Sala&Cucina magazine_Luglio 2022

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sala&cucina n. 61 luglio 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Luglio 2022

Il pane di oggi e quello di domani Gli angeli custodi del risotto

Bologna, spirito libero Cateringross Food Summit

Piergiorgio Siviero Ricerca, etica e precisione in cucina



Combina sapore intenso piacevolmente dolce con caratteristiche tecniche equilibrate per una lavorabilità tradizionale. Offre un sapore caratteristico, pieno e dolce che risalta nella degustazione dei prodotti da forno.

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LA REDAZIONE

Mario Benhur Tondini presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distribuzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco. Le competenze maturate sul piano professionale e su quello amministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastronomico. e infine giornalista di enogastronomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edizioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Locatelli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ideatore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica

benhurtondini@salaecucina.it

luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Simona Vitali

Redazione

Milanese, un passato come traduttrice, da diversi anni giornalista e redattrice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Contribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai consumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni. Forse il suo primo traguardo e, soprattutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un periodo di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con le guide del Gambero Rosso e Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

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Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata seconda, consapevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. La usa a piene mani anche per chi di parole non ne riceve mai troppe. La sua amorevole attenzione va alla linfa della ristorazione, il mondo delle scuole alberghiere, e in generale alle storie intrise di valori e buoni esempi.

s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figurativa, fotografia e linguaggi di comunicazione visiva. Nel 1992 inizia il suo percorso professionale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni. Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asiatico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture. Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e consulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

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SOMMARIO

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LETTERA APERTA

Una cena da 19 milioni di dollari | Luigi Franchi 9 EDITORIALE Cateringross Food Summit | Benhur Tondini 10 PARLIAMO CON Piergiorgio Siviero | Luigi Franchi 15 VENDI CON SUCCESSO Neurotrasmettitori e comportamenti in sala | Lorenzo Dornetti 17 OSPITALITÀ Ma serve studiare per fare il cameriere? | Sebastiano Tramontano 19 L’OLIO AL CENTRO L’olio come una volta | Luigi Caricato 21 LAVOROTURISMO.IT La carriera professionale. Un progetto a lungo termine. | Oscar Galeazzi 22 TRASFORMAZIONE Il pane di oggi e quello di domani | Giulia Zampieri

sala&cucina n. 61 luglio 2022 - Poste Italiane Spa - CN/BO - Edizioni Catering srl – Via Margotti, 8 – 40033 Casalecchio di Reno (BO) - contiene I.P. - costo copia euro 3,50

Luglio 2022

Il pane di oggi e quello di domani Gli angeli custodi del risotto

Bologna, spirito libero Cateringross Food Summit

Piergiorgio Siviero Ricerca, etica e precisione in cucina

N° 61 luglio 2022 Foto di copertina: Paola Rovedo

26 TREND Food Industry Monitor 2022 | Luigi Franchi

EDITORE Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

30 RITRATTI Gli angeli custodi del risotto | Simona Vitali 34 FARE RISTORAZIONE Bologna, spirito libero | Marina Caccialanza 38 FARE RISTORAZIONE PerBacco! La ristorazione che appaga | Simona Vitali

PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

44 BEVANDE Una nuova stagione per il caffè | Giulia Zampieri

DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

47 AMODO Presentazione 49 AMODO Il ristorante Dattilo, Ristorante Lorenzo, Pomiroeu | Marina Caccialanza 52 PERSONE Alla tavola dei maestri | Bruno Damini

COLLABORATORI ESTERNI Paolo Baracchino, Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Oscar Galeazzi, Guido Parri FOTOGRAFIE Archivio sala&cucina, Lorenzo Davighi e Paola Rovedo * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

56 DISTRIBUZIONE I tre chef e il Molino Signetti | Luigi Franchi 60 PRODUZIONE Surgelati, scelta consapevole | Marina Caccialanza 65 LIBRI Ristoranti che passione - Ricette d’Italia | Luigi Franchi

RIVISTA PARTNER dell’Associazione

66 PRODUZIONE Il tonno Big Chef in olio d’Oliva | Guido Parri

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

68 PRODUZIONE Contital: il packaging è sostenibile | Marina Caccialanza 76 PRODUZIONE Gamma pinse Molino Spadoni | Guido Parri

PROGETTO GRAFICO Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it

78 PIZZERIE Pizzaiolo per amore | Marina Caccialanza 80 ABBINAMENTO Cotechino fritto con zabaione al Sorbara dell’Hosteria Giusti abbinato alla Cuvée Brut Bellei, annata 2015 | Paolo Baracchino 82 NOVITÀ Affumicata Unika® | Guido Parri

STAMPA EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100 Costo copia mensile: 3,50 euro abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

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IL MONDO DELLA FRITTURA CAMBIA PER SEMPRE.

Ideato assieme allo Chef PASQUALE TORRENTE

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LA SOLUZIONE CHE CHEF E RISTORATORI ASPETTAVANO DA TEMPO. Massima stabilità alle alte temperature, riduzione di schiuma e cattivi odori: Frienn permette di ottenere fritti croccanti, asciutti e dal colore chiaro, rispondendo al meglio a tutte le esigenze della ristorazione di alta qualità. Nato da una formulazione specifica per tutti i tipi di frittura, non trasferisce né colore né sapore ai cibi. Con Frienn friggi a lungo e ottieni sempre risultati perfetti. www.olitalia.com


LETTERA APERTA Luigi Franchi

direttore responsabile

Una cena da 19 milioni di dollari clicca e leggi l’articolo sul web

Fa sorridere la polemica estiva tra Briatore e i pizzaioli napoletani. Fa sorridere perché è una non notizia, fa indignare perché un servizio pubblico come la Rai gli dedica spazio a Porta a Porta, fa deprimere perché se questo è il modo per comunicare il cibo italiano non stupiamoci se poi nel PNRR la parola ristorazione non compare. Queste riflessioni vengono a galla quando, accanto a questa non notizia ne appare un’altra che racconta di come, negli Stati Uniti, si è raggiunta all’asta la cifra record di 19 milioni di dollari per cenare con Warren Buffet, l’uomo definito l’oracolo di Obama. Una cena che la Fondazione Glide organizza dal 2000, con una raccolta che ha raggiunto complessivamente 53 milioni di dollari da destinare a opere di beneficenza. Ma perché, oltre al motivo di cui sopra, una persona arriva a spendere 19 milioni di dollari per cenare con un’altra persona? Qui entra in gioco il valore intrinseco del ristorante come luogo eletto per imparare dalle persone. Un po’ di storia della ristorazione non guasta per capire tutto ciò. La ristorazione, è ormai risaputo, nasce in Francia, durante la rivoluzione quando i grandi cuochi delle case aristocratiche si trovano, improvvisamente, senza lavoro. I primi ristoranti aprono all’insegna del “mangiare è un atto di intelligenza, altrimenti sarebbe un gesto animalesco. E ciò che lo rende intelligente è la compagnia di altre bocche e altre menti… a tavola si sviluppava l’abitudine alla discussione, allo scambio. Un pasto

dopo l’altro la gente prese gusto a pensare con la propria testa” (In principio era la tavola di Adam Gopnik). Sta in questo il grande successo che la ristorazione, in ogni parte del mondo, ha avuto e sta continuando ad avere: mangiare bene certo, ma soprattutto confrontarsi con gli altri, essere accolti dagli altri, stare insieme per affetto, amore, amicizia, affari, politica… tutto questo vede il ristorante come protagonista. Poco importa se la pizza di Briatore costa di più di quella che si mangia a Napoli. A New York, un pizzaiolo albanese vendeva la sua pizza a 1200 dollari perché conteneva un topping di caviale e aragosta, ma non ha tenuto banco per giorni sulle testate giornalistiche. Così come la cena da 19 milioni di dollari con Warren Buffet. Non tutti possono permetterselo ma nel mondo c’è chi lo fa, è un dato oggettivo. Sono le parole di Adam Gopnik che dovrebbero invece essere oggetto di approfondimento, e quelle di tanti altri saggisti come lui, per capire cosa significa ristorazione. Sono la breve storia italiana della ristorazione e quella lunga francese e le storie di ogni paese con le proprie culture che dovrebbero essere valorizzate, in primis, da noi giornalisti del settore per educare le persone a riconoscere un ristorante buono da uno meno buono. E per buono non intendo solo il mangiare bensì il lavoro serio che sta dietro al piatto. Fino a quando correremo dietro a non notizie come quella di Briatore le persone non impareranno mai a riconoscere la buona ristorazione, la buona pizzeria, i passi avanti da gigante che ha fatto una parte del settore. Ci limiteremo a una curiosità voyeuristica che non fa bene a un’educazione alimentare ormai indispensabile se vogliamo che questo nostro pianeta non ci collassi addosso.

luigifranchi@salaecucina.it | luglio 2022

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LA RETE DEI RISTORANTI ETICI

2022

LA RETE DEIÈ un RISTORANTI ETICI progetto

che vuole dare valore ai ristoranti che abbiano l’etica del lavoro. Per saperne di più amodo.salaecucina.it dove si può inviare la scheda di adesione


EDITORIALE Benhur Tondini

presidente sala&cucina

Cateringross Food Summit clicca e leggi l’articolo sul web

Ci sono eventi utili a far conoscere il ruolo e la forza dei distributori nel settore del food service; un ruolo che spesso non viene valorizzato come dovrebbe. Uno di questi eventi è il Cateringross Food Summit, una manifestazione biennale, giunta quest’anno alla sesta edizione, che si svolgerà a Rimini il 14 e 15 ottobre, presso il Palacongressi. In cosa consiste questo evento? È una manifestazione che si snoda in due distinti percorsi: il primo giorno è una fiera a numero chiuso dove le aziende alimentari e del beverage incontrano le 40 aziende, dislocate su tutto il territorio nazionale, associate al gruppo Cateringross e tutti i loro agenti di vendita, circa 700 professionisti che arrivano da ogni parte d’Italia per conoscere le novità del mercato del fuori casa. Le aziende espositrici rispecchiano tutti i settori del food&beverage necessari alla ristorazione: carne, pesce, surgelati, pasta, salumi, latticini, salse, vegetali, drogheria alimentare, vino, birra, liquori, oltre ai prodotti non food per l’igiene. L’incontro serve per far conoscere le novità nel settore del fuori casa, che è cambiato profondamente negli ultimi due anni, alle aziende di distribuzione che, oggi, rivestono anche un ruolo consulenziale per i clienti ristoratori e pizzaioli e, di conseguenza, devono essere sempre aggiornatissime sulle tendenze. Infatti, al Palacongressi, venerdì 14 ottobre, ci sarà la prima parte dell’evento che si presenta come una

fiera vera e propria. Alla sera le conversazioni proseguiranno durante la cena di gala che lo chef Claudio Di Bernardo preparerà, per oltre 800 ospiti, al Grand Hotel di Rimini. Il giorno successivo l’evento proseguirà al mattino, all’auditorium del Palacongressi, con una giornata formativa dove diversi esperti si alterneranno sul palco per disegnare il quadro attuale dei consumi fuori casa, dello stato dell’arte della ristorazione, di come sta cambiando questo mercato. Alla fine, un ospite di eccezione, chiuderà la manifestazione. Un momento importante per un’azienda come Cateringross, il primo gruppo cooperativo di distribuzione nel food service e il secondo per fatturato globale. Quindi un’azienda che svolge un ruolo strategico sul mercato e che compirà, nel 2023, i suoi primi quarant’anni. Occorre essere sempre al passo con le tendenze quando si parla di ristorazione, uno dei settori imprenditoriali più complessi che esistano, perché è un comparto estremamente volubile, oggetto anche di mode alimentari che cambiano repentinamente, dove la carne, per fare un esempio, che è in calo di consumi nel privato, qui sta vivendo un grande momento di interesse, a patto che sia di ottima qualità, cucinata alla perfezione, abbinata in maniera equilibrata nel piatto. E se la carne e il pesce stanno avendo una crescita nel mercato del fuori casa anche i vegetali non sono da meno. Dopo il Covid hanno invaso, letteralmente, i menu di moltissimi ristoranti. Un segno di come al ristorante ci si vada per stare bene anche fisicamente. Stanno finendo i tempi delle grandi abbuffate e, anche questo, è un segnale per i distributori: meno magazzino per i ristoratori, acquisti più ponderati, richieste di maggior conoscenza dei prodotti. Tutto questo lo si potrà vedere, toccare con mano, imparare al Cateringross Food Summit.

benhurtondini@salaecucina.it | luglio 2022

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PARLIAMO CON Parliamo con… Piergiorgio Siviero, chef patron di Lazzaro 1915, a Pontelongo (PD). La sua storia è profondamente legata all’etica e alla qualità della vita

clicca e leggi l’articolo sul web

UN VIAGGIO QUASI ONIRICO

Piergiorgio Siviero

Piergiorgio e Diletta Siviero

Ricerca, etica e precisione in cucina Autore: Luigi Franchi 10

www.lazzaro1915.it | luglio 2022


Quando la storia crea dipendenza! Si potrebbe iniziare così questa conversazione con Piergiorgio Siviero: una conversazione che spazia dal presente al futuro della ristorazione italiana e che fa emergere il legame potente con i luoghi, con la casa in cui si nasce, si cresce, si punta al futuro. È anche viaggio onirico quello di Piergiorgio Siviero, un viaggio che inizia nel 1999, non appena finisce di frequentare l’istituto alberghiero di Adria, portandolo prima al Kulm di St. Moritz, poi a Milano da Aimo Moroni, infine a Parigi e a Montecarlo con Alain Ducasse. Nel 2005 il rientro a Pontelongo, la città dello zucchero come viene definita, per riallacciare il rapporto mai sopito con Lazzaro 1915, il ristorante di famiglia che novant’anni prima aveva aperto suo nonno Lazzaro, profugo triestino, allora sotto il dominio austriaco. Ai tempi del nonno il locale era già albergo, intitolato a Trieste per un omaggio alla città di provenienza. Oggi l’albergo esiste ancora, si chiama sempre Trieste, mentre il nome del ristorante è diventato un riconoscimento al fondatore e di questo e molto altro parliamo con Piergiorgio Siviero. Più di un secolo di storia, una conduzione in mano a tre generazioni di Siviero; cosa significa tutto questo nella contemporaneità dell’oggi, che ha modificato anche l’economia e la vita sociale di questi luoghi? “Avere una lunga storia alle spalle è comodo, ma è anche una grande responsabilità. La comodità deriva dal fatto che nasci, cresci, vivi dentro a questi luoghi. Da bambino io sono cresciuto in strada, i miei lavoravano da mattina a sera, ma era una strada buona, dove tutti si conoscevano, eri protetto dalle persone, imparavi ad apprezzare quello che avevi intorno, ognuno dava qualcosa alla vita sociale del paese. Questo stile di vita ti rimane dentro, chi lo ha vissuto se lo ricorda per tutta la vita e determina la radicalità dei luoghi. Di contro c’è la responsabilità che fa nascere dentro di te il senso del dovere ma anche un forte senso di colpa che ti spinge, a un certo punto della vita, a fuggire da quei luoghi, dalle persone che li animano. Poi, però, torni, il richiamo si fa forte. E cosa incontri? Un padre che ti dice: ‘vuoi gestire tu il ristorante di famiglia? Te lo devi guadagnare e, quindi, mi paghi licenza e struttura. Lo faccio perché devi conoscere il valore delle cose, quanta fatica c’è dietro a un’attività’. Un discorso forte, che all’inizio ti lascia l’amaro in bocca ma che poi si rivela giusto, capisci che non è per crearti difficoltà, il pagamento è senza interessi, lungo ma concreto, ci sono rate da rispettare e io, che sapevo solo cucinare, ho imparato da questo cosa significa l’economia di un ristorante. Non mi sarei forse mai reso conto cosa di ci fosse dietro al mestiere del ristoratore se non avessi, fin dall’inizio, imparato a gestirne il conto economico. Ma la cosa più importante di tutte è una sola: quando cresci dentro a una cucina, e io l’ho fatto, ti resta dentro per la vita intera. I gesti di affetto che ricevevo da bambino non erano quelli normali di un genitore che ti viene a vedere mentre giochi a pallone o a basket, non ne avevano il tempo; erano quelli dove tua madre o tua zia ti invitavano a fare i dolci con loro, al punto che in quinta elementare il mio sogno era fare il pasticcere a | luglio 2022

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Quote rosa in cucina e in sala

Parigi. Tutto qui! Un tutto qui che ti fa crescere con la necessità di dimostrare consapevolezza attraverso le azioni, l’esempio. Ancora oggi ai ragazzi che lavorano con me non sto a spiegare a parole: vieni, dico a loro, ti mostro come si fa!” Abbiamo accennato alle tue esperienze in Francia e a Milano: la decisione di tornare c’è sempre stata dentro di te? “Ti ho in parte già risposto ma, in verità, io in Francia ci stavo molto bene, aiutato se vuoi dalla mia capacità di vivere in modo positivo anche la solitudine, un grande esercizio che dava più valore alle amicizie. Ti dico questo perché è difficile, facendo questo mestiere, parlare di vita al di fuori della professione. La voglia di tornare? L’ho avvertita quando ho compiuto i 26 anni, ero ancora giovane, dovevo imparare ancora un sacco di cose ma sentivo il richiamo. L’ho fatto in punta di piedi, con un grande rispetto per quello che avevano fatto e che ancora facevano mia madre Maria Pia e mia zia Dilva. C’è un passaggio importante nella nostra storia: è il 2012 quando mia sorella, restauratrice d’arte, torna qui. Da quel momento è iniziato un nuovo corso, un primo ammodernamento del locale, una cucina diversa, la perdita, in un colpo solo, di tutti 12

Daniela Siviero

i clienti che venivano qui per mio padre e mio zio, un paese che stava cambiando rapidamente, con questa via che non era più il centro del traffico. Aspetti all’apparenza negativi ma che, in realtà, costituivano gli stimoli di cui avvertivo la necessità. Io sono ottimista di natura e questo, unito ad una scelta di cuore per questo locale, ti fa andare avanti. Senti dentro questo valore, lo comunichi al cliente. Aver comprato ci ha dato la possibilità di cambiare, di evolvere, di non dover rendere conto e avere la libertà di fare quello che vogliamo davvero. È questa la vera svolta: era un ristorante che faceva le cose che facevano tutti, ora è un ristorante che si lega indissolubilmente a ciò che offre questo territorio”. Tua sorella Daniela è già tornata in questa conversazione. Spiegami che ruolo ha nel successo del vostro ristorante? “Lei svolge tutto il resto di quello che non svolgo io. C’è stato molto parallelismo tra noi fino a qualche tempo fa, ma era sbagliato. Facevamo un punto della situazione ogni tanto, mentre è necessario parlarsi sempre che è quello che facciamo ora. Abbiamo imparato a educarci e confrontarci, un grande passo verso l’obiettivo principe del nostro lavoro: andare verso la quali| luglio 2022


tà della vita. Il confronto dove c’è anche sentimento è difficilissimo. Inoltre adesso c’è anche mia moglie che lavora qui. Abbiamo quindi adottato una tecnica: di lavoro parliamo solo qui e poi andiamo a casa. C’è voluto tempo per imparare a gestire queste cose ma ora sono molto sereno e questo mi fa affrontare meglio ogni cosa. La qualità della mia vita è buona e questo mi spinge quotidianamente a chiedermi: cosa posso fare io, di più, per l’ambiente di lavoro, per le persone con cui collaboriamo, cosa posso fare per gli altri, concernente il mio mestiere? Ad esempio la sostenibilità, parola molto usata, è importante ma devi creare consapevolezza e lo fai partendo dalle piccole azioni che, tra l’altro, si sono sempre fatte. Occorre guardare indietro per andare avanti, prendere il meglio del passato. Perché usare tanta plastica quando non ce n’è bisogno?! Perché non utilizzare il vetro e riciclarlo alla fine del suo utilizzo che è ben più duraturo della plastica. Ho sviato un po’ dalla domanda iniziale, me ne rendo conto, ma è anche lo stimolo al confronto con Daniela che mi porta a queste considerazioni. Lei, comunque, è i miei occhi in sala, perché stando sempre in cucina, a volte, si può vedere il mondo con uno sguardo un po’ distorto”.

cina dove c’era la vera fatica e il cuore dell’attività. Da Lazaro se magna bén, dicevano gli avventori. Per me crescere con due donne è stato fondamentale e continua ancora oggi questo modello. Daniela, infatti, ha il contatto diretto con l’ospite e sa rappresentare il valore vero della nostra cucina. Diletta ha portato nuova linfa in cucina, ha reinventato Lazzaro 1915. Io sono quello che appare ma sono sempre state le donne l’anima del luogo”. Stile moderno con un’anima calda, questo dice la Michelin di Lazzaro 1915: è azzeccata come definizione? “Non ho ancora letto la recensione attuale. Direi più inquieta rispetto a calda. Ma questo mi serve per affermare cosa e chi siamo. Attingo alla grande esperienza che ho fatto con Aimo Moroni e che ha segnato quasi tutti i passaggi successivi. Noi abbiamo scelto di lavorare direttamente con i produttori di materie prime

Cucina: sostantivo femminile. È il titolo delle cene che fai l’8 marzo ogni anno. Che ruolo hanno le donne da Lazzaro 1915? “Le donne sono Lazzaro 1915. Da sempre! Mia madre e mia zia hanno lavorato insieme per una vita in cu-

Maiale e cozze


Sepa seca

del territorio e sono loro che dobbiamo ringraziare ed esaltare. Lo faccio nel mio menu, ad esempio. Preferisco stare con loro, parlare con loro, anziché discutere dove va la moda della cucina adesso. Capire il valore delle cose facilita la vita”. Hai sempre voluto dare un profilo etico al tuo lavoro, anche in tempi non sospetti: cosa significa per te? “Quando è arrivata la stella verde della Michelin ho risposto al loro questionario affermando: finalmente. Poi ho inviato un file con la descrizione di tutto quello che avevamo fatto e che stavamo facendo. • Detergenti eco certificati • Pannelli solari (dal 1987) • Caldaia a condensazione con sistema centralizzato per la pulizia ed il reintegro di aria fredda e calda con conseguente risparmio energetico per la produzione di essa • Carta forno compostabile, utilizzo di involucri in cellulosa e cera d’api, sacchetti sottovuoto riciclabili • Rifiuto indifferenziato prodotto nell’anno 2021 al 13% sul totale peso rifiuti • Investimento su azioni Carbon Neutral tramite azienda agricola Maquva di Luciano Quaggio • Collaborazione con produttori/fornitori per l’eliminazione degli imballaggi monouso Riduzione dello scarto alimentare con proposte a spreco zero • Sostituzione del materiale plastico monouso e graduale conseguente eliminazione La stella verde ha determinato un’emozione più grande della canonica stella Michelin perché è un segnale 14

Sfoglia

di qualcosa che si sta muovendo. Noi dobbiamo renderci conto che la natura è il nostro primo fornitore e, per questo, ho sviluppato un’economia circolare per il mio ristorante scegliendo fornitori in linea con questo pensiero. Poi c’è la formazione che deve riportare alla luce la consapevolezza di cosa significa svolgere questa professione, evidenziando un metodo di lavoro corretto, un rispetto vero delle materie prime che significa, però, anche e soprattutto rispetto dell’ambiente di lavoro, una gestione delle energie, anche umane e il coinvolgimento dei tuoi fornitori e su questo ho trovato interessanti commistioni. Facciamo tutte queste cose per etica ma lo si faceva anche prima, per necessità. Torna il tema di partire dalle piccole cose e la storia in questo è importante per insegnare il presente. Soprattutto ci devi credere perché le cose traspaiono, si vede ciò che facciamo, non si può più sgarrare. È importante investire sul territorio, ne abbiamo la responsabilità, e il vantaggio che ne deriva è l’unicità. L’estetica dura un po’ ma il futuro sarà la salubrità, diceva Aimo Moroni 25 anni fa. E noi abbiamo l’obbligo morale e professionale di investire su questo”. Cosa significa per te far parte del progetto Amodo, la rete dei ristoranti etici? “La prima cosa che mi ha colpito è stato l’entusiasmo di chi me l’ha proposto. Farne parte, per me, vuol dire avere un luogo dove creare un confronto diretto. Lo dico perché la cucina tende a generare isolamento, mentre è importante confrontarsi, discernere elementi da mettere in atto concretamente e Amodo è il posto ideale per farlo” | luglio 2022


VENDI CON SUCCESSO Lorenzo Dornetti ceo Neurovendita

Neurotrasmettitori e comportamenti in sala clicca e leggi l’articolo sul web

Esiste un segreto per regalare al cliente un’esperienza wow in sala! Il vissuto del cliente dipende da quanto il comportamento del personale di sala determina la variazione di due neurotrasmettitori. Sono dopamina ed ossitocina. I neurotrasmettitori sono coinvolti nei circuiti del piacere. La dopamina è legata all’emozione della sorpresa e della gioia. L’ossitocina si sviluppa nei legami affettivi. Queste due molecole quando crescono nel cervello, determinano un senso di benessere. Per aumentare i livelli di dopamina nel cervello dei nostri clienti possiamo usare il “principio di scartamento”. Una mole immensa di studi dimostrano che l’atto di scartare “qualcosa” aumenta la dopamina. Il picco avviene quando il cervello apre la confezione dell’oggetto. L’atto di togliere la carta e il fiocco stimola la sostanza alla base della felicità. Come possiamo applicarla al mondo della ristorazione? Ci sono molti modi. Il minimo comune denominatore deve essere far scartare “qualcosa” al cliente. Pensa ad esempio ad una busta da aprire sul tavolo che racconta in una lettera la filosofia del locale. Alcuni si spingono ad inserire il menu o la proposta del giorno, oggi in QR-code, direttamente in una busta che si apre per stimolare il senso di curiosità. Il personale di sala può stimolare questo gesto di scartamento. “Per scoprire il nostro nuovo menù, vi invito ad aprire la nostra busta delle

sorprese”. “Oltre al menù, al centro del tavolo, trovate un piccolo pacchettino, li abbiamo messo la proposta del giorno”. Queste frasi stimolano ulteriormente il comportamento di scartamento con il conseguente aumento di dopamina. Per aumentare i livelli di ossitocina, una tecnica straordinaria è quella del dono. Tutti gli studi confermano che ricevere un dono, aumenta in maniera significativa la quantità di ossitocina nel sistema nervoso. Se l’ossitocina aumenta, cresce la sensazione interiore di benessere e la voglia di entrare in relazione con gli altri. Qualcuno ha chiamato poeticamente questa sostanza, “ormone della gentilezza e dell’amore”. Alti livelli di ossitocina generano nel cliente un’ottima prima impressione. Per predisporre positivamente chi è appena entrato nel tuo ristorante basta un’azione semplice: donare. Gli studi hanno dimostrato che per il cervello non importa il valore economico del regalo. Conta semplicemente riceverlo. L’applicazione pratica è offrire al cliente un calice di vino o una piccola entrée, esplicitando chiaramente che si tratta di cadeaux gratuito. Spesso, infatti, se non si esplicita che il bicchiere o la tapas è offerta dalla casa, si corre il rischio di ottenere l’effetto contrario. Il cliente si irrigidisce. Se invece chi è in sala enfatizza che si tratta di un regalo, allora tutto cambia. “Nell’attesa del tavolo che stiamo predisponendo vi offro un calice del nostro prosecco”. “Questo è un piccolo pensiero dalla cucina, mentre scegliete cosa ordinare, un regalo del nostro chef”. Queste frasi chiariscono che si tratta di un omaggio per accogliere il cliente. L’ossitocina cresce e tutto va in discesa. La prima impressione è positiva. Il cliente si sente importante ed accolto. Quindi è più benevolo nei giudizi, più propenso a godersi l’esperienza, perfino più disposto a tollerare errori ed imprecisioni. Ricevere un regalo non rende gentili e gioiose le persone per educazione, ma per l’attivazione di una reazione biologica iscritta nei circuiti cerebrali. Parola di Neurovendita!

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OSPITALITÀ Sebastiano Tramontano

Consulente e formatore Teamwork Hospitality

Sarà il passato a salvare il futuro? clicca e leggi l’articolo sul web

Persone sostituite da robot, forni professionali che aiutano in maniera intelligente chi deve utilizzarli, automazioni che alleggeriscono il lavoro dell’essere umano. Ogni giorno in qualche modo siamo aiutati tecnologicamente da una macchina sempre più potente. Da anni cerchiamo di modificare il modo di organizzare, valutare, crescere e studiare di ognuno di noi e in questa nostra volontà di crescere non ci accorgiamo che il valore più grande che possiamo dare a ciò che ci gratifica e ci fa stare bene è esattamente quello che finora è stato. Mi sono infatti reso conto che, per fortuna, tanti hotel hanno fatto passi in avanti per migliorarsi. La cosa che più mi fa piacere notare è che tantissimi di questi alberghi hanno modificato il layout del loro buffet, hanno migliorato l’esposizione, sono riusciti ad alzare l’asticella cercando di offrire il meglio possibile per il cliente. Questo è un dato confortante; hanno studiato, si sono informati e hanno raggiunto una buona consapevolezza di ciò che fanno. Ma adesso la stragrande maggioranza degli hotel ha un buffet standard, anche se elevato ma standard. Sono riusciti sì a dare una maggiore qualità della proposta per il cliente ma sono ormai tutti uguali. Se facciamo una analisi del cliente che per vacanza o per lavoro gira vari hotel, ci rendiamo conto che le sue aspettative anche se alte, molte volte vengono deluse dal semplice fatto che forse manca quel qualcosa che fa la differenza in una buona colazione. Sto parlando del valore che noi attribuiamo al nostro territorio e come

siamo in grado poi di trasferirlo sul buffet delle colazioni. Se per un attimo pensiamo al motivo per cui tanti stranieri vengono in Italia, ci rendiamo subito conto che al primo posto nella loro scelta c’è il cibo. Allora perché continuiamo a dimenticarci che la prima colazione ha un ruolo fondamentale in questo? Credo che la risposta a questo quesito sia nella mancata apertura mentale e di vedute ristrette da parte di chi deve somministrare questo servizio, eppure la vittoria è sotto i nostri occhi e di facile costruzione. Se mi reco per svariati motivi in un luogo voglio assaggiare ciò che quel luogo ha da offrirmi. L’Italia è forse uno dei pochi paesi al mondo che tra cultura, storia, paesaggi, arte culinaria diversa per ogni angolo del paese, riesce a far innamorare anche il più cieco dei testardi, eppure girando e rigirando se c’è una cosa che non manca mai sui buffet delle colazioni in hotel è la nutella e mai un pezzo di salame o una fettina di lardo o un buon vino locale. Non credo di chiedere molto, penso solo che se chiudiamo gli occhi e pensiamo al nostro passato e da dove veniamo, forse riusciamo a vedere un futuro dove la convivenza con il passato è molto di più che un robot che mi consegna la pizza.

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L’OLIO AL CENTRO Luigi Caricato oleologo

L’olio come una volta clicca e leggi l’articolo sul web

A chi può piacere l’olio com’era una volta? Questa espressione l’ho mutuata dal motto che accompagna le gelaterie Grom: “Il gelato come una volta”. Confesso di desiderare con tutto me stesso il gelato di oggi, anziché quello del passato, così come preferisco di gran lunga l’olio prodotto in questi anni al posto di quello che si otteneva in passato. Eppure, c’è questa irrazionale sacralizzazione del passato, che diventa perfino – permettetemi di sostenerlo pubblicamente – ridicola. Il passato è sempre importante, ma vi è allo stesso tempo il presente che ci proietta per fortuna verso il futuro. L’olio prodotto in altre epoche era immangiabile, se paragonato a quello odierno. Non che fossero incapaci, ma la tecnologia fa sempre la differenza. La molitura delle olive con macine in pietra e torchio sarà pure suggestiva ma ha poco a che fare con la qualità e l’igiene del prodotto ottenuto. Non si tratta di discriminare le tecniche ormai desuete di estrazione dell’olio, ma i nuovi estrattori sono di gran lunga più efficienti e migliori, e la qualità la si nota sia nella valutazione sensoriale, con il semplice assaggio, o attraverso il giudizio di un gruppo panel di assaggiatori professionisti, e sia con il giudizio espresso analiticamente, considerando i parametri chimico-fisici dell’olio. Ciò non significa demonizzare il passato, ma va pur precisato che il presente porta sempre con sé elementi di novità con netti miglioramenti rispetto a qualsiasi periodo precedente. Il miglior olio del passato era il migliore olio possibile per quei tempi,

il miglior olio del futuro sarà nettamente superiore a quello di oggi. Anche perché la qualità è sempre in divenire, e, tuttavia, senza l’impegno di chi ci ha preceduto non sarebbe mai possibile giungere ad alcun miglioramento. Pensate alle tante innovazioni di prodotto. Ve ne racconto una già presente sul mercato, a opera di Francesca Petrini, la quale con Petrini Plus ha introdotto un alimento tutelato da brevetto internazionale, autorizzato nel 2005 dall’allora Ministero della Salute. Cosa ha di speciale e di nuovo? Un extra vergine che di per sé è un functional food, e se vogliamo anche un nutraceutico, visto che la natura ce lo consegna già perfetto, diventa alimento funzionale fortificato attraverso l’arricchimento con le vitamine D3, K1 e B6. Cosa si ottiene? Un migliore assorbimento del calcio e di conseguenza un miglioramento della densità ossea e l’aumento alla resistenza alle fratture. È una soluzione contro l’osteoporosi, una malattia sempre più diffusa. Qualcuno può pensare che tutto ciò non sia utile? Sbagliato. Vi si trova tutto ciò che di buono e di sano è già contenuto nell’olio, con un ulteriore apporto in termini di salute. Il futuro, insomma, è già presente tra noi. E per quale ragione, allora, un ristoratore deve trascurare una simile opportunità? Proporre un alimento in chiave moderna e dall’alto valore salutistico è sempre una buona idea. Meglio mettersi alla ricerca di novità sostanziali, non vi pare?

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BayernlandFIC Dalla Baviera, il gusto che unisce.

www.bayernland.it


LAVOROTURISMO.IT Oscar Galeazzi

amministratore Lavoroturismo.it

La carriera professionale Un progetto a lungo termine. clicca e leggi l’articolo sul web

Carriera è diventato in questo periodo un termine per alcuni estraneo, considerata la tendenza di molte persone – giovani e non – di pensare al domani, alla prossima stagione, al prossimo impiego… ma non oltre. Poche sono le persone che ragionano su un progetto di medio-lungo termine. Perché pensare alla carriera? Soddisfazione personale e lavorativa, stipendi più elevati, maggiori opportunità di lavoro, forse di una vita professionale più serena (non sempre, non è scontato)… In un contesto di corretto equilibrio tra vita professionale e vita privata (Work Life Balance) la carriera rimane un elemento importante. Cosa porta una persona a ottenere un incarico di responsabilità, di livello più o meno elevato? E cosa determina che un’altra persona, magari professionalmente più capace e competente, venga scartata in favore di un altro? I fattori che maggiormente determinano progressioni di carriera, non sono le capacità tecniche specifiche della professione, le cosiddette hard skills. Un barista o un cameriere non diventano food & beverage manager perché sanno portare bene i piatti o preparare ottimi cocktail, così come un cuoco non diventa un executive chef perché cucina benissimo. Ho conosciuto eccellenti executive chef e food & beverage manager che nelle mansioni operative erano mediocri. Bravissimi housekeeping manager con brevissime esperienze operative ai piani. Vogliamo quindi negare il valore e l’importanza delle conoscenze e competenze tecniche? Assolutamente no, ma non possiamo scordarci che quelle da sole non sono

sufficienti per fare carriera. I fattori che maggiormente influiscono in un percorso di carriera sono le competenze trasversali, le cosiddette soft skill, competenze che riguardano la persona, e come tali comuni e spendibili in qualsiasi professione. Le soft skills più importanti per fare carriera sono: 1. Perseveranza e resilienza 2. Fiducia in sé stessi 3. Cambiamento e pensiero critico 4. Spirito di iniziativa 5. Problem solving 6. Capacità di comunicare 7. Capacità di vendere e convincere. 8. Intelligenza emotiva 9. Leadership 10. Etica morale e professionale Come queste soft skills si traducono in comportamenti? • Sono determinato nel raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. • Non mi accontento dell’attività svolta e cerco sempre di migliorarla e implementarla. • Non ho raggiunto l’obiettivo? Non demordo e persevero fino al raggiungimento. • Curo il mio network, fatto di contatti diretti e online. • Divento un professionista nella ricerca del lavoro. • Collaboro attivamente e lealmente con il mio team nel raggiungimento degli obiettivi aziendali. • Mi adopero per migliorare costantemente la qualità del mio lavoro, anche mettendo in discussione processi operativi “consolidati”. • Mi interesso sinceramente degli altri: colleghi, clienti, amici… • Sono una persona corretta, sotto l’aspetto etico e professionale. Le competenze trasversali sono in parte fortemente collegate alla propria persona e personalità, al proprio vissuto come individuo. Ma si possono apprendere e sviluppare. Per completezza di informazione, è giusto evidenziare il valore delle competenze linguistiche in un processo di carriera, come anche – in particolare per chi lavora nel settore della ristorazione e dell’ospitalità, l’influenza di un ottimo standing ovvero (in sintesi) bella presenza e cura della persona, che riguarda: il modo di porsi, l’approccio con gli altri, stile nell’abbigliamento, tono di voce, capacità di ascolto, modo di muoversi e tutto ciò che concerne le relazioni con altre persone. | luglio 2022

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TRASFORMAZIONE

Il pane di oggi e quello di domani clicca e leggi l’articolo sul web

Autrice: Giulia Zampieri

Parlare di pane non è semplice. C’è una stretta correlazione tra il pane e la vita, tra le possibilità e le impossibilità, tra l’economia e la fame. È un terreno fragile, che include molte conflittualità, e la questione quantitativa è più sostanziale di quanto la quotidianità (la nostra) ci induca a credere. Nel nostro magazine stiamo affrontando il tema dello spreco alimentare, della redistribuzione del cibo, e que-

sta è la doverosa premessa, perché il cibo non c’è per tutti, e il pane è alla base del bisogno di alimentarsi. Per secoli – e, ahìnoi, ancora oggi - è il bene conteso tra classi abbienti, che ne hanno in abbondanza, e popoli affamati. Per chi fa pane oggi - panettieri, ristoratori, pizzaioli - questi grovigli esili ma fondamentali vanno presi in considerazione prima di tutto il resto. Prima delle fermentazioni spontanee, delle bighe, delle farine da grani antichi.

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Poi, c’è la questione qualitativa del pane: la scienza ha aiutato a correggere alcuni cliché, a riformulare pratiche di lavorazione, a indirizzare su ingredienti e strumentazioni più adatte per ottenere pani più buoni, più equilibrati, non solo nel gusto e nella forma. Basta scorrere il libro di Laura Lazzaroni, La Formula del Pane, per avere un quadro nitido di quanto il metodo scientifico sia importante, anche per chi il pane non lo fa per lavoro ma per passione. Nelle due interviste che seguono emerge proprio l’indispensabilità dello studio e della ricerca, per fare sempre meglio e per avere una gestione precisa anche dei costi di produzione. Ma pane buono significa anche farine buone, e qui entriamo in un dedalo di narrative davvero complesse (le affronta bene Annalisa Zordan, responsabile della Guida Pane e Panettieri d’Italia del Gambero Rosso, nell’ultima uscita della rivista, con un’analisi accurata sul mondo delle farine). Mi limito, prima di raccontarvi due progetti innovativi ed etici, a dire che il pane buono va cercato, atteso, prenotato, e bisogna essere disposti a pagarlo il giusto. E se il suo destino è la tavola del vostro ristorante o il buffet della prima colazione del vostro hotel, al cliente il valore di quel pane va raccontato. Sarà più facile farlo apprezzare…

Madré, dalla scienza al racconto Madré è un chiaro riferimento all’utilizzo del lievito madre, la forza propulsiva di tutte le preparazioni di questo nuovo laboratorio-bottega a Castel San Pietro Terme. Un angolo vivace, in un piccolo paese di provincia ma non così lontano da Bologna, gestito da tre giovanissimi: Francesco Bonfiglioli, Gianluca Benesso e Arianna Dall’Olio. È facile stupirsi dopo aver appreso la loro età, ma è banale fermarsi lì: è da mesi che incontriamo ragazzi che si lanciano nell’imprenditoria con la spinta delle idee e con la solidità delle conoscenze. Qui la vera notizia è la storia, l’immagine di Madré, e il fatto che il loro bacino di clienti sia già, a meno di un anno dall’apertura, davvero consistente. Molti sono ristoratori, e molti di Bologna città. Francesco è laureato in Scienze Ambientali; durante gli studi lavorava in gelateria. Nessuna prosa romantica dietro alla passione improvvisa per il pane: “Poco prima dell’inizio della pandemia mi sono imbattuto in un video folgorante sul pane ed è scattato qualcosa” - ci racconta, mentre si muove tre le faccende di laboratorio. “Mi sono applicato, ho studiato su tanti libri e siti web italiani ma soprattutto americani e nord europei. In Italia siamo piuttosto indietro sulla panificazione, per quanto se ne parli c’è ancora la predilezione per il lievito di birra, per le impastatrici, per le farine raffinate. Perché altre strade

Francesco Bonfiglioli

sono molto più costose e le persone sono disposte a pagare poco il pane. Qui abbiamo scelto una strada diversa: il lievito madre viene accudito ogni giorno e utilizzato davvero, le farine le acquistiamo da molini locali, sono macinate a pietra e stringiamo la mano a chi le produce. Ci teniamo al rapporto personale con il produttore altrimenti il cibo diventa mero scambio di denaro… non relazione! In quanto allo stile, è il nostro: non c’è una forzatura sulla tradizione, c’è l’applicazione di nozioni microbiologiche e scientifiche che ci consentono di lavorare in modo preciso e ottimale. Moltissimi panifici ragionano con approccio conservativo, sostenendo di agire così perché è sempre stato fatto così… ma questo pensiero non è attuale, non può appartenere alle nuove generazioni”. Francesco, alzando lo sguardo per salutare ogni cliente che entra in bottega, ci racconta il lavoro di Madré svelando l’importanza di aver compiuto il suo percorso di studi. “Scienza ambientali mi ha sensibilizzato sull’impronta ecologica. Ogni giorno compiamo azioni che impattano in modo più o meno grave sull’ambiente. Limitare l’uso della plastica è fondamentale, e questo è possibile riciclando quella che si ha. Oppure, ancora meglio, facendo | luglio 2022

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Arianna Dall’Olio

la focaccia di Madré

una scelta precisa al momento dell’acquisto. Rifornirsi dai contadini per gli ortaggi e da altri piccoli produttori ci consente di ridurla notevolmente, così come impiegare delle ceste per le consegne. A proposito di queste: nel prossimo futuro ci auguriamo di poter acquistare un mezzo elettrico per portare i nostri pani ai clienti senza emissioni”. Sono tanti, dicevamo, che acquistano da Madré il pane per il proprio locale. La consegna è solitamente bisettimanale. Gli ordini - e chi conosce il lievito madre ne comprende il motivo - devono arrivare almeno 48 ore prima. Affacciandosi al banco ogni settimana si trovano pani diversi, a parte il Country che è sempre presente, venduti al pezzo e non al chilo per una gestione più fluida. “Un grosso problema nella vendita del pane sta proprio nel peso. Qui riusciamo a calcolare esattamente il peso di ciascuna pagnotta grazie anche al controllo dell’umidità; vendendo al pezzo evitiamo importi assurdi che complicano l’atto di vendita. Sono secondi, poi minuti, poi mezzore, preziose quando ci sono tante pratiche da sbrigare…” ci spiega mostrandoci i prodotti del giorno… Madré è un laboratorio che fa tutto con approccio artigianale; le preparazioni sono tante, e non c’è solo pane: ci sono anche le focacce, le viennoiserie. “I nostri prodotti sono quasi tutti vegetariani o vegani - continua Francesco. La sorpresa è stata anche incontrare i gusti di tantissimi compaesani. La fascia d’età della clientela è ampissima, si va dai giovani agli ultra ottantenni, e ave-

re un’offerta così ampia aiuta. Ma anche raccontarla: se non avessimo spiegato come origina il nostro pane, quali ingredienti abbiamo utilizzato, qual’é la sua digeribilità, quanto e come può conservarsi… beh, non tornerebbero”.

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Tòcio Non sono pochi gli elementi in con comune tra Madré e Tòcio, sebbene il secondo nasca dalle mani di una sola persona e abbia una formula sensibilmente diversa, senza una bottega fisica. Tòcio - che, onestamente, da veneta, faccio fatica a tradurvi, se non con ‘intingolo’ - è un’idea di Giulia Busato, di origini noalesi e con una grande passione per il cibo e i vini naturali. Giulia non ha seguito percorsi prestabiliti, non eredita la passione da lunghe tradizioni familiari nella ristorazione o nella panificazione, non ha nel cassetto aneddoti sentimentali da narrare. Si è appassionata e ama ciò che fa dandone un forte significato culturale. “Non ho un curriculum chilometrico che possa parlare per me” - ci racconta mentre sta consegnando i suoi pani in uno dei punti di ritiro, poi vi spieghiamo. “Ho iniziato da autodidatta mettendomi sui libri, cimentandomi in prove su prove, anche di notte, e attingendo dalla rete. Ho frequentato un corso con Renato Bosco e quello ha acceso sicuramente una miccia, ma il resto è stata tanta applicazione. Ho partecipato a Masterchef e a differenza di quanto si possa pensare ho tratto molto da quell’esperienza. Ho raccolto il meglio, il meglio che potevo pren-


dere. Un paio di giorni prima della pandemia mi sono licenziata. Sono laureata in Giurisprudenza e lavoravo in un patronato della CIGL a tempo indeterminato. Non è stata una mossa azzardata. O meglio, agli occhi di alcuni sì, ma sentivo che potevo dare molto di più in un altro ambiente. Per esempio la cucina”. E quell’ambiente a quanto pare era pronto ad accoglierla. Dopo la primavera si sono innescate varie collaborazioni con cuochi, fermentatori, quindi pop up, eventi, l’avvio della sua attività come chef di bordo fino a… “Tòcio, nato nel 2022. Il nome è legato al valore della mano nella preparazione del pane artigianale. La mano tocca, giudica, sistema, comprende. La mano regola, aggiusta. Le mie mani lavorano tutti i giorni a contatto con il lievito madre, toccano farine che scelgo dalla mia regione (ma non solo, dipende dalla tipologia del pane) e si relazionano ai lieviti selvaggi, ingrediente determinante per il pane. Siamo tutti felicemente accolti nella mia IAD - impresa alimentare domestica. Al momento è questo lo spazio che posso permettermi di gestire; qui faccio fermentare, impasto, inforno. Quando il pane è pronto lo consegno ai ristoranti o in alcuni punti vendita nel trevigiano e a Mestre. A tal proposito aggiungo che oggi ci si dà una mano tra attività affini, non ci si ruba niente”. Ci spiega a questo punto come il rapporto con i clienti. “Mi trovano con il passaparola o tramite i social. Accet-

to ordini solo su prenotazione e questa deve avvenire due giorni prima altrimenti mi è impossibile rispettare i tempi di produzione. Chi ordina l’ha capito. Il pane, in sostanza, viene consegnato il giorno in cui è uscito dal forno. Però sono davvero affezionata ai miei pani e non li lascio soli: dentro alle bag ci sono le informazioni sulle materie prime, sul mio approccio alla panificazione e tutte le istruzioni per conservarlo al meglio. Scherzi a parte, oltre al legame affettivo che si instaura con questo cibo che ricordo, è vivo - ritengo sia giusto valorizzare tutta la filiera che vi sta dietro. Contadino e mugnaio meritano di essere raccontati, non utilizzati per sole questioni commerciali. E il grano che ci forniscono merita rispetto. E poi, santo cielo, il pane è più buono quando nasce da una filiera sana, vera, che ha a cuore l’ambiente!”. Come volevasi dimostrare non sono pochi gli argomenti in cui si sfocia quando si parla di pane, compresa l’assuefazione da prodotti commerciali, l’ineguaglianza sociale… e così via. “Il pane mi ha aiutata a fortificare un pensiero” - conclude Giulia. “Il cambiamento parte dalle piccole cose. Da un punto di vista politico, economico e sociale, scegliere quale pane mangiare ha un peso specifico importante ed è questo che va spiegato”. Meno pane, soprattutto meno pane sprecato, più relazioni, più equità, più qualità, prezzi giusti. È un percorso in salita ma alcuni lo stanno già percorrendo.

Giulia Busato


TREND Autore: Luigi Franchi

Food Industry Monitor 2022 Le performance delle aziende italiane del settore food & beverage

Sono decisamente interessanti i dati elaborati dal Food Industry Monitor 2022, l’Osservatorio creato otto anni fa dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che, in questa ottava edizione, ha riversato l’attenzione sull’imprenditoria familiare nell’agroindustria. La presentazione, avvenuta nella sede dell’Università a Pollenzo (TO), ha visto l’introduzione e la presentazione del rapporto affidata a due relazioni introduttive molto interessanti, condotte da Michele Fino, professore associato di UNISG, e da Carmine Garzia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio, docente di Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Le conclusioni a Carlo Petrini, fondatore di Slow Food International e presidente dell’Università di Scienze Gastronomiche.

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Analisi delle performance - Crescita food vs. PIL Italia 6,8%

Ricavi Food Aziende Italiane

6,6%

3,6% 2,4%

PIL Italia

1,7%

2017

2018

2,4%

1,4%

0,9%

0,5% 2019

4,6%

2020

2021

2022

4,4% 1,9%

2023

-1,6%

-9,0%

852 aziende del food, 15 comparti, 65 mld. euro di ricavi aggregati 2022, 2022: forecast Variabile indipendente: Italian GDP Forecast UE Commission del 16/05/2022

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Le previsioni presentate nel documento sono soggette a revisione trimestrale. Le previsioni relative al 2022 presentano un margine d’errore del +/- 10%, per quelle relative all’anno 2032 il margine d’errore è del +/- 30%.

© 2022 Carmine Garzia – Food Industry Monitor – Tutti i diritti riservati

Michele Fino e la sostenibilità “La sostenibilità, di cui parlano tutti quando le cose vanno bene mentre quando le cose non vanno bene, come in questo periodo di guerra e pandemia, viene messo da parte, è la capacità di un sistema di durare senza consumare risorse irriproducibili che sono necessarie al pianeta. Spesso viene scambiato con il termine resilienza, anch’esso sovra-abusato, mentre sono completamente diversi e, anzi, in questo momento, spesso antitetici. Infatti la resilienza a cui tutti noi abbiamo fatto riferimento nel periodo pandemico ha messo a dura prova la sostenibilità. Un esempio su tutti – ha raccontato il professor Michele Fino – è il dato di ISPRA che, a fine 2021, evidenziava che nei nostri mari c’erano più mascherine che meduse. Lo stesso sistema economico cinese sta puntando alla resilienza per tornare ai livelli pre-pandemia ma non è certo un esempio di sostenibilità. Per quanto riguarda l’energia – continua Michele Fino – l’Italia pesa per il 38% dalla Russia e solo per il 9% da fonti alternative, a differenza della Germania che vanta oltre il 50% di energie alternative. Anche i tedeschi hanno avuto comunque la tentazione di accendere le centrali a carbone, tutto questo è sensato? si domanda il giornale Die Zeit. Stiamo facendo tentativi seri per salvare il pianeta o continuiamo a spostare in avanti le soluzioni? “Dobbiamo smettere di cercare occasioni per NON cambiare” ha affermato Michele Fino. Dobbiamo cominciare dai gesti quotidiani, dalle relazioni sociali,

persino dal carrello della spesa, non possiamo aspettare le grandi decisioni, occorre una nuova responsabilità di tutti.

I dati dell’Osservatorio Food Industry Monitor 2022 Il 2021 ha segnato una forte ripresa nel settore del food, con una crescita record del 6,8%, superiore a quella del Pil (6,6%). La crescita si protrarrà anche nel 2022 e nel 2023, con tassi intorno al 4% annuo, più del doppio del Pil. La redditività commerciale (ROS) ha raggiunto il 6,5% nel 2021, e le proiezioni indicano una sostanziale tenuta anche per 2022, nonostante le forti tensioni sui prezzi delle materie prime. La struttura finanziaria delle aziende del settore resta solida, con una lieve crescita del tasso di indebitamento. Nel 2021 le esportazioni hanno ripreso a crescere con un tasso superiore al 10%, in forte rimbalzo rispetto al -0,4% del 2020. Le esportazioni continueranno a crescere, ma a tassi molto più contenuti fino al 2023. Questi sono i dati generali elaborati dall’Osservatorio di Food Monitor Industry che, nelle previsioni 2022/2023 evidenzia come i comparti delle farine e del caffè saranno interessati nel 2022 da una crescita a due cifre, questo anche per effetto dell’aumento dei costi delle materie prime. Faranno bene anche i comparti dell’olio, dei surgelai e del latte. Il vino crescerà del 4,8%, appena al di sotto della media settoriale. I comparti più dinamici per le esportazioni nel 2022 saranno: distillati, birra, | luglio 2022

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latte e soft drink, ma anche vino e pasta fanno bene nell’export. **L’analisi delle performance di sostenibilità evidenzia che il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime a ridotto impatto ambientale. Circa l’88% delle aziende usa in via esclusiva o prevalente packaging sostenibili. Circa il 57% ha ottenuto una o più certificazioni inerenti alla sostenibilità ambientale e il 30% circa pubblica un bilancio di sostenibilità, mediamente da almeno tre anni. “Materie prime a ridotto impatto ambientale significa che sono state prodotte secondo criteri quali il km zero o l’agricoltura biologica, con fonti di energia rinnovabile e/o packaging da materie prime riciclate. La tendenza è molto diffusa, anche se utilizzata in modo non esclusivo. - ha precisato Carmine Garzia - Se dunque il 98% delle aziende utilizza del tutto o in parte materie prime sostenibili, solo un 22% le utilizza in modo prevalente. Rispetto ai dati dello scorso anno, le imprese stanno comunque incrementando in modo significativo gli investimenti in sostenibilità”. Per quanto riguarda le gestioni familiari delle imprese i risultati evidenziano che “le società familiari hanno un ruolo preponderante nel settore del food. Il 78% del campione di aziende analizzato è controllato da una o più famiglie. L’86% ha un Consiglio d’Amministrazione interamente composto da membri della famiglia, l’11% è caratterizzato da una composizione del CdA mista, che comprende membri esterni e interni alla famiglia; il 3% ha un CdA composto interamente da membri esterni. Solo l’8% delle imprese analizzate ha un CEO esterno alla famiglia”. “Un elemento su cui riflettere – sottolinea Alessandro Santini, Head of Corporate & Investment Banking per Ceresio Investors – se si considera che circa il 65% delle

aziende è attualmente gestito dalla prima generazione di imprenditori, il 30% dalla seconda e poco più del 4,5% riesce a giungere alla terza e quarta generazione. In molti casi insomma non si considerano i benefici di un modello gestionale aperto, che preveda l’affiancamento di manager esterni a membri familiari, e questo è spesso una delle cause di forte freno allo sviluppo. In taluni casi può minare la continuità familiare dell’azienda”. In generale, comunque, le aziende familiari che riescono a mantenere una guida solida e stabile hanno performance di redditività e produttività superiori a quelle con un CEO non familiare. I dati dimostrano che la scelta vincente è un management team con membri della famiglia affiancati da manager professionisti, cosa che consentirebbe alle aziende di ottenere migliori performance di redditività (ROS) e soprattutto di costruire un profilo di sostenibilità più solido”.

Le conclusioni di Carlo Petrini Un autentico visionario che anticipa sempre le tendenze, solo così si riesce a comprendere la lettura che Petrini dà di questo periodo storico: “È necessario coinvolgere i nostri studenti quando si organizzano queste cose – ha rimproverato in apertura del suo intervento – perché, in 18 anni di università, abbiamo formato centinaia di ragazzi che hanno aperto le loro piccole aziende nel settore dell’agroalimentare, sia produttrici sia di consulenza o marketing. Ed è importante ascoltare le loro voci, soprattutto in questo momento storico dove la risposta a guerre medievali può venire anche dai giovani, dal loro modo di guardare il mondo che è decisamente migliore rispetto al nostro. Infatti non possiamo più permetterci di fare i grandi appuntamenti, come l’ultimo a Glasgow della Cop26, e non mantenere gli impegni che ci siamo assunti. Occorre

Analisi delle performance - Crescita dei comparti Crescita ricavi 2022 FARINE

11,4%

CAFFE

10,0%

OLIO

9,7%

LATTE E DERIVATI

7,7%

SURGELATI

5,5%

VINO

4,8%

DISTILLATI ACQUA

3,6%

DOLCI

3,5%

SALUMI

2,7%

BIRRA

1,8%

PASTA CONSERVE

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2022: forecast Nostre elaborazioni su dati ISTAT

Settore: 4,6%

3,8%

1,4% -0,3%

|10luglio 2022

© 2022 Carmine Garzia – Food Industry Monitor – Tutti i diritti riservati


dirlo che il sistema alimentare, con tutte le sue contraddizioni, è il primo responsabile dello sconquasso ambientale, con emissioni cdi Co2 che incidono per il 34%. Non possiamo nasconderci dietro alla bellezza del paesaggio, dobbiamo affrontare il problema, mettere in atto cambiamenti profondi. Oggi più del 50% della pubblicità si gioca sul termine sostenibilità, ma quel termine è un elemento di pensiero ben più profondo! Il cibo non è solo una componente economica, non può essere ridotto a comparto economico e finanziario, esso è un elemento fondamentale per vivere e come tale deve essere trattato. Cominciamo con il farlo noi, persone semplici, cambiando alcuni nostri gesti assurdi: come smetterla di comprare un etto di prosciutto avvolto nella plastica. Oppure la produzione agroalimentare che produce cibo per 12 miliardi di viventi, siamo però in 7 miliardi, quindi il 33% del cibo nel mondo viene sprecato, il 33% capite? Quanti milioni di terra fertile vengono utilizzati male? Quanti milioni di acqua vengono sprecati? Sono questi i pensieri che occorre tenere a mente, insieme a un altro: trecento anni fa la rivoluzione industriale ha creato le condizioni per permettere all’uomo di vivere bene ma partendo da un principio profondamente sbagliato: che le risorse fossero infinite!” Ora abbiamo davanti un’altra rivoluzione, più difficile da attuare perché nessuno di noi ne vedrà le conseguenze positive; quella della transizione ecologica. “Una rivoluzione – afferma Carlo Petrini – che non si può misurare sulle nostre esistenze, una rivoluzione che ancora non conosciamo ma che è indispensabile iniziare per non correre il rischio che l’umanità non abbia più il tempo sufficiente per cambiare. Dobbiamo capire che non è nella crescita la salubrità”.

Carlo Petrini

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RITRATTI

Gli angeli custodi del risotto Conosciamo l’attivissima Confraternita del risotto di Sannazzaro de’ Burgondi clicca e leggi l’articolo sul web

Autrice: Simona Vitali

È un grande piatto il risotto, un piatto identitario della cucina italiana. Lo è per la sua eleganza, per l’incredibile versatilità della ricetta, che consente una vasta gamma di combinazioni, per il suo aver abitato, nel tempo, tutte le tavole (da quelle nobiliari a quelle povere) ed essersi diffuso nelle cucine del pianeta. Una lunga storia porta alla ricetta canonica del risotto che già a fine ‘800 risulta codificata in quelle forme che giungeranno ai giorni nostri, come documenta magistralmente il bibliografo Alberto Salarelli, membro della Confraternita del risotto di Sannazzaro de’ Burgondi, nel prezioso libro Risotto. Storia di un piatto italiano.

La Confraternita del risotto di Sannazzaro De’ Burgondi La nostra attenzione intende soffermarsi proprio su quest’ associazione di levatura culturale, che riunisce cuochi, giornalisti, scrittori, professori universitari, ristoratori, sommelier, nutrizionisti e in generale cultori del buon risotto. Capitanata da un presidente, Pietro Bolognesi, che segna instancabilmente il passo nel farsi capofila delle più diverse iniziative per “difendere, diffondere e valorizzare questo piatto, preservandone le caratteristiche di base e garantendone la qualità della preparazione”, la Confraternita del risotto, che festeggia giusto quest’anno vent’anni di vita e ha la sua sede a Sannazaro de’ Burgondi (PV), è un vero proprio mondo da scoprire e di cui fare tesoro.

Pietro Bolognesi (presidente Confratenita risotto)


da sx Paolo Calvi e Giuseppe Marchini (Cerimoniere e vicepresidente Confraternita del risotto), Francesco Jannuzzi (presidente Club Dodici Apostoli), Pietro Bolognesi (presidente Confratenita risotto), Marco Porzio (presidente FICE), Gilberto Bernini (Confraternita de risotto).

Aderirvi significa impegnarsi a portare il proprio contributo, sapendone però. E qui sta la differenza rispetto ai facili innamoramenti. Non basta dirsi appassionati di risotto, bisogna dimostrare di essere sul pezzo. “Tu come fai il risotto?” è la domanda che inesorabilmente parte dal presidente con nonchalance, mentre si parla del più e del meno. Seguono immaginabili annotazioni, perché qui non si va di pressapochismo ma di nozioni ben precise. Quest’associazione, che conta molte consorelle in giro per l’Italia (per citarne solo alcune: Arciconfraternita del culatello di Soragna, Confraternita del peperone di Voghera, Confraternita della patata di Bologna, Club dei Dodici apostoli, Confraternita d’la Tripa D’moncale, Accademia della castagna bianca di Mondovì...) esercita una certa attrazione in chi l’approccia. Al suo interno si respira un bel clima di accoglienza, si capisce che c’è coesione, e la giovialità, che sempre si dovrebbe accompagnare alla consumazione del cibo, qui è la regola. Lo si dice spesso che la magia sta tutta nel godere di ciò che si mangia. Ma attenzione, è dalla testa che parte questo che sembrerebbe il più naturale e scontato degli effetti!

L’intronizzazione di nuovi confratelli La buona notizia è che c’è apertura ai nuovi ingressi (che nelle Confraternite non è mai cosa così scontata) purché nei candidati ci sia motivazione vera a portare avanti la cultura del risotto, naturalmente. Su questo tutti i confratelli sono d’accordo, perché poi c’è del lavoro da fare. Entrare nella Confraternita del risotto non è il vanto di collezionare spillette, e non è casuale il riferimento. In molti sono ingolositi da questo. Certamente quei mantelli color arancio e il cordon d’or ocra che connotano un’appartenenza ben precisa,

esercitano un grande fascino, come quel rito che sa di antico, e per questo ancor più attraente, di intronizzazione dei nuovi candidati. Immaginate i confratelli del direttivo avvolti dai loro mantelli e con al collo cordon d’or tempestati di spillette che sembrano opere d’arte - segno delle tante partecipazioni a convivi propri e delle altrui confraternite - immaginateli, appunto, in ascolto del giuramento del candidato che si impegna a “divulgare in omne cittade e omne contrada la gloria de lo Risotto, nello rispetto dello statuto”. E soltanto dopo investire il candidato con un cordon d’or che è come una pagina bianca, ancora tutta da scrivere o meglio da riempire di spillette che guadagnerà sul campo con la partecipazione ai convivi.

Il protocollo per un buon risotto e il marchio di garanzia La Confraternita del risotto, con l’apporto di cuochi, esperti di enogastronomia ma anche attraverso una disamina storica delle tradizioni popolari radicate nella provincia di Pavia e Lombardia che al risotto ha dato i natali, ha messo innanzitutto a punto il protocollo per un risotto degno di questo nome, andando a rimarcare quattro passaggi indispensabili per la sua preparazione: soffritto, tostatura, aggiunta graduale di liquido e mantecatura, sviluppati in ben cinque pagine di testo, ricche di precisazioni, chicche, spunti, validi promemoria... come quel “ importante è tenere presente che il riso continua a cuocere fuori dal fuoco: mentre lo si sta mantecando (calcolate un minuto) e mentre lo si serve nei piatti e lo si porta in tavola (1/2 minuti)”. Oppure una disamina sul riso scotto “macchia infamante per ogni gastronomo, di professione o dilettante che sia” con la puntualizzazione che “il tempo di cottura (del risotto) dipende da molti fattori: la varietà | luglio 2022

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Il coro delle mondine di Novi (progetto Riso a tutto tondo di Luigina Baistrocchi)

del riso, la stagionatura, la lavorazione a cui è stato sottoposto, il calore del fornello, il tipo e la forma del recipiente, il rapporto tra il riso e il liquido presente in pentola, il gusto personale. Vero guaio è quando fautori del riso al dente e amanti del riso ben cotto si trovano sotto lo stesso tetto!” Al protocollo è stato associato un marchio di qualità registrato, che viene conferito a quelle attività ristorative che si impegnano a rispettare con continuità tutti gli aspetti stabiliti dal protocollo. “A questo proposito – spiega il presidente Pietro Bolognesi – ogni confratello ha il preciso compito, direi dovere, di segnalare al direttivo i locali potenzialmente meritevoli, anche fuori regione, dell’assegnazione del marchio di qualità.

A seguito di visita e valutazione, se il giudizio è positivo assegniamo il marchio di qualità, facendo sottoscrivere al ristoratore il suo impegno. A riprova della serietà dell’assegnazione del riconoscimento, ci tengo a precisare che il marchio può essere revocato, così come è accaduto in un paio di occasioni. Siamo molto radicati nel territorio. Per i ristoratori rappresentiamo un baluardo in difesa della tradizione pavese, lombarda, italiana in tema di risotto, pur rispettando le tendenze innovative”.

Il risotto in menù? Croce e delizia, il risotto divide il popolo degli chef. Sono in diversi quelli che non hanno il coraggio di metterlo in carta e quando c’è vi si trova spesso quel

Pietro Bolognesi fa lezione agli studenti dell’istituto Santachiara di Stradella

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vincolo “minimo per due” a condizionare le scelte dei commensali. “Per fare un buon risotto – spiega Pietro Bolognesi – occorre un cuoco che ci si dedichi per più di 20 minuti, oltre ad eventuali operazioni preparatorie. E questo è un costo, ecco il perché del minimo per due. C’è poi il rischio di immagine, perché diversi sono i fattori per cui un risotto può non venire perfetto”. Intanto che stiamo discorrendo Bolognesi ci svela anche il perché nell’Oltrepò pavese è marcata la tradizione del risotto: “Uno dei motivi – racconta – è che le mondine oltrepadane venivano pagate oltre che con il salario anche con un kg di riso al giorno, che puntualmente cucinavano. Così hanno imparato a fare bene il risotto”. Le mondine, queste grandi donne che hanno conosciuto la fatica della ‘monda’ e che per resistere, non sentire la fatica, cantavano anche ‘canti a dispetto’, che servivano per comunicare, protestare denunciare... E che, forse non lo sanno in troppi, grazie alla loro lotta hanno portato al riconoscimento delle otto ore di lavoro giornaliero.

Lo spirito curioso è solo costruttivo Il tratto che accomuna i confratelli è un grande spirito curioso, quell’insaziabile bisogno di conoscere che è un approccio in senso più ampio alle cose della vita, e non si limita al risotto. Basta guardare al presidente che, nel corso del tempo, ha assommato più ruoli, arrivando a rivestire anche quello di Presidente della Confraternita del peperone di Voghera, gran maestro della tagliatella alla Santa Giuletta, vice presidente di Coenobium, la prima esperienza di Federazione provinciale di tutte le confraternite e associazioni della provincia di Pavia. Perché il sapere è tale se non è settoriale. Sta di fatto che nella Confraternita corre una bella energia che si traduce in un carnet di iniziative da lasciare basiti i più attivi organizzatori di eventi. Dalla nascita (2002) ad oggi c’è stato un ampliamento del raggio di azione con la creazione di delegazioni su Milano, Alassio, Salsomaggiore e Zurigo, per meglio adempiere al giuramento. Molte sono le iniziative culturali organizzate tra serate a tema con il coinvolgimento dei più diversi produttori ma anche di carattere più generale (fisica e chimica in cucina, cucina e sport, comunicazione in senso più ampio e nei gruppi enogastronomici....), la formazione nelle scuole alberghiere per tramandare ai ragazzi il risotto secondo tradizione, i momenti conviviali di scambio con le altre confraternite, la partecipazione attiva a progetti ed eventi sul territorio, che siano ad opera di istituzioni o associazioni locali, sovente arricchita dalla creazione di risotti dedicati (risotto con la pesca di Volpedo, risotto con la cilie-

gia di Bagnaria, risotto di Sannazzaro o del burgundo con burgondella -formaggio fresco locale- salame d’oca e bietola rossa, risotto con la patata di Cencerate del Brallo, risotto di Bressana Bottarone con le noci, risotto di Salsomaggiore con le quaglie...). Nel tempo è stata pure creata una scuola dei risotti, aperta a tutti, che ha avuto un buon successo. Non possiamo non nominare un recente progetto denominato “Riso a tutto tondo” capitanato dall’attivissima delegazione di Salsomaggiore, coordinata da Luigina Allodi Baistrocchi, che ha contemplato ben due diversi percorsi multisfaccettati di formazione per le scuole (media e alberghiera), l’organizzazione di un concorso con i ragazzi dell’alberghiero per dar vita al risotto di Salsomaggiore, una raffinata cena di gala di presentazione del suddetto risotto e un pomeriggio a teatro con le mondine di Novi, perché chi ha fatto la storia non va mai dimenticato! Parlando con il presidente abbiamo scoperto che per il prossimo autunno bolle in pentola un corso ad alta concentrazione di contenuti, di cui daremo comunicazione più dettagliata, per far conoscere il percorso dal riso nel campo al risotto nel piatto, tra il teorico e l’esperienziale, che si snoderà in un’intera giornata, con tanto di degustazione di risotti. Un distillato di nozioni che non è facile trovare in un unico contesto. Lunga vita alla Confraternita del risotto, al suo infaticabile impegno di tenere alto il nome di un piatto che è talmente italiano da risultare intraducibile in qualsiasi lingua!

L’assegnazione del marchio di qualità a Serena Pretto della Locanda del Mantegna di Piazzola sul Brenta

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FARE RISTORAZIONE

Autrice: Marina Caccialanza

Bologna, città antica, città colta e impegnata. Città che, nell’immaginario comune, offre l’immagine di un luogo e di cittadini dediti all’opulenza e alla sana allegria. Del resto, per descriverla, sono quattro gli appellativi usati: la dotta, la grassa, la rossa, la turrita. La dotta per la sua antica Università, la rossa per il passato politico ma anche per il colore delle mura e dei tetti, la turrita per le due torri simbolo che svettano nel cielo. La grassa: ebbene, qui, non c’è dubbio che il titolo si riferisca alla sua cultura gastronomica ricca di piatti divenuti iconici come i tortellini, la mortadella, le lasagne, il suo famoso ragù sulle tagliatelle, e guai a modificare la ricetta storica. Bologna è la capitale del gusto, o almeno una di esse. In una città popolata di buongustai, il cibo è certamente importante, il commensale è forse difficile da soddisfare, la tradizione un baluardo. Compito arduo per la moderna ristorazione che si trova a tenere il passo con tanta fama.

Bologna, spirito libero

Bologna la dotta, Bologna la ghiotta, vivace e sanguigna, legata alle tradizioni, amante del bello e del buono ma anche ricettiva e attenta alle novità, aperta a nuove esperienze

La città più bella del mondo

Lo afferma con entusiasmo Dario Picchiotti, toscano di nascita ma bolognese d’adozione, patron di Antica Trattoria Sacerno, Casa Merlò e Merlino, tre format che rappresentano una filosofia unica: “Per me, Bologna è la città più bella del mondo e il bolognese il buongustaio per antonomasia, riconosciuto in tutta Italia. Di fatto, è un bel cliente: gli piace mangiare, è godereccio di natura ed è clicca e leggi l’articolo sul web un piacere accontentarlo. Se questo è vero, è vero anche che il bolognese, quando si trova nella sua città, tende a chiudersi. Il fatto è che si sente a casa sua, qui è forte e comanda”. L’esperienza bolognese di Dario Picchiotti inizia 12 anni fa quando assume il comando di un locale storicamente frequentato dai modenesi e non dai bolognesi. Fatto bizzarro che lo porta a interrogarsi sulle motivazioni di questo comportamento. Uno dei pregi dei bolognesi, infatti, dichiara Picchiotti, è proprio quello di stimolare il confronto: “In generale, ci sono clienti difficili e altri meno difficili; i bolognesi sono difficili e io li amo per questo. È il cliente difficile che ti fa crescere, ti sprona a migliorare, sempre, e accontentarlo è una sfida da vincere perché ti offre la sua visione delle cose e spunti interessanti. Oggi, da me, tutti bolognesi”.

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Lo chef Dario Picchiotti

La sfida (vinta) di Dario Picchiotti è stata quella di proporre una cucina creativa di pesce in una città dove il pesce era servito quasi esclusivamente nelle pizzerie gestite da persone originarie del sud Italia. “In centro a Bologna – spiega Picchiotti – nessuno, o quasi, faceva pesce in ristoranti di fascia alta. Quando sono arrivato, ho capito che era una opportunità e ho introdotto la novità di una cucina di mare creativa, che va oltre il classico spaghetto con le vongole, una cucina tecnica di gusti estremizzati, che si può definire gourmet, anche se non mi piace il termine: ricercata si addice meglio. Il pesce, adesso, ai bolognesi piace un sacco! Quattro volte tanto!”. Una clientela medio alta all’Antica Trattoria Sacerno, tradizionale a Casa Merlò e una fascia di clientela più giovane per Merlino, dove il piatto forte sono hamburger e pizza, ma è un luogo nato per perpetrare la tradizione più pura: “I tortellini in brodo sono un’icona e li servo anche in luglio. Del resto non puoi fare innovazione se prima non mantieni viva la tradizione: cullarsi nelle proprie radici, stimola le novità”.

Semplice e casalinga la cucina bolognese? Assolutamente, no! Massimiliano (Max) Poggi è nel mondo della cucina da 37 anni, e in questi anni ha visto la ristorazione cambiare, continuamente. Massimiliano Poggi Cucina, il suo ristorante a pochi minuti dal centro di Bologna è il luogo dove oggi esprime il suo concetto

di ristorazione. “La ristorazione ha attraversato varie fasi – spiega Poggi – e Bologna non è indenne da queste trasformazioni. Negli anni ottanta il servizio di sala era predominante e l’accoglienza scenografica rappresentava quasi uno status symbol, mentre la cucina si limitava a una replica di una buona cucina casalinga; poi, negli anni novanta, Gualtiero Marchesi rivoluzionò il concetto e il cuoco divenne protagonista. Dalla personalizzazione del servizio passammo alla personalizzazione della cucina. Oggi, il format è nuovamente cambiato: il fulcro dell’offerta è il benessere, inteso come sensazione di star bene in un luogo, e la sala e la cucina si fondono per creare un’esperienza appagante: il cliente compra due ore di benessere e il ristorante deve essere all’altezza di questa aspettativa. Obiettivo difficile da raggiungere. Si è sempre creduto che a Bologna regnasse la tradizione della cucina semplice e genuina, ma è un equivoco: il binomio cucina genuina/semplicità, è sbagliato. Non c’è nulla di semplice nella cucina tradizionale, né di banale. È passata, nei secoli, attraverso profonde rivisitazioni attuate da miliardi di casalinghe e di professionisti. Prendiamo il ragù, ha subito tante trasformazioni che oggi non possiamo approcciarlo usando il termine ‘semplice’, perché questo non corrisponde alla realtà”. In questo contesto culturale, il buongustaio bolognese è un cliente esigente: in ogni famiglia c’è una mamma o una nonna, qualcuno che cucina bene e, pertanto, le sue aspettative al ristorante sono altissime. Non solo | luglio 2022

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Lo chef Massimiliano Poggi

vuole mangiare bene, vuole stare bene e vuole anche giustificare la spesa, vuole la sostanza oltre la forma. Spiega Max Poggi: “Il cliente bolognese, spende volentieri ma vuole che la spesa che sostiene sia fatta con cognizione. In questo sì, è molto esigente”. Massimiliano Poggi Cucina ha ridisegnato il percorso e la riscoperta delle carni. Non tanto la bistecca in quanto tale ma la replicabilità delle cotture e la costanza della percezione della cottura nel tempo. “La gente ha voglia di profumo di brace – afferma Poggi – e non parlo di affumicatura ma di quel gusto e quel sapore che solo la brace e il carbone offrono. Cerca l’abbraccio rassicurante di una coccola: il tema della cucina moderna è dare quel tipo di sensazione di coccola rendendola attuale. Se vogliamo fare un passo verso il futuro, dobbiamo rendere identitario il prodotto rassicurante. Non è facile, richiede applicazione”.

“Il bolognese, così come l’italiano in generale, è tradizionalista e campanilista ma esiste anche una fascia ampia di persone che si lasciano contaminare volentieri e, con mentalità aperta, vanno incontro a espe-

rienze nuove e diverse”. Lo afferma Mario Ferrara, ristorante Scaccomatto, che appartiene a quella generazione di ristoratori giunta dal sud Italia negli anni ottanta, che ha vissuto in prima persona le varie fasi delle trasformazioni della società e della ristorazione italiana. Racconta, infatti: “Sono arrivato a Bologna da Matera, e ho imparato che colui che parte è suo malgrado naturalmente contaminante. Ognuno di noi si porta dietro un bagaglio di pensieri, saperi, cultura, sapori e profumi. Quando sono arrivato a Bologna ho dato inizio alla mia contaminazione, subito, perché era insita in me. Negli anni ottanta, le verdure, in tavola, non c’erano. Nemmeno le conoscevano. Ho iniziato un lavoro di sensibilizzazione e, devo riconoscere che, col tempo, si è rivelato vincente”. Mario Ferrara ha vissuto quello scontro culturale che, sempre, accompagna l’incontro di due realtà intellettualmente diverse. Ha saputo dare un contenuto profondo a questo scontro e fare della contaminazione un’opportunità di crescita: “Oggi c’è più consapevolezza e attenzione. I giovani sono più aperti. La città è molto cambiata – racconta Ferrara - anche grazie alle contaminazioni portate dai meridionali come me che hanno saputo dare freschezza all’offerta. Il vero

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La contaminazione è evoluzione e arricchimento


tradizionalista ha paura di farsi contaminare, e a Bologna, come probabilmente ovunque, ci sono ancora delle sacche molto resistenti. Vedono la contaminazione come un sopruso alla tradizione ma non è così: la contaminazione è arricchimento, è evoluzione. Del resto, se facciamo l’analisi dei piatti della tradizione ci accorgiamo che molti ingredienti non fanno parte del luogo ma vengono da lontano, pensiamo alla noce moscata, al pepe, immancabili nelle ricette emiliane”. Scaccomatto, che oggi Mario Ferrara guida insieme al figlio Simone, ha conquistato i bolognesi con la stagionalità e la freschezza delle sue verdure, protagoniste indiscusse, con la sua cucina di pesce e di carne: “Siamo qui da 35 anni; prima eravamo i lucani, i diversi, oggi siamo solo italiani e bolognesi”.

bertà di scelta, oppure un menu degustazione a base di tradizione affidandosi alla mano libera dello chef e agli abbinamenti in sala della nostra cantina”. Un modo innovativo di fare tradizione - che classicamente può essere etichettato come una cosa vecchia - ma in un ambiente giovanile: “La media dei nostri ragazzi è 30 anni e molti ci dicono di sentirsi a New York – afferma Lorenzo - il cocktail bar è condotto da Nico, talentuoso barman esperto di mixology interamente prodotti in

Innovare non significa ribaltare come un calzino un prodotto iconico Una cucina bolognese moderna e vini naturali. Oltre è un nuovo format di ristorazione che il suo fondatore, Lorenzo Costa così definisce: “Siamo stati in grado di intercettare quella linea sottile e molto fortunata in grado di creare un’esperienza. Non facciamo magie, non innoviamo. Abbiamo per 6 anni ricreato e rispettato la tradizione bolognese senza troppi voli pindarici. Più che sull’offerta ci siamo concentrati sulla formula. Da Oltre, è possibile scegliere à la carte lasciando liInterno del ristorante Scaccomatto

Lo chef Mario Ferrara

Il dehor del ristorante Scaccomatto

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house al piano di sotto, e abbiamo una cantina di più di 300 etichette naturali: è stato un bel mix vincente”. Una sfida, dunque in un contesto tradizionalista. “Il cliente bolognese è saldo alle proprie tradizioni – spiega Lorenzo Costa - conscio della grandezza gastronomica di Bologna, importante centro e obbligato passaggio di nazionalità e internazionalità. Ha un occhio critico verso la pasta, un gusto sensibile verso le mille varianti e sfumature del ragù. È godereccio e sicura-

mente molto fiero della storia di cui si sente parte. È pur vero che il cliente bolognese puro non esiste quasi più. Bologna, anche e soprattutto post covid, ha confermato il suo essere un pedaggio internazionale; più che il cliente bolognese sarebbe il caso di dire ‘il cliente che passa per Bologna’ e che ha voglia di un tuffo breve e inteso nella tipicità più pura, quella fatta bene, ma anche una grande voglia di scoprire cosa Bologna può offrire con le sue mille contaminazioni e nuove aperture”. È il ritratto di una popolazione dove una fascia importante resta indissolubilmente legata al proprio background gustativo non solo per una questione anagrafica, più per un fattore legato alla curiosità, agli stimoli e ai percorsi personali: “Da noi transitano ospiti da tutto il mondo e bolognesi doc – afferma Lorenzo - è difficile tracciare gusti in base all’età”. Conclude Lorenzo Costa: “Abbiamo una grande responsabilità. Ogni giorno trattiamo con perfetti sconosciuti, facendo conoscere un pezzo di noi, di quello che facciamo, di quello che siamo. E non conta se facciamo innovazione o tradizione, importa farlo con autenticità e verità. Importa che l’ospite che è entrato dalla nostra porta abbia trovato esattamente quello che cercava e se così non fosse stato, speriamo che non lo sia stato per sorpresa e per curiosità assolta più che per delusione, pressappochismo e sufficienza”.

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Lorenzo Costa con i suoi collaboratori


FARE RISTORAZIONE

Paolo Dolzan e la moglie Elisa

Perbacco wine bar

PerBacco

La ristorazione che appaga clicca e leggi l’articolo sul web

Autrice: Simona Vitali Trovarsi in Val di Non tra filari di mele, castelli, eremi, piccoli centri sparsi qua e là non è come essere fra le tentazioni di una Milano che ogni giorno sfodera nuovi locali e format, in una sorta di gara fra chi è più capace di sorprendere. Dove a dominare è un altro passo si parla una lingua diversa, ci sono altre priorità. E si vive e lavora, sodo, in modo più composto, senza fare troppo clamore. A parità di approccio, vale a dire senza avere avuto il tempo di studiare le offerte del territorio in anticipo, imbattersi, nel borgo di Mezzolombardo (TN), in un ristorante capace di confortarti nel vero senso della parola, senza che tu abbia nutrito aspettative, vale di più, molto di più.

Le intuizioni giuste al momento giusto Stiamo parlando di PerBacco, quasi vent’anni di vita (un valore ora più che mai), nato per volontà di Paolo

Dolzan e della moglie Elisa Bonetti, che negli anni hanno rivelato una tale padronanza della materia da renderli capaci di evolvere e diversificare la propria attività, sempre in modo opportuno però. Avere le intuizioni giuste al momento giusto. È questo che fa di un ristoratore un vero imprenditore. Paolo è prima di tutto cuoco, cuoco da sempre. La sua formazione si è forgiata in hotel di lusso, dove si è innamorato del bello, di quei piccoli accorgimenti che solo lì si possono trovare. Non si è accontentato di sole esperienze lavorative, la sua insaziabile curiosità lo ha portato a regalarsi stage in hotel come Principe di Savoia di Milano, Zur Rose di Appiano... L’emozione della stella è arrivata anche a lui, nel periodo in cui stava lavorando con Aldo Fiocchetti, che l’ha conquistata con lo Scrigno del Duomo (TN). Poi nel 2003 la chiamata, quella voce dentro che gli dice che è ora di fare il passo. | luglio 2022

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Acquista e ristruttura un immobile nella vecchia borgata di Mezzolombardo, 7742 abitanti, dove apre un ristorante, PerBacco, che pian piano cerca di tarare rispetto alle esigenze del territorio, avanzando intanto nuove idee. Fra le altre cose sarà il primo a offrire servizio di vini al bicchiere come pure una proposta ridotta di menù (tre antipasti, tre primi e tre secondi). Paolo non tarderà a comprendere che vale la pena tenere aperto solo la sera e dedicare il “di giorno” alla banchettistica, complici anche contatti interessanti con belle aziende locali. Le serate al ristorante, che per come intende lavorare non contemplano più di 25 coperti, prendono corpo e si animano di una clientela variegata, giovane e meno giovane, alla ricerca di qualcosa in più, che spesso arriva da fuori zona (Bolzano, basso Garda, basso veronese), per cui ha la necessità di pernottare in loco.

I frutti dell’esperienza Nel 2016 Paolo, insieme alla moglie, matura, l’idea di fare ristrutturare altri due piani dell’immobile per ricavarci quello che diventerà il B&B Perbacco Relax. Ma non è finita, nel 2020, prende vita un’altra scommessa, concepita con due amici imprenditori, che parte dall’acquisto di un immobile nel centro del paese, che viene trasformato in bistrot con piccola cucina, il PerBacco wine bar, che a pranzo serve piatti di sostanza e di sera si trasforma in una sorta di cocktail bar, dove si serve un aperitivo rinforzato, che è diven40

tato un riferimento nella piana rotaliana. “Il wine bar sta funzionando molto bene – ci racconta Paolo - piace. È qualcosa che mancava. Nessuno se lo aspettava qui”. Una macchina complessa questa attivata da Paolo ed Elisa, considerando tutte le attività nel loro insieme, che chiede tanta organizzazione. “È venuto tutto da sé a forza di lavorare.– ci spiega Paolo - Tanti accorgimenti sono arrivati con l’esperienza. Sì, è l’esperienza che ci ha portato qui e, lo devo proprio dire, uno staff di cui sono molto fiero, che crede nel progetto. Fra loro c’è chi è con noi dall’apertura del primo locale. È una squadra coesa, c’è una grande intesa fra noi, a volte basta uno sguardo”. Oppure, aggiungiamo noi, basta sentirli parlare, cogliere il loro entusiasmo, la carica motivazionale.

Uno staff che crede nel progetto Barbara Orru è in cucina con Paolo. La loro regola è cambiare, ma cambiare veramente, il menù ogni mese. Nulla di passato viene ripetuto, semmai ispira nuovi piatti. Le loro idee si integrano e completano. La | luglio 2022


bellezza sta in questo. Tocco maschile e tocco femminile. Il risultato? Piatti mai banali, mai copiati. Quella di personalizzare è un’esigenza. I piatti vogliono appagare, dare soddisfazione piena. Sono ricchi, stimolanti ma soprattutto concreti. Niente voli pindarici che in Val di Non stonerebbero anche, oltre al fatto che iniziano a stancare anche altrove. Barbara si è specializzata sui lievitati e sui dolci ma all’occorrenza, quando c’è qualche catering, sostituisce Paolo in toto. Basta fermarsi a parlare con lei, per accorgersi che ragiona come lui, con la stessa cognizione di causa. In sala Elisa, figlia di albergatori e sommelier, conduce, garbata, i clienti in piacevoli esperienze degustative con la sua selezione dei vini. Lei il suo Paolo lo supporta in tutto ma agisce anche da moderatrice perché lui è un continuo rilanciare. Ed è donna estremamente pragmatica. Certe mansioni non le demanda ma se le accolla, ne vuole il polso. Insieme ad Elisa in sala, un professionalissimo Amos Bassette, che Paolo aveva avuto come collega ai tempi dello Scrigno del Duomo, rassicurante e dispensatore di buoni consigli. Un interlocutore assai gradevole. Jessica Orru e Matteo Sala invece si dedicano a proporre sfiziosi aperitivi, nulla a che vedere con quelli commerciali, fatti di patatine e olive. Buoni cocktail o giusti calici di vino e sfiziosi bocconcini in accompagnamento sono la regola sacrosanta. Ambienti piacevoli, tanto il ristorante quanto il wine bar, che “fanno compagnia” anche a chi li frequenta in solitaria. La reputazione, quella la si guadagna sul campo nel corso di intonsi anni di lavoro. E la fiducia pure. Fra i servizi dispensati da Paolo insieme alla sua squadra c’è anche quello di cucinare a casa di famiglie del luogo, per le quali la riservatezza è il principale requisito prim’ancora della bontà dei piatti. Un bel cameo, meglio di certe vetrofanie.

Una cucina fatta di piccoli accorgimenti La cucina di Perbacco è prevalentemente stagionale: ci tiene a preservare piatti legati alla tradizione trentina ma ripropone anche gusti legati alle origini geografiche di chi vi mette mano (Barbara è sarda) o più semplicemente incontrati nei viaggi. Non si può non citare il risotto al Teroldego, il caratteristico vino della piana Rotaliana che include anche Mezzolombardo, che a Paolo riesce particolarmente bene per aver escogitato di utilizzare il succo di rapa rossa per togliere la nota di amaro che si accentua in quel vino quando lo si riduce. Un piatto gettonatissimo e molto richiesto anche nella banchettistica. Particolarmente amati pure gli gnocchi, apprezzati per la loro leggerezza. Paolo, che è quello degli accorgimenti, cuoce le patate a vapore in forno, così assorbono meno farina. D’estate vengono proposti anche gustosi piatti freddi come lo spaghettone Matt Felicetti con crema di zucchine, basilico, menta, olive del Garda e erbe del Baldo o manzo al rosa, giardiniera fatta in casa e gel al miele. E poi dolci particolarmente golosi come quella palla a base di latticini freschi e yogurt aromatizzata con scorza di limone, lime e arancia e avvolta in uno strato croccante di meringa o brownie al cioccolato con pasticcera di ribes e lamponi, dove la pasticcera è fatta con purea di ribes anziché con il latte. Recentemente Paolo ed Elisa hanno acquistato un’area limitrofa al ristorante, dove intendono realizzare uno stiloso B&B per quei clienti che desiderano coronare la serata in bellezza. Lavorare a testa bassa, lavorare sodo. Lontani dai clamori, sospinti da un’unica motivazione: amare molto quello che si fa. Apriamo agli occhi, ci sono luoghi pronti a darci quel benessere che si farà ricordare. Fuori dalle rotte tracciate!


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Una nuova stagione per il caffè

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A partire dall’esperienza di Fluid, concept innovativo aperto a Firenze, parliamo delle opportunità per il mondo della ristorazione Autrice: Giulia Zampieri Il mondo del caffè sta cambiando anche in Italia. È un processo a rilento che si scontra con resistenze culturali estremamente radicate nel nostro Paese, uno dei meno all’avanguardia sul tema. La conversazione con Giuseppe Adelardi e Iacopo Bargoni, con Prunella Meschini soci fondatori di FLUID, un concept innovativo inaugurato a Firenze a fine maggio scorso, mette in luce non solo i margini di miglioramento per il caffè in Italia, ma pure le opportunità per il mondo della ristorazione. Ci arriviamo con questa intervista.

Fluid, apripista nella nuova stagione del caffè

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Transitando per Borgo la Croce, nel centro storico di Firenze, è inevitabile fermarsi davanti all’insegna di Fluid, nata dall’incontro tra Le Piantagioni del Caffè, torrefattore livornese, e IDEA Food & Beverage, società di consulenza strategica e marketing con sede a Milano. La sensazione che lì dietro si faccia qualcosa di nuovo, energico, coinvolgente, è palpabile, tanto che a locale ancora in fase di ultimazione già c’era chi si affacciava


per raccogliere informazioni. “Fluid è un locale che vuole educare le persone al caffè di qualità, un prodotto che presenta molte complessità” - spiega Giuseppe Adelardi di IDEA Food & Beverage. “Non abbiamo scelto un linguaggio qualsiasi ma gioviale, spensierato, semplice per riuscire ad abbattere le barriere generate da consuetudini sbagliate e falsi miti che riguardano il caffè. Abbiamo scelto Firenze come prima città per un motivo preciso: è la città italiana con la più alta concentrazione di caffetterie di alta qualità, sia grazie alla grande voglia di cultura dei fiorentini, sia per via dell’importante presenza di studenti, lavoratori e turisti stranieri che hanno portato nuove idee, contaminazione e apertura mentale”. Oltre la vetrina di FLUID, su cui è stato ricavato anche lo spazio per il take away, si scorgono stampe e oggetti colorati, luci al neon, prese per la ricarica di pc e telefoni, una gradinata che funge da originale seduta, un bancone di sette metri su cui sono posizionate tre macchine da caffè espresso ModBar della Marzocco che consentono la completa visibilità dei gesti di chi sta al bancone, un pannello ledwall che racconta le formule del giorno e i caffè proposti (a rotazione frequente). A metà locale, invece, l’innovativa macchina Pour steady per l’estrazione del caffè con filtro, quello che più si presta al consumo lungo e conviviale, poco diffuso in Italia e che rappresenta una grande sfida per FLUID. E proprio lei è protagonista di un primato: per la prima volta al mondo la Pour steady viene posta nel centro della sala, a disposizione del cliente, che può così estrarre autonomamente un caffè perfetto, al millimetro. Continua Adelardi: “Siamo convinti che qui possa partire una nuova ondata attorno al caffè di singola piantagione, ai caffè specialty e alle estrazioni alternative all’espresso. Una prima conferma arriva proprio dalla clientela.

A un mese dall’apertura oltre il 20% della clientela sceglie caffè in filtro e la maggior parte, se si tratta di espresso, ricade su caffè di singola piantagione. Il target è più ampio del previsto e si è già consolidata una buona fetta di frequentatori che vengono appositamente per il caffè. L’obiettivo è consolidare una community di persone che amano questi prodotti e riuscire ad aprire locali analoghi in altre città italiane a cominciare da Milano”.

Il caffè di qualità è un nostro bisogno (ma non lo sappiamo) Parlando con Giuseppe Adelardi arriviamo al vero nocciolo della questione che prescinde dal successo del locale. L’ambizione per tutti quelli che hanno contribuito alla nascita di FLUID è più alta. “La maggior parte delle persone probabilmente ha voglia di bere un buon caffè ma non ne conosce ancora i connotati. Ma è anche vero che è stato fatto poco per stimolare questo potenziale bisogno di ‘caffè buono’, a prescindere che sia un espresso o un caffè filtro. Nella ristorazione e nel mondo delle caffetterie va rinnovato il sistema: devono entrare prodotti qualitativamente più alti, si devono adottare metodi di estrazione adatti al luogo e alla percentuale di caffè estratti ogni giorno, vanno rivisti i prezzi, e si deve iniziare ad adottare il giusto registro divulgativo oppure il messaggio che arriva è inefficace. In questo progetto abbiamo tenuto davvero conto di tutti questi aspetti rendendo il più fruibile possibile la formula”. Per la maggior parte degli italiani il modo di consumare il caffè è estremamente banale, privo di ricerca e modernità. È un’esigenza che si soddisfa facilmente e velocemente, il tempo di recarsi al primo bar vicino a casa, se non lo si fa autonomamente con una macchina domestica o una moka. Converrete con me che è più una consuetudine che un piacere.


L’origine dei chicchi, in media, interessa poco, così come l’intera filiera: sinora è stata poco valorizzata dalla maggior parte delle aziende di torrefazione e sicuramente anche il legislatore ha le sue colpe in merito. Non prestiamo attenzione al metodo di estrazione, non osserviamo se chi sta al banco lavora con precisione o con approssimazione, se è professionale o meno. Eppure in altri spazi del fuori casa il cambio di atteggiamento è avvenuto. Pensiamoci. Ci siamo abituati alle cucine a vista, sinonimo di trasparenza e pulizia, ma la zona di lavorazione del caffè in una caffetteria passa inosservata. Nei bar e nei locali le carte dei vini e le liste dei piatti forniscono sempre più dettagli su zone di produzione, etica dei vignaioli e la bottiglia che costi euro più, euro meno, ci interessa poco. Per il caffè la storia è drammaticamente diversa: è tanto se oltre alla voce “espresso” ci sia dell’altro e giudichiamo le variazioni di prezzo al centesimo, indignandoci se da un giorno all’altro la variazione è di pochi spiccioli. L’esperienza che sta raccontando FLUID rivela un dato importantissimo: c’è un bisogno “invisibile” di caffè di qualità e di alternative al tradizionale espresso che va intercettato e risolto, anche al ristorante.

Nella ristorazione Confrontandoci con Le Piantagioni del caffè emerge un quadro deludente per quanto concerne proprio l’approccio della ristorazione. “Delude più che altro la velocità con cui la ristorazione si sta affacciando a questo cambiamento, ignara di come le possibilità di cambio di rotta siano decisamente più alte al ristorante più che in altri contesti” - spiega Iacopo Bargoni, AD de Le Piantagioni del Caffè. “Cambiare caffè in carta non è sufficiente per dare il proprio contributo all’affermarsi della cultura del caffè. Ci auguriamo che il ristoratore passi da una semplice sostituzione di prodotto a un nuovo modo di comunicare

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il caffè nel proprio ristorante. Chi lavora in un’attività di accoglienza dalla propria parte ha il tempo: può sfruttare il tempo a disposizione per spiegare l’origine, per raccontare cosa contraddistingue i caffè di singola piantagione, e ha tutte le carte in regola per creare un’esperienza di degustazione diversa. All’estero tutto questo sta già avvenendo come testimoniamo i nostri dati sull’export. Arabia Saudita, Grecia, Polonia sono stati in netta crescita perché lì hanno compreso il valore del prodotto e hanno abbandonato la politica incentrata solo sul prezzo. In Italia siamo molto lontani da questa tendenza”. Si aggancia Giuseppe Adelardi: “FLUID è un bel banco di prova perché ci consente di parlare direttamente con il cliente finale, senza intermediazioni. Abbiamo appreso sin dal primo giorno che per stimolare nuovi approcci al caffè non servono bibliche: serve far passare poche informazioni e chiare, esaltare le curiosità e gli elementi di valore, creare un’esperienza che perduri, anche se è un termine abusato. Al ristorante il momento del caffè è più importante di quanto si creda, è l’atto conclusivo di uno spazio di piacere, non va sciupato ma amplificato. I ristoratori hanno dunque la grande occasione, possono rivestire un ruolo cruciale nella nuova stagione del caffè. Come? Se iniziano a sfruttare il tempo a disposizione e se hanno l’ambizione di creare un luogo in cui il cliente va per interiorizzare un nuovo concetto, una nuova conoscenza. Pensiamo a una cosa, quanto siamo legati e soprattutto grati a chi ci ha trasmesso o insegnato qualcosa che ignoravamo? Tantissimo. In FLUID uno dei capisaldi strategici è questo… e anche i ristoratori possono trarne beneficio!

FLUID Borgo la Croce, 59/R 50121 Firenze https://fluidspecialty.com/ | luglio 2022



LA RETE DEI RISTORANTI ETICI clicca e leggi l’articolo sul web

Un’iniziativa di sala&cucina per dare valore agli aspetti meno noti della ristorazione italiana Dovremmo essere tutti di genio pronto, vivaci, cortesi nel tratto, candidi nelle maniere, amici delle virtù, nemici dei vizi, cercando di dare la salute ai nostri ospiti, dando buoni cibi secondo le stagioni. Essere affabili con tutti i nostri collaboratori, riflettendo che l’asprezza nel comandare partorisce odio e fabbrica ruina. Per la gloria della nostra condotta e il decoro del nostro Paese. Antonio Latini, Scalco alla Moderna, 1692 Con questa definizione di un grande uomo di cucina vissuto nel XVII secolo, regalataci da Davide Rampello, non servirebbero altre presentazioni di questa rete di ristoranti etici, ma corre l’obbligo di spiegare i valori che stanno alla base di questo progetto lanciato dalla redazione di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione. Sono valori che vengono racchiusi nel decalogo che i ristoratori aderenti ad Amodo, la rete dei ristoranti etici sottoscrivono di proprio pugno; un decalogo dove parole come rispetto, sostenibilità, produzioni locali, digitalizzazione, racconto, ne costituiscono l’essenza. Il periodo che stiamo attraversando ha cambiato il mondo, anche se le regole del cambiamento non sono ancora state scritte, e anche la ristorazione deve adeguarsi a questa trasformazione. Gli ospiti di un ristorante non sceglieranno più un locale solo in base a quanto si mangia e si beve bene ma anche, e soprattutto, sui criteri che abbiamo racchiuso nel decalogo di modo. Non è un caso neppure il nome di questa rete, Amodo significa fare ogni cosa con onestà intellettuale e pratica.

Il decalogo

lo compie, quindi non ci può essere lavoro nero nei ristoranti 2) Ogni fornitore è pagato secondo le regole previste dall’art. 62 della legge 27/2012. Questo termine è fissato in 30 giorni per i prodotti alimentari deperibili, che diventano 60 giorni per i non-deperibili. 3) Il ristorante predilige l’uso di materie prime alimentari secondo la stagione 4) Il ristorante non usa prodotti alimentari esotici per puro diletto ma perché ogni scelta culinaria è frutto di studio e ricerca 5) Il gestore, o il proprietario, si impegna ad avere cura del locale, sia dal punto di vista estetico sia sostenibile; ad esempio, adottando un sistema di insonorizzazione che limiti l’inquinamento acustic 6) Nel ristorante tutti i lavoratori si impegneranno con serietà e rispetto, perché solo un grande lavoro di squadra porta alla qualità del risultato 7) I giovani, siano essi dipendenti sia stagisti, che entreranno in sala o in cucina saranno seguiti con attenzione e cura, nel rispetto della loro condizione di apprendimento 8) Il personale di sala ha la predisposizione al racconto, nel rispetto dei tempi e dei desideri dell’ospite 9) La sostenibilità del ristorante è affrontata seriamente, senza il facile ricorso a pratiche di greenwashing 10) La digitalizzazione come elemento anche di sostenibilità è una pratica naturale del ristorante; ad esempio la possibilità di prenotare online o il menu pubblicato sul sito

1) Non ci può essere lavoro ben fatto senza dignità di chi

Per visionare il progetto e i ristoranti aderenti amodo.salaecucina.it

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AMODO

Ristorante Cacciatori

Pollo alla cacciatora

Due secoli di gestione da parte della stessa famiglia, un autentico primato quello dei Cacciatori, trasformato da locanda-osteria per chi transitava dal Piemonte alla Liguria in un ristorante con pochi coperti per far star bene, a proprio agio, in un ambiente essenziale e pulitissimo, gli ospiti contemporanei. Ma l’ottocentesca stufa a legna su cui cuocere la maggior parte delle ricette è rimasta ancora attiva e se ne avverte la particolare armonia che hanno i piatti che vengono serviti ai Cacciatori: la zucchina ripiena e il pollo alla cacciatora preparati da Federica sono sublimi. Così come è particolarmente gentile il servizio in sala; Massimo è nato in questo luogo, ne conosce ogni più piccolo anfratto, ne sa interpretare la lunga storia, coglie nell’ospite il bisogno e adatta, senza perdersi in inutili smancerie, il suo modo di accogliere allo stato d’animo del momento che ha l’ospite, cercando di metterlo sempre a suo agio, fargli trascorrere le ore che passa al ristorante rendendole piacevoli, a volte indimenticabili. I Cacciatori è un luogo quasi segreto, non ci sono insegne roboanti, c’è la pace del luogo, la si coglie in ogni momento, la si vive con il piacere che si prova quando si arriva qui, nelle colline del Monferrato: il piacere della bellezza.

Ristorante Cacciatori Via Moreno, 30 Cartosio (AL) Tel. 0144 40123

Massimo Milano

www.cacciatoricartosio.com | luglio 2022

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AMODO

La sala del ristorante Dattilo

Ristorante Dattilo

Caterina Ceraudo

Il ristorante Dattilo nasce a Strongoli in un vecchio frantoio all’interno di un casolare del 1600, circondato dai vigneti, uliveti, agrumeti e dall’orto dell’azienda agricola di Roberto Ceraudo; questi sono tutti ingredienti a km 0 che impreziosiscono il menu del ristorante gestito dalla figlia di Roberto, Caterina, che, dopo una laurea in enologia a Pisa e la frequentazione della Scuola di Alta Formazione di Niko Romito decide di indossare gli abiti da cuoca. La sua formazione è tipica della visione che Niko Romito sta trasferendo ai ragazzi della sua scuola: il rispetto per il cibo e per la sua naturale provenienza, dalla nascita e crescita di ogni ingrediente fino alla sua trasformazione nel piatto. Del resto il rispetto è una storia di famiglia. Roberto, infatti, ha voluto che tutte le sue produzioni avessero la certificazione bio: “Non c’è bisogno di fare nulla, la terra va semplicemente lasciata in pace” racconta. Il ristorante segue la stessa filosofia, come afferma Caterina Ceraudo:“Etica nella ristorazione, per me, significa tre cose racchiuse in una parola: rispetto. Rispetto per gli ingredienti, per la loro stagionalità, per quello che esprimono se trattati nella giusta maniera. Rispetto per chi lavora con noi, per il tempo che dedicano al lavoro, per come riescono a dare voce ad una ristorazione di qualità in un luogo abbastanza difficile come questa parte d’Italia. Rispetto per chi ci viene a trovare perché si affida completamente Contrada Dattilo a noi e, di conseguenza, dobbiamo dare loro cose giuste Strongoli (KR) al giusto prezzo e questo diventa possibile quando puoi Tel. 0962 865613 contare su una terra coltivata con amore, con la cura che www.dattilo.it merita. Tutto questo, per me, è l’etica”.

Ristorante Dattilo

Ristorante Lorenzo Ci sono molti modi per giudicare un ristorante: la cucina, il servizio di sala, qualche critico cita addirittura i bagni. Per noi ne esistono anche altri, come quelli suggeriti da questa rete di ristoranti etici dove il mangiare bene è un elemento certo. Lorenzo, per noi, è un ristorante il cui patron ancora adesso, in un’età avanzata, va ogni giorno, personalmente, a scegliere il pesce da cucinare al ristorante. Lorenzo, per noi, è uno chef, Gioacchino Pontrelli, che è con la famiglia Viani da oltre trent’anni e compie ogni giorno il miracolo di rendere felici 50

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AMODO le decine di ospiti che varcano la soglia del ristorante. Lorenzo, infine, per noi è Chiara Viani, la figlia, che ha scelto di metterci tutto il suo sapere e la sua passione per continuare nell’etica del lavoro che ha sempre contraddistinto questo locale. Riuscire, ad ogni stagione, in ogni giorno dell’anno, a svolgere in maniera ineccepibile questo lavoro, in una località come Forte dei Marmi che ha un turismo estremamente esigente, vuol dire avere una professionalità fuori dal comune. Per questo Lorenzo merita a pieno titolo di far parte di questa rete.

Ristorante Lorenzo Via Carducci, 61/63 Forte dei Marmi (LU) Tel. 0584 874030 www.ristorantelorenzo.com

Pomiroeu Giancarlo Morelli è da sempre sostenitore di una cucina senza sprechi e, infatti, è l’ambassador di RicibiAmo, un concorso che premia i ristoratori sostenibili e fa parte del board di CARE’s Etichal Chef days, manifestazione di alimentazione sostenibile. Pomiroeu significa pometo e narra, fin dal nome, le origini dello chef, figlio di un fattore, che si imbarca giovanissimo sulle navi da crociera dove impara il mestiere che lo porta, nel giusto lasso di tempo, a diventare un vero imprenditore della ristorazione. Dopo il Pomiroeu a Seregno, Morelli inaugura una succursale del Pomiroeu a Marrakech e il Pomiroeu Phi Beach, in Costa Smeralda. Nel 2017 apre altri due ristornati: il Bulk mixology & food bar e il Morelli ospitati nel 5 stelle di lusso Hotel VIU Milan a Milano. È il Pomiroeu che resta sempre nel cuore dello chef; le sue quattro piccole sale sono un gioiello di accoglienza che si accompagna “a una cucina che non si dimentica delle origini come forma di rispetto a chi ci ha insegnato” racconta Giancarlo Morelli che Via Garibaldi, 37 conclude: “Oggi è indispensabile gestire un ristorante con la Seregno (MB) consapevolezza di giocare un ruolo fondamentale nella vita delle Tel. 0362 237973 persone: quello del benessere”.

Pomiroeu

www.pomiroeu.com

Giancarlo Morelli

Una sala del Pomiroeu


PERSONE Autore: Bruno Damini

Alberto Bettini

Come avviene la formazione di un cuoco o di un ristoratore? Attraverso la scuola alberghiera che in genere si inizia quando si è poco più che bambini o che si decide da grandi quando si capisce che quella potrebbe essere la strada? O perché si comincia a gattonare sotto i tavoli di una trattoria, com’è capitato ad Alberto Bettini, quando il nonno Amerigo preparava il passaggio di testimone alle due figlie Giuliana e Marisa attraverso un lungo apprendistato in cucina e in sala? Alberto cresceva e osservava, senza decidere mai clicca e leggi l’articolo sul web di mettersi in cucina. Avrebbe voluto fare altro, gli sarebbe piaciuto iscriversi alla facoltà di architettura a Firenze, ancora oggi il design è una sua grande passione. Però, verso la fine degli anni ’70, decise di togliersi il pensiero del servizio militare ed è stato durante quell’anno trascorso in Friuli che capì che una delle cose più interessanti e piacevoli era andare alla ricerca di trattorie e ristoranti dove mangiare e bere bene cercando di capire le differenze dal punto di riferimento unico rappresentato fino ad allora dalla trattoria dei nonni. Quel percorso iniziatico gli fece capire quanto gli sarebbe piaciuto continuare

Alla tavola dei maestri La formazione di un ristoratore

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a tenere aperta la trattoria di famiglia cambiando di ruolo, da cliente a oste, senza mai dismettere quello di frequentatore di cucine altrui. Accumulava esperienze e quando nel 1988 divenne lui il titolare aveva in testa idee ben chiare: diventare un classico moderno, una trattoria semplice e informale, accessibile a tutte le tasche, con preparazioni di facile lettura, legate al territorio e alla stagionalità, adottando nuove tecniche ma rispettando quelle vecchie, per conservare i sapori originari e naturali delle materie prime. Si diede poche altre regole: equità nei confronti dei fornitori e del personale, impegno a sostenere produttori, allevatori e coltivatori del territorio con giuste remunerazioni favorendone la crescita. Intanto continuava a frequentare ristoranti blasonati in Italia e nel mondo portandosi a casa una copia dei loro menu che ha conservato fino ad accumularne una grande sacca, non trofei da collezionisti di ristoranti ma materia di studio e di ricerca.

I quaderni, le agende, i menu Circa vent’anni fa ha smesso di chiedere menu cominciando ad annotare appunti su varie agende che ancora oggi conserva perché quelle esperienze hanno contribuito a farlo migliorare come ristoratore. A volte trascriveva un menu, conservava i conti, molti ancora in Lire, Franchi Francesi, Pesetas… Ogni tanto torna a sfogliare menu e appunti: Michel Guerard col suo Les Prés d’Eugénie, grande tavola, cucina sana; l’Auberge de la Galoupe, un ristorante che purtroppo non esiste più. Da Michel Bras è tornato più volte. Jacques Maximin è tra quelli che più l’hanno segnato: maestro di Ferran

Adrià, che ha lavorato lì quattro anni prima di tornare a Roses, stella Michelin da più di quarant’anni e “Meilleur ouvrier de France”, per Christian Millau “Il Bonaparte dei fornelli”, secondo Alain Ducasse “un genio creativo, insolente, provocatorio”. “Nel menu c’è anche la sua dedica - dice Alberto - e pure il conto, ma il conto in questi locali è ininfluente perché questa è cultura, è come andare alla prima alla scala”. L’Arpège, grande cucina vegetariana; L’Auberge de l’Île, anche questo indimenticabile; Pierre Gagnaire, uno dei più geniali chef di Francia; Troisgros, un grande classico. Le Louis XV lo ricorda perché l’hanno costretto a indossare la cravatta non si abbinava alla sua giacca. Dalla pila di menu estrae Martin Berasategui e subito sotto di lui Arzak, poderoso chef basco che ha dato il là a tutta la grande cucina spagnola. Poi Ferran Adriá che col suo El Bulli maggiormente ha segnato la storia della ristorazione mondiale, “Si pagava veramente troppo poco per quello che ti dava”. E ancora Mugaritz e i fratelli Roca, El raco de Can Fabes, a San Celoni, in Catalogna, purtroppo andato a finire male, come tanti cuochi non ha retto la pressione. Ma veniamo in Italia: Il Pescatore, la più grande trattoria italiana! Il San Domenico, eccellenza regionale. Non ha mai chiesto i menu a Massimo Bottura, ma dice di averli tutti nella testa. Gualtiero Marchesi, ovviamente, perché ha dato origine alla nuova cucina italiana. Georges Cogny non era italiano ma in realtà lo era da sempre e rimane nel cuore di tutti. Anche Massimiliano Alajmo, perché è una brava persona, un bravo cuoco che non molla mai i fornelli. Poi | luglio 2022

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saltano fuori i menu di Antonello Colonna, quando c’era la Porta Rossa; Aimo e Nadia, un altro dei suoi luoghi del cuore, e Perbellini, Isola Rizza, altro bravissimo cuoco. Sono tanti in Italia da non poterli citare tutti. In Gran Bretagna Marco Pierre White, la follia dei grandi cuochi. Quando Alberto chiese una copia del menu gli risposero: aspetti che guardiamo se ne abbiamo uno macchiato. Lo conserva tutt’ora, padelle incluse. Gordon Ramsey, non lo ha fatto impazzire… Stati Uniti: Le Bernardin, è il più grande ristorante francese fuori di Francia. A New York ci sono altri due o tre ristoranti che meritano la menzione: il bel Bouley Bakery; Gramercy Tavern, da sempre il suo favorito; anche il Blue Hill al Greenwich Village, un locale-fattoria dove non te l’aspetti, proprietà di Rockefeller. Anche a Los Angeles ha visitato degli ottimi ristoranti dove c’è sempre qualcosa da imparare, così come in Australia, in oriente ed in Sud America. Non c’è nulla di giapponese nei suoi quaderni perché là non sta bene scrivere nei ristoranti, poi quando torni in albergo non hai più voglia di metterti a scrivere, ma uno indimenticabile sopra tutti rimane Kitcho Arashiyama, a Kyoto. Riemergono i ricordi di DOM a San Paulo, Brasile; NOMA, ma sono nomi sulla bocca di tutti. Secondo Alberto Bettini i ristoranti indimenticabili si equivalgono ai più grandi musei del mondo, luoghi che ti arricchiscono, ti fanno crescere dentro, anche se non

te ne accorgi subito è un accumularsi di nozioni, di spunti, di idee che poi ti portano a fare le cose meglio.

Il valore della memoria In quella grande sacca, fra menu, agende e quaderni fitti di annotazioni e di ricordi ci sono più di trent’anni che qualcuno direbbe di mangiate, invece ci sono più di tre decadi di storia ed è la sua storia che attraversa tanti ristoranti, ognuno dei quali gli ha dato qualcosa. “È stato il più grande e bell’investimento della mia vita, m’ha aiutato a capire un po’ di più del mondo della ristorazione e del mondo in generale, perché anche andar per ristoranti è un modo per conoscere il mondo e crescere culturalmente, per arrivare a fare bene delle cose molto più semplici, per arrivare a fare bene questo”: e mostra un piatto di tagliatelle col ragù affiancato da un piattino con uno spicchio di cipolla rossa e qualche grano di sale di Cervia, così come da sempre usa proporre le tagliatelle in trattoria, come facevano i contadini in Valsamoggia un tempo, un morso alla cipolla intinta nel sale e una bella forchettata di tagliatelle gravide di ragù. Qualcuno potrebbe obiettare: ma allora cosa serve andare dal Bulli e dai grandi ristoratori classici o innovativi in Italia e nel mondo? “Serve per capire come si deve fare bene una cosa molto semplice come la cucina: compri delle buone materie prime, non le rovini e metti nel piatto quello che ritieni più opportuno in quella determinata stagione, cercando di aiutare anche chi produce e ci aiuta a fare bene questi piatti… Tutto lì! Non bisogna andare dai Maestri per imitarli, non è copiando che si cresce”.

la tagliatella al ragù di Amerigo 1934


SANO RAFFINATO NATURALE

L’olio extra vergine

di oliva 100% italiano Le Prandine rappresenta l'eccellenza territoriale dell'Olio di Oliva Extra Vergine del Lago di Garda.

www.leprandine.com


PRODUZIONE Autore: Luigi Franchi

I tre chef e il Molino Signetti

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Un progetto innovativo al servizio della ristorazione

Da sinistra: Diego Pattarino, Walter Ferretto e Fulvio Siccardi

L’idea è ottima! I prodotti pure! Quando tre chef si mettono insieme per dar vita a un’azienda che produce pasta su misura per le esigenze della ristorazione non può che venirne fuori ciò che mancava nel settore: fare un prodotto per le cucine professionali realizzato da chi in quelle cucine ci ha passato buona parte della vita. Chi cosa stiamo parlando? Dell’iniziativa imprenditoriale che Walter Ferretto, chef patron dello stellato Il Cascinale Nuovo di Isola d’Asti, Fulvio Siccardi, chef pluristellato creatore dell’uovo in gabbia, evoluzione del tradizionale uovo in cocotte con il tartufo, e Diego

Pattarino, ideatore di Planet Food, innovativo servizio di catering con chef a domicilio, hanno messo in piedi ormai da due anni, di cui 18 mesi di felice sperimentazione: I tre chef si chiama e la specializzazione è la produzione di diversi tipi di paste, prevalentemente ripiene, con un formato pensato appositamente per la ristorazione, surgelate e pronte all’uso.

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Le caratteristiche della pasta I Tre Chef Nulla di speciale penserete, invece no! Dietro al progetto ci sono diversi aspetti che lo rendono unico, a cominciare dalla scelta delle materie prime: una farina


pensata esclusivamente per loro di cui parleremo più avanti nell’articolo, la selezione delle materie prime per i ripieni di assoluta ed elevata qualità, la preparazione dei ripieni che trae origine da ricette realizzate dagli chef, azioni di marketing pensate per i distributori e per i ristoratori che consentono una personalizzazione delle ricette in funzione del ristorante e delle abitudini del luogo. “Quando abbiamo iniziato non sapevamo come sarebbe andata, - ci confessa Walter Ferretto – ma sentivamo l’esigenza di fare qualcosa di più per la ristorazione che, di lì a poco, sarebbe stata funestata dal lockdown. Ora, con tutti i problemi che si trovano ad affrontare i miei colleghi avere un prodotto che consente di recuperare tempo e qualità diventa indispensabile”. “Oltre alle 28 referenze che abbiamo a catalogo e che coprono quasi tutta la tradizione itaiana delle paste ripiene – i plin piemontesi, i ripieni alla Norma, i tortelli con ricotta e spinaci emiliani, con i porcini e la polenta taragna, con cacio e pepe o al pesto genovese per citarne qualcuno – riusciamo a realizzare ricette personalizzate per ogni singolo distributore, con un quantitativo d’ordine di 300 chili, una pochezza se pensiamo anche alla lunga shelf-life del prodotto. – afferma Diego Pattarino - Inoltre, per ogni distributore, siamo disponibili a fare formazione presso le loro sedi, con dimostrazioni alla forza vendita e ai clienti, con ricette abbinate agli altri prodotti che il distributore può fornire ai ristoratori. In ogni cartone di pasta inseria-

mo un fliyer con tutte le altre referenze che il ristoratore può richiedere al distributore e, tramite whattsapp, creiamo delle schede di prodotto con suggerimenti per la ricetta con le referenze che il distributore ha in magazzino da inviare alla forza vendita. Siamo, in una parola, collaborativi!” “Sono i sarti della pasta” ribadisce Roberto Signetti, responsabile commerciale di Molino Signetti che ha realizzato le farine per loro.

Le farine di Molino Signetti La tua prossima farina è il claim di Molino Signetti. Cosa significa lo chiediamo direttamente a Roberto Signetti: “Ha un duplice significato, il primo è legato all’innovazione che stiamo portando nel campo delle farine, il secondo è il concetto di prossimità con i nostri clienti a cui teniamo molto”. La peculiarità di Molino Signetti, oltre a una storia che dura dal 1949, è, infatti, il rapporto che ha con i professionisti della panificazione, della pizza e, da quan| luglio 2022

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do collabora con I Tre Chef, della pasta. Sono oltre 600 i panificatori del Nord-Ovest che utilizzano le loro farine ma è con la pizza napoletana contemporanea, con la pinsa romana, con la focaccia genovese che le farine Signetti danno il meglio si sé. “Il segreto è una macinazione lenta che conferisce una grande elasticità alle nostre farine. – racconta Roberto – Farine diverse per ogni utilizzo, prodotte con impianti di ultima generazione, pienamente rispondenti a qualunque tipo di audit e dotati di automazione 4.0.”. Roberto Signetti è spesso in giro per l’Italia per tenere fede a un principio: essere sempre vicino ai clienti del Molino, siano essi pizzaioli che panettieri o ristoratori. “Conoscere da vicino le esigenze dei professionisti arricchisce ulteriormente le competenze e ci permette di realizzare prodotti in linea con i loro bisogni reali. – spiega – Infatti abbiamo dato vita a forme di collaborazione con molti professionisti e con associazioni, come quella degli Impastatori italiani, con cui svolgiamo un’intensa attività di formazione. Gli altri nomi, oltre all’Associazione Impastatori italiani fondata da Stefano Porro? Luciano Sorbillo, maestro pizzaiolo di Napoli; la compagine della pizza contemporanea fiorentina con Mario Cipriano e Manuel Maiorano, l’associazione panificatori di Genova, solo per citarne qualcuno”. Ma quali sono i vantaggi organolettici delle farine di Molino Signetti?

“Oltre a fare farine dedicate a ogni tipologia di impasto, alla macinazione lenta, all’elasticità che ne deriva, abbiamo un metodo di lavorazione che reintroduce il germe di grano tramite un processo di stabilizzazione che si avvale del termotrattamento. – racconta Roberto Signetti - Questo conferisce alle nostre farine alcuni vantaggi dal punto di vista tecnologico: miglioramento dell’idratazione degli impasti, del processo di lievitazione e della colorazione in cottura. Dal punto di vista organolettico significa: un’alveolatura maggiore, un colore e un’aroma intenso, una croccantezza che oggi è molto richiesta dai professionisti”. Come è nata la collaborazione con I Tre Chef? “Per amicizia e vicinanza territoriale. Loro avevano bisogno di un supporto al loro progetto, io avevo bisogno delle loro competenze nel settore della pasta che non conoscevo. Il progetto mi piace molto, avere a che fare con i professionisti è il nostro principale scopo e qui ce ne sono tre che vantano una grande esperienza. Per questo abbiamo dedicato una farina per le loro paste. Quali caratteristiche ha? Non ingrigisce perché è a basso contenuto di ceneri. La naturale colorazione gialla è data dall’utilizzo di uova di galline allevate a terra. Resiste alla doppia cottura praticata nelle cucine dei ristoranti. Ha un impasto ben idratato, una giusta corposità e una ruvidezza che trattiene meglio il condimento”. Il desiderio di far bene ogni cosa supera qualsiasi ostacolo. È questa la forza del nostro Paese, che dobbiamo esaltare!


Una ricetta dello chef

S CO PR I IL G U S TO D E LL A LE NTE Z Z A La linea di salumi Coati ispira la creatività di Mauro Buffo, chef stellato del ristorante 12 Apostoli. Da oggi anche in formato vaschetta: affettata e posizionata a mano, mantiene intatto gusto e sapore. Scopri le ricette Lenta dello chef Buffo sui nostri social.

S A LU M I F I C I O C OAT I.I T


PRODUZIONE Autrice: Marina Caccialanza

Surgelati, scelta consapevole

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Le scelte di consumo a tavola rispecchiano trend e cambiamenti sociali: oggi, il 98% degli italiani consuma prodotti surgelati Dal 2020 a oggi il consumo di prodotti surgelati ha registrato un vero boom. L’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (IIAS) in collaborazione con la società di ricerca BVA-DOXA, ha fotografato i nuovi trend del comparto svelando nuovi approcci al consumo di frozen food, anche in base alle diverse tipologie di consumatori. Il 61% degli italiani dichiara di consumare abitualmente i surgelati; i consumatori più frequenti sono gli under 35 e le famiglie con figli piccoli, che nel 70% dei casi li portano in tavola più volte a settimana. Punti a favore dei prodotti surgelati sono la praticità di utilizzo, zero sprechi e la possibilità di variare facilmente il menù; 7 italiani su 10 dichiarano di aver provato alimenti mai assaggiati prima proprio grazie alla proposta frozen.

I vegetali sono i favoriti, seguiti da pesce e pizze ma cresce anche l’interesse per i piatti pronti. Il tema della sostenibilità e dell’abbattimento degli sprechi sembra avere rilevante voce in capitolo nelle scelte del 36% delle persone. Per la ristorazione, aspetti come la disponibilità della materia prima in ogni periodo dell’anno, la porzionabilità, la praticità d’uso (senza bisogno di lavaggi, puliture, spinature, ecc.), la varietà delle ricettazioni proposte, la convenienza economica complessiva e, infine, l’igiene/sicurezza alimentare contraddistinguono la scelta dei surgelati. È nelle scelte degli chef, anche stellati, che i surgelati sembrano ottenere un gradimento senza precedenti, basato sulla consapevolezza che il prodotto è sano, sicu-

Pokè di Quinoa, ceci e broccoli con Quinoa della gamma Cereali e Legumi Minute


Finta Carbonara di Nicola Michieletto con Peperoni julienne della gamma Le Grigliate

ro e genuino e a disposizione in ogni momento dell’anno, con qualità organolettiche e nutrizionali invariate rispetto al fresco. È un vero e proprio modo nuovo di guardare l’asterisco sul menù: non più un segno penalizzante ma un elemento culturale di garanzia.

Raffaella Fontana, Marketing Manager di Bonduelle, conferma la tendenza “I nostri clienti professionali sono sempre più attenti ai temi della qualità, della salute e della sicurezza alimentare. La sostenibilità è centrale: c’è grande attenzione nel combattere gli sprechi in cucina, nel trovare soluzioni per il riutilizzo degli ingredienti e nell’includere nei menù piatti completi a base vegetale, adatti alle diverse esigenze e scelte alimentari. Non è solo un tema di food cost, ma espressione di una volontà e di un impegno nel ridurre il proprio impatto sull’ambiente e sulle persone. Queste esigenze si traducono nella richiesta a Bonduelle Food Service di prodotti vegetali versatili, che possono avere più utilizzi in cucina, facili e veloci da preparare e con una shelf life lunga. Inoltre, vediamo un mercato più competitivo, in fermento, impegnato nella ricerca e nella sperimentazione dei menu, con un’attenzione crescente ai trend e a nuovi momenti di consumo. Le diverse tipologie ristorative si presentano con confini meno definiti rispetto al passato: i bar propongono un’offerta per il pranzo e la cena, i ristoranti sperimentano l’aperitivo. Assistiamo alla nascita di nuovi format ibridi. Ci sono poi diversi altri trend, destinati a crescere e consolidarsi come il mondo delle Dark e delle Cloud kitchen, piuttosto che la delivery e l’affermazione di locali spe-

cializzati che propongono pokè, burger e di pizzerie non tradizionali, per finire con l’esplosione di mini catene sperimentali in continuo rinnovamento, grazie al fenomeno delle start up. Per tutte queste ragioni, i vegetali surgelati, così come gli ambient, sono in questo momento più che mai, la soluzione per l’operatore della ristorazione. Sono sempre di più gli chef e gli operatori della ristorazione che hanno l’esigenza di integrare nei propri menu proposte a base vegetale per rispondere alle richieste del consumatore. Il boom di pokè, hummus e proposte fusion ne sono l’esempio più chiaro. I ristoranti ricercano prevalentemente materie prime, sempre con un elevato contenuto di servizio e con la possibilità di personalizzarle. Bar e ristorazione in catena prediligono ricettati e prodotti ready to eat, per garantire qualità e risultati costanti e ottimizzare i tempi in cucina, anche in assenza di personale qualificato. In questo contesto nel 2021 abbiamo inaugurato Greenology®, l’arte della cucina a base vegetale, un sistema integrato di prodotti, servizi e strumenti dedicati a chef e operatori della ristorazione per supportarli nella scoperta del grande potenziale dell’alimentazione vegetale e nella formulazione di proposte in linea con i trend emergenti. Tra le novità più recenti nel segmento dei vegetali surgelati possiamo citare la nuova gamma Cereali e Legumi surgelati Minute®, cotti a vapore in 5 referenze, una novità assoluta per Bonduelle Food Service; l’ampliamento della gamma Le Grigliate; la gamma Veggy Passion arricchita di nuovi prodotti; la gamma Bio, certificata e garantita di cotti al vapore con la tecnologia Minute ®”.

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Creazioni

L’esperienza di Surgital è testimoniata da Andrea Bino, marketing manager “Uno dei problemi emersi nell’ultimo periodo a seguito della pandemia è l’urgenza del reperimento di personale qualificato: molti locali si trovano ad arrancare in cucina per garantire un servizio continuativo e di qualità. Come in altri settori professionali, la “pausa” imposta dai lockdown e dalle chiusure ha portato a galla un aspetto che, fino a poco fa, non era considerato nel sentire comune: il lavoro nelle cucine professionali è usurante. Questo ha messo in nuova luce l’importanza del servizio come plusvalore dei prodotti impiegati in cucina. La nostra pasta fresca, il nostro riso, i nostri sughi assolvono al ruolo di alleati dei professionisti del canale: lunga shelf life garantita dalla surgelazione che evita sprechi, perfetta dosabilità, velocità nel rinvenimento e praticità nella preparazione del piatto. Questa attenzione al servizio non si esaurirà, sarà una discriminante sempre più importante anche in futuro. La fiducia guadagnata sul campo in oltre 40 anni di attività è un patrimonio di cui andiamo fieri: Surgital non fa del prezzo basso un asset competitivo, verrebbe meno il presupposto dell’eccellenza che invece è imprescindibile. Ci proponiamo come partner dei nostri clienti al cui successo vogliamo contribuire con ottimi prodotti e una dose importante di servizio. Questo si concretizza nelle numerose occasioni di formazione che proponiamo. Siamo profondamente radicati nella tradizione, dei cui valori, sapori, saperi ci facciamo portavoce nel mondo ma non rinunciamo a interpretare quest’anima tradizionale con tutti gli spunti che l’attualità ci offre: cogliamo i food trend e li trasformiamo in progetti, ci facciamo promotori di nuove strade da percorrere. È il caso del plant based che pur apparentemente lontano dal nostro DNA abbiamo saputo interpretare nella nuova proposta completamente veg (Linguine di verdura, piselli, lenticchie di Laboratorio Tortellini® Alta Tradizione), e del nostro 62

Linguine pomodorino giallo, ricetta plant based

progetto Confondente che tra le altre cose ha previsto il lancio dell’esperimento di uso del cioccolato Ruby in una pietanza salata. I professionisti sono ormai certi dell’utilità di scegliere prodotti surgelati, comodi, sicuri igienicamente, di lunga shelf life, che permettono di gestire il monitoraggio del food cost e del food waste. Rimane un pregiudizio difficile da scalfire circa l’impiego del surgelato che spesso ancora non si dichiara. Visone errata che non ha ragion d’essere, un retro pensiero per cui si collega il surgelato con qualcosa di dozzinale mentre la metodologia di conservazione nulla ha a che vedere con la materia prima che è, questa sì, il fulcro di un’offerta di qualità. Se la base è ottima, la surgelazione non fa che mantenerla intatta: è un plus, non un minus. Tradizione e modernità devono convivere. Noi lo facciamo attingendo al patrimonio della nostra cultura gastronomica, ma non rinunciamo a recepire gli input del mercato”.

Andrea Bino

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Carpaccio di BlackAngus affumicato

CON ANELLO DI CROSTINO ALL’AGLIO E PUNTE DI ASPARAGI AL BURRO

Tartare di fesa marinata BlackAngus CON INSALATA DI FINOCCHI E ARANCE

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LIBRI

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Autore: Luigi Franchi

Ristoranti, che passione

Ristoranti, che passione AA.VV. Editore Chepassione Riccardo Penzo Pagine 224 Euro 85,00

Riccardo Penzo è l’ideatore di questo volume che, più che una guida, è un inno alla gioia di valorizzare la ristorazione, stellata e non, legata al territorio, soprattutto fatta da persone che ci mettono davvero tutta la passione di cui dispongono. Ed è, oltre che un bel volume, un modo nuovo di scegliere dove andare a mangiare tra Brescia, Veneto e Trieste; infatti, accanto al volume, hanno preso piede un sito – www.chepassione.eu – una app con cui si può prenotare, una card per avere sconti in determinate occasioni. Insomma, un vero e proprio network che coinvolge oltre 150 ristoranti e 40 partner. Un’iniziativa che parte solo dalla grande volontà di Riccardo Penzo, un editore che ha davvero nel cuore la ristorazione e che considera questo suo lavoro un incentivo per unire la categoria. In ogni scheda dei ristoranti c’è anche il consiglio di Riccardo Penzo sui piatti icona del locale, descritto con singolare maestria dai collaboratori della guida, oltre a tutte le classiche informazioni su aperture e ferie, numero di coperti, costo medio, tipo di cucina ecc… I locali che ci mettono il cuore è il sottotitolo promessa di questo bel volume e noi, che ne abbiamo provati un paio per capire, possiamo confermare che è proprio vero.

Ricette d’Italia Questo volume curato da Bianca Minerdo per Slow Food Editore è la risposta a quanti sostengono che la cucina italiana sta scomparendo. C’è un fondo di verità in quest’affermazione perché i piatti più tradizionali non sono quasi più presenti in molti ristoranti del Paese: chi sente più nominare le scaloppine? O le lasagne? O mille altre ricette… Però è altrettanto vero che restano icone difficilmente estinguibili, soprattutto se pensiamo che nei ristoranti italiani all’estero, anche stellati, saper fare bene un piatto di trofie al pesto è tuttora un valore assoluto. Nel volume si ritrova l’Italia così com’è fin dalla sua nascita come nazione: mille campanili, mille ricette, mille modi di vivere un territorio. Ogni luogo, nel nostro Paese, è una storia a sé e la gastronomia, con le ricette racchiuse nel libro, ne è la testimonianza più efficace: province che vantano tre/quattro varianti dello stesso tortello, o il modo di preparare la bagna cauda diverso da regione a regione. Pur mantenendo saldo il timone sulle ricette tradizionali, il volume offre anche uno spaccato del nostro tempo perché la cucina è variazione, scambio, contaminazione e, in questo periodo, anche alleggerimento. Il valore di questo volume sta nella spiegazione chiara e precisa dei vari passaggi delle ricette, una sorta di sostituto moderno dei quaderni di ricette di casa.

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Ricette d’Italia A cura di Bianca Minerdo Slow Food Editore Pag. 480 Euro 12,90

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

Il tonno Big Chef in olio d’oliva

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Il tonno è uno dei pesci più noti dei nostri mari. La sua cattura è regolamentata dalle normative sulla pesca per evitarne l’estinzione. Anche per questo Cateringross, per il tonno in olio d’oliva BigChef, si rivolge ad una delle aziende più serie del settore, la Callipo di Pizzo Calabro, un’azienda che lavora il tonno dal 1913. Lo fa con tecniche esclusive come, ad esempio, la lunga stagionatura affinché possa sprigionare la sua inconfondibile fragranza al momento del consumo. Inoltre, del tonno, quando viene trasformato in filetti, viene usato solo il 50% dei tranci lavorati e sfilettati a mano. Un prodotto esclusivo per Cateringross e i suoi clienti ristoratori in un periodo, quello estivo, che vede il tonno, per le sue caratteristiche organolettiche, diventare uno degli ingredienti principali nelle

cucine di quasi tutti i ristoranti italiani. La sua versatilità consente, infatti, l’utilizzo in moltissime ricette estive, a cominciare dall’insalata di riso per finire con tonno in insalatina di peperoni, capperi e menta. La Callipo è leader nel settore del tonno in olio d’oliva. Qui il tonno arriva intero e viene lavorato completamente in Italia, presso lo stabilimento di Maierato (VV), subendo un accurato processo di selezione. Il Tonno BigChef è un prodotto molto genuino, in quanto viene semplicemente cotto a vapore senza l’aggiunta di conservanti e aromi. Stagionato a lungo, affinché possa maturare e sprigionare la sua inconfondibile fragranza al momento del consumo. Un buon trancio deve presentarsi intero, compatto, ricoperto di olio limpido. I valori proteici del tonno rimangono intatti durante le fasi di lavorazione.

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TONNO IN OLIO D’OLIVA

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PRODUZIONE Autrice: Marina Caccialanza

Contital: il packaging è sostenibile

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Tre parole per definire i prodotti Contital: monouso, riciclabile, sostenibile. Per i prodotti di packaging alimentare, il top al servizio del consumatore e della distribuzione Nuove abitudini alimentari, nuove regole di conservazione dei cibi dettate da esigenze di trasporto e spazio, nuove normative che invitano alla sostenibilità de materiali utilizzati, unite a praticità e leggerezza. Sono tutte caratteristiche che si ritrovano nei prodotti Contital che, perfezionati nella lunga esperienza trentennale dell’azienda - nel 2021 Contital ha prodotto 915 milioni tra vaschette/contenitori/piatti e 2,5 milioni di rotoli - trovano nei metodi di lavorazione e nei materiali utilizzati un’applicazione evoluta che risponde in pieno agli usi moderni. Le nuove gamme comprendono due linee: le vaschette Eclipse e i piatti in alluminio riciclato.

La linea Eclipse è composta di contenitori, completi di coperchi preformati, in alluminio riciclabile laccato nero e oro. Si tratta di vaschette smoothwall extra-rigide, dalla linea elegante, che possono contenere alimenti di ogni genere, anche quelli che contengono sostanze acide o salate, e sono particolarmente adatte a mense e catering perché, dotate di bordi lisci, consentono un pratico sigillo con film. Le vaschette Eclipse, inoltre, aiutano a limitare gli sprechi perché sono utilizzabili per l’intero ciclo di trasporto, conservazione e riscaldamento essendo studiate per l’uso sia in freezer sia in forno tradizionale o microonde. La linea di piatti monouso in alluminio riciclato al

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100% è una gamma innovativa di piatti disponibile in numerosi formati: rotondi, quadrati, in versione laccata o silver, chiudibili con coperchi in materiale riciclabile o, come nel caso della versione quadrata, anche con un film termosaldabile, soluzione particolarmente agile per il catering. La sostenibilità del prodotto è una delle sue caratteristiche più rilevanti. Infatti, come tutti i prodotti Contital, i piatti in alluminio riciclato sono frutto della filiera integrata del Gruppo Laminazione Sottile che ne certifica la qualità, la riciclabilità e il rispetto dei processi produttivi lungo l’intera catena e, pertanto, rispondono perfettamente ai valori dell’economia circolare. Analizzando l’evoluzione del mercato, la necessità dei ristoratori e le richieste dei consumatori, Contital ha ampliato ulteriormente la propria gamma di contenitori in alluminio Smoothwall, ideata soprattutto per il food delivery e i ready meals. La linea si è arricchita di altri due formati – AS220500 (1 porzione) e AS221000 (2 porzioni) – realizzati soprattutto per il Mercato della Gastronomia. Disponibili in versionecnuda e laccata bianco/terracotta, anche questi contenitori possono essere richiusi con specifici coperchi in materiale riciclabile, per un trasporto sicuro degli alimenti. I nuovi formati sono caratterizzati da un fondo con goffratura esagonale, che ne aumenta notevolmente la resistenza, e da una flangia rinforzata, che ne aiuta la sigillatura con film termosaldabile e il trasporto quando sono impilati. Tutti i prodotti della gamma Smoothwall sono riciclabili al 100 per cento e all’infinito. In un’ottica di sostenibilità ambientale, secondo la filosofia di Contital, il riciclo è, infatti, una peculiarità fondamentale, come conferma Fabio Mezzo, National Sales Manager: “Entrambe queste tematiche sono ormai alla base di qualsiasi nuovo progetto: lo richiedono le normative, i buyer e gli stessi consumatori. Assoda-

to ciò, ogni nuovo prodotto sarà realizzato in un’ottica di ecodesign: ottimizzazione e riduzione della materia prima, mantenendo però inalterate le caratteristiche del packaging; sviluppo di vernici e rivestimenti realizzati con composizioni sempre più ecosostenibili o riduzione della grammatura; creazione di prodotti con un impatto ambientale minore rispetto ad altri materiali”.

Fabio Mezzo




Frittelline di zucchine, ricotta e menta Tutto il sapore dell’estate avvolto in una croccante crosta di farina di grano


Dall’happy hour alle proposte gourmet, dalla pizzeria ai grandi eventi. Una saporita frittellina gustosa ed invitante grazie alla freschezza della menta che accompagna il gusto delicato della zucchina e quello morbido e piacevole della ricotta. Un gusto che cattura il palato e apporta all’organismo minerali e vitamine grazie alle note virtù salutari della zucchina. Cogliamo le zucchine nel momento migliore, da giugno a settembre, e dopo aver selezionato i migliori ingredienti, li avvolgiamo in una leggera crosta di farina di grano e li abbattiamo con criogenesi per conservare al meglio il sapore e la freschezza. Le nostre verdure in crosta di farina di grano possono essere cotte in friggitrice tradizionale, in friggitrice ad aria, in forno statico o in forno ventilato. Così potrai scegliere il metodo più adatto al tuo flusso di lavoro e alle richieste dei tuoi clienti, soddisfare ogni palato e creare sorprendenti appetizer che faranno sviluppare il tuo business!

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Siamo sempre attenti alle esigenze dei nostri clienti e con la filiera corta riserviamo qualità controllata, affidabilità e sicurezza di ortaggi d’eccellenza abbattuti con criogenesi, appena raccolti più freschi del fresco, consentendo di ridurre i costi, gli scarti e le scorte di magazzino. Per offrirti l’Eccellenza che ti aspetti.

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PRODUZIONE Autore: Guido Parri

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Gamma Pinse Molino Spadoni: la sorella romana della pizza ora a disposizione dei professionisti della ristorazione nelle versioni surgelate o da preparare con la speciale miscela Molino Spadoni, sempre in linea con i trend gastronomici del momento, offre ai professionisti della ristorazione un prodotto che delizia ogni tipo di palato e sempre più richiesto: la pinsa. Diverse soluzioni, perfette per rispondere alla domanda di questa specialità tipica della tradizione romana, oggi apprezzata in tutta Italia. Simile alla pizza per il tipo di utilizzo e di consumo, presenta una forma tipicamente ovale e differenze tecniche sostanziali nella preparazione, a partire dagli ingredienti selezionati per l’impasto. Per queste sue unicità, offre a pizzerie, bar e tavole calde, la possibilità di sviluppare il menù inserendo anche questo particolare prodotto gastronomico. Molto comode da tenere sempre a portata di freezer sono le nuove Pinse Frozen, proposte da Molino Spadoni appositamente per semplificare i processi di lavorazione e avere prestazioni altamente “time saving”: essendo precotte, basta farle scongelare a temperatura ambiente e rinvenirle in forno statico o ventilato a 280°C. Ai formati 29x19 cm da 210g e 55x25 cm da

600g, si è aggiunta la pinsa confezionata singolarmente, la cui dimensione è 39x29 cm per 460g. Le nuove Pinse Frozen possono essere proposte come focacce con l’aggiunta di olio e sale prima della cottura, o farcite a piacere nel top o all’interno. La pinsa piccola è particolarmente indicata per quest’ultima preparazione perché è stata sviluppata con uno spessore appositamente più alto della grande, in modo da renderla perfetta anche per la farcitura interna. La semplicità di cottura si sposa con la comodità di gestione: le Pinse Frozen Molino Spadoni sono sempre a portata di mano e non deperiscono come il prodotto fresco, consentendo di ampliare l’offerta senza sprechi. Sicurezza e qualità sono garantite: la surgelazione avviene subito dopo la cottura, per cui non c’è bisogno dell’aggiunta di conservanti. Gli ingredienti, poi, sono selezionati e miscelati ad hoc: farina di grano tenero, farina di soia e farina di riso. L’impasto viene preparato esclusivamente con pasta madre, rinfrescata giornalmente dagli anni ’60,

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e biga. L’innovativo impianto di produzione consente di realizzare una pinsa caratterizzata da un’altissima idratazione, oltre il 90% di acqua sulla farina, che la rende alveolata e soffice. A seguito di una lievitazione di almeno 48 ore, l’impasto viene steso rigorosamente a mano come da tradizione, garantendo un prodotto artigianale anche nell’aspetto. Il risultato finale è una pinsa molto digeribile con un’alveolatura ben sviluppata, croccante fuori e morbida dentro, con una fragranza e un gusto davvero intensi. Per chi invece desidera preparare la pinsa a partire dall’impasto, Molino Spadoni propone due formati di Miscela Professionale per Gran Pinsa alla Romana. Pensata per soddisfare le esigenze dei professionisti, è disponibile in due formati big size: 25 kg e 5 kg. Questa speciale Miscela è realizzata con un mix di farine appositamente studiato per la preparazione di lievitati dalla tipica forma allungata, a base di cereali misti farina di grano tenero tipo 1, farina di soia, farina di riso e pasta acida - da impastare con acqua e pochissimo lievito di birra. La Pinsa alla Romana preparata con la Miscela va ben idrata con un’alta percentuale di acqua, che rende l’impasto molto morbido e idratato. Inoltre, la lunga lievitazione dalle 24 alle 48 ore fa sì che il prodotto risulti più digeribile, croccante e alveolato. Affinché i passaggi da seguire nella preparazione risultino ben chiari, Molino Spadoni ha aggiunto nel back pack un ulteriore elemento di servizio: la ricetta con tutti gli step per realizzare una pinsa a regola d’arte. La Miscela Professionale per Gran Pinsa alla Romana è una proposta altamente funzionale, che consente di avere a disposizione un preparato con farine già perfettamente miscelate come vuole la ricetta originale, limitando al massimo il margine di errore e ottimizzando i tempi di preparazione. Questa facilità di utilizzo è un valore aggiunto importante, perché permette di inserire in menù un prodotto alternativo alla pizza,

aumentando così le occasioni di consumo da parte dei clienti che amano questo genere di piatto. Diverse versioni per una tipologia di panificato particolare, che arricchiscono la profondità di gamma di Molino Spadoni, frutto della sua expertise nelle farine, talmente vasta da consentirle di formulare anche proposte specifiche come queste. Che sia la Miscela o la Pinsa Frozen, Molino Spadoni offre a ristoranti, bar e punti caldi la preziosa possibilità di avere sempre a portata di mano prodotti contemporanei e creativi, in grado di garantire risultati eccellenti con un importante plus: la semplificazione dei processi di chi lavora in cucina con prestazioni altamente funzionali.

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PIZZERIE Autrice: Marina Caccialanza

Pizzaiolo per amore Giulio Scialpi onora la sua carriera con un libro di memorie dove racconta la sua storia e lancia un messaggio ai giovani: fate il pizzaiolo e vi divertirete, troverete la vostra strada e anche l’amore clicca e leggi l’articolo sul web

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Campione del mondo di pizza nel 2014 e premio all’eccellenza nel 2017 sono solo alcuni dei riconoscimenti che Giulio Scialpi ha ricevuto nella sua lunga carriera costellata di successi, premi e soddisfazioni. Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo perché ha portato ovunque la pizza italiana, dalla Cina alla Norvegia, dalla Svizzera alla Polonia, sempre col sorriso e la tenacia di chi crede nel proprio lavoro perché l’ha conquistato con tenacia e forza di carattere. Il suo locale a Noci (BA) – Giù Pizzeria - è una meta irrinunciabile per gli appassionati della pizza perché è il luogo dove Giulio Scialpi ha riunito la sua immensa esperienza per offrirla a chi ne vuole godere. “Siamo caduti in piedi dopo le difficoltà della pandemia, e allora ho deciso di raccontare in un libro la mia storia e di esprimere le mie riflessioni su questo mestiere che, per me,

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è il più bello del mondo – afferma Giulio Scialpi con passione – per dare a tutti un messaggio di ottimismo, perché quando credi fermamente in quello che fai e lo fai con tenacia, niente ti può fermare, nemmeno una delusione amorosa”. Parte proprio da una delusione d’amore la storia di Giulio Scialpi che, per caso, scopre la sua vena creativa e diventa pizzaiolo, negli anni ’90: “La ragazza mi aveva lasciato – racconta – era un amore coinvolgente, un po’ morboso, ero giovane e mi sono ritrovato a dover prendere in mano le redini della mia vita per non esserne sopraffatto. Non avevo mai pensato di lavorare nel mondo della ristorazione ma ho dovuto reagire al dolore e invece di deprimermi ho trovato il mio ego e sono partito. È così che ho capito cosa volevo fare da grande”. In questo libro, “Pizzaiolo per caso”, scritto da Serena Simoni e in uscita il 15 luglio, Giulio Scialpi racconta il suo percorso dove vita e lavoro si intersecano, dove ha incontrato tanta gente: “Belli, brutti, simpatici o antipatici, quando si ha a che fare con la gente non si finisce mai di imparare, è questo il lato positivo. La vita è un viaggio e dobbiamo percorrerlo con entusiasmo, imparare a comunicare con gli altri e vivere ogni respiro perché ogni respiro è importante”. Un racconto di vita vissuta, dunque, che si interseca con la testimonianza della sua professionalità e che si esprime anche attraverso le ricette delle sue pizze divenute iconiche, quelle ricette che l’hanno accompagnato fino al titolo mondiale e oltre: “Noi italiani abbiamo portato i prodotti italiani nel mondo e dove già la pizza era diffusa l’abbiamo arricchita delle nostre specialità, ineguagliabili. Anche con l’uso di farine pensate apposta per la pizza, come Le 5 Stagioni. È un merito e un vanto ed è giusto darvi risalto”. Il libro vuole essere anche un messaggio, dichiara Giulio Scialpi: “Prima di tutto per i miei figli, perché sappiano cosa ha fatto il loro padre. Poi per tutti i giovani, perché capiscano che nella vita non bisogna mai perdersi d’animo, né per delusioni sentimentali né per delusioni lavorative. Se sei forte e caparbio, puoi superare qualsiasi cosa, andare avanti e raggiungere la tua meta. La mia esperienza mi ha insegnato che non finisce il mondo quando finisce un amore: ho conosciuto un altro amore e ho vissuto! Chi è forte, ce la fa”. È un inno al futuro e alla tenacia, quello che Giulio Scialpi innalza. È un invito all’ottimismo, a cogliere, oltre le difficoltà che sempre appaiono lungo la via, lo spunto per andare avanti in maniera costruttiva. Ed è un omaggio al suo mestiere: “Il mio lavoro mi ha dato tantissimo. Ho conosciuto tanta gente, ho imparato le lingue, ho allargato la mia mente e abbracciato culture ed emozioni. Mi sono confrontato con persone, palati e gusti. Sono stato aiutato e ho aiutato tanti amici.

Se oggi nessuno vuole lavorare nella ristorazione la colpa è anche di noi genitori che non abbiamo saputo trasmettere il valore del lavoro e della fatica. Questo è un lavoro che impegna ogni giorno dell’anno, ma è un lavoro stupendo che se hai la fortuna di affrontarlo con a fianco qualcuno che ti supporta – e io ho mia moglie, il vero amore, che mi accompagna e mi dà serenità, sempre – puoi affrontare tutto e ottenere grandi soddisfazioni. Puoi anche divertirti, perché noi ridiamo con il sottofondo della musica dei piatti e dei bicchieri, armonia pura”.

Giulio Scialpi

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ABBINAMENTI

L’Hosteria Giusti di Modena è un piccolissimo ristorante con una capienza massima di sedici persone. Il ristorante si trova dietro alla salumeria, di proprietà della famiglia Morandi: è la più antica d’Europa, infatti è nata nel 1605. Nel 1598 il signor Giovanni Francesco Ziusti era iscritto alla “Lista dei Lardaruoli e Salsicciari” ed esercitava l’arte della lavorazione della carne di maiale. La salumeria è rimasta della stessa famiglia di generazione in generazione fino al 1980, quando l’ultimo erede, Giuseppe Giusti, è andato in pensione e ha venduto la salumeria al suo ragazzo di bottega, Adriano Morandi, padre di Matteo. Adriano detto “nano”, convince la moglie Laura a diventare la chef dell’Hosteria, ristorante che avrebbero creato nel retro bottega, un locale di soli quattro tavoli. La cucina sarebbe stata di pura e semplice tradizione modenese. Successivamente entra in attività il figlio Matteo che si occupa della bottiglieria e del ristorante, nonché dell’organizzazione di eventi connessi al mondo enogastronomico. A segure arriva anche Cecilia, sorella di Matteo, che si occupa della salumeria e del servizio del pranzo in Hosteria . Nel 2006, finalmente, la famiglia riesce ad acquistare l’immobile sede della salumeria. Nel 2018 entra in azienda Daniele, primogenito, di Matteo che affianca la nonna Laura in cucina e si occupa anche dalla comunicazione aziendale.

Paolo Baracchino Fine Wine Critic info@paolobaracchino.com www.paolobaracchino.com

Cotechino fritto con zabaione al Sorbara dell’Hosteria Giusti abbinato alla Cuvée Brut Bellei, annata 2015 clicca e leggi l’articolo sul web

Cotechino fritto con zabaione al Sorbara

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Cotechino fritto con zabaione al Sorbara: Ingredienti: 2 Cotechini precotti, 2 Uova intere, Pan grattato q.b, Olio EVO per friggere per lo zabaione 3 Tuorli d’uovo, 3 Cucchiai rasi Zucchero semolato, ½ Bicchiere Lambrusco Sorbara Procedimento: Far bollire i cotechini nel loro involucro per circa mezz’ora. Toglierli dall’alluminio e a caldo togliere il budello nel quale sono avvolti e far raffreddare. Per ottenere circa 12 fette è necessario tagliare ogni fetta con uno spessore di circa 2 cm. Sbattere due uova intere, senza salarle, in

cui passare le fette di cotechino, prima di terminare la panatura nel pangrattato. Friggere in olio EVO fino alla doratura. Per lo zabaione: In un polsonetto a bagnomaria ottenere uno zabaione sbattendo con la frusta tre tuorli con tre cucchiai rasi di zucchero, aromatizzare con Lambrusco di Sorbara. Quando lo zabaione avrà acquisito volume sarà pronto per accompagnare le fette di cotechino. Salumeria Hosteria Giusti via Farini, 75 - 4121 Modena. Tel. 059 222533 https://hosteriagiusti.it

La cantina Francesco Bellei & C. È stata fondata, nel 1920 da Francesco Bellei. Negli anni ‘70 Giuseppe Bellei crea un Lambrusco di Sorbara con il metodo classico. La Cantina si trova nel comune di Bomporto, in provincia di Modena, tra i fiumi Secchia e Panaro. Gli ettari vitati sono cento, il terreno è prevalentemente sabbioso e il clima è di tipo continentale. I vitigni coltivati sono: Chardonnay, Pinot nero, Lambrusco di Sorbara e Pignoletto. L’enologo dell’azienda è Sandro Cavicchioli, che dopo esperienze di marketing e commerciali, è entrato nell’azienda di famiglia e dal 2011 anche nel Gruppo Italiano vini. I vini prodotti dall’azienda sono il Cuvèe Brut con metodo classico, la Cuvée rosso, metodo classico, il Blanc de Noirs Brut, metodo classico, la Cuvée Brut Rosè metodo classico, il Brut Nature, metodo classico millesimato, il Lambrusco Ancestrale Modena doc ed il Pignoletto Ancestrale Modena doc. Lo spumante da me scelto da abbinare al piatto è stata la Cuvée Brut nature, metodo classico, annata 2015. La zona di produzione è nei comuni di Bomporto e San Prospero in provincia di Modena. Il vitigno di questo cuvée è il pinot nero. Le vigne sono in pianura ed il terreno è misto, sabbioso e fertile. Il sistema di allevamento è a doppia cortina e potatura a cordone speronato. La vendemmia usualmente avviene i primi giorni di settembre. La fermentazione alcolica, solo della prima parte del mosto fiore, avviene a freddo in piccole vasche di acciaio inox. La presa di spuma avviene in bottiglia. La sboccatura avviene senza aggiunta di zuccheri (Nature). L’affinamento sui lieviti è minimo di 18 mesi. La gradazione alcolica è di 12,5% ed il residuo zuccherino è il 5g/l. Lo spumante viene messo in commercio dopo cinque anni dalla sboccatura. Cuvèe Brut Metodo classico, Brut Nature, annata 2015 Colore giallo oro con riflessi verdognoli e grigi. Le bollicine sono fini e numerosissime. Al naso risalta in modo preponderante il profumo di miele millefiori, seguito da vaniglia, lemongrass, lievi di bacca di ginepro, minerale ed elicriso (liquirizia). A bicchiere vuoto si sente il miele di castagno. All’ingresso in bocca si avvertono bollicine fini e carezzevoli. Intenso sapore di miele millefiori, minerale, pera kaiser e limone. Il corpo è medio e il vino è equilibrato, grazie alla sapidità, mineralità e freschezza che dominano la massa alcolica. Lunga è la sua persistenza aromatica intensa con finale di miele, pera kaiser e pera ruggine che fa ricordare anche il succo di frutta alla pera. Vino con piacevole morbidezza. (90/100) Ho scelto questo vino perché la sua nota dolce e poi agrumata si sposa bene con la iniziale grassezza del cotechino e riesce a sgrassare parzialmente il palato grazie al minerale, alla pera ed al limone. Ho trovato un perfetto bilanciamento tra cibo e vino. Francesco Bellei e C. - Loc. Cristo di Sorbara 130/132 - 41030 Bomporto (MO). www.francescobellei.it, cavicchioli.carlo1@gmail.com, tel. 059 902009.

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NOVITÀ Autore: Guido Parri

Affumicata Unika® www.centrocarnicompany.com

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Mai, come negli ultimi anni, è importante offrire ad un consumatore sempre più attento alla qualità ma soprattutto all’esperienza che fa, prodotti che vadano oltre l’ordinario. È l’impegno che l’azienda mette in atto ogni giorno, attraverso la ricerca della migliore materia prima e di lavorazioni speciali. Il nostro obiettivo è infatti questo: proporre prodotti all’avanguardia che mirino anzitutto alla soddisfazione del ristoratore, il nostro primo cliente, e del consumatore. Per questo abbiamo messo a punto dei prodotti speciali firmati UNIKA® che siano di eccellente qualità, gustosi e versatili. Una proposta è proprio l’Affumicata, della linea UNIKA® “Gli Stagionati del Montegrappa”. Un prodotto che, al di là del taglio, racconta una storia, che parte proprio ai piedi del Montegrappa. E’ qui infatti che prendono vita i prodotti di questa linea, dove l’artigianalità ha un ruolo cruciale. L’Affumicata UNIKA® è il frutto della stagionatura artigianale della punta di petto della scottona di Aberde-

en Angus Sired, quindi deriva da una materia prima unica nel suo genere: allevata in Irlanda per un primo periodo e poi in Italia, dove avviene la fase di finissaggio e fase in cui si caratterizza la carne che ne deriva. Un gusto dolcemente deciso. Infatti, l’Affumicata UNIKA® spicca per l’equilibrato binomio tra carne grassa e magra, accompagnato da un processo di affumicatura naturale favorita dal microclima del Montegrappa. L’Affumicata UNIKA® è un prodotto estremamente flessibile, duttile: consigliamo di degustarla a temperatura ambiente, accompagnandola con del pane casereccio caldo e delle verdure di stagione. Se tagliata a fette spesse, si può utilizzare per la preparazione di un primo gourmet, come una pasta o, se leggermente abbrustolita, si può unire ad un panino con burger di alta qualità. L’Affumicata è una soluzione davvero speciale per tanti piatti, dagli antipasti al piatto unico: un prodotto eccellente che esalta l’artigianalità e la sapienza dei maestri salumieri con cui UNIKA® ne ha studiato l’essenza e la preparazione.

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