In “filagrana” di Nicola Maccagnan
Referendum sul taglio dei parlamentari
Gli Italiani dicono “sì” Sarà vera gloria (ovvero riforma)?
I numeri, si sa, contano. Almeno quelli non sono, in teoria, opinabili. E in una consultazione popolare, un’elezione diretta o un referendum contano ancora di più. Che cosa ci dicono dunque, questi numeri, del referendum costituzionale degli scorsi 20 e 21 settembre?
I
“sì”, ovvero i favorevoli alla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, si sono imposti a larga maggioranza, quasi il 70% dei votanti, ma questo era ampiamente prevedibile, visto che quasi tutto lo scacchiere politico, almeno nei proclami ufficiali della vigilia, si era detto a favore. La Camera dei Deputati passerà quindi da 630 a 400 esponenti; il Senato della Repubblica da 315 a 200. Meno 345 teste o meglio, come ha sostenuto in questi mesi una fetta dei promotori del “taglio”, di pance da riempire. Risparmio totale per le casse dello Stato, ovvero per i contribuenti italiani? Circa 100 milioni di euro all’anno secondo alcuni promotori del referendum, poco più della metà secondo l’Osservatorio di Carlo Cottarelli, uno che di “numeri” se ne intente abbastanza. Cottarelli fa infatti riferimento ai soli introiti netti dei parlamentari e non già al lordo (in cui sono ricompresi tasse e contributi previdenziali che costituiscono per le casse statali quella che si definisce una partita di giro). Insomma, secondo sempre il nostro Cottarelli, il risparmio effettivo finale per gli italici costi della politica, e quindi per le casse statali, sarebbe pari allo 0,007% della spesa pubbli-
ca nazionale. “Poca roba, propaganda a buon mercato”, secondo i detrattori della riforma, che si chiedono: “Non sarebbe ad esempio molto più incisivo - sia sul piano economico che della qualità finale dei lavori – riparametrare le retribuzioni dei parlamentari in base alle loro effettive presenze in aula e alla quantità e qualità del loro operato?”. “Comunque, finalmente, un taglio ed un risparmio, un inizio e l’avvio di un percorso virtuoso”, secondo invece i sostenitori del referendum, che brindano alla caduta della prima pietra di un totem monolitico. Sin qui i numeri che si vedono. Ci sono però anche delle cifre che occorre guardare in controluce, o… in filigrana se preferite, soprattutto in ordine agli effetti che la riforma produrrà. I sostenitori del “sì” sbandierano da tempo il fatto che un numero di parlamentari ridotto di oltre un terzo darà ai lavori d’aula un ritmo più snello e veloce, organismi più agili, inutili ridondanze. I contrari ribattono che in verità, restando immutato il bicameralismo “perfetto” (ovvero quello per cui entrambi i rami del Parlamento fanno sostanzialmente le stesse cose) cambierà molto poco. Anzi, aggiungo questi ultimi,
si profilano alcuni rischi di non poco conto per l’effettiva rappresentanza democratica, con i territori marginali destinati a “contare” ancora e sempre meno. Guardando un poco oltre, volendo, si scorgono altre insidie, ad esempio quella data dal fatto che le segreterie di partito, già potentissime, potranno così controllare ancora più facilmente (con o senza listini bloccati) i “loro” parlamentari, oramai spesso lontani da un rapporto di relazione con le comunità dei territori. Si starebbe insomma instaurando, secondo i detrattori della riforma, una sorta di cortocircuito della casta per alimentare se stessa. Staremo a vedere, potremmo concludere con formula non proprio originalissima. Che questo sia un inizio è auspicabilmente vero; che sia una riformina (o riformicchia, sostengono i più salaci) dagli esiti tutti da valutare, probabilmente altrettanto. Sul fatto che questo Paese abbia bisogno di riforme radicali, vere, concrete, coraggiose e profonde a parole sono tutti d’accordo, da decenni. E allora speriamo che, una volta tanto, la montagna non partorisca il topolino. Tutto tricolore, naturalmente.
augana
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