L'ESPRESSO 28

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Editoriale

Lirio Abbate

Il caos della politica sulla pelle degli italiani

Illustrazione: Ivan Canu

Mentre nel palazzo si organizzano manovre di piccolo potere, il contagio peggiora e le prospettive economiche si fanno più fosche. Non è certo questo il modo per riconquistare la fiducia degli elettori

È

finale di partita per Giuseppe Conte e Mario Draghi. E su questo scontro in diversi si augurano di sentire dal Colle più alto il fischio dell’arbitro che potrebbe mandare tutti negli spogliatoi, senza alcun recupero. Non ci sono ripicche, ma la logica delle cose porta a guardare al M5S, l’unico partito a stare al governo dall’inizio della legislatura abbracciando tre diverse maggioranze, chiedendo se questo modo di agire non è in contrasto con la loro origine e cioè: stare dalla parte dei cittadini. Gli scossoni del Movimento hanno provocato profonde crepe nel governo Draghi, che sono strutturali, non sanabili nemmeno con i lavori del superbonus. Perché siamo nel pieno della pandemia, verso la quarta dose per gli over sessanta, con la guerra in Ucraina che non accenna a fermarsi, una crisi economica e finanziaria che stringe non solo le famiglie ma soprattutto le imprese medio piccole e le attività commerciali. La recessione si avvicina al galoppo. E i sindacati chiedono interventi urgenti a tutela di operai e dipendenti. Far cadere il governo sarebbe un grave errore, adesso, perché le macerie si abbatterebbero sugli italiani. E poi, come spiega il senatore Luigi Zanda intervistato nelle pagine seguenti da Carlo Tecce, Giuseppe Conte deve difendere non soltanto il M5s, ma pure la sua personale credibilità. Il senatore del Pd poi auspica per la prossima legislatura la nascita di due schieramenti, uno conservatore e l’altro riformista in competizione tra loro. Tornare a destra e sinistra, guidate da Fratelli d’Italia e Pd, con regole chiare per salvare la democrazia. Siamo quindi a un finale di legislatura che come ricorda Susanna Turco, tutto ha reso possibile: governi di segno opposto guidati dallo stesso premier, poi governi di tutti e, ormai, anche il governo di nessuno. In questi giorni difficili Mario Draghi ha l’incubo di finire come Mario Monti, il quale continuò a guidare l’esecutivo anche mentre la maggioranza gli andava in pezzi. Stavolta però a governare è il caos. E occorre tenere la barra dritta.

L’inchiesta di questa settimana fornisce uno sguardo senza precedenti sui modi in cui Uber ha sfidato le leggi sui taxi ed ha ribaltato i diritti dei lavoratori. L’indagine giornalistica si basa su una fuga di messaggi sensibili, e-mail, fatture, note informative, presentazioni e altri documenti scambiati da alti dirigenti dell’ex startup della Silicon Valley, burocrati governativi e leader mondiali in quasi 30 paesi. Rivela gli incontri segreti con i politici per chiedere favori, tra cui cambiare le politiche sui diritti dei lavoratori e che la compagnia usava oligarchi russi come condotti per il Cremlino, e sfruttava a proprio vantaggio d’immagine anche la violenza contro i suoi conducenti mentre era impegnata in lotte di potere internazionale con tassisti e legislatori contrari alla sua espansione. Mentre Uber si batteva per aprire la sua attività nelle città di tutto il mondo, ha risparmiato milioni di dollari in tasse instradando i profitti attraverso le Bermuda e altre giurisdizioni offshore. I documenti riservati, trapelati al quotidiano The Guardian, mostrano che Uber ha cercato di distogliere l’attenzione dai suoi debiti fiscali aiutando le autorità a riscuotere le tasse dai suoi conducenti. Il Guardian ha condiviso i documenti di Uber Files con l’International Consortium of Investigative Journalists, una redazione senza scopo di lucro e una rete di giornalisti con sede a Washington, di cui fa parte anche L’Espresso, per facilitare un’indagine internazionale a cui hanno partecipato pure Paolo Biondani e Leo Sisti. I dati raccolti mostrano come Uber abbia cercato di ottenere sostegno corteggiando con discrezione primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi ed editori. I messaggi trapelati suggeriscono che i dirigenti di Uber allo stesso tempo non si facevano illusioni sulla violazione della legge, con un dirigente che scherzava sul fatto che erano diventati “pirati” e un altro che ammetteva: «Siamo solo fottutamente Q illegali». © RIPRODUZIONE RISERVATA

17 luglio 2022

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