La storia siamo noi di Waimer Perinelli
GINO BARTALI e il giallo della borraccia
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uesta è l’intervista che avrei voluto fare a Gino Bartali il 6 luglio del 1952 all’arrivo della tappa Le Bourg l’Oison-Sestriere del Tour de France. Avrei voluto chiedergli perché aveva passato la borraccia a Fausto Coppi il suo rivale. Conosco la risposta, probabilmente mi avrebbe detto “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, con quel suo accento da toscanaccio qual era. Gino Bartali aveva 38 anni, un’età limite per un corridore professionista, essendo nato il 18 luglio del 1914 a Ponte a Ema, un paesino posto fra Firenze e Bagno di Ripoli dove la lingua di Dante è di casa e la gente schietta. Gino era un predestinato della due ruote. A 21 anni non avendo avuto alcun con-
Gino Bartali - 1963 (da Wikipedia)
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Gino Bartali e Fausto Coppi - Tour de France 1952 lo storico passaggio della borraccia (foto da Biografieonline)
tratto s’iscrisse da solo alla classica corsa Milano Sanremo e pur non avendo alcuna squadra giunse quarto. La grande prova gli valse il contratto con la squadra torinese Frejus con la quale partecipò la prima volta al giro d’Italia, arrivando settimo. Del celebre Giro, fra gli anni 30 a 50 ne ha poi vinte tre edizioni alle quali si devono aggiungere due Tour de France e innumerevoli tappe e classiche mondiali del ciclismo. Un vero campione anche di cortesia e discrezione. Quel passaggio di borraccia al Col du Galibier, è entrato nella
leggenda del ciclismo perché contemporaneamente alla pubblicazione della fotografia, scattata da Carlo Martini, fotoreporter dell’Omega Fotocronache, nacque il giallo: chi aveva passato cosa? Era stato Bartali a passare la borraccia o bottiglietta, a Coppi che lo precedeva, o era stato il ciclista piemontese, di cinque anni più giovane, e in piena ascesa, a dare una “ sorsata “acqua al rivale? La domanda ha diviso l’Italia tifosa e ancora oggi a distanza di 70 anni il giallo non è risolto. I due campioni non hanno mai dato la soluzione. A Bartali avrei chiesto se quando aveva conosciuto Coppi avesse già riconosciuto in lui la stoffa del campione. “Coppi l’avevo voluto io, ricorda, proprio perché quel giovanotto alto e magro, sapeva soffrire e nel ciclismo degli anni 30 la sofferenza, la caparbietà, la