EDUCAZIONE E APPRENDIMENTO
Elogio della DAD? di Paola Parlato olti ragazzi durante il periodo dell’assenza forzata da scuola hanno visto migliorare il loro profitto, ma soprattutto sono diventati più sicuri ed è migliorato il loro rapporto con lo studio. Può sembrare un’affermazione delirante o quanto meno provocatoria, ma non è certo la provocazione l’intento di questa riflessione. È stato più volte sottolineato e ribadito, anche da queste pagine, l’impareggiabile importanza ed efficacia della scuola in presenza, la insostituibile possibilità di confrontarsi con i coetanei, di costruire insieme l’apprendimento, di crescere insieme. Ma l’elogio della didattica in presenza e della scuola non deve coprire di oblio i guasti e le difficoltà che la scuola stessa talvolta determina. Per alcuni ragazzi studiare a casa propria è stata l’occasione di confrontarsi con le proprie difficoltà e con le proprie lacune, di gestire un tempo più consono alle proprie esigenze e ai propri ritmi; per alcuni l’ansia da esposizione, da quella generale di intervenire in pubblico a quella di conferire su un argomento scolastico è stata fortemente ridimensionata dalla possibilità di restare protetti dietro uno schermo. Per alcuni si è trattato di approfondire in un tempo più lungo e in buona misura autogestito lo studio di alcune discipline da sempre ostiche, di servirsi in qualche caso del sostegno e dell’accompagnamento di familiari o docenti privati. Infine per molti, oggetto in classe di recriminazioni o addirittura di bullismo, la lontananza dalla scuola ha rappresentato un momento di pace con se stessi e con gli altri. Siamo naturalmente consapevoli che quelle descritte sono situazioni particolari di ragazzi appartenenti a contesti se non privilegiati comunque positivi, sul piano sociale ed affettivo: chi può apprendere di più e più sere-
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namente nel contesto familiare dispone certamente di libri e di altri strumenti, oltre che di attenzioni familiari che lo consentono e lo favoriscono e, a dispetto del titolo provocatorio, non faremo mai l’elogio di una scuola lontano dalla scuola. Si contano già e ancor più si conteranno nel tempo i danni di una didattica posticcia, che per la sua stessa forma riesce sostanzialmente a puntare alle conoscenze, ai contenuti, a una trasmissione di nozioni piuttosto
che a un apprendimento significativo. Contributi autorevoli hanno dimostrato che la didattica a distanza è fortemente esclusiva, a partire dalla disuguaglianza nel possesso dei mezzi tecnologici necessari a realizzarla. E si sono anche azzardate le prime valutazioni sull’incremento della dispersione e delle devianze che questa situazione sta creando e creerà ancora. Ma la pandemia e la straordinarietà che ha portato nelle nostre vite non può coprire e far dimenticare i problemi che affliggevano la nostra quotidiana normalità. Anche quella della
scuola. Una scuola sicuramente più inclusiva, egualitaria, formativa di qualunque didattica a distanza, ma afflitta da mali antichi come la povertà delle risorse o l’inadeguatezza dei curricoli formativi. Le aree più deprivate del nostro paese presentano da sempre tassi di dispersione elevatissimi, spesso punto di arrivo di un insuccesso formativo reiterato; nelle aule scolastiche si consumano fenomeni di bullismo di cui spesso la scuola non ha la volontà o i mezzi per conoscerli e curarli. L’investimento nella formazione del personale docente, in ingresso e in itinere, è insufficiente e sempre più mirata a contenuti tecnici, la formazione pedagogico-didattica (che è alla base della relazione docente-allievo e all’uso consapevole delle metodologie) è sempre più ricondotta a protocolli burocratici e a sterili tecnicismi. Spesso l’indice si punta su insegnanti stanchi e scettici, a volte incattiviti da anni di aule troppo affollate, di mezzi umani e materiali inadeguati, di una tecnologia che spesso riesce a inaridire più che a migliorare il loro lavoro. Accanto a questi vivono insegnanti straordinari, che si confrontano e si formano da soli, che si dedicano alla scuola e agli alunni con straordinaria dedizione, che costruiscono ogni giorno percorsi e risultati di eccellenza e a cui siamo infinitamente grati. Ma il volontariato e l’eroismo appartengono alla sfera della morale e non possono essere confusi con le giuste politiche. Si tratta naturalmente solo di spunti di riflessione sullo stato della nostra scuola, già critico prima dell’emergenza, perché la pandemia non diventi la notte in cui tutte le vacche appaiono nere, ma l’occasione di ripensamenti, progettualità e investimenti quando tutto questo sarà finito. Perché riteniamo che sia beata quella scuola che non ha bisogno di eroi.
Pepeverde n. 10/2021 43