri «Merlin HC4/4A» in versione d’assalto anfibio, nonché quattro elicotteri navali d’attacco Leonardo «Wildcat HMA.2» imbarcati sulle unità di scorta — il più alto numero di macchine ad ala Il nuovo Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei convenzionale per velivoli STOVL QUEEN ELIZABETH (R 08) e comprendente velivoli e unità navali dell’US Navy e della Marina olandese partirà per fine maggio per un dispiegamento operativo della durata di 28 settimane in Estremo Oriente (Royal Navy). In basso: le sezioni prodiera e poppiera della fregata capoclasse «Type 26 GLASGOW» sono state trasferite fuori dai capannoni del cantiere di Govan del gruppo BAE Systems e poste in posizione per procedere al loro congiungimento (BAE Systems).
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rotante assegnato a un singolo Task Group britannico nell’ultimo decennio. Per la difesa ravvicinata e la sicurezza in porto, la portaerei imbarcherà anche un distaccamento del 42 Commando Royal Marines. Alla componente aerea britannica s’aggiungono i velivoli americani sopra citati ed elicotteri «MH-60R» ed «NFH-90» imbarcati rispettivam ente sul caccia Sullivans e sull’unità olandese. Un gruppo con nove unità (dieci conteggiando il sottomarino), 32 fra caccia ed elicotteri e circa 3.700 fra marinai e aviatori di tre nazioni, che in preparazione finale del dispiegamento, ha preso parte all’esercitazione Strike Warrior ed Ex Steadfast Defender.
Procede la costruzione della capoclasse «Type 26» Le sezioni prodiera e poppiera della fregata capoclasse «Type 26 Glasgow» sono state trasferite fuori dai capannoni del cantiere di Govan del gruppo BAE Systems e poste in posizione per procedere al loro congiungimento. Nel frattempo, continua il lavoro sulla seconda unità, la fregata Cardiff mentre la terza (Belfast) inizierà la costruzione nel corso dell’anno.
INDONESIA Annuncio della perdita del sommergibile Nanggala (402) Nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 24 aprile, il Capo di Stato Maggiore delle Forze armate indonesiane, il generale Hadi Tjahjanto ha annunciato il ritrovamento del relitto del sommergibile Nanggala (402) e la triste perdita di tutto l’equipaggio, pari a 53 persone. Dopo l’annuncio ufficiale, il 21 aprile, che l’equipaggio del battello non aveva condotto il previsto collegamento radio mentre era in operazioni e si erano persi i contatti con il medesimo, era scattata un’estesa operazione di ricerca e salvataggio internazionale che ha visto l’allerta e il coinvolgimento di unità e velivoli delle Marine indonesiana, australiana, americana e di Singapore. Nel corso delle attività di ricerca e scandaglio delle acque in cui si presumeva operare il sommergibile perduto, l’unità di ricerca idrografica Rigel (933) della Marina indonesiana ha evidenziato un ritrovamento che un veicolo subacqueo a pilotaggio remoto lanciato dall’unità per il soccorso di sommergibili sinistrati MV Swift Rescue della Marina
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della Repubblica di Singapore ha successivamente confermato trattarsi dei resti del sommergibile perduto.
ISOLE SALOMONE Consegnato il pattugliatore Taro (06) Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Austal Australia a Henderson (Australia occidentale), rappresentanti del governo australiano hanno consegnato ad autorità del paese del Pacifico centrale il secondo pattugliatore classe «Guardian» da 39,5 metri. Si tratta dell’unità Taro (06), facente parte del programma di equipaggiamento navale denominato PPB-R (Pacific Patrol Boat Replacement) finanziato dal governo australiano nel 2016 per la costruzione e consegna di 21 unità da pattugliamento di ultima dotazione ai 12 paesi del Pacifico centrale.
ISRAELE Consegnata la seconda corvetta «Sa’ar 6» Thyssenkrupp Marine Systems ha consegnato la seconda corvetta della classe «Sa’ar 6» alla Marina israeliana nel corso di una cerimonia tenutasi presso i cantieri del gruppo tedesco lo scorso 4 maggio. Prima della consegna, l’unità è stata battezzata con il nome Oz, fino a ora mai assegnato a un’unità della Marina israeliana. Il gruppo TKMS ha fornito anche dettagli in ordine al programma, evidenziando che le altre unità verranno consegnate entro il 2021.
ITALIA Il Corpo Sanitario della Marina compie 160 anni Il 1° aprile 1861, il conte Camillo Benso di Cavour, presidente del Consiglio dei ministri e ministro della Marina, presentò a sua Maestà il Re un regolamento per dare un ordinamento unitario ai Corpi Sanitari delle flotte del Regno di Sardegna, delle Due Sicilie, Pontificio e del Gran Ducato di Toscana. A tale documento oggi ci si riferisce per l’istituzione dell’attuale Corpo Sanitario della Marina Militare, che con i propri medici, infermieri, farmacisti, odontoiatri, psicologi, biologi, veterinari e tecnici sanitari quotidianamente impegnati, specialmente in questo periodo di pandemia, per il raggiungimento della mission, mantengono in efficienza il sistema d’arma più importante della Forza armata, il personale. Da allora la
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storia del Corpo Sanitario della Marina Militare si è progressivamente arricchita degli esempi di molti valorosissimi professionisti che hanno contribuito in maniera determinante oltre che a delineare la struttura della sanità come la conosciamo oggi, ma soprattutto a dare lustro e prestigio all’istituzione e alla nazione. Non possiamo non ricordare, in questa occasione, Raffaele Paolucci, Bruno Falcomatà e Giulio Venticinque, le cui eroiche imprese sono da La fregata multimissione LUIGI RIZZO (F 595) partecipa all’attività di sorveglianza e antipirateria nelle acque antistanti l’Africa centro-occidentale, in corrispondenza principalmente del Golfo di Guinea. Nella pagina accanto: sempre fonte di ispirazione la nave d’assalto anfibio SAN GIUSTO (L 9894), quale flagship dell’ATF 621 (Amphibious Task Force 621) e sede Commander of the Amphibious Task Force (CATF) e del Commander of the Landing Force (CLF), ha preso parte e faro per i più giovani. del all’esercitazione a team anfibio Phibex 21-1 nel Tirreno meridionale e Canale di Sicilia. Negli ultimi anni è continuato in maniera intensa l’apporto professionale che, al ordinated Maritime Presence, volta a supportare il c.d. di là delle routinarie attività di istituto volte a garantire il «Approccio Integrato» dell’Unione alla stabilità e svisupporto alle attività operative e addestrative della Maluppo dell’area del Golfo di Guinea, nave Rizzo ha conrina, hanno visto protagonista il Corpo Sanitario militare dotto pattugliamento congiunto insieme alle altre marittimo; dal supporto sanitario a seguito del naufragio Marine europee presenti in area. Allo scopo di affinare di nave Concordia del 2012 alle instancabili attività l’addestramento, l’interoperabilità e le capacità di indell’operazione Mare nostrum che, in 376 giorni di attitervento, le unità coinvolte hanno dato vita alla prima vità ha fornito assistenza a oltre 155.000 migranti. Dal esercitazione multinazionale europea nel Golfo di Guiprogetto «Un mare di sorrisi» svolto in collaborazione nea. Nello specifico, l’attività addestrativa, ha dato con i medici volontari della fondazione Operation Smile prova della professionalità del personale imbarcato Italia Onlus ai trattamenti di ossigeno terapia iperbarica proveniente dai diversi paesi del Vecchio Continente. che il centro ospedaliero di Taranto assicura dal 2014 Di concerto con le donne e gli uomini di nave Rizzo, il alla popolazione civile pugliese, senza dimenticare l’imdispositivo navale ha visto il coinvolgimento degli pegno che vede tutti coinvolti nel supporto alle sanità reequipaggi dei pattugliatori Furor (P-46) classe «Megionali per il contrasto alla pandemia Covid-19 che da teoro» della Marina spagnola e Setubal (P 363) classe oltre un anno ha radicalmente cambiato le nostre vite. «Viana do Castelo» della Marina portoghese, nonché della portaelicotteri d’assalto Dixmude (L 9015) della Nave Rizzo (F 595) partecipa all’esercitazione Marina francese. Si è trattato dunque di un evento addestrativo avanzato, esaltato dall’impiego di team speEMS 21… cialistici, dalle manovre cinematiche ravvicinate e dalle Il 2 aprile scorso, si è conclusa a largo delle coste simulazioni di contrasto alle attività illecite in mare. del Ghana, l’European Maritime Security 21, esercitaL’obiettivo è di sviluppare un’operazione strutturata zione marittima quadri-laterale che ha visto la parteciche preveda attività di presenza e sorveglianza maritpazione delle Marine di Italia, Francia, Spagna e tima nelle aree di interesse, attraverso l’incremento Portogallo. Nel framework dell’iniziativa europea Co-
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delle attività di Capacity Building e di Security Force Assistance e con il coinvolgimento di partner multinazionali (NATO, UE, ONU e coalizioni multilaterali).
… e si addestra con la Marina togolese Verso la fine del mese di aprile, nave Rizzo ha ultimato un’esercitazione congiunta di antipirateria con la Marina togolese, nelle acque antistanti alle coste del paese africano. Nel corso dell’esercitazione è stata simulata un’operazione congiunta di contrasto alla pirateria con l’intervento di unità navali della locale Marina e l’unità italiana. Innescata la catena d’allarme da parte della centrale operativa di Lomé, a seguito della segnalazione di un’imbarcazione pirata (simulata dal battello a chiglia rigida che costituisce la dotazione organica di nave Rizzo), sono intervenuti tempestivamente sul posto la fregata italiana, il pattugliatore Oti (P 764) e un mezzo minore tattico della Marina togolese. Manovre cinematiche ravvicinate e simulazioni di attacchi asimmetrici di superficie sono stati gli elementi chiave di questa realistica attività addestrativa di «joint vessel interdiction» che si è conclusa con la prima sosta dell’unità italiana presso la base navale e il porto di Lomé. Questa preziosa occasione addestrativa si colloca nel più ampio contesto di cooperazione tra la Marina Militare e le Marine dei paesi rivieraschi del Golfo di Guinea, nuovo hotspot della pirateria mondiale. A conferma di ciò, lo scorso 23 aprile, si è verificato un attacco ai danni della M/N Contship New battente bandiera cipriota. Scongiurata la presenza di pirati a bordo e di feriti tra i membri dell’equipaggio, nave Rizzo, che al momento dell’evento era in pattugliamento a circa 350 mn di distanza, ha diretto le operazioni di supporto e scorta al mercantile verso il porto di Lomé. Una volta giunta nelle acque territoriali togolesi, la nave portacontainer è stata assistita dalle autorità locali fino all’ormeggio in porto.
Conclusasi l’operazione Phibex 21-1 La Squadra navale ha condotto a termine, alla fine del mese di aprile, l’esercitazione a tema anfibio Phibex 21-1, che ha visto le unità della Squadra condurre attività con l’ATF 621 (Amphibious Task Force 621) per 15 giorni consecutivi nel mar Tirreno meridionale
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e nel canale di Sardegna, per il mantenimento della capacità di proiezione di forze e potenza dal mare. La Phibex 21-1 è un’esercitazione pianificata e condotta dalla Squadra navale con la partecipazione dello Standing NATO Maritime Group 2, composto per l’occasione dalla fregata spagnola Mendez Nunez (F 104) (flagship della SNMG2) e dalla fregata turca Kemalreis (F 247). In totale 1.000 marinai tra uomini e donne, una nave da assalto anfibio, nave San Giusto (L 9894) flagship del gruppo navale e sede del Commander of the Amphibious Task Force (CATF) e del Commander of the Landing Force (CLF), una nave di supporto logistico, nave Stromboli (A 5327), 3 unità di scorta rappresentate dalla fregata multiruolo Marceglia (F 597) e le già citate Mendez Nunez e Ke-
malreis, la Landing Force costituita da un Battaglione d’Assalto della Brigata Marina San Marco, e 5 elicotteri imbarcati di cui 2 in versione eli assalto per la proiezione di truppe a terra. In altri termini un unicum expeditionary di più componenti che hanno operato in maniera integrata, sinergica e flessibile e in grado di muoversi e operare dal mare per proiettare forze, supporto tecnico-logistico e sanitario e capacità di comando e controllo. L’esercitazione Phibex 21-1 ha costituito una preziosa opportunità per garantire la prontezza e l’efficacia degli assetti della Marina Militare e la loro integrazione nei dispositivi internazionali.
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Nave Termoli (M 5555) partecipa all’esercitazione Ariadne 2021 Il cacciamine Termoli (M 5555) aggregato allo Standing NATO Mine CounterMeasure Group 2 (SNMCMG2), ha terminato l’esercitazione Ariadne 2021, svoltasi nelle acque antistanti al porto di Patrasso (Grecia), con l’obiettivo di addestrare e valutare l’interoperabilità tra le forze alleate in un ambiente multi-minaccia, con particolare attenzione al settore delle contromisure mine. Nel corso della medesima, nave Termoli è stata protagonista della localizzazione e identificazione di un residuato bellico della Seconda guerra mondiale rappresentato da una mina da fondo «Mk 25» successivamente fatta brillare in area non trafficata in acque greche da un cacciamine nazionale.
realizzati tra il 2018 e il 2019 da nave Magnaghi, unità maggiore idro-oceanografica della Marina Militare. Il consolidamento della neocostituita capacita di produzione cartografica libanese è stata resa più complessa a causa dalla deflagrazione dello scorso 4 agosto, che ha causato la distruzione di parte della strumentazione idrografica e cartografica già resa disponibile al servizio idrografico libanese. Nell’ambito dell’operazione Emergenza Cedri, a guida italiana, è stato inviato un team dell’Istituto idrografico della Marina Militare per supportare i colleghi libanesi a riacquisire la piena capacità idrografica e cartografica, consegnando parte della strumentazione andata distrutta ed effettuando una approfondita analisi dei danni ai locali dell’ente, attività portate a termine con la firma del 28 aprile.
Si consolida la collaborazione idrografica fra Italia e Libano
La Marina partecipa all’operazione NATO «Steadfat Cobalt 2021»
Il giorno 28 aprile 2021 è stato firmato l’annesso tecnico per la co-produzione cartografica da parte del Capo di Stato Maggiore della Marina libanese, captain commodore Haissam Dannaoui, e dal direttore dell’Istituto idrografico della Marina Militare, ammiraglio Massimiliano Nannini. L’accordo sancisce l’inizio della produzione del primo piano cartografico libanese e rafforza la storica cooperazione tra i due paesi, sugellata dalla firma, nel luglio 2020, del «Technical Arrangement tra i ministeri della Difesa italiano e libanese nel settore dell’idrografia, oceanografia e della cartografia nautica». Il Libano, entrato di recente quale membro dell’Organizzazione idrografica internazionale, non dispone ancora di una propria produzione di cartografia (cartacea e digitale). Le carte nautiche disponibili nell’area di pertinenza sono state sinora edite dagli enti cartografici di Francia e Regno Unito. Grazie al supporto dell’Istituto idrografico della Marina, il servizio idrografico libanese ha oggi predisposto la realizzazione del primo piano cartografico nazionale, che vedrà, come primo prodotto, la realizzazione delle carte «Port of Beirut» e «Approach to Beirut», indispensabili per l’avvicinamento e l’ingresso in sicurezza nel porto della capitale libanese. Tale importante risultato è stato possibile grazie anche al fatto che parte dei rilievi idrografici del fondale marino, impiegati per la produzione di queste due importanti carte nautiche, sono stati
Per tutto il mese di aprile, nella sede di Taranto, a bordo di nave Garibaldi, lo staff del Comando della Terza Divisione Navale (COMDINAV TRE), affiancato da un’aliquota di personale di nave Garibaldi (C 551), del Centro Periferico Telecomunicazioni ed Informatica di Taranto (MARITELE Taranto) e della Brigata Marina San Marco (BMSM), ha partecipato all’esercitazione NATO denominata «Steadfast Cobalt 2021». Organizzata annualmente dal Comando Supremo della NATO (SHAPE) e condotta dal NATO CIS Group (NCISG), si tratta della più grande esercitazione multinazionale di livello strategico, operativo e tattico nel settore delle telecomunicazioni e dell’Information Technology. L’edizione 2021 ha avuto lo scopo di valutare e validare l’interoperabilità dei servizi C4ISR (Command, Control, Communications, Computer, Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) in supporto agli Headquarters NATO facenti parte della NATO Response Force (NRF) 202122. Il Comando indicato a ricoprire il ruolo di Commander Amphibious Task Force (CATF) è proprio quello di COMDINAV TRE che lo eserciterà da bordo di nave Garibaldi, designata quale unità navale sede di Comando per l’esigenza. L’attività addestrativa ha registrato lo svolgimento di una lunga e articolata serie di test tecnici di comunicazione e di impiego di software operativi (oltre 700 in totale) che consentono di verificare le effet-
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tive capacità di supporto al Comando, CIS e di cyber defence del gruppo comando del CATF.
NIGERIA Consegnata la nave idrografica Lana (A 499) Il gruppo cantieristico OCEA ha consegnato la nave idrografica e da ricerca Lana alla Marina nigeriana nel corso di una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Les Sables D’Olonne il 19 aprile scorso alla presenza del ministro della Difesa nigeriano, il generale (in pensione) Bashir Magashi e il Capo di Stato Maggiore della Marina del paese centro-africano, ammiraglio Awwal Gambo. L’unità, che raggiungerà la Nigeria ed entrerà in servizio nel mese di maggio è basata sulla piattaforma del progetto «OSV 190 SC-WB» ed è destinata a svolgere un’ampia gamma di missioni, dall’attività oceano/idrografica al pattugliamento e protezione della pesca, dall’assistenza ad altre imbarcazioni alla protezione della Zona Economica Esclusiva (ZEE). Con una lunghezza di 60,1 metri e un’autonomia di 4.400 mn a 12 nodi o 20 giorni d’impiego, è in grado di raggiungere una velocità massima di 14 nodi con un equipaggio e personale specialistico per un totale di 50 unità, nonché spazi e attrezzature comprendenti echo-sounder multi e single-beam, side scan sonar, laboratori per analisi delle acque, fauna ittica e sedimenti grazie all’impiego di un’imbarcazione idrografica da 8 metri.
PAKISTAN Taglio lamiera per la terza corvetta classe «Jinnah» Con una cerimonia tenutasi il 6 maggio presso il cantiere INSY (Istanbul Naval Shipyard) a Istanbul in Turchia, è stata impostata la chiglia della terza corvetta classe «Jinnah». Si tratta del programma per quattro corvette tipo «MILGEM» customizzate secondo le richieste del ministero della Difesa pakistano e acquistate con il contratto siglato dal Pakistan National Defense Ministry Ammunition Production e il cantiere di Karachi con la società pubblica turca ASFAT nel luglio 2018. Il contratto prevede che due unità vengano realizzate presso il cantiere Karachi Shipyard & Engineering Works (KS&EW) pakistano e altre due da INSY in Turchia.
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RUSSIA Varo del sesto cacciamine classe «Alexandrit» Il cantiere Sredne-Nevsky ha varato l’unità Petr Ilyichev (543), sesto cacciamine della classe «Alexandrit Progetto 1270», il 16 aprile scorso, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione Russa, ammiraglio Nikolay Evmenov. Dopo il completamento dell’allestimento e delle prove in banchina e a mare, la consegna è prevista per fine 2021.
Consegnato l’SSGN Kazan (K 561) La componente subacquea della Marina della Federazione Russa compie un altro salto tecnologico e potenzia le proprie capacità con l’introduzione in servizio del primo battello «Progetto 08851 Yasen-M» (classe «Graney» secondo la nomenclatura NATO). Si tratta del Kazan (K 561), consegnato dai cantieri Sevmash alla Marina russa nel corso di una cerimonia tenutasi presso il cantiere di Severodvinsk, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Nikolai Evmenov e del Comandante in capo della Flotta del Nord, ammiraglio Alexander Moiseev. A seguito dell’adozione della nuova classe di battelli nucleari lanciamissili balistici (SSBN) «Progetto 995/995A» («Borei/Borei A») anche la componente di battelli nucleari lanciamissili da crociera (SSGN) è stata rivoluzionata con l’adozione delle piattaforme «Progetto 885/08851» («Yasen/Yasen M»). Sviluppato dal bureau di design navale Malakhit, il «Progetto 885» prende avvio nel 1997, con la costruzione del battello capoclasse nel dicembre 1993 ma, causa mancanza di fondi e altre priorità fra cui i battelli «Progetto 995» classe «Borei», il nuovo SSGN viene varato soltanto nel giugno 2010 e consegnato nel dicembre 2013. Si tratta di una classe di battelli rivoluzionaria rispetto al passato, tanto che nell’agosto 2009, il report sullo stato della Flotta della Marina russa pubblicato dall’US Office of Naval Intelligence, stima che il progetto sia il più silenzioso o meno rilevabile dei contemporanei battelli cinesi e russi, ma non abbastanza per raggiungere il livello dei battelli nucleari americani dello stesso periodo, classe «Seawolf» e «Virginia». Con un dislocamento in superficie e in immersione pari a, rispettivamente, 8.600 e 13.800 tonnellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 139,2 e 13 metri,
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la piattaforma del «Progetto 885» si caratterizza per l’adozione di un scafo unico resistente almeno per la parte prodiera e centrale dello scafo, un impianto propulsivo basato su di un reattore di quarta generazione «OK-650KPM» che avrebbe una vita pari a 25-30 anni, corrispondente a quella dello stesso sottomarino, nonché altri accorgimenti legati al sistema propulsivo atti a ridurre la segnatura acustica. A questi s’aggiungono una nuova suite elettro-acustica con un sonar prodiero sferico «MGK-600 Irtysh-Amfora» e un «array» laterale verticale di grandi dimensioni posto su entrambi i lati del battello subito dietro il sonar prodiero che porta a sistemare i dieci tubi lanciasiluri (cinque per lato) in forma più arretrata rispetto a quella tradizionale prodiera, all’altezza della zona prodiera della falsatorre, quest’ultima di significative dimensioni, come tutti i battelli russi. I tubi lanciasiluri da 533 mm sono anche posizionati per lanciare le armi di taglio rispetto alla prora del battello. La falsatorre comprende inoltre una sezione che si sgancia dal battello e funge da mezzo di salvataggio per l’intero equipaggio, direttamente integrata nelle forme esterne dell’isola e quindi senza limitazioni idrodinamiche della medesima. L’armamento missilistico è installato in 8 sistemi di lancio verticale o VLS in grado ciascuno di accogliere quattro missili antinave supersonici «3K55 Onyx», «P 160» («3M55») o «Kalibr» nelle versioni antinave e «land strike» per un totale di 32 missili, mentre i 10 tubi lanciasiluri hanno un magazzino per 30 armi, compreso siluri pesanti «UGST» e missili antinave. In aggiunta al sistema sonar «Irtysh-Amfora», la suite elettro-acustica comprende anche «array» laterali, verticali e orizzontali lungo lo scafo e una cortina trainata, mentre la nuova centrale di comando, controllo e comunicazioni dispone di un sistema di nuova generazione C2 e tiro «3Ts-30.0 Banknot» che consente, unitamente a una diffusa automazione dei sistemi di bordo, d’imbarcare un equipaggio pari a 84 elementi, secondo fonti russe. I lunghi tempi di gestazione del battello capoclasse Severodvinsk (K 560) hanno portato alla progettazione e costruzione di una versione migliorata denominata «Progetto 08851» («Yansen M»), dalla cui analisi del battello capoclasse Kazan, secondo quanto riportato dalla rivista russa Izvestia Daily a sua volta citata dall’agenzia russa TASS, presenterebbe una lunghezza ridotta di circa 10
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metri, un sistema propulsivo ulteriormente migliorato e una segnatura acustica complessiva ulteriormente ridotta. La sezione prodiera risulterebbe più affusolata e il sistema sonar non comprenderebbe più l’«array» verticale e la suite prodiera sferica, ma quest’ultima risulterebbe rimpiazzata da un complesso a «U» sempre prodiero che potrebbe derivare da quello installato sui nuovi battelli convenzionali russi. Il numero dei tubi lanciasiluri sarebbe diminuito a otto, posizionati leggermente più avanti rispetto alla falsatorre. Il complesso dei timoni poppieri presenta dimensioni maggiorate, così come la falsatorre presenta un pod di salvataggio di nuovo design che consentirebbe una sezione complessiva inferiore a quella della falsatorre del «Progetto 0885». A questi s’aggiungerebbe una suite di comando, controllo e comunicazioni ulteriormente migliorata, unitamente a sensori anch’essi nuovi o migliorati come nel caso della suite dei periscopi/mast d’osservazione/attacco e sistema per la sorveglianza elettronica, mentre l’automazione complessiva consentirebbe di ridurre l’equipaggio a 64 elementi, significativamente inferiore rispetto agli standard occidentali. La componente armamenti s’arricchirebbe del nuovo missile ipersonico «3K22 Zirkon» («3M22») che potenzierà ulteriormente le capacità dei nuovi SSGN, in attesa di nuove informazioni che consentano di verificare i dati finora emersi.
La componente subacquea della Marina della Federazione Russa compie un altro salto tecnologico e potenzia le proprie capacità con l’introduzione in servizio del primo SSGN «Progetto 08851 Yasen-M» KAZAN (K 561) (Malakhit).
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STATI UNITI La portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) completa il PDT&T La nuova portaerei capoclasse Gerald R. Ford (CVN 78) ha completato il periodo di test e verifiche post-consegna o PDT&T (Post-Delivery Test & Trails) di 18 mesi, culminato positivamente con le prove di qualificazione dei sistemi di combattimento della nave (CSSQT, Combat Systems Ship’s Qualifications Trials) a metà aprile. Dall’inizio del periodo PDT&T nell’ottobre 2019, la nave ha completato tutti i test richiesti, ha certificato il ponte di volo, ha imbarcato il gruppo di volo, ha portato a termine il lavoro prima del previsto e ha migliorato l’affidabilità del sistema grazie alle nuove tecnologie, operando allo stesso tempo come la principale piattaforma di qualificazione per aviatori navali della costa orientale. L’equipaggio della portaerei ha completato con successo le prove di qualificazione dei sistemi di combattimento o CSSQT, ingaggiando bersagli aerei, simulanti razzi e bersagli di superficie manovrieri ad alta velocità rispettivamente con missili superficie-aria «RAM», «ESSM» e il sistema per la difesa ravvicinata «Mk15 Phalanx». Nei 18 mesi del PDT&T, nel corso dei quali la portaerei di nuova generazione e il suo equipaggio sono stati sottoposti a test e valutazioni per la prima volta, la nave ha fornito una significativa prontezza operativa alla flotta, qualificando o riqualificando più di 439 aviatori navali. L’ammiraglio James P. Downey, responsabile esecutivo del programma per le portaerei, vede gli straordinari progressi del programma e l’accelerato stato di prontezza operativa come il prodotto di anni di pianificazione e collaborazione tra l’equipaggio della nave, gli uffici del programma della Marina e l’industria. «Quando la portaerei Ford ha avviato il PDT&T nell’ottobre 2019, quest’ultima aveva effettuato soltanto circa 800 lanci e recuperi. Sfruttando le 23 nuove tecnologie introdotte nel progetto della nave, in particolare l’EMALS (Electromagnetic Aircraft Launch System) e l’AAG (Advanced Arresting Gear), a distanza di soli 18 mesi, la portaerei ha completato più di 8.100 lanci e recuperi, con più di 7.300 soltanto durante il PDT&T». Un’attività in continua crescita sia per quanto riguarda l’integrazione del Carrier Strike Group sia per quanto riguarda le attività di volo e di comando e controllo a bordo della portaerei. A maggio
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La nuova portaerei capoclasse GERALD R. FORD (CVN 78) ha completato con successo il periodo di test e verifiche post-consegna o PDT&T (Post-Delivery Test & Trails) di 18 mesi, svoltosi a partire dall’ottobre 2019 (US Navy/US DoD DVIDS).
del 2020 quest’ultima ha imbarcato il Carrier Air Wing 8 (CVW-8), che inizialmente ha avuto una componente ridotta a 35 macchine. Quest’ultima ha visto uno sviluppo delle attività di volo tanto che nel dicembre 2020, nel corso di una decina di giornate, l’equipaggio della Gerald R. Ford ha completato più di 840 lanci e arresti, qualificando 58 nuovi piloti. L’equipaggio ha sostenuto un nuovo record giornaliero di 170 lanci e 175 recuperi in un periodo di 8,5 ore. Sono state corrette la quasi totalità delle problematiche riscontrate e sempre secondo quanto riportato, i primi sette degli undici elevatori funzionanti per le munizioni, oggetto di importanti problematiche in precedenza, hanno effettuato più di 14.200 cicli di funzionamento, con quasi la metà di tali cicli in mare. Con la certificazione di ogni ulteriore elevatore, l’equipaggio ha aumentato la velocità delle operazioni e dei test del sistema di combattimento, dimostrando nel contempo la resilienza del sistema. «Quando cammini sul ponte di volo e vedi gli elementi di design unici per la classe “Ford”, come il posizionamento dell’isola, le capacità dei sistemi EMALS e AAG o le modifiche al sistema di rifornimento degli aerei sul ponte, ti rendi conto come la nuova tecnologia è il “game changer” per l’aviazione di Marina». L’onorevole James F. Geurts, che svolge le funzioni di sottosegretario della Marina, è profondamente consapevole delle capacità evolutive del programma «CVN 78», avendo servito in precedenza come assistente segretario
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della Marina per la ricerca, lo sviluppo e l’acquisizione. Nel corso del PDT&T, l’equipaggio della nave e gli squadroni imbarcati hanno convalidato e perfezionato innovazioni tecnologiche mai viste prima su un’unità di questo tipo, il tutto mentre l’equipaggio lavorava affrontando le sfide di mitigazione contro il Covid-19.
Impostazione del futuro caccia Harvey C. Barnum (DDG 124) Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Bath Iron Works (BIW) di Bath (Maine) del gruppo General Dynamics, il 6 aprile è stato impostato il caccia lanciamissili Harvey C. Barnum (DDG 124) alla presenza dell’omonimo colonnello dell’USMC in pensione, Harvey «Barney» Barnum junior, con il cui nome è stata battezzata la nuova unità. Appartenente alla classe «Arleigh Burke Flight IIA», il nuovo caccia sarà equipaggiato con il sistema «AEGIS Baseline 9», che fornisce capacità di difesa aerea e missilistica integrate migliorate, con maggiore potenza di calcolo e aggiornamenti al sistema radar che ne migliorano la portata e il tempo di reazione contro le nuove minacce aeree e missilistiche comprese quelle balistica. BIW ha anche in produzione i futuri caccia classe «Arleigh Burke Flight IIA» Carl M. Levin (DDG 120), John Basilone (DDG 122), Patrick Gallagher (DDG 127) e le nuove unità della medesima classe «Flight III», Louis H. Wilson, Jr. (DDG 126), e William Charette (DDG 130), così come il caccia Lyndon B. Johnson (DDG 1002), classe «Zumwalt».
Consegnato l’FRC Glen Harris (1144)
I cantieri Bollinger hanno consegnato all’US Coast Guard l’FRC (Fast Response Cutter) Glen Harris (1144). Si tratta della 167a unità consegnata all’US Coast Guard in un periodo di 35 anni e il 44o FRC della classe secondo l’attuale programma. L’FRC Glen Harris è il terzo di sei cutter destinati al rimpiazzo degli anziani pattugliatori classe «Island» basati presso Manama, nel Bahrein, nell’ambito della PATFORSWA (Patrol Forces Southwest Asia), la più grande presenza avanzata dell’US Coast Guard fuori dagli Stati Uniti.
Radiata la Bonhomme Richard (LHD 6) Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di San Diego è stata ritirata dal servizio, il 14 aprile scorso, l’unità d’assalto anfibio Bonhomme Richard. Come è noto, quest’ultima è stata oggetto di un grave ed esteso incendio a bordo che ha causato ingenti danni tali da non considerare costo-efficacia i lavori di ripristino delle strutture, equipaggiamenti ed efficienza nave.
Battezzato il caccia Lenah Sutcliffe Higbee (DDG 123) Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Pascagoula (Mississippi) del gruppo Huntington Ingalls Industries (HII) è stato battezzato il 73o caccia lanciamissili classe «Arleigh Burke». Appartenente al «Flight IIA», quest’ultimo ha ricevuto il nome Lenah Sutcliffe Higbee, in ricordo del Secondo sovraintendente del Corpo infermieristico dell’US Navy nel 1911, che ha fatto parte delle prime 20 donne a entrare nel Corpo e la prima a ricevere la Navy Cross, seconda massima onorificenza dell’US Navy e del Corpo dei Marine, ancora in vita.
Consegnata l’LCS Oakland (LCS 24) Con una cerimonia tenutasi presso il porto di Oakland (California) è entrata in servizio l’LCS Oakland, 12a unità della classe «Independence» a essere costruita dai cantieri Austal USA del gruppo General Dynamics ed entrare in linea con l’US Navy (immagine nella pagina accanto).
I cantieri Bollinger hanno consegnato alla US Coast Guard l’FRC (Fast Response Cutter) GLEN HARRIS (1144). Si tratta del terzo di sei cutter destinati a essere basati presso Manama, nel Bahrein, nell’ambito della PATFORSWA (Patrol Forces Southwest Asia (Bollinger).
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I caccia classe «Zumwalt» saranno i primi con armi ipersoniche La prima piattaforma che l’US Navy equipaggerà con missili ipersonici nel 2025 sarà un caccia classe «Zum-
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Con una cerimonia tenutasi presso il porto di Oakland (California) è entrata in servizio l’omonima LCS OAKLAND, 12a unità della classe «Independence» a essere costruita dai cantieri Austal USA (General Dynamics) per l’US Navy (US Navy/US DoD).
walt». Lo ha dichiarato il Chief of Naval Operations (CNO), ammiraglio Mike Gilday nel corso di un evento sponsorizzato dal Center for Strategic and Budgetary Assessments. Questa decisione rappresenta un cambiamento rispetto a quanto precedentemente pianificato, in cui si prevedeva di equipaggiare con missili ipersonici quale prima piattaforma un SSGN classe «Ohio». Nel 2017, l’US Navy ha annunciato la conversione dei tre caccia della classe «Zumwalt», e in particolare le unità Zumwalt (DDG 1000), Michael Monsoor (DDG 1001) e Lyndon B. Johnson (DDG 1002) da piattaforme per l’impiego in contesti littoral e supporto alle operazioni anfibie e terrestri con il munizionamento guidato sparato dai due sistemi d’arma da 155 mm a unità d’attacco per operazioni in alto mare. Il CNO non ha specificato con quali armi intenda equipaggiare i caccia della classe «Zumwalt» ma è noto che si tratti del C-HGB (Common-Hypersonic Glide Body) sviluppato per l’US Army, USAF e US Navy. Il sistema d’arma viene sviluppato nell’ambito del programma CPS (Conventional Prompt Strike) con il quale le Forze armate americane intendono mettere in servizio un’arma con capacità di strike convenzionale in grado di colpire un bersaglio ovunque nel mondo con un breve preavviso. Nel marzo di quest’anno, il Navy Strategic Systems Programs ovverosia l’Ufficio di programma per i sistemi strategici dell’US Navy, ha emesso una richiesta d’informazioni all’industria per soddisfare i requisiti posti dal Fiscal Year 21 National Defense Authorization Act (NDAA) per l’integrazione delle tecnologie e dei sistemi ipersonici sui caccia classe «Zumwalt». In particolare, la richiesta d’informazioni era indirizzata a soggetti industriali capaci di fornire supporto per il coordinamento, aspetti ingegneristici e l’integrazione di si-
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stemi d’arma CPS sui caccia classe «Zumwalt». Fra le diverse richieste, anche quella legata alla produzione di sistemi d’arma con un grande diametro, superiore ai 76 cm, che comprendano il Common Hypersonic Glide Body e il sistema missilistico grazie al quale viene lanciato quest’ultimo, creando quello che viene definito come AUR (All Up Round) unitamente al relativo canister per l’impiego dai menzionati caccia e future piattaforme dell’US Army. A questi s’aggiunge anche la produzione dell’APM (Advanced Payload Module) ovverosia il modulo in grado di accogliere il carico rappresentato dagli AUR in una configurazione con pacchetto a tre, oltre ai sistemi connessi per l’integrazione con la piattaforma e il sistema di combattimento dei caccia. Nel passato, l’US Navy ha studiato l’integrazione di tre missili balistici a corto raggio in un MAC (Multiple All-up-round Canister), ovverosia un modulo cilindrico sviluppato per accogliere sette missili da crociera Tomahawk nello stesso spazio dei lanciatori per i missili balistici con testate nucleari «Trident II D5», per l’installazione a bordo degli SSGN classe «Ohio» modificati. Oggi i risultati di tale attività verrebbero utilizzati per l’impiego dei MAC quale modulo per i sistemi d’arma ipersonici. Questi ultimi sarebbero installati al posto di almeno uno dei due cannoni da 155 mm ma non si conoscono ulteriori dettagli, in particolare quanti MAC potrebbero essere installati con la rimozione di un sistema da 155 mm. Affinché si possa avere una piattaforma modificata per i nuovi sistemi d’arma e disponibile nel 2025, è necessario che i fondi vengano assegnati al programma al più presto possibile con il budget presidenziale del FY22. Il CNO dell’US Navy ha anche dichiarato in tale sede che gli sforzi in termini di ricerca e sviluppo nel settore ipersonico sono indirizzati a fornire tale capacità a un’unità di superficie e successivamente a bordo degli SSN classe «Virginia». Nel novembre del 2020, il responsabile dei Strategic Systems Programs dell’US Navy, ammiraglio Johnny Wolfe, aveva dichiarato che una capacità operativa iniziale con sistemi d’arma ipersonici si sarebbe raggiunta nel 2025 a bordo di unità tipo SSGN e non SSN classe «Virginia». Un cambiamento di programmi che potrà essere confermato con l’imminente emissione del budget presidenziale per l’anno fiscale 2022. Luca Peruzzi
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S CIENZA I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Gioacchino Russo In questa rubrica, negli ultimi anni, abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, esaminando in particolare le figure di Benedetto Brin, Giancarlo Vallauri, Giuseppe Rota, Domenico Chiodo, Umberto Pugliese, Vittorio Cuniberti, Edoardo Masdea, Ugo Tiberio, Gian Battista Magnaghi, Umberto Cagni e Angelo Scribanti. Tratteremo ora del generale del Genio Navale Gioacchino Russo, brillante ingegnere navale che, oltre a partecipare alla progettazione delle prime corazzate monocalibro italiane, si dedicò a studi sul moto di rollio, inventando un meccanismo chiamato «navipendolo», oltre a vari altri apparati, oggetto di brevetto in vari paesi. Dopo la fine della Grande guerra intraprese una carriera politica che lo vide deputato, senatore e dal 1929 al 1933 sottosegretario di Stato alla Marina.
Immagine d’epoca del generale del Genio Navale Gioacchino Russo (Catania 1865Catania 1953) - (wikipedia.it).
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Nato a Catania l’8 settembre 1865, figlio di Vincenzo, un notaio che risedeva a Paternò, e di Maria Consoli, il 1° ottobre 1887 si laureò ingegnere civile nella Regia Scuola di applicazione di Torino. Nel dicembre 1887 accedette tramite concorso al corpo del Genio Navale della Regia Marina
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T ECNICA e venne nominato ingegnere di seconda classe; dal gennaio 1888 fu destinato alla frequenza dei corsi della Regia Scuola superiore navale di Genova, dove si laureò ingegnere navale e meccanico nell’aprile 1889, venendo poi destinato al Secondo dipartimento marittimo di Napoli, molto probabilmente al cantiere di Castellammare di Stabia. Nell’ottobre 1890 partecipò a un’uscita in mare sulla torpediniera 112S, e nel novembre 1890 venne nominato ingegnere di prima classe. Nel 1891-92 effettuò varie uscite in mare con l’incrociatore torpediniere Euridice, costruito tra il 1889 e il 1891 nel cantiere di Castellammare di Stabia (1). Tra il 1892 e il 1895 imbarcò in varie occasioni, partecipando a diverse uscite in mare, sulla corazzata Re Umberto, progettata da Benedetto Brin, costruita anch’essa nel cantiere di Castellammare di Stabia e consegnata alla Regia Marina nel febbraio 1893, dopo un lungo periodo di costruzione iniziato nel 1884. Nel 1894 pubblicò un lungo articolo sulla Rivista Marittima, dedicato all’affondamento della corazzata britannica Victoria, avvenuto nel giugno 1893 al largo di Tripoli (Libano), a seguito di una collisione con la corazzata Camperdown. Russo, esaminati i risultati delle diverse inchieste effettuate dalla Royal Navy, si chiese se avesse senso continuare a costruire navi con compartimenti stagni collegati da porte stagne anche al di sotto del galleggiamento; porte che, come capitato nel caso della Victoria, possono essere aperte nel momento in cui per qualunque motivo si crea una falla, consentendo quindi la rapida propagazione dell’allagamento. Russo suggerisce di prevedere, per ogni compartimento (con l’eccezione dei compartimenti caldaie e macchine), solo comunicazioni verticali con il ponte di corridoio (posto al di sopra del galleggiamento), soluzione oggi normale sulle navi combattenti. Altri punti che il Russo trattò nel suo articolo sono l’efficacia della corazza nei confronti dello speronamento, il bordo libero, le condizioni di stabilità, la vulnerabilità delle navi rispetto alle varie offese (cannone, rostro, siluro e mina) e la convenienza di avere grandi navi oppure un numero maggiore di navi più piccole. Dal 1895 al 1898 venne destinato presso l’Accademia navale di Livorno, come insegnante di macchine a
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vapore; nell’agosto del 1898 venne destinato a Roma, presso il ministero della Marina. L’11 febbraio 1899 si sposò con la signora Amalia Elvezia Morosoli, dalla quale ebbe sei figli: Vincenzo, Francesco, Angelo, Luigia, Maria e Clementina. Attorno al 1899-1900 venne realizzato, presso le officine Galileo di Firenze e installato presso la vasca navale della Spezia, dopo un periodo iniziale presso il ministero a Roma e dopo essere stato esposto a congressi di architettura navale a Londra e Parigi, il «navipendolo Russo» per effettuare esperienze di rollio in mare ondoso, con onde trocoidali regolari aventi lunghezza, altezza e periodo voluti. Nel navipendolo, la più famosa delle invenzioni di Gioacchino Russo, la nave è rappresentata da un pendolo doppio, con un momento d’inerzia (variabile modificando la posizione dei pesi lungo l’asta) corrispondente, in similitudine meccanica, a quello della nave, pendolo che oscilla attorno ai punti di tangenza di una camma a coltelli (camma solidale con il pendolo e avente per sezione retta la proiezione della curva dei centri di carena della nave in
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La corazzata RE UMBERTO, progettata da Benedetto Brin, realizzata nel cantiere di Castellammare di Stabia e consegnata alla Regia Marina nel febbraio 1893, dopo un lungo periodo di costruzione iniziato nel 1884. Alle prove in mare partecipò Gioacchino Russo (USMM). In alto: l’incrociatore torpediniere EURIDICE, costruito tra il 1889 e il 1891 nel cantiere di Castellammare di Stabia, alle cui prove in mare partecipò il giovane ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo (US Navy). In basso: vista laterale e dall’alto della corazzata RE UMBERTO (disegno d’epoca, Almanacco Brasseys del 1896).
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Immagine d’epoca del cantiere navale di Castellammare di Stabia in occasione del varo della corazzata ITALIA nel gennaio 1880; Gioacchino Russo prestò servizio a Castellammare nel 1889-95 e nel 1910-11 (wikipedia.it).
Tavola 1 dell’articolo Alcune considerazioni sulla perdita della Victoria, firmato dall’ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894 (disegno d’epoca).
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esame sul piano d’inclinazione trasversale) con una lastra piana (pianerottolo), che rappresenta un elemento di superficie dell’onda. Questo pianerottolo può stare fermo (caso di oscillazione della nave in acqua calma) o muoversi, per effetto di un congegno cinematico comprendente un motorino elettrico con resistenza variabile e una serie di ruotismi, secondo una trocoide, simulando quindi il moto della nave con onde regolari. Il navipendolo è munito di un apparato registratore, che segna le ampiezze delle oscillazioni di rullio assoluto della nave e le oscillazioni della normale all’onda, in funzione del tempo. Si possono così, mediante una serie di esperienze, tracciare le curve delle ampiezze massime di rullio assoluto in funzione del periodo dell’onda e per diverse
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condizioni di carico, nonché per la nave munita o non di alette o di altri mezzi per aumentare la rapidità di estinzione del rullio. Si possono variare le caratteristiche dell’onda con opportuni spostamenti di bracci di manovella; variando invece la posizione dei pesi, e quindi del centro di gravità dell’asta, si possono studiare i moti della nave in diverse condizioni di carico. Gioacchino Russo si reca in missione di servizio a Londra nel 1900, 1902 e 1903 e a Parigi nel 1902, per presentare, presso congressi della britannica «Institution of Naval Architects» (INA) e della francese «Association de Technique Maritime», i suoi studi sul rollio e in particolare il navipendolo, riscuotendo grande interesse; nel 1903 l’INA gli assegna una medaglia d’oro. Sull’argomento del navipendolo scrive due articoli per la Rivista Marittima, Esperienze navipendulari sul rollio delle navi in moto ondoso nel 1900 e Il metodo degli esperimenti navipendulari appli-
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Tavola 2 dell’articolo Alcune considerazioni sulla perdita della Victoria, firmato dall’ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894 (disegno d’epoca).
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Immagine d’epoca dell’esploratore QUARTO, qui ripreso in navigazione nel 1925, venne costruito dal Regio Arsenale di Venezia nel 1909-12; a sinistra, immagine d’epoca del sommergibile NEREIDE, assieme al gemello NAUTILUS, venne costruito dal Regio Arsenale di Venezia nel 1911-13 (entrambi costruiti quando il colonnello del Genio Navale Gioacchino Russo era Direttore delle Costruzioni navali e meccaniche). In basso: immagine d’epoca della corazzata DANTE ALIGHIERI, prima corazzata monocalibro italiana, progettata da Edoardo Masdea con il contributo di Gioacchino Russo (wikipedia.it).
cato a navi da guerra nel 1902. Il primo articolo è dedicato principalmente alla descrizione dell’apparato e al suo principio di funzionamento, il secondo riporta, oltre al principio di funzionamento del navipendolo, alcune considerazioni teoriche sul moto di rollio, all’epoca oggetto di studi da parte degli architetti navali di tutto il mondo, e i risultati delle esperienze eseguite con il navipendolo per tre diversi tipi di unità: le corazzate italiane Re Umberto e Regina Margherita e la corazzata inglese Revenge. Viene in particolare affrontato l’argomento dell’efficacia delle alette antirollio, che può essere valutata con il navipendolo. Nel marzo 1903 Russo venne promosso ingegnere capo di seconda classe, grado che nel marzo 1904 venne ridenominato maggiore del genio navale. Nell’agosto del 1904 ricevette dal governo italiano la «medaglia d’oro di prima classe pei benemeriti delle scienze navali». Nel 1905 ricevette un encomio e un premio per le caratteristiche tecniche e la genialità delle sistemazioni di un progetto da lui presentato a un concorso indetto tra gli ufficiali superiori del Genio Navale per un progetto di nave da battaglia di prima classe, che
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si classificò primo, a parimerito con altri due. Ricordiamo che quelli erano gli anni nei quali furono concepite le prime corazzate monocalibro. Sempre nel 1905 pubblicò presso la casa editrice Roux & Viarengo di Torino il Manuale di architettura navale ad uso degli ufficiali di Marina, che aveva steso nel periodo in cui aveva insegnato la materia in Accademia navale. Il Diagramma Russo, molto adoperato nella Regia Marina, consente di rilevare il volume e la posizione della spinta per qualsiasi carena inclinata longitudinalmente e la posizione del metacentro trasversale di tale carena, quali che siano le sue immersioni di prora e di poppa.
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Nel 1906 si svolge l’Esposizione Internazionale di Milano, avente come tema centrale quello dei trasporti. La Regia Marina partecipa in forze, presentando in particolare un modello in scala della vasca navale della Spezia e il navipendolo del Russo. Nel 1907 pubblicò sulla Rivista Marittima l’articolo Il congresso internazionale di architettura navale nel quale riferiva sul congresso svoltosi a Bordeaux nel giugno 1907. Gli argomenti di attualità includevano l’impiego della tur-
bina a vapore, le lezioni apprese dalla guerra russogiapponese, le corazzate monocalibro e i sottomarini. Tenente colonnello, nel settembre del 1907, diresse un reparto tecnico del ministero della Marina e collaborò con il generale Eduardo Masdea (prematuramente scomparso nel maggio 1910), presidente del Comitato per i progetti di navi, lavorando alla redazione dei disegni delle prime dreadnoughts (dal nome della prima corazzata monocalibro costruita, l’inglese HMS Dread-
Due immagini del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo e costruito dalle Officine Galileo di Firenze (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900). In alto: a sinistra, profilo e pianta della corazzata DANTE ALIGHIERI (immagine d’epoca); a destra, profilo e pianta della corazzata CONTE DI CAVOUR, ultima unità navale progettata da Edoardo Masdea con il contributo di Gioacchino Russo (immagine d’epoca).
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Il doppio pendolo su cui è basato il navipendolo del Russo. Il rotolamento della camma F (che riproduce la curva dei centri di carena della nave in esame) sul piano L, simula il moto di rollio della nave. Accanto: in alto, disegno in vista laterale del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo; in basso, disegno in vista frontale del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900).
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Scienza e Tecnica Disegno in vista dall’alto del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo. In basso: un esempio dei grafici del rollio di una nave che si ottenevano dal «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900).
nought) italiane, la Dante Alighieri e la classe «Conte di Cavour» (2) per passare, nell’agosto del 1910, al cantiere di Castellammare di Stabia come vicedirettore delle costruzioni navali. A Castellammare era in costruzione proprio la prima corazzata monocalibro italiana, la Dante Alighieri (impostata nel giugno 1909, varata nell’agosto 1910 e consegnata nel gennaio 1913). Presentò anche un progetto al concorso indetto dalla Regia Marina nel 1911 per la progettazione di una nave da battaglia del tipo «super-dreadnought». Gli altri progetti furono presentati dai maggiori generali del Genio Navale Edgardo Ferrati e Agostino Carpi e dal colonnello G.N. Giuseppe Rota; per lo sviluppo del progetto preliminare di quelle che saranno le corazzate classe «Caracciolo», nessuna delle quali fu completata, venne incaricato il maggiore generale Ferrati, che doveva lavorare tenendo presente anche le altre soluzioni presentate.
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Il navipendolo è oggi in carico al Museo tecnico navale della Marina Militare della Spezia, ed è custodito all’aperto in una zona prospiciente la Direzione arsenale (autore). In basso: un’immagine d’epoca del sommergibile DELFINO, costruito nel 1892 e modificato nel 1900, a bordo del quale fu installato un prototipo del cleptoscopio, apparato ottico antesignano del periscopio inventato da Gioacchino Russo e dall’ingegner Cesare Laurenti (wikipedia.it).
Nel marzo del 1911 fu promosso colonnello e dall’agosto seguente fino all’ottobre del 1913 fu a Venezia come direttore delle costruzioni navali del 3° Dipartimento. Ricordiamo che all’interno dell’Arsenale di Venezia nel 1912-13, quando era Direttore generale l’ammiraglio Umberto Cagni, venne creato un reparto speciale destinato alla progettazione, alla costruzione e al collaudo dei primi idrovolanti usati dalla Regia Marina. Tra il 1909 e il 1913 nell’Arsenale di Venezia venne costruito l’esploratore Quarto; tra il 1911 e il 1913 i sommergibili Nautilus e Nereide (3). Nel 1913 vennero pubblicati negli Annali della Vasca navale della Spezia i risultati delle prove effettuate sulla carena E54, relativa all’esploratore Quarto;
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oltre alle prove di rimorchio furono effettuate esperienze di oscillazione ed esperienze con il «navipendolo» per verificare l’efficacia delle «casse antirollanti Frahm» (4) e delle alette di rollio; questo argomento fu oggetto di articoli e memoria, in particolare da parte di Nino Pecoraro, all’epoca direttore della vasca. Rientrato poi al ministero della Marina, per tutta la guerra operò presso la Direzione generale delle costruzioni navali a Roma. Venne autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della guerra 1915-18, in particolare per le campagne degli anni 1915, 1916 e 1917. Il 3 novembre 1918 fu nominato brigadiere generale — dizione convertita l’anno seguente in maggiore generale — grado con cui il 16 marzo 1919 fu collocato in ausiliaria e iscritto nella riserva navale, in applicazione dell’articolo 2 della legge 472 del 26 maggio 1911 (5). Nel 1916 pubblicò sulla Rivista Marittima l’articolo Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale, nel quale, partendo dai risultati ottenuti con il navipendolo e dalla notizia che, negli Stati Uniti, David Taylor stava costruendo la prima vasca navale attrezzata per effettuare prove su modelli in moto ondoso, presentava una vasca a pareti deformabili, collegate a organi meccanici mobili tali da generare, nel liquido contenuto nella vasca, un moto ondoso regolare simile a quello del mare (onde trocoidali); della vasca era già stato costruito, da parte della società Ansaldo di Cornigliano Ligure, un prototipo di piccole dimensioni (120x100x50 cm) con pareti in gomma, sperimentato con successo. Nel dicembre 1923 Russo venne nominato generale vice ispettore della riserva navale, e nel novembre 1926 tenente generale; nello stesso anno cessò di appartenere alla riserva navale permanendo nella posizione di ausiliaria, e nel marzo 1927 venne collocato a riposo, venendo quindi iscritto nuovamente nella riserva navale; successivamente, ad agosto, venne nominato generale ispettore, permanendo nella riserva navale. Nel 1919 venne eletto deputato per la 25a legislatura del Regno d’Italia nel
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Il Telops, apparato per consentire ai sommergibili immersi di vedere sopra la superficie del mare (oggi chiamato periscopio), brevettato da Paolo Triulzi nel 1901, quasi contemporaneamente al brevetto del cleptoscopio da parte di Gioacchino Russo e Cesare Laurenti. (immagine d’epoca, archivio Museo della scienza e della tecnica di Milano). A finaco: il sistema per il collegamento delle piastre di corazza con lo scafo di una nave corazzata, brevettato da Gioacchino Russo negli Stati Uniti nel 1911. Legenda delle figure 1 e 2: a. corazza, b. legno, c. scafo, d. vite filettata a entrambe le estremità, e. molla metallica a forma di coppa; le figure 3, 4 e 5 rappresentano varianti (patents.google.com).
collegio di Catania; aderì al «gruppo del rinnovamento», un movimento di ex combattenti inizialmente su posizioni nazionaliste, ma democratiche, cui aderì per un certo periodo anche Gaetano Salvemini; la 25a legislatura ebbe termine nel 1921. Gioacchino Russo fu rieletto nel 1924, nel collegio unico nazionale (Sicilia), per la 27a legislatura, che ebbe termine nel 1929; in quello stesso anno fu nominato senatore del Regno d’Italia, nella categoria 3, che comprendeva: «I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio». Relatore della nomina, il senatore Carlo Petitti di Roreto,
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generale torinese distintosi durante la Grande guerra. Ricordiamo che anche il generale ispettore del Genio Navale Giuseppe Rota, già primo Direttore della Vasca Navale della Spezia, venne nominato senatore del Regno nel dicembre 1928. Lo stesso Giuseppe Rota fu il primo Presidente dell’Ente «Vasca Nazionale per le Esperienze di Architettura Navale» di Roma, il cui statuto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1928, prevedeva, tra le esperienze cui l’Ente stesso era dedicato, le «prove di oscillazione a mezzo del navipendolo “Russo” per lo studio del rollio in mare ondoso». Gioacchino Russo si occupò anche di aerodinamica e in occasione della XII Riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, che si tenne a Catania dal 5 all’11 aprile 1923, con la presenza del ministro della Pubblica istruzione, Giovanni Gentile, lesse la relazione La resistenza dell’aria ai corpi in moto accelerato.
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2 Primo, secondo e terzo disegno relativo all’apparato ottico per riprodurre gli oggetti con i loro colori naturali, progettato da Gioacchino Russo (patents.google.com).
Nel settembre del 1929 Benito Mussolini decise di lasciare sette degli otto ministeri la cui titolarità aveva accentrato su di sé, tra cui in particolare il ministero della Marina, nominando ministro l’ammiraglio Giuseppe Sirianni, fino ad allora sottosegretario della Marina; Gioacchino Russo fu nominato sottosegretario e durante il periodo trascorso al ministero collaborò con l’ammiraglio Sirianni all’ammodernamento della flotta, sulla base del piano quinquennale approvato nel dicembre del 1928. Il 26 febbraio 1929 Russo si iscrisse al PNF (Partito nazionale fascista) di Catania e in quello stesso anno all’Unione Nazionale fascista del Senato. Il 6 novembre 1933 Mussolini riassunse il portafoglio della Marina e Russo fu
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sostituito come sottosegretario dall’ammiraglio Domenico Cavagnari. Nel 1934 fece parte della Commissione per il piano regolatore di Catania. Fu anche membro della Commissione per l’esame dei disegni di legge per la conversione dei decreti-legge (1° maggio 1934-2 marzo 1939), membro della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di giustizia (1° maggio 1934-2 marzo 1939 e 17 aprile 1939-5 agosto 1943) e membro della Commissione delle Forze armate (17 aprile 1939-5 agosto 1943). Nel 1937 pronunciò a Genova l’orazione funebre per il professor Angelo Scribanti, già direttore della Regia Scuola navale superiore di Genova, a più di 10 anni dalla morte avvenuta nel 1926, intervenendo anche nel dibattito, all’epoca in corso, sull’eventuale trasformazione della scuola in politecnico. Nel maggio 1939 presentò un discorso al Senato sulle norme per la requisizione del naviglio mercantile, nel settembre 1940 uno sull’estensione al personale militare dell’Aeronautica del regolamento di disciplina militare, e nell’aprile 1941 uno sullo stato previsionale della spesa del ministero per l’Africa italiana per l’esercizio 1941-42. Nell’agosto del 1944 fu deferito all’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo (ACGSF) con l’imputazione di essere stato membro del Governo dopo il 3 gennaio 1925, ma in novembre, la Corte respinse la richiesta di decadenza dal Senato di Russo. Gioacchino Russo morì a Catania il 7 maggio 1953. Gli è stato dedicato l’Istituto tecnico economico statale di Paternò, ubicato in Via Parini, oltre a una via a Catania, una a Capizzi (ME) e una a Roma. Nel 1897 fu nominato cavaliere della Corona d’Italia, nel 1909 cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (ordine mauriziano), nel 1911 commendatore della Corona d’Italia, nel 1913 ufficiale dell’Ordine mauriziano, nel 1919 commendatore dell’Ordine mauriziano, nel 1929 gran cordone della Corona d’Italia e nel 1931 grand’ufficiale dell’Ordine mauriziano. Giacchino Russo fu anche consigliere d’amministrazione della società Salmoiraghi, e membro del CNR e di altri istituti di ricerca. In conclusione, Gioacchino Russo fu un brillante e versatile ingegnere navale, autore di varie invenzioni in diversi settori, dall’architettura navale (e in
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Principio di funzionamento della vasca a pareti deformabili, progettata da Gioacchino Russo per riprodurre in scala l’effetto del moto ondoso su di una nave. In alto, fotografie del prototipo in piccola scala di vasca a pareti deformabili, progettata da Gioacchino Russo e realizzata dalla ditta Ansaldo (Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale, Rivista Marittima, 1916).
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particolare lo studio del rollio) all’ottica e ai sistemi costruttivi; dopo una brillante carriera come ufficiale del Genio Navale, nel corso della quale collaborò anche alla progettazione delle corazzate monocalibro classe «Conte di Cavour», si dedicò all’attività politica, venendo eletto deputato e poi nominato senatore, ricoprendo quindi l’incarico di sottosegretario alla Marina. Egli fu, come Rota, Masdea, Pugliese,
Cuniberti, Scribanti, Laurenti, Rotundi, Bonfiglietti e diversi altri, uno dei progettisti navali del Corpo del Genio Navale, formatosi nello stimolante ambiente del Comitato per i progetti delle navi fondato da Benedetto Brin, entrati nella storia della Marina Militare italiana e della nazione per l’importanza e l’originalità delle loro opere. Claudio Boccalatte
NOTE (1) L’Euridice era uno degli «incrociatori torpedinieri » costruiti in Italia sulla base delle teorie della Jeune école francese, secondo cui era più efficace disporre di una gran numero di unità di piccole dimensioni, in particolare se veloci e armate con siluri, invece che di una flotta di tradizionali, grandi e costose navi da battaglia. (2) Le tre navi della classe furono ordinate rispettivamente il 31 luglio 1908 (Conte di Cavour, presso il Regio Arsenale della Spezia), il 10 settembre 1910 (Giulio Cesare, presso il cantiere Ansaldo di Sestri Ponente) e il 7 settembre 1910 (Leonardo da Vinci, presso il cantiere Odero di Genova). La Conte di Cavour fu la prima a essere varata, il 10 agosto 1911, e l’ultima a entrare in servizio, il 1º aprile 1915. Leonardo da Vinci e Giulio Cesare furono varate rispettivamente il 14 e il 15 ottobre 1911 ed entrarono in servizio il 17 e 14 maggio 1914. (3) All’inizio del 1900 l’Arsenale di Venezia fu incaricato di costruire i primi battelli subacquei della Regia Marina. Tra il 1905 e il 1909 vennero così realizzati cinque sommergibili, cui seguirono Nautilus e Nereide nel 1911-13. (4) Casse per lo smorzamento del rollio a «U» proposte dal tedesco Frahm pochi anni prima. (5) Legge 26 maggio 1911, n. 472 che apporta modificazioni e aggiunte alle leggi sulla posizione ausiliaria e sull’avanzamento degli ufficiali della R. Marina (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 130 del 3 giugno 1911), articolo 2: «Il R. Governo ha facoltà di provvedere di autorità al collocamento in posizione di servizio ausiliario degli ufficiali che si trovano nelle condizioni considerate dall’articolo precedente, quand’anche non abbiano raggiunto i limiti di età stabiliti per il loro grado. L’attuazione di questo provvedimento è subordinata alle seguenti condizioni: una deliberazione del Consiglio dei ministri, se si tratta di vice ammiraglio o gradi corrispondenti; il parere favorevole della Commissione suprema di avanzamento stabilita dall’art. 28 della legge 6 marzo 1898, n. 59, se si tratta di contrammiragli, capitani di vascello, capitani di fregata o ufficiali di grado corrispondente; il parere del Consiglio superiore di Marina, costituito in Commissione di avanzamento, se si tratta di ufficiali di qualunque altro grado». (6) Cesare Laurenti (Terracina, 15 luglio 1865-Roma, 29 marzo 1921) è stato un ufficiale del Genio Navale. Laureatosi in Ingegneria navale e meccanica presso la Regia Scuola superiore navale di Genova il 7 giugno 1892, nel 1903 venne destinato al Regio Arsenale di Venezia per la costruzione di sommergibili (suo è il progetto del Glauco del 1903). Nel 1905 si dimette per assumere l’incarico di Direttore tecnico al cantiere navale del Muggiano (La Spezia), dove nel 1907 viene impostato il sommergibile Foca, di concezione totalmente innovativa. I sommergibili progettati da Laurenti, realizzati con criteri totalmente originali, furono molti e venduti a diverse Marine. Le loro caratteristiche principali erano un doppio scafo resistente e un’elevata riserva di spinta; inoltre erano provvisti di compartimenti interni. (7) Il sommergibile Delfino, progettato dal generale del Genio Navale Giacinto Pullino, fu la prima unità subacquea italiana; venne costruito nel 1889-92 presso il Regio Arsenale della Spezia e modificato nel 1900. BIBLIOGRAFIA I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Benedetto Brin di C. Boccalatte, Rivista Marittima, settembre 2015, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Giancarlo Vallauri di C. Boccalatte, Rivista Marittima, dicembre 2015, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Giuseppe Rota di C. Boccalatte, Rivista Marittima, febbraio 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Domenico Chiodo di C. Boccalatte, Rivista Marittima, marzo 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Umberto Pugliese di C. Boccalatte, Rivista Marittima, maggio 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Vittorio Cuniberti di C. Boccalatte, Rivista Marittima, novembre 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Edoardo Masdea di C. Boccalatte, Rivista Marittima, febbraio 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Ugo Tiberio, ideatore del radar italiano di C. Boccalatte, Rivista Marittima, maggio 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Gian Battista Magnaghi, artefice dell’Istituto idrografico di Genova di C. Boccalatte, Rivista Marittima, novembre 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Umberto Cagni di C. Boccalatte, Rivista Marittima, gennaio 2019, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Angelo Scribanti di C. Boccalatte, Rivista Marittima, aprile 2019, rubrica Scienza e Tecnica. La vasca navale della Spezia e la nascita della moderna architettura navale in Italia di C. Boccalatte, Bollettino d’archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare; settembre 2013. USMM, Uomini della Marina 1861-1946. https://patents.google.com/?inventor=Gioacchino+Russo. http://www.aetnanet.org/scuola-news-2477352.html. https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/07/gioacchino-russo-il-cleptoscopio-il-navipendolo. https://www.treccani.it/enciclopedia/gioacchino-russo_%28Dizionario-Biografico%29/ https://www.treccani.it/enciclopedia/nave_%28Enciclopedia-Italiana%29. La Regia Marina italiana all’esposizione di Milano 1906, file word disponibile al sito internet http://www.digitami.it/risorsa.srv?docId=162. https://www.iterusso.edu.it/pvw/app/CTIT0021/pvw_sito.php?sede_codice=CTIT0021&page=902300. https://storia.camera.it/deputato/gioacchino-russo-18650908. http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/4038162380009750c125703d004eed42/1609cdebdc52c65b4125646f005f396d?OpenDocument. http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/All/1609CDEBDC52C65B4125646F005F396D/$FILE/1961%20Russo%20Gioacchino.pdf (fascicolo personale del generale Russo). Statuto dell’Ente «Vasca Nazionale per le Esperienze di Architettura Navale», in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, numero 100, 28 aprile 1928. Alcune considerazioni sulla perdita della “Victoria” dell’ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894. Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900. Il metodo degli esperimenti navipendulari applicato a navi da guerra di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1902. Il congresso internazionale di architettura navale di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1907. Annale 79. Direzione delle Costruzioni navali del Primo Dipartimento Marittimo, Annali dell’Officina per le esperienze di Architettura Navale, 1913 - fascicolo II, Esperienze di rimorchio, di oscillazione e navipendolari compiute col modello della carena ‘E54’ (R.N. Quarto), La Spezia 1914. Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale di Giacchino Russo, Rivista marittima 1916. Regia Università di Genova - Commemorazione del professor Angelo Scribanti, Genova 1937, https://unire.unige.it/handle/10621/740.
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CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI UNITÀ NAVALI AL CUI PROGETTO PARTECIPÒ GIOACCHINO RUSSO Nave da battaglia Dante Alighieri: dislocamento di pieno carico circa 21.800 tonnellate, lunghezza tra le perpendicolari 158,40 metri, potenza 32.200 HP, velocità 23 nodi, protezione massima 280 mm, armamento principale 12 pezzi da 305/46 mm, 20 da 120/50 mm, 12 da 76/40 mm, 2 da 40/39 mm, 3 tubi lanciasiluri, equipaggio 970 effettivi. Navi da battaglia classe «Conte di Cavour » (3 unità): dislocamento di pieno carico circa 25.100 tonnellate, lunghezza tra le perpendicolari 169 metri, potenza 31.000 HP, velocità 21,5 nodi, protezione massima 280 mm, armamento principale 13 pezzi da 305/46 mm, 18 da 120/50 mm, 16 da 76/50 mm, 6 da 76/40 mm, 3 tubi lanciasiluri, equipaggio 1.000 effettivi. I BREVETTI DI GIOACCHINO RUSSO Giacchino Russo presentò diverse richieste di brevetto, sia in Italia sia all’estero. Per quanto riguarda, in particolare, il navipendolo, il 16 ottobre 1898 ottenne in Italia una «privativa» per tre anni (n. brevetto 99118) prolungata poi per altri tre, con richiesta del 3 settembre 1902. Il giorno 2 febbraio 1899 presenta in Gran Bretagna la richiesta di brevetto GB189902387A, accolta in data 2 marzo 1900. Sempre in Gran Bretagna depositò, il 27 gennaio 1902, assieme a Cesare Laurenti (6), la richiesta di brevetto GB190202165A relativa al cleptoscopio. Il brevetto fu concesso il 27 febbraio 1903. In Italia il brevetto era stato depositato il 28 luglio 1901 e perfezionato il 4 settembre 1901. In quello stesso anno Paolo Triulzi depositò un brevetto per un apparecchio simile, chiamato «Telops Triulzi», brevetto concesso il 14 settembre, mentre all’estero anche sir Howard Grubb ottenne un brevetto per un apparato tipo periscopio (patente inglese 10373 del 18 maggio 1901); si trattò di tre invenzioni quasi contemporanee, che differivano nei principi costruttivi, ma non nello scopo, che era quello di dotare i sommergibili di uno strumento per poter vedere quanto accadeva al di sopra della superficie stando in immersione, in particolare con campo di vista sufficientemente ampio (quello del cleptoscopio secondo articoli di stampa era di 60° circa). Il cleptoscopio venne installato sul sommergibile Delfino nel 1901 (7). Secondo alcune fonti, Paolo Triulzi (che aveva interessi nelle Officine Galileo di Firenze) contestò inizialmente l’originalità del brevetto del cleptoscopio, che sarebbe stato una copia del Telops, per poi ritirare le accuse in cambio di ordini della Regia Marina alle Officine Galileo; mentre del Telops sono disponibili (nell’archivio del Museo della scienza e della tecnica di Milano) una descrizione particolareggiata e dei disegni, nulla è stato trovato dall’autore per il cleptoscopio, per cui non è possibile pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa, rivolta in particolare a Cesare Laurenti, che avrebbe avuto la possibilità di visionare un prototipo del Telops, chiedendo a Triulzi di ritardare, per motivi di segreto militare, il deposito del relativo brevetto, per poi depositare invece, congiuntamente con Gioacchino Russo, il brevetto del cleptoscopio. Negli Stati Uniti, Gioacchino Russo presentò, il 15 febbraio 1909, la richiesta di brevetto US993276A, concessa il 23 maggio 1911, relativa a un nuovo sistema per fissare le piastre di corazza allo scafo di una nave. Il sistema comprende una particolare vite filettata a entrambe le estremità, una delle quali si collega a un foro filettato nella corazza, l’altra a un particolare bullone metallico che svolge anche le funzioni di molla; la scelta dei passi delle filettature e la particolare forma del bullone consentono di evitare la rottura del collegamento e la proiezione di frammenti all’interno della nave nel caso la piastra di corazza sia colpita da un colpo avversario. Lo stesso brevetto fu presentato in Gran Bretagna (brevetto GB190903688A richiesto il 15 febbraio 1909 e concesso il 15 febbraio 1910) e in Francia (brevetto FR399633A richiesto il 19 febbraio 1909 concesso il 2 luglio 1909). Sempre negli Stati Uniti Russo presentò, nel 1921, la richiesta di brevetto US1629974A per un apparato ottico per riprodurre gli oggetti con i loro colori naturali; la richiesta venne accolta solo il 24 maggio 1927, probabilmente per l’opposizione di qualche altro inventore; si trattava, in pratica, di un apparato antesignano della fotografia a colori. Il principio di funzionamento dell’apparato è la scomposizione, per mezzo di sistemi ottici, dell’immagine in una pluralità di immagini (Russo prevede varie varianti dell’apparato, con 3, 4, o 7 diverse immagini), ognuna delle quali rappresenta la componente dell’immagine relativa a un singolo colore elementare. Tutte queste immagini si formano in corrispondenza di un unico piano sul quale è posta una lastra o un film sensibile a tutti i colori (pancromatica). È poi possibile impiegare la stessa macchina dotata di vetri interni colorati, per vedere una singola immagine a colori, a partire da una lastra o film che rappresenta il «positivo » della lastra (negativo) impressionata con le diverse immagini relative ai singoli colori elementari; è anche possibile proiettare mediante una variante dell’apparato, un’immagine colorata, o una serie di immagini per ottenere una proiezione cinematografica a colori. La stessa richiesta di brevetto venne depositata in Austria (brevetto AT96931B concesso il 10 maggio 1924), in Francia (brevetto FR539600A concesso il 28 giugno 1922) e in Svizzera (brevetto CH105013A richiesto nel 1922).
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«Per i 160 anni dell’Unità d’Italia» ROBINSON, N.223 E IL GIORNALE, 13 MARZO 2021
Il 17 marzo 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia da parte del primo parlamento italiano riunito a Torino, nasceva l’Italia unita, dopo quei tredici secoli dalla caduta dell’impero romano che avevano portato invasioni, dominazioni straniere e frammentazione politica, tanto che il cancelliere austriaco Metternich, durante il Congresso di Vienna del 1815, ebbe a definire l’Italia come una «mera espressione geografica». L’Italia unita, nata dalla fusione di ben sei Stati preunitari (Regno di Sardegna, Ducati di Parma-Piacenza e Modena-Reggio, Granducato di Toscana, una gran parte dello Stato della Chiesa, tranne il Lazio, e il Regno delle Due Sicilie), «rappresenta oggi — scriveva Garibaldi a Cavour il 18 maggio 1861 — le aspirazioni della nazionalità nel mondo!». In tale data, nella quale si festeggia dal 2012 la «Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera», il presidente Mattarella nel suo messaggio per l’occasione ha voluto ricordare come «il coronamento del sogno risorgimentale ha suggellato l’identità di nazione, che trae origine dalla nostra storia più antica e dalla nostra cultura. Le generazioni che ci hanno preceduto, superando insieme i momenti difficili, ci hanno donato un paese libero, prospero e unito. Rivolgo un deferente pensiero e l’omaggio di tutto il popolo italiano ai cittadini che hanno contribuito a costruire il nostro paese». Il mondo della carta stampata ovviamente non ha mancato di ricordare l’evento, come ci dimostra lo Speciale de La Repubblica con un articolo di apertura di Ezio Mauro che rievoca, dopo il giuramento dei membri del nuovo parlamento «italiano» non più sabaudo, il discorso della Corona di Vittorio Emanuele in cui, figuratamente parlando, si
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rivolge direttamente all’Italia «libera e unita quasi tutta, per mirabile aiuto della Divina Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli e per lo splendido valore degli eserciti, pronta a tornare a essere una guarentigia di pace e un efficace strumento di libertà universale». Seguono quindi nove articoli, brevi ma molto densi, di altrettanti autori che pongono in risalto, con rapide pennellate, le figure più (o meno) note del Risorgimento nazionale. Da Cavour, il vero «tessitore» e artefice di quel capolavoro diplomatico che fu l’Italia unita, giocando in maniera spregiudicata sui diversi tavoli della politica interna e internazionale (illuminanti al riguardo, ricordiamo, sotto il profilo navale i Diari dell’ammiraglio Persano e di quello inglese Mundy), a Vittorio Emanuele (che più che «primo» re d’Italia, volle restare «secondo», in ossequio alla tradizione dinastica sabauda, come avrebbe voluto fare nel 1878 anche il suo successore Umberto, che si voleva denominare per le stesse ragioni «ottavo», prima che lo convincesse ad appellarsi «primo»!). Da Garibaldi («un messia laico, troppo ingombrante per essere fermato, troppo indipendente per essere arruolato» che riuscì nell’impresa della liberazione di quel Regno delle Due Sicilie, che si estendeva «tra l’acqua salata e l’acqua benedetta», dove erano falliti nel 1844 i fratelli Bandiera e nel 1857 la spedizione di Pisacane, a Mazzini («profeta di una generazione di giovani e riformatore, che dopo l’Unità sotto lo scettro dei Savoia ebbe a dire amaramente: “Questa è solo l’ombra dell’Italia”»). Oltre alle numerose protagoniste femminili come Cristina di Belgiojoso, la contessa di Castiglione e Rosalia Montmasson, l’unica donna della spedizione dei Mille. Il vero problema della storiografia risorgimentale semmai (di cui peraltro Così la copertina della Domenica del esistono numerose catte- Corriere ha celebrato il Centenario dell’Unità d’Italia nel 1961. dre nelle università ita-
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liane) è costituito dal fatto che, a 160 anni dall’Unità d’Italia, è ancora complesso fare un ragionamento oggettivo e condiviso sugli eventi che portarono alla nascita del nostro paese. Nell’analisi critica, infatti, si è sempre oscillato «tra la narrazione “oleografica” che fa del Risorgimento un’epoca romantica popolata da un’accolita di eroi, tutti patria e coraggio e quella “revisionista” che trasforma i Savoia in feroci colonialisti a danno del Sud», come ben ha fatto rilevare Matteo Sacchi sulle colonne de Il Giornale, recensendo il libro edito e distribuito proprio dal quotidiano ambrosiano dal titolo 1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia (pp.273), di Giovanni Fasanella e Antonella Grippo. Libro che del Risorgimento si è proposto, senza paludamenti accademici, di indagare «la storia nascosta, poco raccontata perché sottovalutata o, peggio, ignorata di proposito», riuscendo pienamente nell’intento di offrire una lettura antiretorica della nostra vicenda unitaria.
«Focus Mediterraneo allargato» e «L’Italia alla guida della missione NATO in Iraq» OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, N.15, FEBBRAIO 2021 - AFFARINTERNAZIONALI, 26 MARZO 2021
L’Osservatorio in parola, frutto del progetto di collaborazione tra Senato, Camera e ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, a cura dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, in dodici contributi critici spalmati in 87 pagine, ci offre, esaminando i singoli casi-paese della vasta aera in questione, un quadro aggiornato delle problematiche geostrategiche e geopolitiche del Mediterraneo allargato che invero, negli ultimi mesi, «ha continuato a essere teatro di instabilità tra conflitti irrisolti, emergenza pandemica e crisi economica». Anche se «sul fronte dei conflitti, vi sono stati alcuni segnali di dialogo, che uniti all’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e all’avvio di un nuovo approccio diplomatico nei confronti delle questioni della regione del Medio Oriente e Nord Africa (MENA), sembrano aprire qualche spiraglio di cambiamento». Segnali che provengono innanzitutto dalla Libia, dove la tregua raggiunta fra Tripoli e Bengasi lo scorso ottobre rimane in vigore e
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dove il nuovo esecutivo presieduto da Abdel Hadim Dbeibah (www.ispionline.it/documenti/Libia-la-voltabuona?) si avvia, dopo anni di instabilità e di guerra civile, a traghettare il paese al prossimo appuntamento elettorale di dicembre, auspicabile preludio a una Libia unificata con un governo regolarmente eletto dal popolo come previsto dal piano delle Nazioni unite. Anche se il ritiro dal paese delle forze «straniere» entro gennaio, previsto dall’accordo per il cessate-il-fuoco, non sia stato sinora rispettato. Sul piano interno, la popolazione civile continua a soffrire gli effetti di un paese instabile e diviso, aggravati dalla corruzione e dal Covid-19 — leggiamo nell’Executive Summary. I civili continuano a essere le principali vittime anche in Siria e nello Yemen, teatri dove le ostilità permangono, sebbene con diversi gradi di intensità. La Siria rimane divisa in tre aree di influenza, e la presenza di potenze esterne (Turchia, Iran e Russia) non contribuisce certo a una soluzione definitiva di un conflitto infinito (che è costato sinora 388.000 vittime e 13 milioni di profughi). In Yemen la formazione di un governo unitario lo scorso dicembre non cambia affatto la tragicità dell’emergenza umanitaria. Soffermiamoci in particolare sulla situazione irachena — di cui ci parla in dettaglio Francesco Schiavi — che, agli inizi del 2021, si trova ancora a fare i conti con le sue fragilità economiche e securitarie, aggravate nell’ultimo anno dalla pandemia da Covid-19 e dai pericoli di recrudescenza dello Stato islamico (IS). L’attuale governo ad interim del primo ministro incaricato Mustafa al-Kadhimi — come viene sottolineato — fatica ad avviare le riforme da tempo richieste dai movimenti di piazza e a rispettare le promesse elettorali. Incognite interne alle quali si sommano quelle relative all’approccio che la nuova presidenza Biden adotterà nei confronti dell’Iraq. Un Iraq dunque che oggi continua, meglio che per i fatti
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del suo recente passato, a essere agli onori della cronaca sia per il viaggio apostolico di Papa Francesco sia per il rafforzamento della NATO Mission Iraq (passata da 400 a ben 5.000 unità), di cui l’Italia ha assunto il comando, come deciso durante l’ultima riunione ministeriale NATO dello scorso febbraio, mantenendo nel contempo la guida della missione ONU in Libano (UNIFIL), di quella NATO in Kosovo (KFOR) e dell’operazione EUNAV FOR IRINI della forza navale dell’Unione europea nel Mediterraneo lanciata, ricordiamo, dal Consiglio dell’UE con la decisione PESC 2020/472) del 31 marzo 2020 con l’obiettivo di far rispettare l’embargo sulle armi delle Nazioni unite alla Libia. Una notizia importante che possiamo seguire nel commento di Ottavia Credi, ricercatrice dello IAI sul numero di AI in epigrafe citato, che ne ripercorre tutti i precedenti impegni italiani. Infatti, «l’Italia è presente sul territorio iracheno da quasi vent’anni, a fasi alterne in linea con l’orientamento dei maggiori alleati. Tra il 2003 e il 2006, le truppe italiane furono drammaticamente impegnate nella missione Antica Babilonia, mirata al supporto degli Stati Uniti nella stabilizzazione dell’Iraq a seguito del rovesciamento del regime di Saddam Hussein, e segnata dalla strage di Nassiriya. L’Italia fu poi parte attiva della prima NATO Training Mission Iraq, in corso tra il 2004 e il 2011 — sebbene la formazione degli ufficiali iracheni avvenisse principalmente fuori dal paese — ed entrò nuovamente in forze in Iraq nel 2014 con l’operazione Prima Parthica, nell’ambito della missione internazionale Inherent Resolve, avviata dalla coalizione globale contro il sedicente Stato islamico». Molteplici sono gli obiettivi che si prefigge la missione. In primo luogo, il contingente dispiegato sul territorio (al momento consistente in circa 1.100 militari, 270 mezzi terrestri e 12 aerei, schierati tra la base di Erbil nel Kurdistan iracheno e quella di Baghdad), sarà incaricato di addestrare le forze locali e fornire loro supporto nella lotta all’ISIS, che continua ad affliggere la popolazione irachena nonostante il gruppo terroristico abbia, di fatto, perso il controllo della regione. Inoltre, la missione — la cui presenza territoriale sarà allargata oltre l’area di Baghdad — è preposta al rafforzamento della «sicurezza dei confini» del paese e al ripristino
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della sovranità dello Stato iracheno. Tra le implicazioni del maggiore impegno italiano nella missione NATO — sottolinea l’Autrice — vi è il rischio di un possibile inasprimento delle tensioni con la Turchia, che ha più volte criticato l’Alleanza atlantica, di cui pur fa parte dal 1952, per la sua collaborazione con i curdi iracheni. Al tempo stesso però, la mancanza di un veto turco al potenziamento della presenza NATO in Iraq potrebbe suggerire un’apertura verso un approccio condiviso alla stabilizzazione del paese stesso.
«Archeologia e Nazionalismi» ARCHEO. ATTUALIT¤ DEL PASSATO, FEBBRAIO 2021
ANNO
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N .432,
In un palinsesto estremamente ricco e variegato, che spazia dai fasti della Babilonia del VII-VI sec. a.C., una città «tra cielo e terra», grande venti volte l’Atene di Pericle, lettura ideale per i nostri soldati in Iraq, al celebre e discusso disco «celeste» di Nebra, portato alla luce da scavi clandestini nel 1999 e databile a un periodo intorno al 1600 a. C., un vero e proprio strumento astronomico con la sua raffigurazione della volta celeste, in particolare richiamiamo l’attenzione del lettore sull’ampio articolo di Umberto Livadiotti intitolato Tutte le Piccole Patrie. Un articolo in cui si pone l’accento sul fatto che l’Europa pullula di gruppi etnici, demograficamente esigui che, in nome della storia e dell’archeologia, rivendicano per sé, sia pur in diversa misura, lo status di nazione con il diritto di essere riconosciuti come entità statali, riaccendendo così, sull’onda di istanze politiche contingenti e spesso effimere, sopite «passioni archeologiche» che l’Autore passa rapidamente in rassegna. Negli ultimi decenni, infatti, dopo il collasso dell’Unione Sovietica e l’implosione della Yugoslavia, sloveni, croati, serbi, bosniaci, macedoni, albanesi, ungheresi e bulgari hanno insistito in particolare nella
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Che cosa scrivono gli altri
ricerca delle proprie «radici storiche», riscrivendo il proprio pedigree al fine di dotarsi dell’antichità necessaria intesa a legittimare l’esistenza di una propria entità statale. Come era già successo, nel caso della Bulgaria nella seconda metà dell’Ottocento, dove i nazionalisti avevano scoperto la propria ascendenza slava e poi, nella prima metà del Novecento, le radici «proto-bulgare», stabilendo infine un proprio collegamento nientemeno che con la civiltà dei «Traci», con l’intento di meglio garantire alla nazione autoctonia e originalità. E altrettanto imprevista è stata la riscoperta dei Macedoni «antichi» (Filippo e Alessandro Magno, per intenderci) da parte di quelli «contemporanei», inventando un’identità nazionale da contrapporre alle pretese bulgare, greche e albanesi sul territorio di quella che oggi conosciamo come «Macedonia del Nord». Una penisola balcanica nella quale il più celebre mito nazionalista è stato costituito dall’illirismo, cioè spiega l’Autore, ricostruendone poi in dettaglio la storia, il ricollegamento a una serie di tribù presenti sulla costa adriatica e nell’immediato
retroterra (grosso modo dall’Erzegovina all’Albania) almeno dall’inizio dell’Età del Ferro, popolazioni invero misteriose di cui abbiamo descrizioni incerte e lacunose, dovute agli scrittori classici che li consideravano sic et simpliciter «barbari». Il caso più eclatante, peraltro ancora in piena Guerra Fredda, è stato il regime nazionalcomunista di Enver Hoxa per il quale, come se non avesse avuto niente di meglio da pensare e da fare, «la teoria della filiazione illirica degli Albanesi» divenne una «verità assiomatica», ribadita con tutti i mezzi della propaganda ufficiale in funzione di rivendicazioni etnico-territoriali. Il tutto per significare, ancora una volta, come la storia non sia solo una materia polverosa da studiosi da tavolino ma, in un’epoca di rinascita di nazionalismi e sovranismi, col suo uso (e spesso abuso) politico possa pericolosamente far da volano a inquietanti svolte indipendentiste locali con tanto di petizioni di principio territoriali, fondate peraltro su narrative difficilmente verificabili in sede scientifica. Ezio Ferrante
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RUBRICHE
R ECENSIONI
E SEGNALAZIONI
(a cura di) Marco Cuzzi
Naufragi Storia dÊItalia sul fondo del mare Ed. Il Saggiatore Milano 2017 pp. 206 Euro 22,00
«Ci sono due modi per raccontare una tragedia del mare. Il primo è quello delle bettole e delle osterie disseminati lungo i porti.[…] L’altro modo è quello basato su resoconti, inchieste e memorie». Così Marco Cuzzi, professore di Storia contemporanea all’università di Milano, introduce questo saggio, da lui curato e nato grazie al contributo di diversi scrittori e giornalisti. Un secolo di tragedie del mare, quello racchiuso in questo libro, che inizia nel 1912 con il Titanic e finisce, nel 2012, con e che comprende undici storie più o meno note, che sono storie di navi, ma soprattutto di uomini. Nella sventura del naufragio con alcuni il fato è stato comunque benevolo, con molti altri purtroppo no. Fato avverso o colpa dell’uomo? «Forse in ogni naufragio si ha il combinato di questi fattori: antiche maledizioni, fatalità, imperizia, negligenza». Partita il 10 aprile 1912 da Southampton con destinazione New York, la RMS Titanic, la nuova ammiraglia della compagnia inglese White Star Line, al comando del capitano Edward John Smith, prevede cabine di prima, seconda e terza classe e può accogliere 3.547 persone tra equipaggio e passeggeri. «Molti passeggeri di terza sono emigranti che lasciano per la prima volta la loro patria e vanno a cercare fortuna nel nuovo mondo». In prima classe invece ci sono i più importanti esponenti dell’alta società americana. Per evitare una commistione tra passeggeri di prima e di terza classe, «i passaggi tra i vari ponti vengono bloccati con grate di ferro, chiuse da catene e lucchetti». La sera del 14 aprile il Titanic viaggia alla massima velocità, superando perfino i 22 nodi. La comunicazione ricevuta dalla nave Baltic, relativa agli iceberg presenti lungo
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la rotta, non viene considerata dal comandante talmente grave da indurlo a ridurre la velocità. Un altro messaggio, arrivato via radio dalla nave Californian, sulla presenza di iceberg non viene preso in considerazione. Perché tanta superficialità? A generarla probabilmente è il clima che si è creato sul Titanic. «Tali e tanti sono i giudizi lusinghieri di quelli che vedevano la nave come inaffondabile, che alla fine tutti si sono convinti che lo sia davvero». Alle 23:40 le due vedette urlano nell’interfono: «Iceberg! Dritto di prua!». L’iceberg ferisce il Titanic di striscio. Il capitano Smith incarica il progettista Thomas Andrews di verificare la situazione. «Quando il progettista ritorna porta con sé una condanna a morte: il Titanic è destinato ad affondare nel giro di un’ora e mezzo, al massimo due». Il Capitano ordina l’abbandono nave. Tutte le scialuppe e i canotti vengono messi a mare, ma nonostante i 1.178 posti disponibili, imbarcano meno di settecento persone. «Dopo centosessanta minuti dalla collisione, si trovano ancora a bordo del Titanic più di millecinquecento persone.[…] Gli otto orchestrali vanno avanti a suonare fino a circa l’una e quaranta». Alle 2:20 del 15 aprile 1912 il Titanic è affondato. «Nessuno può dire con certezza quanti furono i morti complessivi: i numeri più affidabili parlano di 705 superstiti e 1.518 deceduti». Quindici anni dopo, nel quello che l’autore definisce l’anno della velocità — sarà, infatti, l’anno di Francesco De Pinedo, di Umberto Nobile e dell’inaugurazione delle prime linee aeree civili — ci sarà un altro disastro: questa volta toccherà al piroscafo Principessa Mafalda di Savoia, varato nel 1903 dal cantiere della Foce di Genova per volere dell’armatore Erasmo Piaggio. Il Mafalda è una nave elegante, dove viaggiano personaggi del jet set italiano ed europeo dell’epoca: da Luigi Pirandello a Carlo Emilio Gadda, da Arturo Toscanini a Carlos Gardel. L’11 ottobre 1927 il Mafalda, con a bordo 1.257 persone (tra cui Ruggero Bauli, un pasticcere veronese che si sta recando in Argentina per aprire un’attività) parte da Genova per il suo ultimo viaggio verso il Brasile e il Rio de «Ma il transatlantico è ormai un’anziana signora del mare, elegante e raffinata, ma con le ossa fragili, il cuore meccanico malmesso, la circolazione di lubri-
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ficante compromessa. Se ne accorge il nuovo comandante, Simone Gulì». Alle 17:25 (ora locale) del 25 ottobre, a da Porto Seguro, presso Bahia, la nave perde l’albero dell’elica di sinistra e inizia a imbarcare acqua. Dieci minuti dopo la mezzanotte del 26 ottobre il Mafalda affonda. Muoiono almeno 314 persone, compreso il comandante che, alle 23:20 lancia «il si salvi chi può, liberando anche l’equipaggio dai suoi obblighi. Getta il sigaro, mette in bocca il fischietto con il quale ha fino a quel momento impartito gli ordini ed emette due suoni lunghi e penetranti. L’ultimo saluto». Questo mentre l’orchestra intona reale. Una morte eroica, insieme a quella del suo vice Francesco Moresco, del direttore di macchina Silvio Scarabicchi e dei due marconisti, Boldracchi e Reschia, rimasti al loro posto fino all’ultimo. Nel 1956 è invece l’anno nefasto dell’Andrea Doria — ammiraglia della società Italia — varata il 16 giugno 1951 dai cantieri Ansaldo di Genova Sestri. Il 25 luglio «in rotta da Gibilterra a New York, a a ponente di Nantucket, […] alle 23:10, in condizioni atmosferiche di nebbia fitta, l’Andrea Doria viene speronata sulla dritta dalla motonave svedese Stockholm. […] Con la collisione muoiono quarantasei tra passeggeri e membri dell’equipaggio». Al comando c’è il genovese Pietro Calamai. Sarà l’ultimo a lasciare, contro voglia, la nave. Prima però, Raoul de Beaudeàn, il comandante dell’Ile de France, una delle navi giunte in soccorso, «ordina un giro attorno al Doria ferito a morte, con suoni di sirena e bandiera e mezz’asta». Poi la nave italiana s’inabissa andandosi ad adagiare sul fondale a poco più di settanta metri. Il diavolo sale a bordo del mercantile inglese London Valour, alla fonda nella rada di Genova, il 9 aprile del 1970. Colpita da un improvviso vento forte, la nave naufraga, nel pomeriggio, sugli scogli della città, sotto gli occhi di centinaia di genovesi. Nonostante il comportamento eroico dei soccorritori, alla fine si contano venti morti tra i quarantasei membri dell’equipaggio, compresi il comandante Donald Marchbank Muir e sua moglie. La sera del 10 aprile 1991, alle 22:30, , un traghetto diretto in Sardegna, mezz’ora dopo aver mollato gli ormeggi dal porto di Livorno, si scontra con la petroliera Agip Abruzzo — alla fonda nella rada della città toscana —
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sfondando la cisterna di gasolio trasportata da quest’ultima: «duemilasettecento tonnellate che prendono immediatamente fuoco provocando un gigantesco incendio e una spessa coltre fumogena». Delle 141 persone imbarcate sulla Moby Prince, se ne salverà solo una. Ancora oggi permane il mistero di Theresa, una nave la cui presenza in rada, quel giorno, risulta solo da una comunicazione radio e che, abbandonato il porto di Livorno nei momenti della tragedia, fa perdere le sue tracce. Il 13 gennaio 2012, la nave Concordia, il rito dell’inchino all’isola del Giglio, l’urto contro una roccia sommersa allo Scoglio delle Scole, i trentadue morti, sono cronaca recente. Baron Gautsch, Luisa, Acnil 130, Angel, Tito Campanella sono le protagoniste delle altre storie di questo saggio, storie comunque tragiche ma che, in alcuni casi, hanno consegnato ai posteri la memoria di veri e propri eroi. Gianlorenzo Capano
Giuseppe Sfacteria
Dardanelli! Racconto Libertà Edizioni Lucca 2020 pp. 144 Euro 14,00
Il capitano di vascello Giuseppe Sfacteria, ufficiale in servizio del Corpo di Commissariato Militare Marittimo, già nel 2016 aveva dato prova delle proprie doti letterarie con il romanzo Di mare e di guerra, dedicato alla figura del suo conterraneo Giuseppe Aonzo, tra i protagonisti dell’impresa del 10 giugno 1918 conclusasi con l’affondamento della corazzata austro-ungarica Szent István. In quel libro l’autore dava corpo a un gradevole racconto, dichiaratamente di fantasia, che lungi dal voler riscrivere gli eventi storici, pur esattamente descritti, da essi prendeva le mosse per dipanarsi lungo rivoli che lambivano altri episodi e personaggi collegati alla Regia Marina. Nel medesimo stile il comandante Sfacteria ha ora dato alle stampe la sua seconda opera, Dardanelli!, an-
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ch’essa in forma di romanzo breve. Lo spunto è, come in precedenza, un personaggio realmente esistito, nonno di un compaesano dell’autore, il marinaio scelto Pietro Accame da Pietra Ligure, che a bordo della Regia Torpediniera Climene prese parte all’impresa del 18-19 luglio 1912 da cui il libro prende il titolo. L’impresa dei Dardanelli e alcuni suoi retroscena divengono il pretesto, o meglio il filo conduttore, di una vicenda che inizia nel 1937 e trova il protagonista nel giovane Carlo, orfano di un marinaio che aveva preso parte a quei fatti. Milite volontario nella guerra civile spagnola, cresciuto come un’intera generazione nei miti del regime, Carlo sarà l’unico sopravvissuto di un’imboscata repubblicana grazie all’intervento di un misterioso personaggio, vero deus ex machina del racconto. Inviato in convalescenza (non a caso) a Pietra Ligure nella colonia climatica allora aperta da poco, Carlo avrà modo di incontrare l’ormai maturo marinaio Accame, che gli parlerà del padre e delle vicende da loro vissute sul Climene; e allo stesso tempo inizierà a riflettere sull’ideologia in cui è stato allevato e sulla loro reale portata. Solo negli anni a venire, dopo molto tempo, sopite passioni e disillusioni il protagonista verrà a conoscenza dei diversi tasselli di tutta la sua vicenda che finalmente potrà ricomporre in serenità. Il racconto, che — come si è detto — è un esplicito esercizio di fantasia, non manca tuttavia di descrizioni estremamente realistiche di luoghi e circostanze: non solo di quelle dell’azione marinaresca da cui il libro trae il titolo, ma anche da altre legate alla professione dell’autore. È il caso, in particolare, della veritiera descrizione della vita a bordo di un incrociatore pesante classe «Zara», a bordo del quale il protagonista, ospite per lo più tollerato con sufficienza a causa della sua appartenenza alle camicie nere, compie il viaggio di rientro dalla Spagna a Genova. Il mondo della nave da guerra si svela così all’occasionale passeggero, ignaro della vita di bordo come la stragrande maggioranza dei suoi connazionali di ieri e di oggi, il quale si rende conto di come quell’incrociatore non sia solo una caserma galleggiante ma una piccola città, persino dotata di ospedale e banca, come egli stesso avrà modo di scoprire data la sua pur breve frequentazione coi servizi sanitario e di commissariato. Merita poi una citazione, l’accurato affresco con cui
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il comandante Sfacteria, orgogliosamente attaccato alla sua terra (stretta tra mare e montagna ma nondimeno tenace), riporta in vita la Pietra Ligure degli anni Trenta, con personaggi, luoghi e modi di dire evidentemente tratti dalla realtà, in una ideale Spoon River del Ponente. C’è da augurarsi che questo divertissement, privo di pretese letterarie e forse proprio per questo più godibile di paludati e seriosi romanzi, sia solo il secondo di una lunga serie. Vicende e uomini di mare da far rivivere non mancano, come la fantasia dell’autore. Andrea Tirondola
Padre Giuseppe Franceschi SI (a cura di) Giuseppe Biagi Jr., Francesco Luigi Clemente, P. Federico Lombardi SI
Diario verso il Polo Nord Sandit Libri Editore Albino (BG) 2020 pp. 232 Euro 14,90
Il libro Diario verso il Polo Nord ha un intento commemorativo nel 145° anno dalla nascita del Padre gesuita Giuseppe Gianfranceschi SI (Societas Iesu) nato nel 1875 e morto nel 1934. Gianfranceschi, come ricorda Padre Federico Lombardi SI nella prefazione, fu un eminente studioso di fisica, presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze (dal 1921), rettore della Pontificia Università Gregoriana (dal 1926 al 1930) e primo direttore della Radio Vaticana (dal 1930). La ricorrenza ha dato spunto a Giuseppe Biagi Jr, nipote omonimo del radiotelegrafista della «Tenda Rossa», e al giornalista Francesco Luigi Clemente di pubblicare una loro (1) trascrizione in caratteri in chiaro del già noto diario manoscritto che Padre Gianfranceschi tenne durante la sua partecipazione, in qualità di cappellano, alla tragica spedizione artica del dirigibile Italia (2). Interessi convergenti unirono i destini del generale del genio aeronautico Umberto Nobile a quello di Padre Gianfranceschi in una spedizione che fin dall’inizio ebbe bisogno di raccogliere consensi e protezione vista la ferma opposizione del ministero dell’Aeronau-
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tica che, lo ricordiamo, era proprietario dell’aeronave. La Chiesa di Achille Ratti - PIO XI era molto impegnata nell’opera missionaria svolta particolarmente dai gesuiti e accolse con favore la partecipazione a una impresa alle estremità polari sulla quale porre il sigillo papale. L’intento fu esplicitato nella ricostruzione dei fatti apparsa sul Bollettino Le Missioni della Compagnia di Gesù del 3 agosto 1928. Allo stesso modo di quanto fatto alla partenza del Norge, il Papa fece dono a Nobile di una immagine della Madonna di Loreto, Patrona degli aviatori, alla quale aggiunse una robusta croce di legno, alta quanto un uomo, da fissare al Polo. «Ma il pio esploratore — scrive il Bollettino — aveva chiesto al Sommo Pontefice anche un Sacerdote, perché alla difficile impresa non mancasse il conforto e l’aiuto dell’assistenza religiosa, nell’affrontare i più arrischiati pericoli. La scelta cadde sul P. Giuseppe Gianfranceschi S.I. […] Lo chiesi con qualche trepidazione al Santo Padre — disse lo stesso Nobile — e il Pontefice accondiscese amabilmente. Ora, dico il vero, mi sento più sicuro» (3). Tuttavia, dal diario pubblicato emerge che l’esperienza polare fu particolarmente sofferta da Padre Gianfranceschi perché egli vi svolse, contrariamente alle sue aspettative, un ruolo assai marginale. Nobile, infatti, lo sottrasse ai compiti scientifici relegandolo alle funzioni religiose sulla nave appoggio Città di Milano che interpretò quasi sempre da solo, rifiutandogli anche l’onore di salire a bordo del dirigibile. Padre Gianfranceschi ammise di non aver potuto svolgere ricerche specifiche in una relazione inviata al Pontificio Collegio Americano di Roma il 18 marzo 1930. Nel documento si legge: «…non intendo qui fare una relazione scientifica della spedizione lasciando che per il primo il generale Nobile pubblichi i risultati ottenuti e salvati nella grande spedizione. Tanto più che, come è noto, per ragioni indipendenti dalla mia volontà non ho preso parte ai voli dell’“Italia” e restai sulla nave base. Mi limiterò quindi ad alcune osservazioni di carattere generale» (4). Ridotto al ruolo di una comparsa, Padre Gianfranceschi non godette di quella considerazione che gli sarebbe stata dovuta quale rappresentante dell’autorità vaticana (vedi per esempio pp. 67-68 del Diario).
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Chiuso nella sua cabina a recitare preghiere, appena tollerato tanto da proporre di spostarsi in un «buchetto» (p. 68 del Diario), chiedeva umilmente e ansiosamente notizie e ne riceveva poche e frammentarie. Il 28 giugno 1928 scrisse molto amareggiato, rimpiangendo di non essere rimasto a Roma ad attendere ai suoi impegni di Rettore: «Sono qui da due mesi su questa nave, senza fare niente … Qui si è isolati come in una missione … Col personale qui non è possibile nessun affiatamento, tutto ciò che si riesce a fare è celebrare la S. Messa la domenica con un piccolo gruppo di marinai… Che effetto ha avuto la mia presenza? Sarà molto se non diranno che il disastro è avvenuto per la presenza del prete…Quando tornerò in Europa e in Italia cercherò di non farmi vedere da nessuno» (pp. 97-98 del Diario). D’altronde il ruolo propiziatorio e propagandistico della fede era stato affidato alla grande e pesante croce in quercia dono del Papa e Nobile gli negò anche la soddisfazione di officiare la cerimonia del suo lancio sul vertice polare (pp. 34-36 del Diario) (5). Testimonianza dei rifiuti e delle amare rinunce subite, gli appunti di Padre Gianfranceschi non dicono nulla di significativo per la cronaca dei quasi quattro mesi della spedizione a cui partecipò e tantomeno per il chiarimento di quelle zone d’ombra che la storiografia non è ancora riuscita a fare. Ne sono consapevoli, e lo riconoscono, i curatori della trascrizione (p. 25 del libro), il prof. Antonio Ventre, direttore del Museo Nobile di Lauro (p. 9) e il Padre Lombardi (p. 12). Carla Schettino Nobile (nipote del generale), nella sua premessa al libro, esprime il desiderio di conoscere «la posizione di Gianfranceschi nei mesi della commissione d’inchiesta», nella convinzione che il gesuita stesse «dalla parte di Nobile» (p. 7). Abbiamo potuto soddisfare la richiesta consultando l’interrogatorio al quale Gianfranceschi si sottopose l’11 febbraio del 1929. In quell’occasione, l’ammiraglio Umberto Cagni, presidente della commissione, insistette nel voler conoscere le notizie apprese al momento del rientro degli ufficiali di Marina Adalberto Mariano e Filippo Zappi; ciò al fine di vagliare le accuse di antropofagia che la stampa avversa aveva rivolto loro a proposito della morte del meteorologo svedese Finn Malmgren. Il gesuita, che aveva ascol-
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tato le confessioni dei due naufraghi, oppose un rifiuto «…fra le cose che sono a mia conoscenza — dichiarò — ve ne sono alcune che io non posso dire, perché riguardano il mio Ministero» (6). Contrariamente alle nostre attese, il Diario (pp. 119-120) dice ancor meno su questo punto lasciando al lettore la delusione di non aver fatto alcuna scoperta storica. Gianfranceschi si espresse invece in sentiti e vivi apprezzamenti per la moralità dei due ufficiali a sostegno della loro credibilità (7); cosa che dovette contribuire all’esito punitivo dell’inchiesta nei confronti di Nobile, visto che le accuse rivoltegli poggiarono proprio sulle deposizioni di Mariano e di Zappi. Al posto di Padre Gianfranceschi la storia ricorda la croce di legno il cui peso incise sulla decisione di Nobile di rinunciare al secondo radiotelegrafista, Ettore Pedretti. Forse questi avrebbe potuto lanciare l’SOS in un momento più efficace dalla potente stazione radio di bordo, quando il suo collega, Giuseppe Biagi, abbandonati il tasto e la cuffia della radio, era intento ad alleggerire di zavorra l’aeronave nei preziosi minuti prima di cadere (8). Come è noto, le trasmissioni avvennero con grande difficoltà, solo dopo la caduta del dirigibile con l’aiuto di una debole e precaria radio da campo. La croce attirò il sarcasmo dei commentatori sovietici che erano a bordo del rompighiaccio Krassin, da sempre ostili, come l’opinione pubblica ufficiale sovietica, all’impresa italiana. Il giornalista della TASS, Nicholaevich Shpanov scrisse poco dopo il disastro: «Questa famigerata croce di quercia, consegnata a Nobile dal Vicario di Pietro da issare al Polo, è stata essenzialmente la vera colpevole dell’incidente dell’Italia, costringendo l’aeronave a perdere un’ora e mezza preziosa per l’operazione di far scendere la croce al Polo» (9). Durante i lunghi anni che seguirono la catastrofe, Nobile non entrò in contrasto con il fascismo; ma allo stesso tempo durante la sua permanenza in Unione Sovietica si disinteressò delle violenze della rivoluzione bolscevica, magnificando ben oltre i loro effettivi meriti l’opera del radioamatore sovietico Nicolaj Schmidt e quella del Krassin. Per il Vaticano di Papa PIO XI (morto nel 1939), in un’epoca di particolari sinergie con il regime fascista che portarono ai Patti Lateranensi del 1929 e
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all’inaugurazione della Radio Vaticana nel 1931, prevalse l’apprezzamento per lo spirito di solidarietà manifestato dai sovietici rispetto alle loro politiche anticlericali e iconoclaste. Così Nobile godette dell’appoggio papale per tutti gli anni del periodo fascista. Con il supporto di Padre Gianfranceschi fece carriera, come ricorda Padre Lombardi nella prefazione (pp. 15-16), fino a diventare «Accademico pontificio» nel 1936 al suo rientro da Mosca, due anni dopo la morte del gesuita. Nel 1939 PIO XI riuscì a trovargli un posto di lavoro negli Stati Uniti presso una scuola di ingegneria aeronautica, dove rimase fino al 1942, quando rientrò in Italia per sfuggire alle conseguenze dell’entrata in guerra degli americani. Con la caduta del fascismo e la conversione di Nobile all’antifascismo e al comunismo di Palmiro Togliatti nel 1946, l’idillio con il Vaticano cessò (10). Papa Eugenio Pacelli - PIO XII, impegnato a fronteggiare le aggressioni comuniste dopo la guerra, costrinse Nobile alle dimissioni forzate dall’Accademia Pontificia attraverso il mons. Giovanni Montini (futuro Papa Paolo VI), dimissioni che ricordano quelle volontarie del generale dall’Aeronautica del 1929. In questo quadro, l’attaccamento religioso di Nobile («uomo di profonda fede religiosa», scrive il prof. Ventre a p. 9) e la sua devozione alla Madonna di Loreto, ampiamente conclamati nel libro, meriterebbero una lettura meno retorica di come è espressa dai suoi curatori e si spiegherebbe così la disinvoltura con la quale il generale tenne distante Gianfranceschi da una concreta partecipazione alla spedizione polare. Gli autori della trascrizione non si limitano a proporre il testo del Diario, ma aggiungono nella parte finale una narrazione della spedizione del dirigibile Italia che risulta rituale e sostanzialmente autoreferenziale (pp. 194-211). Ciò non è inusuale perché larga parte della letteratura divulgativa, anche quella che propone documentazione o studi di rilevanza storica, ha invece prodotto racconti e ricostruzioni legati più alle esperienze e ai sentimenti personali degli autori che a una vera e propria indagine storiografica. Claudio Sicolo
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Recensioni e segnalazioni NOTE (1) Il diario di Gianfranceschi è stato digitalizzato a cura dell’Archivio della Pontificia Università Gregoriana (APUG) ed è liberamente consultabile all’indirizzo https://gate.unigre.it/mediawiki/index.php/Index:APUG _2300_B2.djvu. Presso l’APUG esiste un’altra trascrizione insieme a una proposta di pubblicazione del diario a cura di Cosimo Calcatelli di Arcevia in APUG 2271-2. La trascrizione di Biagi-Clemente non risulta validata dall’APUG al momento della pubblicazione del libro. (2) Il diario è già conosciuto dagli studiosi, vedi per esempio F. Bea, A. De Carolis, Ottant’anni della radio del Papa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, Vol. I, p. 28; Mario Sica, Buona strada, padre Giafranceschi, L’ASCI e la partenza del padre Gianfranceschi per la spedizione polare, in Esperienze e progetti, n. 212, 2016. Lo stesso Gianfranceschi aveva pubblicato alcuni estratti del suo diario nell’articolo La mia missione al Polo pubblicato su L’illustrazione vaticana del 1933, vedi APUG 2271-1 fogli 18-48. (3) Le Missioni della Compagnia di Gesù, 3 agosto 1928, p. 345, Archivio privato del cap. Ugo Baccarani custodito da Valerio Russo. Il 7 aprile il Papa affidò a Padre Gianfranceschi anche una statuetta in legno della Madonna di Loreto, vedi il quotidiano La Tribuna-L’idea nazionale, del 10 aprile 1928 p. 5. La statuetta, che è conservata al Museo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, fu ritrovata dal giornalista sovietico Nicholaevich Shpanov il 12 luglio 1928, vedi C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italia al Polo Nord, Aracne, Canterano, 2020, pp. 260-261. (4) APUG 2271 – I foglio 7. (5) Padre Gianfranceschi aveva preparato il testo delle preghiere da recitare durante la cerimonia della discesa della croce sul polo, ma ciò non fu possibile, vedi APUG 2270-III foglio 222. (6) Interrogatorio di Padre Giuseppe Gianfranceschi in Atti della commissione d’indagini sulla spedizione polare dell’aeronave Italia, Archivio di Base dell’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, cartella 2447. (7) Gianfranceschi li definì «due forti galantuomini, pieni di forza morale, non ordinaria», p. 5 dell’interrogatorio citato. (8) Sulla rinuncia di Nobile a portare Pedretti nell’ultimo volo, vedi C. Sicolo, Le onde smarrite della Tenda Rossa – Storie, leggende e verità della radio nella spedizione del dirigibile Italia al Polo Nord, Sandit, Albino (BG), 2017, pp. 200-201. Sul mancato invio dell’SOS dal dirigibile, ibidem, pp. 207-208. (9) Citazione in C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italia al Polo Nord, op. cit., p. 261. (10) Per approfondimenti sul contegno politico di Nobile, vedi il primo capitolo del libro di C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italia al Polo Nord, op. cit., In particolare pp. 80-110 per la fase del dopoguerra.
Domenico Carro
Orbis Maritimus La geografia imperiale e la grande strategia di Roma Ed. ACIES Milano 2019 pp. 320 S.I.P.
Mi accingo con vivo piacere a recensire il presente volume dell’ammiraglio Carro che — lo premetto subito — colma un settore della storia della geostrategia con particolare riferimento alla civiltà romana. Tutti ricordano, certamente, il libro di Edward Luttwak (in edizione italiana: La grande strategia dell’Impero Romano, Rizzoli 2013), con cui si pose sul tappeto il problema appunto della visione della geostrategia dell’Antica Roma. Ritengo dunque che la monografia di Carro si ponga nel solco di questo filone di studi — che oltre oceano vede insigni studiosi come per esempio M.R. Sheldon — e che qui in terra d’Italia sta scorgendo un rinnovato interesse e fermento. Il volume è in realtà un vero e proprio trattato sul tema. Al fine di dare contezza al lettore ne indico volentieri la struttura come segue. In nove capitoli l’A. riesce a tratteggiare, con grande chiarezza espositiva e con attenzione alle fonti, il quadro
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della proiezione strategica marittima di Roma nell’età del principato. Dopo un primo capitolo, direi introduttivo, dedicato alla Pax Augustea e costruzione dell’Impero (pp.5-23), l’A. pone un interessante e utile capitolo secondo su Conoscenze geografiche, cartografia e documenti nautici (pp.2540) ricordando così, de facto, al lettore il binomio imprescindibile tra cartografia e geopolitica e quindi geostrategia. Quindi, il volume prosegue in altri capitoli come segue: cap. III - Presenza navale nel Mediterraneo e ruolo strategico delle flotte imperiali (pp.41-70); cap. IV - Presenza navale nell’oceano Atlantico e proiezioni verso le isole (pp.71-94); cap. V - Presenza navale nel Mare del Nord e proiezioni nell’oceano Settentrionale (pp.95-112); cap. VI Presenza navale nel Mar Nero e proiezioni verso il mar Caspio (pp.113-136); cap. VII - Presenza navale nel Mar Rosso e nel Golfo Persico (pp.137178); cap. VIII - Proiezioni verso l’oceano Meridionale (pp.179-208); cap. IX - Proiezioni nell’oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale (pp.209-266); e infine un ultimo capitolo, il X - Strategia marittima dell’alto Impero (pp.267-289). Conclude il volume una lista delle abbreviazioni (pp.290-292) a cui segue un elenco delle fonti antiche citate (pp.293-297) e infine una corposa e ben fatta bibliografia (pp.298-315) nonché un elenco delle illustrazioni (pp.315-320). Decisamente un’opera ben fatta, particolarmente interessante sia
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Recensioni e segnalazioni
per il lettore nonché per il ricercatore che ha così la possibilità anche di avere sotto mano le fonti antiche, presentandosi così come una monografia veramente ricca di dati utili. Ciò che emerge dalla lettura del volume è che Roma ha posseduto una percezione chiara della propria potenza marittima e navale e parimenti si mostra come antesignana, in molti casi, della geostrategia moderna. Infatti, l’A. afferma che: «(…) emerge piuttosto nettamente la capacità dei Romani di condurre delle oculate analisi geopolitiche e geostrategiche e di saper individuare, su quelle basi, delle strategie marittime rispondenti e di lunga durata, vista la contestuale stabilità degli scopi perseguiti dal potere imperiale sotto il principato dei vari Cesari» (p.287). Aggiungo che tale capacità era del tutto empirica e de facto in quanto — come ben noto — la geopolitica è una disciplina tutto sommato alquanto recente. Tuttavia appare chiaro che Roma abbia posseduto una chiara percezione geopolitica e geostrategica e che la storia dell’Impero Romano d’Occidente, prima e d’Oriente poi, testimoni ciò. Il risultato del volume dell’ammiraglio Carro è dunque quello di un vero e proprio manuale, che risulta così essere decisamente vantaggioso per tutti ma anche per i settori scientifico-disciplinari di storia romana e di diritto romano poiché — come cerco di affermare da tempo — la visione giuridica spesso si accavalla, anche in età antica, con quella che oggi noi denominano sic et simpliciter geopolitica. Nel formulare vivi rallegramenti all’ammiraglio Carro, mi sento di caldeggiare particolarmente tale volume per il lettore della Rivista Marittima.
Il Siluro Alato, un’arma che ha un nome dal sapore mitologico. Dalla definizione di Gabriele D’Annunzio si è sviluppata un’arma vincente per l’Aeronautica italiana e per la specialità che ne derivò, quella degli aerosiluranti. A quest’arma aerea si legano due nomi abruzzesi: Gabriele d’annunzio ed Eugenio Sirolli, il poeta aviatore e il pilota che volò al fianco di Carlo Emanuele Buscaglia, da annoverare fra i pionieri della specialità. Il libro ripercorre la storia del nuovo sistema d’arma applicato all’Aeronautica e i primi veri successi degli aerosiluranti, nel contempo ci fa scoprire una pagina poco nota di D’Annunzio, ideatore della prima Squadriglia di aerosiluranti, del quale pubblichiamo interessanti lettere e considerazioni. Questo libro vuole anche essere una celebrazione delle capacità umane portate agli estremi. Negli eventi descritti si esprimono l’intelligenza, la forza, la tenacia ma, soprattutto, il coraggio di questi uomini che hanno aperto nuove strade.
Danilo Ceccarelli Morolli
Eugenio Sirolli
Pionieri abruzzesi dellÊaerosilurante Gabriele DÊAnnunzio Eugenio Sirolli. Storia del ÿSiluro AlatoŸ Edizioni LoGisma Firenze 2021 pp. 224 Euro 22,00 126
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