UN PO’ DI STORIA SULL’ALIMURGIA L’essere umano, comparso sulla terra tantissimi anni fa, ha trascorso gran parte del suo tempo vissuto a raccogliere erbe e frutti spontanei sviluppando una profonda conoscenza del territorio e delle sue risorse. La raccolta e il consumo delle piante spontanee e commestibili hanno rappresentato una fonte di sopravvivenza anche dopo la nascita dell’agricoltura. La storia ci ricorda il passaggio di molte carestie e le vittime principali erano sempre il basso ceto, il popolo meno abbiente, i contadini, insomma sempre i più poveri. Il popolino sopravvisse grazie all’arte alimurgica che aveva fatto propria per necessità. Nel 1763, il medico e naturalista italiano Giovanni Targioni Tozzetti (Firenze 1712.1783) scrisse il testo “De Alimenti Urgentia”, ossia: Alimurgia, modo di render meno gravi le carestie proposto per il sollievo dei poveri. Il testo codificò ufficialmente a quella branca della fitoterapia, la fitoalimurgia (etimologia: phyton-pianta, alimos-che toglie la fame, ergon-lavoro, attività) che si occupa della conoscenza e dell’utilizzo delle piante alimurgiche, cioè delle piante selvatiche, spontanee e commestibili. Nel 1767, Giovanni Targioni Tozzetti pubblica il suo Tomo Primo che verrà presentato all’Altezza Reale Serenissima Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, ricordato come l’Innovatore, proprio perché favorevole a cambiamenti e trasformazioni. Si ricorda di Pietro Leopoldo l’abolizione della pena di morte e la costruzione di case contadine, dando così possibilità igienico-sanitarie migliori a questa povera gente che fino ad allora dormiva in giacigli occasionali o sulla nuda terra. Ancora oggi, si possono ammirare queste costruzioni nelle campagne toscane chiamate appunto “Leopoldine” in onore del Granduca di Toscana. 13