L'Espresso 43

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Michela Murgia

Questo potere che pro

I

n nessuna democrazia piena un capo di governo porta in tribunale le voci intellettuali per criminalizzarne la critica. Succede solo nelle cosiddette democrature, i regimi nei quali le spinte autoritarie sono prevalenti anche su apparenti regole democratiche. Non c’è bisogno di arrivare a Polonia e Ungheria: per studiosi del calibro di Giovanni Sartori, per parlare di democratura era già sufficiente introdurre artifizi come le liste bloccate o il premio di maggioranza, che creavano - con la scusa della governabilità - le condizioni di quella che lui definiva “dittatura della maggioranza”. L’esito di quel processo, oltre allo strapotere dell’esecutivo e allo svuotamento dei meccanismi di controllo che nei sistemi sani sono alla base della dialettica politica, è soprattutto pedagogico: porta la cittadinanza a dimenticare che il dissenso è parte integrante del sistema democratico e la spinge a guardare la critica come una minaccia alla stabilità del Paese. Chi contesta - che sia uno scrittore in un editoriale, una studentessa in un’occupazione scolastica o dei lavoratori in sciopero - è dipinto come un violento e un odiatore, ma anche un nemico della democrazia, giacché si sostiene che il suo dissenso, mirando a Migranti tratti in salvo mettere in difficoltà chi governa, vada consu un barcone tro l’esito delle urne. Nella retorica della democratura, il dissenso verso il potente diventa dissenso verso chi lo ha votato e le persone che esprimono la critica passano dallo status di guardianə del potere a quello di nemici del popolo. In Italia quel passaggio è stato compiuto da decenni, durante i quali la criminalizzazione di chi critica è diventata normale. Cominciò Berlusconi, presentando la sua politica non come proposta di governo, ma come progetto d’amore che avrebbe trionfato sempre «sull’invidia e sull’odio», cioè i nomi che lui dava al dissenso. Dal cosiddetto editto bulgaro, che creò le condizioni per la cacciata dei giornalisti ostili dalla tv pubblica, fino alla sanguinosa repressione del dissenso di Genova nel 2001, per vent’anni si gettarono le basi per additare ogni antagonista come antipaticə odiatorə seriale, veicolo di negatività e di narrazioni distruttive per il paese. La prassi criminalizzante dal berlusconismo è passata presto ai suoi sottoprodotti politici. L’ultimo presidente del Consiglio a mutuarla è stato Matteo Renzi, con la campagna a suon di minacce legali contro giornalisti, scrittori e persino utenti di Twitter ricordata con il bellicoso hashtag di #colposucolpo.

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30 ottobre 2022

Intendiamoci: non è che la classe politica italiana ce l’abbia col dissenso più di altre. L’anomalia qui è che l’assenza di una reale opposizione alle politiche di destra costringe spesso chiunque abbia una visibilità mediatica derivata dal suo mestiere a fare la supplenza morale di una sinistra partitica che da anni non c’è o non rileva. Per questo l’opposizione oggi sembrano farla, anche loro malgrado, le persone dotate di visibilità mediatica, che siano scrittorə, fumettistə, cantanti, influencer, sportivə e persino stilistə. Le loro opinioni critiche, complice un giornalismo a caccia di click, vengono però raccontate come attacchi, affronti, incursio-


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