IL GIORNALE DEI GENITORI
Piccoli schermi/“Skam Italia”
Il lato chiaro dell’adolescenza di Nadia Riccio
La serie Skam Italia racconta la quotidianità di un gruppo di liceali. Con rispetto, misura e credibilità, senza cadere in rappresentazioni caricaturali o voyerismo generazionale. Sconsigliato vederlo insieme agli adulti.
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ella primavera del 2018 sulla piattaforma TimVision viene lanciata in prima visione la serie Skam Italia. Si tratta dell’adattamento di un franchise norvegese. La storia originale è stata adattata in otto paesi e altrettanti ne hanno acquistati i diritti. In Italia la produzione è Crossmedia (ex Magnolia) e nella terza stagione è subentrata Netflix, che ha distribuito gli episodi a partire da gennaio 2020. Quattro le stagioni, di 10 o 11 episodi ciascuna, con estrema variabilità nella durata degli stessi (da venti a quaranta minuti). Nell’adattamento molti elementi restano identici all’originale: la composizione del gruppo dei protagonisti, il cuore narrativo degli episodi che li vedono coinvolti, i profili caratteriali dei personaggi. E tuttavia la versione italiana, quasi interamente affidata a Ludovico Bessegato (classe 1983) che cura la sceneggiatura, la produzione e la regia di tre delle quattro stagioni, risulta originale e potente, coerentemente calata nella realtà sociale che vuole descrivere. I protagonisti sono un gruppo di liceali di estrazione medio-borghese della capitale: giovani dalle condizioni economiche serene se non proprio
agiate, iscritti al liceo classico, senza trascorsi traumatici nelle loro esistenze, che fanno un uso limitato di droghe leggere… Dei ragazzi tanto comuni e “perbene” da chiedersi cosa possa esserci di tanto interessante nelle loro vite da trasformarsi nella trama di una delle serie di maggior successo degli ultimi due anni. La risposta a questo interrogativo sta proprio nella grande qualità di scrittura dell’ideatrice del plot originale, Julie Andem, e ancor più di Bessegato, che tesse le trame in modo convincente, equilibrato, riuscendo a descrivere non solo ciò che accade ma a immedesimarsi nel punto di vista degli adolescenti,
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senza né paternalismo né accondiscendenza sorniona. La struttura narrativa si sviluppa nell’arco di quattro stagioni focalizzandosi ogni volta sulle vicende di un singolo personaggio, mentre gli altri fanno da comprimari. La prima ha per protagonista Eva, la sua relazione sentimentale e il sistema di pregiudizi e di condizionamenti tra pari per quel che riguarda le relazioni affettive e il sesso. Nella seconda il protagonista è Martino che prende coscienza della propria omosessualità e inizia una relazione con un coetaneo, che però ha problemi psichiatrici. Nella terza tocca a Eleonora fare i conti con la difficoltà di destreggiarsi tra spinte amorose, aspirazioni individuali e relazioni amicali. Nella quarta infine si raccontano le difficoltà di Sana, musulmana praticante, nel conciliare la sua fede con l’amore. Nella vita del gruppo fanno capolino il consumo di alcol e marjuana, il sesso, la contraccezione, i rapporti con i genitori e lo studio, trattati in modo mai didascalico. La pervasività e il ruolo giocato dai social network pure è riportato in modo realistico. Gli adulti sono presenti ma in secondo piano, con le loro fragilità talvolta. Tra gli adolescenti, target primario, il successo è stato enorme, per più motivi. In primis c’è il forte riconoscimento: Simona, 15 anni, spiega che «parla proprio di quello che succede a noi», e poi aggiunge «magari loro hanno più soldi, escono più di me, ma le loro vicende, i problemi, sono gli stessi che mi faccio io». Poi c’è il po-
Pepeverde n. 10/2021 21