LA BUONA NOTIZIA
don Alessio Albertini Consulente Ecclesiastico Nazionale CSI
All’ombra del campanile
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asta poco a Papa Francesco per tracciare le linee di una pastorale dello sport. Il tempo di ricevere l’ovazione e il saluto delle migliaia di persone accorse in Piazza San Pietro, atleti, dirigenti, preti, genitori per celebrare il settantesimo compleanno del Centro Sportivo Italiano. I cuori si erano già scaldati fin dal mattino quando pian piano via della Conciliazione, sede della presidenza nazionale, si era animata per l’arrivo delle varie società sportive. A migliaia, poi, il popolo del CSI ha mostrato i suoi colori solari sotto i 37 gradi del pomeriggio romano. Ma le parole del Papa sono scese nel cuore di ciascuno come una brezza leggera capace di riaccendere con più forza la vocazione del Centro Sportivo Italiano e di tutti coloro che operano nello sport. “Voi, giovani e adulti che vi occupate dei più piccoli, attraverso il vostro prezioso servizio siete veramente a tutti gli effetti degli educatori”. Non semplicemente degli animatori del tempo libero, abili nelle proprie competenze tecniche, capaci di far divertire. Educatori. Appassionati della vita intera dei propri atleti che merita di essere accompagnata. E lo sport si presenta come una via maestra per la crescita di una persona. Anzi una delle tre fondamentali indicate da Papa Francesco: “La strada dell’educazione, la strada dello sport e la strada del lavoro… Se ci
sono queste tre strade, io vi assicuro che non ci saranno le dipendenze: niente droga, niente alcol. Perché? Perché la scuola ti porta avanti, lo sport ti porta avanti e il lavoro ti porta avanti”. La Chiesa non può esimersi da questo impegno, sente l’impegno di far fronte a quella che è definita “emergenza educativa” con una presenza appassionata “per vivere fino in fondo ciò che è umano”. (EG 75). Una vocazione che ha avuto tanti
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un gruppo sportivo in ogni parrocchia dopo le parole di Papa Francesco
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testimoni: “Io ricordo in particolare una bella figura di sacerdote, il Padre Lorenzo Massa, che per le strade di Buenos Aires ha raccolto un gruppo di giovani intorno al campo parrocchiale e ha dato vita a quella che poi sarebbe diventata una squadra di calcio importante”. Tante sono le società sportive che svolgono la loro attività “all’ombra del campanile” e questa esperienza si presenta come una grande opportunità perché “se non c’è un gruppo sportivo in parrocchia, manca qualcosa”. L’applauso non è mancato, perché sono in tanti a credere a queste parole. Tanti uomini e donne han-
no speso, e continuano a spendere, il loro tempo e le loro energie per l’attività sportiva in parrocchia, formando intere generazioni di giovani che anche senza diventare campioni si sono formate alla vita. Purtroppo in alcuni casi l’attività sportiva è stata fronteggiata e, quando andava bene, sopportata. Tuttavia, si domanda mons. Galantino, segretario della CEI: “Quando oggi sento lamentele dentro e fuori della Chiesa; quando sento formatori scoraggiati perché non riescono più ad intercettare i giovani, mi chiedo: quanto impegno mettono costoro a farsi evangelizzare dallo sport?”. Non certo un rimprovero ma un invito, senza cadere nell’ingenuità dello sport come rimedio a tutti i mali: “Non credo che lo sport da solo, soprattutto lo sport praticato a qualsiasi costo, sia di per sé una prassi educativa”. La strada da percorrere per non sciupare la ricchezza che lo sport può dare anche ad una parrocchia è tracciata da papa Francesco che ribadisce che “questo gruppo deve essere impostato bene, in modo coerente con la comunità cristiana, se non è coerente è meglio che non ci sia”. La domanda più vera, allora, che deve stare alla base di ogni impegno sportivo all’ombra del campanile deve essere: Perché lo fai? E come lo fai?”
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