sala&cucina magazine di accoglienza e ristorazione - Maggio 2022

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sala&cucina n. 59 maggio 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Maggio 2022




LA REDAZIONE

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con le guide del Gambero Rosso e Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

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Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. La usa a piene mani anche per chi di parole non ne riceve mai troppe. La sua amorevole attenzione va alla linfa della ristorazione, il mondo delle scuole alberghiere, e in generale alle storie intrise di valori e buoni esempi.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

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SOMMARIO 7

LETTERA APERTA

Coinvolgere è la parola d’ordine per un ristorante di successo | Luigi Franchi 9 EDITORIALE Reinventarsi è necessario | Benhur Tondini

Maggio 2022

sala&cucina n. 59 maggio 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

10 PARLIAMO CON Amodo, la rete dei ristoranti etici | Luigi Franchi 15 VENDI CON SUCCESSO Cervello e ristorazione nel “never normal” | Lorenzo Dornetti 17 OSPITALITÀ “Ma i nostri clienti sono abituati così” | Martina Manescalchi 19 L’OLIO AL CENTRO Voce del verbo abbinare | Luigi Caricato 21 LAVOROTURISMO.IT Tourism talent day: le persone al centro. | Oscar Galeazzi 22 TURISMO I borghi del futuro | Giulia Zampieri 26 FARE RISTORAZIONE La ristorazione nei nostri borghi | Giulia Zampieri

N° 59 maggio 2022

30 RITRATTI Di Elide, Cristiana e Vittorio Beltrami | Simona Vitali

EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

34 TURISMO Ospitalità Natura | Luigi Franch9i 38 FARE RISTORAZIONE Il caldo abbraccio di Roma | Marina Caccialanza 44 FORMAZIONE Per una collaborazione tra Agrario e Alberghiero | Simona Vitali 48 PERSONE Cristina Geminiani: Albana e Sangiovese fra determinazione e destino| Bruno Damini 52 PIZZERIE La Chiave, pizza carne birra e convivialità | Marina Caccialanza 54 RISTORANTI L’Autostazione a Cittadella | Giulia Zampieri

PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it COLLABORATORI ESTERNI Paolo Baracchino, Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Oscar Galeazzi, Guido Parri FOTOGRAFIE Archivio sala&cucina, Stefania Giorgi, Alessandro Di Tommaso, Ginera Bacilieri, Ettore Guerriero, Mario Castellacci, Max Rella, Sergio Coimbra. * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

56 PRODUZIONE Oleificio Zucchi. Al fianco della ristorazione | Guido Parri 58 PRODOTTI Azzurro come un’acciuga | Marina Caccialanza 60 FORMAZIONE Academy Di Cosmo Group | Simona Vitali 64 PRODUZIONE Le Prandine | Luigi Franchi 68 PRODUZIONE Big Chef, le proposte per piatti speciali | Guido Parri

RIVISTA PARTNER dell’Associazione

70 EVENTI Ristogolf 10 years | Guido Parri

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

73 EVENTI A Vinity è stato lanciato il Concorso sulle carte dei vini delle Città del Vino | Guido Parri

PROGETTO GRAFICO Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

74 EVENTI Food&Book a Montecatini Terme | Guido Parri 76 ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI Il gastronomo oggi: figura chiave nelle aziende agroalimentari | Marco Furmenti 80 ABBINAMENTO La lasagnetta all’italiana interpretata da “Le Calandre” abbinata al Mirum, Verdicchio di Matelica, de la Monacesca | Paolo Baracchino 82 NOVITÀ Golden Age: old but gold | Guido Parri

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LETTERA APERTA Luigi Franchi

direttore responsabile

Coinvolgere è la parola d’ordine per un ristorante di successo

“Quali sono i giorni di chiusura?” “Come sarà il mio stipendio?” Due domande che ogni persona di buon senso durante un colloquio di lavoro porge all’interlocutore visto che si sta parlando del suo futuro. Due domande che, in un colloquio di lavoro per un posto in un ristorante, suscitano subito irritazione e freno al potenziale datore di lavoro. Sta qui l’errore più comune che fanno i ristoratori, pensare che i dipendenti debbano avere gli stessi orari e lo stesso tipo di impegno che ci mette il proprietario e, quindi, se fanno quelle due semplici domande non vanno bene per questo mestiere e il colloquio non porta a niente. Non porterà neppure alla soluzione del problema che si vive da qualche mese a questa parte: la mancanza di personale nei ristoranti, negli hotel, nelle pizzerie. Forse qualcuno non si è accorto che il mondo è cambiato in questi ultimi due anni. Forse non si è ancora capito che l’offerta è talmente ampia che non decide più il ristoratore come avere successo nel suo ristorante, ma lo decide il mercato. E con il mercato, in tutti i suoi aspetti, bisogna fare i conti, economici, fiscali, relazionali, di offerta gastronomica e di personale. C’è uno scoglio da superare: quello che non considera, nella maggior parte dei casi, questo come un lavoro a cui bisogna cambiare le regole.

Il turno continuativo per il ristorante è un problema e non un’opportunità. A dirlo non sono io ma un capace food&beverage manager che avverte come il cliente sia sensibile anche al fatto che vedere le stesse persone servirti a colazione, pranzo e cena non è piacevole. I clienti prestano sempre più attenzione a tutti gli aspetti del ristorante, non solo a quello relativo al mangiare e bere bene. E quindi anche al corretto orario di lavoro. Mi si obietterà che la pressione fiscale non consente al ristoratore di assumere personale in misura adeguata. È vero! Occorre mettere mano a molte cose per avere una ristorazione moderna in Italia ma se non si comincia dal cambiare mentalità non si arriverà mai a una soluzione. E la prima cosa da fare per cambiare davvero modo di pensare e agire è non opporre resistenza a chi fa le due domande che ho citato all’inizio. Fare quelle domande non è affermare che non si ha voglia di lavorare; è capire, da parte di chi le fa, quanta trasparenza, volontà di fare bene le cose, pagare il giusto, c’è nel ristoratore che chiede alle persone di lavorare per lui. Le persone, soprattutto i più giovani, prima ancora del denaro cercano valori, vogliono lavorare con chi sa coinvolgerli in un progetto, con chi è trasparente nelle azioni, nella gestione del ristorante. “Dobbiamo comunicare la leggerezza” e non il sacrificio o la fatica di questa professione. Una leggerezza che diventa tale nel momento in cui chi è in cucina o in sala scopre quanto è bello fare un lavoro che porta del bene agli ospiti, è ripagato da questa sensazione. Occorre creare un grande meccanismo di partecipazione, a tutti i livelli della ristorazione. È inutile avere persone che lavorano per il ristorante e non fargli vedere, ad esempio, i numeri che il loro lavoro produce. Occorre creare consapevolezza anche degli acquisti, del no spreco, dell’ambiente in cui si trovano a lavorare. In una parola coinvolgere! Senza questo non ci sarà riduzione fiscale che tenga per il successo di un ristorante!

luigifranchi@salaecucina.it | maggio 2022

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L’Italia nel piatto.

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EDITORIALE Benhur Tondini

presidente sala&cucina

Reinventarsi è necessario La Pasqua e il ponte di fine aprile hanno generato un risultato molto positivo per la ristorazione italiana: ogni luogo, che fossero città d’arte, mare o monti, era pieno di persone con la grande voglia di dimenticare, almeno per poche ore, le tragedie passate e presenti in cui ci ritroviamo a vivere. Un segnale di ottimismo, buona volontà e, soprattutto, attenzione ad un comparto, quello della ristorazione e, più in generale, del turismo che, in questi ultimi due anni, ha subito gravi perdite. Recenti indagini statistiche ci dicono che si tornerà agli stessi livelli del 2019, con 83 miliardi di euro nel fuori casa entro quest’anno, e una crescita ulteriore per il 2023. Nonostante ciò è necessario avere sempre presente come il mondo occidentale abbia rivelato tutta la sua fragilità, frutto di un sistema che, per anni, è cresciuto solo finanziariamente, mettendo a rischio tutto il resto: ovvero un’economia reale che deve fare i conti con tutti gli aspetti che la governano. Ormai non di parlava quasi più di attività produttive, di lavori impegnativi per raggiungere risultati, tutto sembrava facilmente raggiungibile mettendo denaro finto nel sistema finanziario, puntando solo su una crescita digitale e poco altro. Invece pandemia e guerra stanno mettendo in evidenza come le materie prime utili per sfamare le persone siano ancora al centro dell’attenzione nel mondo. E se noi occidentali non dobbiamo temere di restarne senza, pagando però molto di più di quanto facevamo

fino a pochi mesi fa, c’è una parte del mondo, enorme, che con queste materie prime – i cereali, soprattutto – combatte la fame, nel 2022! Non dimentichiamoci mai di questo aspetto legato al cibo perché sarà una delle leve che cambieranno, in maniera drastica, il mondo. Tornando a noi, all’Italia, al turismo che resta uno dei principali tasselli della nostra economia reale, non possiamo non vedere come sta cambiando il mercato. Alcuni dati: il 61% ha capito che dovrà viaggiare in modo diverso, più sostenibile; il 70% degli europei farà tra uno e quattro viaggi all’anno; l’81% vuole fare vacanze under-tourism, il che significa, per l’Italia, piccoli borghi, città d’arte minori, luoghi da scoprire. Si passerà quindi da un turismo di domanda a uno di offerta e questo vuol dire cambiare atteggiamenti, abitudini, mentalità da parte degli operatori ma anche di tutta la filiera, compresa la ristorazione e i distributori del food service. Questo comporterà una diversicazione dei menu, dell’offerta gastronomica che sarà sempre più spesso basata sul territorio e sulla stagionalità per quei ristoranti che vogliono costruirsi identità. Sulla qualità delle materie prime come concetto base, indipendentemente dalle provenienze, per tutti! E noi distributori dovremo rispettare queste richieste, cercando, in ogni modo possibile, di aumentare la qualità del servizio in un periodo dove, purtroppo, le problematiche sono davvero tante e imprevedibili: prezzi che fluttuano in maniera folle, logistica allo stremo per le difficoltà di reperimento delle merci, materiali di consumo quali cartoni, carta, pedane che, per i distributori sono essenziali per svolgere bene il proprio compito, che non si trovano o costano il doppio o il triplo. Ma ce la faremo anche questa volta, la prova generale di Pasqua ne è stata un esempio. Ora ci aspetta una nuova stagione a cui vogliamo dare risposte positive!

benhurtondini@salaecucina.it | maggio 2022

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PARLIAMO CON Parliamo con… Amodo, la rete dei ristoranti etici, che raggruppa, sotto l’egida di sala&cucina, quei ristoranti che danno valore a parole come rispetto, sostenibilità, produzioni locali, digitalizzazione, racconto.

Amodo

LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

Un’iniziativa di sala&cucina per dare valore agli aspetti meno noti della ristorazione italiana Autore: Luigi Franchi 10

www.amodo.salaecucina.it | maggio 2022


Dovremmo essere tutti di genio pronto, vivaci, cortesi nel tratto, candidi nelle maniere, amici delle virtù, nemici dei vizi, cercando di dare la salute ai nostri ospiti, dando buoni cibi secondo le stagioni. Essere affabili con tutti i nostri collaboratori, riflettendo che l’asprezza nel comandare partorisce odio e fabbrica ruina. Per la gloria della nostra condotta e il decoro del nostro Paese. Antonio Latini, Scalco alla Moderna, 1692 Con questa definizione di un grande uomo di cucina vissuto nel XVII secolo, regalataci da Davide Rampello, non servirebbero altre presentazioni di questa rete di ristoranti etici, ma corre l’obbligo di spiegare i valori che stanno alla base di questo progetto lanciato dalla redazione di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione. Sono valori che vengono racchiusi nel decalogo che i ristoratori aderenti ad Amodo, la rete dei ristoranti etici sottoscrivono di proprio pugno; un decalogo dove parole come rispetto, sostenibilità, produzioni locali, digitalizzazione, racconto, ne costituiscono l’essenza. Il periodo che stiamo attraversando ha cambiato il mondo, anche se le regole del cambiamento non sono ancora state scritte, e anche la ristorazione deve adeguarsi a questa trasformazione. Gli ospiti di un ristorante non sceglieranno più un locale solo in base a quanto si mangia e si beve bene ma anche, e soprattutto, sui criteri che abbiamo racchiuso nel decalogo di modo. Non è un caso neppure il nome di questa rete, Amodo significa fare ogni cosa con onestà intellettuale e pratica.

Come nasce il progetto Noi di sala&cucina siamo convinti della necessità di differenziare le modalità di approccio a un ristorante. Una convinzione che ha preso forza proprio durante i mesi scorsi, quelli della pandemia, del lockdown, quando la ristorazione subiva contraccolpi che avrebbero messo in ginocchio qualsiasi attività non ritenuta fondamentale. In quei mesi abbiamo assistito a molte proteste, a ristoratori che scendevano in piazza, a persone che non capivano questo genere di proteste, ad altri ristoratori che, in silenzio, tenevano duro, garantivano gli stipendi ai dipendenti, anticipavano i soldi della cassa integrazione, facevano progetti per il futuro, un futuro che avrebbe cambiato ogni cosa, anche il modo di frequentare, di scegliere, un ristorante. C’erano diversità evidenti: chi si lamentava dei pochi rimborsi e chi ne vedeva un aiuto impensato; la differenza la facevano le denunce dei redditi, prendeva poco o niente chi dichiarava poco o niente, cioè il falso. C’erano differenze evidenti e il sentire comune non era di solidarietà verso la categoria. Un giorno un amico mi disse: “Da quei ristoratori di Genova che bloccano le strade, che impediscono ad altri di lavorare, io non andrò mai più”. Era un giudizio molto tagliente, soprattutto perché veniva da uno che aveva svolto quella professione per anni. Ma quella era l’opinione: di un comparto che non aveva motivo di lamentarsi visto tutto il nero che aveva fatto negli anni, visto che non pagava compensi adeguati a chi lavorava per loro e non rispettava i pagamenti dei fornitori. Non sono tutti così, ci dicevamo, dobbiamo distinguere se vogliamo che la categoria venga apprezzata per i valori che reca in sé. | maggio 2022

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si faranno classifiche, si darà semplicemente la parola ai clienti che potranno usare questi suggerimenti, dandoci, un feedback per restare sempre sulla strada giusta.

Il decalogo 1.

Dobbiamo far uscire questi valori che non riguardano solo il mangiar bene. Nei ristoranti italiani il mangiar bene è un aspetto generalizzato ormai. Le persone vogliono che i propri soldi vadano, anche in occasioni di piacere come quelle offerte dal ristorante, a chi ha rispetto degli altri, a chi svolge il proprio lavoro in modo trasparente e onesto. Sentivamo che quello sarebbe stato il cambiamento successivo al periodo della pandemia. Per questo abbiamo deciso di dar vita a questa rete! Un’iniziativa che non vuole diventare una frattura della categoria; vuole semplicemente fare chiarezza, dire che sono molti i ristoratori che hanno un’attenzione a parole come rispetto, sostenibilità, produzioni locali, digitalizzazione, racconto. E lo vogliono far sapere. Le adesioni ad Amodo, la rete dei ristoranti etici sono autocertificate, ogni ristorante può aderire se rispetta il decalogo di adesione. Inizialmente l’adesione è dettata da una voglia di far parte di “una bellissima iniziativa! Grazie per aver pensato a noi e a presto!” come ci ha scritto Sergio Circella de La Brinca di Ne (GE), oppure di dare il proprio contributo a un modo diverso di intendere la professione come dice Alfio Ghezzi da Rovereto, “ci fa sempre piacere accogliere queste richieste soprattutto se si tratta di ristoranti etici, un tema che ci sta molto a cuore e un valore che cerchiamo di perseguire quotidianamente”. Amodo però vuole, con il tempo, far incontrare gli aderenti, per un confronto sull’etica, sui valori che si danno a questo termine, far diventare appieno etica tutta la categoria, applicando il rispetto innanzitutto. Ad Amodo possono aderire tutti i ristoranti, siano essi stellati o semplici trattorie, non si daranno premi, non 12

Non ci può essere lavoro ben fatto senza dignità di chi lo compie, quindi non ci può essere lavoro nero nei ristoranti 2. Ogni fornitore è pagato secondo le regole previste dall’art. 62 della legge 27/2012. Questo termine è fissato in 30 giorni per i prodotti alimentari deperibili, che diventano 60 giorni per i non-deperibili. 3. Il ristorante predilige l’uso di materie prime alimentari secondo la stagione 4. Il ristorante non usa prodotti alimentari esotici per puro diletto ma perché ogni scelta culinaria è frutto di studio e ricerca 5. Il gestore, o il proprietario, si impegna ad avere cura del locale, sia dal punto di vista estetico sia sostenibile; ad esempio, adottando un sistema di insonorizzazione che limiti l’inquinamento acustico 6. Nel ristorante tutti i lavoratori si impegneranno con serietà e rispetto, perché solo un grande lavoro di squadra porta alla qualità del risultato 7. I giovani, siano essi dipendenti sia stagisti, che entreranno in sala o in cucina saranno seguiti con attenzione e cura, nel rispetto della loro condizione di apprendimento 8. Il personale di sala ha la predisposizione al racconto, nel rispetto dei tempi e dei desideri dell’ospite 9. La sostenibilità del ristorante è affrontata seriamente, senza il facile ricorso a pratiche di greenwashing 10. La digitalizzazione come elemento anche di sostenibilità è una pratica naturale del ristorante; ad esempio la possibilità di prenotare online o il menu pubblicato sul sito Dieci regole semplici, che fanno però una differenza enorme! Innanzitutto perché non raccontano come si mangia, descrivono il dietro le quinte di un locale, ne spiegano le scelte anche verso gli ospiti, con un comportamento virtuoso. È un progetto aperto a cui si potrà aderire in qualsiasi momento aggregandosi a chi è partito per primo!

Le testimonianze Sono una sessantina i primi ristoranti che trovate sul sito di Amodo, la rete dei ristoranti etici. L’obiettivo è arrivare a cento entro il 2022, superare quel numero e crescere di anno in anno. Qui riportiamo alcune testimonianze di chi ha aderito subito. Michil Costa, il proprietario de La Stua de Michil, Corvara Val badia (BZ) racconta: “È fondamentale ripensare agli schemi lavorativi e questo significa: avere a | maggio 2022


disposizione una psicologa che ascolta i bisogni dei collaboratori e si occupa del loro benessere; dare loro degli alloggi consoni e adeguati alle loro esigenze; limitare le ore di lavoro; pensare a un sistema di welfare e di assistenza sanitaria, con aiuti economici alle persone che avranno bisogno, che so, del dentista o di altre pratiche medico-sanitarie. L’altra riflessione, leggendo Aristotele che parla di praxis, di comportamento, deriva dal fatto che la mia felicità dipende molto da come mi comporto nei confronti delle persone che mi fanno star bene, i miei collaboratori”. Caterina Ceraudo del ristorante Dattilo a Strongoli (KR): “Etica nella ristorazione, per me, significa tre cose racchiuse in una parola: rispetto. Rispetto per gli ingredienti, per la loro stagionalità, per quello che esprimono se trattati nella giusta maniera. Rispetto per chi lavora con noi, per il tempo che dedicano al lavoro, per come riescono a dare voce ad una ristorazione di qualità in un luogo abbastanza difficile come questa parte d’Italia. Rispetto per chi ci viene a trovare perché si affida completamente a noi e, di conseguenza, dobbiamo dare loro cose giuste al giusto prezzo e questo diventa possibile quando puoi contare su una terra coltivata con amore, con la cura che merita. Tutto questo, per me, è l’etica”. Oggi Sora Maria e Arcangelo di Olevano Romano (RM) è definita, da più parti, la migliore trattoria italiana ma non è per questo che entra nella rete dei ristoranti etici: è per l’onestà intellettuale e pratica di Giovanni Milana, per il rapporto che lui stesso ha con le persone, con i fornitori, con il territorio. Qui sembra che il mondo si sia fermato ma in realtà è questo il mondo che oggi molti desiderano: un’ambiente dove i rapporti umani contano, dove il gusto delle pietanze sa di verità, dove i muri raccontano, con i quadri appesi alle pareti di pittori che nell’800 ritraevano Olevano Romano per la particolare luce che c’è ancora oggi in questo luogo, cent’anni di storia. Qui i cannelloni, il piatto simbolo di Sora Maria e Arcangelo, si ripetono uguali e senza tempo da un secolo, e Giovanni Milana li racconta così: ““Dopo quattro giorni dalla nascita stavo qui, nella carrozzina, a fianco al forno dei cannelloni. Il mio legame con questo posto è ancestrale”. Sala del ristorante Dattilo

Per Paolo Reina dell’Antica Trattoria del Gallo di Gaggiano (MI) la professione di ristoratore vuol dire che “Quello che oggi chiamiamo comfort food era già allora la forza della trattoria, anche se si facevano quattro piatti in croce. Però non c’era bisogno di tutta la prosopopea su quante ore, a che temperatura, cuoce la carne, che tipologia di cottura viene adottata, quante verdure ci sono nel minestrone. Quello di allora era l’assoluto del minestrone, punto e basta! L’ho ancora in mente adesso, dopo 35 anni, il minestrone che qui faceva la signora Rina. Questo è ciò che ho imparato: il cliente felice! E a chi fa la strada per noi dobbiamo dare qualcosa di autentico, raccontare sempre qualcosa di vero. E avere e saper mantenere una reputazione”. Il Pomiroeu a Seregno ha quattro piccole sale che sono un gioiello di accoglienza che si accompagna “a una cucina che non si dimentica delle origini come forma di rispetto a chi ci ha insegnato” racconta Giancarlo Morelli che conclude: “Oggi è indispensabile gestire un ristorante con la consapevolezza di giocare un ruolo fondamentale nella vita delle persone: quello del benessere”. Andrea Rossetti e la sua brigata all’Osteria V di Trebaseleghe (PD) riducono ai minimi termini gli sprechi di materiale (per dirne uno, la carta) e di tutte le materie prime. Quelli che solitamente vengono definiti scarti di cucina - lische di pesce, ossi, bucce - diventano risorse da cui estrarre polveri, brodi, succhi, kombuche, preparazioni che oltre ad avere un valore di non-spreco esaltano ulteriormente i piatti. Anche le eccedenze vengono sfruttate al meglio. L’avanzo diventa opportunità, ed elementi impensabili, come alcune specie di fiori, vengono raccolti nel periodo di fioritura, conservati in zucchero e poi impiegati a distanza di qualche mese in cucina, come ingrediente. La tecnica è funzionale a tutto questo: fermentazioni, essiccazioni, tagli precisi e applicazioni attinte da altre culture culinarie consentono una via innovativa quanto sostenibile. Federico e Filippo Pojana, i titolari, radicati nel territorio e nelle tradizioni venete, adottano gli stessi principi nella gestione della sala e nella cura dell’intera struttura, giardino compreso.


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VENDI CON SUCCESSO Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

Cervello e ristorazione nel never normal Un’espressione rappresenta il mondo in cui viviamo e forse vivremo per lungo tempo, è il “Never Normal”. I mesi della pandemia erano stati etichettati come “nuova normalità”, un periodo ponte in cui adattarsi temporaneamente fino alla soluzione del problema Covid. Il Never normal è un salto. Le persone non hanno più una stabilità di comportamenti ed abitudini a cui appellarsi. Basti pensare all’inflazione alle stelle ed alle tensioni belliche legate all’Ucraina, il tutto in uno scenario in cui il virus resta il convitato di pietra. È il mondo in cui viviamo, una “mai normalità”. Come reagisce il cervello? Quali sono gli impatti sulla ristorazione? E’ interessante leggere questi dati alla luce della NEUROVENDITA, la disciplina che spiega e prevede i comportamenti d’acquisto applicando le più recenti scoperte neuroscientifiche. La cornice è la biologia dello stress. Di fronte a continue complessità, soprattutto inattese, il cervello rilascia grandi quantità di cortisolo. L’eccesso di questo ormone, soprattutto la sua produzione continua, determina un insieme di comportamenti detti “freezing”. Si traduce letteralmente come “congelamento”. Le persone si fermano, si bloccano. Di fronte all’incertezza gli esseri umani attuano 2 schemi comportamentali istintivi, la procrastinazione e l’accumulo. Rimandano tutte le spese non necessarie e mettono da parte risorse per il futuro. In quest’ottica si comprende il recente rapporto FABI del 2022, che vede il record di depositi sui conti correnti

italiani, arrivati alla cifra record di 1604 miliardi. Il blocco all’economia quindi, ha una matrice psicologica, quasi neuropsicologica. È l’effetto del rilascio prolungato di cortisolo. Questi meccanismi di blocco sono più intensi oggi rispetto al passato, media e social media alimentano con immagini realmente drammatiche, senza sosta, i circuiti dello stress. Molte ricerche condotte dai premi Nobel Thaler e Kahneman, i padri dell’economia comportamentale, hanno dimostrato che le scelte economiche sono mosse dall’emotività. Ecco un esempio tra i molti che si potrebbero fare. La crescita dell’inflazione dovrebbe portare ad investire in maniera attiva i risparmi per non erodere potere d’acquisto e invece l’immobilismo regna sovrano. Le persone risparmiano ed accumulano sui conti correnti la liquidità, anche se viene pesantemente ridotta dall’inflazione. Cosa aspettarsi per il futuro della ristorazione? Le ricerche sullo stress dimostrano che i comportamenti di freezing hanno durata limitata. I meccanismi biologici sono costituiti per affrontare pericoli per breve tempo. In altre parole, dopo alcune settimane, la morsa dello stress si allenta. È come se il corpo si abituasse al cortisolo, riducendone la produzione. A questo punto le differenze tra le persone emergono con forza. Alcuni tornano a spendere in funzione delle loro reali capacità attuando meccanismi di negazione. Altre, tendono ad attuare comportamenti impulsivi come a voler recuperare il tempo perduto nell’eccesso di stress. Entrambi i comportamenti determinano uno slancio nei consumi. La comprensione dei meccanismi cerebrali rende probabile una seconda parte di 2022 con acquisti in ripresa, malgrado il “never normal”. Gli esseri umani tendono ad assuefarsi a tutto, anche alle situazioni più terribili e inattese. Le neuroscienze confermano Dostoevskij. Un essere che si abitua a tutto è la migliore definizione che si possa dare dell’uomo.

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Carni bovine irlandesi

Gusto e qualità in armonia con la natura Immensi prati verdi, morbide colline, aria pulita e piogge frequenti: l’Irlanda è il luogo ideale per l’allevamento di bovini. L’alimentazione naturale a base di erba fresca e le tradizionali tecniche di allevamento al pascolo rendono le nostre carni naturalmente gustose e nutrienti, di prima qualità.

I nostri allevatori lavorano per valorizzare le risorse naturali di questa terra e preservare un ambiente incontaminato per le generazioni future. Origin Green: in armonia con la natura. Per maggiori informazioni: www.irishbeef.it


OSPITALITÀ Martina Manescalchi

Consulente e formatore Teamwork Hospitality

“Ma i nostri clienti sono abituati così” Questo per gli hotel stagionali è il periodo delle riaperture. Hotel stagionali che, in teoria, avrebbero potuto/dovuto sfruttare i mesi invernali per apportare innovazioni e migliorie. Non sempre però questo accade ed è questo il motivo per cui la qualità ospitale del nostro Paese non è sempre all’altezza delle aspettative dei turisti. Ma cos’è che frena il cambiamento? Cosa impedisce all’imprenditoria alberghiera di evolversi, rimanendo ancorata a modelli spesso obsoleti o comunque non in linea con i trend internazionali? La resistenza al cambiamento è prima di tutto nella mentalità dell’imprenditore. In tanti anni di formazione e consulenza, ho individuato molte espressioni ricorrenti che denotano un attaccamento alle vecchie abitudini che rallenta non poco l’innovazione. Una delle più comuni è i nostri clienti sono, frase che racchiude molte insidie. La prima è quella dell’autoconvincimento. L’albergatore si convince che sia il cliente a ricercare un certo servizio o un determinato modus operandi, quando in realtà è lui stesso a volerlo. La seconda è quella della pigrizia. Ogni cambiamento richiede coraggio, risorse e investimenti. E allora è meglio scaricare sull’ospite le responsabilità di una mancata innovazione e continuare a dormire sugli allori, finché si può [e anche quando non si potrebbe]. La terza, ma non meno importante, è la presunzione di conoscere a fondo le esigenze di ospiti vecchi e nuovi. Ecco qualche esempio concreto. Perché non rinnovate il nome e il logo? Ma i nostri clienti sono abituati così! In verità non si è mai

sentito di un cliente che abbia smesso di soggiornare in un hotel a causa del cambio del nome o dell’immagine coordinata. Non sarà ora di aggiornare le politiche di prezzo? Ma i nostri clienti sono abituati così! Bene, nel corso degli anni mi è capitato di seguire più di un hotel nel percorso della comunicazione del cambio di politiche di pricing e oggi posso dire a ragion veduta che si tratta di un problema tutto dell’albergatore. Gli ospiti sono ormai da tempo abituati a tariffe dinamiche e flessibili – dal settore dei trasporti agli acquisti online – e vi posso assicurare che quello dell’abitudine, da parte loro, non è mai stato un problema. E se qualche volta lo è stato, è servito per effettuare quel cambio di clientela auspicabile e necessario. E se ripensassimo la formula della pensione completa? Ma i nostri clienti sono abituati così! Certo, se non gli hai mai offerto altre soluzioni, è probabile che siano abituati così. E così, mentre si va sempre di più verso proposte personalizzate, tu resti ancorato alle tue abitudini – al punto da non sapere nemmeno più se ti convengano o meno – il mondo dell’ospitalità e le abitudini (quelle reali!) dei viaggiatori cambiano alla velocità della luce. Tra food delivery, esperienze local e nuovi trend. Questi sono solo alcuni esempi, ma l’elenco è potenzialmente infinito. Ma i nostri clienti sono abituati così! è sempre la risposta jolly che proietta sul cliente le scelte [e le non scelte] dell’albergatore. Come se le abitudini di consumo e di viaggio non cambiassero continuamente. Come se non fosse possibile offrire allo stesso tempo le opzioni tradizionali insieme alle più innovative che possano accontentare tutti [il self check-in non è obbligatorio per tutti i clienti, la pensione completa può essere affiancata ad altre proposte, il booking engine non distrugge il telefono e la casella mail]. Come se non esistesse la necessità di diversificare la clientela. La verità è che non sono i vostri clienti a essere abituati così [ma come, poi?]. La risposta giusta sarebbe Ma noi siamo abituati così.

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L’OLIO AL CENTRO Luigi Caricato oleologo

Voce del verbo abbinare Quante volte abbiamo sentito parlare di abbinamento vino-cibo? Tantissime. Eppure, non tutti - sbagliando! - prestano la medesima attenzione al corretto abbinamento olio-cibo, quando invece, a differenza del vino, l’olio proprio perché non è una bevanda, si combina in maniera più diretta e profonda con gli altri alimenti, determinando mutamenti di gusto a volte anche significativi. Prendete l’esempio dei latticini, dove la caseina riesce a interferire sulle molecole dell’olio smorzandone la nota amara e con ciò cambiando sensibilmente la percezione sensoriale di una preparazione. È il classico esempio degli extra vergini ottenuti da olive Coratina, molto amari, al punto da non essere graditi da alcuni proprio per la loro peculiarità, nonostante la bontà dell’olio in sé. Ebbene, in abbinamento con la ricotta, si percepirà tutta la freschezza e l’aromaticità dell’olio, senza che si provi alcun disturbo per l’amaro e il piccante. Conoscere gli oli, e saperli abbinare, aiuta moltissimo nella preparazione di un piatto. Ogni ingrediente ha le sue peculiarità e occorre tenerne conto di tutte le possibili combinazioni. A volte si agisce di istinto, intuendo gli abbinamenti più efficaci. A volte occorre sperimentare, scoprendo che non tutte le combinazioni funzionano o rispondono alle abitudini alimentari dei vari soggetti. L’abbinamento, tuttavia, è qualcosa che va al di là delle semplici intuizioni, lo si può e si deve studiare, sperimentando. Nel caso

delle mense collettive, o quando si preparano ‘piatti pronti’ destinati a un pubblico indefinito, scegliere l’olio giusto significa interpretare alla perfezione sia l’olio in sé, sia il resto degli ingredienti. Cosa occorre fare per non scivolare nella banalità, come spesso accade? I più pigri optano per oli non problematici, semplicissimi, segnatamente dolci, senza fruttato e senza traccia di piccantezza. Ma il rischio di optare per scelte facili è incorrere in oli di scarsa qualità. Per questo è sempre consigliabile affrontare la questione in modo serio. L’abbinamento risponde sempre a regole ben precise e non è mai frutto del caso. Si richieda una conoscenza delle materie prime. L’olio va inquadrato per l’intensità delle note olfattive (fruttato leggero-delicato, medio, intenso), ma anche per le note amare e piccanti che si percepiscono in bocca, o per la presenza di una percezione dolce (soprattutto al primo impatto), così come conta molto la stessa persistenza delle percezioni. Tutto ciò va confrontarsi con altri aspetti, tra cui la sapidità di ciascun ingrediente, il livello di speziatura, grassezza, dolcezza, aromaticità… L’obiettivo è l’armonia. Un olio non deve mai prevaricare. Si può abbinare per ‘contrasto’, in modo che le varie caratteristiche sensoriali siano bilanciate, e il classico esempio è la zuppa di legumi condita con oli dall’amaro e piccante netti. Poi c’è l’abbinamento per ‘concordanza’, cercando l’armonia tra l’olio e gli altri ingredienti. Un esempio paradigmatico: pesce dalle carni delicate condito con olio dal fruttato leggero e dal gusto delicato e dolce. Fin qui le conoscenze fondate su aspetti empirici. Uno studio dell’Università di Bologna ha messo a punto nel 2007 un metodo scientifico per l’abbinamento. Per saperne di più, con esempi pratici, sappiate che se ne parlerà alla quinta edizione del Forum Olio & Ristorazione il prossimo 30 maggio a Milano, presso il palazzo delle Stelline. Servirà quanto meno a capire che l’olio non lo si può utilizzare a caso.

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LAVOROTURISMO.IT Oscar Galeazzi

amministratore Lavoroturismo.it

Tourism talent day: le persone al centro

Il 31 marzo 2022: una data che rimarrà nella storia per l’industria turistica-alberghiera italiana. Cosa è successo? Si è svolto a Rimini il primo Tourism Talent Day, un evento dedicato al capitale umano nel turismo. È un evento che determina l’inizio di una svolta, l’inizio di quello che sarà un terremoto che già adesso ha iniziato a travolgere le aziende del settore. Promotore e organizzatore dell’evento è stata la società Teamwork Hospitality. È stata una giornata per discutere e confrontarsi, per far crescere la cultura del lavoro e il valore delle persone. Nell’interesse di tutti: persone, aziende, istituzioni… e del Paese Italia. È iniziato un percorso – che prevedo lungo e difficoltoso -, per convincere imprenditori e istituzioni che è necessaria una svolta, e che siamo già in ritardo. In caso contrario si amplierà un fenomeno già presente e di impatto ancora poco stimato: aziende che chiudono, aziende che non aprono oppure che non si espandono perché… manca personale. Questo determina danni alla nostra economia, alle persone, al nostro Paese. Il turismo valorizza l’immenso patrimonio culturale, paesaggistico, alimentare di cui l’Italia è ricca; una valorizzazione che passa ineluttabilmente per le persone, che sono il valore più importante di questa industria. Tourism Talent Day è stato un grande momento di consapevolezza. Si sono alternati esperti e qualificati relatori, che hanno portato contenuti di grande valore.

Gran parte degli interventi ribadivano che il ‘centro di gravità’ dell’impresa del futuro sarà sempre più legato alle persone che nelle aziende ci lavorano. Molti, troppi imprenditori non lo hanno capito; anche molte persone delle istituzioni non lo hanno capito; anche molti professionisti. Troppo pochi gli imprenditori e istituzioni presenti all’evento; ma sappiamo questo è il destino di tutte le innovazioni legate alle persone e alla società. Sono certo che la consapevolezza (non ripeto questo termine a caso) avrà il sopravvento. Nonostante le tante parole, i tanti articoli, e le innumerevoli discussioni, ci sono ancora tanti imprenditori che propongono opportunità di lavoro senza giorno libero settimanale, con troppe ore di lavoro al giorno, stipendi inadeguati e condizioni di alloggio inadeguate. Le istituzioni non sono migliori degli imprenditori. Quanto rimarrebbe sul mercato un’azienda che su 100 attività ne sbagliasse 80? Nelle scuole alberghiere, su 100 studenti, tra 80 e 85 giovani (dipende dalle stime più o meno ottimistiche!) lasciano o non entrano affatto nel mondo dell’ospitalità e della ristorazione. Non è il caso di riflettere anche sull’operato della formazione, delle regole su come facciamo crescere i nostri giovani? Questa rivista lo fa, in ogni numero, parlando delle scuole più virtuose ed è un esercizio estremamente utile. Le parole contano, i pensieri contano. I migliori cambiamenti passano per la formazione e la crescita delle persone, imprenditori e funzionari pubblici, responsabili oggi, e che dovranno essere loro stessi protagonisti domani del cambiamento. Le persone possono crescere, gli imprenditori e le aziende possono cambiare, le istituzioni possono migliorare. Per ottenere questo, abbiamo bisogno di tanti Tourism Talent Day.

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TURISMO

I borghi del futuro Le più belle identità nascoste del nostro Paese lavorano di concerto Autrice: Giulia Zampieri

“Il pensiero collettivo ha un esito diverso da quello individuale, porta a risultati concreti che perdurano nel tempo”. Non può che essere questo il motivo che accompagna da vent’anni I Borghi più belli d’Italia, un’associazione che lavora in modo sinergico per dare valore a luoghi piccoli e spesso semi-sconosciuti del nostro Paese, facendo seria promozione turistica, culturale, gastronomica. Il pensiero in apertura è di Fiorello Primi, il presidente dell’associazione, ma appartiene a ogni singola figura che opera all’interno del sistema associativo. Con Primi abbiamo provato a riassumere le attività

Una vista di Pietrapertosa, foto di Lorenzo Palazzo

condotte dall’associazione - sono davvero tante - e a tracciare una proiezione sul futuro dei nostri borghi. I numeri Nel 2001 all’assemblea nazionale ANCI, Fiorello Primi, sindaco di Castiglione del Lago (PG) espose, per conto della Consulta del turismo, un cartello scritto a penna in cui invitava i sindaci dei borghi minori a riunirsi. La sala in cui si tenne la riunione dovette ospitare il doppio della sua capienza, arrivarono oltre cento persone. Quell’intuizione amplificò un evidente segnale: c’era un bisogno latente di condividere un percorso di crescita e valorizzazione tra i piccoli borghi.


Monte Sant_Angelo. Foto di Ginevra Bacilieri

Le prime firme dell’associazione furono 31; oggi le località selezionate dislocate su tutto lo Stivale sono 334. Una crescita importante e graduale, ma il dato è ancora più significativo se si tiene conto che l’associazione adotta rigidi parametri di accesso certificati ISO 9001. Le candidature presentate per l’ammissione sono state infatti oltre novecento, quasi il triplo. “Rispettiamo un programma annuale di visite per valutare se ammettere o meno un borgo sulla base di settantadue parametri divisi in quattro categorie: bellezza estetica del borgo, servizi e qualità della vita dei residenti, servizi a disposizione dei turisti, inserimento e gestione del borgo nel proprio territorio. - ci spiega Fiorello Primi - Ogni anno, su decisione dell’assemblea nazionale, vengono visitati dai 25 a 30 borghi per valutarne l’ammissione. Mediamente ne viene ammesso uno ogni tre visitati essendo molteplici gli aspetti da prendere in esame. È sicuramente un lavoro profuso e meticoloso, indispensabile per garantire la serietà dell’associazione. Oggi complessivamente i Borghi più belli d’Italia sono popolati da un milione e duecentomila abitanti; nessun comune ne conta più di 15.000. E per quanto concerne il turismo? Si contano circa 8.000 strutture ricettive che garantiscono circa 240.000 posti letto. Nel 2019, l’anno prima della pandemia, sono state rilevate circa quattordici milioni di presen-

Vico del Gargano

ze annuali, ma le previsioni per il biennio che ci aspetta sono di gran lunga maggiori. “Oltre al turismo internazionale sarà cruciale, nei prossimi due anni, il turismo di ritorno che ha un potenziale bacino di utenza, rappresentato dagli italiani, di seconda, terza e quarta generazione di circa 70 milioni di persone che hanno un legame con i borghi e con l’Italia e che, per varie ragioni, possono avere interesse a tornare per riscoprire le proprie radici culturali e personali.” continua Primi.

Le attività Quelli sopra elencati sono sicuramente dati impensabili una ventina di anni fa. Una buona fetta del merito è proprio dell’associazione capace di guardare al progresso e al miglioramento su tutti i fronti, facendo della Bellezza e originalità di questi luoghi il valore fondante e della

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Grottammare

Pescocostanzo

Piazza Mario Castellacci

Petritoli

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Fiorello Primi, Presidente dell_Associazione

flessibilità comunicativa il suo ponte con l’intero comparto turistico. L’associazione I Borghi più Belli d’Italia lavora sul piano promozionale adottando tutti i canali di comunicazione più efficaci, considerando che il pubblico è di generazioni varie: dalla radio alla tv, dalle pubblicazioni cartacee al portale online sino all’utilizzo massiccio dei social network. “Facendo un conteggio sommario interagiamo, solo con gli strumenti digitali, con oltre tre milioni di persone l’anno. Il nostro sito è una vetrina importante; offre un quadro completo delle località divise per territori, permette di comunicare i nostri eventi, fornire indirizzi utili e consigli di viaggio a chi vuole conoscere più a fondo i piccoli centri d’Italia. L’altra spalla importante dell’associazione riguarda gli eventi, l’occasione più efficace per portare le persone in luoghi che altrimenti potrebbe ignorare. Ne organizziamo tanti ma quattro sono i più rilevanti. La notte romantica si tiene il sabato più vicino al solstizio d’estate, è un evento rivolto a tutti ma naturalmente attira le coppie; ogni anno è contraddistinta da un tema (nel 2022 sarà la musica) e uno chef o un pasticcere famoso realizza un dolce simbolo della serata; quest’anno si potrà assaggiare la ricetta di Iginio Massari. Un altro appuntamento annuale è il Borgo dei desideri, cade la notte di San Lorenzo. Chi partecipa alla serata potrà lasciare un proprio post it con un desiderio; questo verrà raccolto e, alla fine, saranno premiati i tre post it più originali raccolti in tutt’Italia. Ancora: Il Festival nazionale , che si terrà dal 9 all’11 settembre in Abruzzo ad Abbateggio e Caramanico terme, a cui partecipano i Borghi da tutta Italia e molti piccoli produttori, e l’Assemblea Nazionale che ogni anno si tiene in un borgo diverso e quest’anno, il 14 maggio sarà a Follina in Veneto. A questi si aggiungono tante altre proposte come la regata velica a Cefalù e la conferenza sul Mediterraneo a Cisternino. Il calendario di eventi è tutto consultabile sul nostro sito”.

La chiesa di S. Antonio Abate a Buccheri

Il borgo del futuro e il legame con il cibo Non si può più pensare al borgo italiano come un luogo piccolo, desolato, isolato, privo di opportunità, in cui gli edifici implodono su se stessi e le persone vivono sole nelle proprio case. Il borgo italiano dovrà essere sempre più moderno nel pensiero e nelle progettualità. Per questo l’associazione guidata da Fiorello Primi non considera l’elemento tecnologico un’antagonista della tutela dell’autenticità ma un suo alleato, che aiuterà le nuove generazioni ad avvicinarsi alla vita nei borghi. Oggi i membri dei Borghi più belli d’Italia stanno operando per creare una rete virtuale e istituire una piattaforma di vendita dei migliori prodotti tipici dei borghi italiani. È un progetto complesso, che richiede tanta ricerca e una buona organizzazione logistica, ma rappresenterebbe una svolta. Consentirebbe di portare a conoscenza, finalmente, tantissime eccellenze italiane a rischio di estinzione. Il consolidamento con la filiera agro-alimentare è incentivato anche grazie ai parametri di valutazione di qualità del borgo: l’utilizzo delle tipicità all’interno dei ristoranti è uno degli aspetti che vengono considerati per l’ammissione del borgo. E poi, ancora, la digitalizzazione e la spinta alla sostenibilità. “Stiamo lavorando a un progetto sperimentale per promuovere l’utilizzo e la diffusione di energie rinnovabili in 40 borghi - spiega Primi. - Questi centri dovrebbero essere un modello per le città italiane. Anche sulla connessione veloce stiamo lavorando con impegno ed entro Giugno 2023 ci auguriamo di riuscire a garantirla ai borghi che al momento non ce l’hanno. Siamo consapevoli che la digitalizzazione possa essere un elemento di forte attrazione per molti giovani, smart worker e part-time resident, cioè persone che decidono di trasferirsi nel borgo per un certo periodo di tempo coniugando il lavoro a distanza a una vita più lenta, piacevole e sostenibile”. | maggio 2022

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FARE RISTORAZIONE Autrice: Giulia Zampieri

Quanto può essere importante un’attività di ristorazione per un piccolo borgo? In questi primi mesi dell’anno abbiamo già percorso un piacevolissimo itinerario lungo alcuni dei borghi d’Italia. Dal Trentino alla Liguria, dalla Toscana alla Basilicata: in più occasioni, parlandovi di ospitalità, abbiamo appreso che una sana attività di ristorazione ha un potere considerevole nei bilanci e nella notorietà di un borgo. In alcuni casi il ristorante è un vero traino per l’economia di quel luogo, dei suoi produttori e dei servizi connessi. Funge da collettore. In altri è l’ulteriore elemento di valore di una località già di per sé meravigliosa, che non può però essere priva di una buon indirizzo gastronomico. Ma quante altre cose si dovrebbero dire in merito?

Il borgo è un luogo d’incontro Ogni volta che si esce da un borgo si porta a casa qualcosa di persistente: il ricordo puro di uno scorcio, di un volto, di un sapore. Spesso è proprio in queste località che si preservano i mestieri e si tramandano i saperi. Muovendosi al loro interno si possono incontrare norcini, pescatori, artigiani o imbattersi in straordinarie connessioni tra il cibo, il vino, le abitudini a tavola e i riti popolari, custodite grazie all’isolamento e alla tenacia dei loro abitanti. Queste conoscenze fortuite rendono davvero unico, speciale, l’itinerario. Altre volte l’incontro avviene al contrario: è la curiosità che avvolge un’insegna che spinge a mettersi in viaggio. Pensiamo a Villa Maiella della famiglia Tinari nel borgo di Guardiagrele, in Abruzzo, o alla pizzeria Pepe in grani di Caiazzo, nell’Alto Casertano; traguardi gastronomici che si tramutano in piacevoli scoperte una volta giunti sul posto. In alcune circostanze la copiosa affluenza dei locali ha pure reso necessari interventi di ristrutturazione del borgo, dandogli vita nuova e generando belle opportunità per gli altri residenti. Di guide si parla sempre per altre ragioni, ma in realtà in questo contesto possono molto: possono indirizzare lo spostamento, allungare la permanenza in un territorio, dilatare l’esperienza proponendo consigli e visite ai produttori. Oggigiorno sono soprattutto le guide e gli altri strumenti digitali e il passaparola a stimolare movimento e a foraggiare la promozione turistica. E lo stesso ristoratore può trarre molto dai nuovi canali di comunicazione.

La ristorazione nei nostri borghi

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Il monte Vulture, Venosa e il verde circostante della vallata. Foto di Alessandro Di Tommaso

La Dispensa di San Felice a San Felice del Benaco, sulla sponda bresciana del lago di Garda, ne è un validissimo esempio. Roberto Bontempi, appassionato di vini e gastronomia, l’ha inaugurata nel 1999 sulle orme della bistronomie francese. Modi informali, tavoli senza tovaglie, tantissime eccellenze in menu, poche elaborazioni in cucina e una polposa carta dei vini naturali. Michele Bontempi, figlio di Roberto, ci è cresciuto dentro e la sta coltivando con grande passione sfruttando al meglio anche gli strumenti digitali. Negli ultimi tempi a La Dispensa hanno contato oltre 20.000 coperti l’anno; la maggior parte dei clienti non è in visita a San Felice, viene appositamente per sedersi a questi tavoli che si affacciano al municipio. Solo dopo essere giunti a destinazione molti clienti La trattoria Due Mori di Asolo

scoprono una cittadina sviluppata su tre borghi antichi, più mite e vivibile di tante altre località del Lago di Garda prese costantemente d’assalto dai turisti. “Per fortuna San Felice è rimasto un borgo poco conosciuto, in cui c’è ancora quiete” - ci racconta Michele. “Il nostro sogno, tuttavia, sarebbe quello di poter fare rete con altre realtà simili alla nostra: la concorrenza, come la si intendeva anni fa, non ha senso di esistere, tanto meno nei borghi. Le relazioni tra attività che abitano lo stesso territorio può solo che essere un ulteriore elemento di crescita”. Ecco un’altra osservazione che mancava all’appello: il borgo dovrebbe essere uno spazio d’incontro non solo per chi arriva da fuori, ma anche tra chi lo dimora con la propria attività.


La sala de La Dispensa a San Felice

Ne abbiamo parlato con Stefano De Lorenzi, chef della Trattoria Due Mori di Asolo, indirizzo di riferimento nel borgo più conosciuto della pedemontana trevigiana. Asolo è un luogo incantevole: un centro antico cosparso di edifici storici, tenuto come un gioiello dai suoi abitanti e dall’amministrazione comunale. Raggiungendolo si incontrano dolci pendii intervallati da filari di vigne, giardini rigogliosi e dimore signorili; il tutto culmina con una rocca medievale raggiungibile a piedi a partire dal centro storico. Sono diverse le attività di ristorazione qui, più o meno attinenti alla tradizione. Tra queste c’è appunto il Due Mori; noto, tra le altre cose, anche per avvalersi esclusivamente della cucina economica. Si cuoce tutto con la cucina a legna, come si faceva una volta. “Prima di arrivare al Due Mori mi stavo concentrando su una cucina moderna in un ristorante in campagna” - inizia così Stefano De Lorenzi, qui in cucina da oltre cinque anni. “Avevo la strada già piuttosto chiara ma giunto ad Asolo ho capito che non potevo portare avanti il mio progetto allo stesso modo. Qui ci sono logiche e sistemi completamente diversi, non si può ragionare slegati dal contesto che ci circonda. Nei giorni di chiusura ho fatto visita a diversi locali nelle mete turistiche più ambite - per esempio Venezia - ed ho appreso quali erano i limiti di certi ristoranti. Un locale ubicato in un borgo antico o in una città d’arte non può trattare il cliente come un turista, a prescindere che sia italiano o straniero. Questo è un fatto piuttosto ricorrente che brucia molte opportunità per il turismo e l’economia locale. Ai nostri occhi chiunque arrivi

deve essere ospite!”. L’altra cosa che balza all’occhio quando si siede al Due Mori oltre al metodo di cottura ancestrale è il menu scritto in dialetto veneto e arricchito con alcuni detti popolari. “Agnelo soe bronse, ovi e sparesi, sgropin… c’è una motivazione seria dietro a questi nomi che per alcuni potrebbero sembrare goliardici. Abbiamo la possibilità di fungere da ponte tra l’ospite e il territorio anche attraverso i dettagli. L’identità del menu è un dettaglio di molto conto: scriverlo in dialetto fa sorridere e rievoca qualche ricordo nei clienti del posto, al tempo stesso incuriosisce l’avventore alla prima esperienza. Credo che l’ambizione del ristoratore del borgo debba essere far conoscere il popolo, le sue usanze, le ricchezze anche più semplici che lo circondano”. Dalla cucina a vista di Stefano escono piatti genuini, preparati con pazienza, grande riguardo per la tradizione e rispetto per le fatiche dei produttori. Anche questa non è una scelta casuale ma dettata dal bisogno di armonia. “Il ristoratore dovrebbe sempre lavorare rispettando la storia e il lavoro altrui ma in un borgo storico le responsabilità si acuiscono. Puntiamo alla coerenza con lo stile del luogo e ci impegniamo per far emergere l’identità. Un altro aspetto importante riguarda il conto: si dovrebbero calmierare i prezzi per favorire un’affluenza costante, quindi evitare che ci sia concentrazione eccessiva solo nel fine settimana, così vengono disperse le opportunità”. Giosuè Carducci ha definito Asolo la Città dei cento orizzonti e il motivo è chiaro: i panorami che offre sono mozzafiato. Uno scorcio suggestivo si può ammi-

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Come dovrebbero muoversi i ristoratori


rare, al tramonto, pure dalla terrazza del Due Mori, affacciata sulle linee sinuose delle colline asolane. Anche concedere una vista memorabile ai propri ospiti, predisponendo una terrazza o allestendo una grande vetrata (qui c’è pure quella), è un gesto che avvalora il borgo. “Non possiamo permetterci di lavorare in una scatola chiusa. Siamo in luoghi privilegiati e abbiamo possibilità di rendere ancora più belli e pregnanti i ricordi delle persone che vi fanno visita”. In più occasioni in questa rivista abbiamo raccontato come non ci sia angolo nel nostro Paese privo di bellezze più o meno intatte, dietro cui spesso si celano storie autentiche. Pochi sottolineano però che molte, moltissime, di queste sono custodite proprio nei nostri borghi. Spazi silenziosi, identitari e in genere pure difficili da raggiungere, che dovrebbero essere custoditi attraverso una presenza turistica contingentata ma costante; andrebbero irrorati di percorsi condivisi tra imprese ed enti territoriali, e soprattutto urge che vengano ripopolati con intelligenza, riequilibrando un sistema fortemente sbilanciato che vede ormai le metropoli e le città off limits. Negli ultimi anni si è propagata l’espressione ‘albergo diffuso’ nata dall’idea di utilizzo a fini turistici delle case vuote ristrutturate coi fondi del post terremoto del Friuli (1976). Questo modello di ospitalità è stato messo a punto da Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing turistico. Si tratta di un’impresa ricettiva alberghiera situata in un borgo, formata da più case, preesistenti e vicine fra loro, con gestione unitaria e in grado di fornire servizi alberghieri a tutti gli ospiti. Una soluzione che accresce le opportunità di questi piccoli centri e di cui (purtroppo) pochi ristoratori conoscono l’esistenza. Eppure gli alberghi diffusi, così come l’affermarsi del

La famiglia Tinari di Villa Maiella

lavoro da remoto (specie tra i giovani) o l’innovativo progetto di case a un euro, rappresentano dei segnali che dovrebbero spingere ad investire in questi luoghi. A patto che tali idee di investimento siano progetti di ristorazione educati, in sinergia con le altre attività della zona, e che rispettino - come afferma Stefano De Lorenzi - tutto ciò che hanno attorno. Dall’altro lato è bene ricordare che le responsabilità non sono solo dell’imprenditore. Il visitatore ha degli oneri importanti, anche se si reca in un borgo solo per una cena o una degustazione. Deve entrare nella dimensione lenta del luogo, averne rispetto dall’arrivo alla partenza, in ogni gesto. Il viaggio mordi e fuggi solitamente intrapreso nel fine settimana o durante le festività se fatto con poca coscienza può essere solo che un danno e sfumare in una raccolta fotografica inconsistente. Questi luoghi meritano di più. Non dobbiamo ricordarci dei nostri borghi solo quando stiamo programmando un viaggio o dobbiamo soddisfare la nostra curiosità gastronomica. Dobbiamo averne cura sempre, custodendone le memorie e promuovendone la valorizzazione.


RITRATTI

Di Elide, Cristiana e Vittorio Beltrami Sicuri di sapere tutto di loro? Autrice: Simona Vitali

È inconfondibile lo sguardo materno, anche quando l’oggetto d’amore non sono i propri figli ma comunque creature a cui si è data la vita. Eccola, Elide Fiorelli Beltrami, in quell’istante potente in cui, con la sola espressione del viso, rinnova la conferma a quell’impegno preso insieme a suo marito Vittorio, ormai molti anni fa, quando senza esitare ha rinunciato a un posto statale, e quindi garantito, che si era aggiudicata vincendo un concorso. “Questa attività, che in tutte le sue evoluzioni è rimasta ancorata in Cartoceto (Pu), è sempre stata fortemente voluta dai miei genitori, che ci si sono buttati a capofitto: una sorta di primo figlio, oltre a noi tre fratelli” racconta senza esitazione la figlia Cristiana,

Elide Fiorelli Beltrami


L’Ovillis Ambrosia, pecorino stagionato in fossa, fiore all’occhiello di Vittorio Beltrami

che da anni cura - fra le altre cose di cui si occupa quelle relazioni che hanno consentito di arrivare molto lontano ai prodotti della Gastronomia Formaggeria Beltrami. Non possiamo non citare i ricercatissimi pecorini stagionati in fossa, fra cui campeggia il sublime Ovillis Ambrosia, quelli fatti maturare in barrique ma anche tutta la linea dei caprini a caglio vegetale, freschi e stagionati, e poi l’olio extravergine del frantoio di famiglia -La Rocca -, le confetture e marmellate di casa Beltrami fino alla selezione di piccole lodevoli produzioni artigianali... una festa per i palati più raffinati!

Un percorso da valle a monte “A ben pensare – osserva Cristiana, la filiera l’abbiamo percorsa a ritroso. Dall’originaria bottega di famiglia, dove già si potevano acquistare anche i formaggi che papà selezionava e faceva stagionare, con gli abbinamenti di confetture e marmellate di mamma ma anche l’olio che abbiamo iniziato a produrre, ci siamo trovati a un certo punto a fare ritorno alla terra (mio nonno paterno era stato mezzadro) e a diventare noi stessi produttori di formaggi”. È l’inizio degli anni ’80 quando i coniugi Beltrami decidono di acquistare, nel suggestivo borgo di Cartoceto, un palazzo del ‘600, palazzo Rusticucci, che racchiude un bel frantoio in pietra e, come vedremo, una sorpresa inaspettata. Così mentre la produzione di olio extravergine sta un po’ scemando in quella zona, i Beltrami non si perdono d’animo e diventano ben presto operativi: Elide nella conduzione del frantoio e Vittorio - impegnato lavorativamente anche su altri fronti - si attiva nel riaffermare il valore di questo prodotto, in quel territorio storicamente vocato. Se oggi Cartoceto è città dell’olio, lo si deve anche al suo impegno, per questa causa, por-

tato avanti negli anni. “Quando – ricorda Elide- al frantoio transitavamo con i carrelli carichi di damigiane su un certo punto del pavimento, sentivamo che sotto c’era il vuoto. Allora abbiamo iniziato a cercare di capire cosa ci potesse essere lì sotto. Un amico, un padre agostiniano, da studioso quale era, ci ha illuminato in questa ricerca. Sono emerse due antiche neviere sotterranee che, una volta ripristinate, Vittorio non ha tardato ad utilizzare, con grande maestria, come fosse per la stagionatura dei pecorini. E pensare che nemmeno la proprietaria precedente ne conosceva l’esistenza”. Ma la svolta più grande nell’attività dei Beltrami arriva con la decisione di acquistare terreni a Ripalta, una frazione di Cartoceto. In questo angolo di paradiso che conta un oliveto con 1600 olivi, alberi da frutto dimenticati come il corbezzolo, il corniolo, il nespolo, una grande ricchezza di erbe incontaminate e un bosco, Vittorio decide di fare il capraro. La scelta cade sull’allevare, allo stato semibrado, capre camosciate alpine, animali non conosciuti in quella zona, persino ai veterinari. Si tratta quindi di iniziare a codificare i loro comportamenti (ricostruito loro sistema di vita), per poter garantirgli benessere (Vittorio arriverà a organizzarle per famiglie per una convivenza pacifica fra loro), inoltre si rende necessario trasformare il latte che producono. È qui che Elide torna ad essere provvidenziale. Senza perdersi d’animo inizia a studiare, facendo arrivare alcuni libri dalla Francia, da cui coglie le nozioni essenziali. Utilizzerà, per scelta, solo caglio vegetale. Nel caseificio ricavato nella casetta di pietra presso il Covo dei briganti, così vien chiamata quell’azienda agricola, ricava una sala di cagliatura, dove inizia a sperimentare ad oltranza finché, dopo molte prove, non arriva all’optimum. | maggio 2022

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Le torte di formaggio di Elide

Di Elide Vittorio dice che è un’artista, che ha mani d’oro, che è una sperimentatrice mossa da tanta curiosità. E che ci ha sempre creduto, almeno quanto lui. È affascinante sentir parlare questa donna, pacata ma acuta, della scelta di utilizzare per i suoi formaggi solo caglio vegetale, che ricava grazie agli stilli del cardo selvatico ma anche al lattice di fico. “Con quest’ultimo – dice – viene una cagliata eccezionale, leggera, bianca candida”. Nella nostra visita alla Gastronomia Formaggeria di famiglia ci hanno colto di sorpresa generosi caprini, grandi quanto una torta e armoniosamente decorati con fiori e scorzette di arancia, che svettavano dalla vetrinetta. Li hanno chiamati Torte di formaggio e sono nate giusto per un’occasione. “ Per un paio di stagioni - racconta Elide - ha lavorato con me in caseificio Virginia, una ragazza che abita vicino a noi, che si è innamorata dei nostri formaggi,

dei caprini che abbiamo confezionato insieme, della ricotta calda che le davo da portare a casa. Fra noi si è creato un bel legame tant’è che, quando ha deciso di sposarsi a settembre 2020, appena finito il lockdown, ci ha chiesto di preparare il tavolo dei formaggi al suo banchetto di nozze. Mi sono domandata cosa potessi regalarle. Ricordo che stavo guidando quando ho pensato di provare a realizzare un caprino nella fascera grande, vestito a festa con l’ausilio dei fiori che la natura mi offriva in quel periodo. Ne sono uscite due torte di formaggi “decorate”, una con i petali di rosa e l’altra con i fiori di zucchina, che gli sposi hanno gradito tantissimo e non sono passate inosservate ai commensali. Dopo questa occasione c’è stato chi me l’ha chiesta per un battesimo, chi per un regalo di compleanno... Quando è ripresa l’attività Cristiana mi ha detto ”Mamma, queste torte sono molto belle! Vogliamo iniziare a proporle?”. L’ho ascoltata e ora mi dedico alla loro preparazione una volta alla settimana, non di più perché ci vuole tempo”. E abilità, aggiungiamo noi. Si tratta di reperire fiori ed erbe (borragine, pervinca, violetta, pimpinella, calendula rosa ma anche scorzette di arancia – che ben si sposa con acidità dei caprini, pistacchio ecc...) e con questi realizzare un disegno sul fondo della fascera, versarvi sopra la cagliata con grande delicatezza, lasciare a riposare per 24 ore e rovesciare il formaggio ottenuto. Solo a quel punto si svelerà il giusto verso del disegno, pensato e realizzato al contrario. “Ho portato a Cheese quattro torte da esporre in modo esemplificativo – racconta Cristiana – in quei giorni ho dovuto lottare per non venderle!”.

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I Caprini del Covo

È il 2002 quando nasce una linea di piccoli caprini freschi, a latte crudo, arricchiti di fiori e erbe dell’azienda agricola, denominati caprini del Covo, ancora oggi apprezzatissimi.

La novità di Elide: le Torte di formaggio


Lo yogurt di capra a firma Cristiana Beltrami È brillante Cristiana, non le sfugge nulla, ed è dotata di quella sottile ironia di chi, da 20 anni a questa parte, ha saputo usare l’intelligenza per ritagliare il proprio spazio, con buonsenso, senza smanie. Ci racconta, in modo esilarante, di quando, come tutti i figli che devono affrontare il passaggio generazionale, si è armata di buona volontà per partecipare a un corso ben strutturato a questo proposito. Una volta terminato si è chiesta “E adesso? Con un vulcano come mio padre, quali sarebbero le aspettative nei miei confronti? Che io fossi come lui? Lui è lui e io sono io. Molto meglio che parliamo di convivenza generazionale! Cristiana si occupa quotidianamente del rapporto con i clienti, della gestione della formaggeria, dei tanti aspetti burocratici e pure si è specializzata nell’allestire irresistibili tavoli di formaggi per nozze, eventi ... Ultimamente, volendo dare un contributo alla produttività della famiglia, ha lavorato di sua iniziativa al progetto per sviluppare yogurt al latte di capra, che propone con le particolari confetture e marmellate di mamma Elide ma è ottimo anche con la frutta fresca o il solo miele. Una vera bontà, meglio di un dessert! Ciò che esce da questa famiglia ‘di palato’ è garanzia di per sé stesso. Per il solo fatto che finché non va bene non viene proposto alla clientela. “Voglio attivarmi - ci racconta Cristiana in procinto di lanciare il prodotto - per fornire anche quegli hotel che fanno della colazione un momento sacro, puntando a un’accurata selezione dei prodotti che propongono”. Ma non è finita, ci sono altri due progetti in corso...non li sveliamo, restiamo in vigile attesa.

E vorrei anche regalare qualcosa per una società migliore... Questo è un periodo di oscurantismo ma torneranno i momenti belli, come tutti gli anni tornano a fiorire le piante fra il vociare delle merle, intente a fare i loro nidi. Senza che nessuno glielo chieda”.

Lo yogurt di capra

Vittorio e l’elogio alle sue donne Vittorio, l’instancabile mente di Casa Beltrami, che tante volte ha parlato delle sue capre, della sfossatura, della sua Cartoceto diventata città dell’olio, della personale visione dell’agricoltura e del mondo lattiero caseario, dell’importanza di continuare tramandare i vecchi saperi, oggi - con noi - si sofferma ad elogiare le sue donne, consapevole che le sue tante idee non avrebbero potuto trovare tutte realizzazione senza il loro apporto. “La mia fortuna - lo dice chiaramente- è stata avere l’Elide e la Cristiana”. Il futuro è meno gigante se non si è soli, se si può contare uno sull’altro come accade in questa famiglia, dove anche gli altri due figli, Sara ed Emanuele, per le competenze che sono loro proprie, danno all’occorrenza un contributo. E poi c’è Bartolomeo, per tutti Bart, 21 anni, il figlio di Cristiana, che inizia a muoversi con disinvoltura tra frantoio, fosse e mercatini... “Dicono – racconta Vittorio- che devo smettere di pensare al futuro alla mia età... Io guardo al futuro!

Vittorio Beltrami

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TURISMO Autore: Luigi Franchi

Ospitalità Natura

Bioagriturismo Il Cerreto a Pomarance (PI)

Il primo network di strutture ricettive eco e bio

“La promessa di Ospitalità Natura è quella di divertirsi, senza distruggere. È il nostro motto, perché racchiude l’idea di vacanza che vogliamo: all’insegna del divertimento consapevole, che ha a cuore il Pianeta e lo vuole preservare e proteggere. Perché vorremmo che tutti, in futuro, continuino ad avere la possibilità di visitare i luoghi che ci hanno fatto innamorare, divertire, scoprire e sognare” è con queste parole che Andrea Agazzani, project manager di Ospitalità Natura, ci introduce alla mission di questo network di strutture ricettive eco e bio in Italia, nato da un’idea di Casto Iannotta dell’Hotel Milano di Castione della Presolana (BG), che riunisce 36, per ora, hotel e agriturismi italiani. “L’idea è scaturita nell’ottobre 2020 durante l’edizione di Hospitality Day a Rimini ma il portale che segna la nascita del network è andato online nel gennaio 2021. – prosegue Agazzani – I partner che hanno creduto subito nel progetto sono Naturasi, leader nei prodotti biologici; Teamwork Hospitality, leader nel settore della consulenza nel mondo dell’ospitalità; Dolomiti Energia, leader nel settore delle energie rinnovabili; Orizzonte Natura, alta qualità attiva; Ansorg, leader per l’illuminotecnica retail; Eticlò, alta moda etica e sostenibile; Macro, editoria del benessere e della conoscenza. Con loro stiamo sviluppando servizi di cui si possono avvalere le strutture in modo agevolato”.

www.ospitalitanatura.it

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Perché un network di strutture ricettive eco e bio Sono sempre più numerose le indagini e le ricerche statistiche che affrontano temi come la sostenibilità, l’eco, il bio, anche nel settore turistico che, fino a prima della pandemia, era tutto fuorché sostenibile. Ne abbiamo selezionate due di queste ricerche, di Booking.com e LIfegate, per trasferire qualche dato: sono 7,5 milioni gli italiani che organizzano vacanze sostenibili; il 72% dei viaggiatori ritiene sia giunto il momento di prendere decisioni di viaggio sostenibili; un italiano su tre della generazione Z organizza già vacanze sostenibili, scegliendo strutture che lo aiutino in questo obiettivo; il 46% degli italiani afferma che sarebbero disposti a spendere tra il 10 e il 20% in più se avessero garanzie che sia una scelta per l’ambiente. Dati che mettono in evidenza come sia cambiata molto velocemente, in questi ultimi due anni, la percezione del viaggio e della vacanza. “Per questi motivi abbiamo deciso di far nascere il network Ospitalità Natura che, ad oggi, conta 33 strutture nel centro nord-Italia ma che vuole arrivare ad averne almeno un centinaio nel giro di tre anni – afferma Andrea Agazzani – I nostri scopi principali sono sostanzialmente tre: il primo è rendere facile al potenziale cliente organizzare una vacanza ecosostenibile e il portale serve essenzialmente a questo perché riporta tutti i servizi e i prezzi delle nostre strutture con la prospettiva di creare anche un sistema di prenotazione diretta; il secondo scopo è dare alle strutture una rete valoriale che possa andare incontro al pubblico giusto e dar vita a progetti che creino ulteriore sensibilità da parte degli ospiti. A questo proposito cito tre iniziative

che stanno avendo molto successo: una con To Good To Go contro lo spreco alimentare; l’altra con Up2You che prevede di fornire al posto del cartellino ‘non disturbare’ uno che dice ‘oggi non rifare la mia camera’. L’ospite riceve in cambio un codice per cui piantare un albero compensando la quota personale di Co2. La terza è la settimana della cucina vegetariana e colorata. Infine tutte le strutture, al momento dell’adesione, ricevono un kit importante come dimensioni, di prodotti biologici donato da Naturasi”. Quali sono le regole per aderire? “La prima regola, in realtà è tacita. Andiamo a visitare le strutture e se vediamo che fanno già scelte sostenibili vengono agevolate ad aderire. Oggi c’è più attenzione al valore del marketing verso questi argomenti piuttosto che un impegno profondo e questo atteggiamento va progressivamente modificato. Le altre regole sono in realtà Andrea Agazzani, project manager di Ospitalità Natura

Biohotel Bühelwirt in Valle Aurina (BZ)


Meridiana Family&Nature Hotel a Marina Romea (RA)

Active & Family Hotel Gioiosa a Riva del Garda (TN)

sei requisiti di base per avanzare nel percorso concentrico volto all’adesione: angolo bio della colazione; raccolta differenziata: cambio biancheria su richiesta; uso di prodotti locali o green; oltre il 50% di energia pulita; uso di riduttori del flusso dell’acqua. Oltre a questo che serve per essere ammessi esistono oltre 50 requisiti suddivisi in cerchi della sostenibilità, come li chiamiamo noi: i 3 cerchi indicano una struttura che ha avviato il suo percorso verso la sostenibilità e si trova in una fase iniziale della transizione ecologica. Queste strutture raggiungono fino al 30% dei requisiti individuati da Ospitalità Natura. I 4 cerchi indicano una struttura che ha già raggiunto step rilevanti del suo percorso di transizione ecologica. Ovvero ha abbassato sensibilmente l’impronta ecologica. Queste strutture raggiungono dal 30% al 60% dei requisiti da noi individuati. Infine i 5 cerchi mettono in evidenza una struttura che ha raggiunto risultati notevoli per la sostenibilità rendendo molto bassa la sua impronta ecologica. In questo caso si parla del raggiungimento tra il 60 e il 100% dei requisiti indicati dal network”. Immagino ci siano dei costi di adesione… “Si, e sono reinvestiti tutti in attività di marketing e formazione. Abbiamo fatto un primo incontro tra di noi per conoscerci, vogliamo che tra loro le strutture si scambino idee, riflessioni, iniziative. Poi abbiamo fatto un corso sul breakfast. Inoltre le strutture della Romagna stanno pensando a una linea di tessuti di lavoro naturali o riciclati realizzati dalle sartorie sociali che dovrebbe diventare un progetto per tutte le strutture aderenti”. In tutto questo il tema ristorazione in queste strutture come viene trattato? “Innanzitutto con la pratica. Le strutture devono avere un minimo di 40 referenze bio nella composizione dei menu. Alcuni hanno già un’attenzione specifica

sul tema: l’Hotel Pordoi, a 2.000 metri di quota, è la prima in alta quota ad avere un menu vegetariano ideato insieme a Pietro Leeman; Villa Rosa Riviera di Rimini ha ideato il concept Panenostro Lab per il breakfast e ha affidato alla Trattoria Lucio l’intero concept gastronomico; Villa Balbi che è un hotel con annessa azienda agricola biologica che usa solo i suoi prodotti nel menu. Questo per citare alcuni esempi”. Un network nato in sintonia con le esigenze di un nuovo turismo che punta a valorizzare l’Italia e la sua biodiversità.

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Meridiana Family&Nature Hotel a Marina Romea (RA)

Hotel La Raia a Gavi (AL)



FARE RISTORAZIONE

Il caldo abbraccio di Roma Roma accogliente, Roma sensibile, Roma che sorprende per quanto sia protesa verso la rassicurazione e l’abbraccio. La ristorazione romana è giovane, vibrante e determinata a creare quell’atmosfera che fa star bene insieme, che appaga e tramette voglia di futuro Autrice: Marina Caccialanza

I recenti studi di ISNART – Istituto Nazionale Ricerche Turistiche rivelano che è in rapida evoluzione un turismo nuovo, che rispecchia i cambiamenti sociali, assorbe le conseguenze della pandemia e subisce le incertezze dovute ai conflitti internazionali in atto. Attori di questo nuovo turismo sono gli appartenenti alle generazioni Y e Z, nati dopo il 1981 e nativi digitali. I temi ai quali sono maggiormente attenti e che guidano le loro scelte sono la sostenibilità, la riscoperta di luoghi dimenticati e il senso di appartenenza. In questo contesto, fluido e in divenire, la città italiana che più di tutte vive di turismo – Roma – si ritrova a dover rinascere, a intercettare modalità di accoglienza rinnovate, ad analizzare le motivazioni del turista per soddisfarne i bisogni: bisogna rispondere prima di proporre. La ristorazione è il fulcro del turismo enogastronomico. La cacio e pepe di Altrove

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Barbara Agosti e Ornella De Felice

Roma, crocevia dei mondi Un antico detto popolare recita “tutte le strade portano a Roma”. Come Roma ha accolto nell’antichità popoli da ogni dove, in seguito alle conquiste dell’impero, oggi è un perfetto esempio di crocevia multiculturale e multiregionale. Con questo spirito, sorgono nuovi locali, come Altrove, nel quartiere Ostiense/Garbatella, dove la chef Barbara Agosti, deus ex machina di Eggs a Trastevere, affiancata da Ornella De Felice, apre le porte di un luogo dove il cibo non ha confini e neppure barriere. “Altrove parla di etica, di sostenibilità, di rispetto per le materie prime e le persone – spiega Barbara Agosti - di cucina che non conosce barriere e di multiculturalità, con un menù che parte dal Mediterraneo per raggiungere l’Oriente, come hanno fatto i ragazzi che vi lavorano e che giungono da Napoli come dal Mali, dal Bangladesh o dall’Afghanistan. Le spezie sono il fil rouge e arricchiscono di cultura oltre che di gusto. Volevo un luogo dove la gente potesse viaggiare insieme a noi e poi ritrovare la romanità della cacio e pepe. Un incrocio di personalità e contaminazioni espresse in chiave etica: per le forniture sono state scelte solo aziende dichiarate caporalato-free”.

Kikky- risotto da passeggio

Altrove non è solo un ristorante, è anche un ristorante, perché nasce da un progetto della Onlus CIES, creato per dare opportunità di professionalizzazione e occupazione a giovani italiani e stranieri.

Il fast food è sostenibile… Ristorazione moderna, veloce e gustosa, per una clientela che vuole anche mangiare sano. Kikky – numeri 1 del riso, è un fast food ma punta al rispetto della tradizione culinaria italiana; la formula, il “risotto da passeggio”, è in linea con l’odierno stile di vita e, al tempo stesso, ha un impatto ambientale praticamente nullo. In zona San Paolo, è un progetto imprenditoriale del gruppo Reting. Enrico Tosco, portavoce del gruppo dichiara: “Abbiamo deciso di mettere in campo le nostre conoscenze investendo in un progetto dall’enorme potenziale che siamo convinti possa diventare un’alternativa al mondo del fast food, una opzione tra pizza, hamburger, piadine e cibo etnico”. Il segreto sono le macchine che in soli quattro minuti servono un risotto cotto a puntino, partendo da zero; centinaia di piatti ogni ora con la formula del delivery e del take away. La carta dei risotti comprende 14 scelte ‘fatte in casa’


con prodotti freschi acquistati da fornitori di zona, ricette messe a punto da un professionista della ristorazione e realizzate con una tecnologia che consente di ottenere risotti perfetti e di ridurre al minimo lo spreco di cibo. Kikky, infatti, è un progetto plastic free che punta sul bambù compostabile per stoviglie e vaschette, su uno speciale packaging per delivery e take away e su bibite esclusivamente in vetro o alluminio. Il progetto a impatto ambientale zero punta, inoltre, sul riutilizzo degli scarti della lavorazione del riso per realizzare le vaschette che contengono i piatti pronti.

…e diventa gourmet Nella centralissima zona di Piazza Venezia, ha aperto Aromi Bistrot, ideato e realizzato da una giovanissima coppia, anche nella vita, Luca Longo e Erica De Falco. “Aromi Bistrot è un luogo studiato per rendere gustosa la pausa dal lavoro, dallo shopping, dalla gita turistica sottolinea Luca Longo - siamo nati da poco, ma veniamo da esperienze pregresse svolte presso le cucine di grandi chef che ci hanno insegnato a strutturare una proposta gastronomica piacevole per ogni palato. Una cucina semplice nel senso più positivo del termine, che punta su piatti realizzati con un tocco originale”. Aromi Bistrot può esser definito un fast food gourmet, con una proposta gastronomica basata su piatti veloci e

di qualità in un menu agile: 18 piatti realizzati con ricercate materie prime. “I piatti sono pensati per essere gustati nel bistrot, in asporto passeggiando in strada o in delivery a casa – racconta Erica”. Il packaging è compostabile, ecosostenibile, il locale è completamente plastic-free. Il pesce è scelto tra il pescato del litorale laziale seguendo la stagionalità del mare e la disponibilità dei prodotti; come i Salumi di mare e il Prosciutto di Ricciola: “Un modo per sorprendere la nostra clientela – spiega Erica -. Ho studiato e sperimentato per riuscire ad ottenere un prodotto sano, gustoso e originale che mi permetta di creare intriganti combinazioni di sapore”. Il menù è vasto e abbraccia specialità tipiche come i fritti e i supplì ma sfocia in ricette creative e lievitati, tutti da provare, come le paste fresche e le focacce. Cucina di pesce, piatti semplici e dai sapori nuovi per giovani dal palato fino.

Un calice di vino, ma naturale Le osterie, come non frequentarle in una città come Roma dove la convivialità intorno a una bottiglia di quello buono fa parte del folklore e della tradizione. Al Testaccio un tempo si trovavano terreni adibiti a vigne e depositi per il vino posizionati all’interno del Monte dei Cocci. Oggi, al Testaccio, un rione che negli ultimi anni ha vissuto un’involuzione ma è alla ricerca di riqualificazione, nasce Vinificio, uno spazio interamente dedicato al vino naturale, fratello punk del Pastificio San Lorenzo, un luogo dedicato agli appassionati del vino naturale ma aperto e familiare, che vuole avvicinare i neofiti e avviare un processo di scoperta ed educazione a bere bene. Vinificio è un unico grande contenitore: vino naturale, musica, arte e una proposta gastronomica fresca e con-

Luca Longo e Erica De Falco

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Alcune proposte di Vinificio

temporanea affidata ad Alberto Mereu, cresciuto professionalmente con Heinz Beck a La Pergola. “Il menu di Vinificio – spiega Mereu - è pensato per proporre una cucina di prodotto, fatta di ricerca maniacale della materia prima; è una cucina equilibrata e fortemente legata al territorio e a filosofie agricole rispettose dell’ambiente, strutturata su tre differenti sezioni: Tapas, Bottega e Cucina”. La cantina, sotto la guida di Alessandro Antognozzi, promette di essere una delle selezioni di vini naturali più ampie e dinamiche d’Italia: 500 referenze di vini naturali da tutto il mondo.

Cucina italiana sempre nel cuore…

za, etica e salute sul lavoro. Ambiente intimo, un po’ retrò, un rifugio per chi è a caccia di ricette mai banali e allo stesso tempo rassicuranti; ma anche per gastrohipster e per tutti quelli che diventano habitué sapendo che il giorno dopo il menu sarà sempre diverso, in equilibrio tra reminiscenze e scoperte, dove il valore nutrizionale ha la stessa importanza del gusto. Con l’arrivo della bella stagione, ecco l’aperitivo dalle 18 alle 20 tra bolle, foie gras, salumi e formaggi; prossimamente anche il pranzo da “sabato domenicale”, una sorta di anticipazione del giorno festivo. Da Mamma Orso come a casa.

A pochi metri da piazza Bologna, infine, c’è Mamma Orso, il ristorante che celebra la cucina italiana tra interpretazioni intime e contaminazioni apolidi. I suoi artefici, Ciro Del Pezzo ai fornelli e Andrea Longo in sala, hanno avviato un progetto che rispecchia i loro valori e tiene conto del benessere della brigata, quasi tutta under 35. I loro pilastri sono la famiglia, così la domenica è festa e si lavora solo a cena 6 giorni su 7; la sostenibilità, intesa come materia prima e antispreco, e come sicurez-

Ciro Del Pezzo e Andrea Longo


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Per una collaborazione tra Agrario e Alberghiero Focus sull’istituto Agrario A. Cecchi di Pesaro Autrice: Simona Vitali

Allarghiamo la nostra visuale, uscendo idealmente da un istituto alberghiero per entrare in un istituto che in modo semplificato chiamiamo ‘agrario’, e che più oltre vedremo come si ramifica. Ne è costellato il nostro Paese di queste strutture, ricche di storia e non meno operosità. Si connotano come vere e proprie aziende agricole, spesso site in luoghi suggestivi. Perché questa scelta? Per il ruolo di scambio e arricchimento reciproco che le due tipologie di istituti, ponendosi in continuità fra loro, possono giocare nella formazione dei propri studenti, con l’entrare sistematicamente in collaborazione.

Una villa storica come sede Il nostro approccio inizia dall’Istituto di Istruzione Superiore A.Cecchi, che ha la sua incantevole sede sulle colline pesaresi, nella storica Villa Caprile, all’interno del Parco Naturale del San Bartolo. Voluta dal Marchese Giovanni Mosca come residenza estiva per il divertimento e il riposo, ancora oggi rappresenta una rarità assoluta, con il suo giardino all’italiana, gli scherzi d’acqua, il giardino segreto, le fontane di Atlante e dei Tritoni, le grotte sotto la villa, il teatro di verzura , il viale dei Tassi... per non parlare degli interni della villa stessa, che nel tempo ha ospitato figure del calibro di Giacomo Casano-

Villa Caprile, sede dell’Istituto A.Cecchi Paolo Aprile

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La raccolta delle olive

va, Stendhal, Carolina di Brunswick principessa di Galles, Napoleone Bonaparte. Un luogo che consigliamo vivamente di visitare nella stagione estiva (scoprirete il perché!). Ebbene questo gioiello nel 1876 è stato venduto da Vittoria Mosca all’Accademia Agraria di Pesaro alla condizione che si aprisse e mantenesse una scuola ...”per i figli di agricoltori al fine di istruirli”.

L’azienda agraria Sono 146 anni che il Cecchi si prende cura di questo complesso, che ha un’azienda agraria annessa di 35 ettari di estensione, di cui 15 ettari sono coltivati (11 seminativo, 2 vigneto, 1,5 oliveto e 1 frutteto) e 10 circa sono occupati da bosco giardini e serre, una produzione orticola e una floreale. Un’opportunità vera di esercitazione diversificata per gli studenti, che pure hanno modo di lavorare su un vigneto, un oliveto, un pereto sperimentali, in collaborazione con Enti di ricerca ed Enti locali. Tanta bellezza storica e paesaggistica che genera negli oltre 1000 ragazzi rispetto da un lato e attaccamento ad oltranza alla scuola dall’altro, rappresenta di fatto un grande impegno, a cui la dirigente, Donatella Giuliani, non si sottrae, forte del supporto di un buon entourage di collaboratori. “Basti solo pensare - ci racconta - cosa comporta essere soggetti a un Parco Naturale (quello del San Bartolo), allo sguardo della Sovrintendenza e pure aderire a un accordo agroambientale di area per cui abbiamo fatto la conversione in biologico. Eppure riusciamo a fare tantissime cose!”. Tanto per iniziare ci spiega che in realtà sotto il cappello del ‘Cecchi’ ci sono due Istituti: - il Tecnico per l’Agraria, l’Agroalimentare e l’Agrindustria (tre articolazioni: viticoltura ad enologia, produzioni e trasformazioni e gestione ambiente e territorio)

I prodotti dell’azienda agricola

- il Professionale per l’Agricoltura e Sviluppo Rurale, valorizzazione dei prodotti del Territorio e Gestione delle risorse Forestali e Montane. Il primo è orientato allo sviluppo delle materie prime e alla loro trasformazione, il secondo all’agricoltura multifunzionale e di settore. In buona sostanza entrambi trattano le stesse discipline ma con tagli diversi.

Cosa si produce al Cecchi Le attività produttive a cui si dedicano principalmente i ragazzi sono la cerealicoltura (grano tenero, grano duro, farro, girasole, cece, favino) l’olivicoltura e la viticoltura. Se ne ricavano farine ottenute dal grano Verna, un’antica varietà di grano con interessanti proprietà, che si è scelto di coltivare (da uno studio condotto dalle Facoltà di Medicina e Agraria dell’Università di Firenze pare sia utile per ridurre la quantità di rischi cardiovascolari), olio e diversi tipi di vino, tra bianco e rosso. Recentemente il ‘Bacco’ (Sangiovese/Montepulciano, invecchiato in barrique 12 mesi), si è aggiudicato il primo posto ad | maggio 2022

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un concorso nazionale, Bacco e Minerva, che coinvolge gli istituti tecnici e professionali per l’agricoltura in Italia. Questi prodotti insieme a frutta e verdura, erbe aromatiche e piantine di fiori coltivate nelle serre li si trova presso nel punto vendita, allestito accanto alla Cantina. I clienti sono i pesaresi, certamente affezionati a questa scuola, molto attiva quanto ad iniziative (corsi ed eventi) rivolte anche alla popolazione. È radicato e capillare il legame con il territorio, a partire da quello con oltre 450 aziende tra agricole, zootecniche, agroindustriali, che ospitano i ragazzi in stage e tirocini estivi.

Un progetto condiviso con l’Istituto alberghiero Santa Marta di Pesaro Nel periodo pre-pandemia, il Cecchi ha condiviso con l’istituto alberghiero Santa Marta, e pure con il liceo artistico Mengaroni di Pesaro, un interessante progetto, dall’Orto alla tavola, finalizzato alla promozione dell’educazione alla salute, dell’educazione alimentare e di corretti stili di vita, in cui ciascun soggetto coinvolto ha messo le proprie competenze a disposizione degli altri. Così i ragazzi di terza dell’istituto professionale agrario hanno realizzato presso l’alberghiero un orto in contenitori rialzati (peraltro utilizzabile anche dagli studenti con disabilità) da cui la cucina potesse attingere verdure ed erbe aromatiche per la preparazione dei propri piatti, divenuta oggetto di video tutorial (“La cucina dei prodotti di stagione”) ad opera degli studenti del liceo artistico. È stato poi siglato un accordo di collaborazione con mercatini ortofrutticoli per il recupero dei prodotti agricoli di scarto e/o prossimi alla scadenza. Questo ha consentito all’alberghiero di sperimentare il cosiddetto last minute market, che nel convegno conclusivo, a coronamento del progetto, ha realizzato un cooking show in tema di scarti, così come gli altri istituti coinvolti hanno illustrato i pro-

pri contributi, in materia di tecniche di coltivazione e di cura dell’immagine. Il tutto nel contesto di Caprile Agrishow, un evento consolidato del Cecchi, che si snoda in una tre giorni di incontri, convegni, laboratori, mostre, spazi espositivi dedicati ad aziende agricole, vivaistiche e alimentari. Altro momento formativo per il percorso degli studenti coinvolti nel progetto.

Considerazioni a voce alta Roberto Franca, dirigente dell’alberghiero Santa Marta di Pesaro, si dice assolutamente favorevole al lavorare in rete con altri istituti e con l’agrario in particolare. “Questi ragazzi che diventeranno agricoltori, allevatori, cuochi – riflette Franca - è bene che inizino a fare sistema fin da ora. Quanto al progetto ‘Dall’orto alla tavola’ devo dire che in un certo senso abbiamo continuato a tenerlo vivo, coltivando ortaggi ed erbe aromatiche nei cassoni che i ragazzi dell’Agrario hanno impiantato nella nostra scuola”. Avanziamo la domanda se, in generale, unificare alberghieri e agrari sarebbe una buona idea. “Lo sarebbe certamente – risponde, senza esitazione, il dirigente - anche se per chi la dirige diventerebbe un impegno non indifferente”. Non ha dubbi nemmeno Donatella Giuliani, dirigente del Cecchi: “Bisognerebbe arrivare a un unico polo agroalimentare”. Nell’attesa costruiamo ponti tra agrari e alberghieri, facciamolo con progetti se possibile continuativi, facciamolo con inviti a prendere parte alle reciproche attività. Quello che può essere scontato per noi, perché lo ripetiamo ogni giorno, per altri è cosa nuova da imparare.

La dirigente Donatella Giuliani ritra il primo premio al concorso Bacco e Minerva per il vino


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PERSONE Autore: Bruno Damini

Cristina Geminiani: Albana e Sangiovese fra determinazione e destino

Cristina Geminiani nella barricaia della Zerbina con i suoi vini più rappresentativi

Cristina Geminiani è l’incarnazione della doppia valenza originaria della parola ‘destino’ che risale alla radice di un verbo latino che significa ‘volere, stabilire’, da cui viene anche ostinarsi. La storia della Fattoria La Zerbina ha inizio nel 1966 col nonno Vincenzo, grande sognatore che volle tornare nella propria terra comprandosi un’azienda agricola ‘per farci un po’ di vino’, cosa non così scontata con 20 ettari di morbida collina nei quali non c’era alcuna vigna. Il nonno si avvalse della consulenza di Remigio Borghini per la parte agronomica, uno dei massimi conoscitori del vitigno romagnolo per eccellenza, e di lì a poche vendemmie il Sangiovese della Zerbina venne in parte destinato come private label a Gianfranco Bolognesi, fra i pionieri dell’AIS, stella Michelin dal 1975 con la sua Frasca a Castrocaro, locale che per tre decenni avrebbe contribuito a tracciare il 48

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nuovo corso della ristorazione italiana. La mente e gli interessi di Cristina Geminiani nei suoi anni giovanili erano lontani dalla Zerbina quanto lo è oggi sua figlia che non farà questo tipo di lavoro, seguendo le proprie scelte. Per questo dal 2014 Cristina si è fatta affiancare da un socio, l’imprenditore veneziano Henry-David Polacco, che si occupa della parte commerciale. Terminato il liceo, lei che non ha mai saputo fare di conto si iscrisse alla Bocconi convincendosi quasi subito non era la facoltà per lei. Lo confessò al padre che le rispose che della sua vita doveva fare quello che voleva. Così, il giorno dopo, con una 500 grigio topo guidata da un compagno di studi, in fretta e furia

fatica a curare l’azienda e il papà non riusciva a seguire il proprio lavoro e l’azienda agricola, così un giorno prese da parte lei e il fratello e disse loro: se non c’è qualcuno in famiglia che se ne vuole occupare la vendo. D’istinto disse che se ne sarebbe occupata lei anche se appena laureata senza alcuna esperienza. La rottura di un fidanzamento che l’aveva mandata in crisi le diede la forza di cambiare radicalmente vita. Il padre le affiancò dei preziosi consulenti: Gianfranco Bolognesi, fresco di seconda stella Michelin con la Frasca; Vittorio Fiore per la parte enologica; Remigio Borghini per la parte agronomica, e fu così che partì un progetto di rottura per far diventare La Zerbina una grande azienda del vino italiano. L’amicizia familiare con Gino Veronelli completò l’opera. L’altra fortuna grandissima - riconosce lei - è stata avere incontrato Alessandro Masnaghetti, che sarebbe diventato suo marito (pure lui battezzato nel vino, ideatore ed editore di Enogea, Porthos, e a seguire cartografo di grandi vigneti, dalla Toscana alle Langhe, fino a Napa e Sonoma). Con lui iniziò a condividere importanti esperienze, grazie alle relazioni di Fiore, a partire dai numerosi corsi a Bordeaux, i corsi di francese, l’assaggio di tanti vini, viaggi, visite e confronti con altri produttori. Cristina Geminiani arriva alla Zerbina nel 1987 in concomitanza del riconoscimento della DOCG Albana.

Scaccomatto, un vino da leggenda

Vigna di Sangiovese con alberelli a palo singolo

come in un cartone animato, si fece lasciare davanti alla Statale per correre ad iscriversi ad agraria nell’ultimo giorno utile. In realtà avrebbe voluto fare biologia marina, ma è rimasto un sogno nel cassetto che non ha mai esternato a nessuno. Scelse una facoltà che le dava la possibilità di stare a contatto con la natura all’aria aperta. Ma la Zerbina era ancora fuori dai suoi pensieri. Andando avanti con gli anni, il nonno cominciò a far

L’87 è anche la prima annata di Scaccomatto, un progetto formatosi nella sua testa nelle frequentazioni a Bordeaux, sviluppato qui insieme a Vittorio Fiore. Diversamente dal Sangiovese l’Albana non è un grande vitigno, è una ‘arzdora’ contadina, ma ha una grandissima acidità che il Semillon e il Sauvignon non hanno, unita a concentrazioni zuccherine importanti che la Botrytis Cinerea bilancia arricchendone le caratteristiche di naso e di bocca. Scaccomatto è un amore a prima vista che diviene definitivamente figlio della Geminiani intorno al 1992, vendemmia ‘didattica’ per lei perché fu un anno piovoso, un’annata brutta per i vini rossi mentre dal mese di ottobre in avanti uscivano giornate di sole sorprendenti, di forte vento che le rendeva luminose nella loro intensa luce autunnale. Si rivelò un’annata straordinaria per il passito principe della Zerbina e lei capì di potersi affrancare dai consulenti, assumendo la doppia responsabilità di agronoma ed enologa. Fra i rossi, il Marzieno è un vino che ha regalato all’azienda enormi soddisfazioni e importanti riconoscimenti. All’inizio era un tentativo seguire il solco dei super Tuscan. Dopo quattro anni però lei si rese conto che in quel vino dovevano essere riconoscibili il territorio e lo stile Zerbina, così cominciò ad aumentare le percentuali di Sangiovese riducendo quelle di Ca| maggio 2022

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Cristina Geminiani_vigna di Sangiovese ad alberello a palo singolo

bernet, arrivando a un prodotto che parla di tannini di elegante importanza, e di acidità, capace di durare anche 25 o trent’anni.

Seguendo i propri sogni e progetti, la grande sfida di Cristina però puntava alla rivalutazione del Sangiovese, recuperando il ritardo rispetto alla Toscana che dominava il mercato essendo più avanti su scelte e strategie, anche di comunicazione. Andava sfatata l’idea che il sangiovese di Romagna fosse qualcosa di serie

B, conseguenza di una viticoltura quantitativa. Ma La Zerbina nasceva con tutt’altro spirito grazie ad un impianto di viti ad alberello che non aveva riscontri con quelle estensioni che arrivano oggi a contare 140.000 alberelli a palo singolo. Il Sangiovese di suo nonno Vincenzo si chiamava Vigna Boschetto e originava da un singolo cru. Dalla vendemmia 1998 lei decide invece per un assemblaggio dei frutti migliori delle migliori vigne ad alberello impiantate nel grande patchwork di terreni della Zerbina che vanno dalle argille rosse alle argille brune, ai ca-

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La rivalutazione del Sangiovese


lanchi con le argille azzurre, i terrazzi alluvionali cui si aggiunge il calcare che misto ad argilla crea l’ambiente ottimale per ottenere un Pietramora di grande struttura e longevità. Mai paga, una decina d’anni fa, comincia a pensare che dovesse esserci altro nella narrazione del Sangiovese e che doveva tornare a parlare anche dei singoli vigneti. Così nel 2016 realizza la prima annata del progetto Monografia mettendo in pratica l’innovativa idea di un “cru itinerante”, facendo sì che tutti gli anni un vigneto rappresenti l’espressione più bella del sangiovese della Zerbina in quella vendemmia, producendone circa 666 bottiglie da 750 ml. A ‘Monografia 1’, segue il 2017 ‘Monografia 2’ e così via fino al 2019, mentre per il 2020, anno del Covid, verrà creata una cassetta in legno con sei monografie dello stesso millesimo, sei vigne diverse, una bottiglia per tipo. Un altro progetto per parlare di Sangiovese in maniera più semplice, più fresca è il Poggio Vicchio, che nasce da una vigna di Sangiovese di circa un ettaro e mezzo. Anche questo, così come il Pietramora e il Torre di Ceparano devono il loro nome ai suggerimenti di Nerio Raccagni, grande sommelier e anima in sala di Gigiolè e poi della Grotta, sempre a Brisighella, un personaggio molto influente nella vita di Cristina, burbero e controcorrente, con la grande dote della sincerità. Sui bianchi c’è un percorso a caduta che deriva dallo Scaccomatto perché da giovane laureata assieme ai suoi consulenti aveva tentato impianti di Sauvignon Blanc, Gewurztraminer, Chardonnay e Riesling, per avere un riscontro sulla muffa nobile con altri vitigni, per rendersi conto che la Romagna non presentava un clima adatto a quei vitigni, perché quando arrivava la Botrytis le loro uve erano già fortemente disidratate. Per cui, dopo alcuni anni di tentativi di fare un vino bianco secco che non era capito da nessuno perché troppo profumato, sono arrivati al Tergeno, un prodotto più simile a una vendemmia tardiva alsaziana, sempre Albana con una vinificazione da uve botrytizzate associate allo Chardonnay raccolto a maturazione. Ne risulta un vino molto interessante con una fortissima aromaticità nel quale lo chardonnay smussa un po’ l’acidità dell’albana. L’ultimo nato nel 2008 è l’Albana secca Bianco di Ceparano, da vigne impiantate appositamente a densità più elevata, 100% albana con una percentuale di albana secca che fa che fa un po’ il ruolo dello Chardonnay che contribuisce a diluire un po’ la fase botrytizzata. L’Arrocco è il secondo passito che utilizza quelle raccolte di Scaccomatto che, pur essendo di qualità molto buona, non si addicono al taglio finale di questo prodotto. Il terzo vino passito è AR, un progetto del 1995, che pochi conoscono perché si produce raramente e in

piccolissime quantità: è un vino molto costoso che chiude il cerchio della muffa nobile. La Fattoria Zerbina sta lavorando da molti anni sul tema della sostenibilità ambientale, anche col conseguimento della certificazione col marchio SQNPI, non solo per il fatto che le vigne sono biologiche ma anche per agire quotidianamente con scelte consone al rispetto dell’ambiente e delle risorse. Da cinque anni l’azienda è biologica in vigna dove a filari alterni si semina fava per il sovescio, per incrementare la fertilità del suolo e per prevenirne l’erosione evitando sofferenza al terreno quando la temperatura è alta. Biologici certificati in cantina lo saranno dalla prossima vendemmia. Cristina Geminiani ai suoi primi anni alla Zerbina col padre Franco

Fattoria La Zerbina Via Vicchio, 11 48018 FAENZA RA Tel. 0546 40022 www.zerbina.com

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PIZZERIE Autrice: Marina Caccialanza

La Chiave, pizza carne birra e convivialità

Hanno puntato sulla qualità, in tutti i sensi, e hanno vinto – Roberto e Giorgio – perché la Chiave è il posto ideale dove trascorrere una serata in allegria gustando ottimo cibo e bevendo una birra in compagnia

Pizza zucchine gamberi e pomodoro ciliegino

Due soci da 30 anni: Roberto Belliato e Giorgio Bertoldo; due specialità che vanno a braccetto: carne alla griglia e pizza. È il binomio perfetto e, infatti, da trent’anni, a Mestre, funziona. La località è vivace, alle porte di Mestre e a poca distanza da Venezia, e l’attività può godere della fedele clientela del posto così come dei tanti turisti che la frequentano, dove tra gli alberghi e i numerosi bed&breakfast si può contare su un ricambio di clientela frequente. La Chiave è un punto di riferimento, conosciuto per la qualità delle sue proposte e per la convivialità che ispira. Il locale è ampio, con un bel giardino estivo e può ospitare fino a 160 coperti. “Non abbiamo mai fatto molta pubblicità – racconta Roberto Belliato – e non ne abbiamo mai sentito il bisogno perché il passaparola è sempre stato suf-

Pizza bufala campana olive taggiasche pomod ciliegino e basilico


ficiente. Puntiamo sulla qualità e sul servizio e questo ci ha premiato anche nell’ultimo periodo così difficile per tutti: si lavora, si lavora bene e tanto. Abbiamo trovato un equilibrio ottimale e la nostra proposta, che si articola tra pizzeria e un menù di carni alla griglia, hamburger e ottimi dolci, accompagnati da birre artigianali e di alta qualità, si è rivelata la scelta vincente, da ben trent’anni”. Un locale per tutti, dunque, famiglie e giovani perché garantisce ottimi prodotti e atmosfera piacevole. La pizza è un must a La Chiave e Roberto Belliato ce ne spiega le caratteristiche che la rendono speciale: “Preparo un impasto nel quale utilizzo la farina Mia del mulino Agugiaro&Figna: è una farina nuova e molto performante di tipo 1. Preparo una biga al 100% che consiste in un impasto realizzato con farina, acqua e lievito, che viene messo a lievitare e maturare per 18 ore a 16/18°C. In seguito, di solito si usa fare un altro impasto a cui si aggiunge sale, olio e acqua, ma io ho preferito creare quella che definisco biga al 100%, ossia l’aggiunta alla biga iniziale di sola acqua, sale e olio di oliva, senza aggiungere altra farina. L’impasto matura altre 24 o 48 ore in frigorifero e diventa leggerissimo. Questo procedimento permette alla maglia glutinica di diventare più resistente e consente, pertanto, una maturazione più lunga. Il risultato è una pizza leggera e digeribile, molto gradevole e apprezzata. Inoltre, per dare un’alternativa a coloro che la preferiscono, preparo un altro impasto con farina Semina ai cereali: in questo caso, con l’aggiunta di farina di tipo 2, si ottiene una pizza più saporita, dal gusto più deciso. In carta abbiamo più di 60 pizze che periodicamente aggiorniamo in base alle preferenze dei clienti”.

Con un impasto così particolare ci vuole una farcitura all’altezza e per Roberto Belliato non ci sono dubbi: “Utilizziamo solo prodotti freschi, il più possibile locali o di provenienza scelta e garantita, niente salse o conserve. La qualità è imprescindibile per noi ed è quella che ha fatto la differenza nel corso degli anni. Per la farcitura delle pizze scelgo quasi sempre prodotti di stagione. Abbiamo in carta un buon numero di pizze classiche perché ci sono sempre i clienti tradizionalisti ma facciamo anche tante ricette creative, più estrose, come la bolle bianche con porcini e burrata affumicata, oppure la lap dance con i pomodorini, le alici del Cantabrico e la burrata a fine cottura. Piace molto il calzone di Amalfi avvolto come un tortellino con un ripieno di salame, ricotta e pomodoro”. In sala o nell’ampio giardino fiorito, La Chiave è il posto dove ci si sente accolti e coccolati; mangiare e bere bene (non dimenticate il dessert, ne vale la pena) è solo una delle attrattive del posto: il tutto, è condito dall’allegria e dalla simpatia delle persone. E non è un dettaglio da poco.

La Chiave Via Brendole, 93 30174 Mestre (VE) Tel. 041 913475 www.pizzerialachiave.it

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RISTORANTI Foto:Nicolangelo Sciacovelli

Autrice: Giulia Zampieri

Scoprire che l’inaugurazione dell’Autostazione di Cittadella (PD) è avvenuta nel 2012 fa un certo effetto: il locale, per le sue forme e i suoi contenuti, sembra sia stato aperto due giorni fa. Linee moderne e originali, proposte studiate ma accessibili, organizzazione fluida e informale… i tratti del luogo in cui si sta bene e in cui si può andare per qualsiasi occasione ci sono tutti. Giovanni e Narciso Bacchin, fratelli e titolari, ci avevano visto lungo quando hanno deciso di riadattare la vecchia stazione degli autobus in un locale focalizzato sul bere di qualità e su una cucina dinamica sempre in sintonia con il bicchiere, ubicando il tutto nel pieno centro della città murata (candidata a Patrimonio UNESCO). Ma quali sono i punti di forza di questo concept?

Un intervento su più fronti Prima il meticoloso lavoro di ristrutturazione, in cui si è dato spazio agli elementi architettonici e di design pur mantenendo alcuni particolari della vecchia natura dell’immobile, come la scritta “biglietti” che campeggia dopo l’ingresso sulla sinistra, o la conversione del piazzale antistante la stazione in un bellissimo giardino estivo. Poi l’impegno sul fronte beverage e cucina, due spalle che si sono allineate progressivamente, facendo della riconoscibilità del prodotto e delle attenzioni nella preparazione due fattori imprescindibili. In cucina come al banco si parte da un prodotto di altissima qualità senza stilare una gerarchia d’importanza. Le patate - sì anche quelle desti-

L’Autostazione a Cittadella

Il concept innovativo che sa rinnovarsi

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nate alla frittura - vengono acquistate in carichi interi da Rotzo o dal Montello, il pane per il toast è di Renato Bosco, le referenze per l’area mixology e le bottiglie in cantina sono tutte conosciute, scelte con diligenza. E poi c’è l’attitudine alla sperimentazione, anche nelle cotture. “Nell’immaginario di molti cuochi il panino è un prodotto poco all’altezza di un ristorante” - ci racconta Nicola, responsabile in cucina. “Viaggiando in America e in Spagna ho capito che per arrivare ad un buonissimo panino bisogna lavorare sodo, scegliere gli ingredienti migliori, calibrare le quantità e gli abbinamenti. Abbiamo puntato molto sulla carta dei panini anche se oggi la nostra proposta si è allargata notevolmente, con una scelta dinamica di snack e piatti. Il Josper è stato la svolta: l’abbiamo sperimentato dai fratelli Adrià, in Spagna, e ce ne siamo innamorati. Consente di cuocere a temperature impensabili e di conferire un’affumicatura speciale. Al Josper passiamo la carne, ma anche la seppia, l’ombrina, i fagiolini, persino l’ostrica. È diventato un nostro elemento distintivo a cui i clienti difficilmente rinuncerebbero”.

Gestire con precisione Quando un locale come l’Autostazione arriva a contare oltre 700 coperti a settimana deve saper far di conto. Sarebbe impossibile, altrimenti, uscire con un menu ampio ed eterogeneo, in cui ogni voce - dal toast (buonissimo) alla costata polacca - vuole tradursi in un ricordo positivo. “Sul food cost - prosegue Nicola - stiamo avviando un lavoro preciso avvalendoci di un gestionale che si gestisce tramite app. Molti non hanno capito che food cost non significa solo sapere quanto hai pagato una materia prima, ma anche quanto costa il lavaggio della lavastoviglie o il cibo per il personale. E poi, oltre all’aspetto economico, per far girare un locale come questo bisogna considerare le garanzie di fornitura. Scegliamo i fornitori che ci garantiscono materie prime ottime, ma anche costanti nella disponibilità e nella qualità, sicure, e di cui è garantito il servizio puntuale di consegna”.

Capacità di adattamento L’intuizione di Giovanni e Narciso non è stata solo frutto di lungimiranza; c’è stata anche una buona capacità di adattamento. In questi dieci anni l’Autostazione si è modellata in funzione del contesto sociale, delle nuove tendenze, delle novità di mercato, diventando un locale dal target ibrido e di altissima frequentazione. “In questi anni le abitudini, le preferenze e il grado di conoscenza delle persone non ha avuto una regola fissa” - spiega Giovanni. “Abbiamo lavorato per plasmare la nostra proposta in funzione dei cambiamenti mantenendo fede ai valori che avevamo chiari sin dall’apertura. Il nostro target? Definire una fascia d’età per l’Autostazione è impossibile. Semmai il nostro target si definisce sul criterio degli appassionati, delle persone attente alla

qualità, che amano bere e mangiare in un certo modo e considerano questi due mondi complementari, cosa che abbiamo sempre cercato di trasferire anche attraverso la nostra comunicazione. Insomma siamo riusciti a diventare un riferimento per giovanissimi, giovani a pure per il pubblico adulto, senza distinzioni di alcun genere”. Lo stesso avviene anche dal lato cocktail, in cui all’Autostazione vanno da sempre fortissimo. “Se per un certo periodo andavano per la maggiore le preparazioni complesse, quasi esasperate, con l’accento sui preparati in casa, oggi la gente è mediamente più felice di bersi un cocktail classico, o una leggera rivisitazione” conferma Giovanni. Anche qui, come sta avvenendo per il cibo, si prediligono nomi e ingredienti riconoscibili che non richiedano troppo sforzo per essere compresi; insomma una miscelazione pulita, elegante, di facile abbinamento alla cucina. Che non annienta il palato… ma anzi stimola il secondo giro. E il vino? Non è declassato, tutt’altro. In una bellissima cantina a vista sono raccolte un gran numero di bottiglie, con un crescente orientamento sulle produzioni naturali. “Il vino naturale sta riscuotendo molto interesse, e a noi piace. - conferma Giovanni - Ma oltre a saperlo acquistare e raccontare al cliente bisogna saperlo custodire in cantina”. Anche questi sono dettagli che danno garanzia di continuità. In un posto in cui val la pena fermarsi, anche per vederne l’evoluzione.

L’Autostazione Piazza Martiri del Grappa, 11 35013 Cittadella PD Tel. 049 561 0166 autostazione.com

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

Oleificio Zucchi Al fianco della ristorazione

Da anni Oleificio Zucchi è al fianco dei professionisti della ristorazione proponendosi come partner affidabile e autorevole nella scelta e nella fornitura dei prodotti più adatti alle loro specifiche esigenze. I punti di forza di Oleificio Zucchi nel mondo dell’Horeca si fondano su 3 pilastri fondamentali, quali: l’eccellenza di prodotto, una vasta gamma e la consulenza e formazione offerta ai partner.

Ricerca e Sviluppo dell’azienda lavora costantemente al miglioramento delle performance degli oli destinati alle varie preparazioni culinarie e alla valorizzazione delle singole peculiarità degli oli, funzionali a chi lavora in cucina. L’eccellenza viene ricercata anche nelle soluzioni di packaging, realizzati con materiali innovativi e a ridotto impatto ambientale.

L’eccellenza di prodotto

Una vasta gamma

Che sia olio da oliva o da semi, grazie all’esperienza maturata in più di 210 anni nel mondo dell’olio, Oleificio Zucchi è in grado di offrire sempre un prodotto di altissima qualità. I Blendmaster Zucchi selezionano i migliori oli extra vergine di oliva, da Cultivar e provenienze differenti, per ottenere combinazioni uniche ed equilibrate. Un saper fare tutto italiano, per creare blend dal carattere unico, pensati e voluti per lavorare in sinergia con la creatività degli chef in un perfetto connubio di gusti e profumi. Per quanto riguarda gli oli da semi, Oleificio Zucchi si occupa direttamente del processo di raffinazione della maggior parte degli oli che propone. Inoltre, il team di

L’ampiezza della gamma di Oleificio Zucchi studiata per il mondo Horeca testimonia la centralità di questo canale per l’azienda, e il legame di reciproca collaborazione consolidato da anni. La gamma di oli extra vergine d’oliva per il canale Horeca è composta dai blend italiani, biologici e comunitari, a cui si uniscono a completamento anche gli olii di oliva di sansa. Per la tavola sono disponibili i formati 250 ml, 500 ml e 750 ml, e le bustine monodose, queste ultime ideali per garantire sicurezza, igienicità e praticità. Per la cucina si aggiungono i grandi formati, come il formato da 1l, latte e bottiglie in PET da 3 e 5 litri. Per quanto riguarda i semi, l’offerta comprende olio di semi di girasole, arachide, mais, soia, semi vari,

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girasole altoleico e olio per friggere nei formati 5l, 10l, 20l, 25l. A completamento dell’offerta, una linea di condimenti che comprende un’ampia gamma di oli extra vergine aromatizzati tra cui Peperoncino, Tartufo, Limone, e una linea di aceti composta da balsamico di Modena IGP, aceto di vino bianco, di vino rosso e di mele.

Consulenza e formazione Oltre alla garanzia di una qualità sempre eccellente e ad una gamma di prodotti completa, Oleificio Zucchi offre ai suoi clienti tutta la propria expertise olearia. La storica azienda cremonese mette a disposizione dei clienti uno staff di consulenti, Blendmaster, tecnici per l’organizzazione di giornate di formazione, in presenza o a distanza, in occasione delle quali è possibile vivere un’esperienza inedita con il mondo dell’olio, non solo dal punto di vista organolettico, ma anche dal punto di vista funzionale, nutrizionale e culturale. Oleificio Zucchi ha il piacere di annoverare tra i suoi clienti anche molte insegne della ristorazione organizzata, sia di grandi dimensioni che piccole e medie catene che si sono sviluppate in Italia nel corso degli ultimi anni. Data la loro diffusione su scala pluriregionale o nazionale, è necessario un rapporto diretto con l’industria, che può essere o meno mediato da operatori logistici in grado di effettuare un servizio capillare ed efficiente in termini di assortimento e tempistiche di consegna. Da molti anni l’azienda rappresenta un partner di assoluta affidabilità ed efficienza per rispondere puntualmente a queste esigenze. La qualità del servizio e la flessibilità sono da sempre un cardine fondamentale della politica commerciale di Oleificio Zucchi, che in questi ultimi anni di pandemia, sono ulteriormente state sviluppate in un approccio sempre più proattivo.

La strategia nel canale fuori casa Per supportare la propria strategia nel settore Horeca, l’azienda ha compiuto ulteriori sforzi per diffondere “La nostra idea di olio”, payoff che rappresenta il punto di vista unico e personale dell’azienda sul mon-

do dell’olio. Nel 2021, Oleificio Zucchi ha voluto rafforzare il proprio impegno per la diffusione della cultura dell’olio attraverso un’importante partnership con la Federazione Italiana Cuochi. Agli chef associati e ai clienti Zucchi verrà offerta a possibilità di approfondire il tema “olio” a 360°, quale vero e proprio alleato in cucina durante giornate di formazione professionale, guidate da maestri di cucina e formatori d’eccellenza, nonché conoscere meglio le caratteristiche dell’ampia gamma di prodotti di Oleificio Zucchi, tutti pensati per lavorare in sinergia con la loro creatività, dando vita ad un perfetto connubio di gusti e profumi, tutti all’insegna della qualità.


PRODOTTI Autrice: Marina Caccialanza

Azzurro come un’acciuga Ricco di sali minerali e vitamine, altamente digeribile. Il pesce azzurro, economico e diffuso, soddisfa per il suo valore nutrizionale e le carni gustose Possiede tante virtù, eppure, spesso è sottovalutato nelle scelte dei consumatori e degli operatori della ristorazione che prediligono specie più pregiate, magari scarse nei nostri mari e pertanto importate. Tra le specie di pesce azzurro disponibili nei nostri mercati ittici – acciughe, sardine, sgombri, aguglie – l’acciuga o alice spicca, ideale sia per preparazioni culinarie sia per la conservazione, protagonista di innumerevoli piatti della cucina popolare.

Specie e origine L’acciuga è un pesce azzurro di piccole dimensioni, da 8 a 20 cm di lunghezza, e appartiene alla famiglia degli Engraulidi (Engraulis Encrasicolus), diffusa nel Mediterraneo, nell’Oceano Atlantico e nel Mare del Nord. Vive in banchi nelle profondità marine e si avvicina alla costa nel periodo riproduttivo che va da marzo ad agosto, quando viene pescata. Le sue larve, chiamate bianchetti, sono state utilizzate come una prelibatezza per molto tempo, soprattutto nella cucina ligure (gianchetti), marchigiana (nudini), campana (janculilli) e siciliana (sfigghiata), fritte o lessate e condite con olio e sale. Dal 2006, per tutelare la specie, la pesca dei bianchetti è vietata dal Regolamento europeo n. 1967/2006, che ne vieta non solo la pesca ma anche la detenzione a bordo, lo sbarco, il trasporto e la commercializzazione. L’acciuga si distingue da altri pesci della stessa specie per la forma allungata, il muso prominente e acuto, la mascella inferiore molto più corta di quella superiore e per il colore del dorso che va dall’azzurro al grigio e contrasta col bianco lucente del ventre privo di squame.


Le varietà di acciuga sono differenti tra loro per caratteristiche morfologiche. Le acciughe del Mediterraneo, sono diverse se pescate nel Tirreno o nell’Adriatico: quelle dell’Adriatico sono più grasse e crescono più velocemente grazie all’abbondanza di plancton portato dai numerosi fiumi che vi sfociano e sono adatte anche al consumo fresco; quelle del Tirreno, piccole, sono più idonee alla conservazione. Caso a parte per le acciughe pescate nel mar Cantabrico, l’oceano di fronte alle coste settentrionali spagnole. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del novecento, i pescatori siciliani che battevano quei mari si accorsero che i loro colleghi spagnoli pescavano acciughe di dimensioni molto grandi. Le acciughe del Cantabrico sono più carnose, la carne è, infatti, più spessa a causa della freddezza del mare che le costringe a muoversi ininterrottamente.

In cucina

Le carni delle acciughe sono semigrasse; molto saporite, si prestano a preparazioni diverse ma, essendo particolarmente deperibili, se non consumate freschissime devono essere conservate eviscerate sott’olio o sotto sale con tecniche industriali specializzate di origine artigianale antica. Le acciughe fresche si possono utilizzare in molti modi: semplicemente per dei tortini al forno, ricoperte di mollica di pane ed erbe aromatiche; diventano elemento saporito per un fritto misto. Un modo per gustare le acciughe freschissime è la marinatura che permette di apprezzarne i valori e al tempo stesso conservarle: pulite e diliscate si dispongono in un

contenitore con aromi come aglio e timo e si ricoprono di aceto per almeno 3 ore; sgocciolate si ripongono in un barattolo di vetro ricoperte di olio di oliva. Con le acciughe sotto sale si condisce la pasta: dissalate e stemperate con olio di oliva e ricoperte di mollica saltata, come si fa in molte regioni del sud Italia, oppure sciolte nel burro a formare una crema morbida per preparare i tipici, veneziani, “bigoli in salsa”. Inutile ricordare come siano elemento basilare in pizzeria dove entrano nella decorazione della pizza, dalla classica napoletana a pizze gourmet. Le acciughe conservate, le troviamo in numerose ricette tipiche regionali: in Piemonte nella preparazione della bagna cauda e del bagnèt verde; in Emilia Romagna si uniscono alla salsa verde che accompagna i bolliti; in Liguria, salate sciolte in olio d’oliva tiepido formano l’acciugata, una salsa di accompagnamento alle uova sode, per condire le patate lessate o verdure e pesci lessi. Paccheri con spuma di romanesco, olive, pepe nero e acciughe del Cantabrico

Le acciughe e la ristorazione

Tutte le acciughe sono buone; a seconda della preparazione che si desidera realizzare, alcune sono più indicate. È evidente che, per ottenere una resa ottimale del piatto, occorre trovare il giusto equilibrio tra il prezzo della materia prima e il quantitativo necessario a comporre la ricetta in maniera soddisfacente. Il gusto e la qualità concorrono a ottenere il risultato finale. Le acciughe pescate nei mari italiani sono, in genere, piccole ma molto saporite; si utilizzano prevalentemente, come già abbiamo citato, nella cucina regionale. L’acciuga del Tigullio e delle 5 Terre in Liguria – un tempo chiamata pan du mâ (pane del mare) – fresca è impiegata per piatti della tradizione, cibo di strada e sfiziosità. Allo stesso modo, le acciughe campane, come quelle di menaica nel Cilento, presidio Slow Food, o quelle di Cetara sono particolarmente pregiate ma, probabilmente, scarse per soddisfare la richiesta della ristorazione. Sono più abbondanti le acciughe che si pescano nel delta del Po, tutto l’anno; ideali per la conservazione anche in pasta e impiegate nell’industria conserviera e nella cucina regionale. Impareggiabile, però, il livello qualitativo delle già citate acciughe del Cantabrico, superiori come resa per le loro dimensioni, che offrono interpretazioni versatili e, probabilmente, più semplici all’impiego proprio per la carnosità del filetto oltre che predilette per la gradevolezza al gusto delicato, per la morbidezza delle carni al palato. Sono pesci garantiti anche dalle normative che ne regolano la pesca ed evitano lo sfruttamento eccessivo del mare. Le acciughe del Cantabrico, è evidente, hanno un costo superiore alla media mediterranea ma, la resa in food cost e in appetibilità, supera le criticità. Rimane da valutare il valore etico oltre che organolettico dell’utilizzo di acciughe nostrane: basterebbe attingere alla cultura culinaria tradizionale e imparare a valorizzarle.

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FORMAZIONE

Academy Di Cosmo Group Una scuola di formazione innovativa e adatta per ogni esigenza Autore: Luigi Franchi

www.adhoreca.it

A Napoli ha aperto una nuova scuola per formare operatori nel mondo dell’horeca; L’Academy Di Cosmo Group è un’iniziativa privata, l’hanno assunta la Di Cosmo Group, azienda di distribuzione food&beverage di Alife (CE) che opera in tutta la Campania, parte del Lazio e del Molise, e AD Horeca, una scuola di formazione nata in Puglia nel 2017 e che vede la sua corrispondente gemella proprio a Napoli, esattamente a Casavatore, in Via delle Industrie 43. “L’idea è nata quattro anni fa ma il Covid ne ha rallentato l’esecuzione. – spiega Roberto Di Falco che, per conto della Di Cosmo Group, è il responsabile del progetto – Ma abbiamo resistito, volevamo creare questa scuola ad ogni costo, anche se sembra una follia dare vita qui al sud ad una cosa del genere ma, in realtà, sentivamo l’esigenza di realizzare una struttura che fosse di supporto ai

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professionisti e ai distributori, alla nostra forza vendita. Sta cambiando il modello di distribuzione, si sta affermando un nuovo modo di vendere i prodotti per il fuori casa, sono richieste sempre di più competenze tecniche, conoscenza dei prodotti. La leva del prezzo non è più quella con cui si conquistano nuovi mercati. Da qui la scelta di creare una scuola di formazione e farlo insieme ad AD Horeca ha un significato preciso: quello di fare rete, di avvalersi di chi ha già fatto esperienza ed è disposto a metterla a disposizione”.

Come è strutturata Academy Di Cosmo Group Entrare nell’edificio che ospita la scuola è una sensazione piacevolmente straniante. Locali perfettamente adeguati ai servizi di formazione, un piazzale interno

che funge da parcheggio, 700 metri quadrati con quattro sale attrezzate con tutti i più moderni strumenti di lavoro per ogni area di formazione, un auditorium di 70 posti per meeting e presentazioni. Le aule pronte a ospitare corsi per: birra, vino, bartending, caffetteria, pizza, food e ristorazione, management. “Sono corsi che variano da una giornata full time ai cinque giorni, in base alla tipologia. – afferma Roberto Di Falco – I partecipanti saranno prevalentemente professionisti e, quindi, non abbiamo l’obiettivo di formare da zero bensì di fornire ai corsisti elementi di valorizzazione delle loro attività. Per fare un esempio: i corsi di management servono ad inculcare l’idea che non sono semplicemente tipologie di pubblico esercizio i bar, i ristoranti, le pizzerie. Sono aziende complesse che necessitano di competenze che vanno oltre al saper far da mangiare o servire in tavola. Parlare di budget, consuntivi, bilanci, risorse umane permetterà di analizzare correttamente l’impresa, effettuare investimenti, gestire l’azienda con chiarezza e maggior serenità”. Lo stesso discorso vale per la forza vendita del distributore e per questo, racconta sempre Di Falco, “Di Cosmo Group ha già svolto alcuni momenti di formazione con tutti i venditori e i dipendenti, perché anche i reparti della logistica e dell’amministrazione hanno uguale importanza. Inoltre faremo anche dei momenti | maggio 2022

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formativi con i fornitori per raccontare i cambiamenti del mercato, i loro prodotti, l’utilizzo ideale per categoria di attività”. In questa scuola, è evidente vedendo i tanti partecipanti all’inaugurazione, “c’è la consapevolezza che la formazione è una leva strategica per rimanere sul mercato in modo adeguato e il fatto che questo cambiamento parta dal sud ci riempie d’orgoglio. - A dirlo è Michele Scutari, responsabile di AD Horeca fin dall’inizio, nel 2017 – L’altro elemento che mi fa dire che questa scuola avrà successo, come del resto è avvenuto in Puglia, è dato dal fatto che tutto nasce dal basso, dalle esigenze concrete degli operatori; per questo anche il modello dei corsi è strutturato sulla base dei loro tempi. Il corso sulla pizza, che abbiamo chiamato Artieri della Pizza, ha l’obiettivo di dare ai partecipanti delle buone basi su come organizzare il servizio, sulla managerialità, sulla fidelizzazione e l’aumento delle vendite, non solo su come fare una buona pizza”. I docenti sono gli stessi di AD Horeca pugliese perché, sostiene Michele Scutari, “Formare i formatori, anziché comprare didattica per poi rivenderla, è l’elemento che fa la differenza per noi. E formarli significa

scegliere persone che abbiano, mi passi il termine, messo le mani nella marmellata, ovvero che conoscano le dinamiche di questo settore”.

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La formazione non si regala Quest’affermazione la dice lunga sulla serietà dell’iniziativa. “Un progetto aperto a tutti, non solo per i clienti della Di Cosmo Group. – spiega Roberto Di Falco – Oggi è necessario creare network, far parlare le persone, confrontarsi sulle dinamiche di cambiamento. I punti di consumo del fuori casa si sono trasformati rapidamente in questi ultimi anni, non esiste più solo il ristorante o la pizzeria a giorni e orari fissi. Si può mangiare a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo: questo è un cambiamento epocale che porta con sé modifiche sostanziali anche nei contratti di lavoro, nella selezione del personale, nelle proposte gastronomiche, nell’accoglienza e nel servizio”. Ed è qui che entra in gioco la formazione, ma deve essere seria, competente, adeguata al nuovo. Deve saper trasmettere anche l’ingrediente principale per questo mestiere: la passione. Perché senza quella non si va da nessuna parte. “AD Horeca ci vuole provare! In quattro anni abbiamo formato circa 2.000 persone in Puglia, con una media di 65 corsi all’anno. Numeri che, forse, non dicono molto se pensiamo alle decine di migliaia di persone impegnate nell’horeca, ma è un inizio di un processo che vuole diventare determinante per la valorizzazione delle professioni legate a questo settore” conclude Michele Scutari.



PRODUZIONE Autore: Luigi Franchi

Le Prandine

Un esempio di cura del territorio, di bellezza e di gusto unico al palato www.leprandine.com Un giardino, pulito, ordinato, bellissimo, che si affaccia sul lago di Garda. Queste sono Le Prandine, ma in realtà questo giardino è uno degli uliveti di Giovanni Morselli che, qui, a Torri del Benaco sul Lago di Garda, ha voluto riprodurre, nei suoi appezzamenti, tutta la bellezza di questo territorio. E ti viene da pensare che sia proprio la bellezza, prima ancora che il business, ad averlo così follemente coinvolto in un progetto di tutela e valorizzazione del territorio che trova ne Le Prandine il risultato più evidente. Signor Morselli, cosa significa la bellezza per lei?. “La bellezza del paesaggio è uno dei doni offerti dal Lago di Garda e dal suo territorio. Parlare di bellezza del paesaggio significa parlare di armonia, di rispetto della natura, di salvaguardia di quanto ci è stato donato. Non vi è bellezza se non c’è rispetto e salvaguardia del territorio e delle sue caratteristiche. Incastonati a margine del Lago di Garda vi sono numerosi piccoli uliveti che da soli esprimono il più alto concetto di bellezza. Camminare in un uliveto curato significa godere

della bellezza del paesaggio nel senso più completo; l’armonia dei luoghi e delle piante suscitano emozioni che ripagano l’osservatore e che lo rendono partecipe di uno spettacolo che è nostro dovere preservare e migliorare”. Come è nato il progetto de Le Prandine? “Il progetto Le Prandine nasce dalla volontà e dall’impegno di recuperare e valorizzare uliveti storici posti sulla sponda veronese del Lago di Garda, nel comprensorio di Torri del Benaco e di Brenzone che si caratterizzano per un microclima ideale per la coltivazione dell’olivo. Gli storici ci raccontano la tradizione ormai millenaria della coltivazione dell’olivo sul Lago di Garda, nella sua varietà autoctona Casaliva, una pianta che non si caratterizza per produzioni quantitativamente importanti, che, grazie anche alla composizione dei terreni, produce un frutto il cui olio raggiunge livelli qualitativi estremamente elevati per gusto, delicatezza ed armonia. Si torna al concetto di armonia tra i prodotti e il paesaggio, un connubio unico e irripetibile. L’idea nasce e viene sviluppata a partire

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dall’anno 2017, con l’acquisizione dei primi terreni ed il progressivo recupero degli impianti in stato di semi abbandono. Siamo felici di aver sviluppato questa iniziativa”. Di quante piante disponete e quanta produzione avete? “Abbiano posto estrema cura e attenzione nel recupero delle piante; oggi i nostri campi sono tenuti come dei giardini e le piante curate con tecniche colturali che pongono il rispetto dell’ambiente quale primo ed irrinunciabile elemento. Abbiamo progressivamente ampliato i terreni a nostra disposizione; da quest’anno sviluppiamo le nostre coltivazioni su una estensione di circa sette ettari con circa 2.500 piante. Su queste basi stimiamo una produzione per l’anno in corso di circa 500 quintali di frutto e circa 9.000 litri di olio evo, parte del quale GARDA DOP. Ricordo che la produzione olearia del Lago di Garda è una produzione di nicchia che rappresenta meno dell’1% di quella nazionale”. È importante avere una D.O.P. nell’olio extravergine? “La D.O.P in quanto sistema di tracciatura, protezione e valorizzazione delle produzioni di eccellenza tipiche locali ha un ruolo potenzialmente importante, anche se non pienamente riconosciuto dal mercato e dal consumatore. Il contesto del mercato dell’olio di oliva appare ancora estremamente concorrenziale e la variabile prezzo rappresenta un elemento che influenza troppo spesso le scelte dell’acquirente. La sfida

dovrebbe essere quella di riuscire a differenziare ulteriormente le tipicità anche e soprattutto sui mercati internazionali”. Quale mercato avete per le vostre produzioni? “Il nostro compratore è il privato consumatore anche all’estero, ma anche il ristorante che riconosce il livello qualitativo del nostro olio e lo presenta ai propri clienti e pure il rivenditore di prodotti tipici. Stiamo sviluppando mercati internazionali in particolare con la Germania, Francia, Olanda e Giappone. I riscontri che otteniamo da chi ha avuto modo di assaggiare il nostro olio sono molto positivi e questo ci induce a perseguire la strada che abbiamo intrapreso, curando il costante miglioramento della produzione e della conservazione del prodotto”. Si fa un gran parlare di olio e ristorazione, un rapporto ancora acerbo. Secondo lei come dovrebbe essere rappresentato l’olio in un ristorante? “Noi italiani ci consideriamo degli estimatori dell’olio d’oliva e lo mettiamo tra i prodotti che caratterizzano la dieta mediterranea; valorizzare veramente l’olio d’oliva significa presentarlo come ingrediente del piatto e non come un condimento. Il passaggio può sembrare banale ma in realtà racchiude la vera essenza della qualità dell’olio; l’ingrediente è parte integrante del piatto e non un componente generico dello stesso. L’abbinamento corretto al piatto rappresenta il migliore utilizzo di un olio extravergine”. È importante una carta degli oli o ogni olio dovrebbe avere un posizionamento sul proprio territorio

Giovanni Morselli, proprietario de Le Prandine

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d’origine? “La carta degli olii potrà essere un supporto non solo per il produttore ma anche per chi promuove, commercializza o utilizza l’evo. Realizzarla significa generare un cambiamento culturale importante che nasce proprio dal riconoscimento dell’olio come ingrediente con caratteristiche uniche che si sposa al singolo piatto e che come tale va utilizzato. Credo che solo attraverso questo processo sia possibile un giorno vedere una carta degli olii che abbia la possibilità di generare vero interesse da parte del cliente, evidenziando le particolarità dei vari olii perché la varietà rappresenta una forza; nel farlo, però, si devono accuratamente evitare banali operazioni di ‘copia e incolla’ rispetto alla carta dei vini”. Quali sono i vostri progetti futuri? “Il nostro futuro prevede molte cose da fare; stiamo lavorando al progetto del frantoio, siamo in dirittura

d’arrivo per il progetto di produzione di cosmetici naturali di elevata qualità che partono dall’utilizzo del nostro olio; stiamo portando a termine la creazione nei nostri campi di un agrumeto dai cui frutti otterremo gli olii essenziali per la produzione di cosmetici e la base per conserve alimentari; stiamo progressivamente trasformando i nostri campi in giardini per poter raccontare a chi ci visiterà la nostra storia e la bellezza dei nostri luoghi”. Esprime passione Giovanni Morselli, quella stessa di chi vede l’agricoltura ritornare ad essere un valore importante per la tutela dei territori, se fatta con una visione contemporanea, con strumenti moderni e con un approccio imprenditoriale che dalla terra vuole ricavare benessere per il futuro e non sfruttamento ingiustificato. Le Prandine di Giovanni Morselli rispecchiano questo pensiero e i suoi oli lo esprimono pienamente all’assaggio.

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

Big Chef le proposte per piatti speciali Il gruppo Cateringross ha creato una linea a marchio Big Chef per andare incontro alle nuove e diverse esigenze che cuochi e pizzaioli si trovano ad affrontare, soprattutto in questo periodo dove la carenza di personale è un serio problema. Sviluppare linee di prodotto che riducono lo spreco, che hanno una shelf-life ideale, sono confezionate in pratiche buste e latte che occupano pochissimo spazio e sono prodotti già pronti all’uso, diventa fondamentale per le cucine dei ristoranti e delle pizzerie. Quella di Big Chef è una linea completa di vegetali e ortaggi adatta come topping sulla pizza ma anche come contorno a diversi piatti della cucina italiana. Per provarne la qualità, unita a un prezzo interessante, basta rivolgersi alle quaranta aziende di distribuzione del gruppo Cateringross che presidiano l’intero territorio nazionale.

La linea Big Chef Melanzane a fette grigliate Melanzane della varietà “mission bell”, affettate, asciugate in forni statici a bassa temperatura, quindi grigliate, aromatizzate e condite con olio di semi di girasole. Un prodotto antispreco che facilita il lavoro del cuoco e del pizzaiolo. Pomodori rossi semisecchi Pomodorino rosso del tipo pachino tagliato a metà ed essiccato in forni ventilati a temperatura controllata. Un ingrediente particolarmente indicato per contorni, ricettazioni con la pasta, ma anche per pizza e pesce. Peperoni rossi e gialli Peperoni rossi e gialli “capsicum annum”, pelati e alla fiamma e colmati al naturale. Il prodotto può essere utilizzato tal quale come ingrediente per pizze o torte rustiche e condito secondo gusto come contorno. 68

Pomodoro tondo a metà Pomodoro tondo dal colore rosso brillante tagliato a metà e asciugato blandamente in forni ventilati a temperatura controllata e profumato con basilico fresco. Particolarmente indicato per la preparazione della caprese, ma anche come contorno. Pomodoro a spicchi semisecco Pomodoro rosso, tagliato a spicchi e essiccato in forni ventilati a temperatura controllata, quindi speziati con erbe aromatiche e conditi con olio. Adatto per pizze, torte rustiche, contorni. Broccolo friariello È l’infiorescenza delle cime di rapa. Un prodotto tipico della cucina napoletana che si sta imponendo in ogni pizzeria italiana per il suo sapore leggermente amarognolo. Ideale con la pizza alla salsiccia, grana grattugiato e fiordilatte. Indivia scarola Dalla tradizione contadine solo le foglie più tenere stufate e condite con olio aglio e peperoncino. Ideale ingrediente per pizza, torte rustiche, contorni. Un prodotto antispreco che facilita il lavoro del cuoco e del pizzaiolo. Pomodorini gialli semisecchi Quando è apparso sul mercato, il pomodorino giallo ha subito creato curiosità. Passato quel momento se ne sono apprezzate le particolari proprietà, l’assenza di acidità e la ricchezza di vitamine e antiossidanti che ne fanno un ingrediente largamente utilizzato nelle ricette a base di pesce e frutti di mare.

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EVENTI Autore: Guido Parri Ristogolf Associazione Ristoratori Albergatori & Co. Golfisti si prepara a festeggiare quest’anno il 10° anno di fondazione. Grazie a tutti i Ristogolfisti – chef, soci, sponsor, media e golf club – per aver condiviso insieme questi primi 10 anni al motto di “Giocare a golf, mangiare bene, bere bene e tanta voglia di divertirsi”. Il Circuito Ristogolf 2022 by Allianz si svilupperà www.ristogolf.com in più tappe, 6 in totale che toccheranno Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna, con il coinvolgimento di tanti chef tra i più rinomati d’Italia. Il calendario è così pianificato: 18 maggio al Golf Club Castelconturbia, 8 giugno al Golf Club La Margherita, 29 giugno al Golf Club Lecco, 20 luglio al Golf Club Milano, 7 settembre al Golf Club Le Fonti, 1 ottobre al Rimini Verucchio Golf Club. La chiusura degli appuntamenti sarà dal 30 settembre al 2 ottobre al Grand Hotel Rimini, un luogo dal fascino immutato con oltre un secolo di vita, il cui valore è legato indissolubilmente a quanto di magico vi hanno lasciato le storie dei grandi personaggi che lo hanno vissuto. Ancora oggi tra gli splendidi saloni e nelle stanze arredate con autentici pezzi veneziani e francesi, con arredi lussuosi e marmi preziosi si respira un’aria speciale, carica di storia e di unicità. Il Grand Hotel Rimini è così la location perfetta per accogliere l’evento “10 years Ristogolf”, un weekend dedicato al golf e alla scoperta della tradizione e dell’alta cucina; sarà una festa di compleanno da non perdere! Rimane sempre alta l’attenzione di Ristogolf verso la solidarietà, promuovendo quest’anno la raccolta fondi a favore del progetto Hol4All di Fondazione Allianz Umana Mente, per offrire ai bambini e ai ragazzi con malattie rare o gravi disabilità e alle loro famiglie una vacanza realmente inclusiva. Le sorprese durante le manifestazioni certamente non mancheranno; formula vincente non si cambia, ma evolve anno dopo anno per non finire mai di stupire. Ristogolf accoglie sul campo golfisti amateur e gourmand, e propone un percorso di 18 buche alternate a postazioni eno-gastronomiche, in cui degustare il meglio della cucina e dell’eccellenza vinicola. Ogni buvette è gestita da partner e chef, che avranno il compito di ristorare i giocatori prima della buca successiva. Al termine della gara, chef rinomati del territorio intratterranno i Ristogolfisti con un live showcooking.

Ristogolf 10 years

Enrico Cerea, Dario Colloi e Giancarlo Morelli




EVENTI Autore: Guido Parri

A Vinitaly è stato lanciato il Concorso sulle carte dei vini delle Città del Vino Un’iniziativa che vede sala&cucina partner dell’associazione Città del Vino A Vinitaly, tra le varie iniziative che si sono svolte nello spazio espositivo dell’Associazione Nazionale Città del Vino, una in particolare merita di essere raccontata, anche perché è stato uno degli ultimi progetti che Paolo Benvenuti, il compianto direttore dell’associazione, aveva in animo di realizzare: il primo concorso per le migliori carte dei vini dei ristoranti delle Città del Vino. Organizzato dall’associazione insieme al magazine di ristorazione sala&cucina, il concorso intende dare valore alle molteplici sfaccettature che il vino presenta in un ristorante, in abbinamento ai piatti, come testimone di quel territorio, nella sua versione comunicativa, nel rapporto qualità-prezzo. Il concorso sarà suddiviso in quattro categorie, con un primo premio per ogni categoria: la miglior carta di territorio, la carta più completa (con vini italiani e internazionali), la miglior carta digitale, la carta con il miglior rapporto qualità-prezzo. Potranno partecipare solamente i ristoratori presenti nei territori delle Città del Vino italiane, inviando copia della loro carta dei vini alla sede nazionale dell’associazione, al seguente indirizzo, Associazione Nazionale Città del Vino, Strada Massetana Romana 58/B, 53100 Siena, specificando sulla busta Carta dei vini per il Concorso. L’invio deve avvenire entro e non oltre il 20 gennaio 2023. Una qualificata giuria valuterà la composizione delle carte pervenute, anche di quelle digitali che si possono spedire a: nepi@cittadelvino.com. La prima riunione della giuria avverrà a fine gennaio, per terminare i lavori, con eventuali visite campione presso alcuni ristoranti aderenti, entro marzo 2023 per presentare i risultati a Vinitaly. Questa è la prima edizione di un concorso che ha come obiettivo la valorizzazione, anche culturale, del vino al ristorante, considerato per troppo tempo solo come la fonte

Benhur Tondini, presidente sala&cucina, Luigi Franchi, direttore sala&cucina, Angelo Radica, presidente Città del Vino, Paolo Corbini, direttore Città del Vino

di guadagno più importante per il locale. Una bella carta dei vini, con il giusto ricarico, deve invece diventare un tratto distintivo del ristorante, dove il rapporto cibo-vino dia valore al territorio, in cui si spiega perché determinati vini si fanno in determinati luoghi. “La storia è parte integrante del mondo del vino, un prodotto che accompagna da sempre l’uomo in ogni vicenda della sua vita. Un aspetto che va esaltato, anche con un concorso di questa portata. – ha affermato Angelo Radica, presidente dell’associazione – Quest’iniziativa consentirà ai sindaci delle oltre 400 Città del Vino italiane di instaurare un rapporto con gli operatori dei loro territori per creare quelle sinergie necessarie per dare ulteriore valore e visibilità ai nostri comuni”. “Partecipare in maniera attiva a questo concorso – ha spiegato Luigi Franchi, direttore della rivista sala&cucina – vuol dire, per la nostra rivista, dare forza alla ristorazione in un periodo che è stato tra i più tristi per il settore. Non nascondo che ideare questo concorso ha voluto dire anche conoscere più a fondo comuni che sono speciali per il paesaggio e la storia che recano in sé, da valorizzare pienamente in un momento in cui il rischio di abbandono dei territori agricoli è molto elevato e questo sarebbe un enorme danno per il Paese, per il paesaggio, per l’ambiente”. Dopo la presentazione del concorso sono stati svelati i nomi dei giurati: Angelo Radica, presidente dell’associazione, Luigi Franchi, direttore di sala&cucina, e i giornalisti Rocco Lettieri e Alessandra Piubello. | maggio 2022

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EVENTI Autore: Guido Parri

Food&Book a Montecatini Terme Dal 13 al 15 maggio decine di appuntamenti con chef e scrittori www.foodandbook.it Dal 13 al 15 maggio alle Terme Tettuccio di Montecatini Terme si terrà l’ottava edizione del Festival Food&Book - La cultura del cibo, il cibo nella cultura che si è caratterizzato fin dalla prima edizione nel coinvolgere insieme scrittori e autori che nei loro libri raccontano il cibo e chef che il cibo lo raccontano con le loro ricette e spesso anche con libri di successo. Tra le novità dell’edizione 2022, il cui programma è in via di definizione, lo spostamento della data da ottobre a maggio, il mese delle rose, e quale migliore suggestione dell’ispirarsi a questo fiore? Saranno con noi gli organizzatori di Bererosa, la più grande degustazione nazionale con centinaia di etichette di vini rosati che, oltre al tradizionale appuntamento di Roma, farà tappa a Montecatini Terme nelle giornate del 14 e 15 maggio. Alle Terme Tettuccio saranno invitati anche i più importanti produttori di rose e vivaisti del distretto pistoiese, vanto della produzione nazionale di piante e fiori. Quest’anno saranno presenti

numerose chef che proporranno piatti in cui i fiori e le rose avranno spazio nei menu. Il Festival prenderà avvio ufficiale nella mattinata di venerdì 13 maggio con la partecipazione dello storico Donald Sassoon con una lectio magistralis sul tema “La cultura unisce”, di particolare attualità in questo momento storico in cui rullano i tamburi della guerra che soverchiano le voci dei poeti, degli scrittori e degli artisti. La cultura unisce anche tra i fornelli e così, dopo Donald Sassoon, interverranno le chef Alissa Timoshkina e Olia Hercules, una russa e l’altra ucraina, che da Londra hanno lanciato “CookforUkraine” e nel corso dell’incontro inaugurale racconteranno le loro storie fatte di lavoro e di un’amicizia che la guerra invece di dividere ha rinsaldato. In serata è in programma una cena di gala al Castello La Querceta, sede dell’Istituto Alberghiero di Montecatini Terme. Anche in questo caso sarà protagonista una chef, Silvia Baracchi del ristorante stellato Il Falconiere di Cortona, che presenterà anche il suo ultimo libro. Tra le altre importanti partecipazioni, segnaliamo gli scrittori Gaetano Savatteri, Marco Vichi, Leonardo Gori, Raffaele Nigro, Roberta Deiana, Franco Faggiani, Roberta D’Ancona, Sandra Ianni, il poeta Claudio Damiani, gli chef Renato Bernardi, Stefano Callegaro, Marcello Leoni, Federica Continanza. “Siamo particolarmente soddisfatti per essere riusciti anche quest’anno, nonostante le difficoltà e le incertezze del momento, a realizzare un programma del livello degli anni passati”, sottolinea il direttore del Festival Luigi Franchi, cui fa eco l’assessore alla Cultura di Montecatini Terme Alessandro Sartoni: “La nostra città torna progressivamente alla normalità. I turisti si riaffacciano nelle nostre strade dopo un biennio pesante. Tornare alla normalità significa anche riprendere con maggior forza un dialogo culturale che metta in relazione Montecatini Terme, in varie forme, col resto d’Italia e col resto del Mondo. Food&Book è parte di questa strategia”.


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ASSOCIAZIONE GASTRONOMI PROFESSIONISTI

Il Gastronomo oggi: figura chiave nelle aziende agroalimentari Autore: Marco Furmenti

Gli italiani parlano di cibo… ovunque e in qualsiasi momento. È una caratteristica intrinseca del nostro modo di essere e di vivere la quotidianità. Potremmo quasi azzardare un’ipotesi sul fatto che ogni italiano possieda un gene gastronomico nel suo corredo cromosomico che gli fornisce un input innato nell’intraprendere discussioni filosofiche attorno alla tavola. Ne parlano massaie, imprenditori, giornalisti di settori lontani, economisti, docenti, cuochi, dottori e nutrizionisti in maniera più o meno competente. Ma non è sempre stato così. In tempi antichi, l’arte e la scienza gastronomica erano relegati a pochi esperti che parlavano e agivano con cognizione di causa. Spesso erano cuochi, maestri di cucina, scalchi, maestri di cerimonia, umanisti con anni di studi alle spalle, sommelier, agronomi o addirittura filosofi. Insomma, la gastronomia nell’ultimo secolo è stato un settore che ha aperto le sue porte e messo a nudo il suo universo a tutti, senza distinzioni di settore d’appartenenza. Eppure, per parlare di eno-gastronomia e nello specifico delle scienze gastronomiche non è possibile improvvisarsi. Quella figura che si perde nell’immaginario collettivo

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e che ancora oggi chiamiamo gastronomo, in quanto tale, non è più un appassionato, un ghiottone, un amante della tavola o ancora peggio il responsabile di un banco di gastronomia, bensì un cultore della materia. Il gastronomo di oggi, è una figura professionale a tutti gli effetti con un bagaglio culturale di notevole pregio derivante da anni di studio certificabili attraverso lauree triennali e magistrali in tutta Italia. Le competenze tecniche del gastronomo sono frutto della multidisciplinarietà dei suoi studi che rendono le facoltà universitarie dedicate uniche nel loro genere. Le chiamiamo sì Scienze Gastronomiche, ma il percorso del Gastronomo Professionista è ricco di storia, arte, sociologia e antropologia che gli consente di affrontare il settore agroalimentare a tutto tondo non fermandosi solo ad una pura analisi scientifica e tecnologica del singolo alimento. Il gastronomo professionista ha competenze solide per poter affrontare diverse attività in tutti i settori dell’agroalimentare con specifiche specializzazioni in diversi campi: dalla produzione, alla vendita, alla promozione, alla caratterizzazione sensoriale fino alle attività di ricerca storico-culturale.

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Il ruolo del gastronomo Molti gastronomi oggi sono già ben inseriti in innumerevoli realtà italiane legate all’agroalimentare. Li troviamo dentro i Consorzi di tutela negli uffici promozionali, di marketing e controllo qualità grazie alla loro preparazione scientifica e alla capacità di promuovere le tipicità territoriali. Alcuni di loro sono coinvolti in agenzie di organizzazione eventi in ambito eno-gastronomico o all’interno di stabilimenti di produzione e musei come guide tecniche specializzate. In molti casi, i gastronomi ricoprono ruoli formativi gestendo cattedre in diversi istituti privati e pubblici che prevedono programmi didattici legati all’enogastronomia sia post-laurea che pre-laurea. La multisettorialità che è in grado di coprire il ga-

stronomo può essere sicuramente un punto chiave in molte aziende agroalimentari che desiderano affacciarsi su nuove progettualità o che desiderano consolidare la propria attività promuovendola nel modo corretto. In un settore, come quello enogastronomico, in cui stiamo assistendo ad una evoluzione quotidiana di tecnologie, produzioni e modalità promozionali, avere a disposizione una figura professionale specifica e formata in grado di far fronte a tutte le richieste che il mercato propone è l’unica soluzione che permette alle aziende di dare valore aggiunto alla propria realtà, proiettandola nel futuro. Oggi come non mai, la figura del gastronomo professionista rappresenta una delle professionalità più autorevoli nel settore del food in grado di affiancare le aziende agroalimentari a livello locale e nazionale.

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TA No VI

AlimentazionE DedicatA ®

A BASSO INDICE GLICEMICO

PREPARATO CON AMIDO RESISTENTE

Molino Spadoni presenta il nuovo Preparato a Basso Indice Glicemico nel formato da 5 Kg, a base di farina di tipo 1 e amido resistente. Con questo prodotto i professionisti della ristorazione potranno proporre pane, pizza e dolci specifici per tutti coloro che devono tenere sotto controllo i picchi glicemici, raggiungendo così un bacino potenziale di oltre 3 milioni di diabetici presenti in Italia; il Preparato è ottimale per un pubblico ben più vasto e composto dai prediabetici, dagli sportivi, dagli anziani, dai bambini, da chi segue diete ipocaloriche e, infine, da chi vuole semplicemente tenersi in forma seguendo un’alimentazione sana, senza rinunciare al gusto unico che caratterizza da sempre i prodotti Molino Spadoni. Un prodotto ricco di proteine e ricco di fibre, perfettamente in linea con i principi della dieta mediterranea, unico nel suo genere anche grazie alle sue capacità performanti in termini di gusto e di resa. Versatile e semplice da lavorare, è adatto per preparazioni dolci e salate, anche a lunga lievitazione, permettendo a pizzerie, panifici, laboratori e ristoranti di realizzare un ampio ventaglio di ricette; già sul back pack del prodotto si trovano 3 ricette e suggerimenti di topping e farciture per pizze e pane.

Ricco di fibre Ricco di proteine A base di farina di tipo 1

Con amido resistente Ideale per pane, pizza e dolci

Molino Spadoni S.p.A. Via Ravegnana, 746 - 48125 Coccolia (RA), Italia - www.molinospadoni.it - Seguici su:


MADE IN ITALY


ABBINAMENTI

Andare a Le Calandre è un’esperienza da non perdere. Ci sono stato qualche tempo fa ed è stata un’esperienza unica, ambiente moderno, tavoli particolari senza tovaglia, personale giovane e servizio efficientissimo. Massimiliano (Max) Alajmo, anno di nascita 1974, insieme al fratello Raffaele (Raf) e alla sorella Laura sono la terza generazione di ristoratori. Max dopo aver frequentato l’istituto alberghiero di Abano Terme si tuffa in esperienze di lavoro sia in Italia che in Francia, presso importanti ristoranti stellati. Dal 1994 Max prende il timone della cucina del ristorante Le Calandre, mentre il fratello Raf ne diventa il manager. Nel 1997 il ristorante riceva la seconda stella Michelin e nel 2002 arriva la terza, insieme al primato di essere stato il più giovane ristoratore al mondo (28 anni) ad avere avuto questo ambito riconoscimento. Nel 2011 la famiglia Alajmo prende in gestione il Grand Caffè e Ristorante Quadri a Venezia e nel 2012 arriva la prima stella Michelin, la quinta per la famiglia Alajmo. Si susseguono aperture di nuovi locali a Parigi, Milano, Marrakech, Isola della Certosa nella laguna veneziana. Attualmente Max è chef de Le Calandre e sovraintende la cucina di tutti i 14 ristoranti della famiglia mentre Raf porta avanti tutta la gestione manageriale. Al ristorante Le Calandre, in sala, ci sono Andrea Coppetta, bravissimo direttore, e il sommelier Matteo Bernardi, che deve gestire una cantina decisamente importante.

Paolo Baracchino Fine Wine Critic info@paolobaracchino.com www.paolobaracchino.com

La lasagnetta all’italiana interpretata da “Le Calandre” abbinata al Mirum, Verdicchio di Matelica, de la Monacesca

La lasagnetta all?italiana di Massimiliano Alajmo

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Il piatto da me scelto è la Lasagnetta all’Italiana: Ingredienti per 4 persone: Filetti di pomodoro, 15 g di olio extravergine d’oliva delicato,1/2 spicchio di aglio, una fogliolina di basilico fresco, 100 g di filetti di pomodoro, un pizzico di sale, un pizzico di zucchero semolato. In una padella scaldare l’olio e profumarlo, con l’aglio e il basilico. Versare i filetti di pomodoro scottandoli a fuoco vivace, per un minuto e mezzo. Aggiungere il sale e lo zucchero ed eliminare, l’aglio e il basilico. Tenere al caldo. Per la passata di pomodoro: 40 g olio extravergine di oliva delicato, uno spicchio di aglio una foglia di basilico fresco, due pizzichi di sale, un pizzico di zucchero semolato un pizzico di peperoncino fresco. In una padella scaldare l’olio e profumarlo con l’aglio e il basilico. Versare la passata di pomodoro e scottarla a fuoco vivace per un minuto. Aggiungere il sale, lo zucchero, il peperoncino ed eliminare l’aglio e il basilico. Tenere al caldo.

Per terminare: 20 dischi di pasta di grano duro del diametro di 8,5 cm, 30 g di olio extravergine intenso, 5 g di basilico fresco, 200 g di stracciatella vaccina appena intiepidita alla salamandra, una nebulizzazione di essenza basilico. Lessare cinque dischi di pasta, scolarli e condirli con l’olio intenso. In una fondina porre un disco di pasta e cospargerlo con tre pezzi di basilico spezzato a mano. Coprire con un cucchiaio di passata di pomodoro e proseguire con la stracciatella tiepida cosparsa con qualche goccia del suo liquido. Procedere per altri tre strati, ripetendo la sequenza degli ingredienti. Concludere con un disco di pasta, guarnire con poco liquido della stracciatella e con un filetto di pomodoro. Irrorare con l’olio, profumare con l’essenza di basilico e terminare con una foglia di basilico fresco Le Calandre - Via Liguria 1, 35030 Rubano (PD) tel +39 049 630303 - fax +39 049 633026 booking@alajmo.it

Azienda La Monacesca, Verdicchio di Matelica, “Mirum”, riserva d.o.c.g., (Verdicchio 100%) (bottiglie annualmente prodotte 20.000), 18 mesi in acciaio. Questo vino, nasce senza vista sul mare nella più interna e fresca Valle di Matelica, completamente circondata da monti ed è l’unica con sviluppo nord-sud. Il clima non risente delle brezze del mare ed è di tipo continentale, con inverni freddi e forti escursioni termiche tra il giorno e la notte anche in estate. I terreni sono stati originati dal sollevamento di un antico fondale marino e si sono rivelati particolarmente adatti alla coltivazione del Verdicchio. La cantina la Monacesca è stata creata verso la metà degli ani 60 ed oggi è un punto di riferimento del territorio. Il “Mirum” nasce da vigne di 30 anni coltivate nella contrada Monacesca, su terreni prevalentemente argillosi. I grappoli sono vendemmiati a mano in fase di leggera surmaturazione ed il colore del vino lo conferma. Le uve sono pressate in modo soffice e il mosto fermenta in acciaio alla temperatura di 20°c. Il vino matura in vasche d’acciaio sulle fecce fino a 18 mesi, svolgendo la malolattica e completa l’affinamento con 6 mesi in bottiglia. La fattoria si trova a circa 4 km dal centro abitato. Il territorio prende il nome dall’insediamento di un piccolo nucleo di monaci benedettini (intorno al 900 d.c.) in fuga dal Nord Italia a seguito delle persecuzioni Longobarde. I monaci costruirono una chiesa e vi ci stabilirono. La chiesa fa parte del borgo aziendale. Nel 1966 Casimiro Cifola crea l’azienda e la chiama Monascesca, dal nome della Landa. La prima produzione del Verdicchio risale al 1973. Dal 1982 Casimiro è affiancato dal figlio Aldo. Viene prodotto anche lo chardonnay e, dal 1994, pure il rosso Sangiovese e il rosso Merlot. Le bottiglie prodotte all’anno sono 160.000. FATTORIA LA MONACESCA MIRUM riserva DOCG Verdicchio di Matelica annata, 2019 Colore giallo oro con trame ambrato. Dal bicchiere si innalzano profumi floreali di fiori gialli, pera kaiser, menta, eucalipto, pepe bianco, ginestra, camomilla e salsedine. Al palato ha corpo medio ed è burroso, sapido e minerale. Vino inizialmente equilibrato tra alcol e freschezza per poi far sentire una lieve altalena tra loro. È un vino che si allarga in bocca piuttosto che andare verticale. Lunga è la sua persistenza gustativa. (89/100) Trovo che si sposi perfettamente con il piatto proposto, la lasagnetta all’Italiana, grazie alla sua grassezza, sapidità e mineralità che non soffocano i sapori del piatto ma li esaltano. Azienda agricola Fattoria La Monacesca di Cifola Aldo, Vocabolo Monacesca 442/446 - 62024 Matelica (MC) tel 0733672641 info@monacesca.it. tel 0173 560023.

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NOVITÀ Autore: Guido Parri

Golden Age: old but gold. www.centrocarnicompany.com Unika Golden Age, altissima qualità, senza compromessi, dedicata agli amanti della ricercatezza e delle migliori materie prime. Unika Golden Age, entrata a far parte della gamma Unika di Centro Carni Company, è una risposta elegante alla ristorazione, alla ricerca di qualità e di prodotti che facciano del piatto una vera e propria esperienza sensoriale. Unika® Golden Age, carne bovina di altissima qualità che si caratterizza da una buona qualità di grasso intramuscolare distribuita in modo uniforme, e che conferma ancora una volta che una buona marezzatura è sinonimo di eccellenza e contribuisce alla bontà del prodotto. Unika® Golden Age è una selezione delle migliori Frisone (vacche con più di 40 mesi), scelte con cura e provenienti dai principali territori europei che si dedicano da generazioni all’allevamento dei bovini. Alcuni dei capi vengono allevati direttamente da piccoli gruppi di contadini che, mettendo in pratica le tecniche tramandate dagli antenati, si prendono cura dei bovini secondo la tradizione. Il finissaggio avviene negli ultimi 20 mesi: que-

sto tipo di alimentazione, perlopiù a base di cereali, contribuisce al raggiungimento di un buon grado di marezzatura della carne rendendola tenera. Il risultato è un prodotto molto gustoso. Il brand ha selezionato per la ristorazione alcuni dei migliori tagli anatomici, in primis la lombata, offrendo agli chef un prodotto in linea con i trend del momento. Questo tipo di prodotto ha, infatti, già riscosso grande successo in Europa e non solo e, da alcuni anni, è arrivato anche in Italia dove sta incontrando il favore di tutti gli amanti della carne. Un’esperienza Unika, nello stile e nel brand, che ha lo scopo di fornire prodotti eccelsi alla ristorazione, per continuare ad elevarne il livello e favorire lo sviluppo di questo canale che fa del nostro paese un’eccellenza da primato.

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Il primo gruppo della distribuzione italiana nel food service con 40 aziende associate e più di 65.000 esercizi pubblici serviti in ogni regione.

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