Bergamo Economia giugno

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LE INTERVISTE • Baldassare Agnelli • Giuseppe Remuzzi • Franco Gussalli Beretta • Tomaso Trussardi

Dopo il lockdown, COMAC guarda al futuro insieme ai suoi collaboratori: sinergia necessaria per superare la crisi

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L’EDITORIALE giugno 2020

100 GIORNI. 34 MILA MORTI. EPICENTRO BERGAMO.

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ffetti paragonabili a quelli di un disastro naturale, di un’incontrollabile calamità che lascia evidenti tracce del suo passaggio. Alberi sradicati, case divelte, defunti. Ma la sua durata, 100 giorni, fa sì che si possa parlare di una “guerra”, un lungo estenuante bombardamento. E mentre Bergamo, fiera della propria Atalanta viveva un momento di generale euforia qualcosa era in agguato: un nemico invisibile, infido e contagioso, il virus. Per strada non ci sono macerie, ne rami spezzati o alberi abbattuti. Sono però cadute le nostre certezze, al loro posto la convinzione di una nuova vita, differente e più fragile di quella che conoscevamo. Non solo diversa, precaria. Una lunga serie di interrogativi affastella inevitabilmente i nostri pensieri obbligandoci a riflettere, a interrogarci allo specchio. Siamo in grado di apprezzare oggi una rinnovata normalità? Quanto siamo felici di essere ancora vivi? Di riprendere la nostra quotidianità? Di tornare a lavorare? E ancora, quante difficoltà sono emerse in questo lungo periodo di fermo? Più che una riflessione ad alta voce, questi interrogativi ci costringono - proprio come siamo stati obbligati a fare nelle diverse e lunghe settimane nelle nostre case/ rifugio - a un monologo. Abbiamo messo in discussione tanto, probabilmente tutto. Relazioni pubbliche e private. Abbiamo visto affiorare le debolezze nostre, del nostro territorio, della nostra economia. Su questo mi soffermerò qualche minuto in più. Alle silenti morti di imprese italiane, già nella situazione che ha preceduto la pandemia - abbiamo visto chiudere 250 imprese al giorno per quasi 10 anni dicendo quindi addio a 850.000 aziende - si aggiungeranno circa 400.000 attività che, tirata su la serranda dopo il lockdown, non ce la faranno a riprendersi. Una strage di conoscenze e competenze, di posti di

lavoro e quindi di famiglie e imprenditori, che versano in gravi difficoltà perché privi di ammortizzatori sociali, categorie mai davvero attenzionate dalla politica tanto meno dai loro sindacati di categoria. Dal vivere in emergenza a finire in preda all’usura il passo è breve. Del resto, con le banche ben coperte dalle loro fideiussioni, serrate dietro un burocratico e disumano cinismo, queste categorie sociali vittime di chi si nasconde agendo dietro il “politicamente corretto”, rischiano di finire a gambe all’aria, di vivere al riparo sotto un ponte e di fare la fila alle mense della caritas. È emersa, in occasione di un forzato pit-stop, tutta la debolezza del nostro sistema economico, come una bassa marea, sono affiorati tutti i mali della nostra società: rottami, copertoni, vecchi elettrodomestici che dopo poche ore, la romantica bellezza del mare ricopre. Una economia che vive sulla dinamica del giro, incassi che servono a coprire debiti che a loro volta ne coprono di precedenti. Una salute finanziaria del tutto apparente, solida come un castello di carte. Una catena di Sant’Antonio che, se arrestata, ti lascia con solo i debiti da pagare. Ma quanto lavoro nero è venuto alla luce? Quante attività irregolari abbiamo contato? Quanti debiti sono emersi? Il mostro ci ha aperto gli occhi. E questa nuova luce deve essere il motore di un cambiamento. L’Italia, è il caso di dirlo, deve mettersi in regola. A partire proprio dalla politica: che pensi maggiormente al futuro del paese e meno alle questioni di partito. Il consenso lo avrà chi saprà fare e lo farà con serietà. Azioni forse dolorose. Medicine amare ma efficaci. Ora che abbiamo toccato con mano gli effetti di una secca, non possiamo più mettere la testa sotto la sabbia. Abbiamo visto con i nostri occhi, vissuto sulla nostra pelle, ne portiamo i segni sulle spalle. È finito il tempo delle approssimazioni, delle mancanze celate, dei teatrini. Sappiamo non esistere la penisola che non c’è. Paolo Agnelli

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CONTENUTI giugno 2020

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COVER STORY

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L’INTERVISTA/2

ECONOMIA ATTUALITÀ & POLITICA

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6. ANDRÀ TUTTO BENE Padre Marco Bergamelli 8. ECONOMIA Crisi Coronavirus, i dubbi del cavaliere Baldassare Agnelli «Dinastia di combattenti ma ora è diverso» 12. L’INTERVISTA Professor Giuseppe Remuzzi: «Il virus? Avrà vita più dura in Italia che altrove» 18. CITTÀ Giorgio Gori: In corsa per il World Major 2020, ma lui frena: «Ho fatto solo il mio dovere» 22. L’INTERVISTA/2 Tomaso Trussardi: «Moda? Non solo: noi siamo stile di vita» 28. UBI BANCA Luca Gotti: «Parole chiave: bisogno e responsabilità» 30. DAL 1526 Franco Gussalli Beretta: «Fare sistema e velocità di reazione: così usciremo dalla crisi» 34. MEDICINA Dottor Gianluca Cotroneo: «Covid-19: c’ero anch’io “in trincea”»


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ECONOMIA

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DAL 1526

RUBRICHE

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DEFENDER

MUSICA

42. COVER STORY Ripartenza coraggiosa 52. L’ANALISI MMT Bussate alla porta di Christine 58. TOP BUSINESS Be Bad: Il partner ideale per trasformare la tua idea in un’impresa di successo 64. MOTORI • Land Rover Defender • Ford Kuga

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L’INTERVISTA

BERGAMO ECONOMIA MAGAZINE Rivista mensile di economia attualità, costume e stile (Registrazione al Tribunale di Bergamo nr. 5 del 21/02/2013) Società editrice: Giornale di Bergamo S.r.l. Via San Giorgio 6/n 24122 Bergamo Direttore responsabile: Paolo Agnelli Direttore editoriale: Francesco Legramanti Concessionaria pubblicità locale: Giornale di Bergamo S.r.l. Via San Giorgio, 6 - 24122 Bergamo Tel. 035 678811 - Fax 035 678895 info@bergamoeconomia.it www.bergamoeconomia.it Stampatore: CPZ SPA Costa di Mezzate (Bg) Via Landri, 37 - Tel. +39 035 681 322 Abbonamenti: Tel. 035 678811 Costo abbonamento: 25 euro per 10 mesi

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ANDRÀ TUTTO BENE

PADRE MARCO

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speranza per la nostra amata città. «I dati sono chiari, la situazione sta poco a poco migliorando nonostante la gente abbia ancora paura», continua: «mi si è spezzato il cuore nel vedere così tanta gente morire tutta insieme, ho avuto paura anche io ma la grazia del Signore mi ha sempre sostenuto, non potevo permettermi

di tirarmi indietro perché c’era gente che stava peggio di me e dovevo dare conforto alle famiglie che hanno perso i loro cari». Afferma Padre Marco: «il lookdown non ha portato solo cose negative, ci ha insegnato ad apprezzare i valori primari e ciò che prima veniva dato troppo spesso per scontato. I figli hanno finalmente

Foto Matteo Zanardi

adre MARCO BERGAMELLI, che per più di due mesi ha avuto l’arduo compito di benedire le bare nel cimitero di Bergamo, ha finalmente trovato il tempo per tirare un sospiro di sollievo e ha voluto lanciare un messaggio di

capito quanto sono importanti i propri genitori e mi ha commosso la solidarietà tra le persone che nel momento del bisogno non si sono tirate indietro con il volontariato e la carità». Infine ha tenuto a precisare: «Dio non ci ha castigati con questa pandemia, lui è sempre a braccia spalancate per noi e ci ama incondizionatamente». Ilaria De Luca

«Il lookdown ci ha insegnato ad apprezzare i valori primari, spesso dati per scontati» 6


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Foto Sebastiano Rossi

ECONOMIA

ÂŤLa ricetta per sostenere le aziende: meno burocrazia e costi di gestione, piĂš concretezza, basta fare politica su imprenditori e lavoratoriÂť 8


CRISI CORONAVIRUS, I DUBBI DEL CAVALIERE

BALDASSARE AGNELLI

«Dinastia di combattenti ma ora è diverso»

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uesto un breve riassunto della storia del gruppo, una carriera che ha portato Baldassare Agnelli alla nomina a Cavaliere del Lavoro nel giugno 2018. Ma lui, che si è sempre definito “la punta di una freccia”, non ha mai nascosto i meriti delle tante persone che stanno alla base di questo successo: la famiglia, a cominciare dalla moglie Marilena, dal figlio Angelo e dal fratello Paolo, l’altra colonna portante dell’azienda; i tanti amici che lo hanno sostenuto anche nei momenti difficili; e soprattutto gli operai, una seconda famiglia che Baldassare Agnelli orgogliosamente conosce uno a uno, con cui ha instaurato un rapporto di stima, affabilità e collaborazione, ben consapevole di cosa significhi essere un leader per dei lavoratori che, alla fine, sono coloro che costruiscono la fortuna dell’azienda. E oggi, non nasconde le sue preoccupazioni per tutte queste persone, dimostrando un’ottica da imprenditore “moderno” a dispetto dei lunghi anni trascorsi a farsi le ossa in ditta.

Dal mio punto di vista di piccolo imprenditore della vecchia guardia, questa purtroppo non è la solita crisi in cui ci si dice «Rimbocchiamoci le maniche e ripartiremo». Questa volta temo non sarà così, mancherà l’entusiasmo per ripartire. In Italia arriviamo dalla crisi del 2008 che ha prosciugato le risorse finanziarie allora a disposizione, e questa terza guerra mondiale sanitaria ci ha trovato del tutto scoperti e impreparati. Questo dispiace, soprattutto perché le piccole aziende sono come una famiglia: si conoscono personalmente tutti i propri lavoratori, si conoscono le storie e le difficoltà di ognuno, e anche se abbiamo cercato di intervenire in prima persona, non solo con la cassa integrazione straordinaria, ma anche con anticipi e giorni di ferie, c’è grande preoccupazione per cosa ne sarà di tutti loro domani. Suo fratello Paolo Agnelli, nel numero di marzo, aveva avuto parole molto dure e critiche sulla gestione della crisi per il mondo del lavoro, in particolare si era soffermato sull’importanza di garantire fondi 9


straordinari alle imprese, ridurre la burocrazia per ottenerli e ragionare su criteri che non fossero il semplice codice ATECO per garantire riaperture in sicurezza ed evitare l’effetto domino. Il nodo centrale rimane tuttora la burocrazia. L’effetto domino si è effettivamente verificato nella filiera, ma essendosi ormai completata la riapertura il problema è stato, più che risolto, messo da parte, e d’altronde tutte le aziende che conosciamo tra i nostri fornitori e collaboratori, hanno fatto tutto il possibile e anche di più per garantire una riapertura sicura, con tutte le misure e i DPI necessari. Lo dimostra il fatto che le uniche ditte ad essere oberate di lavoro in questo momento sono quelle che producono DPI, separatori in plexiglas, tutte le attrezzature che conosciamo per rendere un posto di lavoro a prova di contagio. E gli acquirenti, in questo caso, non possono essere che gli imprenditori stessi, a dispetto di quanto sostiene qualcuno che afferma che la riapertura sia stata affrettata e che non ci siano stati i dovuti approvvigionamenti di strutture e attrezzature di sicurezza. Come stanno affrontando i dipendenti questo inizio di ripresa? La ripresa è molto, molto lenta, e le aziende stanno lavorando forse al

cinquanta per cento. Stiamo cercando di far ruotare il personale in modo che la cassa integrazione debba coprire solo mezzo mese. La volontà c’è, ma c’è preoccupazione. Il nostro settore, essendo fornitori della ristorazione, è tra i più colpiti, secondo solo forse al turismo. Conosco personalmente molti imprenditori nella zona della Riviera Romagnola, per i quali la situazione si prospetta davvero 10

difficile, ad oggi non ci sono prenotazioni se non per qualche weekend, e ovviamente il turismo straniero rimane affossato. Ovviamente i turisti torneranno, prima gli italiani e poi gli stranieri, ma bisogna sperare che davvero la crisi sia limitata solo a quest’anno e che la pandemia effettivamente rientri entro il 2020 con la collaborazione di tutti. Anche così, tuttavia, nel 2021 dovremo per

così dire contare i sopravvissuti tra le attività, specialmente nel settore turistico, della ristorazione, hotellerie e intrattenimento. Fate parte di una dinastia industriale ormai arrivata alla quarta generazione, non è certo la prima volta che siete costretti ad affrontare una crisi… No, certamente no. Mio nonno Baldassare ha avviato l’azienda


nel 1907 e dopo soli otto anni ha dovuto affrontare il primo default per via del primo conflitto mondiale. Non ho conosciuto bene mio nonno, che ci ha lasciati quando io avevo solo dieci anni, ma ora rimpiango di non aver trascorso del tempo in officina con lui, penso avrebbe potuto insegnarmi molto. C’è stata la crisi del ’29, tutte le banche sono andate a rotoli, e mio padre Angelo ci raccontava spesso del nonno in lacrime. Strano immaginarlo prostrato, in quanto mio nonno, stando a quello che di lui mi raccontano, somigliava molto a mio fratello Paolo, un uomo brillante, di carattere, sempre reattivo. Mio padre Angelo, invece, somigliava maggiormente a me, un tipo riflessivo, uno che non ama

Non stava mai fermo, era sempre intento a inventare, creare, sperimentare. Aveva delle idee veramente rivoluzionarie, magari poi non tutte andate a buon fine. Ne abbiamo viste tante di crisi, e da tutte siamo usciti vittoriosi, ma ho la sensazione che questa sia diversa.

mettersi in mostra, uno che lavora dietro le quinte. Si trasformava solo quando era con noi, in famiglia. Era lì che ce lo godevamo maggiormente, a casa e nei brevi periodi di vacanza diventava spensierato, riusciva a lasciare da parte le preoccupazioni lavorative. E poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, la crisi del 2008, e fu la sua grande inventiva a permetterci di superare anche questi problemi.

questa situazione. Lo spirito è cambiato.

In cosa, esattamente? Abbiamo scoperto un nuovo modo di lavorare, in smart working, il che certamente costituisce un’opportunità che anche io mi sto godendo. Ma resta il fatto che non tutto si può fare in smart working. I DPI necessari, le mascherine, di fatto riducono la produttività, è molto faticoso lavorare con la mascherina sul viso nonostante, ovviamente, siano garantite le pause dovute. Confido nella positività, nella fiducia, ma in questo momento tutti, a maggior ragione noi con qualche anno in più sulle spalle, che abbiamo visto morire degli amici, sentiamo ancora molto forte la pressione e la preoccupazione di

Come sono destinati a cambiare gli equilibri del commercio mondiale? Credo che questa vicenda, e in particolare il fatto di vedere la Cina, maggior fornitore mondiale di beni, ridotta in default e impossibilitata a consegnare, abbia insegnato alle aziende l’importanza di non rivolgersi a un fornitore unico. Non è

certo la prima volta che si presenta questo problema, ma mai prima d’ora si era presentato su scala globale e in maniera così pervasiva. Molte aziende che avrebbero potuto muoversi diversamente si sono trovate in blocco anche per questo. È sempre indispensabile avere un piano B, ma un piano B, inteso come un fornitore di riserva, deve avere prezzi in linea con quelli del fornitore principale. Meglio ancora sarebbe avere una gamma di fornitori da far lavorare a rotazione. Ma, per fare in modo che ciò avvenga, dobbiamo necessariamente tornare a chiedere una riduzione dei costi del lavoro e della gestione, altrimenti tutto questo si blocca. Non è più tempo di fare politica su imprenditori e lavoratori: è tempo di usare il buon senso. Già, usare il buon senso ed evitare di usare qualunque scusa, in questo caso la pandemia, per raccogliere voti. E una visione imprenditoriale coerente, dato che, già in tempi non sospetti (per intenderci, al tempo della sua nomina a Cavaliere del Lavoro nel 2018), sempre su queste pagine Baldassare Agnelli si era espresso con decisione per una riduzione della burocrazia e dei costi di gestione, quando gli era stato chiesto quale avrebbe potuto essere la sua “ricetta magica” per le aziende italiane. Questo a dimostrazione del fatto - chiosa Agnelli - che viviamo in un Paese meraviglioso, ma cronicamente incapace di risolvere i propri problemi, che guarda caso a distanza di anni sono sempre gli stessi. L’Italia, come ha ricordato il Presidente Mattarella nel giorno della mia nomina a Cavaliere, è capace di esprimere talento, impregno, sacrificio. Le PMI sono la spina dorsale del nostro Paese, non sappiamo più come ribadirlo. È ora che le istituzioni se ne dimostrino all’altezza, sostenendole concretamente. Dopo questo scossone, non è più possibile aspettare. Arianna Mossali 11


Foto Antonio Milesi

L’INTERVISTA

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Professor REMUZZI «Il virus? Avrà vita più dura in Italia che altrove» Il punto sulla situazione Coronavirus: meno malati gravi, curva in calo, ma restano importanti le precauzioni

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ovid 19: da mesi, ormai, non si parla d’altro. La situazione sta senz’altro prendendo una piega meno drammatica, i contagi e i ricoveri in terapia intensiva diminuiscono, il lavoro lentamente riprende. Ma la ferita resta aperta per tante famiglie. Domande e paure restano tante: cosa succederà adesso? I sacrifici che abbiamo fatto sono serviti? Cosa ci riserva il futuro? Abbiamo cercato di sciogliere alcuni di questi nodi con il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.

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Recentemente lei e altri colleghi, tra cui il prof. Zangrillo, avete espresso una posizione piuttosto ottimistica, sostenendo che la carica virale del Covid vada esaurendosi… Sono stato il primo ad assumere questa posizione, e peraltro l’ho fatto in maniera piuttosto sommessa, onde evitare che questo potesse dare adito ad interpretazioni errate da parte del pubblico. Ho parlato, tuttavia, più che del virus in se stesso, di una effettiva diminuzione dei casi di malattia grave. Zangrillo si è spinto ad aggiungere che clinicamente il virus sia morto, ma a dire la verità non ne sappiamo più di tanto. Sappiamo per certo che non ci siano più malati gravi, e perché? Innanzitutto hanno funzionato le protezioni adottate: mascherine, distanze e igiene hanno portato effettivamente a una diminuzione della quantità di virus con cui veniamo a contatto quotidianamente. In secondo luogo, le pandemie hanno un loro 14

ciclo che le porta fisiologicamente ad esaurirsi, come avvenuto per la SARS. In terzo luogo, il virus muta. La maggior parte delle mutazioni sono neutre o sfavorevoli all’uomo, ma ci vorrà un arco di tempo assai lungo per osservarle. Frenerei gli entusiasmi, dato che proprio le misure di sicurezza di cui parlavo hanno sicuramente portato a un miglioramento, e il fatto che questo miglioramento sia visibile incoraggia la popolazione a continuare ad applicarle. È possibile che, proprio vista l’estrema mutevolezza del Covid 19, parlare di un vaccino efficace sia utopistico? Esistono tre ceppi del virus: mediorientale, europeo e statunitense. Per quanto riguarda il nostro Paese, in Italia l’epidemia si manifesta in tre modi diversi: quello delle regioni attualmente a zero contagi è diverso da quello della Lombardia o del Piemonte. L’impressione è che l’epidemia sia chiaramente diversa nelle tre aree

d’Italia: curiosamente, quando è stata dichiarata la chiusura della Lombardia, abbiamo visto fughe di massa verso il Sud e ciononostante alcune regioni non hanno registrato contagi. E non penso questo sia dovuto a differenze nel comportamento della gente: vedo la stessa attenzione a Milano come a Roma o a Napoli, la maggior parte, ma non tutti, sono attenti a quello che fanno. L’epidemia dipende da tanti tipi di interazione: con ambiente, natura, cibo, genetica. Tenere conto di tutte queste variabili è estremamente complesso. Detto questo, il virus rimarrà con noi per alcuni anni e quindi sarà comunque importante avere il vaccino, che sarà presto disponibile. Siamo comunque vicini, stando ai dati sierologici, ad un’immunità di comunità che si aggira tra il 50 e il 60%, pertanto sempre più persone sono attualmente venute a contatto con il virus. Non sappiamo, tuttavia, quanto duri la copertura anticorpale. Continua a pagina 16



adottare poche elementari precauzioni: mascherine, igiene personale. Lo stesso rilevamento della temperatura, in assenza di contatto, con l’innalzarsi delle temperature diventa poco utile. Quanto sono attendibili le previsioni di una possibile seconda ondata in autunno? La seconda ondata era già stata prevista per giugno e, ad oggi, scaramanzia permettendo, non si è palesata. Detto questo, tutti i virus della famiglia Corona hanno andamento stagionale, resta quindi possibile una ripresa dell’epidemia tra autunno e inverno, ma a livello di immunità di comunità saremo comunque maggiormente protetti. Sarebbe importante fare il vaccino influenzale, soprattutto per gli ultrasessantenni e persone recentemente dimesse dall’ospedale, più fragili. Temo di più una combinazione di Covid, influenza ed esposizione ad altre forme virali che il Coronavirus in sé. Sicuramente, dopo questa esperienza, saremo preparati e non rifaremo gli errori fin qui commessi.

Secondo il sindaco Gori, il problema principale nella mappatura del virus sta nella carenza di tamponi. Crede nell’efficacia della mappatura a tappeto? I tamponi purtroppo registrano tanti falsi positivi e falsi negativi, oltre ad essere suscettibili di errore umano. Il tampone ha dei limiti e non ha senso farlo a 60 milioni di italiani, comportando una massiccia mobilitazione del SSN, oltre alle risorse per i tamponi stessi e per il reagente. Va fatto allo scopo di circoscrivere e tracciare l’epidemia, e questo avrebbe avuto senso fin da febbraio-marzo, ad esempio nelle RSA, nei lavori a contatto con il pubblico e per gli operatori sanitari. Questi sono i gruppi a maggiore rischio di cluster 16

di contagio. Che provvedimenti è ragionevole adottare per la riapertura in particolare delle scuole? Le scuole hanno riaperto ovunque tranne che da noi, e moltissimi studi dimostrano che i bambini hanno molto più da perdere da un lockdown prolungato che dalla riapertura delle scuole. Chiaramente si corre qualche rischio, ma in maniera limitata. Uno studio francese dimostra che i bambini fino agli 8 anni molto difficilmente contraggono il virus. L’infettività sale fino ai 15 anni e successivamente diventa uguale a quella degli adulti. A mio parere, per quanto riguarda i bambini sarebbe sufficiente

Esiste un’emergenza sanitaria corollaria al Coronavirus? La pandemia dei pazienti non COVID: i pazienti affetti da altre patologie non riconducibili al Coronavirus che non hanno potuto essere seguiti al meglio in questa situazione di emergenza. Inoltre, occorre monitorare attentamente i sintomi di chi ha sviluppato il virus in forma grave e che potrebbe avere conseguenze a lungo termine a livello renale, respiratorio e cerebrale. Il suo messaggio per i bergamaschi? Siamo stati i primi ad essere colpiti, nella forma più violenta, da questo virus; siamo stati anche i primi ad uscirne. Con questo virus, come ho detto, dovremo imparare a convivere, ma se continueremo ad applicare le regole come abbiamo fatto, il Covid farà molta fatica a circolare di nuovo da noi con tanta virulenza.


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Foto Antonio Milesi

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Il sindaco ripercorre i mesi del lockdown e analizza i punti critici della gestione dell’emergenza sanitaria, e quelli da cui ripartire 18


GIORGIO GORI

In corsa per il World Major 2020, ma lui frena: «Ho fatto solo il mio dovere»

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ergamo appare ancora assopita a dieci giorni dalla fine del lockdown. Non c’è più l’atmosfera surreale, da film postapocalittico, delle strade vuote e silenziose; ma certo il traffico automobilistico, percorrendo la circonvallazione, viale Papa Giovanni, e le vie del centro che portano verso il Municipio, potrebbe essere quello di una sonnacchiosa giornata di pieno agosto, più che di un normale giorno lavorativo in cui tutti si muovono per ripartire al 100%. Giorgio Gori ha presidiato Palazzo Frizzoni in questi due mesi e mezzo abbondanti, scegliendo di recarsi in ufficio ogni giorno, nonostante uno staff ridotto ai minimi termini, per far sentire ai cittadini la propria presenza al posto di combattimento. Oltre a dover gestire la stampa, anche internazionale, che per settimane ha preso d’assalto il palazzo comunale in cerca di dichiarazioni, il sindaco è riuscito a reggere il timone, talvolta costretto a navigare a vista a causa delle complicanze e incomprensioni tra le varie istituzioni, ed è stato candidato dal World Mayor Project al riconoscimento di miglior sindaco a livello mondiale, per la sua gestione della tempesta Covid19. Ma cerca di contenere l’entusiasmo. «Trovo questo riconoscimento un po’ esagerato. Sono sinceramente onorato di essere stato inserito in questa lista insieme ad altri due ottimi colleghi italiani (Sala di Milano e Argenti di Villa del Conte, ndr), ma credo di non aver fatto nulla che non rientrasse nel mio dovere. Semplicemente, sono stato maggiormente coinvolto e messo alla prova rispetto a colleghi che hanno avuto maggiore fortuna, perché da noi il virus ha colpito duramente e per settimane Bergamo è diventata,

epidemiologicamente parlando, il centro del mondo, quindi siamo stati sotto la lente di ingrandimento. Sono stati fatti degli errori, è fisiologico in una situazione completamente nuova, ma se sono in questa selezionatissima lista si deve maggiormente alle circostanze che ai miei meriti, e onestamente rimane un’esperienza che avrei preferito non fare». La chiave di volta, adesso, è la mappatura epidemiologica data dall’abbinamento di test sierologici e tamponi: a che punto siamo? «La situazione è di grande confusione, derivante da orientamenti contraddittori da parte della Regione, che per quanto riguarda i tamponi non si è ancora dotata di una capacità produttiva adeguata. Chiunque abbia il minimo sintomo dovrebbe essere sottoposto a tampone, e a cascata i suoi familiari e contatti anche asintomatici, e sarebbe buona cosa prevedere l’isolamento per chi non può effettuarlo in maniera efficace nella propria abitazione. Questo è l’unico modo di evitare che si riparta daccapo. La Lombardia in questo momento non è in grado di applicare queste procedure con la tempestività e la capillarità che il monitoraggio della situazione richiederebbe. Le cose sono migliorate, ci aggiriamo attualmente sui 12-13.000 tamponi al giorno rispetto ai circa 5.000 della fase di picco, ma sono sempre insufficienti. Parliamo dei test sierologici: presentati dal Presidente della Regione come il viatico per la patente di immunità, ad oggi sappiamo che non lo sono, che ci dicono se una persona, essendo venuta a contatto con la malattia, ha sviluppato gli anticorpi, ma se non abbinati al tampone non sono utili dal punto di vista diagnostico, non ci dicono se il paziente è contagioso o la malattia è in corso. Addirittura, si è arrivati a proclamare l’opposto, cioè che che i test siano inutili e che sia superfluo farli, tutto questo dopo essere stati l’unica Regione al mondo ad averli pubblicamente avallati. Gli istituti di analisi privati sono stati prima frenati, poi gli è stato detto di partire con i test, infine sono stati nuovamente bloccati. Noi, in questi giorni, abbiamo pensato di fare da soli, grazie a tanti partner del nostro territorio: 50mila test sierologici e tamponi per coloro che saranno positivi agli anticorpi, per sapere davvero come sta il nostro territorio a qualche settimana dal COVID19». Cosa non ha funzionato, a livello generale, nella nostra regione? «Non mi sento di attribuire responsabilità a questa o quella istituzione: penso che semplicemente il virus abbia colpito maggiormente in Lombardia perché qui abbiamo avuto i primi

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in parte da medici e infermieri molto preparati, che hanno lavorato in otto squadre da quattro membri ciascuna presso l’ospedale da campo in fiera, e in parte da professionisti della sanificazione già esperti di teatri di guerra batteriologica. Hanno svolto un lavoro prezioso».

focolai e, ormai appare certo, l’epidemia era già in fase molto avanzata nel momento in cui abbiamo individuato il Covid 19. Non conosciamo il momento preciso in cui è approdato da noi, ma si parla addirittura di fine 2019, e da lì a febbraio il virus ha avuto mesi per colonizzare indisturbato il territorio. Sul perché non lo si sia riconosciuto prima, le responsabilità sono diverse. Credo si sia sbagliato, in una prima fase, nel monitorare solo ed esclusivamente chi avesse avuto contatti diretti con la Cina, senza calcolare che i contatti indiretti erano già stati veicolo di diffusione. Sono stati sicuramente commessi degli errori: per quanto riguarda, nello specifico, Bergamo e la Val Seriana, la mancata istituzione della zona rossa; per mesi, sono stati fatti tamponi - e ritorniamo alla questione della scarsa disponibilità degli stessi - solo a chi

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arrivava in pronto soccorso già in gravi condizioni, quando avremmo dovuto farli al domicilio sin dai primi sintomi; poi la Regione ha reso obbligatorio l’uso delle mascherine, ma queste non si trovavano da nessuna parte. Qui il virus si è manifestato con violenza inaudita e ci ha colto impreparati, ma questa non vuole e non deve essere un’attenuante». È intervenuto un team di specialisti russi per aiutare nella disinfezione delle strutture ospedaliere e residenziali, come si è creato questo contatto? «È stato la conseguenza di un primo contatto avvenuto a fine marzo tra il Presidente Conte e il Presidente Putin, che poi ha portato a una trattativa tra i rispettivi Ministri degli Esteri e all’intervento di questo team, composto

Sono trascorsi una decina di giorni dalla fine del lockdown e il rischio maggiore è quello degli assembramenti; è complicato garantire la sicurezza in città in questo senso? È di questi giorni la polemica sull’ipotesi di istituire una guardia civica in tal senso. «Trovo piuttosto assurda l’idea delle guardie civiche anti-assembramento dato che, grazie a Dio, non mancano volontari sul territorio con cui esiste un rapporto di collaborazione duraturo e consolidato, senza bisogno che la Protezione Civile debba assumere altro personale a livello nazionale. Detto questo, garantire l’ordine nel primo weekend di libertà non è stato semplice. Il sentimento di sollievo è eccessivo specialmente tra i giovani che, dopo i mesi difficili che abbiamo trascorso, sentono prepotentemente il bisogno di uscire, socializzare, tornare alla vita di sempre, e questo li porta ad agire con una certa leggerezza: si sono viste mascherine abbassate o totalmente assenti, distanze troppo ridotte, folle nei locali. Rinnoviamo l’invito ad essere prudenti. In questo momento, non stiamo chiedendo cose trascendentali, come restare ancora a casa. Chiediamo semplicemente di indossare la mascherina e mantenere le distanze. I giovani, anche se si sentono invulnerabili, sono contagiabili come chiunque altro. Il fatto che, per loro, l’esito non sia praticamente mai letale, ma si risolva nella maggior parte dei casi in una banale tosse o addirittura in una forma asintomatica, li fa sentire onnipotenti; ma questo è sbagliato e

Piazza Vecchia deserta durante il lockdown


pericoloso per chi gli sta attorno e per tutta la comunità. È in previsione una seconda ondata di contagi per questo autunno, che, per quanto tutti ci auguriamo che non sia devastante come la prima, anche alla luce dell’esperienza che abbiamo maturato, non va sottovalutata. Il risultato sarà la somma di tanti nostri comportamenti, responsabili o meno». Dal punto di vista economico, ha una stima delle attività cittadine e del territorio che hanno subito ripercussioni, anche permanenti? «Ho un dato parziale, per quanto riguarda Bergamo, e nello specifico le attività commerciali, circa 1400, che sono rimaste ferme. Le attività artigianali colpite si attestano sulle 3000 unità. Anche ora che tutto è riaperto, ho la sensazione che non sia finita, che ci saranno difficoltà perché il potere d’acquisto di famiglie e imprenditori si è drasticamente contratto. Serve a poco tenere tutto aperto se la gente non esce e non consuma. E abbiamo, ovviamente, un problema altrettanto significativo per quanto riguarda il turismo, letteralmente annullato. Tra i più colpiti ci sono i commercianti, che stiamo cercando di aiutare concretamente tramite lo sgravio di alcuni contributi fiscali e il Programma Rinascimento, tramite il quale, con la collaborazione di Banca Intesa, abbiamo messo a disposizione ben 30 milioni di euro per le microimprese di Bergamo, per aiutarle nella ripartenza e per attrezzarsi con i dispositivi necessari a garantire la sicurezza. Nessun’altra città ha concepito nulla del genere, ci siamo mossi più rapidamente del governo centrale e spero che questo aiuti, oltre che concretamente, a recuperare un po’ di fiducia».

L’arrivo del convoglio a Bergamo di specialisti russi

A livello sociale, sono state o saranno attivate iniziative di sostegno per chi ha particolarmente risentito della situazione di reclusione, ad esempio bambini e ragazzi che hanno visto stravolto il proprio mondo? «La reclusione della quarantena è stata molto difficile per tutti, ma oserei dire che la considero superabile, o quanto meno non è la mia principale preoccupazione. Mi allarma molto di più, in proporzione, il fatto che siamo a fine maggio e ancora non abbiamo linee guida per la riapertura delle scuole a settembre, in quanto questo è il nodo fondamentale. Diamo pure per

“perso” questo anno scolastico, ma a settembre si deve tassativamente ricominciare, con modalità ancora non chiare. Se ammettiamo che, per evitare la presenza di un numero elevato di studenti in aula, possiamo ragionare su una didattica parzialmente in presenza e parzialmente online per i ragazzi più grandi, questo non vale per i bambini, alle cui famiglie e alle cui mamme, lavoratrici e non, sono già stati chiesti grandi sacrifici. Le attività educative ripartiranno già a partire da quest’estate, ma urgono indicazioni chiare su come organizzarsi». È legittimo aspettarsi in futuro altre emergenze del genere, conseguenza dello sfruttamento ambientale o di altri fattori? Cosa dobbiamo imparare da questa esperienza, ora che sappiamo che una pandemia mondiale non è fantascienza e può accadere? «Non sono tra quelli che mettono il Coronavirus sul conto dello sfruttamento, effettivamente dissennato, delle risorse del pianeta. So che qualcuno ha fatto questa equazione, si è anche ipotizzato che il virus abbia proliferato maggiormente in aree maggiormente industrializzate e quindi inquinate, ma semplicemente i dati che abbiamo a disposizione, proprio in quanto incompleti, non sono sufficienti a suffragare questa ipotesi. Il virus è partito da una pratica assai lontana dalla nostra moderna sensibilità, quella dei wet market, e a questo punto mi auguro che la Cina abbia imparato la lezione e li bandisca quanto prima. La possibilità che un’emergenza simile si ripeta esiste, e d’altronde Bill Gates (e non solo lui), in un TED del 2015, aveva anticipato esattamente questo tipo di situazione. Dobbiamo tenere presente, per il futuro, che i posti in terapia intensiva servono: poco importa che in un momento di quiete restino inutilizzati, devono esserci al momento del bisogno. Oltre ai posti in intensiva, la Regione aveva tagliato molto anche sul personale. Ben prima dell’emergenza, sapevamo benissimo di avere un problema con la mancanza di personale medico specializzato e medici di famiglia, in quanto la politica di risparmio aveva portato prima all’istituzione del numero chiuso in facoltà e successivamente a ulteriori tagli. Spero che queste decisioni vengano riviste, così come anche la scelta di puntare tutto sulla sanità ospedaliera regionale, anche in caso di una situazione fuori misura come questa. Non avevamo la sanità territoriale sufficiente ad affrontare questa battaglia». Arianna Mossali

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Fotoo Antonio Milesi

L’INTERVISTA/2

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Trussardi

«Moda? Non solo: noi siamo stile di vita» Tomaso ci parla di come ha trasformato l’azienda di famiglia in un ambasciatore di cultura e lifestyle italiano all’estero

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ascere per produrre un bene di necessità, in questo caso guanti, e ritrovarsi 110 anni dopo ambasciatori di cultura, stile e savoir vivre italico nel mondo: questa, in sintesi, la parabola del marchio Trussardi. Una storia che non parla più soltanto di borse e guanti, ma di un vero e proprio stile di vita, raffinato quanto elegante e mai ostentato. Oggi, come presidente della casa di moda, c’è Tomaso, 37 anni, figlio di Nicola, giovane ma dotato di grande strategia e visione d’insieme del proprio settore. «Sono entrato in azienda per così dire nel momento peggiore», racconta. «La mia famiglia manteneva

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da circa quindici anni una gestione molto prudente e tradizionalista, legata a una logica di prodotto e prezzo e non al marchio, che sul breve periodo ha pagato, ma sulla lunga distanza si è rivelata di scarso respiro. Quando sono diventato amministratore delegato, in seguito alla crisi del 2008, ho puntato subito a una strategia che compattasse il marchio, invece che segmentarlo in diverse linee per prodotti e fasce di prezzo, una strategia “one brand, one label”». Lei si muove in un contesto di grandi nomi, Trussardi, Armani, D&G… La disturba il fatto che nel mondo della moda e del luxury sempre più trovino visibilità influencer e celebrità che lanciano le proprie linee? E, a tal

proposito, ha ancora senso parlare di una moda elitaria contrapposta a quella accessibile al pubblico? Da sempre i personaggi famosi che diventano essi stessi un brand si lanciano nella produzione di proprie linee, ma questo non ha nulla a che vedere con il fatto di costruire un brand solido e duraturo. Si tratta semplicemente di operazioni di marketing. Certo può dare fastidio, ma il cliente sa fare una distinzione tra un prodotto figlio del momento, e un brand storico che trasmette anche dei valori. Potrei fare l’esempio di una grande catena del low cost che si è recentemente trovata in grande difficoltà in quanto, essendosi concentrata sulle collaborazioni prestigiose, i clienti finivano per acquistare queste capsule collections e non più il prodotto “normale”. Si tratta di decidere se si vuole generare traffico, o se si vuole qualcosa che duri nel tempo. La moda cambia rapidamente come il gusto della gente. Un brand è in grado di prendere i propri codici e ribaltarli per reinventarsi. La moda è arte, e l’arte è contingenza, quindi si adatta ai codici del momento. Va bene sfruttare la forza comunicativa dell’influencer del momento, ma senza lasciarsi prendere troppo la mano. Qual è l’idea di bellezza e valori che Trussardi porta al pubblico? Mio padre diceva che la sobrietà induce alla seduzione e viceversa. E anche: io sono stanco del prêt-à-porter, voglio il prêt-à-vivre. Questo è Trussardi, un marchio che vende lifestyle e non prodotti. Ma lo fa con heritage e craftsmanship, due valori a cui non possiamo non rifarci avendo quasi 110 anni di storia. Parliamo della crisi Coronavirus. Come l’ha vissuta da imprenditore, da padre di famiglia, da bergamasco, e attraverso quali iniziative si è attivato per sostenere chi è in difficoltà? Bergamo è la mia città, non posso che essere colpito personalmente. Insieme al CESVI e al sindaco Gori abbiamo raccolto circa un milione e mezzo attraverso l’iniziativa ConBergamo, più nostre donazioni personali, più l’intero incasso di questi mesi del sito di e-commerce Trussardi devoluto al CESVI. Tutto questo ha avuto riscontro anche all’estero, tant’è vero che alcuni nostri clienti, già propensi a cancellare gli ordini effettuati, alla fine hanno deciso di mantenerli proprio perché hanno visto che l’azienda era vicina alla città

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E per quanto riguarda il messaggio? Il mondo della moda racconta per definizione di velocità, performance, successo, bellezza estrema. Si modificherà dopo questa esperienza? Per noi la bellezza non deve essere estremizzata, ma in ultima analisi arriva anche questo, una sorta di goliardizzazione del mondo della moda. In realtà dietro la moda c’è lavoro, artigianalità, filiera, manualità, e ben poco di quell’apparenza che spesso arriva al pubblico. Sicuramente ci si interroga su quelli che sono i valori che si vogliono trasmettere, che devono essere più radicati, e in questo marchi come il nostro hanno la responsabilità di diffondere cultura. Ma d’altronde questo è quello che, come Trussardi, abbiamo sempre fatto. Credo sinceramente che il mercato finirà per ristabilizzarsi e cambierà poco. Personalmente, sarei ben felice che si tornasse a un modello in cui i capi rimangono belli e vestibili anche dopo qualche stagione, ma questo non è ovviamente sostenibile.

in una situazione drammatica. Questo intendo quando parlo di azienda che trasmetta dei valori. La situazione è particolarmente difficile perché, se dopo la fine della guerra arriva la ricostruzione, qui invece abbiamo solo incertezza. Le abitudini della gente sono state modificate radicalmente dalla paura, si tendono a preferire gli spazi aperti se si esce, e si esce comunque poco. In queste condizioni, non ha molto senso vestirsi per esprimere se stessi, la propria personalità, mostrare il proprio biglietto da visita. E quindi si compra poco, anche online. Come cambia il vostro settore, per quanto riguarda i viaggi, gli eventi, e anche il commercio al dettaglio? L’acquisto di un capo è comunque emotivo, e l’acquisto online non sempre offre questo tipo di esperienza. Questo dipende da molti fattori. Naturalmente, acquistare un accessorio

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rimane molto meno complicato che acquistare un capo di abbigliamento. Non so ovviamente prevedere a quali grandi cambiamenti andremo incontro, ma posso dire che stiamo lavorando sul brand in maniera importante, che paga sempre. Sinceramente, credo che finiremo per tornare lentamente alla normalità, ma nel frattempo dobbiamo lavorare per creare desiderio sul nostro prodotto. Sembra assurdo dirlo, ma alla fine il segreto della moda è l’omologazione. Ci si omologa per distinguersi. Se c’è desiderio del nostro accessorio, poco importa che lo si venda online o in negozio. Il 6070% delle vendite che avvengono in un punto Trussardi originano comunque online. La vendita online non ha sostituito quella tradizionale ma vi si è sommata. Questo è il concetto di omnicanalità: non mi interessa come vendo il prodotto, ma come raggiungo il cliente.

Che interventi si aspetta dalle istituzioni per sostenere le aziende e farle ripartire? Alle aziende occorre liquidità. Esiste una visione miope per cui non si guarda la capacità di un’azienda di creare valore nel tempo, e le banche come stakeholders non si assumono il rischio, alimentando un’economia malata in cui la filiera viene penalizzata. Il made in Italy è un valore, che si tratti di moda o di tecnologia, e questi mondi che ci sembrano irraggiungibili in realtà sono fatti di gente semplice che lavora, a Bergamo come in Veneto come a Napoli. E questi lavoratori non sono tutelati, in quanto per le banche rientrano in una categoria di PMI che non hanno una struttura finanziaria forte come la nostra. Lo Stato dovrebbe frenare questa dispersione di valore permanente, prima di tutto. Un marchio si può sempre rilanciare, ma il know-how, e quei valori che si vanno a perdere, non si recuperano. Al massimo vengono svenduti. Il suo messaggio per la città? Non ho molto da dire ai bergamaschi, che sono considerati ovunque resilienti, perbene, affidabili. Quello che voglio dire al mondo è che Bergamo è stata conosciuta a livello internazionale per la crisi Coronavirus, ora è tempo di conoscerla per quella che è: per le sue bellezze, le sue eccellenze, il suo cibo, la sua cultura. Questa crisi deve trasformarsi in un’opportunità. Arianna Mossali


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I

n questa situazione che non ha precedenti in epoca moderna anche il mondo bancario si trova in prima linea, chiamato a fare la sua parte. La valorizzazione della ricchezza di oggi - i risparmi degli italiani - finalizzata a costruire la prosperità di domani richiede

UBI

Luca Gotti:

Foto Antonio Milesi

oggi una capacità d’innovazione fuori dal comune. Occorre infatti accompagnare le famiglie nel rivedere i modelli di consumo e risparmio anche attraverso una più consapevole protezione delle proprie risorse e guardando alle generazioni future, incentivare le imprese a rinnovarsi nell’organizzazione del lavoro e della produzione a d o t t a n d o strategie di “competitività s o s t e n i b i l e ”, supportare le comunità nel valorizzare le risorse del territorio e consolidare le proprie capacità di sviluppo, coltivare il capitale umano dei propri dipendenti offrendo una formazione di frontiera

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BANCA «Parole chiave: bisogno e responsabilità»

che rafforzi le loro capacità di crescita professionale e personale. Il sistema delle imprese deve proteggersi da shock irreversibili che possono derivare dalla “coronacrisi”. Ciò richiede nuove strategie di risposta volte a salvaguardare il potenziale di ripresa economica e insieme il sostegno di chi oggi è più colpito dalla crisi. Le banche costituiscono uno straordinario “bacino di energia” e possono dunque svolgere un ruolo cruciale per alimentare e promuovere il processo di cambiamento. Per affrontare questo percorso accidentato UBI Banca si è presa l’impegno di mettere a disposizione delle famiglie, delle imprese, dei territori nuova “energia pulita e accessibile” per fare rifornimento e riprendere il viaggio. La sua solidità, integrità, le sue radici robuste, in coerenza con le sue tradizioni, le consentono di porsi come punto di riferimento per la ripartenza inclusiva e sostenibile dell’economia e della società italiana. Attraversiamo una fase drammatica che ha richiesto, sin dal suo inizio, e soprattutto nella provincia bergamasca, velocità, determinazione e lungimiranza. Aggiungo due parole chiave fondamentali per affrontare i prossimi mesi: bisogno

e responsabilità. Di fronte ad un bisogno serve ascolto, attenzione, dialogo e confronto affinché si individui la soluzione più idonea a soddisfarlo, ma al tempo stesso questa risposta deve essere presa con responsabilità, evitando che nel lungo periodo sia dannosa per la collettività. Un equilibrio che va trovato per un interesse prima collettivo che individuale. Ancor prima venissero varati i primi decreti governativi, UBI Banca si è mobilitata in favore della propria clientela attivando la sospensione degli impegni finanziari in essere con la banca. Abbiamo processato in poco tempo decine di migliaia di moratorie proprio per tutelare imprese e privati dagli impegni cogenti. Una prima messa a terra di un sostegno concreto per far fronte all’emergenza, cui è seguito, in data 1 aprile, Rilancio Italia, un importante e grande programma integrato rivolto a tutti i nostri clienti che prevede fino a 10 miliardi di euro per dare un sostegno concreto alle famiglie, agli enti del terzo settore e allo sviluppo industriale delle nostre comunità, a dimostrazione della solidità del nostro istituto e dell’importanza della sua autonomia. Con Rilancio Italia abbiamo dato una seconda risposta ad un bisogno

immediato e urgente: quello della liquidità, per i privati attraverso l’anticipo della cassa integrazione per le imprese, attraverso i finanziamenti fino a 25.000 euro con garanzia statale stabiliti dal Decreto Liquidità. Su quest’ultimo fronte la Macroarea Territoriale Bergamo e Lombardia Ovest ha erogato in tempi molto rapidi (2/3 gg) 16.500 finanziamenti per 340milioni di euro. Un risultato importante, in continua crescita, che conferma la leadership che UBI Banca detiene a livello nazionale in questo ambito: parliamo di finanza aggiuntiva che in poco tempo è resa disponibile sui conti correnti dei clienti. Numeri elevati che abbiamo raggiunto rivedendo gli ordinari processi creditizi grazie alla tecnologia in cui da molto tempo investiamo risorse umane ed economiche. Il supporto di SF Consulting, società partecipata specializzata in credito agevolato, la comunicazione a distanza (le richieste e lo scambio di documentazione avviene in via telematica attraverso mail, pec) la semplificazione del set documentale e la mobilitazione di massa della nostra rete commerciale sono gli elementi vincenti che ci hanno consentito di reagire velocemente ai bisogni dei nostri clienti e raggiungere simili risultati.

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DAL 1526

FRANCO GUSSALLI

BERETTA «Fare sistema e velocità di reazione: così usciremo dalla crisi»

I

n prima linea, dal 1526: si potrebbe così riassumere la storia della Beretta, prestigioso marchio di armi che dalla Val Trompia, dove Bartolomeo Beretta ha avviato l’attività, è arrivato veramente ovunque. Le armi Beretta, da oltre cinquecento anni, sono state presenti praticamente in ogni battaglia che la storia ricordi; sono state scelte da sportivi di livello nelle competizioni più prestigiose, e dalle forze dell’ordine di tutto il mondo nello svolgimento del loro lavoro; non esiste romanzo o film poliziesco in cui non venga menzionata una Beretta; insomma dei veri ambasciatori del made in Italy anche in un ambito così specifico. Franco Gussalli Beretta, Presidente e CEO, affronta una battaglia senza precedenti, quella contro la crisi Coronavirus, con spirito imprenditoriale e approccio strategico. Dottor Beretta, come state affrontando la crisi Coronavirus nelle vostre filiali in giro per il mondo? I vari governi hanno adottato provvedimenti diversificati, da noi si è optato per il lockdown totale, mentre altrove c’è stata maggiore elasticità, e questo sicuramente ha inciso sulla produzione. Generalmente operiamo tra Europa e Stati Uniti, salvo una presenza minore in Asia. Per quanto riguarda

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l’Europa, possiamo sostanzialmente dividere il continente in due: l’Europa meridionale e mediterranea, quindi Italia, Spagna, Francia, oltre alla Gran Bretagna, hanno optato per una soluzione di lockdown più restrittivo, con conseguente chiusura degli stabilimenti, che ha ovviamente rallentato o bloccato del tutto alcune attività; mentre invece nell’Europa centro-settentrionale, dove c’è stata maggiore permissività, il mercato è rimasto attivo. Negli Stati Uniti, altra nostra macroarea di produzione e distribuzione, la situazione è diversificata in quanto ciascuno Stato, se non addirittura alcune città metropolitane, ha adottato le misure che più ha ritenuto opportune, ma posso dire in generale che il mercato è rimasto aperto, pur trasferendo parte del lavoro in smart working. Gli Stati Uniti hanno affrontato la chiusura con un approccio più business-oriented, consentendo comunque all’economia in generale, e non solo al nostro settore, di rimanere in attivo. Per quanto ci riguarda, dunque, le ripercussioni più pesanti si sono avute nella nostra area, con un rallentamento che rispetto ai nostri obiettivi annuali incide in una percentuale che si attesta tra il 10 e il 20%. Un dato comunque significativo. Trovate difficoltoso lavorare con le misure di sicurezza in vigore?

La parte impiegatizia è stata affrontata efficacemente con lo smart working. A Gardone Val Trompia, la prima chiusura in produzione è stata effettuata spontaneamente, senza che ci fosse ancora alcuna direttiva governativa, venendo incontro anche ai timori dei nostri collaboratori, al fine di valutare al meglio una situazione che ancora non conoscevamo bene. Per quanto riguarda la parte tecnica e di progettazione, abbiamo dovuto ovviare ad alcune complicazioni nella rete sicurezza, su cui non eravamo del tutto preparati. Abbiamo realizzato una serie di interventi di sanificazione, inoltre abbiamo studiato un protocollo operativo interno e, in collaborazione con il presidio ospedaliero della Val Trompia, anche un protocollo sanitario, portando l’esperienza di professionisti del settore nella nostra organizzazione. Questo ha dato spunto per una collaborazione con l’Università di Brescia, per portare questo progetto nelle aziende del territorio bresciano. Abbiamo condiviso questi risultati con l’Unione Industriali Bresciani, ATS e sindacati e oggi stiamo lavorando con quelle stesse procedure di sicurezza che, per quanto portino una nuova sfida, soprattutto in termini di tempistiche e privacy, riteniamo assolutamente doverose: rilevazione temperature tramite termoscanner, uso di DPI,


Foto Antonio Milesi

Franco Gussalli Beretta, della storica azienda produttrice di armi, elogia il made in Italy e lo spirito italico, ma anche l’Europa deve fare la sua parte 31


test sierologici e tamponi, una nuova commissione di controllo. Una reattività non facile da trovare, soprattutto se si considera che l’Italia tutta arriva comunque da una successione di crisi che dura ormai dal 2008. È vero, e questo mi dà lo spunto per dire che adesso è il momento di tornare a concentrarci sull’efficienza. Indubbiamente abbiamo dovuto affrontare dei costi non indifferenti, il prezzo da pagare per mettere noi e i nostri collaboratori in assoluta sicurezza, e questo ha inciso. Ma continuiamo a lavorare per mantenere alti i nostri standard. Per mantenere questi livelli, che interventi si aspetta anche da parte delle istituzioni per sostenere le imprese nella ripartenza? Le aree su cui intervenire si riassumono in: liquidità, fiscalità, burocrazia. Dal momento che è stata implementata la cassa integrazione, sarebbe buona cosa che lo Stato fosse maggiormente solerte nel pagamento della sua parte, dando un sollievo all’azienda che deve anticipare. Un altro spunto da prendere in considerazione potrebbe essere il cuneo fiscale, almeno per quanto riguarda la parte di “una tantum” che le aziende possono garantire ai collaboratori, che potrebbe essere incrementata. Questo potrebbe avere la duplice valenza di premio ai collaboratori e di sgravio fiscale per l’impresa, che deve affrontare una situazione di emergenza. Sono un ottimista di natura e voglio pensare che questo Covid, nella sua drammaticità, abbia accelerato alcune nostre capacità, tra cui quelle digitali in primis, e sarebbe opportuno che anche le istituzioni capissero che questa è l’occasione per apportare delle migliorie, snellendo la burocrazia e investendo sulla struttura digitale e di smart working. Una cosa di cui non si sottolinea mai abbastanza l’importanza, è la velocità di reazione, connaturata e richiesta a noi imprenditori, ma meno alle istituzioni. Ulteriori spunti per guardare al futuro, e fonti di nuove idee anche per grandi eventi come quello, per voi fondamentale, dei Giochi Olimpici, al momento cancellati. Lo stop ai Giochi e agli altri eventi è stato doveroso, ma certamente

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«Non possiamo prescindere dal ruolo dell’Europa come sistema, l’Unione deve imparare a fare squadra per contrastare i giganti dell’economia» adesso occorre lavorare per farli ripartire in una nuova veste. Il valore di occasioni di questa portata non è solo sportivo o economico, ma simbolico e morale per il pubblico. Le Olimpiadi rappresentano un importantissimo momento di aggregazione e di comunione di valori. Come pensa che sia destinato a cambiare l’ordine mondiale del commercio, e quale posto va ad occupare l’Italia su questo scacchiere? Dal punto di vista mondiale, mi aspetto un rallentamento del processo di globalizzazione, in cui ogni continente dovrà fare un po’ più i conti con se stesso dopo che ogni angolo del mondo era diventato facilmente raggiungibile. In tutto questo, confido che l’Italia prenda coscienza dell’enorme asset di cui dispone in termini di maestranze, artigianalità e valore, e giochi un ruolo da protagonista in questa partita. Non possiamo prescindere dal ruolo dell’Europa come sistema, l’Unione deve imparare a fare squadra per contrastare i giganti dell’economia. Per controbilanciare le superpotenze, sia orientali che

occidentali, confido nell’Italia, nei suoi splendidi professionisti, nel made in Italy, quello vero. L’alleanza Bergamo-Brescia come Capitale della Cultura può essere una bella occasione per far ripartire due delle città più colpite in uno spirito positivo e collaborativo. Assolutamente sì. Ho recentemente contattato le amministrazioni di Brescia e Bergamo, ricordando l’importanza di fare sistema nelle varie realtà economiche, industriali, culturali. Ritengo ottima anche la proposta del vostro Giorgio Gori di rafforzare anche l’asse con Milano, una imprescindibile capitale dei servizi, della moda, della tecnologia, a cui Brescia e Bergamo possono affiancarsi efficacemente come realtà manifatturiere. Quello che negli anni scorsi è stato fatto con le nuove infrastrutture che connettono questi territori, ora va fatto anche a livello politico e istituzionale. La grande forza di provincie come le nostre, legata alla cultura, al carattere concreto e determinato, al tessuto economico solido, ci aiuterà anche a uscire da questa crisi e a costruire qualcosa di nuovo. Arianna Mossali


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MEDICINA

Gianluca Cotroneo

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Dottor

COTRONEO

«Covid-19: c’ero anch’io “in trincea” La guerra l’ho sentita solo dai racconti di mio nonno, non avrei mai pensato di viverla di persona»

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arzo e aprile per Bergamo e tutti i suoi ospedali s o n o stati mesi veramente drammatici: terapie intensive piene, posti letto introvabili, turni infiniti di medici e infermieri, paura continua e grande dolore per molte famiglie. Gianluca Cotroneo, oncologo presso gli ospedali di Seriate e Alzano Lombardo, sa bene cosa significhi essere medico durante il periodo della pandemia e ha deciso di raccontarsi, dal suo lavoro di tutti i giorni, alla lotta contro il Covid, fino ad arrivare al progetto Methodo Medical Center. Tempo fa ci disse che in caso di tumore la prevenzione è la miglior cura, è ancora così o la sua opinione è cambiata con l’avanzare delle scoperte in campo medico in Italia? La prevenzione è ancora fondamentale, ci sono diverse

patologie, come il tumore al colon o quello alla mammella, che possono essere diagnosticate precocemente e quindi ad oggi sono nella maggior parte dei casi guaribili. I soggetti predisposti ne devono essere informati per poter entrare in uno screening di controlli periodici che permette di scoprire, nel minor tempo possibile, la formazione di masse tumorali. Bergamo è la provincia con la più alta incidenza di cancro in Europa e questi dati sono sempre in aumento, ma tutto ciò che non è prevenibile dal punto di vista eredo-familiare può essere corretto rispetto alle abitudini voluttuarie: evitare fumo e alcool ed avere un buono stile di vita: una sana alimentazione e l’attività fisica possono diminuire del 30% il rischio. Che passi ha fatto il mondo oncologico in questi anni? L’oncologia è sempre stata vista come “il curare una 35


«Un messaggio per Bergamo? Perdonatemi il bergamasco ma il messaggio migliore è “Mola mia” Bergamo in questa situazione si è mossa in maniera coesa e ha dimostrato la sua solidarietà e la sua forza nel non fermarsi mai»

malattia inguaribile”, ora è la branca che ha avuto più progresso in termine di cure, a partire dalle classiche terapie a bersaglio molecolare fino ad arrivare all’innovativa immunoterapia, che alcune volte ci permette di ribaltare totalmente la situazione di un paziente. Indubbiamente riuscire a raddoppiare se non triplicare la mediana di sopravvivenza con uno stile di vita molto dignitosa su una malattia metastatica avanzata, e quindi inguaribile, è un traguardo importantissimo. Come ha vissuto lei il periodo della pandemia Covid? Noi oncologi abbiamo continuato a svolgere il nostro compito, non c’è stato giorno in cui non abbiamo continuato a fare le chemioterapie a tutti i nostri pazienti. In più ci siamo dedicati anche a lavorare nei reparti Covid per fronteggiare questa malattia a noi sconosciuta che, dal punto di vista psicologico, ci ha abbastanza devastati, è stato estremamente frustante 36

veder morire così tanta gente in pochissimi minuti senza riuscire a capirne la motivazione. La guerra l’ho sentita solo dai racconti di mio nonno, non avrei mai pensato di viverla di persona, le cose peggiori erano il sentirmi impotente di fronte alla morte e la solitudine che accompagnava i malati fino alla fine, noi ovviamente cercavamo il più possibile di stargli vicini. Grazie al confronto con tutte le aziende ospedaliere lombarde abbiamo imparato a rapportarci con questo virus, ho notato una grande solidarietà tra tutti gli operatori sanitari, nessuno si è mai tirato indietro dall’andare al lavoro, nonostante il rischio e la paura. La forza più grande me l’ha data la mia famiglia, mi infondevano la motivazione per andare in ospedale ogni giorno, con la voglia (e devo ammetterlo, anche la speranza) di tornare a casa da loro. Ha deciso, insieme a due suoi amici, nonchè soci: Angelo Agnelli e Nicola Caloni, di aprire il

poliambulatorio “Methodo Medical Center”, ci racconta in breve cosa svolgete qui? Come è nato e cosa vi aspettavate da questo progetto? Il progetto è nato una sera a cena, parlando delle partite di pallavolo, da lì è venuta l’idea di creare un centro medico sportivo. Con il tempo abbiamo composto una struttura tale da racchiudere la medicina sportiva per poter collaborare con le società, la fisioterapia e riabilitazione e la medicina estetica. Il piano ad oggi non è ancora completo, vogliamo dare un servizio a tutto tondo implementando anche la medicina del lavoro, che in un periodo come questo può servire alle aziende, l’altro sogno sarebbe quello di diventare anche un centro provider di corsi di formazione. Abbiamo raggiunto inoltre un traguardo inaspettato, Methodo da pochi anni collabora con la società calcistica AlbinoLeffe ed ora sono uno dei medici sociali della squadra. Ilaria De Luca



“Rinascerò, Rinascerai”

MUSICA

Roby Facchinetti: «Molti malati mi hanno scritto che il mio brano era per loro la miglior cura»

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o composto “Rinascerò, Rinascerai” di getto, inconsapevolmente, volevo solo suonare per dimenticare e poter sentire meno dolore, angoscia e paura, queste erano sensazioni che abbiamo vissuto tutti noi di Bergamo e provincia. Poi ho capito che questo brano aveva un’anima speciale, aveva in sé una carica di positività in un momento veramente buio per la nostra città». Con queste parole il cantautore Roby Facchinetti, purosangue bergamasco, ha dedicato un pensiero ai nostri lettori. «Io e Stefano D’Orazio l’abbiamo realizzato in pochissimi giorni, stando ognuno nella propria abitazione, ed è una cosa straordinaria che, dal momento in cui la casa discografica ha pubblicato la canzone in rete, in pochissime ore è arrivata in tutto il mondo. Hanno già fatto traduzioni in tantissime lingue e vedo molti video legati alla pandemia Covid con “Rinascerò, Rinascerai” come sottofondo. Non mi aspettavo un successo del genere, frutto delle mie origini e dell’amore per Bergamo, è diventato davvero un inno alla speranza: evidentemente tutti, in tutto il mondo, hanno vissuto il medesimo problema e con questo brano si sono sentiti un po’ meglio. Ho sempre vissuto di musica e so quanto possa dare conforto, molti

malati mi hanno scritto che ascoltare la mia canzone era per loro la medicina migliore, anche contro la solitudine. Alcune famiglie sono state quasi cancellate a causa di questo virus, sono morti anche molti giovani oltre che anziani, la scena dei carri militari che trasportano via le bare da Bergamo resterà nella storia. Ho vissuto barricato in casa, con la paura per la mia famiglia e i miei cari, che ogni volta che leggevo il giornale aumentava sempre di più. Speriamo veramente di non dover rivivere ciò che è successo in quei giorni così devastanti, anche l’economia è stata messo in ginocchio. Quello a cui dobbiamo pensare adesso è ricominciare, con le dovute precauzioni, per tornare alla vita normale. Io e la mia band dovevamo partire a maggio per un tour, aspettavamo tutti quel momento, ma ad ora stiamo cercando di capire come fare e se procedere per via di tutte le regole e limitazioni, ho cinquanta persone che lavorano per me ed è da quando ho fatto l’ultimo concerto che non percepiscono uno stipendio, così come molti altri italiani in cassa integrazione. Chi ha vissuto la guerra ha trascorso dei momenti duri, ma tutti possono confermare che questa pandemia è stata anche peggio perché questo virus ha colpito l’intera popolazione nel modo più trasversale ed è un “nemico invisibile” a noi ancora sconosciuto. Mi auguro veramente che quest’esperienza ci sia servita per migliorarci, per cercare di capire i nostri errori e non commetterli più». Ilaria De Luca

«Chi ha vissuto la guerra ha vissuto dei momenti duri ma possono confermare che questa pandemia è stata anche peggio»

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LOREM IPSUM POLITICA

Forza Italia

L’

Foto Antonio Milesi

Italia ha bisogno di ripartire e per farlo ci vogliono poche idee chiare e concrete da trasformare in azione velocemente, possibilmente non limitandosi al “qui e ora” ma approfittando della contingenza particolarissima per dare finalmente una visione complessiva e un futuro al sistema Paese. Il tessuto produttivo tutto e, di conseguenza, il tessuto sociale hanno subito un colpo durissimo dalla pandemia e oggi è più che mai necessario correre ai ripari se non vogliamo che al dramma sanitario segua la tragedia economica. Il Governo fino ad oggi ha messo cerotti

su qualche ferita ma gli interventi sono stati disordinati e non risolutivi creando troppo spesso confusione e danno più che beneficio al mondo economico e delle imprese e non solo. Sono stati 58 i provvedimenti d’urgenza emanati dal Governo senza contare le circolari ministeriali e le ordinanze regionali. Pur comprendendo che la situazione non è facile non riusciamo a capire come sia possibile non dare un ordine e un percorso visto che ormai l’emergenza è passata e ora bisogna ricostruire e farlo bene. Le parole d’ordine, per quanto mi riguarda sono due: fiducia e libertà. È necessario consentire a chi vuol fare di fare partendo da un completo ribaltamento del sistema attuale: burocratico e fiscale. Semplificazione, semplificazione, semplificazione. Non ci sarà ripartenza senza un alleggerimento sostanziale della palude in cui ristagnano tutte le pratiche necessarie per velocizzare le procedure. Non ci sarà ripartenza senza un alleggerimento immediato delle imposte e delle tasse concreto (il semplice rinvio di pochi giorni non risolve i problemi) per poi introdurre un’unica tassa piatta che sciolga tutti i nodi per avviare o continuare le proprie attività. Il Governo oggi sta lavorando

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in regime di scostamento di bilancio, quindi qualsiasi cosa decida su come utilizzare le risorse a debito che l’Europa ci ha consentito è solo una libera scelta rispetto alle priorità. Senza un cambio di passo della Pubblica amministrazione si rischia la stagnazione e si va verso la chiusura soprattutto delle piccole imprese e delle attività artigianali e commerciali perché poi c’è il tema della liquidità, l’accesso al credito da un lato e i mancati pagamenti dall’altro (pa insolvente compresa) situazione aggravata e appesantita dalle spese sostenute per adeguarsi a tutte le disposizioni anti covid richieste. Siamo alla vigilia dell’ennesimo (in teoria risolutivo) decreto, il “Rilancio”, l’auspicio è che le proposte costruttive e competenti che arriveranno da ogni parte (in primis dal Parlamento e dalle forze politiche di minoranza, seguite dalle rappresentanze economiche e sociali) vengano ascoltate, vagliate e inserite nel documento finale perché fino ad oggi troppe voci sono rimaste inascoltate (penso alla relazione del dott. Colao, a capo di una nutrita “task force” che sono finite sostanzialmente nel cestino). Basta con le risorse a pioggia che deluderanno tutti, basta rinvii a decreti attuativi che giaceranno

nelle paludi ministeriali, basta misure troppo articolate e demotivanti, basta “click day” ambigui e soprattutto meno slogan e più concretezza. Attenzione poi al lavoro, perché gli ammortizzatori si stanno esaurendo, la casse integrazione non arriva (nemmeno i rimborsi sugli anticipi): non bastano solo politiche passive ma anche politiche attive sulle quali il governo non sta puntando e infatti non ha messo nulla. Necessario sarebbe anche un grande focus su welfare aziendale una nuova filosofia sulle contrattazioni aprendo una nuova fase della rappresentanza cercando di essere precursori dei tempi per avere la possibilità di creare sinergie serie con i lavoratori. Insomma questo governo manca di visione perché ancora una volta è formato da una compagine troppo eterogenea e “pasticciata” per convergere su idee risolutive. L’Italia non vuole vivere di assistenzialismo ed elemosina ma vuole lavorare mettendo a frutto la sua più forte e abbondante materia prima: l’ingegno! È necessario smettere di mortificarla come si sta facendo oggi a partire dagli errori sulla scuola che forma il nostro futuro: i giovani. Senatrice Alessandra Gallone


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COVER STORY

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omac, l’azienda bergamasca leader da 30 anni nel settore degli impianti automatizzati di infustamento e imbottigliamento, oggi parte del Gruppo CFT, che opera

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RIPARTENZA CORAGGIOSA

Foto Antonio Milesi

Dopo il lockdown, Comac guarda al futuro insieme ai suoi collaboratori: sinergia necessaria per superare la crisi

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Task Force Covid 19

La prima linea dell’ufficio tecnico COMAC

in più di 100 paesi nel mondo, come molte altre aziende del nostro territorio, nonostante le conseguenze negative del Covid-19, è riuscita a rialzarsi e guardare avanti, sicura che dopo una tempesta torna il sereno. Durante i giorni più duri della pandemia è stato istituito un comitato d’emergenza interno per gestire il momento di crisi, composto da sette persone: Giorgio Donadoni (Chairman), Stefano Gotti (Plant & Production Manager), Daniele Gotti (Operations Manager), Giuliana Rossini (HR Manager), Claudio Piva (Automation Department Manager), Luca Cattaneo (Electrical Department Manager) e Andrea Morali (Procurement & After Sales Department Manager).

«Bisogna considerare anche l’aspetto più sensibile delle persone, la loro fragilità psicologica che inevitabilmente si ripercuote anche sull’azienda» Giorgio Donadoni Tra i loro compiti più importanti, quello di garantire la continuità delle attività aziendali, attraverso nuovi approcci organizzativi come lo smart working, preservando l’efficienza e il coordinamento tra i molteplici soggetti e affrontando le difficoltà comunicative dovute all’impossibilità di incontrarsi. Aspetti non semplici, entrati a far parte di un paradigma culturale e lavorativo completamente cambiato. Inoltre, superata la fase più critica, è stato necessario anche gestire il rientro dei lavoratori. Giorgio Donadoni, Chairman di Comac e Presidente del Gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo, spiega: «Bisogna considerare anche l’aspetto più sensibile delle persone, la loro fragilità psicologica che inevitabilmente si ripercuote anche sull’azienda. Noi abbiamo agito nel rispetto della nostra clientela, ma anche rispettando il sentiment dei nostri collaboratori (chiudendo quando ancora non vi era l’obbligo), 44

proprio per garantire maggiore tranquillità alle maestranze, senza mai fermarci. Siamo andati avanti anticipando progetti importanti per il futuro, come lo sviluppo del gestionale SAP e del software PDM (Product Data Management). dedicato alla documentazione tecnica composta da disegni e codifiche. Ciò ha portato ad un ulteriore aumento della digitalizzazione, già avanzata, e della capacità di affrontare e risolvere i problemi da remoto, snellendo i tempi di lavoro e aumentando l’efficienza complessiva nonostante una minore relazione interpersonale. Non sono mancati progetti di ricerca e sviluppo portati avanti nei mesi più critici e di standardizzazione di alcuni prodotti. Proprio i momenti più bui possono essere uno stimolo a nuove idee, per esempio affrontare un nuovo mercato, quello farmaceutico, sfruttando competenze tecnologiche già

Giorgio Donadoni


acquisite nel settore alimentare. In questo modo abbiamo trovato il pungolo per aprirci», ha raccontato Giorgio Donadoni, sottolineando che questo momento è stato sfruttato anche per la formazione del personale. Con un orizzonte che si estende nel futuro: «Rafforzare tutta la struttura e diventare un polo del beverage, ampliando le competenze e la gamma di macchine, per soddisfare tutte le esigenze di mercato» rivela Donadoni, «è un obiettivo da portare avanti attraverso passaggi graduali, come l’ingresso nel nostro team di nuove figure esperte del gruppo per fare formazione e potenziare la ricerca e lo sviluppo inerente al processo e alla meccatronica». Grazie soprattutto alla prima linea, che si è messa in gioco nei momenti più critici, Comac è riuscita a portare avanti e a riorganizzare il proprio lavoro nel pieno dell’emergenza Covid. L’Operations Manager

Daniele Gotti

DANIELE GOTTI ha infatti illustrato alcuni importanti progetti che sono stati messi a regime grazie al lavoro a distanza. Tra questi l’implementazione del CRM: «Con alcuni colleghi degli uffici commerciali, after sales e marketing siamo riusciti ad accelerare la messa a punto del CRM (Customer Relationship Management), uno strumento utilissimo per gestire le relazioni coi clienti. Si tratta di una piattaforma in cui vengono registrate tutte le richieste dei clienti o potenziali, per poi innescare un processo con le relative offerte e trattative economiche». GIULIANA ROSSINI, HR Manager, ha svolto invece un ruolo di rilievo gestendo lo smart working dei lavoratori. «È necessario afforontare il cambio culturale che richiede lo smart working (un nuovo modo di approcciare il lavoro, ridefinito nel tempo, nello spazio, negli strumenti e nell’organizzazione) 45


«Lo stravolgimento che ha portato il COVID ha messo in evidenza il tema del cambiamento che tuttavia già da tempo è parte integrante della nostra realtà» rispetto all’home working (lavoro come in ufficio, solo che lo faccio da casa). In particolare, bisogna favorire il passaggio da una gestione per compiti a una gestione per obiettivi possibile grazie alla caratterizzazione di un rapporto di digital trust, basato sulla responsabilità e sull’autonomia, che sono premesse fondamentali per una collaborazione da remoto». Anche l’aspetto psicologico ha avuto il suo peso: l’azienda ha 46

Giuliana Rossini

dovuto gestire situazioni specifiche di fragilità toccate direttamente dalla pandemia e più in generale le problematiche legate al vissuto di incertezza e ambiguità del futuro. «Lo stravolgimento che ha portato il COVID ha sicuramente messo in evidenza il tema del cambiamento, che tuttavia già da tempo è parte integrante della nostra realtà e la crescita dei collaboratori nella capacità di affrontarlo è un must per ogni organizzazione», ha

spiegato Giuliana. ANDREA GAMBIRASIO, che segue i progetti di ricerca e sviluppo, è riuscito a gestire gran parte del proprio lavoro da remoto, portando avanti anche progetti da milioni di euro: «Escludendo la fase di montaggio degli impianti, che è stata interrotta, siamo riusciti a far avanzare il resto del lavoro anche senza la presenza fisica in ufficio. Qualche problema c’è Continua a pagina 48


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Rendering della nuova area green COMAC

stato, soprattutto per i disegnatori, che realizzando progetti in 3D non hanno avuto a disposizione la velocità della rete Internet aziendale, ma a parte questo siamo riusciti a riorganizzare il lavoro in maniera efficiente». ENRICO MAZZARIOL, responsabile AFC (amministrazione, finanza e controllo) e del progetto relativo al gestionale SAP - il software che governa le attività di amministrazione, logistica e produttività aziendale - ha sottolineato come ci sia stato un piccolo impatto sulle tempistiche di lavoro, in parte rallentate. «Grazie al lavoro da casa e ai meeting online, siamo comunque riusciti a portare avanti lo sviluppo del gestionale e non è mancato il contatto costante coi nostri consulenti, che ci hanno seguito in smart working». STEFANO GOTTI, Plant & Production Manager e membro del comitato Covid, ha sottolineato come agire subito sia tornato utile per non perdere tempo e impostare il lavoro dei dipendenti: «Grazie alla elevata digitalizzazione dell’azienda, ci siamo immediatamente organizzati per permettere ai dipendenti di lavorare da casa. La prima riunione del comitato si è svolta a fine febbraio, di domenica: il giorno 48

Comac si conferma una realtà capace di superare ogni ostacolo e di guardare avanti verso nuovi orizzonti, grazie alle nuove tecnologie e alla fiducia nei suoi collaboratori dopo eravamo già pronti per gestire l’emergenza. Anche per quanto riguarda la produzione, quando abbiamo riaperto gli impianti, abbiamo seguito tutte le norme di sicurezza necessarie e condiviso il protocollo relativo al DPCM in vigore: abbiamo distribuito guanti e mascherine, sanificato e fatto mantenere sempre la distanza di sicurezza e, in caso di necessità di stretto contatto, abbiamo utilizzato le mascherine». «Tra i miei compiti» continua Stefano «il controllo e il coordinamento di tutte le misure di prevenzione anticontagio: la mensa è stata riaperta, riorganizzando gli accessi per turni e identificando ogni persona in entrata. Il protocollo, inoltre, è stato condiviso su una piattaforma online da cui è possibile controllare in tempo reale che tutti ne abbiano preso visione». E mentre, con queste misure, l’azienda è saldamente ancorata a ciò che accade ogni giorno, è già

tempo anche di progetti futuri, come il ripensamento di alcune aree aziendali. La zona dedicata alla lean philosophy, in particolare, diventerà molto più green, trasformando una parte dell’area produttiva in uno spazio che comprende elementi naturali (piante, pietre, acqua), ricostituendo un habitat congeniale all’uomo. Qui il personale della produzione e dell’ufficio tecnico potrà lavorare in un ambiente ancora più confortevole e “naturale”, incontrando colleghi e clienti in un’atmosfera gradevole (per esempio, durante il collaudo degli impianti). COMAC si conferma, dunque, una realtà capace di superare ogni ostacolo e di guardare avanti verso nuovi orizzonti, grazie alle nuove tecnologie e alla fiducia nei suoi collaboratori, che da sempre rappresentano il più grande patrimonio aziendale, grazie a cui è stato possibile ripartire in breve tempo. Daniela Picciolo


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LA PSICOLOGA

Cambierà qualcosa?

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Foto Fabio Toschi

arissimi Lettori, ben tornati a leggerci! Volevo condividere con voi alcune riflessioni su questa nuova fase che dovrebbe essere di strategia per il rilancio della nostra bella Italia, seppur nei tanti dispiaceri, dolori, dubbi e timori per riuscire a superare l’impatto catastrofico che la pandemia, non ancora finita, ha determinato nel nostro modo di vivere, pensare, lavorare e progettare. Sono fermamente convinta che alla base di qualsiasi attività potremo svolgere, dovrà esserci una “conversione mentale”, una modificazione del pensiero, affinché la psiche collettiva possa orientarsi verso un discorso fondato soprattutto sull’etica dalla

quale ci siamo assai allontanati. Vigono oggi regole che non tengono più conto delle leggi naturali e predominano quelle di un mercato basato sul consumo forzato, lo sfruttamento e lo svilimento di valori e qualità. Sicuramente ci saremo chiesti come siamo arrivati a tutto questo e ognuno di noi si sarà dato la propria spiegazione. La massiccia chiusura a cui siamo stati sottoposti ci ha rivelato che abbiamo bisogno degli altri in un mondo che ci appartiene e così abbiamo continuato a comunicare facendone il nostro nuovo punto di forza. Sono nate nuove amicizie e abbiamo sodalizzato con le vecchie. Ci siamo comunque sentiti uniti, tutti coinvolti nella stessa vicenda. Abbiamo potuto riflettere, scambiare opinioni, prenderci un tempo lungo imprevisto, sorriderci attraverso uno schermo e impostare intere giornate di lavoro in un modo del tutto inimmaginabile fino a qualche mese fa. Il capitale umano è stato comunque tutelato. La tecnica ci ha molto aiutati. Ci siamo impegnati tutti a rispettare le regole

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per operare in sicurezza, abbiamo imparato a lavorare da casa, che ha riacquistato un valore forse dimenticato, fare la spesa in rete e laddove non era possibile ci siamo premuniti con il distanziamento e l’igienizzazione. Abbiamo sperimentato e messo in pratica una nuova prossemica, un nuovo stile di vita. Siamo sicuramente molto veloci nell’apprendere e siamo dotati di una buona capacità di adattamento nei vari ambiti: imprese, infrastrutture, ambienti, turismo, arte e cultura e stiamo adottando le idonee precauzioni, mantenendo alta l’attenzione e il senso di responsabilità. Ma cosa cambierà d’ora in poi nelle nostre vite? Se ci sarà un vaccino tornerà tutto come prima? Avremo davvero compreso il valore del cambiamento applicato, ne terremo conto? Credo che affrontare qualsiasi tipologia di vita nuova scelta o necessaria che sia, faccia parte della condizione evolutiva dell’uomo in quanto abitante di un pianeta che varia. Abbiamo fatto una nuova esperienza, ora

ricordiamoci di essere umani, di possedere emozioni che hanno bisogno di essere manifestate nel rispetto reciproco. La comprensione intellettuale non è sufficiente, ascoltare la voce del nostro cuore ci farà agire con amore e saggezza che sono quanto occorre per vivere nella bellezza, che come ricorda più di qualche autore, salverà il mondo. Nasciamo e moriamo con il bisogno di cure, siamo esseri dipendenti da tale condizione, anche se, molte volte, ci sentiamo costruttori delle nostre vite. Non spaventiamoci di vivere, qualunque tipo di vita si debba affrontare e condurre. Cerchiamo di essere presenti e agire per il benessere di tutti, se terremo a mente questo potremo affrontare con serenità qualsiasi condizione di vita nuova preservando la nostra salute mentale. Siamo in un momento di transizione: possiamo ancora riflettere con prudenza su cosa e come sarà per noi la nostra nuova normalità; qualunque cosa si prospetterà non abbiamo bisogno di apparire, ma di essere! Silvana Bonanni


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L’ANALISI MMT

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di Christine Solo la BCE può fornire aiuti concreti e immediati

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es e Recovery Fund. Questi sono i principali strumenti che la Commissione Europea propone per risolvere una crisi epocale, sempre più al centro del dibattito europeo. Per quanto riguarda l’Italia ricordiamo due dati: Pil -5,4% (primo trimestre 2020, probabile -10% annuo), export -13,5% rispetto all’anno precedente e un crollo di oltre il 25% sugli ordinativi e sulla produzione industriale. Ma cosa offrono questi strumenti al nostro paese? Per l’Italia il Mes si traduce in 36 miliardi di euro (con la spada di Damocle delle condizionalità, dato che i Trattati rimangono vigenti) mentre il Recovery Fund, che al momento è solo una proposta, pare tradursi in finanziamenti pari a 750 miliardi per tutta l’eurozona, di cui 120 per l’Italia (in quattro anni e solo in cambio di riforme). A questi

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si aggiungono il Sure e il BEI, ancor meno influenti in termini economici. Tutte proposte che si traducono per lo più in finanziamenti sotto forma di prestiti (quindi da restituire), spesso concessi solo a seguito di comprovate garanzie, insufficienti a contrastare il crollo economico che stiamo attraversando e all’interno di un quadro di rientro dal deficit, già a partire dal 2021 (la sospensione del Patto di Stabilità al momento è legata alla sola emergenza Covid-19 per il 2020). E in tutto ciò la Banca Centrale Europea cosa fa? Dall’inizio della pandemia la BCE ha istituito il PEPP, un pacchetto temporaneo di acquisto di titoli, grazie al quale nei primi 60 giorni ha acquistato quasi 40 miliardi di BTp. Se consideriamo che la BCE ha rinnovato la disponibilità all’acquisto di bond dei Paesi membri di altri 600 miliardi (news di inizio giugno), a differenza degli strumenti varati dalla Commissione, ad oggi il PEPP si conferma l’unica azione utile. Quindi perché si continua a dare enfasi al Mes e al Recovery Fund, quando in realtà non offrono quella capacità di risposta di cui l’Italia necessita con urgenza? Perché piuttosto non convogliare azione

politica e attenzione sull’unica istituzione in grado di fornire risposte immediate e concrete alle emergenze di oggi e di domani, la BCE? D’altro canto è sufficiente guardare oltre i confini UE per capire a quali istituzioni hanno fatto affidamento le maggiori economie del mondo per contrastare la crisi globale: le banche centrali, appunto. È drammatico constatare che media e classe politica restino focalizzati esclusivamente sul dibattito riguardante il Mes e il Recovery, ignorando al contempo quella che è la chiave per fornire aiuti concreti e immediati ad imprenditori, lavoratori e commercianti ormai allo strenuo delle forze. L’affermazione di Christine Lagarde dell’8 giugno scorso «la BCE può deviare dalla capital key, ha deviato e devierà» è una buona notizia. Bisogna fare di più, ma quello è il terreno su cui giocare la partita. Senza perdere altro tempo prezioso. Se ciò non avverrà, anche lo slogan simbolo dell’orgoglio e della speranza di un popolo #bergamomolamia, crollerà sotto il peso di scelte politiche, nella migliore delle ipotesi, poco coraggiose. Rete MMT Italia

«È sufficiente guardare oltre i confini UE per capire a quali istituzioni hanno fatto affidamento le maggiori economie del mondo per contrastare la crisi globale: le banche centrali»

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IL DECRETO

231/’01 di autorizzazioni, il divieto di partecipazione a gare pubbliche etc.; nei casi più gravi si arriva alla confisca dell’azienda. L’unica possibile difesa per la società è di essersi dotata per tempo del modello 231, dal cui esame il PM che svolge le indagini in primis, o il magistrato avanti al quale verrà celebrato il processo in seconda battuta, possa trarre il convincimento che l’azienda ha fatto il possibile per prevenire i comportamenti criminosi, mandando in tal caso la società assolta da ogni imputazione a suo carico.

RENATO VICO

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L’obiettivo primario del modello di organizzazione previsto dal D. Lgs. 231/’01 è di prevenire la commissione di una serie di reati in ambito aziendale; in seconda battuta la sua adozione riduce fino ad escluderlo il rischio che l’azienda si trovi a dover rispondere delle gravi sanzioni previste quale conseguenza dei reati commessi dai propri esponenti apicali. Abbiamo posto alcune domande all’Avv. Renato Vico ed al Dott. Paolo Cianciotta (specialista d’impresa con una passata esperienza pluridecennale quale Ufficiale della Guardia di Finanza) i quali coordinano un team di professionisti (del quale fanno parte anche l’Ing. Giuseppe Mazzoleni, consulente sulla sicurezza industriale, ed Enrico Dapoto, esperto in campo previdenziale) che da tempo affianca le aziende nel predisporre il proprio modello organizzativo. IN CASO DI COMMISSIONE DI UN REATO DA PARTE DEI SOGGETTI DI VERTICE, QUALI SONO LE

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CONSEGUENZE PREVISTE DAL DECRETO 231/’01 PER LE AZIENDE E COME POSSONO ESSERE EVITATE? (risponde l’Avv. VICO) Il decreto si applica quando uno dei soggetti al vertice dell’organizzazione aziendale commette uno dei c.d. “reati presupposto”, quei reati richiamati dalla normativa che, nel corso degli anni, hanno subito un deciso incremento nel loro numero: si va dalla corruzione alla concussione, ai reati societari, ai reati ambientali; da poco sono stati inseriti anche i reati sportivi, informatici e quelli fiscali.

Caposaldi della struttura aziendale divengono il modello organizzativo e l’organismo di vigilanza autonomo ed indipendente, capace di segnalare tempestivamente le anomalie riscontrate e di pretendere

Nel corso delle indagini la stessa azienda può essere chiamata a rispondere, con applicazione a suo carico di sanzioni pecuniarie fino ad un milione e mezzo di euro o di penetranti misure cautelari tipo la revoca

PAOLO CIANCIOTTA


RISCHI ED OPPORTUNITÀ PER LE AZIENDE che vi venga posto rimedio. Una volta predisposto il modello la dinamica delineata dal decreto 231 non avrà esaurito i suoi effetti: la normativa non prevede una fase statica successiva all’adozione del modello, ma la sua efficacia dovrà rimanere costante mediante tempestivi aggiornamenti dei protocolli, anche per il personale di nuova assunzione. COME SI PUO’ PREDISPORRE UNA VALIDA TUTELA PER L’AZIENDA DAI RISCHI DERIVANTI DALLA NORMATIVA 231? (risponde il dott. CIANCIOTTA) Dotarsi del modello previsto dalla 231 si traduce in una sorta di internal auditing per l’azienda, che in questo modo ottiene una possibile “esimente” dall’applicazione delle sanzioni. Il modello descrive e regola l’azione aziendale e promuove la sua etica all’esterno, fissando le compliance esterne ed interne, e disciplinando i rapporti con clienti, fornitori, azionisti, con la P.A. e con i dipendenti. La predisposizione del modello richiede passaggi attenti e precisi, avvalorati dall’esperienza di settore apportata da professionisti operanti in diversi campi; esso è composto da una parte generale e da diverse parti speciali, che disciplinano precise condotte protocollari interne di controllo, e completato dal Codice Etico, una biglietto da visita dell’azienda verso il mercato, mentre l’Organismo di Vigilanza vigila sulla sua attuazione e sul “sistema disciplinare” conseguente. QUALI SONO GLI ASPETTI INCENTIVANTI CHE POSSONO SPINGERE VERSO L’ADOZIONE DEL MODELLO 231? (risponde l’Avv. VICO)

Mirando a prevenire la commissione di reati, la normativa prevista dal D. Lgs. 231 è caratterizzata da un sistema sanzionatorio penetrante, dal quale non bisogna però lasciarsi spaventare: gli incentivi ci sono, e il primo di essi è rappresentato dal fatto che nella costruzione del modello ha luogo una mappatura dei rischi di commissione dei reati che si accompagna ad un check up delle procedure aziendali, dal quale possono emergere

E CONTROLLO HA ANCORA UNA SUA VALIDA CONCRETEZZA PER LA TUTELA DELLE AZIENDE? ( risponde il dott. CIANCIOTTA) Una caratteristica concreta del modello 231 è quella di assicurare una corretta predisposizione delle compliance al “passo con i tempi”, una sorta di “abito sartoriale” tagliato ed allestito specificatamente per l’azienda. Si pensi alle esigenze proprie delle società impegnate in produzioni tecnologiche, o alle strutture

ENRICO DAPOTO disfunzioni aziendali alle quali porre contestualmente rimedio, verificando la tenuta nel tempo anche degli strumenti di sicurezza sul lavoro che nel corso degli anni possono essere stati superati dalle novità normative. L’adozione del modello rappresenta poi un incentivo per ottenere il Rating di legalità per la concessione di crediti e il rating di impresa con certificazione ANAC per ottenere una riduzione dell’importo della garanzia fideiussoria per gli appalti; viene ridotto anche il tasso medio di tariffa INAIL, che per le aziende dotate di modello 231 può arrivare fino al 28%. IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE

sanitarie che in ragione dell’attuale emergenza epidemiologica nazionale si sono trovate ad adeguare i modelli organizzativi ex D. Lgs. 231/2001. Anche la recentissima introduzione dei “reati tributari”, previsti dal D.lgs. 74/2000 (nuovo art. 25-quinquiesdecies, D.lgs. 231/2001), tra gli illeciti in grado di determinare la responsabilità “amministrativa” da reato dell’ente, è destinata a cambiare la prospettiva con la quale considerare, oggi, l’impellente necessità di tutelare l’azienda dai risvolti sanzionatori previsti.

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Foto Fabio Toschi

TOP BUSINESS

Be Bad:

Il partner ideale per trasformare la tua idea in un’impresa di successo

B

e Bad è un acceleratore di startup che nasce a marzo 2019 dalla volontà di Davide Corna e Matteo Scolari di Valeo.it e Matteo Gustinetti di Conlabora, di unire le proprie competenze per sviluppare nuove aziende a forte contenuto tecnologico. Naturale evoluzione degli incubatori, che supportano le aziende neo-nate nei primi passi del loro sviluppo, un acceleratore ha invece la mission di lanciarle rapidamente sul mercato, prepararle al confronto con gli investitori e costruire un modello di business scalabile. La modalità operativa è altrettanto semplice: Be Bad investe su idee promettenti, fornendo risorse tecniche e finanziarie in cambio di equity

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della startup innovativa. Cinque le startup innovative costituite ad oggi, di cui due già pronte con un prodotto sul mercato: FaceOn e Arios Technology. Face on, ecosistema di servizi digitali per il riconoscimento facciale, ha trovato una rapida applicazione nell’ambito del controllo degli accessi in azienda, anche in virtù dei nuovi protocolli Covid-19. Come racconta Davide Corna: «Si tratta di un’innovativa tecnologia di riconoscimento facciale che sfrutta l’intelligenza artificiale per fornire alle imprese uno strumento semplice per gestire la rilevazione delle presenze: grazie ad una app, ogni dipendente, visitatore o fornitore, potrà così comunicare le proprie entrate e le uscite ed essere informato sui protocolli di sicurezza e privacy e, nel caso dei dipendenti, gestire il proprio calendario presenze e tutti gli adempimenti connessi all’HR. L’evoluzione sarà l’applicazione di Face On al contesto turistico e degli eventi, per le operazioni di check-in e per velocizzare i pagamenti. Il tutto utilizzando il proprio volto come chiave d’accesso. Arios Technology nasce invece dalla tesi di laurea di Luca Cominato, ingegnere del Politecnico di Milano e consiste in una soluzione tecnologica in Realtà Aumentata per l’assistenza e la manutenzione industriale da remoto, proponendosi al mercato come sistema per la digitalizzazione dei processi O&M in ottica Industria 4.0. Come spiega Luca Cominato “si tratta di una tecnologia di comunicazione per dispositivi mobile che permette agli

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«Grazie all’app Face On, gli utenti potranno registrare il proprio volto, consultare timbrature, buste paga, comunicazioni e fissare appuntamenti nelle aziende e nei negozi»

operatori sul campo di effettuare operazioni di manutenzione assistiti in remoto da un esperto localizzato in qualsiasi parte del mondo, grazie ad una app che permette di scambiarsi informazioni audio-video e annotazioni direttamente su tablet. In questo modo, in caso subentrasse un problema tecnico di qualsiasi genere, è possibile contattare la sede centrale e mostrare tramite app, in tempo reale, cosa

succede sull’impianto produttivo. Il manutentore dovrà solo collegarsi e inquadrare il macchinario, l’esperto dall’altra parte potrà inviare istruzioni utili che appariranno in realtà aumentata, in diretta sullo schermo del tablet che inquadra il macchinario e limitare così la trasferta in loco solo in casi eccezionali”. Ci sono poi MyCloset, startup innovativa che ha sviluppato un algoritmo di machine learning capace di diminuire la percentuale dei resi negli acquisti via eCommerce, grazie ad un sistema che suggerisce all’utente il capo più adatto in termini di vestibilità e stile; LookUp, che sviluppa un social game via app che incentiva un utilizzo più consapevole dello smartphone grazie ad un sistema che attribuisce un punteggio per il tempo in cui non lo si utilizza, da convertire in premi da spendersi presso musei, teatri o esercizi di vicinato. E, infine, YouBuyMe, una piattaforma che intende innovare la customer journey degli acquirenti on line offrendo loro un sistema di matchmaking intelligente a partire dalla loro richiesta invece che dal classico sistema di filtri applicabili sul catalogo prodotti. Cinque idee ambiziose che, grazie a Be Bad, hanno potuto trovare supporto operativo e trasformarsi in progetti d’impresa concreti e pronti per la sfida del mercato. (dp)

«Grazie ad Arios Technology le operazioni di manutenzione a distanza di impianti e macchinari saranno più facili, convenienti ed efficaci»



Foto Antonio Milesi

EVENTI

Car QUIZ

“CIAK SI GIRA” NELLA “BOUTIQUE” DS STORE BERGAMO

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enerdì 19 giugno DS Store Bergamo è stato il raffinato sfondo di alcune puntate di Car Quiz, programma trasmesso su Bergamo tv e condotto da Claudia Fasola in cui due concorrenti si sfidano ciascuno con cinque domande che ripercorrono i principi cardine dei motori e del mondo DS, famoso marchio francese simbolo di lusso, eleganza ed innovazione ispirati a Parigi e che allo stesso tempo infonde il suo spirito audace ed anticonformista. Il premio in palio per i vincitori era un bellissimo portachiavi in argento by Gioielli Scultura Arando, ma lo showroom DS è sempre attento ai dettagli e ovviamente non ha lasciato a mani vuote chi con le risposte è stato meno fortunato, omaggiandoli di un gadget firmato DS. Ilaria De Luca

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MOTORI

The new Land Rover

Foto Antonio Milesi

DEFENDER

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U

n SUV concreto, potente e adatto a qualsiasi tipo di terreno: tutto questo è Land Rover Defender, la nuova versione dell’iconica vettura della casa automobilistica britannica. Abbiamo provato la vettura, messa gentilmente a disposizione per l’occasione dalla concessionaria Iperauto Bergamo, nella splendida cornice del Campo

volo di Caravaggio. Un particolare ringraziamento va al presidente della “Scuola Volo Caravaggio”, Alessio Pengue, che per l’occasione ha messo a disposizione un magnifico aereo Bristell: l’I-D271 è stato affiancato alla Defender durante il servizio fotografico, creando un set dal puro assetto sportivo. La Land Rover Defender 110 è lunga 4,76 metri (5,01 con la ruota di scorta), è alta 1,97 metri, è larga due metri (con gli specchietti

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ripiegati) ed ha un passo di 3,02 metri. Per quanto riguarda l’estetica il nuovo Land Rover Defender ha un aspetto più moderno rispetto al passato. Una silhouette distintiva rende il New Defender immediatamente riconoscibile, con minimi sbalzi anteriori e posteriori. I progettisti di Land Rover hanno conservato alcune caratteristiche storiche del Defender come il portellone posteriore con cerniera laterale e la ruota di scorta. Nell’abitacolo del nuovo Defender troviamo tanta tecnologia ed una

Il mito si rinnova: la quinta generazione del fuoristrada inglese compie una piccola rivoluzione, pur restando nel solco della tradizione

plancia più lineare, che si sviluppa su due livelli in maniera geometrica, con una traversa di magnesio che può essere utilizzata anche come maniglia. A disposizione del guidatore ci sono due display da 12,3 e 10 pollici che gestiscono strumentazione e infotainment Pivi Pro. La leva del cambio automatico ed i comandi del clima si trovano in posizione rialzata per lasciare spazio al Jump Seat ripiegabile, una seduta centrale opzionale che all’occorrenza si trasforma in bracciolo anteriore. La nuova Defender è basata sulla nuova architettura D7x, che si basa su una leggera monoscocca in alluminio per creare la struttura del corpo più rigida. È tre volte più rigido dei tradizionali design body-on-frame, fornendo le basi perfette per le sospensioni pneumatiche o a spirale completamente indipendent e supporta i più recenti propulsori elettrificati. Anche se ha l’aspetto di un SUV, la

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nuova Defender non tradisce la natura fuoristradistica, dato che ha superato oltre 62.000 test, con i prototipi che hanno percorso milioni di chilometri attraverso alcuni degli ambienti più difficili della terra, che vanno dal calore di 50 gradi del deserto e il freddo di 40 gradi dell’Artico fino alle altitudini di 10.000 piedi nelle Montagne Rocciose del Colorado. Il nuovo fuoristrada ha 900 kg di portata, carico statico sul tetto di 300 kg, traino fino a 3.500 kg con l’Advanced Tow Assist. L’altezza minima è 291 mm, l’articolazione delle ruote di altezza minima è 500 mm, mentre l’inclinazione e la pendenza massima è di 45°. La capacità di guado è di 900 mm con il nuovo programma di guida Wade.er la guida in off road abbiamo la trazione integrale permanente per tutte le versioni, il cambio automatico a doppia velocità, il differenziale centrale e il differenziale posteriore con bloccaggio attivo opzionale. Fra


L’esclusiva struttura monoscocca fa di Defender l’auto più resistente e robusta mai creata in casa Land Rover

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Nelle foto Beatrice

le dotazioni per l’off road abbiamo anche il sistema Terrain Response 2 per ottimizzare la trazione a seconda del fondo stradale. Fra i programmi di guida c’è quello pensato per i guadi, che gestisce la velocità dell’auto, addolcisce la risposta dell’acceleratore e attiva automaticamente il ricircolo dell’aria nell’abitacolo. Sulla terra ferma, la tecnologia ClearSight Ground View avanzata di Land Rover mostra sul touchscreen centrale l’area solitamente nascosta dal cofano, direttamente davanti alle ruote anteriori. Per quanto riguarda le motorizzazioni si può scegliere il 3,0 litri 6 cilindri mild hybrid benzina da 400 CV, il 2,0 litri sempre benzina da 300 CV a quattro cilindri e i due diesel 4 cilindri bi-turbo da 200 o 240 CV.

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MOTORI

Nuova Ford Kuga

IBRIDO ED ELETTRICO IN UNA SOLA AUTO 70


C

on la terza generazione della Kuga, Ford ha deciso di fare un bel passo in avanti. Più bassa e più lunga della precedente, la nuova vettura dell’Ovale è il primo modello del marchio a essere offerto, oltre che con tradizionali motori a benzina e diesel, in tre versioni ibride: Plug-in Hybrid, EcoBlue Hybrid

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e Hybrid. La nuova vettura della casa automobilistica statunitense è già disponibile presso i saloni della concessionaria Iperauto FordStore Bluberg: la nuova Kuga possiede linee filanti, disegnate per conferirle un aspetto dinamico, caratterizzato da un approccio dimensionale premium che offre maggiore abitabilità e comfort per gli occupanti. Kuga è il primo SUV costruito sulla nuova piattaforma globale Ford

sviluppata per migliorare l’aerodinamica, ottenendo una maggiore efficienza nei consumi di carburante e che permette, inoltre, di ridurre il peso fino a 80kg rispetto alla generazione precedente.

inclinato e una linea del tetto più bassa. Il risultato è un aspetto più energico e agile. Sarà disponibile nell’elegante declinazione Titanium, nella sportiva ST-Line e nell’esclusiva Vignale, e offrirà una gamma di propulsori ibridi, garantendo la migliore efficienza nei consumi nel segmento di appartenenza, con un valore medio della gamma ridotto fino al 28% rispetto al modello precedente. Il modulo digitale e infotainment adottato da Ford Kuga 2020 fa riferimento, nell’ordine, alla strumentazione 100% digitale con schermo LCD da

La Kuga Hybrid implementa un sistema “full hybrid”, che si ricarica autonomamente grazie alla forza cinetica

Nuova Kuga introduce un design distintivo, più scolpito e semplificato dalle proporzioni premium. Una silhouette più snella incorpora un passo più lungo che crea un ingombro maggiore sulla strada, a vantaggio della guida e della stabilità: un cofano più lungo, un angolo del parabrezza posteriore ulteriormente

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Quest’ultima tecnologia permette all’utente il controllo da remoto dei parametri del veicolo attraverso una App per smartphone: apertura e chiusura porte, avviamento, localizzazione della vettura, condizioni d’uso (livelli carburante e batteria, pressione degli pneumatici, lubrificante) e, per la declinazione ibrida plug-in, il controllo della carica residua della batteria, la gestione delle operazioni di ricarica e l’individuazione delle colonnine attraverso un “panorama” di più di 125.000 “hub” di ricarica pubblici presenti in 21 Paesi.

La batteria ibrida può essere ricaricata a casa o presso la maggior parte delle stazioni di ricarica pubbliche. L’energia recuperata durante la frenata aiuta allo stesso tempo a ricaricare la batteria durante la guida. Completamente carica, la nuova Kuga Plug-in Hybrid (PHEV) consente un’autonomia di guida fino a 56 km ad alimentazione esclusivamente elettrica. Ford Kuga Hybrid associa invece allo stesso motore benzina 2.500 a ciclo Atkinson un motore elettrico e una batteria. Kuga Hybrid, che sarà disponibile nei prossimi mesi, implementa un sistema “full hybrid”, che si ricarica autonomamente grazie alla forza cinetica della vettura.

Per quanto riguarda le motorizzazioni, la nuova Ford Kuga Plug-In Hybrid è basata su un motore benzina 2.500 quattro cilindri a ciclo Atkinson, che unito al motore elettrico fornisce una potenza massima combinata di 225 Cv.

È infine disponibile una versione associata ad un motore gasolio. Stiamo parlando della Ford Kuga EcoBlue Hybrid, basato su un motore 2.000 diesel EcoBlue da 150 Cv. Completano la gamma delle motorizzazioni disponibili il 1.500 benzina EcoBoost da 150

12.3” a grafiche configurabili, oltre che alla tecnologia di connettività SYNC 3 con display da 8” e FordPass Connect.

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CV - che permette di disattivare il cilindro numero uno migliorando così silenziosità ed efficienza della vettura - ed i motori EcoBlue da 1.5 e 2.0, che rappresentano la tecnologia diesel più avanzata in grado di migliorare potenza, coppia motrice e consumi e, al contempo, ridurre le emissioni. I motori Ecoblue offrono rispettivamente una potenza di 120 e 190 cavalli. Alessandro Belotti

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