Printlovers, n. 88, 2021

Page 23

No Words LO R E N Z A P E L L E G R I Da copywriter e consulente di comunicazione dà voce ai brand che vogliono comunicare al meglio.

Da coach allena le persone e le organizzazioni a diventare migliori, qualunque cosa significhi per loro. Il suo sito è lorenzapellegri.com

Wordaholic. Quante volte vi capita di entrare in un’enoteca, o in un negozio di alimentari ben fornito, o in un e-commerce dedicato, per comprare una bottiglia di vino da portare in dono a casa di amici o da tenervi in casa vostra se sono gli amici a venire da voi? A me, tante. Come sono le vostre competenze in fatto di vini? Le mie, inesistenti. Il mio vocabolario enoico è composto solo dalle seguenti parole: rosso, bianco, fermo, mosso e bollicine. So che ne esistono tante altre, e che sapientemente utilizzate possono suggerire esperienze celestiali, ma per me le note fruttate, speziate, agrumate e ammandorlate sono tutte uguali, e se c’è un sottofondo leggermente erbaceo o minerale, per carità, ci sarà senz’altro, io non saprei dove andare a cercarlo ma mi fido. Però ho individuato una parola paracula come poche, con la quale, al ristorante, al momento di aiutare il sommelier a individuare il vino che mi piacerebbe bere, riesco a darmi un contegno. La sfoggio buttandola lì ma non subito, prima faccio finta di averla sulla punta della lingua e poi la tiro fuori con sicumera, come se fosse la parola risolutiva e definitiva ma soltanto per due intenditori sopraffini come noi: “Guardi, stasera avrei voglia di accompagnarmi con un vino rosso ma non importante, piuttosto… come dire… ecco, sì, ruffiano, questa per me è una serata da vino ruffiano!”

Ma dove invece la faccia tosta non ci aiuta, perché siamo davanti a scaffali analogici o digitali senza l’ombra di un esperto in giro, cosa intercetta il nostro sguardo vacuo e inconsapevole alla ricerca della bottiglia con cui fare bella figura? Il mio, poco ma sicuro, l’etichetta. L’etichetta sta al mio desiderio di mettere in tavola qualcosa di apprezzabile come il salvagente al nuotatore tutt’altro che provetto e spintosi troppo al largo. L’etichetta è il lasciapassare per tutti i cialtroni come me, il condono sociale di ogni abuso di ignoranza. Perché se una bottiglia di Merlot si chiama FISHING CAT e si presenta con l’illustrazione di un gatto appeso al filo della biancheria in mezzo alle sardine, non ce n’è, io me la bevo. In ogni senso. Idem se la bottiglia di Shiraz si chiama TWO BLIND MICE e in etichetta ci mette due deliziosi topolini e una scritta in braille. La compro sulla fiducia, quella per chi è così inclusivo da rendersi leggibile e degustabile anche dagli ipovedenti. E cosa dire di AESTHETE, che mette info e legal line sul retro delle proprie etichette così può dedicare il fronte delle stesse alla vision del brand? Per me è motivo sufficiente per scegliere, qui, in Italia, paese di poeti, santi, navigatori e viticoltori, una cantina californiana. Cheers! Del resto, quella del marketing è dura lex sed lex: forse l’etichetta non fa il vino ma sicuramente fa l’acquisto.

0021


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.