Valsugana News n. 3/2021 Aprile

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Storie di casa nostra di Mario Pola

233 anni alla macina: siamo nati MOLINARI Era il 1788 quando un Agostini di Caldonazzo comperò un terreno di proprietà dei conti Trapp per costruire un Mulino. Non conosciamo il suo nome, anche perché ricorda Cesare, il suo attuale discendente, né lui né i due testimoni sapevano scrivere e siglarono l’atto di compravendita con le sole iniziali. Il nostro illustre, ma sconosciuto Agostini, sapeva con chiarezza di voler fare il mugnaio ma non sospettava lontanamente che con quella iniziativa avrebbe avviato un’attività che dopo 233 anni ancora sopravvive in via Caorso a Caldonazzo.

È

difficile ricostruire puntualmente la storia del mulino e dei mugnai anche perché non sempre gli archivi parrocchiali e comunali sono precisi specie nel diciottesimo secolo, ma la memoria di Cesare, 83 anni attuale mugnaio anziano, confortata dai documenti di famiglia, ci ricorda l’albero genealogico con Valentino Agostini, il suo trisnonno vivente ai tempi del trattato di Vienna, seguito dal bisnonno Giuseppe, poi nonno Cesare nel 1878, che ebbe 8 figli e fra loro, nel 1908, Bruno, il padre di Cesare nato nel 1937 e avviato alla professione a soli 13 anni. Al suo fianco lavorano oggi le figlie Serena e Simonetta e il nipote Michele di 22 anni che, dice nonno Cesare “ sta per prendere la patente per guidare i camion.” Non si tratta di un vezzo ma di lavoro perché buona parte dell’attività, oltre alla macinazione, consiste nel raccogliere dai produttori il frumento e il granoturco e poi consegnare il prodotto finito. Beppi Toller, pure nato nel 1937, ricorda ancora quando, negli anni 50 del Novecento, il mugnaio Bruno girava i masi della valle alla ricerca della materia prima. “Aveva un cavallo baio, ricorda Beppi, ed attaccato il carro con le prime molle a balestra.” Personalmente ricordo il mugnaio Bruno, con il suo abbigliamento tutto cosparso

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augana

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di farina bianca, che passava di casa in casa, offrendo la sua attività raccogliendo del grano da macinare, sia frumento che granoturco, da cui si otteneva la farina gialla, materia prima per fare la nostra quotidiana polenta di mezzogiorno. A tal proposito si ricordano i tempi poveri di allora con le colture dei campi indirizzate soprattutto a prodotti che poi venivano consumati nelle famiglie. Per questo il giro di raccolta non era ristretto. E poi c’era la concorrenza, in particolare dei mulini della frazione Costa, sotto il col di Tenna, là dove dal lago nasce la Brenta la cui acqua muoveva la ruota della macina, facendo lavorare almeno quattro mugnai della famiglia Marchesoni. Il più noto era nonno Daniele e per questo i suoi familiari erano chiamati i danieloti. Erano i tempi in cui le pale del mulino giravano grazie all’acqua. Chi non ricorda il rumore dell’acqua della roggia proveniente dalla lontana Casa Prati sulla strada per Centa San Nicolò. Ebbene tale roggia, dopo aver percorso un breve tratto, era utilizzata in primis dalla segheria dei fratelli Guido e Remo Curzel e poi successivamente dall’officina dei

Cesare Agostini

maniscalchi fratelli Angelo e Massimiliano Rizzi di Vattaro. Dopo un percorso, poco meno di un chilometro, la roggia raggiungeva il mulino Agostini cui la forza dell’acqua incanalata arrivava alla grande ruota del mulino che con la sua forza riusciva a muovere tutto l’apparato addetto alla macinazione del grano. Quando si entrava nel mulino era consueto sentire il frastuono del movimento delle macine e la voce era


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